VERONA

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  1. gheagabry
     
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    Deliziosa Verona!
    Con i suoi bei palazzi antichi e l'incantevole campagna vista in distanza da sentieri praticabili e da solide gallerie con balaustra.
    Con i suoi tranquilli ponti romani che tracciano la retta via illuminando, nell'odierna luce solare, con tonalità antiche di secoli.
    Con le chiese marmoree, le alte torri, la ricca architettura che si affaccia sulle antiche e quiete strade nelle quali riecheggiavano le grida dei Montecchi e dei Capuleti...
    (Charles Dickens)


    VERONA


    La città è stata dichiarata patrimonio dell'umanità dall'UNESCO per la sua struttura urbana e per la sua architettura: Verona è uno splendido esempio di città che si è sviluppata progressivamente e ininterrottamente durante duemila anni, integrando elementi artistici di altissima qualità dei diversi periodi che si sono succeduti; rappresenta inoltre in modo eccezionale il concetto di città fortificata in più tappe determinanti della storia europea.

    Nel "Versus de Verona" - un poema di cento versi in trentanove strofe, scritto alla fine dell'VIII secolo. È detto anche Ritmo Pipiniano perché composto da un anonimo, probabilmente un monaco, in onore di Pipino il Breve e di Verona. È un documento importante, in quanto descrive una Verona medioevale in parte distrutta dal terremoto del 3 gennaio 1117. Si basò sul modello del precedente poemetto Versum de Mediolano civitate scritto anni prima da un anonimo dedicato al capoluogo Lombardo. - si insiste sull'ampio uso della pietra nell'arredo urbano, uso che sta alla base della motivazione per cui nel Medioevo Verona venne detta Marmora o Marmorina, denominazione che compare già all'inizio del XIII secolo nel poema franco-veneto Uggeri il Danese. L'appellativo trae origine dai numerosi edifici e monumenti in pietra, costruzioni che negli stranieri dovevano suscitare una certa soggezione o impressione: l'Arena di Verona, il teatro romano, le porte Borsari e Leoni, l'arco dei Gavi, l'arco di Giove Ammone (oggi non più presente, poiché è andato distrutto nel XVII secolo), e numerosi edifici romani che fino al XV secolo sono stati in parte conservati, ma anche i palazzi costruiti da Teodorico da Verona o in epoca comunale. Nel poema De Scaligerorum origine di Ferreto de' Ferreti compare l'appellativo marmoris urbs, mentre Cangrande I della Scala viene anche chiamato marmoreus dux.

    ...la storia...


    I primi insediamenti abitavi in queste terre, dove un grande fiume esce dai monti e si adagia su una fertile pianura, dove gli inverni sono sopportabili e le caldi estati permettono copiosi raccolti, è antichissima. La stazione di Quinzano risale a MEZZO MILIONE di ANNI ed è documentabile una vita ininterrotta fino ai castellieri dell'età del ferro, all'inizio della storia quando gli autori romani Catone e Livio Plinio riconoscono qui stabiliti Reti, Euganei, Liguri e Etruschi. Preistorici furono pure i primi insediamenti abitativi entro la città di Verona, situati tra l'attuale Ponte Pietra e l'antistante collina di san Pietro, dov'era un agevole guado sul fiume Adige, lungo la via del sale e dell'ambra che portava alla Germania. Le tracce dei primi contatti con Roma risalgono al IV secolo a.C. quando le genti che abitavano in quest'area iniziarono a stabilire frequenti rapporti commerciali con l'Urbe. Già nel 216 a.C. essi avevano conquistato una consistenza tale da essere ricordati come "presenti con un proprio contingente nell'esercito romano che combatte la battaglia di Canne". Nel 148 a.C. lo sviluppo della zona subì una forte accelerazione con il passaggio della via Postumia che univa il Tirreno con l'Adriatico e dopo il censimento dell'86 a.C. la città viene iscritta alla tribù Polibia. L'atto ufficiale di nascita dell'urbe come insediamo urbanistico romano risale al 49 a.C., quando essa acquisì la cittadinanza romana e venne assurta al grado di MUNICIPIUM, con la conseguente realizzazione di mura, porte, strade e fognature. Memoria di tale evento è incisa sulla parte più antica della Porta dei Leoni, nella quale vengono ricordati i quattro magistrati romani che seguirono tali lavori.....fu una municipalità importante, che nell'età Flavia arrivò al suo massimo splendore. Con lo sgretolarsi dell'Impero Romano d'Occidente la città fu dapprima convertita al cristianesimo (tra il III ed il IV secolo) e poi divenne terra di conquista per numerosi invasori che giunsero d'oltralpe. Un breve periodo di prestigio in un epoca buia fu quello dal 493 al 526, quando Teodorico, re degli Ostrogoti, la scelse come una delle sue residenze favorite, dotandola di palazzi, acquedotti, terme e nuove mura difensive. Durante la dominazione Longobarda, Verona fu la prima capitale del regno. Vi risiedette Alboino, che nel 572 venne assassinato a seguito di una congiura ordita da sua moglie Rosmunda. Sconfitti i Longobardi, nel 774 entrò a far parte dell'impero Carolingio fondato dai Franchi e con Pipino, figlio di Carlo Magno, divenne anche sede del Regno d'Italia. Nel periodo del regno italico tra l'887 e il 962, Verona tornò centrale negli interessi dei vari pretendenti alla corona: BERENGARIO, eletto dalle grandi famiglie feudali Re d'Italia nell'888 e divenuto imperatore nel 915, la scelse come sua residenza, dando alla città un trentennio di rilevante importanza politica e militare.
    Con lo scemare dell'autorità imperiale, nella prima metà del dodicesimo secolo Verona divenne un libero Comune, in cui le sorti della città venivano rette da una alleanza tra il clero, l'aristocrazia e i ricchi mercanti. Sede Pontificia dal 1181 al 1185 con Papa Lucio III essa fu attiva nelle battaglie che portano i liberi comuni a difendere la propria autonomia dai tentativi di restaurazione di Federico Barbarossa e Federico II di Svevia. Al tramonto delle libertà comunali, dopo la breve parentesi della signoria di Ezzelino da Romano, seguì il periodo degli SCALIGERI, iniziato nel 1263 e protrattosi per oltre 120 anni. La famiglia dei Dalla Scala utilizzò ogni mezzo per giungere al potere, ma una volta al governo procurò alla città un lungo periodo di prosperità economica come non si ricordava dai tempi dell'antica Roma. Edificarono castelli, chiese e palazzi, facendo di Verona uno dei poli culturali dell'Italia tardo medioevale in cui furono ospitati i più celebrati artisti dell'epoca, tra cui Giotto, Dante Alighieri e Petrarca, che nel 1345 scoprì nella Biblioteca Capitolare un codice dell'Epistolario di Cicerone. Con la sconfitta di Antonio della Scala da parte dei Visconti iniziò nel 1387 il breve periodo della dominazione lombarda, terminato nel 1405 quando la città si offrì liberamente a Venezia. Legata alla Serenissima, la città rimase per quasi quattro secoli libera da occupazioni sino al giugno del 1796 quando le truppe di Napoleone entrano in città. Un periodo ininterrotto di libertà e sviluppo con l'unica eccezione di un breve dominio imperiale tra il 1509 ed il 1517 quando, dopo la guerra della Lega di Cambrai venne occupata dalle truppe di Massimiliano I. Il 17 ottobre del 1797 con la firma del trattato di Campoformio l'intera regione passò sotto il controllo degli Austriaci, che prosegui per settant'anni sino al 1866, con una parentesi dal 1805 al 1814 nella quale Verona entrò a far parte del Regno Italico. In questo periodo vengono realizzate numerose opere di fortificazione, tra cui i forti militari di Pastrengo, l'Arsenale e castel San Pietro. Essa era il vertice strategicamente più importante del Quadrilatero, l'area di maggiore importanza militare asburgica che doveva fungere da cuscinetto contro gli assalti dei patrioti italiani che lottavano per l'unificazione. Il 16 ottobre 1866 le truppe austriache abbandonano la città, che cinque giorni più tardi con un plebiscito sancì la sua unione al Regno d'Italia guidato dai Savoia. Di qui in avanti la città passò un periodo di relativa tranquillità e floridezza, ma durissima fu la parentesi della II guerra modiale, durante la quale fu una delle città più colpite dai bombardamenti aerei degli alleati e dalla follia dei nazisti in fuga, che il 25 aprile fecero saltare in aria gli splendidi ponti sull'Adige.
    (Giovanni Zalin)

    Mondo non v'e' al di la' delle mura di Verona...
    Qui dove vive Giulietta e' il Paradiso .
    (Shakespeare)


    ....WILLIAM SHAKESPEARE....


    "Il sarcofago di Giulietta, semplice, aperto, con foglie appassite intorno, nel vasto e desolato giardino di un convento, è triste come fu triste il suo amore. Ho portato via alcuni pezzetti per darli a mia figlia e alle mie nipoti". Così scrisse Byron visitando Verona.
    Attraverso William Shakespeare, Verona è diventata una delle città italiane più conosciute, o almeno nominate, nel mondo. In realtà Shakespeare non visitò mai Verona ma la conobbe solo attraverso gli scritti di Luigi Da Porto, Masuccio Salernitano e Matteo Bandello, che lo ispirarono per l'opera sua più famosa: "Giulietta e Romeo". Storia di amanti sfortunati e di famiglie, i celebri Capuleti e Montecchi, in lotta perenne nell'Italia dei Comuni. La potenza del mito letterario ha superato la storia reale, tanto che, non tutti sanno che i personaggi della tragedia di Shakespeare non sono mai esistiti, e fino al 1935, non esisteva nemmeno il famoso balcone della Casa di Giulietta, in via Capello a Verona, aggiunto molto più tardi all'edificio originario. Shakespeare si immaginava Verona come una sorta di Venezia con canali e gondole, forse ispirato dai pittori veneziani alla corte di Londra. Proprio per l'immagine particolare e romantica che lo scrittore inglese si era creato di Verona, decise di ambientare qui le sue storie. Oltre a "Giulietta e Romeo" vanno ricordati anche "I due gentiluomini di Verona" e "la Bisbetica domata", quest'ultima ambientata a Padova, ma con il personaggio maschile principale, Petruccio, veronese. Proprio in funzione Shakespeariana Verona è fra le città italiane più presenti nei nomi delle città dei nuovi continenti. Le varie città che portano nel loro nome la parola "Verona" negli Stati Uniti, in Canada e in Australia, s'ispirano alle opere di Shakespeare.
    (informagiovani.italia)

    ...LETTERE A GIULIETTA...


