CASTELLI nel mondo

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    I CASTELLI


    nel mondo



    Si chiamava Castellum, presso i romani, un'opera di fortificazione la cui differenza dal Castrum non è ben chiara. Generalmente si identificava con questo nome fortificazioni di minore entità lungo i confini dell'impero, disposte ad intervalli regolari a sorveglianza di ponti e strade, al di qua e al di là delle frontiere. Nel Medioevo il nome di Castello passò ad identificare una residenza fortificata che costituì la dimora del signore feudale. Il castello medievale, oltre a proteggere il barone (il signore del castello nel linguaggio comune si chiamava genericamente "Barone"), aveva lo scopo di controllare, proteggere e amministrare la proprietà circostante, fornendo quindi, oltre ad una potenza militare, anche una base economica. Esso forniva infatti un luogo sicuro per l'immagazzinamento di armi e equipaggiamento, per il sostentamento di uomini e cavalli.
    Costruito all'interno di un recinto fortificato, il palazzo era il luogo di residenza per la famiglia del proprietario ed i suoi uomini. In caso di pericolo il castello poteva anche servire come rifugio per i contadini che lavoravano la terra del signore, per cui erano di grande importanza le tecniche difensive.

    Nel IX secolo la dimora dei grandi signori non è ancora il castello, ma una casa, più o meno vasta e più o meno lussuosa, che si innalza al centro della proprietà, intorno alla quale vi sono le casupole dei servi, le stalle, i granai, i magazzini e tutto ciò che serve alla vita economica della piccola collettività. Esempi di queste abitazioni signorili sono costituiti dalle tante "ville" che Carlo Magno possedeva nei suoi vasti domini rurali in tutto il territorio dell'Impero. Dalla metà del IX secolo, in tutti i paesi dell'Impero carolingio, ed in modo particolare in Francia, si cominciano a costruire edifici fortificati, progenitori del castello feudale vero e proprio. La ragione fondamentale di questa trasformazione sta nel fatto che in quell'epoca hanno inizio, e via via diventano più frequenti, le terribili incursioni dei Normanni. Infatti questi "uomini del Nord" di stirpe germanica, provenienti dalla Scandinavia, con le loro razzie devastatrici seminarono il terrore lungo le coste dell'Europa settentrionale e soprattutto nell'interno della Francia. Sotto l'imperversare di questo flagello, le comunità incominciarono ad organizzarsi e a provvedere alla propria difesa. Molti piccoli proprietari non esitarono a rinunciare alla libertà personale ed alla loro terra a beneficio di un potente, pur di garantirsi protezione e sicurezza; i coloni che lavoravano nelle vaste aziende agricole e che fino ad allora vivevano in casolari isolati, si raggrupparono intorno all'abitazione del signore, il quale provvide a fortificare la sua dimora.
    Nasce così il castello nella sua forma più rudimentale: una grande torre quadrata in legno, costruita su di un'altura chiamata "motta", che poteva essere naturale o, almeno parzialmente, opera dell'uomo. Di solito intorno alla motta si scavava un fossato; ad una certa distanza si ergeva una cinta di pali e di terra battuta, circondata a sua volta da un altro fossato.

    Nel corso dei secoli X e XI i castelli aumentarono di numero e la loro struttura si trasformò. E' questo il periodo in cui nel mondo feudale infuriarono le guerre private: grandi signori o modesti vassalli, tutti vivono in uno stato di lotta perenne. Per questa gente turbolenta, ogni pretesto era buono per far scoppiare un conflitto: una questione di terre o di privilegi, un tributo ricusato, una rivalità con il signore vicino, la ribellione di un vassallo che è venuto meno al patto di fedeltà, qualsiasi controversia, insomma, veniva risolta con la guerra. Il castello, da sempre rifugio fortificato, divenne così strumento di lotta e simbolo di potenza. La prima importante innovazione consistè nell'uso della pietra al posto del legno: a partire dalla fine del X secolo, i grandi signori feudali si facero costruire solidi e massicci torrioni in pietra ,di forma quadrata o rotonda, circondati da mura e torri. Il torrione è insieme fortezza ed abitazione; lo si costruisce tenendo conto non della comodità ma della sicurezza che può offrire. Una sola porta, a livello del primo piano, dà accesso alla dimora: vi si arriva mediante una scala in legno che può facilmente essere tolta in caso di allarme. Nell'angusta fortezza le stanze sono poche e sommariamente arredate: sgabelli, panche, tavoli, giacigli in paglia costituiscono tutto il mobilio. Le pareti, intonacate di bianco o dipinte, sono ornate di armi, bandiere, trofei di caccia. Le finestre prive di vetri, sono riparate alla meglio con canovacci, imposte o grate di legno, che difendono dalle intemperie ma non lasciano entrare la luce. La famiglia del signore vive praticamente in una sola grande "sala", dove si mangia, si dorme, si ricevono gli ospiti, e dove il signore dà udienza ai suoi vassalli e ai suoi dipendenti.
    Col passar del tempo, verso il XIII secolo, intorno al torrione sorge tutto un complesso sistema di difese, come testimoniano le costruzioni superstiti e le descrizioni nella poesia (ad esempio nei racconti di Chretien de Troyes). Questi castelli fortificati che in gran numero sorgono in Francia, in Italia, in Inghilterra e in Spagna, pur avendo qualche caratteristica diversa a seconda del luogo e del tempo in cui vengono costruiti, si assomigliano un po' tutti, perché i loro elementi di base sono gli stessi. In genere il castello sorge in una posizione elevata, su una collina o uno sperone di roccia, così che il feudatario potesse controllare e dominare un vasto spazio intorno. Vi sono però anche castelli costruiti in zone di pianura, all'incrocio di qualche via di comunicazione, o nelle vicinanze di un corso d'acqua, elemento indispensabile in caso d'assedio.

    La struttura del castello



    La costruzione delle fortificazioni erano estremamente costose e potevano richiedere anni di lavoro. Il feudatario ed il capomastro sceglievano di comune accordo il luogo della costruzione (di solito uno spiazzo sopraelevato), e ne impostavano le linee. Occorreva poi cavare la pietra necessaria. Bisognava apprestare grandi quantità di acqua, sabbia e calce per la malta. Materiali e manodopera erano, generalmente, forniti dal signore. Gli ingressi erano sempre ben difesi e muri provvisti di una "scarpa" (si allargano cioè alla base) per meglio resistere ad eventuali lavori di scavo.

    Fossato, mura, torri: gli elementi difensivi del castello. Tutto intorno alla fortezza corre un ampio fossato, che può essere largo anche 20 m; oltre il fossato si innalza la cinta di mura. Di tutti gli elementi difensivi del castello, la cinta è forse quello che più impressiona, per l'idea di potenza che suggerisce. Costituita da mura merlate spesse e robuste, alte da 5 a 10 m, ma talvolta anche di più, la cinta è interrotta da torri a strapiombo, più o meno numerose a seconda dell'importanza della cittadella, e fornite anch'esse di merli. I tratti della cinta muraria così suddivisa, prendono il nome di "cortine". Nelle torri alloggia la guarnigione del castello; i muri presentano delle feritoie verticali, molto strette all'esterno, che però si allargano all'interno: dietro ad esse, l'arciere può in tutta tranquillità prendere la mira sui nemici. In caso di assedio al castello, sulla cima delle torri vengono sistemate le catapulte, macchine da guerra in grado di lanciare fino a qualche centinaio di metri di distanza pietre e materiali roventi o infiammabili (queste macchine erano già usate nel mondo antico da Cartaginesi e Romani). Nel Medioevo, oltre alle catapulte che si collocavano sulle torri, ve n'erano anche di mobili, montate su ruote, che si impiegavano sui campi di battaglia. Lo spazio che rimane libero, dietro ai merli lungo le cortine e sulla sommità delle torri, prende il nome di "cammino di ronda": è il luogo in cui stanno gli uomini addetti alla vigilanza.
    Mura, torri, cammino di ronda sono i più importanti elementi difensivi del castello; ad essi si deve aggiungere il ponte levatoio (accanto al quale c'è, talvolta, una piccola porta chiamata "posterla" attraverso cui può passare un solo uomo alla volta) che protegge la porta centrale della cinta. Grazie ad un congegno di catene manovrabili dall'interno il ponte può essere abbassato sul fossato o alzato a chiusura della porta. Il ponte levatoio misura di solito 3 m di lunghezza; siccome il fossato ha quasi sempre larghezza maggiore, il ponte che lo deve attraversare viene costruito in due campate, e nel fossato si costruisce un pilastro detto "batti-ponte": su di esso appoggia il ponte levatoio vero e proprio. Talvolta il fossato era riempito d'acqua.

    La porta centrale, fiancheggiata da due solide torri, immette in una vasta piazza, la "corte" del castello, divisa in due parti da un muro merlato: quella esterna, più ampia, si chiama "bassa corte", quella interna "alta corte".
    La bassa corte è popolata di edifici: le case dei contadini, tutte raggruppate entro la cinta delle mura, costituiscono un piccolo mondo che gravita nell'orbita del castello. Oltre alla cappella, al forno ed al pozzo, troviamo nella bassa corte officine e laboratori di artigiani (come fabbri, carpentieri, sarti, tessitori.), il cui lavoro è indispensabile per la vita nel castello. Troviamo poi magazzini, stalle, granai e, in qualche grande castello, persino qualche bottega, come quella del panettiere o del macellaio.
    Il cortile più interno o alta corte è quello che racchiude il torrione; anche qui vi sono edifici vari, la cui funzione è più direttamente legata alla vita del castello ed ai suoi abitanti: vi sono i magazzini delle armi, le scuderie, il canile, il recinto dei falconi da caccia e le cucine con enormi camini.

    Nel cuore del castello si erge imponente e fiero il torrione, detto anche "mastio", dimora dei baroni ed insieme ultimo baluardo della fortezza. Generalmente di forma rotonda, il torrione sovrasta per la sua altezza e la sua mole tutti gli altri edifici; per entrarvi bisogna superare un fossato e poi ancora un muro munito di piccole torri, tutto ciò per rendere sicura la dimora del signore.
    I signori feudali del XIII secolo vogliono una dimora non solo sicura, ma anche comoda e bella. L'abitazione signorile comprende due o più piani. Al primo vi è un'ampia stanza che potremmo chiamare sala di soggiorno: in essa si pranza, si ricevono gli ospiti, si gioca a scacchi, si ascolta della musica; il signore vi amministra la giustizia e dà udienza ai suoi vassalli. Al secondo piano vi sono le camere da letto dei baroni; al terzo quelle dei bambini, dei domestici e degli ospiti. Al di sopra, sulla piattaforma del torrione, si innalza la piccola torre rotonda o quadrata dove vigila giorno e notte la sentinella, pronta a dare il segnale di allarme al minimo pericolo.
    I sotterranei del torrione, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, raramente ospitano le prigioni; dal momento che la reclusione all'interno del castello doveva necessariamente essere temporanea, era infatti sufficiente un magazzino o una qualsiasi stanza in muratura. Molto probabilmente quei locali erano utilizzati anche come cantine e deposito di provviste alimentari.

    Via via che i costumi si ingentiliscono e le abitudini di vita si fanno più raffinate, i signori feudali non usano più stare nel mastio, ma in un edificio da esso distinto, vasto e lussuoso (secondo le possibilità economiche). Il torrione continua ad essere costruito, ma con funzioni soltanto militari.

    Le abitazioni dei contadini



    All'esterno della corte, in uno spazio che talvolta è delimitato da una seconda palizzata, si raggruppa il piccolo villaggio. Se modesta è la dimora del signore, ancor più modeste sono le case dei contadini: si tratta in realtà di povere capanne fatte di terra, fango e paglia, il cui tetto, anch'esso di paglia, è sostenuto da rami e frasche. Questi tuguri non hanno finestre: l'unica apertura è la porta, attraverso la quale entra l'aria e la luce ed esce il fumo; il fuoco, non essendoci il camino, si accende su lastre di ferro poste sul pavimento; il mobilio si riduce ad un tavolo mal squadrato, una cassapanca e una giaciglio di paglia. In queste casupole vivono i servi del signore: i contadini che lavorano la sua terra; alcuni artigiani che costruiscono armi e grossi carri per uso di guerra, ma anche strumenti per i lavori agricoli e i carpentieri che riparano, quando è necessario, la dimora del signore. Si tratta, evidentemente, di un'attività molto modesta e rudimentale, che è però indispensabile alla vita quotidiana del villaggio, come a quella del castello.
    Nel piccolo agglomerato di case vi è anche la fontana, il lavatoio, la cappella privata dei baroni -che, alla domenica, si apre agli abitanti del villaggio- ed il forno e il torchio, di proprietà del signore, che i contadini hanno l'obbligo di usare, dietro il pagamento di un modesto tributo, per cuocere il pane e pigiare l'uva.
    Castello e villaggio appaiono fin da ora legati l'uno all'altro: il castello dà alla gente del villaggio protezione e aiuto ed il feudatario ha bisogno della manodopera dei contadini per coltivare i suoi vasti poderi e per soddisfare le sue esigenze.
    (pollina, arcadiaclub)



    Tipi di costruzioni

    Motte e Recinto: i castelli del X - XII secolo consistevano essenzialmente in un fossato, dietro cui si innalzavano dei terrapieni sormontati da una palizzata. Molti, specie nell'Europa settentrionale, avevano al centro una "motta", cioè un tumulo artificiale di terra coronato da una torre ("il mastio"), residenza del signore e postazione per l'ultima difesa. Nel recinto attorno, trovavano posto le costruzioni ausiliarie.

    Il Castello di pietra: il cassero o dongione (keep per gli inglesi), cioè il grande mastio di pietra, divenne frequente nel corso del XII secolo. Quelli più grandi potevano ospitare con una certa larghezza il signore ed il suo seguito. Anche le cortine esterne erano ora frequentemente di pietra, rafforzate da torri (quadrate o tonde) disposte ad intervalli.

    Cerchie multiple: i castelli concentrici, che cominciano ad apparire nel XIII secolo, presentavano due cerchie successive di mura, l'una dentro l'altra. Le costruzioni più interne erano solitamente più alte di quelle esterne, così da poterle "comandare", cioè batterle con il proprio fuoco. Ove esistevano, si utilizzavano anche i fiumi per mettere un ulteriore ostacolo tra attaccanti e difensori.

    Castello recinto: le palizzate lignee intorno alla motta vennero spesso rimpiazzate da una più solida cortina in pietra, formando così un "castello recinto". In qualche caso all'interno si cercò di innalzare una torre, ma il terreno di riporto delle motte non garantiva un appoggio abbastanza stabile. Il duecentesco castello di Clifford's Tower, in Inghilterra, crollò proprio per questa ragione.



    disegni di Francesco Corni
     
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  2. gheagabry
     
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    ..."Sfiora le pietre del picco di Montségur
    si dice ci sia ancora un trovatore
    con un liuto ed un sorriso
    ancor le antiche gestes
    piangendo forse piano canterà"...


    Il castello di MONTSEGUR


    A Montsegur è impossibile eludere la storia. In questo suggestivo angolo della Linguadoca-Rossiglione si rifugiò 775 anni fa un gruppo di nobili catari decisi a non rinunciare alla loro fede. Cantando gioiosamente "Il mio regno non è di questo mondo" vennero gettati nel fuoco dai sostenitori della religione cattolica. Erano 215 tra uomini, donne e bambini. Il loro unico crimine era il loro credo: promuovere il ritorno al cristianesimo originale, rinunciando alla ricchezza e praticando la compassione. Tra i fedeli, alcuni erano detti Credenti e gli altri, che avevano scelto la castità e la ricerca della santità, Perfetti. Da ciò deriva il loro nome, cataro, che in greco significa puro.

    La fortezza venne costruita nel 1204 sotto la direzione di Raymond de Péreille, signore del luogo, come estremo rifugio per i catari. Montségur sorge in cima ad una collina rocciosa (pog in occitano) a quota 1200 metri. Sono tre le fortificazioni che si sono succedute nel tempo. Della prima, anteriore al 1204, non si sa pressoché nulla. Viceversa della fortificazione catara son rimasti i terrazzamenti, probabilmente utilizzati come base delle piccole case della popolazione. Le difese dovevano però essere delle semplici palizzate di legno, anche se la conformazione del luogo rendeva comunque il sito difficilmente espugnabile. Al centro del borgo cataro doveva sorgere una piccola torre in pietra, appartenente al signore del luogo. Verso Sud-Ovest, il naturale, ma pur sempre ostico accesso alla collina, era probabilmente difeso da più di una cortina formata da palizzate. Di tali fortificazioni, nulla è rimasto dopo la presa delle truppe reali nel 1244.

