YEMEN Socotra

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  1. tomiva57
     
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    Yemen



    Socotra


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    Una natura generosa e bizzarra, che conserva specie botaniche vecchie di milioni di anni, rende l'isola di Socotra un intatto e primordiale paradiso. E qui, in un angolo di mare tra Asia e Africa, la vacanza pleinair è davvero quella di una volta: in tenda, scoprendo passo passo la straordinaria magia e gli incredibili paesaggi di una terra senza confronti.

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    Le acque del Golfo di Aden la bagnano a est, quelle del Mare Arabico a ovest. Bastano queste poche coordinate a suggerirci che Socotra deve avere qualcosa di speciale: e l'impressione si fa ancora più forte se aggiungiamo che si trova a circa 300 chilometri dal Corno d'Africa, il continente al quale la geografia fisica più volentieri la assegna. Per la geografia politica si tratta invece dell'isola principale dello Yemen, la repubblica araba cui fa da avamposto sull'Oceano Indiano insieme a poche altre isolette sparse in direzione della costa somala.
    A dispetto della remota collocazione, alcuni recenti ritrovamenti potrebbero indicare la presenza di ominidi già dall'Età della Pietra. Socotra, per di più, era nota ai Greci ed è citata da Marco Polo, ma fino a pochi secoli fa era pressoché inaccessibile. Raggiunta da esploratori portoghesi nei primi anni del '500 ed entrata poco dopo a far parte di un sultanato, nel 1834 venne occupata dalla Gran Bretagna e nel 1886 fu annessa al protettorato britannico di Aden: da quel momento seguì le sorti dello Yemen, resosi indipendente nel 1970 e tuttora unico stato repubblicano della Penisola Araba, dopo aver vissuto una parentesi socialista. Con la costruzione dell'aeroporto, una decina d'anni fa, Socotra si è finalmente aperta al mondo e ha conosciuto i primi turisti, anche grazie al fatto che l'arcipelago è stato inserito dall'Unesco fra i patrimoni dell'umanità.

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    Rose del deserto sull'altopiano el Daksem

    All'arrivo ci troviamo subito circondati da un paesaggio che sembra uscito da una fiaba, e non è un'esagerazione. Come Alice nel Paese delle Meraviglie, spalanchiamo la bocca dallo stupore di fronte a piante e fiori dalle fogge bizzarre, come la rosa del deserto che qui non è la nota formazione minerale, bensì un buffo alberello dal tronco morbido e pingue: simile a un otre di gomma, nasce quasi in riva al mare o spunta sulle pareti rocciose, come a voler ingentilire il panorama brullo con i fiori rosa che ne ornano i delicati rametti. Il fico di Socotra, che alligna sulle creste montane, è invece simile a un piccolo baobab, mentre il cucumber tree è un albero dell'altezza media di 6 metri che produce frutti simili a cetrioli. Difficile poi rimanere impassibili di fronte all’euforbia gigante o all’albero del sangue di drago, vero simbolo di Socotra dato che è l'unico posto al mondo in cui cresce: un ombrello gigante la cui geometrica perfezione è retta da un magnifico intreccio di rami nodosi, in cima ai quali spunta un fitto tappeto di aghi verdi simili a quelli dei pini di casa nostra. Il nome deriva dalla linfa color rosso porpora che stilla dalla corteccia, usata dagli indigeni come medicinale ma anche come inchiostro e colorante.