    Qualcuno mi ha insegnato a credere nelle belle storie. Quelle che si concludono a lieto fine, nonostante oggi il mondo parli il linguaggio dei grigi e dei neri. Da una bella storia può nascere la curiosità di andare oltre, di cercare sfumature diverse. Anch’io mesi fa ho scritto la mia lettera a Giulietta. Credevo fosse soltanto la trama di un film, invece la risposta è arrivata. Come migliaia di altre risposte, che viaggiano in cerca del proprio destinatario. Le parole attraversano spazi per incrociarsi con una vicenda che cavalca il tempo. Sempre attuale, sin da quando Shakespeare le ha dato vita. Esiste a Verona un gruppo di volontari che risponde a lettere spedite da ogni angolo di mondo. Nella città in cui si sarebbe consumata la tragedia di Romeo e Giulietta, chi piange per amore può trovare bagliori di speranza. I messaggi arrivano a migliaia, sia attraverso il web che le cassette postali. Alcuni parlano di dolori senza vie d’uscita, altri chiedono consigli o semplici suggerimenti. Le segretarie di Giulietta leggono e rispondono. Ma vanno oltre le righe, dentro le storie. Per comprendere il ruolo fondamentale che i volontari ricoprono, basti pensare all’importanza di una semplice parola detta a chi è solo e confuso. Le lettere arrivano ovunque. E a ognuna è affidata una risposta specifica. Personale. Gratuita. La scoperta dell’esistenza del Club di Giulietta è avvenuta per caso, dopo la visione del film di Gary Winick “Letters to Juliet”. Tratto dall’omonimo romanzo di Lise e Ceil Friedman, si ispira al fenomeno delle lettere indirizzate all’eroina shakespeariana e ne riporta alcune.
    Corrispondenze che parlano di amori cercati e mai più trovati, inseguiti o rincontrati a distanza di anni, di ricongiungimenti familiari. Sembra che tutto sia iniziato nel 1937, con l’arrivo della prima lettera indirizzata a “Giulietta, Verona”. A ricevere la missiva fu Ettore Solimani, custode della tomba di Giulietta, collocata quell’anno nella cripta di San Francesco al Corso. Solimani rispose. Da allora la corrispondenza fra Verona ed il resto del mondo non si è più fermata. L’eredità passò al giornalista e poeta veronese Gino Beltramini, poi al Club. Insieme alle lettere, scritte nelle lingue più disparate, le segretarie di Giulietta ricevono ogni giorno speranze e lacrime di uomini e donne. Le parole possono avere l’effetto magico di creare ponti fra persone e luoghi distanti. Spesso rappresentano un’ancora di salvezza. Sono riuscite a trascinare fuori dalle mura domestiche chi non aveva più voglia di vivere per una ferita d’amore. Belle storie. Quelle che si concludono a lieto fine a dispetto dei toni scuri di cui è colorato il mondo. Che viaggiano tacitamente nel tempo e nello spazio. In punta di piedi. La risposta arriva sempre. E anche l’invito a rimanere in contatto con Giulietta.
    (Anna Maria Colonna, il reporter)


    "Durante la sera si prova gioia di vivere e l'aristocrazia esce per la passeggiata. Chi va in chiesa a recitare l'Ave Maria, chi si ferma in Piazza Bei Cavalleri si accosta alle carrozze per intrattenersi con le belle signore. La popolazione qui va e viene tra la più grande animazione e specialmente in alcune vie. Nei giorni di mercato le piazze sono zeppe di gente, si ride, si scherza per tutta la giornata. Il popolo è tutto bello e buono e bada con occhio acuto ai fatti altrui, i ricchi e i nobili stanno rinchiusi nelle loro case."
    (Johann Wolfgang von Goethe)

     
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  2. willy055
     
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    confermo " al di fuori delle mura di Verona non esiste mondo"
     
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    Grazie Gabry, Verona è bellissima io ci sono stata per anni da piccola da mia Zia ..Città da visitare per chi non l'abbia ancora vista ..♥
     
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  4. tomiva57
     
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    Passeggiando per Verona


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    CASTELVECCHIO

    Maniero scaligero voluto da Cangrande II, fu costruito nel 1354-57 su preesistenti fortificazioni. Aveva funzione di residenza signorile, ma anche di presidio difensivo sia verso attacchi dalla città sia verso il ponte che consentiva il collegamento con la strada per il Tirolo. Presenta due nuclei, divisi da un tratto delle mura duecentesche e sette torri perimetrali; il nucleo di destra racchiude il cortile maggiore, con la piazza d’armi; il nucleo di sinistra era la vera e propria reggia scaligera, con cortile più stretto e doppia cinta muraria. Al centro, l’alta Torre del Mastio (1375), da cui si accede al Ponte Scaligero sull’Adige. Dopo la caduta degli Scaligeri fu utilizzato come deposito d’armi dai veneziani e nel ‘700 ospitò l’Accademia Militare della Serenissima; in seguito, sotto il dominio francese e quello austriaco, venne utilizzato come caserma. Nel 1923 fu avviato un radicale restauro che smantellò i caratteri militari del monumento, con l’inserimento di elementi architettonici tardogotici e rinascimentali di reimpiego e il ripristino delle merlature e delle coperture delle torri (eliminate in epoca napoleonica). Nel 1928 diventò sede del Museo di Castelvecchio. Nel 1943 ospitò l’assemblea che diede vita alla Repubblica di Salò e vi fu celebrato il processo che condannò a morte i gerarchi fascisti che avevano deposto Mussolini (fra cui il genero di questi, Galeazzo Ciano). Danneggiato dai bombardamenti, rimase vuoto per una decina d’anni. Nel 1957 l’arch. Carlo Scarpa e il direttore del Museo, Licisco Magagnato, avviarono una radicale opera di ristrutturazione e riallestimento museale; i lavori, terminati nel 1964, riportarono alla luce l’antica Porta del Morbio che si apriva nella cinta muraria del XII sec.


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    MUSEO DI CASTELVECCHIO


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    Ospitato in Castelvecchio, è articolato in 29 sale che espongono opere d’arte dall’epoca paleocristiana al ‘700. Il percorso inizia al pianoterra dell’ala napoleonica, con la galleria delle sculture. Nella prima sala sono esposte sculture, rilievi ed epigrafi veronesi del periodo altomedievale e romanico (tra cui spicca l’arca dei SS. Giovanni e Bacco, sarcofago romanico del 1179, decorato con ricchi bassorilievi), cui si aggiungono reperti d’oreficeria longobarda. Seguono le sale dedicate alla scultura veronese della prima metà del XIV sec., tra cui le grandi statue (originariamente policrome, in tufo locale) attribuite all’ambito del Maestro di S. Anastasia, il maggiore scultore veronese del ‘300 (notevoli la statua di S. Cecilia, lo Svenimento della Vergine e la drammatica Crocifissione). Nell’ultima sala della galleria delle sculture sono esposte opere del XV sec. Nelle prime sale della reggia scaligera sono conservati affreschi e pitture trecentesche di scuola veronese, nonché esempi di scultura, di oreficeria e gioielleria veneziane della metà del ‘300 e il corredo funebre di Cangrande I; l’opera fondamentale di questa sezione è il polittico della SS. Trinità (1360) di Turone. Seguono le sale che espongono opere del periodo tardogotico; i dipinti più importanti sono la Madonna del Roseto (1425 circa) attribuita a Stefano da Zevio e la coeva Madonna della Quaglia, opera giovanile di Pisanello. Notevoli sono anche la tavola S. Girolamo penitente di Jacopo Bellini, il polittico dell’Aquila di Giovanni Badile, la Morte della Vergine di Michele Giambono e il grandioso Crocefisso di Jacopo Bellini.
    Una delle sale di questa sezione è stata dedicata a un gruppo di quadri fiamminghi del XVI e XVII sec., fra cui un ritratto di epoca giovanile di Rubens.

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    Al piano superiore della galleria della reggia, le prime sale offrono una serie di opere di pittura veneta della fine del XV sec. e del primo XVI sec., in cui prevale il tema della Madonna con Bambino; i dipinti più importanti sono quelli di Giovanni Bellini, Francesco Bonsignori e Nicolò Giolfino. Seguono le opere di pittori veronesi, fra cui Domenico e Francesco Morone, Liberale da Verona e Giovanni Maria Falconetto.
    Nella sala della Torre del Mastio sono conservate la Sacra Famiglia con una santa di Andrea Mantenga, il dipinto Madonna con Bambino di Domenico Morone, la Madonna della Passione di Carlo Crivelli e la Madonna del Ventaglio di Francesco Benaglio. Sotto la torre è conservata una raccolta di armi antiche di varia provenienza (sec. XIV-XVIII) e il Ritratto di Pase Guarienti, variamente attribuito a Domenico Brusasorci, Paolo Veronese e Battista del Moro.
    Nei pressi della Torre del Mastio si può ammirare la statua equestre di Cangrande I della Scala, capolavoro della scultura trecentesca proveniente dall’area delle Arche Scaligere, presso la chiesa di S. Maria Antica.
    Le sale del piano superiore dell’ala napoleonica sono dedicate alla pittura dal XVI al XVIII sec., prevalentemente veronese. Vi sono esposti i monumentali dipinti di Paolo Morando detto il Cavazzola, tele di Giovan Francesco Caroto (curioso il suo Fanciullo con disegno di un pupazzo), di Girolamo dai Libri (fra cui il popolare Presepe dei conigli) e del Moretto (Ritratto di fra’ Gerolamo Savonarola). La sala più importante della sezione è quella che espone le opere di Paolo Caliari, detto il Veronese (Deposizione e Storie di Ester), insieme a dipinti del Tintoretto e di Giovan Battista Zelotti. Le sale successive mostrano il passaggio della pittura veronese dal manierismo al barocco: vi si possono osservare dipinti di Paolo Farinati,di Domenico e Felice Brusasorci, di Pasquale Ottino. Al ‘600 veronese e veneto appartengono le opere di Marcantonio Bassetti, di Alessandro Turchi (l’Orbetto), di Pasquale Ottino, di Bernardo Strozzi, di Francesco Maffei, di Claudio Ridolfi, di Pietro Ricchi e di Dionisio Guerri. Nell’ultima sala, dedicata al ‘700, sono esposti i dipinti di Luca Giordano, di Giambattista e Giandomenico Tiepolo, di Antonio Balestra, di Sebastiano Ricci, di Francesco Guardi e di Pietro Longhi.