    Il castello oggi visibile non e’ quello di allora, che fu probabilmente distrutto dai Crociati in quanto contaminato dall’eresia. Lo costruirono I Levis-Mirepoix, nobili del Nord fedelissimi di Re Luigi IX che da lui lo ebbero in feudo. Secondo lo storico Michel Roquebert “anche se il castello odierno segue, nel suo piano generale, le linee del castello cataro, si tratta di una fortezza largamente rimaneggiata, databile a qualche decennio dopo l’assedio.”Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce I resti del villaggio , aggrappato intorno al castello, che aveva certamente ospitato I catari, perfetti e credenti, e I loro difensori. Era disposto in semicerchio a nord e a ovest della fortezza, su piccole terrazze, ed era costituito essenzialmente di piccole case di legno , poco piu’ che capanne. Poco resta delle fortificazioni piu’ esterne: lembi di mura persi nella macchia insieme con numerosi proiettili di pietra che risalgono ai mesi dell’assedio. Resta invece una grossa torre quadrata addossata al muro occidentale, cui si accedeva da una rampa di legno che la collegava al cammino di ronda. Visibile anche una grossa cisterna per l’acqua piovana e una sala munita di finestre a feritoia. Intorno alla disposizione di queste finestre sono fioriti molte ipotesi, di sapore piu’ o meno esoterico: ancor oggi vi e’ chi aspetta a Montsegur il primo raggio di sole solstiziale, e che legge nell’orientamento dei muri il riflesso di una geografia celeste di cui il catarismo avrebbe avuto il segreto.

    "Dio è molto buono. Eppure nel mondo nulla è buono.
    Significa che Dio non ha fatto nulla di ciò che esiste nel mondo"
    (Pierre Garsias)


    ...i catari....


    Il movimento cataro ha rappresentato la più grande minaccia nell’arco della storia medievale per l’ortodossia cattolica. Nacque in un momento molto delicato, quando la Chiesa era all’apice della sua grandezza e il potere temporale aveva ormai assunto una dimensione spropositata mentre, dall’altro canto, il popolo soffriva fra la miseria, la fame, la malattia e c'era il bisogno di far sentire la sua voce. Inizialmente la Chiesa cercò di portare i Catari sotto la propria ala protettiva e i tentativi furono davvero molti: fra il 1170 e il 1208 legati pontifici e monaci cistercensi andavano predicando di legarsi al potere del cattolicesimo, ma tale fu l’opposizione di questo movimento da spingere il papa Innocenzo III a proclamare la ben nota crociata capeggiata dall’abate di Citeaux contro gli Albigesi (il nome deriva dal fatto che i primi fondatori provenienti dai Balcani si stanziarono nella regione di Albi nel sud della Francia). A partire da questo momento ebbero inizio una serie di aspre lotte nelle quali i Catari non perderanno mai, neanche davanti al rogo, la parola data al loro credo: le persecuzioni incessanti dell’Inquisizione e una serie di episodi sfavorevoli decretarono la loro fine, che arriverà definitiva con l’assedio del castello di Montsegur.
    I Catari erano un movimento cristiano che per molte particolarità si distingueva dal cattolicesimo...In primo luogo, per i Catari esistevano un dio malvagio, Satana, il quale aveva influenzato le scritture del Vecchio Testamento e modellava tutto ciò che è fatto di materia fra cui il corpo degli uomini e un dio buono, in grado di creare dal nulla. L’anima e lo spirito erano stati creati da quest’ultimo, ma l’anima sta dentro al corpo mentre lo spirito la vigila dall’esterno. Sempre secondo il concetto che Satana è legato al mondo materiale, la terra stessa è vista come un luogo malvagio così come il corpo che tiene prigioniero un angelo e i Catari consideravano esempio di eccelsa unione fra corpo e anima, quella avvenuta fra Gesù e Maria Maddalena.
    Gli uomini, per unire queste due parti, ricevevano da adulti una sorta di battesimo spirituale, il consolamento che si badi bene, non è assolutamente il sacramento che celebriamo al giorno d’oggi con l’acqua: i Catari non ammettevano né il battesimo con l’acqua né l’Eucarestia né tanto meno ogni edificio sacro. Chi riceveva il consolamento diventava perfetto (parfait) e faceva parte della vera Chiesa di Dio, la Chiesa interiore che i Catari anteponevano a quella cattolica; chi non riceveva il consolamento era semplicemente un credente. In base a questa logica di elogio della purezza e condanna della materialità, anche la croce sulla quale Gesù è stato crocifisso rappresentava uno strumento diabolico perché è stato solo un mezzo di tortura materiale.

    La sera del 16 Marzo 1244, gli inquisitori fecero allestire un enorme rogo pubblico alla base della montagna dove sorge la fortezza. Si vide allora scendere da Montségur una lunga fila di uomini e donne che, tenendosi per mano, cantavano inni di lode a Dio: duecento persone, che salirono sul rogo senza esitazione, proteggendo i segreti custoditi dai Catari. Secondo la tradizione esoterica, alcune reliquie sarebbero state portate in salvo nella notte tra il 15 e il 16 marzo da alcuni catari che, in modo rocambolesco, si sarebbero calati con l'aiuto di corde lungo le pareti a strapiombo di Montségur, facendo in seguito perdere le proprie tracce nell'entroterra francese. Questa azione fu l'estremo tentativo di preservare il "tesoro" cataro...


    "Quando varchi la soglia delle rovine del castello di Montsegur, qualcosa ti vibra nel cuore. Si trova sulla cima di un picco, uno dei molti nella zona, che vengono detti "Nidi dell'aquila". Il dislivello dalla base alla cima è di duecento metri, molto ripidi. Alla base del sentiero vicino al grande prato dove i catari sono stati bruciati, c'è una stele, una semplice croce, dove il cuore si ferma e l'anima si inchina."



    “Dalla pietra sulla quale sedevo, potevo dominare tutto il piazzale racchiuso entro le mura del castello di Montsegur, e, da qualche parte entro il mio campo visivo, quasi ottocento anni fa, avevano discusso, pianto o festeggiato, uomini e donne destinati a diventare ultimi testimoni di una strage che mai come oggi potrebbe essere piu’ assurda.
    Non potevo fare a meno di provare una profonda tristezza al pensiero del loro destino e chiedermi perché, un perché al quale la storia ha già dato una risposta, tragica e quanto mai attuale: odio, intolleranza e paura....Gli antichi dicevano che agli albori dell’umanità l’uomo era capace di ascoltare la voce di tutto quello che gli stava intorno, ma ora noi abbiamo dimenticato come si fa; il vento a Montsegur continua da secoli a raccontare la sola, vera storia del destino di un popolo, quasi ad essere un avvertimento ultimo, sui corsi e ricorsi della storia che si ripete sempre, mille anni fa, come oggi, come tra mille anni fino a che l’uomo, l’essere posto a capo di tutti gli esseri animati ed inanimati non inizierà ad imparare dal suo passato, se vorrà ancora avere un futuro.
    Con la mente che vagava in una miriade di riflessioni sul significato di tutto questo, sentivo una profonda serenità che mi pervadeva, e sempre stando seduta sulla mia pietra, il senso di nostalgia che già mi aveva preso al pensiero del ritorno a casa; ed una vocina esile dentro il mio cuore mi diceva che in fondo io ero già a casa, però era la vecchia casa, quella di una volta; ora ne avevo un’altra.”
    (Silvia,mondodiloto.com)
     
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  3. gheagabry
     
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    « Di fuori è un fascio di torri che si accavalcano, le une quadrate e tozze, le altre rotonde, sottili, tutte merlate, armate, irabertescate, irte di aggetti d'ogni maniera, che sembrano minacciare soprusi e violenze, che sfidano il viandante e gli gridano: fuori, che frastagliano il cielo con bizzarri profili.
    Dentro è un chiostro raccolto, silenzioso, tutto ombre, sobrio e corretto nelle insolite forme e nei ricchi colori.
    A vederlo di lontano ha un' aria petulante di spavaldo; a chi v' entra, spira la calma dei forti. »
    (Giuseppe Giacosa)


    IL CASTELLO DI FENIS


    Fénis, contrariamente agli altri castelli costruiti per scopi bellici e difensivi, non è situato sulla sommità di un promontorio ma sul colmo di una lieve collinetta, in una amena conca di prati e boschi. Già l'ubicazione denuncia che il poderoso apparato difensivo è un allestimento scenico; infatti non ha mai subito (per quanto si sa) attacchi e assedi di sorta. La sua funzione è stata esclusivamente quella di sede prestigiosa dei Challant del ramo Fénis.
    Il castello si trova alla base di un dolce pendio verde. Data la collocazione dell'edificio, si può immaginare che in origine fosse una villa romana. Purtroppo, a differenza del maniero di Issogne, non vi sono fonti storiche che confermano questa ipotesi. Nulla si sa della costruzione e dello sviluppo del castello fino al XIII secolo. Infatti, la prima citazione del castrum Fenitii risale al 1242 quando apparteneva alla famiglia Challant, visconti di Aosta.

    Dal punto di vista architettonico è uno dei più complessi. Il corpo centrale è chiuso da due ordini di mura e si può accedere all'interno del primo piano recinto passando nell'androne sotto la torre più antica del castello. Superato il primo ordine di mura occorre compiere un mezzo giro attorno alla cinta interna per trovare l'ingresso che permette di entrare nel piccolo cortile di forma trapezioidale, chiuso sui quattro lati dalle facciate interne coi balconi di legno.
    Anche qui, come a Issogne, le parti sono interamente affrescate con dipinti ispirati all'araldica e alla decorazione gotica. In fondo al cortiletto si trova lo scalone semicircolare che porta ai piani superiori. Sulla parete sopra lo scalone vi è l'affresco raffigurante San Giorgio che uccide il drago. Più in alto sono dipinte altre figure di santi protettori, tutti recanti strisce e nastri su cui sono scritti motti e massime morali. Le figure sono di notevoli fattura tardo gotica in valle di Aosta. Sono opera di Giacomo Jaquerio e dei suoi discepoli, che li eseguirono tra il 1425 e il 1430.
    Le stanze e le sale sono distribuite su tre piani fuori terra e ogni spazio ha una sua individualità compositiva. Degni di attenzione sono igrandi camini, presenti quasi in ogni ambiente; la sala del trono, con la cappella sul fondo magistralmente affrescata dal Jaquerio; e poi la cucina e poi la sal da pranzo. Tutti i locali sono arredati con autentici e preziosi mobili valdostani del XV e XVI secolo. Il castello è costituito da un corpo centrale di forma pentagonale, probabilmente dovuta alla necessità di inglobare strutture preesistenti e di seguire le irregolarità del terreno, circondato da una doppia cinta muraria merlata lungo la quale sono posizionate diverse torrette collegate tra loro da un cammino di ronda. Le torri più grandi, a sud e a ovest, sono munite di feritoie per frecce, caditoie e beccatelli a sostegno della parte più alta. Il muro rivolto a nord, verso la strada maestra che attraversava la valle e quindi il più esposto a eventuali attacchi, era dotato di quattro torrette circolari, divenute cinque in seguito ai restauri degli anni trenta. Si accede all'interno della struttura attraverso un portale che si apre nelle mura del lato a sud e passa vicino a una delle torri più antiche del maniero. Questo ingresso è stato realizzato durante la ristrutturazione degli anni trenta, mentre l'accesso originale si trovava probabilmente nei pressi della torre quadrata sul lato ovest.

    ...la storia...



    Tra il 1320 e il 1420, con le signorie di Aimone e Bonifacio I di Challant, si concentrò il più importante sviluppo del castello. A seguito delle opere edilizie ordinate da Aimone, la pianta del nucleo centrale del castello assunse l'attuale forma pentagonale. Tuttavia, l'interno del castello era ancora molto diverso: il cortile, molto più ampio di quello attuale, era sovrastato da un lungo ballatoio in legno e mancava totalmente il secondo piano dell'edificio. Venne aggiunta anche la cinta muraria esterna priva della torre meridionale che fu costruita in un'epoca successiva. L'apparato bellico imposto alla costruzione ha condizionato però non poco gli spazi civili, che risultano, seppure ampi, poco illuminati dalle scarse finestre a crociera che hanno sostituito nel XV secolo le originali finestre lobate trecentesche.
    Nel 1392 Bonifacio pianificò una nuova campagna edilizia: al pian terreno fu costruita la prigione, mentre il cortile interno fu dotato della scala a gradini semicircolari circondata dai ballatoi in legno. Inoltre, tra il 1414 e il 1420, commissionò a Giacomo Jaquerio gli affreschi della cappella e del cortile interno. Ancora oggi non è chiaro se l’artista piemontese abbia effettivamente preso parte alla realizzazione degli affreschi, tuttavia è certo che gli autori appartengono alla bottega jaqueriana. A quest'epoca, è probabile che il castello fosse una vera e propria corte, circondato da un orto, una vigna e un giardino utilizzato come luogo di svago per il signore e gli ospiti.
    Dopo la morte di Bonifacio I cominciò il declino economico della famiglia Challant che, inevitabilmente, segnò anche lo sviluppo del castello. Infatti, se si esclude l’albero genealogico del Seicento dipinto al secondo piano e gli affreschi di paesaggi, non furono più realizzate opere di rilievo.
    Il castello rimase nelle mani dei Challant fino al 1716 quando Georges François fu costretto a venderlo alla famiglia Saluzzo Paesana per far fronte ai debiti contratti dal padre. Da quel momento in poi, per circa due secoli, il castello fu utilizzato come casa colonica: le sale al pianterreno furono trasformate in stalle, mentre al primo piano vi erano i fienili. Anche la cappella con i suoi preziosi dipinti non fece eccezione e venne adibita a fienile.
    Dopo diversi passaggi di proprietà, il 3 Settembre 1895 il castello fu acquistato dallo Stato. Le condizioni del castello erano spaventose: pavimenti e soffitti erano pericolanti o crollati, diverse zone del tetto così come alcuni tratti della cinta muraria erano fatiscenti, almeno una torre era diroccata. Tale stato di degrado durò allorché Alfredo d'Andrade, appassionato ricercatore e conservatore delle memorie storiche valdostane, lo acquistò per conto dello Stato mettendo mano ad una intelligente opera di recupero e restauro delle parti che erano scampate alla rovina e allo spregio. Successivamente altri interventi, purtroppo meno colti e accorti, completarono i lavori di ricostruzione delle parti andate distrutte e così il castello tornò al suo aspetto originario.
    Le attività si svolsero in due fasi principali:
    La campagna D'Andrade-Bertea-Seglie. A causa della scarsità dei fondi stanziati, vennero realizzati solo interventi di messa in sicurezza dell'edificio: furono rinforzate le mura pericolanti, ricostruiti le parti di tetto fatiscenti, restaurati serramenti e solai, installati parafulmini sulle torri, costruita la nuova strada di accesso al castello a Est. I lavori - conclusisi nel 1920 - posero fine al degrado del castello.
    La campagna De Vecchi-Mesturino. Nel 1935 iniziarono accurati lavori di restauro che riportarono il castello allo spendore di un tempo. In questo periodo venne realizzato anche il riarredo delle stanze con mobili provenienti da altri castelli.


    ...una favola...



    In un paese lontano, vicino ad un'oscura foresta, al di la' di limpide montagne e prati vellutati,
    vi era un castello dove viveva un cavaliere con il suo cavallo bianco.
    Nessuno aveva mai visto quella foresta, nessuno aveva mai osato attraversarla.
    Un tempo quel castello era abitato da un re e i suoi sudditi.
    Si organizzavano feste, banchetti dove si poteva bere, mangiare, danzare.
    Gli invitati pero', per raggiungere la fortezza, dovevano percorrere una strada molto lunga
    perche' nel bosco vi erano molti pericoli e si faceva fatica ad uscire.
    Nella rocca vi era uno scrigno con una lampada d'oro che non doveva essere aperta altrimenti
    si correva il rischio di diventare di ghiaccio.
    In una notte cupa, mentre lampi e tuoni illuminavano il cielo, un misterioso cavaliere vestito di nero riusci' ad entrare nella rocca: il suo desiderio era trovare il tesoro e si mise a correre in ogni parte del castello.
    Arrivo' in cima ma la porta era chiusa: cerco' di aprirla, ma solo dopo ore vi riusci'.
    Lo scrigno era pieno di polvere, sollevo' il coperchio e all'improvviso un luce bianca
    illumino' il suo viso e lo fece diventare di ghiaccio. Il giorno dopo fuori il sole splendeva
    ma dentro alla fortezza erano tutti di ghiaccio. Solo il cavaliere che fosse riuscito ad attraversare il bosco ed entrare nella rocca a chiudere lo scrigno avrebbe potuto liberare quella gente dall'incantesimo. Molti paladini provarono ad attraversare la foresta, ma nessuno riusci' a superare le mille difficolta'. Dopo tre anni un paladino in sella al suo cavallo bianco entro' nella foresta, supero' gli ostacoli e varcata la porta del castello corse fino in cima e chiuse il forziere.
    L'incantesimo fini' ma purtroppo il re si ammalo' e i sudditi impauriti scapparono via.
    Prima di morire il re affido' al cavaliere la custodia della rocca
    come premio per aver tolto il maleficio. Il cavaliere rimase cosi' da solo in attesa di conoscere una principessa per vivere un amore eterno.
    (Marinella .Gretablu)
     
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  4. gheagabry
     
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    Il castello di GLAMIS



    Il Castello di Glamis è uno dei più imponenti della Scozia, e non solo per la sua incredibile architettura e i 600 anni di storia legati a quella della Famiglia Reale..Re Giacomo V distribuì le terre della sua famiglia ai ​​suoi cortigiani, ma il Re ha mantenne il castello e baronia (terre) di Glamis per se stesso, per la caccia.
    Nel 1562, mentre accorreva verso nord per sedare una ribellione, Mary Queen of Scots trascorse una settimana di visita al castello di Glamis. Si dice che mostrò grande favore alla famiglia. Forse un modo di fare ammenda sulle malvagità del padre di Lady Janet Douglas, che fu bruciato sul rogo come il risultato di una falsa accusa.