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    La chioma di un albero del sangue di Drago

    Di questi alberi se ne trovano a decine sull'altopiano del Daksem, dove un silenzio assoluto avvolge il limite di uno strapiombo dalle pareti di granito rosso a tratti coperte da lastre grigie di lava fossile. E’ la bocca sprofondata di un vulcano spento da secoli, i cui canali un tempo percorsi dal magma ora sono palmeti lussureggianti che ombreggiano sul fondo una limpida piscina naturale. Anche le falde montuose che salgono al Daksem sono un tripudio di vegetazione capace di evocare storie e leggende lontane: le magnifiche sculture naturali formate dall’aloe vera, la Boswellia o albero dell'incenso (che qui cresce in sette specie diverse e tutte endemiche) e gli arbusti dai quali si ricava la mirra. Egizi, Greci e Romani venivano fin qui per procurarsi queste preziose sostanze, quelle stesse che i Re Magi portarono in dono. E poi lo sguardo scivola verso la costa, dove i cespugli nani di croton sembrano quasi ricordare la macchia mediterranea.


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    Sabbia accumulata dal vento sulle scogliere dell'isola


    Montagne di sabbia

    Il mare di Socotra vira dall’indaco al turchese e allo smeraldo, con le onde che lambiscono spiagge memorabili come quella di Qalansiyah. I fuoristrada delle guide che ci accompagnano non possono arrivare fino alla riva e ci lasciano all’inizio di una salitella, in cima alla quale il respiro si ferma davanti a uno scenario a dir poco incredibile: l’alta scogliera, di un caldo color ocra, precipita su una spiaggia candida che s’insinua con un ghirigoro nell’acqua immobile.


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    Qui la natura si è divertita senza badare a spese



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    conchiglie

    La spiaggia di Qalansiyah è immensa, protetta da una corona di rocce che al tramonto s’infiamma in un rosso da brivido, mentre inizia il viavai dei granchi che si dirigono verso l’acqua lasciando le tane scavate a spirale nella rena. D'estate, quando i monsoni soffiano con violenza rendendo l'isola inaccessibile, la finissima sabbia corallina si solleva e si addossa alle falesie, sedimentando poco alla volta sino a formare vere e proprie piramidi. Chiamarle dune è riduttivo: sono vere e proprie architetture naturali, che da lontano sembrano fatte di sale o di neve. Non c'è posto migliore per piantare la tenda e dormire, anche se il sonno tarda ad arrivare quando ci si può stendere sulla spiaggia a guardare un cielo fitto di stelle che vorremmo veder cadere per esprimere mille desideri.
    Le piramidi sabbiose si formano per lunghi tratti sulla costa occidentale di Socotra, com'è facile notare facendo un giro in barca verso un'altra magnifica spiaggia, quella di Ahrar. Più avanti, mentre procediamo verso Shuab, ci scorre davanti agli occhi un'alta scogliera in cui il vento e il tempo hanno scolpito grotte e faraglioni che danno rifugio a popolose colonie di uccelli. Per non dire delle acrobazie dei delfini, che si tuffano e riemergono a due bracciate dalla riva senza nemmeno interrompere la loro corsa, quasi un fiume argenteo nel mare di smeraldo. La limpidezza dell'acqua è assicurata lungo tutti i 350 chilometri di costa e la barriera corallina, addirittura più corposa di quella del Mar Rosso, orla bassi fondali abitati da un gran numero di pesci e di crostacei.
    Anche la spiaggia di Shuab offre sabbia candida e spazi aperti. Un'autentica oasi di pace dove può capitare di essere accolti da un pescatore che vive in una grotta a mezza costa e che offre, su un semplice vassoio di legno, tranci di pesce da lui stesso ha cucinato. Un altro indigeno propone invece l'acquisto di conchiglie pazientemente pulite e lucidate: l'isola ne è ricchissima, come pure di madreperle, di fossili, di spugne, e la tentazione di portar via un souvenir è forte, ma non va assecondata. Un atto dovuto, per rispetto alla bellezza dei luoghi e allo spiccato senso di ospitalità di chi ci vive.