    PONTE SCALIGERO



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    Di fronte al mastio di Castelvecchio si trova il Ponte Scaligero sull’Adige, attualmente adibito ad esclusivo camminamento pedonale. Edificato nella seconda metà del XIV sec., la poderosa costruzione a 3 arcate disuguali è in cotto e presenta fortificazioni e merlature. Fatto esplodere dai tedeschi in ritirata nell’ultima guerra, è stato ricostruito nel 1950, con le pietre e i mattoni originali, recuperati sul fondo del fiume. Vi sono tracce di reimpiego di materiale edilizio d’epoca romana: una serie di capitelli corinzi murati nella prima pila verso Castelvecchio (visibili solo se il fiume è in secca, uno è stato estratto e posto sul camminamento) e un cippo funebre romano presso l’imbocco verso l’Arsenale (trovato nelle fondamenta durante la ricostruzione del ’45).

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    ARSENALE

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    A causa del rilevante ruolo strategico militare di Verona (collocazione geografica privilegiata, all’incrocio di fondamentali vie di comunicazione), tra il 1864 e il 1861 gli austriaci costruirono l’arsenale dedicato a Francesco Giuseppe I, opera di un più generale processo d’adeguamento delle strutture militari urbane che doveva trasformare la città nella principale fortificazione permanente del Lombardo-Veneto (nello stesso periodo venne edificato Castel S. Pietro). Anche dopo l’annessione del Veneto al Regno d’Italia (1866) e fino all’ultima guerra, il complesso è stato utilizzato dalle autorità a scopo militare.
    La costruzione, situata su un vasto e verdeggiante tratto di pianura, è costituita da nove edifici in stile illuminista, separati da cortili, strade e piazzali e circondati da un muro di cinta continuo e isolato. Nel 1995 l’Arsenale è stato ceduto al Comune di Verona, che intende trasformare l’area in un parco pubblico.

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    S. BERNARDINO

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    Edificato fra il 1451 e il 1466, il complesso era costituito da vari ambienti organizzati intorno a due cortili, ma ha subito danneggiamenti durante l’ultima guerra.
    Un grande chiostro precede la facciata in stile gotico, in cotto a vista, ma con portale rinascimentale ornato di statue e rilievi con santi.
    L’interno della chiesa è insolito: la navata principale è affiancata da una navata minore che funge da raccordo per le numerose cappelle gentilizie, costruite fin dal XV sec. e arricchite di un tale numero di opere d’arte da far diventare la chiesa uno dei complessi storico-artistici più importanti di Verona. All’interno delle cappelle sono conservate opere di Nicolò Giolfino, di Domenico e Francesco Morone, di Antonio Badile, di Francesco Caroto, di Francesco Benaglio, di Antonio Balestra; sono presenti anche opere scultoree del XV e XVI sec. Particolare rilevanza ha la cappella Pellegrini, costruita intorno alla metà del XVI sec. da Michele Sanmicheli: ha pianta circolare ed è a due ordini (quello superiore corinzio) con decorazioni a cassettoni nella cupola; la pala dell’altare è di Bernardino India.
    Nel convento si può visitare la sala Morone, un’antica biblioteca costruita fra il 1494 e il 1503, decorata da un ciclo di affreschi a soggetto religioso, opera di Domenico e Francesco Morone (cui si deve il nome della sala).

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    S. ZENO MAGGIORE



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    Capolavoro del romanico in Italia, fu fondata da re Pipino (o secondo alcuni rifondata) tra l’VIII e il IX sec., sulla tomba del patrono di Verona, attorno al quale si era sviluppato un culto con radici antiche (V sec.). Le attuali strutture romaniche sono dovute principalmente alle modifiche attuate nel XII sec., dopo il terremoto del 1117. Solo l’abside, rifatto alla fine del XIV sec., presenta forme gotiche.
    La facciata in tufo è attraversata da una galleria di bifore in marmo rosso. Al centro si apre la ruota della fortuna, grande rosone dell’inizio del XIII sec. di Brioloto, decorato da 6 statue che raffigurano le alterne vicende umane. La parte centrale della facciata è caratterizzata anche dal portale con protiro del maestro Nicolò (e aiuti, 1138). Il protiro è sostenuto da due leoni. L’arco è decorato con motivi animali e vegetali, con sculture di santi e raffigurazioni dei mesi (sui lati). Nella lunetta è scolpito S. Zeno e (alla base) alcuni miracoli del santo; queste sculture conservano ancora ampie tracce di una antica policromia. Il portale della basilica è un esempio fondamentale di scultura romanica; ogni battente ligneo è decorato da 24 formelle di bronzo, a rilievo. A sinistra ci sono le Storie del Nuovo Testamento e un mascherone, a destra 18 Storie dell’Antico Testamento, 4 Storie di S. Zeno, un S. Michele e un altro mascherone. Altre formelle, più piccole, ricoprono gli stipiti interni dei battenti e presentano figure di re incoronati, virtù, santi e uno scultore al lavoro. Ai lati del protiro si trovano rilievi in pietra: a sinistra le Storie della Genesi del maestro Guglielmo (XII sec.) e la raffigurazione della leggenda Teodorico attirato all’inferno, di artista ignoto; a destra Scene di vita di Gesù del maestro Nicolò e raffigurazioni di duelli fra guerrieri, anche queste di autore ignoto. Le pareti laterali della basilica e l’abside presentano il tipico rivestimento veronese di fasce alternate di tufo e cotto.
    L’interno è a croce latina a 3 navate, divise da pilastri cruciformi, alternati a colonne con capitelli a motivi zoomorfi e capitelli corinzi provenienti da edifici romani. Il soffitto ligneo carenato è della fine del ‘300. La chiesa è ricca di opere d’arte: vi si trovano opere pittoriche dal XIII al XVI sec. e opere scultoree del XII, XIII e XIV sec. Da ricordare: la croce stazionale della metà del ‘300, attribuita a Lorenzo Veneziano; il battistero ottagonale di marmo, del XIII sec., attribuito a Brioloto; la coppa di porfido (oltre 2 metri di diametro) che doveva appartenere ad un edificio termale della Verona romana; la pala Madonna e santi di Francesco Torbido; l’enorme affresco S. Cristoforo, uno dei più antichi (risale alla fine del XIII sec.); all’altare maggiore, il sarcofago dei SS. Lupicino, Lucillo e Crescenziano (vescovi veronesi), con decorazioni scultoree raffiguranti scene del Vangelo, di un maestro anonimo del XII sec.; il dipinto della Crocifissione della scuola di Altichiero (fine ‘300); la statua in marmo rosso di San Zen che ride, di autore veronese del XIII sec. (reca ampie tracce della colorazione originaria).
    L’opera più importante conservata in S. Zeno è il trittico di Andrea Mantegna (1457-1459), capolavoro della pittura rinascimentale dell’Italia Settentrionale. Il trittico ha come soggetto la Madonna con Bambino e santi; portato via dai francesi nel 1797, fu recuperato più tardi, ad eccezione dei dipinti della predella (quelli attuali sono copie di Paolo Veronese).
    La cripta è del XIII sec., presenta 7 arcate con fregi di Adamino da S. Giorgio (artista locale) appoggiate su capitelli e archivolti scolpiti, della prima metà del XII sec. Le pareti sono affrescate con dipinti del XIII e XIV sec.; una cancellata del ‘400 chiude l’abside, in cui è conservato il sarcofago con le reliquie di S. Zeno.
    Sul lato destro della chiesa e non appoggiato a questa, il campanile si innalza per 72 metri. Iniziato nel 1045, ma restaurato già nel 1120 (dopo il terremoto del 1117), è stato ultimato nel 1173. Al di sopra della zoccolatura presenta la caratteristica bicromia dovuta all’utilizzo di fasce alternate di tufo e cotto. È diviso in piani da cornici ad archetti di tufo ed è coronato da un doppio ordine di trifore e da una cuspide con 4 pinnacoli angolari. Sui fianchi sono inserite decorazioni scultore romane.
    Accanto alla basilica, fin dall’età carolingia, era presente un monastero benedettino, che divenne molto presto un centro catalizzatore molto forte, tanto da far sviluppare, nei pressi, una piccola città (il cosiddetto borgo S. Zeno). A partire dal X sec., presso il monastero soggiornarono abitualmente gli imperatori del Sacro Romano Impero, quando dovevano trattenersi a Verona. Il monastero (diventata abbazia) fu soppresso nel 1770 (dopo una lunga fase di decadenza, iniziata con gli Scaligeri) e in epoca napoleonica fu progressivamente demolito perché utilizzato come cava per materiale edilizio di reimpiego. Dell’antica abbazia rimangono solo il torrione e il chiostro.
    Il chiostro sul fianco sinistro della basilica fu costruito a cavallo fra il ‘200 e il ‘300; si tratta di un ampio quadrilatero romanico-gotico, con colonnine binate e capitelli a foglie uncinate. Uno dei muri (con filari in cotto a pietra alternati) è probabilmente altomedievale. Sotto il portico sono presenti numerosi frammenti pittorici e scultorei e varie sepolture (fra cui quella dell’abate Giuseppe della Scala, citato da Dante nel suo Purgatorio).
    Il torrione che si eleva sul lato sinistro della piazza è una costruzione in cotto, coronata da merlatura ghibellina. È stato eretto probabilmente in due momenti successivi, tra il XII e il XIII sec. All’interno sono conservati l’affresco "Omaggio dei popoli al potere imperiale", del XIII sec. e frammenti di decorazioni trecentesche.