    Il Castello è stato racchiuso all'interno di una corte fortificata. Il XVII secolo è testimone di molti cambiamenti. The West Wing è stato aggiunto, così come una piccola ala nord-est contenente la cappella. Gli edifici del cortile e gran parte delle fortificazioni furono spazzati via e sostituiti da una cornice barocca di corti, sculture e panorami. Verso la metà del diciottesimo secolo, i motivi di fronte al Castello sono stati architettati con un radiante viali di alberi, nuove cucine, un camera da biliardo, e cortili con nuovi servizi al di là dell'ala est sono stati tutti aggiunti nel 1773. Due anni dopo, la West Wing è stata demolita e il rimodellamento nello stile di Capability Brown. Il tetto spiovente della ala est è stata sostituita con merlatura nel 1797 e la ricostruzione della West Wing in uno stile corrispondente è stata effettuata in circa 1800. Il viale principale è stato trapiantato circa nel 1820. Questo ritorno ad uno stile formale è proseguito con la creazione da parte dei genitori della Regina Madre del giardino italiano nel 1910.

    ......storie di fantasmi.....


    Il castello di Glamis si trova in Tayside ed è sicuramente uno dei luoghi più conosciuti del Regno unito e della scozia in particolare, per essere protagonista di quel che non si sà se sia leggenda o pura fantasia; storie di maledizioni, fantasmi e segrati si sono susseguite nel corso dei secoli.
    secondo una leggenda tutto iniziò quando il castello doveva ancora essere costruito.
    Nel X secolo Machbet uccise il suo cugino allora re di Scozia Duncan I (omicidio tra l'altro raccontato da Shakespere) esattamente sul luogo in cui sorgerà più tardi il castello, anche se questa teoria è contrastata da una teoria degli storici che affermano che questo in realtà avvenne un po più a nord. Poco più tardi un altro re di Scozia Malcom II fu ucciso all'interno del castello tanto che il suo sangue formò un enorme macchia sul pavimento che non si cancello più, infatti ancora oggi è perfettamente visibile. Molti ritengono però che l'origine della sfortunata e travagliata storia del castello sia legata a Sir John Lyon, che nel 1372 acquistò il castello di Glamis. Si narra infatti che nella sua precedente dimora possedesse un calice che secondo la leggenda non doveva assolutamente essere spostato da dove si trovava, pena terribili disgrazie che si sarebbero abbattute sulla stirpe di colui che avrebbe osato tentare un gesto simile. Sir Lyon naturalmente incurante di queste dicerie porto il calice nella sua nuova dimora, e da allora per generazioni e generazioni tra gli abitanti di Glamis si verificano misteriose ed orribili morti; anche Sir John 11 anni dopo essersi trasferito a Glamis morì in un duello.
    Nel XVII secolo Glamis fu ereditato dal conte Patrick Strathmore (che la leggenda voglia essere un individuo violento, divorato dal gioco e spesso ubriaco); su di lui circolavano due sinistre leggende, forse anche legate al famoso segreto della sua famiglia, terribile segreto questo che si dice sia stato tramandato ad ogni discendente maschile della famiglia nel giorno del ventunesimo compleanno, e mistero che negli anni poi non è stato mai svelato tanto che non si sa neanche quanto antico sia.
    Tornando alle due leggende del conte Patrick. La prima narra che avesse rinchiuso con una massiccia serratura in una stanza segreta un suo figlio nato deforme (un essere mostruoso) nel 1800 per tenerlo lontano da sguardi indiscreti, fino al giorno della sua morte. Fino ad oggi la stanza segreta non è mai stata ritrovata anche se uno dei più famosi esperti cacciatori di fantasmi (Peter Underwood) giurò della sua esistenza e disse che fu costruita attorno al 1684. Questa storia è però legata ad altre due macabre vicende ambientate in camere segrete (non è sicuro infatti se si parli di una sola stanza o di più di una).
    Si racconta che Patrick accanito giocatore abbia perso la sua anima giocando a carte con il diavolo e sia poi stato costretto a giocare a carte per l'eternità chiuso in questa stanza; da qui anche la voce che, ancora oggi si possa sentire il rumore dei dadi che scivolano sul tavolo; si dice anche che prima di questa vicenda il conte costretto ad ospitare (l'ospitalità all'epoca era quasi un obbligo), un Clan che si rifugiava dall'attacco di un altro clan, rinchiuse i poveretti in una camera e se ne dimenticò.
    La conferma dell'esistenza di queste camere segrete la diedero gli ospiti del XIV conte di Strathmore che organizzò al castello una festa. Gli ospiti venuti a conoscenza delle leggende appesero ad ognuna delle finestre del castello un lembo di stoffa, e con loro grande stupore arrivati in giardino si accorsero che da alcune finestre non pendeva il lembo di stoffa (da alcune versioni di questa storia le finestre senza lembo sarebbero dalle 7 alle 12 più o meno) ma ritornati dentro per provare a cercare le stanze così dette segrete, non le trovarono mai.

    Altri spiriti abiterebbero tuttora il castello, i più famosi di esso sono tre:

    - Lo spirito di Lady Campbell, la moglie del sesto conte di Glamis che sospettata di aver tentato di avvelenare il re Giacomo V, marchiata di accusa di stregoneria, fu bruciata sul rogo davanti al castello di Edimburgo, e si dice che la sua anima sia tornata a Glamis in veste di spettro, che disturbi la calma del maniero dondolandosi in una vampa di Fuoco proprio sopra l'orologio della torre.
    - Lo spettro della donna senza lingua che si aggira nel parco indicando a chiunque incontri la sua menomazione.
    - The Mad Earl's Walk, il fantasma di un pazzo che nelle notti di tempesta si aggira per il castello percorrendo sempre lo stesso tragitto.
    Altro spirito di cui si sono sentite testimonianze è quello di un bambino, in teoria un servo che è stato avvistato seduto davanti alla camera della regina madre.
    Lady Halifax disse di aver visto, una volta, due giocatori di dadi nella Blue Room, una stanza del castello. Si dice infine che ci sia una porta che si apre ogni notte, anche quando la si blocchi con dei fermi.

    Qualunque sia la verità, Glamis e altri luoghi simili seguiteranno a rimanere famosi nella tradizione delle leggende scozzesi e importanti anche per l'afflusso turistico; personalmente credo che continueranno a stuzzichare la nostra fantasia anche con un pizzico di incredulità.

    ...la Regina Madre...


    Alla nascita i genitori di Elisabetta erano Lord e Lady Glamis. Suo padre, Claude, è erede della antica contea scozzese di Strathmore e Kinghorne. Sua madre, Nina Cecilia Cavendish Bentinck, era della famiglia dei duchi di Portland. La sua casa famiglia è stata, nel 1900, di St. Paul Walden Bury in Hertfordshire. Glamis Castle era, al momento, la casa del nonno di Elisabetta, il conte numero 13.
    Elisabetta non è nata a Glamis come talvolta erroneamente assunto....era la nona di dieci figli. Il primo nato, Violet Giacinto, era morto tragicamente nel 1893 Quando Elizabeth nacque, il 4 agosto 1900, le età degli altri bambini, Mary, Patrick, Jock, Alexander, Fergus, Rose e Michael partiva da diciassette fino a sette anni. Suo fratello Patrick, come figlio maggiore, sarebbe poi diventato il conte di Strathmore e 15 Kinghorne. Quando Elizabeth aveva due anni, sua madre partorì David, il suo decimo e ultimo figlio. Elizabeth e David erano soprannominati 'i miei due Benjamin' ...David divenne ben presto inseparabile compagno d'infanzia di Elizabeth come se fossero gemelli. Quando Elizabeth aveva quattro anni suo nonno, il conte numero 13, morì e suo padre ereditò la contea, e con essa, Glamis Castle. Elizabeth era 'Lady Elizabeth' e la famiglia, successivamente divise il proprio tempo tra Glamis, di St. Paul Walden Bury e Streatlam Castle, nella contea di Durham. Alla fine dei festeggiamenti per i suoi 14 anni Lady Elizabeth, il direttore del teatro andò sul palco per annunciare che la guerra era stata dichiarata alla Germania quella sera stessa. Poco dopo, Lady Elizabeth, sua madre e sua sorella Rosa, tornarono a Glamis, dove il castello fu stato trasformato in una casa di convalescenza per i soldati feriti. Quando arrivarono le prime vittime Elizabeth si trovò immersa nella loro cura e il benessere. La sua bontà conquistò i cuori di molti dei soldati che passarono attraverso Glamis. Nel 1918 l'armistizio segnò la fine della guerra e la fine di un'era. Nel 1919 Lady Elizabeth fu lanciata nella alta società. A un ballo a Londra, Elizabeth catturò l'attenzione del principe Albert .... il 5 gennaio 1923 il Daily News intitolava 'sposa scozzese per il Principe di Galles' - ma il tabloid aveva sbagliato. Non era il Principe di Galles, ma il duca di York che aveva corteggiamento Elizabeth. Bertie era furiosa e trascorse alcuni fine settimana infelici. Pochi giorni dopo, Bertie ripropose la cosa e questa volta fu accettata. Al telegrafo, i suoi genitori dissero semplicemente 'Alright -. Bertie'. La circolare di corte il13 gennaio 1923 annunciò - 'E' con grande piacere che il Re e la Regina annunciano il fidanzamento del loro amato figlio Duca di York a Lady Elizabeth Bowes Lyon '. Sir Henry Chatham scrisse nel suo diario 'non c'è un uomo in Inghilterra che non lo invidia'. il matrimonio reale ebbe luogo a Westminster Abbey il 26 aprile 1923, il primo che si terrà lì dal 1382. La coppia reale trascorso un po 'della loro luna di miele a Glamis, ' Presto diede al marito la fiducia e il sostegno di cui aveva bisogno nelle vicende che lo portarono inaspettatamente al trono Il 21 aprile 1926, diede alla luce, a Londra, la prima figlia, la principessa Elizabeth...Poi, in una notte di tempesta a Glamis nell'agosto 1930, nacque la principessa Margaret - Fu il primo bambino reale nato in Scozia dal 1600. Nel 1936 divenne Re Giorgio VI. Attraverso i lunghi, tempi bui della Seconda Guerra Mondiale la regina, affettuosamente conosciuta come 'il piccolo scozzese ragazza di Glamis' dimostrò il suo valore.
     
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  5. gheagabry
     
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    Il castello di NEUSCHWANSTEIN


    Il castello di Neuschwanstein è uno dei simboli della Baviera e della Germania nel mondo. E' il "castello delle favole" per eccellenza, fatto costruire dal "re delle favole" Ludwig II a partire dal 1869 al 1886. Un simbolo degli ideali medievali rivisitati alla luce del romanticismo.
    Il Castello di Neuschwanstein, situato nella sud della Baviera quasi al confine con l'Austria, domina dall'alto dei suoi 965 metri, su una cresta rocciosa, i paesi di Füssen e Schwangau ed il magnifico paesaggio circostante: le verdi-azzurre acque del lago Forggensee, il limpido Alpsee, la vasta pianura di Fussen, la valle di Schwangau con le sue colline ondulate, le pareti a picco dei monti Sauling e Tegelberg, i dirupi dei monti Tannheim e le Alpi Austriache, la gola di Pollat e le sue scroscianti cascate. Il castello nel suo complesso si estende per 6.000 metri quadrati articolati su 4 piani e numerose torri, alte anche 80 metri.
    Questo castello è unico al mondo per la sua bellezza, per la suggestiva archittettura, per la sua splendida e ardita posizione con una splendida vista panoramica.
    Il castello di Neuschwanstein, in stile neoromanico con elementi gotici, imponente, fantastico e slanciato è nell’immagine complessiva di una tale perfezione architettonica da sembrare ancora oggi non reale, quasi finto, tanto da aver ispirato molti celebri cartoni animati di Walt Disney. I 5 piani del castello sono interrotti e movimentati da un gran numero di pinnacoli, archi, colonne, torri e torrette, affiancate e spesso sovrapposte. Fra merli, guglie, feritoie si alzano le torri cilindriche e ottagonali. Se l’esterno del castello può affascinare, i suoi interni stupiscono per la ricchezza di decorazioni, affreschi, tessuti preziosi, sete, marmi, legni pregiati e pietre preziose.


    L’arredamento dei saloni e le decorazioni si ispirano alla saghe cavalleresche dei racconti epici tedeschi e al parallelo universo musicale del musicista Richard Wagner, che da quelle storie ha tratto linfa vitale per il suo genio operistico.
    Gli appartamenti privati del Re al terzo piano consistono in una mezza dozzina di piccole stanze. (Il piano terreno e il primo piano del corpo centrale dell’edificio sono per la maggior parte occupati dai servizi e dalle stanze del personale). Tutte le stanze sono state curate nei minimi dettagli e architetti, artigiani vi hanno lavorato rispettando precisamente le volontà del Re. I muri rivestiti con pannelli in legno riccamente intagliati e con grandi dipinti su tela, i soffitti a cassettoni o affrescati, le porte il legno massiccio ornate di intarsi in ottone, le finestre di vetro istoriato, i lampadari in ferro battuto. Tra le varie stanze (oltre alla sala da pranzo, la cappella privata, lo spogliatoio, il soggiorno, lo studio) una particolare attenzione merita la camera da letto del monarca in stile tardo gotico, adornata da meravigliosi intagli in legno che hanno impegnato 14 intagliatori per ben quattro anni. Alle pareti pitture mostrano scene della leggenda di Tristano e Isotta, care al Sovrano e tende, tappezzerie blu bavarese, il colore preferito del re, ornate da ricami rappresentanti lo stemma della Baviera, il cigno ed il leone dei Wittelsbach.
    La stanza più insolita nel castello è la Grotta che assomiglia proprio ad una caverna naturale rivestita di stalattiti in gesso, con una piccola cascata e inondata da luci colorate. E da qui oltrepassando una porta ci si trova in un giardino pensile con palmizi e aranci in vaso..... il vero cuore di Neuschwanstein è la Sala del Trono, un salone di rappresentanza in stile bizantino. La stanza assomiglia proprio ad una chiesa bizantina; dei gradini di marmo di Carrara portano all'abside che doveva sovrastare un trono d'oro e d'avorio, mai realizzato perché dopo la morte del re tutti i lavori previsti e non ancora iniziati non vennero portati a termine. La sala con un grande lampadario di ottone dorato, a forma di corona bizantina, è dipinta con scene pittoriche ispirate alla leggenda del Sacro Graal e il pavimento in mosaico è composto da oltre due milioni di tessere con raffigurazioni di animali e piante.

    ...la storia...


    Ludwig II(1845-1886), re di Baviera, figlio di Massimiliano II, salì al trono nel 1864 all’età di diciotto anni. Appassionato di storia, leggende e tradizioni germaniche divenne ammiratore e poi mecenate del compositore Richard Wagner. Poco interessato agli affari di stato, il re si dedicò alle sue utopie e ai suoi sogni romantici dedicandosi alla costruzione di favolosi castelli. Nella propria solitudine, progettava costruzioni da favola, i luoghi dei propri sogni in cui voleva vivere, lontano dalla squallida realtà.
    Neuschwanstein fu il primo castello che il Re fece edificare (ma realizzò anche altri maestosi progetti archittettonici come i castelli di Linderhof e Herrenchiemsee). Dopo vari progetti di realizzazione nel 1868 iniziarono i lavori preliminari per la costruzione e il 5 settembre 1869 venne posta la prima pietra del nuovo castello di Hohenschwangau (ha acquistato il nome " Neuschwanstein"da Neu Schwan Stein che significa la "nuova rocca del cigno" dopo la morte del re per ricordare la passione che lui nutriva nei confronti dei cigni). Ludwig concepì Neuschwanstein come un paradiso ultraterreno dove far rivivere i suoi romantici sogni e rifugiarsi. Affiancando nel lavoro esperti ingegneri e abili scenografi lo costruì nello stile dei castelli cavallereschi medievali, sostenuto dal ricordo dell’infanzia felice che vi aveva trascorso e forte della sua ossessione di usare l’architettura come una scenografia di quelle saghe nordiche che tanto lo appassionavano, e che il suo amico inseparabile Richard Wagner, trasponeva superbamente in musica.

