Gli utensili per vino e liquori

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  1. gheagabry
     
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    L'alambicco per distillati


    La parola alambicco deriva dal greco ambix e significa vaso, tazza. La lingua araba l'ha ripresa nei secoli e l'ha trasformata in al - imbiq, dandole definitivamente il significato di vaso per distillare. La storia dell'alambicco parte da un'antica civiltà, evoluta e molto organizzata: la civiltà mesopotamica. A Tepe Gawra, nell'alta valle del fiume Tigri e a 20 km a est di Mossoul (odierno Iraq) sono stati rinvenuti dei frammenti di alambicco rudimentale risalente circa al II secolo a.C., mentre un altro è stato ritrovato in un aree corrispondenti all'attuale Pakistan, anch'esso riconducibile al II secolo a.C..Il primo alambicco realizzato doveva essere molto semplice nella sua concezione: un vaso per distillare, detto anche cucurbita, era posto sopra il fuoco, sormontato da una cupola detta capitello, o anche elmo. A questa era collegato un beccuccio che aveva lo scopo di condensare i vapori sviluppati dal calore. La civiltà mesopotamica conosceva l'arte della distillazione, ma il primo alambicco storicamente conosciuto è riportato in un manoscritto della Biblioteca Marciana di Venezia. Questo alambicco prende il nome dall'egiziano Cleopatra, che lo descrisse nel II secolo a.C., ed è noto con il nome di Crisopea di Cleopatra. Doveva essere utilizzato con tutta probabilità per produrre balsami ed essenze. Un altro antico strumento di distillazione era l'alambicco conosciuto col nome di Pellicano, data la vistosa somiglianza con l'omonimo uccello. Molto semplicemente, era composto da tre elementi: un vaso di terracotta o di altro materiale, sormontato da un capitello dotato di un lungo beccuccio e, infine, un vaso per la raccolta del distillato in cui terminava il beccuccio. Questo strumento essenziale fu utilizzato fino al XVI secolo grazie alla sua praticità, offrendo però rese molto scarse. Era infatti perlopiù utilizzato per ricavare essenze e non per produrre distillati da bere.