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    CHIESA DI SAN PROCOLO



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    È dedicata al quarto vescovo di Verona (310-330 d.C.). Di fondazione paleocristiana (V o VI sec. d.C.), costruita all’interno di una vasta necropoli romana e cristiana, è stata riedificata nel XII sec e ristrutturata internamente nel XVI sec. Un restauro del 1985-88 ha portato alla luce varie testimonianze archeologiche.
    La facciata a capanna presenta 2 bifore, un protiro pensile (il cui arco è decorato da affreschi del XIV sec.) e un finestrone ottagonale del XVIII sec.
    All’interno sono conservate opere di Antonio Badile e Giambettino Cignaroli. Dalla scalinata centrale si scende alla cripta di cui la chiesa fu dotata fin dalla prima metà del XI sec. A metà scalinata si possono osservare i resti della chiesa paleocristiana e della necropoli (tombe e lastre calcaree, fondamenta in ciottoli fluviali e malta, un sarcofago romano in piombo, un’iscrizione e un fregio romani). La cripta è a tre navate, appoggiate su 6 colonne e su 12 lesene addossate ai muri perimetrali, coronate da capitelli di reimpiego, di varie epoche. I più antichi, del VIII sec., sono rielaborazioni del capitello corinzio; gli altri, del IX e X sec., presentano elementi decorativi geometrici, zoomorfi e vegetali. Il recente restauro ha portato alla luce elementi decorativi murari e sono emersi affreschi del XII, XIII, e XIV sec.

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    da: comune.verona.it
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    Arco dei Gavi

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    Costruito dai romani agli inizi del primo secolo dopo Cristo, l'arco dei Gavi è un raro esempio di arco onorario dedicato a privati cittadini: un ARCO QUADRIFRONTE a pianta rettangolare allungata, realizzato impiegando blocchi di pietra bianca disposti in filari.

    Ha una struttura con due fronti principali e due secondari. Sui fronti principali vi sono quattro colonne corinzie; le due mediane inquadrano l'apertura mentre quelle angolari delimitano i fianchi del monumento. Negli spazi tra le colonne mediane e quelle angolari sono presenti delle nicchie che un tempo ospitavano le statue dei personaggi onorati: Massimo, Stabone, Lucio, Macro e Vibio. Sebbene la sua forma ricordi quella degli archi di trionfo, esso è un arco celebrativo che fu costruito per onorare alcuni componenti della FAMIGLIA GAVIA, che in virtù di particolari meriti ottenne il permesso di farlo edificare a proprie spese sul suolo pubblico.

    Per la sua ubicazione fu scelta una posizione molto prestigiosa, nella quale si concludeva la via Postumia al suo ingresso in città (era questa una importante strada che in epoca romana congiungeva Genova con il Mare Adriatico, di cui ancor oggi un tratto è visibile alla base dell’arco stesso). Perduta nei secoli la sua funzione celebrativa, in epoca comunale divenne una delle porte di accesso a Verona, inserita entro le mura comunali con il nome di Nuova Porta di San Zeno. Inizialmente l'Arco dei Gavi aveva una POSIZIONE DIVERSA da quella attuale. Esso infatti era posto di fronte alla torre dell’orologio di Castelvecchio, lungo l’attuale corso Cavour sul cui selciato sono ancora oggi ben visibili le originarie posizioni dei pilastri.

    Venne smontato in un giorno, il 29 agosto 1805, dalle truppe di occupazione napoleoniche che ritenevano potesse ostacolasse il TRANSITO dei CARRI MILITARI. Custodito amorevolmente dai veronesi fu ricomposto nel 1932 nell’attuale ubicazione, una piazzetta circondata da alberi sulla destra del medioevale maniero di Castelvecchio. La suggestiva, ma erronea identificazione del suo realizzatore con il celebre architetto romano Vitruvio Pollione, teorico dell'architettura dell'età augustea, ne accrebbe la fama e durante il rinascimento fu studiato da numerosi artisti, tra cui Bellini, Mantegna, Palladio, Serlio, Sanmicheli e Falconetto. Il vero realizzatore, il cui nome è presente sul pilastro sinistro del prospetto rivolto verso il fiume è in realtà Lucio Vitruvio Cerdone, un attento allievo del famoso architetto imperiale.


    da: verona.net/it





    CHIESA DI S. LORENZO

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    Chiesa romanica dell’inizio del XII sec., fu costruita sul luogo di una precedente basilica paleocristiana (frammenti di decorazioni nel cortile d’accesso). Subì pesanti interventi di restauro nel 1877 e nel secondo dopoguerra.
    L’edificio presenta il tipico paramento delle costruzioni romaniche veronesi, a fasce alternate di tufo giallo-ocra e mattoni rossi, con alcuni filari di ciottoli disposti a spina di pesce. La facciata è compresa fra due insolite torri scalari cilindriche, attraverso le quali si aveva accesso ai matronei. Il protiro pensile e il campanile (ricostruito in epoca recente) risalgono alla seconda metà del XV sec.
    L’interno è a tre navate; sopra quelle laterali si trovano i matronei, con logge che si affacciano sulla navata centrale.
    Sull’altare maggiore è posto il dipinto Madonna con Bambino che appare ai santi di Domenico Brusasorci (1566). Notevoli i frammenti di affreschi del XIII e XIV sec. raffiguranti angeli e santi e, nella cappella della navata sinistra, il David di Nicolò Giolfino.


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    L’ingresso per visite turistiche è a pagamento. È possibile acquistare il biglietto per la visita alla singola chiesa o un biglietto cumulativo per le cinque chiese di S. Zeno Maggiore, S. Anastasia, S. Lorenzo, S. Fermo Maggiore e il Duomo (Cattedrale di S. Maria Matricolare).








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    CHIESA DEI SS. APOSTOLI E SACELLO DELLE SS. TEUTERIA E TOSCA

    La chiesa dei SS. Apostoli è di fondazione paleocristiana, ma fu ricostruita nella prima metà del XII sec., più volte rimaneggiata fino al XVIII sec. e infine ricostruita dopo l’ultima guerra.
    Della costruzione romanica rimangono i muri esterni, le absidi e il campanile.
    L’interno, totalmente rimaneggiato, è stato ridotto da tre ad una navata nel ‘500. Vi sono conservate la pala S. Agostino in meditazione di Alessandro Turchi (l’Orbetto) e il dipinto Adorazione dei Magi di Felice Brusasorci.
    Dalla sagrestia (affreschi del XII e XIII sec.) si accede alla chiesetta seminterrata di SS. Teuteria e Tosca.
    La leggenda narra che Tosca, sorella di S. Procolo, si era ritirata in preghiera e meditazione in un luogo solitario di Verona. Qui fu raggiunta da Teuteria, figlia del re d’Inghilterra, che sfuggiva alle insidie di Osvaldo, pretendente indesiderato; per difendersi dai sicari dell’uomo, le due donne si rifugiarono in una grotta, la cui imboccatura venne chiusa, per miracolo, da spesse ragnatele, mettendo le due vergini al sicuro. Le due vissero insieme per il resto della vita e morirono nel 263 (Osvaldo, nel frattempo, grazie alle preghiere di Teuteria si era convertito e fu poi fatto santo). Il culto di Teuteria risale all’alto Medioevo, mentre quello di Tosca appare nel XII sec., ma nessuna delle due ebbe una particolare officiatura.
    La chiesa venne consacrata nel 751, ma un edificio preesistente è attestato fin dal V sec. Nel 1160 fu riconsacrata quando vennero trovati i presunti corpi delle due sante, poi posti in un’arca di marmo. La chiesa ha subito pesanti modifiche nel XIV, XVI e XVIII sec. L’edificio a croce greca con la parte centrale sopraelevata, assunse una pianta pressoché quadrata quando nel XIV sec., divenuta cappella sepolcrale della famiglia Bevilacqua, i muri vennero prolungati per dare giusta collocazione alle tombe; più tardi vennero anche rinnovate le pavimentazioni, l’altare maggiore e le finestre sui muri (ora in parte originali a strombatura, in parte quelle ogivali del ‘700).
    I restauri del 1913 ripristinarono parte delle strutture originarie. In questa stessa occasione, la riesumazione dei corpi delle sante portò alla luce i resti di due individui di sesso diverso; ciò, insieme al rinvenimento di mosaici pavimentali romani del IV sec. (disegni geometrici a tessere di marmo rosso, giallo, bianco e nero), di monete del III e IV sec e di altri resti di corpi umani, ha portato a formulare l’ipotesi che l’edificio precedente la costruzione della chiesa fosse, in origine, una tomba romana (in tutta la zona sorgevano, fra l’altro numerose costruzioni sepolcrali).
    All’interno della chiesa , sopra l’altare settecentesco, si trova l’arca di SS. Teuteria e Tosca. La cassa in marmo rosso è del XII sec., mentre le sculture in marmo grigio inserite nella parte frontale sono state aggiunte nel XV sec. A destra dell’altare si trova la tomba di Francesco Bevilacqua, consigliere di Cangrande II, il primo della famiglia ad esser sepolto qui nel 1368. Non si conosce l’autore di quest’arca di marmo trecentesca, anche se sono evidenti influenze lombarde. Di fronte è posta l’arca in marmo bianco dedicata a tre fratelli Bevilacqua, del XVI sec. L’urna, a forma di cassapanca cinquecentesca, riporta le figure scolpite delle tre virtù teologali. In un angolo della chiesa si trova la grande vasca battesimale, in un unico blocco marmoreo, del XIII sec.; di dimensioni notevoli, atte all’antico uso del battesimo per immersione, la tradizione vuole che in questa fonte sia stata battezzata Beata Maddalena di Canossa.