    Nel maggio del 1868, all'adorato Richard Wagner:


    « È mia intenzione far ricostruire l'antica rovina del castello di Hohenschwangau, nei pressi della gola di Pöllat, nello stile autentico delle antiche fortezze dei cavalieri tedeschi e devo confessarVi di rallegrarmi molto all'idea di potervi soggiornare un giorno (fra tre anni); vi dovranno essere sistemate numerose camere per gli ospiti, confortevoli e accoglienti, dalle quali si potrà godere una stupenda vista sull'augusto monte del Säuling, sulle montagne del Tirolo e sulla vasta pianura; Voi Lo conoscete bene, l'adorato ospite che vorrei ospitarvi; il luogo è uno dei più belli che si possano trovare, sacro e inavvicinabile, un tempio degno di Voi, divino amico, che faceste fiorire l'unica salvezza e la vera benedizione del mondo. Vi ritroverete anche reminiscenze dal 'Tannhäuser' (Sala dei cantori con vista sulla fortezza sullo sfondo), dal 'Lohengrin' (Cortile del castello, corridoio aperto, sentiero per la cappella); in ogni senso questo castello sarà più bello e confortevole di quello più in basso di Hohenschwangau, che annualmente viene dissacrato dalla prosa di mia madre; gli Dei dissacrati si vendicheranno e si tratterranno con Noi, lassù sulle ripide cime, allietati dall'aura del Paradiso. »
    (Ludovico II di Baviera)



    La costruzione del castello continuò per tutta la durata del regno di Ludwig a causa della sua indecisione, dei suoi frequenti cambiamenti di idee, delle difficoltà nella costruzione, ma soprattutto causa le finanze che non erano sempre rosee. Il sovrano bavarese non vide però completata la sua fantastica costruzione che tanto aveva amato. La sua fantasia, estrosa ai limiti della coscienza, il suo essere romantico e sognatore che lo estraniava dalla realtà lo portò alla distruzione: il governo bavarese, esasperato dalle spese esagerate e dall'incapacità del re di assumere responsabilità politiche, organizzò un complotto per destituirlo e nel 1886 il re fu dichiarato pazzo e fu prelevato dal suo castello di sogno di Neuschwanstein, dove si era rifugiato. Deposto dal trono per infermità mentale fu confinato nel castello Berg sul Lago di Starnberg dove annegò nel 1886 in circostanze misteriose.
    Alla morte di Ludwig parte del castello non era ancora stata portata a compimento
     
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  6. <<<nene>>>
     
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    che bella questa discussione sui castelli... adoro i castelli..
    pieni di fascino e misteri... :wub:
     
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  7. gheagabry
     
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    Il CASTELLO di CONWY



    Uno dei castelli più belli d’Europa si trova nel Galles. Chiunque si fermi ad ammirare il castello di Conwy, resterà impressionato soprattutto dall’unità e compattezza di questa così grande massa d’edifici e dalle sue otto torri in sostanza identiche, quattro sul lato sud e quattro su quello nord, che sembrano nascere dalla roccia sulla quale sono costruite. Singolare è soprattutto il lungo fronte settentrionale, dove torri equidistanti dividono la cortina muraria in tre sezioni uguali, ognuna ornata da due feritoie simmetriche, innalzate fino allo stesso livello di merlatura. Uno sguardo più attento permette di notare che le quattro torri ad est si distinguono dalle altre per l’aggiunta, su ognuna di queste, di una torretta.
    Questo elemento ha un significato più ampio di quello prettamente estetico-architettonico: riflette una fondamentale ripartizione interna. Il castello fu, infatti, progettato in due metà separate, ognuna con il suo cortile ed il suo ingresso. La parte delle difese ad est, corte interna, aveva accesso diretto solo dall’acqua per dare maggior sicurezza ai personaggi reali che doveva ospitare. E' attorno a questa parte della fortificazione che sono raggruppate le quattro torrette sopra menzionate: queste dovevano permettere di svettare agli stendardi reali e fornire punti d’osservazione più elevati per le guardie della residenza signorile. L’altra parte del castello, corte esterna ad ovest della prima, è più estesa ed è raggiungibile dall’interno della città; era adibita ad ospitare la guarnigione di stanza a Conwy.
    Il distaccamento al castello era comandato dal Conestabile, un ufficiale responsabile nominato direttamente dal Re con l’incarico di governare la fortificazione, custodire i prigionieri e con le funzioni di sindaco della città. La guarnigione, mantenuta a sue spese era di circa trenta uomini d’arme. Fra i residenti c’era anche un cappellano, un muratore, un carpentiere, un fabbro ed un armiere. E’ probabile che il conestabile con la sua famiglia abitasse nelle due torri più ad ovest, dominanti l’ingresso principale, mentre le altre due torri di questa parte erano assegnate agli altri ufficiali permanenti. Nella corte esterna sorge, addossata alla cortina sud, la Great Hall.

    Di quest'ultima e del suo splendore, la più grande di tutte quelle presenti nei castelli Edoardiani, non restano purtroppo molte tracce. Altri particolari punti d’interesse del castello sono visibili dall’esterno. Sappiamo che quando le mura e le torri furono completate vennero anche intonacate a calce. Il candore dell’edificio, con la città ai suoi piedi e le verdi colline ed il fiume intorno, doveva avere un grande effetto paesaggistico.
    Tracce d’intonaco bianco possono ancora essere viste in molti punti, particolarmente sulle torri a sud (verso la ferrovia) e sulla cortina muraria presso l’attuale strada d’accesso. Un’altra caratteristica, che in un primo momento può lasciare sconcertati, è la presenza sulle facciate di mura e torri di piccoli fori rotondi, distanziati fra loro fra il metro e ottanta e i tre metri, formanti una linea elicoidale dal basso in alto. Questi erano alloggiamenti per traverse di legno.
    Ciò dimostra che i costruttori Gallesi seguivano la pratica comune in Francia dell’uso d’impalcature orizzontali inclinate, sulle quali i pesanti carichi di pietre potevano essere trascinati man mano che la costruzione gradualmente s’innalzava. Questi fori non devono essere confusi con quelli ben più grandi che si trovano in tutto il castello ad un livello uniforme, appena sotto la merlatura. L’uso per questi era quello di sostenere difese aggettanti in legno, le quali potevano essere utilizzate secondo il bisogno in ogni parte del castello in caso d’assedio.
    Un osservatore attento può notare inoltre l’insolita sistemazione delle feritoie al centro dei merli in modo tale da permettere un tiro a livelli alternati: più elevato quando avveniva dallo spazio fra la merlatura per colpire attaccanti lontani, più basso dalle feritoie per quelli più vicini. Un castello come Conwy non era carente neanche sotto il profilo sanitario, le latrine al servizio delle stanze delle torri sono ben visibili, come proiezioni sporgenti, su tutti i lati. Solo sul lato dell’ingresso principale erano ben nascoste nello spessore delle mura.
    Ogni apertura o finestra larga abbastanza da poter essere un pericolo d’intrusione era originariamente protetta da griglie di ferro. Queste sono state asportate durante lo smantellamento del castello nel diciassettesimo secolo, sono però ancora ben visibili solo i fori dove erano sistemate. Ci sono altre due caratteristiche apprezzabili dall’esterno. La prima riguarda la struttura delle torri che non sono dotate di mura perpendicolari ma leggermente inclinate, per facilitare la difesa piombante. La seconda sono i resti, scarsi, delle decorazioni e pinnacoli, che un tempo ingentilivano la merlatura ed aggiungevano un tocco di leggerezza alla potente massa del castello. Come vedremo in seguito, la costruzione è rimasta senza tetti per più di trecento anni, pertanto non sono rimaste tracce che ci permettono di definire con certezza quale forma avessero le coperture delle torri. I pochi resti giunti fino a noi e alcune raffigurazioni del castello eseguite nei secoli passati ci permettono di supporre che i tetti avessero una forma conica e fossero leggermente più alti dei merli.
    La progettazione e la direzione dei lavori furono affidate a James di St.George, il più importante architetto militare dell’epoca, già famoso per le opere realizzate al servizio del cugino del Re Conte Philip di Savoia, come il castello di St.Georges d’Esperanche vicino Lione, che proprio da lui prese il nome. Strettamente associati a lui furono il già menzionato Richard di Chester, mastro Henry di Oxford, mastro Laurence di Canterbury come principali mastri carpentieri, e John Francis come mastro muratore proveniente anch’esso dalla Savoia. Essi avevano in forza un gran numero d'artigiani e operai reclutati da ogni angolo dell’Inghilterra e si calcola che, nel momento di massima intensità dei lavori, nell’estate del 1285, essi fossero circa 1.500. La struttura che vediamo ancora oggi, iniziata nella primavera del 1283, fu sostanzialmente completata nell’autunno del 1287.
    (medioevo.com)

    ...la storia...


    La storia di Conwy come si conosce oggi, una pittoresca città murata dominata dalle torri e bastioni del suo famoso castello, inizia nel 1283. In quest’anno le armate inglesi di Re Edward I completarono la conquista di Snowdonia e posero fine al dominio dei principi Gallesi su queste regioni. Lo "Statuto del Galles", promulgato dal Re a Rhuddlan un anno dopo, diede origine ad un nuovo ordinamento territotoriale basato sulla divisione dei principati esistenti in contee di modello Inglese, quelle del nord (Anglesey, Caernarfon e Merioneth) con Caernarfon come capitale, ma in uno primo momento era stata scelta proprio Conwy per assumere questo ruolo.
    E' quindi probabile che la costruzione del castello ebbe origine dall’idea di fare della città la capitale della contea. Sebbene ciò non sia avvenuto per il mutare degli eventi, Conwy, fin dalla sua nascita, è sempre rimasta la più grande circoscrizione amministrativa del Galles del nord.
    La cattura del castello di Dolwyddelan il 18 gennaio 1283 dette agli inglesi il controllo della vallata di Conwy. Lo stesso Edward I si mosse verso Conwy dalla sua base a Rhuddlan all’incirca verso il 14 marzo e appena quattro giorni dopo imparrtì gli ordini per assicurare la mano d’opera ai lavori delle nuove fortificazioni. Prima della fine del mese l’ingegnere capo, Richard di Chester, fu inviato nella sua città d'origine per procurarsi attrezzi ed equipaggiamento, atti a scavare i fossati nella roccia, e reclutare muratori e tagliatori di pietre. Allo stesso tempo fu scelto il progetto e il luogo dove far sorgere le nuove opere: il castello e la cinta muraria divennero complementari e la loro costruzione iniziò simultaneamente.
    La scelta della nuova ubicazione comportò lo spostamento dell'Abbazia di Aberconwy, la più importante costruzione Cistercense del Galles del nord e luogo di sepoltura di Llywelyn il Grande, in una nuova posizione. Essa fu smantellata e conservata per servire, una volta ricostruita all'interno delle mura, come chiesa parrocchiale della nuova città, ruolo che occupa ancora oggi.
    (.medioevo.com)

    ....fantasmi....


    Uno dei successori di Robert Wynn a Plas Mawr doveva lasciare Conwy per andare in in battaglia in una guerra molto lontana. Giunta la fine della guerra il signore doveva ritorante al castello, sua moglie e il bambino allora salirono lungo i ripidi gradini della torre di guardia per aspettarlo. Lui pero' ritardo' ,e giunse l'oscurita', la moglie e bambino dovettero quindi ridiscendere la lunga scalinata, durante la scesa pero' scivolarono e caddero in fondo alla torre. Furono portati in una stanza per le cure ma il dottore Dic affermo' che lui non poteva fare niente per salvarli. Temendo la collera del signore al suo ritorno, il servitore chiuse il Dott. nella stanza insieme con la famiglia morente. Al ritorno del Padrone, la porta fu aperta. Il Signore trovo' i corpi morti della moglie e del bambino, ma non il Dott. Dic. Il Dottore non fu piu' visto da quella notte. Il marito impazzì dal dolore e morì presto . Il suo fantasma e' ancora oggi alla ricerca del dottore disperso in quella famosa stanza e continuerà a farlo finché sara' trovato.
    (dal web)


    Le otto torri del castello di Conwy presidiano il cielo, e lo nascondono. Lo intuisco appena mentre cammino sulla strada principale della città omonima, e cerco l’ingresso della fortezza del Galles.
    Le sue mura, distese per oltre 1.273 metri, lungo la baia davanti al mare d’Irlanda, sono così impenetrabili da non distinguere l’entrata. Solo l’insegna sbiadita, vicino a un cartello stradale, la indica: la seguo e, fatte le scale in pietra, posso varcare la soglia del maniero voluto da Edoardo I d’Inghilterra. Era il 1283 quando il sovrano decise di costruirlo qui, nel nord ovest gallese nell’insenatura dove sorge questa cittadina di 14 mila abitanti, e affidò i lavori a James of St. George, uno dei più grandi architetti militari dell’epoca, e all’ingegnere Richard di Chester. Il motivo era semplice: il castello avrebbe fatto da presidio alle sue truppe.
    Durante la Seconda Campagna del Galles, le milizie inglesi erano riuscite a occupare la Snowdonia e la valle del fiume Conwy, e non intendevano arretrare per ridar voce e fiato alle volontà indipendentiste della regione guidata da Llywelyn ap Gruffud. Così, come spesso accadeva in quel periodo, gli uomini dei luoghi occupati vennero costretti a lavorare senza sosta alla struttura: nella sola estate del 1285, furono impiegate 1.500 persone. Due anni dopo il maniero era finito.
    L’interno del castello attuale è un insieme di ruderi, resti antichi e sfregiati di quella che fu la prima della quattro fortezze fatte costruire nel nord del Galles da Edoardo. Tutte insieme formavano il famoso “Anello di Ferro”. Eppure, ancora oggi, Conwy è una delle meglio conservate del Galles settentrionale. Forse anche per questo è inserita con gli altri manieri nella lista del Patrimonio dell’Umanità voluta dall’Unesco.
    Continuo ad aggirarmi tra le sue mura ferite dal tempo: pannelli esplicativi vicino alle pareti, raccontano la lunga storia fatta di scontri, battaglie, guerre combattute nella zona e del ruolo fondamentale del castello.
    Nell’autunno del 1294, fu usato dagli Inglesi come base per fermare la rivolta gallese capeggiata da Madoc ap Llywelyn. Per colpa della sua posizione sulla baia, ideale come presidio ma deleteria per le fondamenta, la costruzione rischiò il collasso. Solo nel 1346 venne avviata la prima opera di restauro per ordine di Edoardo il Principe Nero. Poco più di 50 anni dopo, il castello fu occupato dai seguaci di Owain Glyndŵr che lo tennero per sé sino al 1624 quando venne poi ceduto al Visconte di Conwy per la mirabolante cifra di 100 sterline.
    Il maniero perse definitivamente la sua funzione strategica alla metà del Seicento durante la Guerra Civile: per tre mesi del 1646 venne occupato dalle truppe repubblicane guidate da Oliver Cromwell. Da allora nessuno più ha pensato di restaurarlo. Oggi, il castello è gestito dal Cadw, l’organismo del governo gallese che ha lo scopo di proteggere, conservare e promuovere il patrimonio architettonico del Galles. Continuo il mio giro sino ad arrivare in cima a una delle otto torri che prima avevo visto dalla strada: 70 piedi di altezza che mi regalano il cielo di Conwy e la sua città distesa sotto i miei piedi.
    (Andrea Lessona, ilreporter)
     
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  8. gheagabry
     
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    "Un non so che di singolare soavità e di aristocratica serenità traspira dal castello di Chenonceau. Posto in fondo a un grande viale alberato, a una certa distanza dal villaggio che si trova rispettosamente in disparte, costruito sull'acqua, circondato da boschi, in mezzo a un vasto parco con dei bei prati, erge nell'aria le sue torrette, i suoi comignoli squadrati. Lo Cher passa mormorando sotto le sue arcate, i cui piloni appuntiti frangono la corrente. La sua eleganza è robusta e dolce, la sua calma è malinconica senza noia o amarezza".
    (Gustav Flaubert)


    CHENONCEAU.."il castello delle dame"


    Conosciuto sia per la bellezza dell'architettura rinascimentale, sia per la posizione sopra il fiume Cher, il castello di Chenonceau rispecchia i suoi diversi proprietari, tutte donne: placido e delicato, elegante e robusto. Un'apparizione sullo Cher, con il suo ponte a cinque arcate che scavalca il fiume. Il disegno originale fu voluto da Katherine Briçonnet, moglie del ministro delle finanze di Carlo VIII e Luigi XII, che ne affidò la realizzazione all'architetto Pierre d'Amboise. Il castello è costituito da tre diversi elementi. Il primo è il ponte con i suoi archi, sul quale è stata costruita l'ala più leggera dell'edificio. Il secondo elemento è il corpo centrale del castello. E per ultimo, a sinistra, una torre - ciò che è rimasto di una vecchia fortezza medioevale - solida, massiccia, grande, e che suscita una profonda sensazione di stabilità. Ciò che attira l'attenzione è il contrasto tra gli archi del ponte, così diafani e leggeri, e la base pesante della parte centrale. Questa mescolanza di fermezza, di stabilità e di delicatezza crea un contrasto armonico di qualità opposte, che accentua il fascino di questa parte dell'edificio. Sono questi tre elementi che rendono magico il castello e spiegano la sua bellezza.