    Alchimisti arabi, fra cui Rhases (860-940) e Avicenna (980-1037), descrissero la preparazione dell'acqua della vita ed il metodo di distillazione che permette di arricchire il prodotto facendo passare i vapori alcolici attraverso la cenere o la calce viva; essi distillavano anche il mercurio e forse l'alcol, senza conoscerlo. In origine la parola alcol, dall'arabo al-kohol, significava la cosa sottile, una polvere nera impalpabile usata dalle donne come collirio e trucco per gli occhi. L'alchimista arabo Abu Moussah Dschabir al-Soli, detto Geber (702-765), descrisse gli apparecchi usati per la distillazione dei vegetali, tra cui l'acqua di rose, il cui olio essenziale era indicato quale rimedio a molte malattie. La scienza araba ebbe il grande merito di tramandare le conoscenze in materia di distillazione alla scienza medievale europea. Grande importanza ebbe la Scuola Salernitana, che a partire dal X secolo raccolse queste conoscenze e le affrontò in modo disciplinato. In seguito, l'alchimia si diffuse sempre più e venne praticata anche nei monasteri. In questi luoghi di cultura, troviamo dotti come Alberto Magno (1193-1280), che in alcuni suoi scritti parlò di un'aqua ardens ottenuta dal vino, così leggera da galleggiare sull'olio d'oliva. Taddeo Alderotti di Firenze (1215-1302), nel codice vaticano Consilia del 1276, descrive dettagliatamente la produzione dell'acquavite ricavata dal vino con doppie distillazioni. Inoltre, l'Alderotti è il primo a parlare del serpentino immerso nell'acqua fredda per la condensazione dei vapori. Infatti, tra il XIII e il XIV secolo, compare il sistema di refrigerazione ad acqua. Il beccuccio del capitello, anziché terminare direttamente nel vaso di raccolta del distillato, veniva fatto passare all'interno di una botticella piena d'acqua fredda. Non stupisce quindi, che il senese Andrea Mattioli (1570 - 1577), importante studioso e filologo, riporti questa innovazione all'interno di una sua opera.Quasi un secolo più tardi, la preparazione dell'acquavite di vino diventò popolare da quando il medico padovano Michele Savonarola (1384-1462) pubblicò il primo trattato sulla sua preparazione, il "De Conficienda Aqua Vitae".
    Una grande importanza nella commercializzazione dei distillati spetta a Venezia, la perla dell'Adriatico. La distillazione diffuse nel Veneto tra il 1200 e il 1300, quando Venezia era un importante mercato di acquavite di vino e di vinaccia che esportava in Germania e in Oriente, come rimedio per la peste e la gotta. Un altro conterraneo illustre del Mattioli, Vannoccio Biringuccio (1480-1539) descrisse il primo alambicco che distillava e rettificava contemporaneamente, ossia eliminava quelle parti ricche di impurità prodotte all'inizio e alla fine del ciclo di distillazione. Questo alambicco, facendo passare i vapori per canali stretti, lunghi e tortuosi, tratteneva indietro le flemme, cioè le impurità, e permetteva di conservare solo la parte migliore del distillato. Il partenopeo Giambattista Della Porta costruì, nel secolo XVII, un alambicco del tutto particolare, con lo scopo di ottenere acquavite da un'unica distillazione, intuendo per primo il principio della colonna di distillazione. Egli chiamò questo lungo e stretto strumento con il nome di Idra dalle sette teste. Un'intuizione passata in sordina, ma che due secoli dopo avrebbe cambiato per sempre la storia della distillazione. Ma fu soltanto alla metà dell'Ottocento che il grande Louis Pasteur definì la reale natura dei lieviti e la loro importanza nel processo di fermentazione, consentendo di approfondire le conoscenze sulla preparazione dell'alcol. Le sue ricerche divennero fondamentali per l'enologia, segnando uno spartiacque decisivo tra la vinificazione antica e quella moderna. Nei primi anni del Novecento, quando il processo della fermentazione alcolica fu completamente chiarito, importanti studiosi, sia italiani che stranieri, lo applicarono razionalmente ai processi produttivi, perfezionando gli impianti di distillazione. Nacque così la moderna industria della distillazione e con essa l'esigenza commerciale e fiscale di misurare con precisione il grado alcolico dell'acquavite.In questo contesto, una citazione del tutto particolare merita Enrico Comboni (1850-1900), fondatore e primo direttore del Laboratorio di Chimica dell'Istituto Enologico di Conegliano. Egli perfezionò in modo esemplare la tecnica della distillazione a vapore della vinaccia. Questo metodo, anche se con varie modifiche successive, fu di importanza capitale se si pensa che oggi, più del 90% della Grappa prodotta è distillata a vapore.

    ......L'acqua della vita contro la morte.....


    Quando nel XVI secolo si diffuse il flagello della peste, i medici cominciarono a prescrivere forti bevande alcoliche che davano ai malati una temporanea sensazione di benessere. Le dosi erano tali da far resuscitare un morto e venivano somministrate ad adulti e bambini.

    "Acqua perfettissima a guarire peste e vermi. Ad uno homo se ne dà uno quarto, ad uno mammolo mezzo quarto, ad uno piccolino una ottava. Piglia mezzo boccale de acqua vita nella quale poni le infrascripte cose: ientiana termentilla dittamo carlina ana oncie mezza; miele cotto et despumato quanto te pare et adopera".
    (Ricetta dagli "Experimenti" di Caterina de' Medici)
    "Pigliate un gotto ed in esso fino alla terza parte mettete teriaca fina, un terzo di acqua di vita e l'altro terzo acqua di un putto vergine et sano e incorporate insieme e daretene allo infermo tre mattine a digiuno un gotto ogni mattina. Et fu provato nella inclita città di Venezia nell'anno 1504 per Mattio Calegaro, che stava a Santa Sofia e provollo sopra sè e sua mogliere."
    (antica ricetta veneziana)


    Durante la terribile pestilenza del 1630 che colpì il nord dell'Italia si sperimentarono molte ricette.
    "Pigliate al tempo del sospetto della peste tre cime di ruta, una noce, un fico secco. Ponete il tutto in mezzo bicchiero di acqua di vita per ore tre e poi bevete." ... "Pigliate sterco di huomo da dieci fino a dodici anni, non altramente e fatelo seccare e fatene polvere e detta polvere si vuole operare in questo modo. Al più due cucchiari in un bicchier di acqua di vita e distemperate... e di queste si sono viste in più persone molte esperientie."... "Pigliate una cipolla bianca, di quelle che si mangiano e fatene succo et mele et aceto et suco di ruta et di mille foglie, ana, et mescolate e dategliene al patiente due terzi in un gotto pieno a metà di acqua di vita et sia caldo et sia dato infra sei hore et stia nel letto ben coperto si che sudi." .. "... è bene mantenersi lo stomaco e la testa purgato... addosso è bene portare sempre odori e profumi tenendo manco panni di lana che sia possibile, perché portatori di contagio, ancor la sera quando andate a letto è ottima cosa il bagnarsi con un poco di acqua di fonte et ancora meglio bere un gotto di buona acqua di vita...".
    (grappa.com)


    ....Francia, l'antica arte degli alambicchi......