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    PORTA BORSARI


    Il nome ha origine bassomedievale e deriva dai bursarii che qui, all’epoca, riscuotevano i dazi vescovili. In epoca romana era chiamata Porta Iovia, nome che le veniva dalla presenza di un tempio dedicato a Giove, posto appena fuori della porta (i cui resti sono visibili nei giardini del Cimitero Monumentale). Aperta probabilmente nel I sec. a.C. sulla via Postumia (che nel tratto urbano costituiva il decumano massimo) e rinnovata nel I sec. d.C., era l’ingresso principale della città e la sua funzione di rappresentanza era sottolineata da ricche decorazioni ornamentali.
    Porta Borsari era un edificio con corte centrale e doppi passaggi nelle facciate. Di tale costruzione resta solo la facciata esterna in calcare bianco locale, con due fornici inquadrati da edicole e sormontati da due ordini di finestre, sei delle quali incorniciate da fini decorazioni. Sull’architrave sopra i fornici l’imperatore Gallieno fece incidere un’iscrizione che ricordasse la ricostruzione nel 265 d.C. della cinta muraria urbana (in realtà il suo fu un intervento di ripristino e ampliamento, non di ricostruzione).




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    PIAZZA DELLE ERBE

    La piazza ricalca l’impianto dell’antico Foro Romano e per secoli è stata il centro della vita politica ed economica della città. La zona centrale (il cosiddetto "toloneo") è ancor oggi animata da un colorato mercato. Tra le bancarelle con ombrelloni bianchi si ergono colonne e monumenti. Provenendo da Corso Mazzini, si trovano: la colonna del mercato (1401), sormontata da un’edicola gotica (nelle cui nicchie sono scolpite figure a soggetto religioso aggiunte nel 1930) e voluta da Gian Galeazzo Visconti per esporre le insegne della sua signoria, reca su gradini e pilastri misure commerciali veronesi; la cinquecentesca berlina o capitello, baldacchino in marmo a pianta quadrata, sotto cui sedevano i podestà alla cerimonia d’insediamento;

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    la fontana di Madonna Verona (fatta erigere nel 1368 da Cansignorio) che presenta vasca e stelo ornati da teste in rilievo e figure simboliche (opera forse di Bonino da Campione) ed è sormontata dalla figura di Madonna Verona, statua romana del I sec. d.C. (le cui parti mancanti di testa e braccia furono fatte completare da Cansignorio al momento della realizzazione della fontana);



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    la colonna di San Marco del 1523, in marmo bianco, sulla cui sommità fu issato il leone simbolo della Repubblica di Venezia (distrutto dai francesi, l’attuale è del 1886).
    La piazza è incorniciata da palazzi ed edifici che hanno segnato la storia di Verona. Sempre provenendo da Corso Mazzini, all’angolo sud-est della piazza si può osservare una serie di edifici che conservano ancora le linee strutturali delle case-torri d’età comunale, residuo dell’antico ghetto.

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    Segue poi la DOMUS MERCATORUM (Casa dei Mercanti) fatta costruire nel 1301 da Alberto I della Scala; il palazzo presenta un portico retto da colonne e pilastri, ampie bifore e merlatura; nell’800 una ristrutturazione ne alterò le originarie forme romaniche e l’edificio divenne sede della Camera di Commercio.

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    Seguono una serie di case rinascimentali su cui s’innalza la TORRE DEL GARDELLO, merlata e in mattoni, fatta erigere da Cansignorio nel 1370 per collocarvi il più antico orologio a campana di Verona.


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    Di fianco alla Torre si trova PALAZZO MAFFEI: imponente edificio del 1668 in forme tardo-barocche, è dotato di terrazza (in origine con giardino pensile) con balaustra ornata da 6 statue di divinità pagane (Ercole, Giove, Venere, Mercurio, Apollo e Minerva).

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    Alla destra della piazza si trovano le cinquecentesche CASE DEI MAZZANTI (un tempo Domus Blandorum scaligera che, nel XIV, al pianoterra, ospitava botteghe e abitazioni private, mentre il piano superiore era adibito a granaio), unite da portico;

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    le facciate sulla piazza e su Corso S. Anastasia sono state riccamente affrescate da Alberto Cavalli nella prima metà del ‘500.

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    L’ultimo tratto della piazza presenta il retro della Domus Nova

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    e il prospetto laterale neoclassico del Palazzo del Comune (o della Ragione), in mezzo ai quali è appoggiato l’arco della Costa (così chiamato per la presenza, dalla metà del ‘700, di una costola di balena che pende dalla volta)



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    da cui ci si immette in Piazza dei Signori. Sulle due piazze svetta la Torre dei Lamberti (ingresso dal cortile del Palazzo del Comune).

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    PIAZZA DEI SIGNORI


    Originata dallo sviluppo dei palazzi in cui si decideva la vita politica e amministrativa, soprattutto del periodo scaligero, la piazza è circondata da edifici monumentali collegati fra loro da portici e arcate, quasi a creare una specie di corte interna. Al centro della piazza di trova il monumento a Dante (1865), statua di 3 metri in marmo bianco di Carrara, eretta in occasione delle celebrazioni del sesto centenario della nascita del poeta, che presso la corte di Cangrande trovò il suo primo rifugio dopo l’esilio da Firenze.


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    Entrando dall’arco della Costa, partendo dal lato destro della piazza, si possono osservare:
    - il PALAZZO DEL COMUNE o DELLA RAGIONE, costruito alla fine del XII sec. Fu sede del Comune, della Pretura e della Corte d’Assise (1875). Durante il dominio veneziano fu sede del Tribunale, delle carceri e del Collegio dei Notai, di uffici e depositi commerciali, del granaio pubblico e altro ancora. L’ala del palazzo su Piazza delle Erbe passò a proprietari privati che ne adibirono i vani ad abitazioni e attività commerciali. Varie sono state le manomissioni subite dall’edificio durante i secoli, fino al restauro e alla riqualificazione operati nell’800, con cui si tentò di recuperare le strutture originarie (intenzione non sempre riuscita; l’intervento operato da Giuseppe Barbieri sulla facciata su Piazza delle Erbe, cancellò definitivamente le tracce della muraglia in cotto e tufo). Il palazzo ha pianta quadrata e in origine presentava 4 torri angolari (ne restano solo due, delle altre sono presenti tracce nelle strutture interne del palazzo). La struttura romanica è ancora riconoscibile (facciata di cotto e tufo alternati, con trifore e coronamento ad archetti) nonostante la parziale copertura rinascimentale del 1524. All’interno è ben conservato il cortile del Mercato Vecchio, cinto da un portico su pilastri, sormontato da trifore romaniche, con paramento a bande rosse e bianche alternate. Sulla destra del cortile è appoggiata la scala della Ragione, gioiello tardogotico del XV sec.;



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    - una delle torri superstiti del Palazzo del Comune è la TORRE DEI LAMBERTI, unica torre privata di Verona, eretta dalla famiglia dei Lamberti (di cui non si conosce praticamente nulla) nel 1172, in tufo e cotto. Nel 1448-64 vennero operati lavori di restauro e di ulteriore innalzamento della costruzione, che raggiunse gli attuali 84 metri. Alla fine del ‘700 le fu applicato un grande orologio. Nel 1295 vi furono collocate due campane: la Marangona suonava l’ora della fine del lavoro per gli artigiani e dava l’allarme in caso d’incendi, mentre il Rengo radunava il consiglio comunale richiamava i cittadini alle armi in caso di pericolo per la città. La Torre è accessibile dal cortile del Palazzo del Comune; dalla sommità (raggiungibile con le scale e con l’ascensore) si gode uno spettacolare panorama del centro storico cittadino;


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    - il PALAZZO DEL CAPITANIO o DEL TRIBUNALE (o ancora, di Cansignorio), residenza scaligera già dal XIII sec. e ricostruito da Cansignorio nella seconda metà del XIV sec.; la costruzione (nata, in realtà, su un complesso di edifici di epoche e con destinazioni d’uso diverse, di cui reca ancora le tracce) fu ristrutturata alla fine dell’800 per accogliere gli uffici giudiziari. Il palazzo presenta un massiccio torrione scaligero, un bel portale di Michele Sanmicheli, un cortile centrale del XV sec., chiuso e delimitato da una loggia a tre ordini con portico; da ricordare anche la porta dei Bombardieri, del XVII sec.;


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    - il PALAZZO DEL GOVERNO o DELLA PREFETTURA (o anche, di Cangrande) fu costruito all’inizio del XIV sec., ma venne più volte rimaneggiato; l’ultimo restauro del 1929-30 ha tentato di restituirgli (attraverso abbattimenti di parti di epoche diverse, il ripristino della merlatura e l’inserimento di elementi architettonici consoni) le strutture medievali, di cui rimanevano significativi esempi nel cortile. Anche questo palazzo è in realtà un complesso di diversi fabbricati, sviluppato intorno a una corte interna rettangolare, con loggia a due ordini con portico, edificata nel XIV sec. da Cansignorio; le pareti delle stanze della loggia erano completamente coperte dai dipinti di Jacopo Avanzi e Altichiero (i due massimi pittori veronesi del ‘300). Dei gruppi di affreschi dei due autori è stato trovato solo il Partimento di Medaglie dell’Altichiero, staccato nel 1967, restaurato e ora conservato presso il Museo degli Affreschi. Nel 1533 il podestà veneziano (che qui aveva la sua sede) commissionò a Michele Sanmicheli il portale dell’ingresso sulla Piazza, fatto a somiglianza dell’Arco dei Gavi. Centro fondamentale della cultura trecentesca a Verona, grazie al mecenatismo della famiglia della Scala, vi furono ospiti Dante e Giotto.