    L'ingresso vero è altrove. La torre dei Marques, isolata su un'ampia corte quadrata, rappresenta, infatti, il mastio dell'antico edificio medievale, rivisitato secondo il gusto rinascimentale, con le sue grandi finestre bifore, la sua porta ornata, i suoi abbaini in pietra bianca e il suo campanile.
    All'interno la camera di Diane de Poitiers, la stanza di Francesco I che ospita il più grande camino del castello, la scalinata che è una delle prime scale diritte (rampa su rampa) costruite in Francia sul modello italiano, la stanza di Gabrielle d'Estrées, la stanza delle Cinque Regine, la stanza di Caterina de' Medici, la stanza di Louise de Lorraine con il suo rivestimento scuro e i dipinti religiosi macabri che evocano il lutto della moglie di Enrico III, il salone Luigi XIV, la grande galleria sullo Cher, le stupefacenti cucine costruite nei piloni del ponte, lo studio verde di Caterina de' Medici ...
    Il vestibolo rappresenta uno dei più splendidi esempi della scultura decorativa del Rinascimento francese. È sormontato da una serie di volte a ogiva le cui chiavi, sfalsate tra di loro, formano una linea spezzata.... La cappella, preservata durante la Rivoluzione Francese da Madame Dupin che ebbe l'idea di farne una legnaia, ospita un bassorilievo in marmo del XVI secolo raffigurante una Madonna con Bambino....Nella camera di Diana, si trovano un ritratto di Caterina de' Medici dipinto da Henri Sauvage, arazzi fiamminghi del XVI secolo e una Madonna con Bambino attribuita a Murillo.... Nello studio di Caterina de' Medici, detto anche "sala verde", il cui soffitto risale al XVI secolo, si trova un Arazzo di Audenarde (Oudenaarde) e dipinti di Jordaens e di Goltzius. Sempre al pianterreno, la camera di Francesco I. Sul camino rinascimentale si può vedere il motto di Thomas Bohier "S'il vient à point, me souviendra" ("Se andrà in porto, mi farà ricordare") nonché un graziosissimo mobile italiano del XV secolo incrostato di madreperla e avorio. Al primo piano si trova il vestibolo Catherine Briçonnet, con un pavimento di piastrelline in terra cotta, un soffitto a travetti a vista e pareti ricoperte di arazzi di Audenarde del XVII secolo.

    ...la galleria...


    Tra le tante novità giunte dall’Italia una di quelle destinate ai massimi fasti fu la ‘galleria’. Fino ad allora, le stanze dei castelli e dei palazzi non erano – per usare termini attuali –disimpegnate: al contrario, erano accostate tra di loro, e la porta di una stanza si apriva direttamente sulla stanza vicina. Con quanta intimità e con quale agio per gli abitanti è facile capire. Nel corso del Rinascimento si diffuse in Italia l’abitudine di allineare le stanze lungo un corridoio di disimpegno, in modo che per andare da una stanza a un’altra si potesse usare tale spazio, senza disturbare gli occupanti delle stanze intermedie. Questo corridoio portava il nome di ‘galleria’ e fu per lungo tempo, aperto sul lato esterno, finché nel corso del Seicento, con il progredire della tecnica vetraria, si prese l’abitudine di chiuderlo con ampi finestroni. Poiché questo nuovo locale era il primo che si incontrava nella casa, e godeva di abbondante luce, divenne consueto esporvi i pezzi pregiati della casa: statue, quadri, arazzi, mobili. Cosi il termine galleria acquisto il significato di raccolta d’arte che mantiene ancora. A Chenonceaux si ha uno dei primi esempi di galleria di questo tipo: un lungo ambiente senza più stanze da disimpegnare, che ha in sé la sua giustificazione, e poteva essere usato per esporre opere d’arte, passeggiare o ammirare il panorama del fiume. Dalla galleria, lunga 60 metri e larga 6, si aprono 18 finestre che si affacciano sullo Cher. Il pavimento a piastrelle di tufo calcareo e ardesia e il soffitto a travetti a vista ne fanno una magnifica sala da ballo. È stata inaugurata nel 1577 in occasione di un ricevimento dato in onore di re Enrico III.

    ..la storia..


    In origine nella tenuta sede dell'attuale castello si trovava un maniero che fu bruciato dalle truppe reali nel 1411 per punire il proprietario, Jean Marques, accusato di una cospirazione. Nel 1430 Marques ricostruì il castello insieme ad un mulino fortificato ma il suo erede, fortemente indebitato, nel 1513 vendette il castello a Thomas Bohier, tesoriere dei re Carlo VIII, Luigi XII e Francesco I. Bohier distrusse tutti gli edifici esistenti e diroccati tranne la torre di vedetta e tra il 1515 e il 1521 costruì un nuovo castello per la moglie, Catherine Briçonnet, che vi soleva intrattenere la nobiltà francese e in due occasioni ospitò anche re Francesco I. Alla morte di Bohier (1524) e della moglie (1526) il figlio Antoine dovette cedere il castello alla corona per pagare i debiti del padre.

    "A Chenanceau è passata la Storia, declinata soprattutto al femminile visto che è appartenuto a Diana di Poitiers , a Caterina de Medici , a Luisa di Lorena e a Louise Dupin per citarne alcune. Del contrastato rapporto tra le prime due “Dame” , Diana era la protetta del Re Enrico II mentre Caterina era la legittima consorte, rimangono a testimonianza i due grandi giardini rinascimentali posti ai due lati del cortile d’ingresso al castello. Quello di Diana , piu’ grande e magnificente decorato con volute di santolina , quello di Caterina più romantico, piccolo e raccolto dalle bordure di rose e lavanda . Enrico
    II regala il castello a Diana di Poitiers che lo amplia rispetto all’originale fino a collegare le due sponde del fiume Cher con un’architettura armoniosa e “femminile”che rimane direi unica nel suo genere. Fa costruire il grande giardino alla “francese” di 12.000 mq su una terrazza sopraelevata e circondata da muri per proteggerla dalle piene del fiume …..qui a Chenonceau c’è tutto il suo mondo ! Alla morte di Enrico II , nel 1559, Caterina, che era stata fino a quel momento “tollerante” , chiede a Diana di andarsene offrendole in cambio il castello di Chaumont ( mica poco !) . E qui entra in scena lei, consorte legittima ma mai completamente apprezzata, che da questo momento aumenterà il suo potere e la sua influenza sulla storia: come madre di tre sovrani ( Francesco II, Carlo IX e Enrico II ) oltre che di due regine ( Elisabetta e Margherita ) e come reggente al trono si prende una rivincita su chi l’ha sempre un po’ dileggiata . Amante dell’arte e di gusti raffinati, fa ampliare il Parco e installare il suo elegante giardino di rose e bosso oltre al labirinto di gusto italiano, costituito di 2000 piante di tasso,in una radura del bosco."(rossana-parizzi-garden-designer.info)

    Alla fine del Cinquecento Chenonceaux fu la posta in gioco di una lotta serrata e alquanto complicata. Alla sua morte, nel 1589, Caterina de’ Medici aveva lasciato in eredità alla nuora Luisa di Lorena, moglie di Enrico III, la proprietà del castello. Purtroppo, il sovrano fu assassinato lo stesso anno, e Luisa apprese proprio a Chenonceaux la funesta notizia che la privava dell’adorato marito. Decise quindi di ritirarsi in stetta vedovanza nel castello, scomparendo dalla corte. L’amante del nuovo re, Gabrielle d’Estrées, bramava di impossessarsi della splendida proprietà, ed esercitò tutto il suo potere per riuscirci. Fu organizzata allora una complicatissima serie di scambi, secondo quale Luisa cedeva il castello alla nipote, Francesca di Lorena, di sei anni. Questa, a sua volta, veniva promessa in sposa al figlio naturale di Enrico IV, César de Vendòme, di quattro anni. In tal modo Gabrielle d’Estrées poteva avere il castello, nominalmente del figlio. Luisa fu invece indennizzata con l’usufrutto a vita del feudo d’origine del re, il Borbonese, dove morì nel 1601. Chenonceaux passò cosi ai Vendòme, cui rimase fino al 1720.

    Abitò anche Madame Dupin, bisnonna della scrittice George Sand, donna di lettere ed amica degli Illuministi che vi teneva importanti salotti letterari. Il castello apparteneva proprio a lei al momento della Rivoluzione francese ed è grazie al fatto che questa aristocratica si dimostrava di buon cuore con la gente del popolo, che Chenonceau ha superato praticamente indenne la terribile prova. L'ultima Dama importante è colei che lo acquisì nella seconda metà del 19° secolo, Madame Pélouze.

    Non mancano aneddoti accaduti negli anni passati, come l'episodio avvenuto durante la Prima Guerra Mondiale quando all'interno della lunga galleria fu installato un ospedale provvisorio in cui furono curati 2254 feriti, come testimonia anche la targa commemorativa sulla parete. Durante la Seconda Guerra Mondiale poi diverse persone per guadagnare la libertà sfruttarono la posizione privilegiata della galleria, la cui porta sud comunicava con la zona libera, mentre l'entrata del castello si trovava in zona occupata.
     
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  9. gheagabry
     
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    “Chambord ha solo una scala, quella doppia, per scendere e salire senza incontrarsi. Tutto è fatto per i misteri della guerra e dell’amore. L’edificio si schiude rivelandosi a ogni piano; i gradini si alzano accompagnati da piccole scanalature come gli scalini nelle torrette di una cattedrale. Come un fuoco di artificio che scoppia e ricade, così sembrano caduti sull’edificio i suoi fantastici disegni: comignoli quadrati o rotondi, abbelliti con feticci di marmo, simili alle bambole che ho visto tirar fuori dagli scavi di Atene.
    Da lontano l’edificio è un arabesco; si presenta come una donna a cui il vento ha scompigliato i capelli; da vicino, la stessa donna si incarna nella muratura e si trasforma nelle sue torri; è Clorinda appoggiata sulle rovine. Il capriccio di uno scalpello volubile non è scomparso; la leggerezza e la finezza dei tratti si ritrovano nel simulacro di una guerriera morente. Quando entrate, il fiore del giglio e la salamandra si disegnano sui soffitti. Se mai Chambord venisse distrutto, non si troverebbe più da nessuna parte lo stile originario del Rinascimento, perché a Venezia s’è mischiato con altri. Quel che dava a Chambord la sua bellezza era il suo abbandono…”.(Chateaubriand)


    Il castello di CHAMBORD


    Esempio di “ciò che può l’ingegnosità umana” per Carlo V, “sogno realizzato” per Alfred de Vigny, “donna a cui il vento ha scompigliato i capelli” per Chateaubriand, palazzo d’Alcina e di Clorinda, Chambord continua a ispirare paragoni elogiativi o poetici. La sagoma straordinaria irta di torrette e comignoli, la luce della valle della Loira che gioca sulle pietre, l’immenso parco popolato di cervi e cinghiali: tutto concorre alla magia del luogo. Ma, più di tutto questo, Chambord è un sogno architettonico destinato a magnificare la grandezza di Francesco I e la potenza del suo regno.

    Il Castello è impressionante per le sue dimensioni, la sua pianta globale ricorda quella di una fortezza medievale. Forma un rettangolo di 156 metri di larghezza per 117 di lunghezza, ai cui angoli si trovano 4 torri rotonde (di 20 metri di diametro) e circondato da un fossato. All'interno di questo si trova un edificio a pianta quadrata (ogni lato misura 43 metri) anch'esso dotato di 4 torri rotonde. La facciata principale è la sintesi dei due edifici con le sue quattro torri ricoperte di alti tetti; gli elementi difensivi sono assenti e sono sostituiti da balconi che permettono di seguire in lontananza lo svolgimento della caccia. Francesco I passò una buona parte della sua infanzia nel Castello di Amboise, mentre dall'inizio del regno risiede spesso a Blois con la moglie Claudia.
    Quando dedice di far costruire questo Castello per la caccia sceglie un luogo paludoso in cui vi era già una precedente costruzione: deve quindi fare in modo che il terreno possa sostenere il peso del nuovo Castello e per questo farà piantare numerosi pali di legno, lunghi circa 10 metri, sopra i quali realizzerà una piattaforma che servì poi da base al Castello. Lavorarono contemporaneamente fino a 2 000 operai. Fra i nomi di coloro che parteciparono alla costruzione vanno citati: Domenico da Cortona, Jacques e Denis Sourdeau, Pierre Neveu, Jacques Coqueau e Pierre Trinqueau. Sul vetro del suo studiolo Francesco I, dopo una disputa con Madame d'Etampes, sua favorita, incise con il diamante del suo anello la celebre frase "Souvent femme varie, bien fol est qui s'y fie". Questa frase fu cancellata da Luigi XIV in segno di rispetto per la sua favorita Mademoiselle de la Vallière.
    LE CIFRE DI CHAMBORD: 20 000 m2 di superficie - 440 stanze (più grande Castello della Loira) - 365 camini e comignoli (solo i disimpegni ed i passaggi non ne hanno) - 77 scale di cui 13 principali - 117 m di lunghezza - 156 m di larghezza - corpo centrale: ogni facciata misura 43 m - 800 capitelli
    700 salamandre - Parco di 5 500 ha (può contenere Parigi), circondato da un muro lungo 32 km.

    L’architetto del castello di Chambord resta ancora oggi sconosciuto, ma appare evidente l’intervento di Leonardo da Vinci nel progetto generale del castello. Chiamato da Francesco I nel 1516 per concepire il disegno di un vasto palazzo, Leonardo dapprima lavora alla progettazione di una residenza per Romorantin. Dopo l’abbandono di questo progetto, l’interesse del re si rivolge a Chambord. Se Leonardo non ha lasciato un vero disegno di Chambord, i suoi taccuini contengono numerosi schizzi che possono essere messi in relazione col castello. L’idea di una pianta centrale e regolare, le ricerche sulle scale a più eliche, la sagoma generale dell’edificio si trovano a più riprese nei suoi schizzi. Tuttavia non è Leonardo che realizzerà Chambord; infatti muore solo qualche mese dopo la decisione di iniziare il cantiere. Bisogna dunque supporre che un altro italiano fra i suoi intimi, forse Domenico da Cortona, fosse a conoscenza delle sue ricerche e le abbia in seguito realizzate.


    “La base di questo strano monumento è, come esso stesso, piena di eleganza e di mistero: è una doppia scala che si innalza in due spirali intrecciate fino al di sopra delle più alte guglie e finisce con una lanterna a giorno, incoronata da un giglio colossale che si vede da molto lontano; una scala tanto grande che due uomini possono salirvi allo stesso tempo senza vedersi. Questa scala, da sola, sembra un piccolo tempio isolato; come le nostre chiese, è sostenuta e protetta dalle arcate delle sue ali sottili, trasparenti e, per così dire, ricamate. Si potrebbe credere che la pietra si sia piegata sotto le dita dell’architetto; essa sembra, se si può dire, impietrita secondo i capricci della sua immaginazione. Si può appena immaginare in che modo siano stati tracciati i disegni e in quali termini siano stati dati gli ordini agli operai; sembra un pensiero sfuggente, una brillante fantasticheria che di colpo si è materializzata. E’ un sogno realizzato”.
    (Alfred de Vigny Cinq-Mars 1826)


    ...lo Scalone...



    Se a San Pietro il centro dell’edificio è occupato da una cupola, a Chambord al centro della pianta a croce greca c’è una scala straordinaria. L’idea di fare della scala il pezzo principale dell’edificio non è cos“ nuova in Francia. Fin dal Medioevo la tradizione di grandi scale a chiocciola ha fornito alcuni capolavori, come le scale di Blois; quella di Luigi XII e quella di Francesco I sono, all’epoca, gli esempi più recenti. A Chambord, la posizione della scala al centro geometrico del castello e, soprattutto, la sua forma a doppia elica non la collegano a questa tradizione ma piuttosto alle idee di Leonardo da Vinci. I taccuini del maestro racchiudono, infatti, molti schizzi che mostrano delle scale a doppia o addirittura a quadrupla elica. Non vi è dubbio che proprio le idee di Leonardo siano state utilizzate nella realizzazione di questa scala inedita, nella quale le due rampe si sovrappongono senza mai incontrarsi attorno a un grande centro vuoto che permette alle persone di vedersi da una rampa all’altra.

    L'ingresso al castello è sul lato sud-est, dove la porte Royale immette nella corte d'onore. La pianta del castello si sviluppa attorno alla costruzione chiamata donjon anche se Chambord non ha mai avuto vocazione difensiva, a sua volta centrata attorno allo scalone principale a doppia elica. Dallo scalone si dipartono quattro grandi vestiboli disposti a croce che permettono l'accesso ad otto appartamenti: uno in ognuna delle quattro torri ed altri quattro ad occupare gli spazi tra le torri stesse ed i vestiboli. La stessa disposizione si ripete su tre piani. Lo scalone a doppia elica al centro dell'edificio principale rivela lo stile di Leonardo. Percorrendolo fino all'ultimo piano raggiungibile si ha accesso alla terrazza, anch'essa ispirata da un'idea di Leonardo, che offre una stupenda visione del fiume, del bosco circostante il castello e dei numerosi camini e capitelli che ornano la costruzione.

    ....la storia....