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    Civiltà primitiva

    I circa 40.000 abitanti di Socotra sono frutto di una miscellanea di razze, con una prevalenza di pescatori di origine africana insediatisi lungo le coste e pastori nomadi arabi nell’interno. Anche i materiali da costruzione differiscono a seconda della zona: di corallo vicino al mare, di sassi e fango nell'entroterra. Tutti però parlano la stessa lingua autoctona, un complicato idioma semitico, e professano una rigorosa fede islamica.
    E’ singolare che una terra così appartata dal resto del mondo, rimasta isolata per millenni, abbia una popolazione più spigliata e comunicativa rispetto allo Yemen continentale. Persino i costumi femminili tradizionali, anziché la cupezza del nero, sfoggiano le tinte accese di bellissime stoffe tessute dalle stesse socotrine; niente velo a coprire i bei volti, solo un drappo sui capelli. Le donne, tuttavia, risiedono perlopiù nei villaggi insieme ai figli e spesso devono percorrere chilometri a piedi per accompagnarli nell’unica scuola dell’isola. Solo un ristretto numero di esse abita nel capoluogo, dove ha sede la Socotra Women's Development Association: una delle sue attività è un negozio in cui si vendono incensieri in terracotta dipinta con la linfa rossa dell’albero del sangue di drago, ma anche sassolini d’incenso e creme di bellezza a base di aloe vera.
    Gli uomini, dal canto loro, indossano quasi sempre la juta, un pareo tenuto fermo in vita, e un foulard annodato sul capo a mo' di turbante. Girano ovunque, a piedi o alla guida dei fuoristrada, l'unico veicolo adatto a spostarsi sull'impervia rete di stradine che solcano l'isola. In città, a Hadibu, siedono davanti alle case, alle botteghe o nei pochi bar: chiacchierano, bevono succo di mango e passano il tempo giocando con una sorta di dama.

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    L'albero della Mirra

    E' normale vederli masticare foglie di qat, un arbusto sempreverde, aggiungendone continuamente di fresche sino a formare una palla che viene tenuta in bocca creando il tipico rigonfio sulla guancia. L'uso di questa leggera droga dagli effetti lievemente euforizzanti è un'abitudine largamente diffusa in tutto lo Yemen, una tradizione antica – risalirebbe almeno al XIV secolo – ma anche una piaga economica, se si pensa che in diverse famiglie il consumo di qat assorbe fino al 70% del denaro guadagnato ogni mese; malgrado ciò, la vendita è del tutto ufficiale e alla luce del sole, a mazzetti confezionati in involucri di plastica.
    In un contesto sociale e culturale che procede sempre più rapidamente verso la modernità ma non ne ha ancora recepito gli aspetti più consumistici, lo sviluppo del turismo non ha stravolto l'aspetto dell'isola. Le stesse strutture di accoglienza non sono certo ai livelli di tanti lussuosi (e artificiosi) resort dei Caraibi o del Pacifico: la cosa più simile a un albergo è il funduq, un tipo di alloggio con camere molto ampie, dove il livello d'igiene lascia un po' a desiderare. Il Taj Socotra sembra essere il più conosciuto a Hadibu, forse l’unico, dotato anche di uno spartano ristorante che propone piatti a base di pesce o di carne di capra.
    Il modo più consono per godere appieno di Socotra è però quello che caratterizza il viaggiatore pleinair, vivendo a contatto con questa meravigliosa natura. Basta scegliere un luogo in cui piantare la tenda per ritrovarsi immersi in una solitudine quasi totale, di fronte a paesaggi di una bellezza indimenticabile: non solo le spiagge, ma anche l'altopiano di Diksam o la foresta di Fermhin, fitta di alberi del sangue di drago. Ed è facile capire perché Socotra, in sanscrito, significhi isola della felicità.


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    Testo e foto di Teresa Carrubba
    PleinAir 460 – novembre 2010
    foto web
     
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  2. gheagabry
     
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    Socotra e le sue tre isole minori, separate dalla massa continentale da 18 milioni di anni, ospitano oltre mille specie endemiche: piante e animali che non vivono in nessun altro luogo. Queste specie si sono adattate a una varietà di temperature, livelli di umidità e altitudini. Oggi però la costruzione di nuove strade nel cuore di questi fragili habitat rischia di comprometterne la biodiversità e di far fallire la prospettiva di uno sviluppo sostenibile.