    La distillazione è una tecnica che sfrutta i differenti punti di ebollizione delle sostanze di una miscela. E' una tecnica nota fin dal Medioevo ed è applicata principalmente per la produzione di bevande alcoliche. I liquidi immessi nell'alambicco e riscaldati da una fonte di calore passano allo stato di vapore e vengono condensati in un secondo recipiente, alle corrette temperature quello che ne esce è un distillato alcolico: l'acquavite. Sono per lo più alchimisti coloro che nel corso della storia hanno sperimentato la distillazione prima della moderna corrente di vapore: persiani, arabi, greci, tedeschi e secondo alcune testimonianze anche sumeri. Prima di arrivare al nostro alambicco, tradizionalmente in rame. Esattamente quello che ancora oggi ritroviamo sui cassoni dei camion degli Alambic francesi e a cui devono appunto anche il loro nome: Alambic. Gli alambic francesi sono distillatori viandanti, periodicamente compaiono sulle piazze dei villaggi e dei paesi, caricano di legna la loro caldaia e attendono che la gente del posto porti loro prugne, pere, pesche, mele, castagne, cachi, nespole e qualunque materiale vegetale-zuccherato da cui poter produrre alcol. Come per i mugnai, il guadagno degli Alambic è una quota dell'alcol prodotto, da rivendere.
    Non esistono moltissimi Alambic in Francia. La legge dello Stato ha stabilito ormai da un pezzo che questo mestiere si possa tramandare solo di padre in figlio. Chi non è di famiglia insomma, non potrà mai esercitarlo. Ma recentemente è stato decretato che anche la successione ereditaria deve essere interrotta. Gli alambic che circolano in questi anni sono quindi gli ultimi eredi di una tradizione patriarcale che è continuata per secoli. Gli ultimi, almeno in Europa, che possono legalmente esercitare la distillazione pubblica.
    L'Alambic che incontriamo a Morzine è fermo nel parcheggio del Rond-point des planetès fin dal periodo natalizio, un'eccezione afferma, perché solitamente non si ferma più di due settimane per ogni villaggio. Il tempo necessario per distillare le prugne di mezza popolazione e passare oltre. Quest'anno però ha semplicemente scelto di non spostarsi, ed è quanto ci spiega della sua lunga permanenza mentre assaggia da una tazza metallica la prima grappa di prugna che esce dal rubinetto. Il mestiere dell'Alambic non è tra i più redditizi, per la maggior parte ad esercitarlo sono contadini o lavoratori saltuari senza una vera e propria professione. Quello che guadagnano serve per lo più a sbarcare il lunario e ad avere una scorta di alcolici di buona qualità per il consumo con gli amici. Attorno al camion dell'Alambic di Morzine trovo una coppia di contadini, impegnati a scaricare una decina di grandi barili chiusi, e alcune coppie di curiosi che si avvicinano con le nostre stesse domande. Ma l'Alambic è un tipo silenzioso. Controlla di continuo la legna nella caldaia e il livello del recipiente che, goccia dopo goccia, si sta riempiendo di liquido trasparente. Si guarda attorno di tanto in tanto e dopo averci velocemente spiegato le sue tappe abituali, come se di tutto il resto non fosse importante, ritorna con la concentrazione ai suoi alambicchi. Tra gli schizzi di zucchero e gli sbuffi di vapore caldo, con espressione di pacifica attesa tra le grandi soppraciglia bianche. Tra qualche anno, quando la salute e l'età glielo impediranno, il suo camion e gli alambicchi in rame finiranno dentro qualche garage polveroso, o coperti da un grande telo dietro a qualche capannone. Le sue bottiglie di scorta termineranno e saremo obbligati ad acquistare le bottiglie dal supermercato perdendo l'aroma casalinga e tradizionale dela sua deliziosa grappa alle prugne.
    (Samuel Bregolin)
     
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