    Prima del 1518 esisteva nel sito una fortezza proprietà dei Conti di Blois. Francesco I decide verso il 1518 di costruire un Castello per la caccia in Sologne, zona famosa per le sue distese ricche di selvaggina. Gli architetti più prestigiosi si misero al lavoro su questo progetto, fra questi anche Leonardo da Vinci e lo stesso Re, appassionato di architettura, propose le sue idee. Il faraonico cantiere debuttò con la costruzione della parte centrale, chiamata "maschio". Chambord dovrà essere un compromesso tra il movimento artistico italiano e il castello medievale tradizionale.
    Paradossalmente, mentre le casse dello Stato erano perennemente a secco, il Re non lesinava assolutamente sulle spese quando si trattava di Chambord; voleva inizialmente costruirlo tutto in marmo, ma questo materiale non è presente nella zona e importarlo sarebbe stato troppo oneroso (così lo fece in pietra tufacea della zona e per imitare le venature del marmo realizzò degli inserti in ardesia); per un momento immaginò di deviare il corso della Loira (passava a 4 km di distanza) e di portare l'acqua del maestoso fiume ai piedi del Castello: gli ingegneri lo dissuasero e si accontentò quindi di deviare il corso di uno dei suoi piccoli affluenti, più vicino e meno capriccioso, il Cosson. La decisione ufficiale di costruire l'edificio venne presa il 6 settembre 1519 e i lavori continuarono durante tutto il suo Regno. Furono interrotti solo nel 1524 e 1525, poi dopo la sua disfatta di Pavia, durante la prigionia spagnola. Il parco accolse le sue battute di caccia private.
    Francesco I vi soggiornò solo 42 gg (27 notti) in 32 anni di regno!! Suo figlio Enrico II proseguì l'opera paterna, ma non riuscì a terminare il Castello. Luigi XIII lo dette, assieme alla Contea di Blois, a suo fratello Gastone d'Orléans che fece erigere nel 1645 il muro di 32 km che circonda tutt'ora il possedimento. Il Re che vi soggiornò più spesso fu Luigi XIV che durante i suoi soggiorni (8, di tre settimane ciascuno, fra il 1660 e il 1685) fece allestire magnifici appartamenti per se e per la Regina. Molière, amico del Re Sole, vi rappresentò per la prima volta "Il borghese gentiluomo" (1670) e "Monsieur de Pourceaugnac". Il cantiere di costruzione terminò soltanto nel XVII secolo.
    Chambord non viene concepito come simbolo della potenza reale ma come residenza privata del sovrano. Carlo V è il solo sovrano estero, nell'esercizio delle proprie funzioni che venne ricevuto a Chambord nel 1539: egli attraversava la Francia per recarsi nelle Fiandre e Francesco I propose al suo grande rivale di ospitarlo a Chambord. Seppure il Castello non fosse terminato, Carlo V rimase colpito dalla bellezza e dalla sontuosità. Malgrado l'importanza dei lavori iniziati, furono pochi i sovrani che soggiornarono a Chambord e dopo ogni visita, quando la Corte se ne va, anche il Castello viene vuotato dei mobili (la corte era itinerante ed il mobilio si spostava con essa). Fu il XVIII secolo che vide il Castello più spesso abitato. In questo periodo comincia a dotarsi di arredi e decori permanenti, che non seguivano la corte quando si spostava: i principali appartamenti ricevettero mobili provenienti dal guarda-mobilio di Versailles, per il confort degli illustri ospiti. Dal 1725 al 1733 il castello è abitato dal deposto Re di Polonia Stanislas Leszczynski, suocero di Luigi XV, con la moglie Caterina Opalinska (egli però non vi passava l'estate, in quanto il Castello era infestato dalle zanzare: si trasferiva quindi nel vicino Castello di Menars). Dal 1748 al 1750 gli succedette il Maresciallo Maurice de Saxe, nominato Governatore a vita di Chambord come ricompensa per la sua vittoria nella Battaglia di Fontenoy contro gli inglesi. Il Maresciallo fa terminare le scuderie di Mansart, fino ad allora incompiute, per destinarle al reggimento dei Saxe-Volontari e crea un Maneggio Reale. Nel 1784, il nuovo governatore, Marchese di Polignac, procedette ad alcune risistemazioni. Abbandonato, Chambord si degrada rapidamente. La Rivoluzione Francese lo trasformò succesivamente in deposito per il foraggio, atelier di fabbricazione delle polveri e prigione. Nel 1802 viene affidato al Maresciallo Augereau per essere la sede della 15a coorte della Legion d'Onore. Nel 1809 il Maresciallo Berthier, principe di Neufchatel, ricevette da Napoleone I, il Castello, come ricompensa dei suoi servigi.
    La sua vedova lo vendette nel 1821. Chambord fu implicato un ultima volta nella storia di Francia dopo la disfatta del 1870-1871 e la caduta del Secondo Impero, quando si pose la questione del restauro della Monarchia, caldeggiata da un forte partito monarchico comandato dal Maresciallo Mac-Mahon. Venne richiamato in Francia Enrico Duca di Bordeaux e Conte di Chambord (nipote di Carlo X) esiliato dal 1830 in Austria. Egli scelse subito di vivere nella dimora di cui portava fieramente il nome e nel 1871 pubblicò un "Manifesto ai Francesi" nel quale rifiutava di riconoscere la bandiera tricolore e proclamava l'attaccamento alla bandiera bianca dei suoi antenati. Questa intransigenza gli costò però il trono, perchè la Francia scelse definitivamente la via repubblicana (1873). Enrico di Chambord ritornò in Austria dove morì nel 1883. Nel 1840 Chambord è iscritto alla prima lista dei Monumenti Storici. A partire dal 1881 viene restaurato per 11 anni da Louis Victor e Victor Desbois, sotto la supervisione delle Belle Arti. Nel 1914 il Castello viene posto sotto sequestro e in seguito acquistato dallo Stato nel 1930.
    Nel 1947 il Parco divenne riserva nazionale di caccia. Nel 1981 il sito viene iscritto alla lista del patrimonio mondiale UNESCO; dal 2000 sono invece 250 km lungo la Loira ad essere stati iscritti a questa lista, ovviamente ne fa parte anche il Castello di Chambord.
    (reves-et-voyages.eu)


    Lungo il poggio curvo e le nobili valli
    i castelli sono disseminati come repositori,
    e nella maestà dei mattini e delle sere
    la Loira e i suoi affluenti se ne vanno per i loro sentieri.
    Centoventi castelli fanno loro da seguito cortese,
    più numerosi, più nervosi, più fini dei palazzi.
    Portano i nomi di Valençay, Saint-Aignan e Langeais,
    Chenonceaux e Chambord, Azay, Lude, Amboise.
    (Charles Péguy)

     
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  10. gheagabry
     
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    CASTELLO di CAERLAVEROCK



    Il Castello di Caerlaverock si trova nella riserva naturale dell'Estuario del Solway, non lontano dalla città di Dumfries in Scozia; la costruzione risale al tardo XIII secolo.



    Il castello di Caerlaverock è un castello di forma triangolare, circondato da un fossato. Anticamente il castello era di proprietà del Clan Maxwell mentre ora appartiene all'Historic Scotland ed è una grande attrazione turistica. I costruttori della struttura furono gli uomini dei Maxwell le cui origini vanno rintracciate in Maccus che diede il nome al clan nel corso dell'XI secolo, il nipote di questi, John de Maccuswell (morto nel 1241) è registrato come il primo proprietario del castello che rimase in mano alla famiglia per secoli passando talvolta attraverso linee di parentela collaterali. Robert de Maxwell di Caerlaverock (morto nel 1409) fece ricostruire parte dell'edificio e gli successe Herbert Maxwell (morto nel 1420) che sposò Katherine Stewart.



    .....la storia.....

    Il castello non sorse sul niente, al suo posto era già stato costruito secoli addietro un forte romano ed uno dei britanni era stato in uso sulla collina nei pressi fino al 950. Intorno al 1220 re Alessandro II di Scozia diede a John de Maccuswell i diritti su quelle terre designandolo come Guardiano dei Confini occidentali. John provvide quindi ad innalzare il castello a circa 200 m. rispetto a dove sorge quello visibile attualmente, lo costruì in pietra, uno dei primi ad essere costruito in quel modo. L'edificio venne circondato da un fossato con un ponte che dava l'accesso sulla parte nord, di questa parte originale rimane poco più che qualche muro perché nel 1270 suo nipote Herbert lo ricostruì quasi del tutto. Essendo così vicino ai confini con l'Inghilterra Caerlaverock dovette essere sempre ben difeso e numerose volte dovette affrontare degli attacchi, uno di questi fu l'assedio compiuto nel 1300 da Edoardo I d'Inghilterra che portò con sé 87 baroni ed anche diversi nobili provenienti dalla Bretagna e dalla Lorena.




    Allora il castello era nelle mani di Eustace Maxwell che riuscì a respingere gli attacchi inglesi diverse volte, quando alla fine furono costretti ad arrendersi si scoprì che poco più di sessanta uomini erano riusciti a tenere la propria posizione per così tanto tempo. Qualche anno dopo Caerlaverock venne ridato ad Eustace che fu un sostenitore della causa di Giovanni di Scozia e nel 1312 ricevette da Edoardo I la somma di 20£ per meglio difendere la zona. Più tardi comunque Eustace si schierò con Robert Bruce ed Edoardo lo assediò nuovamente questa volta con maggior successo tanto che Eustace non volendolo far cadere in mano inglese lo fece smantellare, gesto che gli fruttò una ricompensa da Bruce.



    L'edificio fu di nuovo parzialmente ricostruito nel XV secolo e nel 1640 i Maxwell dovettero affrontare un altro assedio questa volta contro i protestanti al termine del quale abbandonarono il castello definitivamente. La battaglia demolì il muro meridionale e la torre così come si vedono oggi.















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    IL CASTELLO di BARADELLO



    Il Castel Baradello sorge sull'omonimo colle (430 m s.l.m.) che domina la città di Como, chiudendo sul lato sud-ovest la convalle.
    Dal colle si gode un panorama mozzafiato: lo sguardo spazia a 360° dal lago alla città, dalle cime delle Alpi alla pianura Padana fino agli Appennini: il suo massiccio torrione a base quadrata è ben visibile per chi giunge a Como.
    L'origine etimologica del toponimo Baradello è riconducibile alla radice indoeuropea bar che significa luogo elevato. La posizione del Baradello all’imbocco della strada proveniente da Milano e dominante un largo tratto della campagna che si stende verso quella città, costituiva un valido punto d’appoggio presso il popolo comasco. A giudicare dai ruderi che tuttora si vedono, il Castello era formato da una grossa torre quadrata, da un edificio per l’abitazione, detto palazzo, con annessa anche una chiesetta dedicata a S. Nicola, da due grandi cisterne per la riserva dell’acqua e da una doppia cerchia di mura.

    Il primo ordine di mura che circonda la torre è la struttura più antica, di epoca bizantina, del VI - VII secolo. Lo storico Giorgio di Cipro nella sua "Descriptio orbis romani" del 604 accenna al castron Baractelia insieme al castron Leuci (Lecco), al castron Marturion (Castelmarte) ed all'Isola Comacina. Tutte queste fortificazioni erano inserite in un complesso sistema defensivo di confine chiamato Limes bizantino.
    La posizione del complesso è tale che da qualsiasi punto della città murata è possibile scorgerlo.



    .. la storia ..

    L'abitato protostorico di Comum Oppidum era situato nel primo millennio a.C. sul versante sud delle colline poco distanti dal Baradello, in località oggi chiamata Pianvalle. Numerosi ritrovamenti archeologici ci attestano la frequentazione del colle, già in epoca preromana, dai primi abitanti comensi come centro abitativo organizzato, da un'epoca fra il IX secolo a.C. alla conquista romana. I reperti vengono collegati, come tutto l'ambito circostante, alla Cultura di Golasecca di cui Como era il centro principale del corso dei secoli VI - IV a.C. svolgendo un importante ruolo di collegamento culturale e commerciale tra la civiltà etrusca e quella celtica d'oltralpe.
    Nel 196 a.C. Comum Oppidum venne conquistato dall'esercito romano condotto dal console Marco Claudio Marcello. Dopo un secolo di progressiva e pacifica romanizzazione, Como venne ricostruita ex novo da Gaio Giulio Cesare nel 59 a.C. nella sede dove oggi è situata, prendendo il nome di Novum Comum.
    La frequentazione del colle in quest'epoca è documentato dal ritrovamento di monete: era un'area fortificata che svolgeva la funzione militare di avvistamento e segnalazione, oltre che di controllo viario e daziario: alle falde del Baradello, transitava la via Regia che collegava Como con Milano a sud e proseguiva a nord lungo le rive del lago verso i valichi alpini e la Germania.
    La funzione militare del colle continua anche col mutare delle situazioni strategiche e tattiche. Nel periodo dell'ultima romanità, il magister militum Francione riesce a prolungare la resistenza bizantina contro l'invasione longobarda per un ultimo ventennio accastellandosi sull'Isola Comacina fino alla resa del 588. Le più antiche strutture conservate, cioè la cerchia di mura interna, risalgono a questo periodo storico. Da qui fino al XII secolo non si hanno notizie.
    Durante la Guerra decennale (1118-1127) tra Como e Milano i Comaschi salivano tuti (protetti) al colle per trovarvi rifugio, forse sfruttando gli antichi percorsi preistorici di sella, dove sulla cima esistevano ancora i resti delle costruzioni bizantine. Il 27 agosto 1127, a conclusione del conflitto, Como è assediata dalle forze milanesi ed incendiata, le mura e le abitazioni distrutte, gli abitanti dispersi. Non si conoscono le sorti del Baradello.
    Attraverso l'alleanza con Federico Barbarossa, Como trova negli anni seguenti l'occasione di ricostruirsi e di aspirare all'egemonia perduta. Con l'aiuto dell'Imperatore nel 1158 riedificò ed ampliò le mura della città con le sue imponenti torri di Porta Torre, Torre di San Vitale e Torre di Porta Nuova (o Torre Gattoni) e restaurò il Castel Baradello potenziandolo con la costruzione della poderosa torre e delle altre strutture.

    Sulla testimonianza di Corrado da Liechtenau (sec.XII), abate Uspergese, riconobbe che la costruzione del Castel Baradello è opera di Federico Barbarossa, il quale dopo aver accordato per la prima volta la pace a Milano nel 1158, venne a Como, fece riedificare la città e sopra di essa

    “castrum construxit, muris et turribus munitum,
    quod Paratellum Teotonici vocant,
    ubi Mediolanensium declinare possit incursus
    et in praessidiis milites teutonicos collocavit”


    Di fronte ad una si chiara ed esplicita testimonianza, di un cronista contemporaneo del Barbarossa, cade ogni altra ipotesi sulla vera data di costruzione del nostro castello, quale esso tuttora si vede, sebbene assai rovinato dal tempo e dalle vicende della sua storia.
    Tale data inoltre è confermata dalle caratteristiche tecniche di costruzione che quei ruderi ancora presentano, caratteristiche proprie del secolo XII in cui l’arte della costruzione rivela già una notevole evoluzione nella sovrapposizione dei corsi o strati costruttivi e nella squadratura dei massi, lavorati a quattro fili e lasciati grezzi sulla faccia anteriore, come si vede anche nelle tre torri, quasi coeve, che s’innalzano sulle mura della città. In questi anni di effimera gloria, Como ebbe la sua vendetta partecipando all'assedio ed alla distruzione della città di Milano nel 1162 e dell'Isola Comacina nel 1169. Infine a Legnano nel maggio 1176 gli alleati della Lega Lombarda sconfiggono definitivamente l'esercito imperiale. Con un diploma datato 23 ottobre 1178 Federico Barbarossa dona alla Chiesa ed alla Comunità di Como in premio della loro fedeltà il Castello Baradello insieme alla Torre di Olonio. Nel secolo XII, secolo d’oro per la nostra libertà comunale, il Castello Baradello figura come elemento di primo piano nella vita politica di Como. Il neo comune, assicurate ormai le proprie rivendicazioni territoriali, accertati i propri poteri giurisdizionali, puntò i suoi sforzi sul proprio ordinamento dotandolo di sagge norme statuarie. La libertà comunale però, minata dalle discordie civili, non tardò molto a cedere alle mire espansionistiche dell’ambizioso signore di Milano. Como cessò allora di essere un comune autonomo e come sul dirsi, un comune stato, per divenire la provincia di un altro tipo di stato a base regionale. In virtù di questa nuova condizione politica tutti i poteri passarono nelle mani di Azzone Visconti il quale decretò la riforma generale degli statuti e diede un nuovo assetto ai luoghi fortificati. Vennero, infatti, da lui a rafforzare Porta Torre e Porta Nuova e costruita, nell’angolo nord-est della città, la cosiddetta Cittadella includendovi il castello della Torre Rotonda ed il Pretorio. Dalla morte di Galeazzo Visconti (1402) mentre i suoi figli Gianmario e Filippo erano ancora impuberi, Franchino II Rusca approfittò per instaurare in Como una nuova signoria, risollevando gli antichi odi di parte fra Rusconi e Vitani, gettando nuovamente la città nella guerra civile e coi Visconti di Milano. Seguirono anni di devastazioni, stragi e incendi, finché nel 1416, Lotario Rusca , figlio e successore di Franchino, temendo la potenza di Filippo Visconti, gli cedette la signoria di Como con tutti i suoi fortilizi tra quali sono specificati la Cittadella, il Castello della Torre Rotonda, quelli di Porta Torre e Porta Nuova, il Castel Baradello e quello di Tresivio in Valtellina, ricevendone in compenso 16000 fiorini d’oro e la nomina a Conte della Valle di Lugano. Da allora tutte le spese riguardanti le fortificazioni rimasero della camera ducale, compresi gli stipendi ai castellani.
    Nel 1449, mentre Francesco Sforza cingeva d’assedio Milano e i canturini molestavano i comaschi con continue guerriglie, questi fortificarono di nuovo la città e i sobborghi, soprattutto Porta Torre e il Bastione del Pasquerio, munendo le mura di 28 bombarde ed innalzando le acque del fossato che le circondava, moltiplicando le guardie alle porte, alle torri e al molo; collocarono inoltre un conestabile con 24 soldati alla custodia del Baradello, distribuirono armi e munizioni ai castelli di Nesso, Morbio, Tavernerio, Torre di Casnate, Civello e posero guardie a Castelnuovo e sul monte Goi per spiare le mosse dei nemici. Caduta Milano nelle mani dello Sforza il 26 febbraio 1450, anche i comaschi decisero di sottomettersi e mandarono degli ambasciatori al duca per trattare le condizioni. Da oculato principe, Francesco Sforza non solo non distrusse i fortilizi comaschi, ma li riorganizzò, affidandoli a ufficiali militari di sua completa fiducia e alla sua totale dipendenza.
    Nell’ottobre 1525 Como era occupata da Don Pietro Arias, inviato da Antonio
    de Leyva, con 200 spagnoli. Questi, nominato nel 1526 governatore della città, si accingeva a difenderla contro le forze alleate di Francesco I re di Francia, Clemente VII e i Veneziani che tendevano a rimettere Francesco II Sforza nel possesso del ducato di Milano; dopo l’arrivo in Italia del maresciallo di Lautrec con nuove forze dalla Francia (Agosto 1527), trovandosi gli spagnoli ridotti a mal partito, ricevettero l’ordine da Antonio de Leyva di smantellare i fortilizi comaschi tra cui il Castello Baradello, per impedire che cadessero nelle mani del nemico. Il castello, così smantellato, attesta il Giussani, passò con tutto il colle e i beni annessi in proprietà privata, ed in principio del 1600 ne troviamo in possesso i Monaci Gerolomini, dai quali nel 1773 fu trasferito alla nobile famiglia milanese Venino.