    Nella foto: icona botanica di Socotra, la dracena arborea raccoglie l’umidità montana grazie ai rami all’insù. Gli ecologi temono che il basso tasso di riproduzione possa compromettere il futuro della specie.


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    Michael Melford

    "Situata nel Mar Arabico, a 350 chilomtetri dalle tormentate coste delle Yemen, Socotra era un tempo un luogo leggendario che si trovava ai margini del mondo conosciuto. Per i marinai era un posto da temere, con secche insidiose, violente bufere, abitanti ritenuti capaci di controllare i venti e dirigere le navi verso la riva per impadronirsene e saccheggiarle. Oggi l'abbondante biodiversità di Socotra attira un nuovo genere di esploratori, che sperano di apprendere i segreti di quest'isola prima che la modernità la trasformi per sempre."

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    Mark W. Moffett

    Nella piana di Zahr le chiocciole si arrampicano sugli alberi per sottrarsi al caldo e agli scarabei, anche se così diventano preda di uccelli affamati.


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    Mark W. Moffett


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    Mark W. Moffett

    Chiamata mishhahir in lingua socotri, questa pianta succulenta è servita agli abitanti dell’isola come cibo di riserva in periodi di carestia. I suoi fiori sono rari punti di colore sulla pietra calcarea della zona del Firmihin.



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    Michael Melford

    Alcune zone della costa meridionale di Socotra sono coperte da chilometri di dune di sabbia candida, come questa spiaggia di Aomak. Nella stagione dei monsoni le dune vengono continuamente rimodellate dai venti.


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    Michael Melford

    Il franchincenso è una resina aromatica ricavata da alcune specie del genere Boswellia come questa che cresce a Homhil, un'area protetta all'estremità orientale dell'isola



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    Mark W. Moffett

    Una rosa del deserto si tiene ancorata alle scogliere di Maalah, in compagnia delle oltre 300 specie rare di piante di Socotra. In lontananza è visibile Qulansiyah, una delle maggiori città dell’isola.






    national geographic
     
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  3. tomiva57
     
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    San'a'


    Da Wikipedia
    foto web


    San'a' (arabo صنعاء, Ṣanʿāʾ), già capitale dello Yemen del Nord, dal 1990 è la capitale dello Yemen riunificato. Situata al centro di un vasto altopiano, è cinta da mura e con tipici palazzi yemeniti a più piani; centro commerciale, culturale ed economico del Paese. È divisa da mura interne in tre quartieri (arabo, turco ed ebreo).


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    Storia

    Secondo la tradizione la fondazione della città risale a tempi biblici; fu fondata da Sem, figlio maggiore di Noè e capostipite delle popolazioni semite, il quale dopo aver abbandonato il suo paese trovò prima il Rubʿ al-Khālī, il "Quarto Vuoto" - terribile deserto sabbioso - e, successivamente, una terra di alte montagne e valli fertili e decise di fondare una città: San'a'.


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    Cultura


    Nel 1970 Pier Paolo Pasolini girò a San'a' alcune scene del film Il fiore delle mille e una notte; l'ultimo giorno delle riprese, colpito dalle bellezze della città, iniziò a girare Le mura di Sana'a, un breve documentario in forma di appello all'UNESCO per far sì che venissero protette e conservate le bellezze dell'antica città quali patrimonio storico-culturale dell'intera umanità. L'appello di Pasolini fu accolto e nel 1986 la città vecchia di San'a' è stata dichiarata patrimonio dell'umanità.