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    - la LOGGIA DEL CONSIGLIO (o Loggia di Fra’ Giocondo, per un’erronea attribuzione al celebre architetto veronese) fu eretta nel 1476-93 per volere dei maggiorenti del Comune di Verona, come sede delle riunioni del Consiglio cittadino (in realtà istituzione formale, perché il dominio veneziano impediva ogni forma reale d’autonomia). Nell’800 la Loggia fu provvisoriamente adibita a pinacoteca civica e, per adattarla meglio a tale funzione, subì pesanti rifacimenti nel 1820-38 e nel 1870-74 che alterarono gli interni (pavimenti, soffitti e decorazioni pittoriche vennero rifatti), mentre l’edificio veniva riempito di medaglioni e busti celebrativi di personaggi veronesi (la protomoteca, istituita nel 1810 e costituita da 110 immagini scolpite, ora conservate presso la Biblioteca Civica). La facciata è opera di artisti umanisti veronesi, mentre la decorazione pittorica che ne ricopriva l’intera superficie (quella attuale è frutto dell’intervento del 1870) è di maestri comacini. Presenta un portico a otto arcate a tutto sesto, mentre sul piano nobile si aprono quattro ampie bifore (frontoni e paraste scolpite). Sulla sommità del palazzo si trovano le statue di illustri personaggi della Verona romana (Catullo, Plinio, Emilio Macro, Vitruvio, e Cornelio Nepote), di Alberto da Milano. All’interno delle sale della Loggia sono conservati alcuni dipinti commissionati dal Consiglio nel XVI sec.; altre tele del ‘500 e ‘600 furono trasferite a Palazzo Barbieri o andarono distrutte. Della metà del ‘700 è invece il dipinto Pomponio Trionfatore di Giambettino Cignaroli. La Loggia del Consiglio attualmente è sede delle riunioni del Consiglio provinciale e di manifestazioni culturali.
    Sull’arco che unisce la Loggia alla Casa della Pietà (ricostruita nel 1490 su residenze di origine scaligera) si trova la statua di Girolamo Fracastoro (grande medico, poeta e astronomo veronese) scolpita nel 1559 da Danese Cattaneo.


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    - la DOMUS NOVA o PALAZZO DEI GIUDICI, chiude infine la piazza. Citata nei documenti già nella metà del XII sec., fu sede prima del podestà e dei Consigli minori, poi (dal XV sec.) abitazione dei giudici veneziani. Gran parte del palazzo crollò nel 1511, ma venne ricostruito solo più di un secolo dopo.




    ARCHE SCALIGERE



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    Presso la chiesa di S. Maria Antica, in una piazzola quasi appendice di Piazza dei Signori, si possono ammirare le tombe monumentali degli Scaligeri, insigni monumenti dell’arte gotica. In uno splendido recinto di ferro battuto, con ricche decorazioni su cui spicca il motivo della scala (simbolo dei signori) sono racchiusi diversi sarcofagi posti a terra o su mensole (il primo ad essere sepolto qui sembra sia stato Mastino I nel 1277), ma soprattutto le tre monumentali tombe marmoree a baldacchino di Cangrande I, di Mastino II e di Cansignorio. Alle tre arche maggiori, sormontate da cuspidi, recanti la statua equestre del defunto e circondate da numerosi elementi decorativi, hanno lavorato numerosi artisti, soprattutto lapidici veneti, lombardi e toscani.

    L’arca di Cangrande I, pensile, posta sopra il portale della chiesa, è la prima delle tombe monumentali ad essere costruita, opera del Maestro di S. Anastasia. Il sarcofago è sostenuto da cani che recano gli stemmi scaligeri ed è protetto da un tabernacolo gotico; sul coperchio vi si trova la statua distesa di Cangrande I, mentre sulle facce si possono osservare degli altorilievi di soggetto religioso e dei bassorilievi che narrano le gesta militare del signore; sulla sommità del baldacchino è collocata la statua equestre di Cangrande I, copia dell’originale più volte restaurato e ora conservato al Museo di Castelvecchio insieme al corredo funerario, recuperato quando l’arca è stata aperta nel 1921.


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    L’arca di Mastino II, iniziata nel 1345, prima della morte del committente, era originariamente dipinta e dorata. È cinta da una cancellata ai cui angoli si trovano quattro statue delle Virtù. Le facce dell’urna presentano decorazioni scultoree con motivi religiosi e, sul coperchio, la statua di Mastino II distesa, vegliata da angeli. Il ricco baldacchino ad archi trilobati, presenta sul frontone preziosi altorilievi con scene di storia sacra. Sulla cuspide la statua equestre di Mastino II, completamente chiusa nell’armatura e in rigida posizione di comando.


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    L’arca di Cansignorio (1375) è la più ricca di decorazioni, forse fin troppo elaborata. Concepita su disegno di Bonino da Campione, le sculture sono state realizzate da questo artista e da altre maestranze campionesi e locali. A base esagonale, è cinta da una cancellata adorna di 6 statue di santi guerrieri; 6 colonne reggono il piano di marmo rosso su cui è appoggiato il sarcofago decorato con bassorilievi con storie tratte dai Vangeli (alcune di queste decorazioni recano tracce di originarie colorazioni). Anche il baldacchino ad archi polilobati si alza su 6 colonnine tortili, riccamente decorate. Nei timpani sono scolpite statue raffiguranti le Virtù; tra i timpani, in piccoli tabernacoli laterali, sono collocate statue di angeli che reggono lo scudo degli Scaligeri. La cuspide esagonale termina con un plinto con sculture di Apostoli, sopra cui si innalza la grande statua equestre di Cansignorio.

    Tra le altre sepolture scaligere presenti nell’area, sono da ricordare il sarcofago di Alberto I (1301), riccamente scolpito e l’arca pensile di Giovanni della Scala (1359), opera di Andriolo de’ Santi precedentemente posta presso la chiesa di S. Fermo Maggiore.


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    ARCHE SCALIGERE
    Via Arche Scaligere
    Visitabili esternamente tutto l’anno. Da giugno a settembre è possibile visitare l’area interna al recinto, acquistando, presso la Torre dei Lamberti, un biglietto cumulabile per l’ingresso sia alle Arche che alla Torre.




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    S. MARIA ANTICA

    Nota per aver custodito le tombe della famiglia della Scala, la chiesa longobarda risale alla metà dell’VIII sec., ma venne pesantemente danneggiata dal terremoto del 1117 e ricostruita in forme romaniche (1185). Durante i secoli subì pesanti rimaneggiamenti e nella seconda metà del XIX sec. venne realizzato un restauro che intendeva ripristinare le originarie strutture, vicine, per tipologia, a quelle della chiesa inferiore di S. Fermo Maggiore.
    L’interno della chiesa è a 3 navate concluse da altrettante piccole absidi, senza transetto. Nell’abside sinistra è stato rinvenuto un ampio frammento di mosaico pavimentale con decorazione nera su sfondo bianco; i motivi rappresentati rendono il mosaico databile intorno al VIII sec. (farebbe dunque parte della pavimentazione originaria).



    CASA DI GIULIETTA



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    L’edificio, risalente al XIII sec., fu a lungo proprietà della famiglia Cappello, il cui stemma è scolpito sull’arco interno del cortile. L’identificazione dei Cappello con i Capuleti ha dato origine alla convinzione che lì sorgesse la casa di Giulietta, eroina della tragedia di Shakespeare (in realtà mai esistita). L’aspetto attuale dell’edificio deriva dal radicale restauro operato all’inizio del XX sec., tesi a costruire l’immagine di una dimora medievale ideale (di quella originale, soprattutto degli interni, non era rimasto quasi nulla).
    L’edificio presenta una bella facciata interna in mattoni a vista, un portale in stile gotico, finestre trilobate, una balaustra che mette in comunicazione dall’esterno i vari corpi della casa e, ovviamente, il famoso balcone.
    All’interno sono esposti arredi del XVI-XVII sec., affreschi relativi alle vicende di Romeo e Giulietta e ceramiche rinascimentali veronesi. Le sale dell’ultimo piano sono coperte da un soffitto ligneo trilobato, con cassettoni dipinti d’azzurro e stelle dorate.
    Nel cortile è collocata la statua in bronzo di Giulietta, di Nereo Costantini.

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    PORTA DEI LEONI

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    Posta sul cardo massimo della città romana, è chiamata con questo nome dal XV sec., per la presenza nelle vicinanze di un sarcofago romano in pietra con due leoni (ora posto dietro al monumento di Umberto I).
    La porta era alta 13 metri (quanto le mura cittadine), aveva pianta quadrata e una corte interna, doppi fornici sulle facciate e gallerie nei piani superiori. Gli angoli del fronte esterno erano fiancheggiati da due torri poligonali di raccordo alle mura. Sulle torri e sulle gallerie si aprivano numerose finestre.
    Nel I sec. a.C. venne costruita in tufo e mattoni; più tardi, nel I sec. d.C. alle facciate di mattoni vennero addossati prospetti in pietra bianca locale, che rispecchiavano le strutture architettoniche precedenti, ma presentavano decorazioni più ricche.
    Ciò che rimane della Porta dei Leoni è murato in un palazzo del XIII sec. (più volte rimaneggiato). Si tratta di metà della facciata interna della porta d’età repubblicana, con il successivo prospetto in pietra: un unico fornice inquadrato da un’edicola, sormontato da finestre centinate e riquadrate e, più in alto, da ciò che rimane di un’esedra (forse all’epoca adorna di statue) affiancata da colonnine tortili.
    Sotto Via Leoni sono venuti alla luce altri resti del monumento: parte del muro laterale (con l’attacco alle mura cittadine), frammenti della pavimentazione della corte interna e i basamenti delle grandi torri (uno lasciato a cielo aperto, l’altro conservato nelle cantine di un edificio nei pressi).





    S. FERMO MAGGIORE


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    La basilica, una delle costruzioni religiose più significative di Verona, è composta da due edifici sovrapposti, ma connessi. La chiesa inferiore fu eretta dai Benedettini tra il 1065 e il 1143, sui resti di un antico sacello dedicato ai SS. Fermo e Rustico; la chiesa superiore, coeva a quella inferiore, fu riedificata in stile gotico nel XIV sec., ad opera dei Francescani che erano subentrati ai monaci precedenti nel 1260.
    La facciata gotica (ultimata nel 1350 circa) è divisa in due da una galleria d’archetti in parte cieca. La parte inferiore è in tufo e appartiene all’antica chiesa romanica; quella superiore presenta un rivestimento murario a fasce alternate di tufo e cotto, su cui si aprono quattro strette e alte monofore trilobate, sormontate da una trifora tra due loculi. Il portale romanico alla sommità della scalinata ha profonda strombatura a cordoni multipli; nella lunetta è collocata una statua di S. Francesco, del XV sec. La porta bronzea di Luciano Minguzzi è moderna (1984-88). Il bel portale laterale ad arco acuto e marmi policromi (1363) è decorato da sculture del XIV e XV sec. ed è preceduto da un ampio protiro del XV sec. Spettacolare è il complesso absidale, affacciato su un giardinetto nei pressi dell’Adige. Le due absidi laterali semicircolari, ornate da esili lesene, sono romaniche; l’abside centrale poligonale si innalza su base romanica, ma presenta forme gotiche, con contrafforti coronati da guglie e frontoni. Il massiccio campanile a cuspide, del XIII sec., presenta una cella campanaria con trifore e capitelli romanici.

