CASE di DISTRIBUZIONE

Paramont, warner bross ecc..

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  1. gheagabry
     
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    Paramount festeggia cento anni di successi
    Il marchio Paramount, con il suo inconfondibile profilo di una montagna innevata a campeggiare al centro dello schermo, festeggia l'8 maggio il suo primo centenario e ne è così fiero da aver posto il magico numero sulla sigla di distribuzione. Per un pugno di giorni (aprile contro maggio) arriva seconda in America dopo la Universal ed è una guerra tra cugini quella dei due studios, visto che nel mondo per decenni i marchi hanno viaggiato affiancati nel "trust" UIP, poi sciolto formalmente dalle norme europee contro le concentrazioni industriali. Nella classifica mondiale delle case di distribuzione più longeve, il primato resta saldamente in pugno alla francese Gaumont, ma il fascino della Paramount è indiscutibile perché fu fin dall'inizio la casa dei divi e dei registi da kolossal, Cecil B. de Mille in testa. In verità nel 1912 nessuno parlava ancora di Paramount e il fondatore, l'immigrato ungherese Adolph Zukor aprì i battenti a Hollywood con la sua Famous Players, irrobustita e sospinta sulla scena degli Studios dai capitali di Jesse Lasky.
    Fu questa fusione, nel 1914, a dar vita al nuovo nome della ditta e a permetterle di sciogliere le vele passando a vera compagnia di produzione e distribuzione. Zukor credeva fermamente nella sua creatura, fu capace di garantirle fin da subito i nomi più prestigiosi (Mary Pickford, Rodolfo Valentino, Gloria Swanson, Douglas Fairbanks), la traghettò dal rischio della bancarotta in una nuova epoca d'oro (subito dopo la Grande Depressione), le consentì di sopravvivere alla Seconda Guerra Mondiale mantenendola in posizione dominante, arruolando di volta in volta con contratti lunghi e milionari i maggiori divi, registi di primo piano, creatori e personaggi che garantivano innovazione e originalità anche contro le leggi di Washington e di Hollywood. Così Paramount inventò il dubbio sistema distributivo del "Block Booking" (il vincolo di esclusiva per le sale che volevano assicurarsi i film più attesi dello Studio, in barba alle leggi sulla concorrenza), il "Pre Selling" (vincolo d'investimento sui film della Compagnia fin dalla sceneggiatura), sfidando al contempo il codice Hays sulla moralità assoldando dive davvero politicamente scorrette come Marlene Dietrich e Mae West. Negli anni '30 Paramount riusciva a sfornare anche 70 film l'anno ed è ancora orgogliosa di un cuore pulsante dell'attività tutto concentrato a Los Angeles, intorno al mitico indirizzo di Melrose Street. Non si contano i successi di decennio in decennio: negli anni '20 ''Ali" di William Wellmann (il primo Oscar al miglior film) e "I dieci comandamenti" di Cecil B. De Mille (il primo film a sperimentare anche il techincolor) negli anni '20; i grandi successi di Marlene Dietrich e Gary Cooper (ma anche l'esordio sullo schermo di Popeye-Braccio di ferro) negli anni '30; l'esordio americano di Ingrid Bergman con "Per chi suona la campana" e i grandi noir da "La fiamma del peccato" a "La Dalia azzurra" negli anni '40; ''Viale del tramonto", "Vacanze romane", l'Hitchcock di "Caccia al ladro" e "L'uomo che sapeva troppo", la nuova versione dei "10 Comandamenti" e "Sfida all'O.K.Corral" negli anni '50; gli ultimi successi di John Ford, la scoperta di Jerry Lewis, ''Colazione da Tiffany", "Hid il selvaggio" e perfino "C'era una volta il West" negli anni '60. Con il decennio successivo la politica della Paramount cambia radicalmente: da un lato si concentra sul grande prodotto commerciale per conquistare il pubblico giovane (''La febbre del sabato sera" e "Grease" per intercettare il fenomeno Travolta); dall'altro si apre alla collaborazione con i talenti della nuova Hollywood come Francis Coppola (la trilogia del "Padrino"), Robert Altman ("Nashville"), Sydney Pollack ("I tre giorni del Condor" portato in dote da Dino De Laurentiis. E' una linea di tendenza confermata nei decenni successivi, grazie a fusioni imprenditoriali determinanti come quella con la Dreamworks di Steven Spielberg (che porta in dote Indiana Jones ma anche il formidabile dipartimento per l'animazione), successi incrociati tra il settore televisivo e quello cinematografico (la saga di "Star Trek"), qualche inatteso blockbuster per giovanissimi ("Transformers") e l'accordo con il più amato divo di fine secolo come Tom Cruise con le sue "Mission Impossible". Passata sotto il controllo di un colosso dell'intrattenimento come Viacom, la veneranda Paramount ha da poco superato la concorrente Warner Bros nel numero di film prodotti (oltre 3000 in carriera), ha fatto incetta di premi e record d'incasso, fa mostra di sé come monumento alla sua storia e piattaforma versatile del prodotto cinema dai parchi a tema alla tv, dall'intrattenimento multimediale al blockbuster classico. E' probabilmente pronta per una nuova rivoluzione nell'era dell'immagine digitale e del 3D, ma non ha perso un'anima classica, suscitando qualche nostalgia in quei giovani registi che sognano di scalare la montagna innevata del suo logo per proiettarsi nel pantheon del successo planetario.(Ansa)
     
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0 replies since 9/5/2012, 17:46   359 views
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