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    Monumenti e luoghi di interesse

    Il Sūq al-milḥ, che in realtà è un insieme di una quarantina di sūq, ognuno specializzato su un tipo di prodotto.
    A 15 km circa a nord-ovest di San'a', in una spaccatura della montagna giace una verde vallata fertile tutto l'anno, in cui crescono qat ed una gran varietà di frutta mediterranea. Questa è la valle chiamata Wadi Dhahr percorsa da un torrente secco (il termine Wadi significa torrente) che durante la stagione dei monsoni raccoglie le abbondanti piogge.

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    Nella valle sorge il Palazzo della Roccia (Dar al-Hajar), uno dei siti più fotografati dello Yemen, che è diventato una specie di simbolo dell'intero paese per la sua ardita posizione. Il palazzo rappresenta l'eccellenza architettonica e mostra come la gente faccia fronte alla natura e trasformi le sue complicazioni in monumenti. Tutto questo appare chiaro a chiunque visiti la Wadi Dhahr; affacciandosi da una montagna si può vedere un enorme palazzo costruito sulla sommità di una montagna, nel cuore della valle che è circondata da alberi da frutta. La fama di questa valle risale a tempi passati, come indicato dai disegni ritrovati nelle rocce della valle, che hanno portato gli archeologi a concludere che la valle fosse abitata già nella preistoria. La prima menzione alla Wadi Dhahr risale al VII secolo a.C., alla famosa Immagine di Al-Nasr, che rappresenta un importante periodo della storia dello Yemen e guadagna il suo significato da colui che lo dipinse, Karb Al-Watribin Dhamar Ali Makrab Saba. Il disegno ci porta alla conclusione che la valle sia apparsa durante il prosperoso periodo del Sabei all'interno del territorio della tribù di Dhee Ma'dhan. Il nome “Dar al-Hajar” si riferisce alla roccia su cui il palazzo è stato costruito. Le narrazioni differiscono riguardo l'età di questo alto palazzo (alcune asseriscono che risalga all'epoca pre-islamica), ma sono tutte concordi riguardo al fatto che il palazzo, conosciuto dagli yemeniti come “al-Dar”, sia andato incontro a periodi di distruzione e ricostruzione. Il palazzo fu completamente distrutto durante il dominio ottomano in Yemen, a causa di violente piogge. Quindi fu ricostruito dall'Imam Al-Mansur, che ne fece la sua casa. Questa fu un'usanza comune a molti sovrani yemeniti nei tardi periodi, ma ne fecero un palazzo, un luogo per le vacanze, non una residenza permanente in cui vivere. Più tardi, l'Imam Yahya ristrutturò il palazzo e aggiunse alcuni servizi, come un mafraj, che è una stanza all'ultimo piano della casa e dalle cui finestre si può vedere la valle da ogni angolo. Si dice anche che il palazzo sia stato costruito nel tardo XVIII secolo sulle rovine di un antico palazzo sabeo, conosciuto come Dhoo Seedan. La Dar al-Hajar era famosa per la sua fertile valle circostante e le varietà rare di frutti. Il famoso storico Al-Hamdani nel suo libro Descrizione della Penisola Arabica (III secolo a.C.) descrive il palazzo, il giardino circostante e i frutti qui piantati.

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    Nel suo libro dice: “Tra i luoghi storici dello Yemen è Dhahr, in cui si trovano una valle ed un castello -riferendosi a “Dhahr bin Sa'id”, un luogo a due ore di distanza da San'a'. In questa valle c'è un grande fiume che irriga due giardini in cui si trova una grande varietà di viti, come la Bayadh, Al-Sooda, Al-Atraf, Al-Nawasi, Al-Ziyadi, Al-Farsi, Al-Jerashi, Al-Oyoon, Al-Dhorooa, Al-Qhawareer, Al-Seysaban, Al-Romi, Al-Noshaey, Al-Dawali, Al-Ama'r, Al-Darbaj, Al-Razeqhy, etc.. Tra i vari tipi di pesche ci sono: Al-Himyari, Al-Farsi, Al-Kholasi. Non si trovano solo questi frutti ma anche fichi e pere, che non si trovano da nessun'altra parte, come dicono i forestieri che giungono a San'a', e anche mele dolci da sidro, mandorle, noci, mele cotogne, melograni, così come vari tipi di rose”. Al-Hamdani ritrae anche il modo in cui veniva irrigata la valle. L'irrigazione andava dal basso verso l'alto della montagna. I giardini erano annaffiati tutti allo stesso modo, anche se i loro proprietari erano immigrati o la terra non era stata seminata. Il responsabile dell'innaffiamento era chiamato daeel. Al-Hamdani parla di un fiume chiamato “il fiume della valle”, che non era pieno durante il periodo della jahiliyya, ma quando si verificavano dei temporali il livello dell'acqua si alzava un po'. Costui afferma che la sorgente di questo fiume si trova sul monte Hadhoor e scorre dal fondo di Raia'an e dalla vetta della Dhahr.