    Interessante e ricco di fascino, il castello di Baradello è una di quelle molte testimonianze che l’Imperatore Federico I lasciò sul suolo italico durante le estenuanti lotte che lo videro impegnato numerosi anni contro i comuni, i quali cercavano una loro indipendenza dal Sacro Romano Impero. Interessante, e inquietante allo stesso tempo, è la cripta della torre, nel quale è stata allestita una stanza di torture, come doveva essere stata nel medioevo, quando l’inquisizione era l’incubo di quelli che venivano additati come maghi e streghe, o semplicemente personaggi politici “scomodi”. Nel 1233 si insedia a Como l’ordine dei Domenicani, che sarà l’anima dell’Inquisizione. Questo è il periodo della lotta tra Guelfi e Ghibellini, tra Torrioni e Visconti. A Como le lotte civili iniziano formalmente nel 1250, quando i Rusca scacciano i Vittani, che però nel corso dello stesso anno passano al contrattacco. Nel 1277 viene combattuta la famosa battaglia di Desio. I capi guelfi sono sconfitti. Il più celebre di loro, Napo Torriani, finisce appeso in gabbia al Baradello, dove muore dopo diciannove mesi di prigionia, nel 1278. Chissà che il suo fantasma non aleggi ancora agonizzante tra le mura della torre… Nel 1287 sotto tortura Rogerio Damiano confessa un complotto per eliminare l'arcivescovo. Così come accadde a lui, molti altri vennero torturati e uccisi nella torre, ma il loro ricordo si è perso nei meandri della storia. (Giorgio Pastore)

    Episodio meno conosciuto invece è quello di Napo Torriani, sotto molti punti di vista simile alla storia del conte Ugolino della Gherardesca di cui parla il Sommo Poeta nella sua Comedia. Il Torriani succede al cugino Filippo (1265) come leader del partito guelfo lombardo, divenendo signore di Milano e contemporaneamente podestà di Como, mentre il fratello Raimondo siede sulla cattedra che fu di S.Abbondio; avversari della Torre sono i Visconti con a capo Ottone, arcivescovo del capoluogo meneghino. Questi, in seguito alla battaglia di Desio (1277), imprigiona Napo insieme con il figlio, il fratello e i quattro nipoti in gabbie appese all’esterno della torre del Baradello, così come nell’Inferno del Durante (perché, badate bene, Dante è una contrazione, come Napo per Napoleone) Ugolino ci racconta di essere stato rinchiuso (1289) nella torre della Muda, a Pisa, dal vescovo Ruggeri con i figli e i nipoti. Gli eventi comaschi si concludono in maniera meno tragica di quelli toscani: l’unico a perire è Napo, inumato poi nella chiesa di S. Nicola, mentre gli altri prigionieri vengono liberati l’anno successivo. Altre vicende vedono protagonista il forte, che con il passare del tempo muta la propria architettura per rispecchiare il colore politico dei castellani che si succedono nel suo controllo. Così le merlature guelfe lasciano il posto a quelle ghibelline, le feritoie per le balestre alle bombarde, un’altra torretta compare con i dominatori iberici che alla gente del Lario non fecero del gran bene, come ricorda il Manzoni nella sua opera antiasburgica, tanto che nel 1527 Don Pietro Arias fece smantellare il Baradello per paura che fosse conquistato dalle truppe francesi. (Jacopo Borghi, bagaidecomm.com)



    Edited by gheagabry - 4/6/2013, 22:55
     
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    Castello di Stalker, la casa-torre di Scozia



    Dal ciglio della A828 guardo il castello di Stalker riverberarsi nel Loch Laich, lago specchio che imprigiona la piccola isola su cui sorge il maniero. È lì, nel mezzo delle acque lacustri circondate dalle Highlands, che svetta una delle case-torri a quattro piani più famose di Scozia.

    Il suo nome deriva dal gaelico “Stalcaire”, parola che nella nobile e antica lingua dei Celti significa “cacciatore” o “falconiere”: mestieri entrambi degni di rispetto e valore per una popolazione che faceva del combattimento e della caccia prerogative importanti.



    La posizione del castello di Stalker subito a nord di Port Appin è una cartolina dipinta dall’uomo e dalla natura: il primo ha scelto un luogo difficilmente accessibile che la seconda ha modellato con sapienza nei secoli.

    La casa-torre è circondata dalle acque del Loch Laich, insenatura del Loch Linne, vicino all’isola di Shuna. Tutt’intorno, le Highlands cariche di nuvole gonfie e pioggia la cingono in una corona preziosa.

    Ecco perché il castello di Stalker è uno dei manieri più fotografati di Scozia. Anche se bisogna stare attenti a non farselo sfuggire mentre si guida sulla A828, la strada che dalla cittadina costiera di Oban porta al lago di Glen Coe nella regione dell’Argyll.

    Grazie al poco traffico, ho potuto scegliere una buona posizione parcheggiando la mia macchina a nolo sul ciglio della carreggiata. Mi sarebbe piaciuto scendere dalla riva per vedere ancora più da vicino la casa-torre e camminare sul sentiero.




    Purtroppo l’alta marea delle acque lacustri lo ha sommerso come ogni giorno a quest’ora. E mi ha negato il desiderio di toccare le mura del castello di Stalker la cui storia è molto conosciuta qui Argyllshire, una delle contee tradizionali della Scozia.

    In origine la struttura era una piccola fortificazione eretta nel 1320 dal Clan MacDougall, signori di Lorn. Nel 1388 gli Stewart si impadronirono del vecchio distretto e nel 1440 costruirono la casa-torre nella forma attuale.

    I re Giacomo IV e Giacomo V divennero ospiti abituali del castello di Stalker che nel 1620 passò al Clan Campbell per una scommessa. Nei secoli a venire altri cambi di proprietà peggiorarono le condizioni dell’edificio, abbandonato nel 1840 a seguito del crollo del tetto.

    Poi nel 1908 fu di nuovo acquistato da uno Stewart, che intervenne con lavori di tutela e mantenimento. Nel 1965 D. R. Stewart Allward lo comprò a titolo definitivo e in dieci anni lo restaurò tutto.

    Nonostante sia di proprietà privata, ogni tanto è possibile visitare – ma solo su appuntamento preso con largo anticipo – la casa-torre a quattro piani.






    di Andrea Lessona

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    IL CASTELLO DI MALAHIDE



    Questo Castello si trova nella cittadina di Malahide, distante da Dublino soli 16 chilometri. Si dice che sia uno dei castelli più antichi d’Irlanda: costruito nel XII secolo, diventò la residenza della famiglia dei Talbot fino al 1976 e possiede ancora una ricca e prestigiosa mobilia risalente al XVI secolo e un’importante collezione di ritratti. Secondo un’antica leggenda 14 cugini Talbot fecero colazione al castello prima di partecipare alla Battaglia del Boyne nel 1690 per non farvi più ritorno. Molti ritratti di famiglia sono ancora appesi nella Great Hall medievale. Malahide Castle, situato su 250 acri di parco, fu sia fortezza che abitazione privata per quasi ottocento anni e rappresenta un interessante miscuglio di stili architettonici.

    ...la storia...


    Nell’VIII secolo d. C. i danesi eressero una fortificazione di legno nel punto in cui oggi sorge la dimora. Le parti più antiche del castello di Malahide, risalgono al XII secolo ed è uno dei più antichi castelli in Irlanda. Durante l'invasione Anglo- Normanna nel 1169, la struttura era nelle mani di Hammund Mac Turkill, ultimo Re di stirpe Vichinga di Dublino. Dopo la conquista normanna dell’Irlanda, Sir Richard Talbot fu nominato nel 1174 Lord of Malahide.
    Sia il castello che il territorio di Malahide, vennero concessi a Richard Talbot, un cavaliere che accompagnò Re Enrico II nella sua spedizione in Irlanda. Tra il 1185 e il 1975 il castello rimase di proprietà della famiglia Talbot, tranne che nel periodo tra il 1649 e il 1660, quando venne occupato da Miles Corbett, come ringraziamento di Cromwell per l'aiuto prestato nell'invasione dell'Irlanda. Corbett, non era per nulla amato e nel 1660 fu giustiziato e la proprietà tornò ai Talbot.
    Durante l'ultima parte della guerra, i dirigibili, che sono stati usati per pattugliare la Manica, erano di stanza e ormeggiati in Malahide Castle Grounds. I dirigibili SSZ resero un buon servizio nel 1917 e 1918.

    ... i fantasmi ...



    Come molti castelli in Irlanda e nelle Isole Britanniche, anche quello di Malahide pare essere infestato dai fantasmi.
    Il primo è quello del figlio del Barone di Galtrim, il giovane Sir Walter Hussey. Durante un suo soggiorno a Malahide, il giovane si innamorò perdutamente di una fanciulla del posto, tanto che decise di prenderla in moglie. Sfortunatamente venne ucciso in combattimento proprio il giorno fissato per le nozze. Si dice che il suo spettro si sia recato al castello quella notte stessa, puntando la lancia e emettendo urla disumane, e che continui a farlo tuttore durante certe notti. Alcuni sostengono che il fantasma venga per mostrare la sua rabbia e la sua indignazione nei confronti dell'ex amata, che tanto fedele evidentemente non gli era, visto che poco dopo la sua dipartita convolò a nozze con il Signore rivale che lo uccise in battaglia!

    Altri due fantasmi sono quello di Lady Maud Plunkett e di suo marito, che vissero per qualche tempo con la famiglia Talbot. Lady Maud era stata sposata per ben tre volte, e si dice che la fine dei primi due matrimoni fossero dovuta a streghe e malefici. Si racconta che la nobildonna, fosse molto violenta nei confronti del terzo marito, Lord Chief Justice, e che passassero il tempo a litigare e picchiarsi, al punto che i Talbolt, eseasperati da questi comportamenti, li cacciarono dal castello. Pare che i loro spiriti vengano visti ancora oggi per i corridoi del castello, impegnati ancora oggi in un eterno litigio!
    Il quarto spettro di Malahide Castle è forse il più interessante dal punto di vista storico. Si tratta dello spirito di Miles Corbett, il cavaliere a cui Cromwell donò il castello durante il suo protettorato. Dopo la Restaurazione, Miles venne privato della proprietà, che tornò alla famiglia Talbot, e dovette pagare un indennizzo per tutti i crimini compiuti durante l'occupazione, compresa la profanazione della vecchia abbazia che si trova nei pressi del castello. Dopo aver pagato per le sue malefatte. Fu condannato a morte per alto tradimento e, visto che era Inglese, l'esecuzione avvenne secondo l'usanza medioevale Inglese. Nonostante questo trattamento non proprio amichevole, pare che il suo fantasma appaia al castello in arme e tutto di un pezzo, nella notte dell'anniversario della sua morte, il 19 di aprile.
    Il quinto e forse piu famoso fantasma di Maklahide Castle, risale al XVI secolo. Stiamo parlando dello spettro di uno dei buffoni presenti alla corte della famiglia Talbot, un nano chiamato Puck. Puck risiedeva in una delle torri del castello, e pare che si fosse perdutamente innamorato di una parente di Lady Elenora Fitzgerald. Il buffone aveva un comportamento ritenuto troppo ribelle per i suoi padroni, e quindi venne imprigionato, e successivamente fatto fuori con una pugnalata e gettato dalle mura del castello. In punto di morte, il povero nano giurò solennemente di tornare dall'aldilà per infestare il castello di Malahide. Da allora sembra che il suo spettro si aggiri lamentoso per l'edificio. In uno dei saloni principali esiste un angolo stretto e libero da mobilia e decorazioni, questo angolo viene famigliarmente chiamato "l'angolo di Puck".
    Anche fuori dal castello possiamo incontrare spiriti e fantasmi. Nel parco c'è un posto chiamato "Our Lady's acre", dove sono state viste vagare due signore dai capelli grigi, che svaniscono dopo un po'. Nessuno sa chi siano questi due spettri, ma alcuni sostengono che siano due dame uccise al tempo in cui i Vichinghi dominavano Malahide, che per qualche motivo non hanno ancora trovato la pace. (mcglenmysteries.blogspot.it/)
    La leggenda narra che il fantasma del nipote del Tablot che per primo occupò il castello, una notte ogni 25 anni si aggira per le 76 sale di questo per vedere se è tutto in ordine, nonostante la sua assenza.
    Una curiosa leggenda esiste per quanto riguarda i caminetti intagliato nella Oak Room del Castello. Scolpito per rappresentare la salita della Incoronazione della Vergine. Quando Cromwell era al potere in Irlanda, diede a Miles Corbet Malahide Castle. Durante la sua locazione, la figura della Vergine scomparve dal pezzo del camino scolpito che ha continuato a rimanere vuoto fino alla partenza di Corbet. Poi la Vergine miracolosamente riprese il suo posto nella cornice scolpita, dove si può vedere ancora oggi.
    Il quadro di una bellissima donna anonima, in un abito bianco, appeso nella Sala Grande del Castello, prende vita. Nessuno sembra conoscere l'identità dell'artista che l'ha ritratta, ma è stato registrato che di volta in volta avrebbe lasciato la sua pittura per vagare nel il castello nella quiete della notte. Noto per essere stato visto da un certo numero di persone, per un periodo di molti anni, è diventata nota come la Dama Bianca.

    ...i giardini....


    Epitaffio di Lord Milo si legge: - "Era un bravo e generoso amico". Ci sono molte persone Malahide che oggi sarebbe certamente garantire per questi sentimenti. I giardini del castello sono la prova tangibile di un uomo dedito ad attività orticole. Il più antico giardino recintato è stata costituita alla fine del XVII secolo. Era di fronte al Gate Tower Barbican, che risale al XIV ° secolo.
    I Giardini, come noi li conosciamo coprono un'area di circa venti ettari e sono stati in gran parte creati tra il 1942 e il 1973 da Lord Milo. In tutto, ci sono oltre 5.000 specie e varietà di piante presenti diverse. Milo, Lord Talbot de Malahide, è stato senza dubbio il giardiniere irlandese più esperto del suo tempo. Se la parola "fanatico" senza alcuna connotazione sprezzanti, si potrebbe certamente applicarlo a Milo. Con riscaldatori maleodoranti, ha trascorso molte notti al freddo gelido da solo con le sue piante. Per costruire la sua collezione di piante, Lord Talbot viaggiò molto all'estero. Negli anni Sessanta visitò l'Australia, l'Etiopia, il Cile, il Kashmir, Messico, Afghanistan e Nepal. Nel libro 1973 c'è il ricordo di due piante da semi che Kruscev aveva inizialmente dato al re di Svezia e che era stato piantato nel Giardino Botanico di Gotenburg. Quando un incendio boschivo spazzò via tutte le tracce di questa particolare pianta della Tasmania, Lord Talbot venne in soccorso e restituì la vita alle piante da seme che aveva raccolto nel 1964.
    Il fatto che Malahide si trova nella parte più arida d'Irlanda si è rivelata una trappola piuttosto che una risorsa per Lord Talbot, e la scelta delle piante nel Giardino del Castello è anche limitata dalla alcalinità del suolo. Tuttavia, è stato trovato che una vasta gamma di piante, 5.000 specie, sembrano crescere felicemente in condizioni Malahide.
    Il più grande contributo alla botanica del Signore Talbots è stato forse del Dr. Curtis nel libro "La flora endemica della Tasmania", illustrato da Margaret Jones. Quattro volumi completati prima della sua morte, e la pubblicazione dei restanti due volumi fu eseguita dalla sua sorella, l'On. Rose Talbot, come ricordo a Milo.