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    L’interno della chiesa superiore è ad un’unica ampia navata a croce latina, con altari laterali e cinque absidi ed è coperto da un prezioso soffitto ligneo carenato del 1314. Le pareti e le cappelle sono ornate da numerosissimi elementi decorativi. Notevole il ricco pulpito della fine del ‘300, in marmi policromi con cuspide in legno dipinto. Numerose sono le opere pittoriche che vanno dal XIII sec. al XVII sec.; tra le altre: il frammento dell’affresco con angeli musicanti di Stefano da Zevio, vari dipinti di Domenico Brusasorci, la pala Maria e i santi di Giovan Francesco Caroto, l’affresco della Crocifissione attribuito a Turone, ma anche le opere di Francesco Torbido, di Battista del Moro, di Lorenzo Veneziano, di Liberale da Verona e di Alessandro Turchi (l’Orbetto). Le opere scultoree che arricchiscono l’interno appartengono ai secoli XIII-XVI. Sono presenti alcune sculture giovanili di Michele Sanmicheli e un altare che riprende la struttura dell’arco trionfale, sempre dello stesso autore. Ma l’opera più spettacolare è il monumento Brenzoni (1427-39) capolavoro di scultura e pittura tardogotica. Il sarcofago è sospeso sulla parete tramite un supporto di finte rocce ed è circondato da statue raffiguranti la Resurrezione di Cristo di Nanni di Bartolo. Sullo sfondo del monumento, il dipinto dell’Annunciazione di Pisanello, sopra cui si trovano gli affreschi di S. Michele e S. Raffaele, sempre di Pisanello.
    Dal transetto, si passa al chiostro romanico (con frammenti scultorei di varie epoche), da cui si accede alla chiesa inferiore, edificio romanico a croce latina con 3 navate, sostenute da numerosi pilastri (con capitelli medievali); alle pareti e sui pilastri, interessanti affreschi del XI-XIII sec. (altri, staccati, sono conservati al Museo di Castelvecchio).






    da: comune.verona.it
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    Teatro Romano (fine I sec. a.C.)

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    Il complesso teatrale è costituito da edifici di epoche diverse, inseriti in un suggestivo ambiente naturale collinare. In origine si estendeva, con terrazzamenti successivi, dalla riva dell’Adige alla sommità del colle ed era coronato da un tempio (non si è riusciti ad identificare la divinità alla quale era dedicato) i cui resti sono venuti alla luce nel 1851, quando gli austriaci cominciarono gli scavi per la ricostruzione di Castel S. Pietro.
    Il TEATRO ROMANO è rimasto sepolto per molti secoli. Costruito all’inizio del I sec. d.C. (ma il perfetto allineamento con il reticolo urbano fa risalire la progettazione del complesso al I sec. a.C.), dal X sec., sulle sue rovine furono costruiti edifici religiosi e abitazioni che col tempo celarono completamente le strutture del Teatro. Di questi edifici è rimasta, sull’ala orientale della cavea, la chiesa dei SS. Siro e Liberta che ha mantenuto parte della struttura originaria, pur subendo varie modifiche nel XIV-XVIII sec. (all’interno sono conservati dipinti del XIV sec. e il sepolcro di Giambettino Cignaroli). Nel XVIII sec., uno scavo casuale portò alla luce frammenti di marmo, facendo rinascere l’interesse per il monumento. Nel XIX sec. Andrea Monga (ricco commerciante veronese) acquistò l’intera area e intorno alla metà dell’800 vennero realizzati i primi scavi. Nel 1904 il Comune di Verona entrò in possesso dell’area e proseguì i lavori di ristrutturazione fino al completamento negli anni 70. Dal 1948 il Teatro è sede dell’Estate Teatrale Veronese, stagione estiva di rappresentazioni teatrali (con una netta predominanza di opere shakespeariane e goldoniane), cui dal 1968 si è aggiunta anche la danza. Dal 1985 è sede, sempre all’interno dell’Estate Teatrale Veronese, del festival Verona Jazz.
    Il Teatro è costituito dai resti dell’edificio scenico, dell’orchestra, della cavea, di due ordini di gallerie e di 3 terrazze di raccordo con la sommità del colle.
    L’edificio scenico (di cui oggi si conservano solo i muri portanti in tufo) in origine era alto quanto l’intera cavea ed era ornato da statue (ora conservate presso la portineria del Teatro) e da ricche decorazioni architettoniche. Sul frontescena si aprivano 3 porte e 2 parasceni d’accesso al palcoscenico (entrambi ancora conservati, quello orientale è utilizzato come ingresso del Teatro). Sotto il palcoscenico si trovava la fossa scenica di cui sono visibile elementi quadrangolari in pietra, coi fori in cui scorrevano le corde che sollevavano e abbassavano il sipario. Davanti al palcoscenico si trova il piano semicircolare dell’orchestra (nel teatro romano, spazio destinato ai seggi dei personaggi importanti della vita pubblica), con resti di pavimentazione in marmi colorati e disegni a motivi geometrici; in prossimità della cavea, è rimasto il fossato per il deflusso delle acque piovane (il Teatro era scoperto).La cavea è in calcare bianco della Valpolicella. Non era completamente appoggiata alla collina e quindi vennero costruiti dei muri radiali di sostegno, i cui resti sono ancora visibili. La cavea era isolata dal pendio del colle, da una profonda intercapedine che la proteggeva dalle infiltrazioni d’acqua e dall’umidità (uno scorcio dell’intercapedine è visibile da una delle sale del Museo Archeologico). Della cavea è stato ricostituito solo una parte del settore occidentale. Sulla sommità delle gradinate si trovano l’ambulacro coperto e i resti di una sovrastante galleria. Le due gallerie sono coronate da una loggetta ad archetti. Vi si accede attraverso una scalinata, su cui si può ammirare un arco ionico ornato da tori. La loggetta è stata ricostruita nel 1912; gli archetti, che riportano incisi i nomi delle famiglie abbienti della Verona romana, probabilmente provengono dalla fronte della galleria sottostante. Dalla loggia (con l’ascensore) si accede al Museo Archeologico. Oltre alla cavea, il complesso monumentale è completato da tre terrazze in origine lunghe 124 metri (ora inaccessibili). La prima grande terrazza, la più spaziosa, è in gran parte occupata dalle strutture dell’ex convento di S. Girolamo (sede del Museo) e conserva i resti di un ninfeo (finta grotta ornamentale) scavati nella parete di tufo all’estremità occidentale.
    A lato del complesso teatrale sono visibili i resti dell’Odeon, raccordato al Teatro. Costruito probabilmente insieme al complesso, in età romana era usato per spettacoli musicali e poetici; presentava la struttura tipica dei teatri romani, ma con dimensioni ridotte e spesso coperto. Rimangono solo alcune tracce della facciata.


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    MUSEO ARCHEOLIGICO


    Dalla loggia ricostruita del Teatro Romano si accede (con l’ascensore) al Museo, ospitato dal 1924 nell’ex convento di S. Girolamo.
    Nella SALA ESPOSITIVA presso l’ascensore sono esposte alcune sculture di marmo del I sec. d.C., mosaici del II e III sec. d.C. e, nelle vetrine, terrecotte dal periodo greco (alcune del V sec. a.C.) al periodo romano. Lungo il corridoio che congiunge la sala al refettorio sono esposti ritratti marmorei.

    Sul corridoio si aprono 3 CELLE CONVENTUALI. Nelle prime 2 sono esposti numerosi bronzetti etruschi, italici, ellenistici e romani; notevoli l’Erma femminile bifronte del II sec. d.C. e i bronzi del Sileno banchettante e della Suonatrice di crotali (raffigurati semisdraiati) della prima metà del V sec. a.C. Nell’ultima cella sono esposti oggetti dell’età imperiale romana, usati per le attività domestiche e nelle onoranze funebri: molti recipienti di vetro soffiato di vari colori, vasi di ceramica e di bronzo e lucerne in terracotta e in bronzo.
    Nel REFETTORIO (sulle pareti, resti di un affresco attribuito a Giovan Francesco Caroto) sono conservate sculture di marmo per lo più di provenienza veronese. Tra le altre, una copia romana di statua femminile greca seduta, del II sec. d.C., rinvenuta in piazza Duomo come le due notevoli figure femminili di grandi dimensioni e riccamente drappeggiate. Sul pavimento del refettorio è stato inserito un mosaico policromo della fine del III sec. d.C., rinvenuto a Verona, con motivi animali, vegetali e legati al culto dionisiaco.


    Nel CHIOSTRO sono collocate iscrizioni funerarie romane, in gran parte di provenienza veronese e databili intorno alla prima età imperiale (I-III sec. d.C.).


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    Nella CAPPELLA DI S. GIROLAMO si trovano affreschi del XV e XVI sec., fra cui un’Annunciazione di Giovan Francesco Caroto; il soffitto dell’inizio del XIV sec. è costituito da pannelli di legno dipinti a motivi vegetali, alternati a scudi e rosoni.
    In un ambiente a lato della scala che conduce alla sala inferiore, sono esposti un crocifisso ligneo del tardo XV sec. e le iscrizioni dedicate alle Matrone, divinità celtiche venerate anche nel periodo romano.
    Infine, nella SALA INFERIORE sono esposti elementi decorativi di palazzi veronesi d’età imperiale e altari e statue dedicate alle divinità romane venerate a Verona. Nel pavimento è inserito un mosaico (proveniente da una villa romana in Piazza Bra) databile fra il II e il III sec. d.C., con motivi legati al culto dionisiaco. Da un’apertura nel pavimento della sala è possibile vedere parte della grandiosa intercapedine, praticata dai Romani per isolare il Teatro dalle infiltrazioni.