    La Dar al-Hajar è un palazzo a sette piani e può essere raggiunta da un cortile lastricato di pietre. Alla destra della porta del recinto vi è un albero gigante chiamato in arabo al-talooq, risalente a più di sette secoli fa, la cui circonferenza supera i tre metri. Il palazzo ha 35 stanze, una grande camera per gli ospiti e numerose sale. Le scale sono state concepite in modo molto innovativo e artistico, unite insieme dalla sommità della roccia al suo fondo. Sul lato sud del palazzo c'è un balcone nascosto con piccole piscine in cui i servi erano soliti fare il bucato. Ci sono anche negozi sotterranei, con porte che conducono ai giardini vicini e loggiati con belle colonne ed archi. Sulle montagne circostanti ci sono molte torri di guardia. Nel cortile del palazzo vi è una suite privata separata, chiamata Al-Shadrawan, con alti alloggi estivi circondati da finestre in legno, un ampio cortile e tre fontane d'acqua. Il cortile comprende anche molti servizi di lusso, come cucine e bagni turchi. L'edificio principale al primo piano ha un ingresso e molte piccole stanze. Attraverso le scale, che sembrano scavate nella roccia, si accede al secondo piano, dove si trovano molte grotte, che si dice fossero utilizzate per conservare i cadaveri ai tempi del palazzo sabeo, su cui poi è sorta la Dar al-Hajar. La cosa positiva è che la roccia ha un pozzo profondo 180 metri che forniva acqua ai residenti del palazzo (e questo elemento, a opinione di tutti coloro che hanno visitato la Dar, contribuisce ad accrescere l'aura di mistero che circonda questo edificio). Oltre a questo vi è un altro canale, utilizzato per la ventilazione. Il terzo e quarto piano costituivano la casa dell'Imam, delle sue guardie del corpo e delle donne. Le camere degli uomini erano separate da quelle delle donne e per questo motivo furono costruite due serie di scale, ciascuna conducente ad un locale separato. Il quinto piano ha la stessa struttura, ma include anche un magazzino per conservare i cereali. Il sesto piano ha un balcone per i piccioni, usati per la corrispondenza col re. Era riservato al re ed era il luogo dove costui incontrava i suoi ospiti o stava solo, specialmente in estate. Il settimo piano invece era per l'inverno. I diversi piani indicano che nella progettazione degli edifici, le stagioni ed i cambiamenti climatici furono prese in considerazione utilizzando calcoli astrologici e di ingegneria molto precisi, in cui gli architetti yemeniti eccelsero fin dai tempi antichi.
    La Dar al-Hajar è stata ricostruita attorno agli anni '30 per volere dell'Imam Yahya, come sua residenza estiva. Oggi il palazzo è di proprietà del governo, è stato confiscato dopo la rivoluzione del 1962 ed è rimasto vuoto fino al 1990. Nel 1990 un'associazione tedesca ha finanziato la ristrutturazione del palazzo che è stato trasformato in un museo, di cui la casa è il principale reperto e dove periodicamente vengono ospitate mostre fotografiche.

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