    "Cammino nell’ombra di alberi secolari, lungo un sentiero intarsiato di radici millenarie. Il mio respiro si confonde in quello umido del bosco scuro, sino a quando i miei passi escono nella luce del giorno, e i miei occhi incontrano il castello di Malahide. Lo sguardo scivola sulla sua storia e quella dell’Irlanda.
    Il maniero sorge sui cento ettari del parco del piccolo borgo antico a 16 chilometri da Dublino. Nonostante il crescente benessere e l’aumento della popolazione, questo centro mantiene intatto il proprio fascino e racconta di tempi lontani, quando nel 765 arrivarono i vichinghi, e ne fecero un insediamento permanente. Ma la memoria di Malahide e del suo castello è legata alla famiglia Talbot che si impadronì dell’area nel 1180, e iniziò a costruire la tenuta che, salvo gli anni del protettorato di Oliver Cromwell (1649-60), rimase di sua proprietà sino al 1976. Ora la struttura di fronte a me appartiene al Dublin County Council.
    Ne ammiro la facciata imponente sorretta da torri circolari, erette nel 1765. In cima a quella più grande di tre piani, risalente al XII secolo, un pennone si conficca nel cielo limpido e libera nel vento il tricolore irlandese. Decido di entrare, nonostante la coda di visitatori si snodi lungo il vialetto. Salgo le scale a chiocciola in pietra che portano alla camera in quercia del 1700: la Oak Room è ricca di decorazioni a intaglio, il soffitto basso e pesante. Al suo interno ci sono diverse sculture di origini fiamminga e sei pannelli dalle rappresentazioni bibliche. Ridiscendo “spinto” dagli altri turisti e arrivo nella Great Hall al pian terreno. Qui le pareti sono ricoperte da imponenti ritratti di famiglia, una galleria variopinta di menestrelli e un quadro angusto sulla Battaglia del Boyne, del 1690, dove vennero uccisi 14 discendenti dei Talbot. Guardandoli, percepisco un fremito lungo la schiena. La leggenda vuole che nel castello sia “vissuto” per molto tempo Puck, il fantasma dei Baroni di Malahide. Anche se la sua ultima apparizione risale al 1975, un anno prima dell’addio dei proprietari al maniero. Uscito nel verde di prati curatissimi, seguo le indicazioni per la Fry Model Railway: la struttura adagiata su 240 metri quadrati ospita la più grande ferrovia in miniatura dell’Irlanda. Proseguo sino alla fine del parco da dove esco sulla strada principale. Cammino lungo l’asfalto dei marciapiedi che dividono case colorate e raggiungo la piazza principale del villaggio. Cerco il sapore del mare nell’aria: immutabile, liberatorio, sempre uguale nei millenni, e arrivo al porto. Fu qui che uomini alti, imponenti, sanguinari sbarcarono dal Nord secoli addietro. Fu qui che i Talbot costruirono il loro impero. E’ qui che libero il pensiero oltre l’orizzonte salato, imporporato dal tramonto di Malahide.
    (Andrea Lessona, reporter.com)
     
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    “Spesso i miei occhi furono attirati all’orizzonte dalla bella lama dorata della Loira, dove, nel serpeggiare del suo letto, le vele disegnavano figure fantastiche che fuggivano via portate dal vento. Inerpicandomi su una cresta, ammirai per la prima volta il castello di Azay, diamante sfaccettato, incastonato nell’Indre, montato su palafitte, mascherato da fiori.”
    (Honoré de Balzac 1833)


    Castello di AZAY-LE-RIDEAU


    Nel cuore della regione della Touraine, si trova il castello di Azay-le-Rideau, costruito su un'isola in mezzo alle acque dell'Indre. Il castello evoca il romanticismo ed il lusso innocente di una fiaba . La sua elegante architettura rinascimentale splende nel cuore di un grande parco circondato da alberi e attraversata dalle acque placata l'Indre. Il castello venne edificato tra il 1518 e il 1523 dal sindaco di Tours e tesoriere del re Francesco I, Gilles Berthelot e da sua moglie Philippa Lesbahy. Azay-le-Rideau è uno dei castelli più famosi della Loira. Relativamente piccolo, i due corpi dell'edificio sono circondati dall’Indre e da un parco paesaggistico. L'ingresso del castello, a forma d'arco di trionfo, è decorato con le iniziali di Gilles Berthelot e di sua moglie, mentre la parte inferiore delle finestre della scala è decorata con la salamandra e l’ermellino, emblemi del Re Francesco I e di sua moglie Claude de Francia. L'attuale parco in stile inglese è stato progettato e creato nel XIX secolo. Lo specchio d'acqua all'ovest è stato scavato in quest’epoca. È soltanto nel 1959 che lo Stato stabilizza il corso dell’Indre ai piedi della facciata sud, creando così un secondo specchio d'acqua.
    Questo edificio inaugura l'era delle case ricreative che uniscono il fascino del castello francese per la maestosità dei palazzi italiani. Gilles Berthelot mantiene una certa continuità nella tradizione medievale, mantenendo le torrette d'angolo e il camminamento sulle pareti esterne mentre cedendo alla influenza italiana nella distribuzione simmetrica delle aperture. Come a Chenonceaux, la costruzione fu edificata sul luogo di una dimora feudale di cui fu mantenuta una torre simbolica. Questa torre, conosciuta grazie a numerose litografie del XIX secolo, fu sostituita dalla torre attuale alla metà dell’800.
    L'interno del castello d’Azay-le-Rideau testimonia dell’influenza dell’Italia durante il Rinascimento francese. Le sale sono decorate con arazzi del XVI e del XVII secolo: scene dell’Antico Testamento realizzate a Audenarde e ad Anversa, scene di caccia della manifattura di Beauvais ed episodi della storia di Rinaldo e Armida, realizzati su cartoni di Simon Vouet, nella manifattura del faubourg Saint-Marcel a Parigi. La Grande Loggia a sud rappresenta il gioiello del castello con la rappresentativa scala d'onore. Le scale rinascimentali sono ancora a vite, di concezione gotica, viene illuminata da quattro piani di aperture che sono riccamente decorate, terminanti in un pignone che ne è un capolavoro. La magnifica decorazione di questo si ritrova anche nei lucernai a frontone dei soffitti. Nella camera blu detta camera di Psiche sono presenti quattro arazzi con episodi della storia di Psiche e Cupido; i tessuti nel XVII secolo provengono da Bruxelles e facevano parte di una serie di 17 arazzi ordinati da un ricco negoziante italiano.

    ...la storia...


    Il primo castello medievale d'Azay fu costruito intorno al 1119 da uno dei primi signori del luogo, Ridel (o Rideau) d'Azay, cavaliere di Filippo Augusto, che costruì la fortezza difensiva per proteggere la strada tra Tours e Chinon.
    "Corre il doloroso anno 1870. Federico-Carlo di Prussia alloggia a Azay-le-Rideau con le sue truppe. E’ a tavola nel castello con il suo stato maggiore, quando cade un lampadario. Il principe crede di essere vittima di un attentato e manca poco che Azay-le-Rideau non ridiventi Azay-le-Brùlé (Azay-il-Bruciato). Per capire occorre tornare al 1418. Carlo VII, Delfino di Francia, è di passaggio per Azay. Non è che il “piccolo re di Bourges”, e il suo potere è contestato. Un soldato della guarnigione di Azay lo insulta. La repressione è terribile. I 350 uomini della guarnigione sono uccisi, il castello e il villaggio bruciati. Fino al XVI secolo Azay porta il nome di Azay-le-Brùlé."
    La proprietà venne acquisita alla fine del XV secolo da Martin Berthelot che la cedette poi a suo figlio Gilles che intraprese la costruzione. La coppia che costruì Azay-le-Rideau, Gilles Berthelot e sua moglie Philippa Lesbahi, apparteneva al mondo della finanza, che come la nobiltà si sposava solo all’interno del proprio ambiente. E infatti Berthelot era cugino di Semblançay e di Guillaume Briçonnet. I lavori non iniziarono prima del 1518, ma nel 1524 erano certamente molto avanzati, se si presta fede agli emblemi araldici di Francesco I e di Claudia di Francia (morta proprio quell’anno) in cima alla scala. Il suo progetto era di conciliare l’arte edilizia francese con le forme architettoniche e la decorazione all’italiana. Alcune famiglie tra cui i Semblançay ,Touraine e Berthelot prestarono denaro alla corona in modo che Luisa di Savoia, madre di Francesco I, fosse in grado di pagare il riscatto per liberare suo figlio prigioniero in Spagna. Ma il successo di Berthelot e del amico Semblançay causano diffidenza Francesco I che al suo ritorno in Francia, accusò di appropriazione indebita Semblançay (presunta o reale). Quest'ultimo fu arrestato, condannato e impiccato nel 1527. Berthelot si spaventò e fuggì a Metz. Gilles Berthelot muore nel 1529 a Cambrai lasciando un castello ancora in fase di costruzione. Nel giugno 1528, il re confisca la tenuta e l’offre, nel 1533 ad uno dei suoi compagni d’arme, Antoine Raffin, capitano delle guardie, che aveva combattuto al suo fianco a Pavia. Il castello fu occupato dal nuovo proprietario nel 1547. La nipote di Raffin, Antonietta si trasferì a Azay le Rideau nel 1583 nel contesto travagliata delle guerre di religione, essendo stata damigella d'onore presso il Tribunale di Margherita di Valois. Antonietta ridonerà luminosità al castello. La famiglia Raffin ed i loro discendenti, i Lansac, i Vassé e i Courtemanche saranno proprietari del castello d’Azay fino alla Rivoluzione.
    Nel 1791, il castello "abbandonato e seriamente danneggiato" è venduto al Marchese Charles de Biencourt, deputato della nobiltà agli stati generali. A partire dal 1825, i suoi discendenti intraprendono una serie di lavori di restauro e di ristrutturazione, all’interno e all’esterno dell’edificio. Nel 1899, le difficoltà finanziarie costringono il Marchese Charles-Marie-Christian, 4° membro della famiglia a portare questo nome e proprietario dal 1862, a vendere il castello, i suoi mobili e i 540 ettari di terra al visconte de Larocque-latour che li vende a sua volta nel 1903 ad Achille Artaud, avvocato di Tours. Questi, desiderando trarne il maggior profitto possibile, disperde i mobili e le opere d’arte in varie vendite all’asta ma una nipote del marchese riesce a riacquistare la maggior parte dei quadri e disegni che verranno donati all’Institut (museo Condé a Chantilly) e alla Biblioteca Nazionale.
    Il castello resta vuoto fino al suo acquisto da parte dello Stato l’11 agosto 1905 ed è subitodichiarato Monumento Storico.
     
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  15. gheagabry
     
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    "..Nel mio palazzo vedevo sempre molti intellettuali,
    poeti e artisti che con il loro incidere
    diedero al palazzo il soprannome di "palazzo dell'allegria"..."


    Il castello dell' ALJAFERIA


    Il Castello dell'Aljaferia (arabo: قصر الجعفرية , Qaṣr al-Jaʿfariyya, "il palazzo di Jaʿfar") è un palazzo fortificato costruito durante la seconda metà del IX secolo nella città spagnola di Saragozza, in Aragona. In origine adibito a residenza della dinastia dei Banu Hud durante l'epoca di al-Muqtadir, la residenza riflette lo splendore raggiunto dal taifa (regno) di Saragozza all'apice della sua grandezza. Il Castillo de la Aljaferia è uno dei più emblematici monumenti di Saragozza, oggi sede del parlamento regionale di Aragona. Nella sua architettura sono concentrati secoli di storia che testimoniano le diverse influenze culturali della città.

    La struttura araba conserva parte delle sue mura originali che si sviluppano su una pianta a quattro lati con torrette semicircolari, alla quale si aggiunge la celebre Torre del Trovador. Al centro della struttura si colloca il palazzo residenziale che per stile è accostabile ai palazzi musulmani costruiti nel deserto. Nel palazzo taifal si apre un patio rettangolare, delimitato da portici con stili diversi e con una fontana al centro. Dal portico a Nord si ha accesso a una piccola moschea a pianta ottagonale.
    Il castello della Aljafería fu costruito nel secolo IX nel corso della dominazione Taifal, a circa mezzo miglio ad Ovest dell’impianto della città romana di Caesara Augusta (in arabo: Zaraqusta). È assai probabile che esso occupasse un’area pressoché priva di infrastrutture urbanistiche che ne potessero condizionare l’orientamento. La tradizione riporta, infatti, che il castello forniva i servizi residenziali di un ampio parco e di una vasta tenuta di caccia, del tutto avulse dal contesto urbano, secondo la più genuina tradizione araba. Tutte le opere sono state realizzate nella seconda metà del IX secolo sotto il mandato dell'Emiro Abū Jaʿfar Ahmad ibn Hūd, detto al-Muqtadir, e proprio dalla sua kunya Abū Jaʿfar deriva il nome spagnolo "al-Jaʿfariyya" ("di Jaʿfar"). La Torre del Trovador è la parte più antica del Castello, qui Garcia Gutierrez ambientò il dramma che Giuseppe Verdi trasformò in opera lirica nel 1853, con il titolo Il Trovatore.
    Alla fine del Cinquecento il sovrano spagnolo Filippo II commissionò all'architetto e ingegnere italiano Tiburzio Spannocchi la trasformazione dell'Aljaferia in fortezza. Furono costruiti quattro baluardi, un fossato di protezione che circondava la fortezza e alcuni alloggi militari destinati alla guarnigione.

    ...la storia...


    Originariamente fu un accampamento militare musulmano (al-jazira, che vuol dire recinto) costruito nel 935 da Abderamán III (servitore misericordioso) che era Emiro del Califato di Cordoba. Il nome completo era Abd ar-Rahman ibn Muhammad della dinastia Omeya (Sunniti), che fondó la famosa Medina Azahara, (città di Zara - al-Zahrá , in onore di una sua favorita). La Madīnat al-Zahrā' di Abd ar-Rahman si trova vicino a Cordoba ed è il simbolo e l'ostentazione del potere del Califfato di Cordoba. Quando Abú Yafar Ahmad al-Muqtadir Billah divenne Re (taifa di Saraqusta, Zaragoza) volle costruire in quel recinto militare il suo palazzo che per la sua bellezza e le magnifiche decorazioni, venne chiamato il palazzo dell'allegria. Dopo la Riconquista, si convertì nella residenza dei re di Aragona (Aljazar) sino al tempo dei Re Cattolici che si insediarono costruendo nuove sale come la sala del trono e la Cappella di San Martino. In seguito, divenne la sede dell'inquisizione.

    Nel 1462, con il maestoso matrimonio tra Ferdinando II d'Aragona e Isabella I di Castiglia, la residenza dell'Aljaferia entra in pieno possesso dei Re Cattolici, che ne fecero, anche loro, la propria dimora. Passato nelle mani di Alfonso I de Aragón si converte nel palazzo reale della Corona di Aragona e all'epoca di Isabella e Fernando, i Re Cattolici, venne ampliato con il fine di ostentare la grandezza dei Sovrani di Spagna che stavano per diventare i re più potenti dell'epoca grazie anche, alla scoperta delle Americhe. Ventiquattro anni dopo, quel palazzo che sembrava perfetto e immutabile nel tempo, subisce uno dei periodi più bui e lunghi che la chiesa ricordi: la santa inquisizione.
    Finito questo periodo di oscurità, tra il 1488 e il 1495 venne costruito un secondo piano e con esso, una imponente scalinata. Nel mentre, nel 1492, Cristoforo Colombe venne ricevuto a corte da Isabella che finanziò la sua spedizione alla volta dell'America. Nel 1590 venne ulteriormente modificata da Tiburzio Spanocchi, chiamato da Filippo II. L'architetto fu ingaggiato per rendere il palazzo più sicuro e forte. Tale decisione fu presa dal sovrano spagnolo a seguito dell’assalto della popolazione saragozzana all’Aljaferia in segno di protesta per la soppressione di alcuni antichi privilegi di cui aveva fino ad allora goduto la Corona d’Aragona. Così venne scavato un largo e profondo fossato intorno al perimetro del mio maestoso palazzo, in più, furono costruite altre quattro torri circolari chiamate baluardi. Il contrasto tra la forma quadrata della torre del Trovador e la forma circolare dei baluardi non era casuale: già dal 1100, con la comparsa delle armi da fuoco, si richiedeva necessariamente la costruzione di torri circolari o a forma di stella, per meglio deviare i colpi che su una base quadrata avrebbero provocato danni sicuramente peggiori. Il fossato non vide mai l'acqua per evitare danni ai muri. (dal web)
     
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