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    Chiesa San Tommaso (dal XiV sec.)


    La chiesa ha avuto una storia decisamente travagliata. In epoca romana qui si trovava la necropoli principale, su cui venne eretta più tardi una chiesetta paleocristiana. Nel XI, a fianco di questa venne costruita una nuova chiesa dai Carmelitani, che nel 1316 venne dedicata a S. Tommaso Cantauriense. Le due chiese continuarono ad esistere una accanto all’altra fino a quando, nel 1484, si decise di unificare i due edifici. Il nuovo tempio fu consacrato nel 1504. Dal 1796 al 1867 le strutture religiose del complesso di S. Tommaso vennero chiuse e riaperte al culto a più riprese. Nel 1882, infine, subì anche gli effetti della disastrosa piena dell’Adige.
    La chiesa presenta caratteristiche dell’edilizia romanica e di quella neogotica. Sulla facciata in mattoni, incompiuta, si apre un portale gotico in marmo (1493) con decorazioni vegetali e statue di santi guerrieri, un rosone del 1518 e due bifore in stile gotico.
    L’interno a croce latina a navata unica fu ristrutturato intorno alla metà del XVI sec. da Michele Sanmicheli, che è sepolto qui, in una tomba in stile neoclassico (1884). Lungo le pareti sono disposte delle cappelle rinascimentali, con grandi altari barocchi. Si possono osservare, inoltre, opere di Alessandro Turchi (l’Orbetto), Antonio Balestra, Girolamo dai Libri, Felice Brusasorci, Paolo Farinati e Francesco Torbido. Da ricordare anche il grande organo barocco, su cui suonò il tredicenne Mozart.

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    Palazzo e giardino Giusti (XVI sec.)

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    Sul retro del cinquecentesco Palazzo Giusti, costruito con un classico impianto a U (in facciata frammenti di decorazione pittorica), si accede a un incantevole giardino, la cui parte più antica risulta concepita già nella seconda metà del XV sec. Nel tempo, il giardino ha subito numerose trasformazioni, fino all’ultimo restauro del 1930 che ne ha ripristinato parte dell’assetto rinascimentale.
    Aiuole, statue, scalinate e grotte artificiali sono disposte lungo il viale di cipressi che porta ai progressivi terrazzamenti. Man mano che si sale il declivio, la sistemazione architettonica della vegetazione cede il passo ad un assetto più naturale di alberi e cespugli. Di rilievo, all’interno del giardino: l’unica collezione epigrafica latina privata esistente ancora a Verona; un famoso labirinto di siepi di bosso, uno dei rari esempi in Veneto, disegnato nel 1786 su un precedente labirinto cinquecentesco; una bella statua femminile di Alessandro Vittoria, nella sezione occidentale del parterre; le serre per gli agrumi, addossate al tratto superstite delle mura comunali del XII sec., con statue di Bernardino Ridolfi (genero di Falconetto e stretto collaboratore del Palladio), cui si deve probabilmente anche il mascherone che sormonta il giardino; la grotta artificiale scavata nel tufo, con arco d’ingresso incorniciato da colonne, trabeazione e timpano (che le danno l’aspetto di un tempietto), in origine rivestita di conchiglie, coralli, madreperle e mosaici e dotata di giochi d’acqua. Dal belvedere si gode uno dei più bei panorami sulla città e si ha un bel colpo d’occhio sul giardino nella sua interezza.

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    Chiesa San Giovanni in Valle (dall'VIII sec.)

    Bel complesso romanico, di originaria fondazione altomedievale (IX sec.), fu ricostruito nel 1120 dopo il terremoto.
    La facciata in tufo, del 1300 circa, presenta un portale e un protiro pensile appoggiato a colonnine di marmo rosso, con affresco attribuito a Stefano da Zevio. Sulla destra della facciata si possono vedere le ali superstiti del chiostro (con archi a tutto sesto e colonnine binate in marmo rosso) e il campanile con la parte inferiore romanica e quella superiore del XVI sec. Notevoli sono le absidi romaniche con decorazioni scultoree a motivi vegetali e scene di caccia; si differenzia un po’ l’abside settentrionale con rivestimento a fasce alternate di tufo e cotto e lesene con capitelli corinzi (il più bello presenta leoni con le zampe appoggiate alle foglie d’acanto). Attigua alla chiesa, la canonica mostra resti della struttura del XII sec., uno dei pochi esempi di architettura civile romanica rimasti.
    L’interno della chiesa è a 3 navate, divise da pilastri alternate a colonne di marmo rosso con capitelli corinzi. La chiesa era interamente affrescata con dipinti dal XII al XV sec., di cui però rimangono solo frammenti. La cripta risale al V-VI sec. e fu costruita su un’antica necropoli precedente. Divisa in 3 navate, la parte anteriore è d’epoca post carolingia, quella posteriore, più antica, conserva due sarcofagi romani in marmo greco. Sul muro sinistro si trova il sarcofago paleocristiano, la cosiddetta arca dei SS. Simone e Giuda (seconda metà del IV sec.), scolpito con scene del Vangelo, episodi dell’Antico Testamento e, sul coperchio, le figure dei due Apostoli (aggiunte nel 1395). Sul muro di destra è appoggiato il sarcofago pagano del III sec. d.C., dedicato a una coppia di sposi raffigurati al centro di una conchiglia, sotto cui è scolpita una scena agreste. Agli angoli, due figure romane (forse filosofi) cui è stato troncato il braccio in epoca medievale, per adattarli alle figure dei SS. Pietro e Paolo. Anche gran parte della cripta era affrescata, ma i dipinti sono molto rovinati. Rimangono, mal conservati, affreschi della scuola dell’Altichiero e decorazioni pittoriche del XIV sec.

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    MUSEO AFRICANO
    (privato)

    Esposizione permanente allestita dai Padri Comboniani, è stato fondato nel 1938 con lo scopo di valorizzare le realtà culturali delle popolazioni africane presso cui vivono i missionari. Sono presenti pannelli descrittivi che ripercorrono le vicende storiche africane, una vastissima raccolta di oggetti etnografici (soprattutto strumenti musicali, giochi e suppellettili) provenienti da Egitto, Sudan, Congo, Togo, Burkina Faso e altri Stati africani e una biblioteca specializzata molto fornita. Nel 1996 una radicale ristrutturazione ha permesso di riqualificare la funzione del Museo, attraverso l’introduzione di nuove tecniche multimediali. Ora, accanto alla funzione etnografica, il Museo ha assunto il ruolo di centro di dialogo interculturale per l’educazione allo scambio con le culture e le tradizioni dei popoli dei Paesi del Sud del Mondo. Periodicamente è sede di mostre temporanee a tema.

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    Castel San Pietro (XIX sec.)

    Edificato alla fine del ‘300 (durante il breve periodo del dominio visconteo) e unito nel 1450 al sistema di mura medievali, nel 1801 le truppe napoleoniche ne cominciarono la demolizione, portata a termine dagli austriaci che vi costruirono una caserma fortificata (1854). Resti del castello visconteo e delle mura medievali sono ancora visibili. A dispetto del degrado dell’edificio, dalla terrazza antistante il castello (che sovrasta l’area archeologica del Teatro Romano, di cui era in origine l’ultimo terrazzamento) si può godere di un panorama incomparabile sulla città.

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    Chiesa Santa Maria in Organo
    (dall'VIII sec.)

    Affacciata su un canale del fiume (oggi interrato), fino all’800 la chiesa e la piazzetta antistante costituivano un angolo caratteristico della città. Anche il monastero benedettino a più chiostri, con lo xenodochio (ospizio per pellegrini) annesso, ha perso le sue caratteristiche ed è in parte adibito a sede di altre istituzioni. La chiesa fu costruita in età longobarda, ma venne distrutta e ricostruita dopo il terremoto del 1117 e poi di nuovo rifatta nelle forme attuali a partire dal 1481, dagli Olivetani.
    La facciata romanico-gotica fu rivestita da un prospetto in marmo bianco, nella parte inferiore (tre arcate, con portale del 1592) da Michele Sanmicheli. La parte superiore della facciata mantiene il rivestimento in cotto e tufo, con decorazione ad archetti. Sul fianco destro della chiesa si erge il campanile, ritenuto opera di fra’ Giovanni da Verona (monaco olivetano, molto attivo all’interno della chiesa come intarsiatore), ma terminato nel 1533.
    L’interno a croce latina a 3 navate, con transetto e presbiterio rialzati, conserva una ricca decorazione pittorica. Sono, infatti, presenti opere di Girolamo Savoldo, di Nicolò Giolfino, di Giovan Francesco e Francesco Caroto, di Domenico e Francesco Morone, di Antonio Balestra, di Paolo Farinati, di Francesco Torbido, di Girolamo Mocetto, di Paolo Cavazzola, del Guercino, di Domenico Brusasorci, di Alessandro Turchi (l’Orbetto).
    Di grandissimo interesse le tarsie di fra’ Giovanni da Verona, nel coro ligneo e sugli armadi della sagrestia, nonché il leggio e il candelabro intagliati.
    Sotto il presbiterio si trova la cripta, costruzione preromanica con colonne e capitelli del VIII sec. Vi sono conservate opere di Domenico Brusasorci, Luca Giordano, Francesco Morone, Antonio Balestra e la popolare "Muletta", preziosa scultura lignea del XIV sec., raffigurante Gesù che entra a Gerusalemme a cavallo di una mula; da qui il nome dato alla statua, che ogni anno veniva portata in processione per le vie cittadine in occasione della Messa delle Palme.

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    da: comune. verona.it
    foto web

     
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    Sposami a Verona


    Per la celebrazione di matrimoni civili il Comune di Verona mette a disposizione dei futuri sposi i palazzi veronesi di maggiore pregio.
    I luoghi prestigiosi individuati sono:


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    La Casa di Giulietta

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    La Loggia Barbaro nel Cortile del Tribunale


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    Sala Arazzi di Palazzo Barbieri


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    Sala Guarienti alla Tomba di Giulietta


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    La Cappella dei Notai al Palazzo della Ragione

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    sposi

     
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