ITALO CALVINO

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted



    ITALO CALVINO



    Scrittore dalla penna elegante e dalla leggerezza misurata che con le sue opere è entrato nelle classi di milioni di studenti lasciandovi un’impronta, un ricordo inscalfito.
    La sua letteratura chiara e razionale è una pietra fondamentale del panorama letterario italiano del novecento che riesce mantenere nei confronti della materia trattata un approccio leggero e al contempo saggio.
    Italo Calvino è nato il 15 ottobre 1923 a Santiago de Las Vegas, presso l’Avana (dove il padre dirigeva una stazione sperimentale di agricoltura e una scuola agraria).
    Nel 1929 la famiglia si trasferisce in Italia dove Italo Calvino frequenta le scuole Valdesi.
    L’approccio con la scrittura avviene all’età di dodici anni: si ritrova tra le mani il libro di Kipling” IlLibro della giungla” ed è subito amore.
    Nel frattempo il panorama italiano viene fortemente scosso dalla guerra la quale scuoterà profondamente l’animo di Calvino, incerto sulla posizione da prendere.
    Coltiva parallelamente l’amicizia con il compagno di liceo Eugenio Scalfari, e lentamente si profila il suo interesse politico.
    Segue l’antifascismo clandestino ed una sorta di orientamento rispetto ai libri da leggere: Montale e Vittorini.
    Nel 1941 si iscrive alla Facoltà di agraria di Torino e si arruola combattendo per venti mesi uno dei più aspri scontri tra partigiani e nazifascisti.
    Nel 1946 la guerra è terminata e il suo interesse si concentra attorno alla casa editrice Einaudi, vendendo libri a rate.
    Inizia la stesura del suo primo romanzo “Il Sentiero dei Nidi di Ragno”, una ricognizione appunto del periodo bellico e del mondo partigiano.
    Italo Calvino si occupa dell’ufficio stampa e di pubblicità stringendo legami di amicizia con i grandi nomi dell’epoca.
    Nel 1948, abbandona Einaudi per collaborare, in veste di redattore della terza pagina, con l’Unità torinese per ritornarvi poi l’anno seguente con la raccolta “Ultimo viene il corvo”.
    Nel 1951 finisce di scrivere un romanzo d’impianto realistico-sociale, “I giovani del Po, in estate scrive “Il visconte dimezzato”.

    Nel 1955 viene promosso dall’Einaudi come dirigente mantenendo questa qualifica fino al giugno 1961; dopo tale data diventa consulente editoriale.
    Lo stesso anno esce su “Paragone Letteratura”, “Il midollo del leone”, il primo di una serie di saggi, sull’impronta del primo testo da lui letto di Kipling.
    Nel 1956 escono “Le fiabe italiane” che consolidano, anche grazie al lusinghiero successo, l’immagine di Italo Calvino come favolista.
    Nel 1964 si sposa con un’argentina e si trasferisce a Parigi, pur continuando a collaborare con Einaudi. L’anno dopo nasce la sua prima figlia, Giovannea.
    Esce il volume “Le Cosmicomiche”, a cui segue nel 1967 “Ti con zero”.
    Dal 1974 al 1979 scrive sul “Corriere della sera” racconti, resoconti di viaggio ed articoli sulla realtà politica e sociale del paese.
    Nel 1976 tiene conferenze in molte università degli Stati Uniti, mentre i viaggi in Messico e Giappone gli danno spunti per alcuni articoli, che verranno poi ripresi in “Collezioni di sabbia”.
    Nel 1980 si trasferisce a Roma.
    Nel 1981 riceve la Legion d’onore. Cura l’ampia raccolta di scritti di Queneau “Segni, cifre e lettere”.
    Nel 1982 alla Scala di Milano viene rappresentata “La vera storia”, opera scritta insieme al già ricordato compositore Luciano Berio.
    Nel 1985 traduce “La canzone del polistirene” di Queneau mentre durante l’estate lavora ad un ciclo di sei conferenze.
    Muore il 19 settembre 1985, all’età di 61 anni.
    (lintervista.it)




    Morselli invia il suo romanzo “Il comunista” alla casa editrice Einaudi, sperando in una pubblicazione. La risposta si fa attendere ma questa volta a scrivere è Italo Calvino in persona. E’ da immaginare lo stupore e la gioia di Morselli nel vedere una lunga lettera di risposta firmata da quella che era considerata la figura più autorevole del panorama culturale italiano. La delusione però si presenterà agli occhi dello scrittore ‘inedito’ subito dopo le prime righe. Si tratta infatti di un altro rifiuto.


    Torino, 5 ottobre 1965
    Caro Morselli,
    finalmente ho letto il Suo romanzo […] la lettura dei manoscritti è un lavoro supplettivo ed è anche un lavoro - devo dirglielo subito -che, quando si tratta di romanzi politici, faccio senza nessuna speranza. Trattando i problemi che stanno a cuore si possono scrivere saggi che siano opere letterarie di gran valore, valore poetico dico, con non solo idee e notizie, ma figure e paesi e sentimenti. Delle cose serie bisogna imparare a scrivere così, e in nessun altro modo. […] Le ho detto questo prima, come avrei potuto dirglielo prima di leggere il Suo romanzo: insomma è chiaro che gran parte del mio giudizio è basato su questo a-priori.

    Calvino mette subito le cose in chiaro. Di fronte a romanzi “politici” non c’è speranza.
    Il romanzo non può parlare di cose serie. Calvino formula giudizi a priori e lo ammette, quindi, la sua è una bocciatura. C’è insomma un pregiudizio estetico ma anche ideologico da parte dell’intellettuale ‘più illuminato’ del dopoguerra, colui che teneva ambo le chiavi della più prestigiosa casa editrice italiana.

    Cominciando a leggerLa ho però provato interesse. Il Suo libro si presenta gremito di fatti, di dati, di documentazione d'una vita reale, ed è questa parte non-romanzesca, che mi faceva appunto rimpiangere che Lei non avesse scritto, che so?, una divagazione sul movimento operaio emiliano, raccogliendo e commentando memorie dirette e indirette, o un libro di ricordi e pensieri. […] tutta la figura di Terranini, c'è, persuade; la biografia americana di Terranini, anch'essa minuziosissima, e tutto sommato persuasiva, sa però di documentazione indiretta, resta fredda

    Calvino inizia a leggere e s’interessa non per il romanzo in quanto tale ma per la mancata realizzazione di una raccolte di memorie da parte di Morselli. Non solo il questuante non può scrivere romanzi politici, ma neanche saggi. Tutt’al più un libro di ricordi! Invece Morselli insiste e costruisce anche un protagonista che persuade. Ma come si permette questo sconosciuto? e sa pure scrivere! sembra pensare il sommo.
    Maestrina con la penna rossa Calvino segna gli errori: anglismi poco consapevoli, impressione di freddezza e ricostruzione da documentazione indirette. Proprio non ci siamo.
    Ed ecco il peccato capitale: Morselli prova a descrivere l’interno del partito comunista e sbaglia tutto, che se lo lasci dire da uno che quel mondo lo conosce a tutti i livelli.
    Calvino non è indulgente nemmeno per quel che riguarda l’impostazione tecnico-letteraria del romanzo: la parte amorosa non convince, le donne sono manichini, dialoghi inverosimili e il finale è forzato

    […]dove ogni accento di verità si perde è quando ci si trova all'interno del partito comunista; lo lasci dire a me che quel mondo lo conosco a tutti i livelli. Né le parole, né gli atteggiamenti, né le posizioni psicologiche sono vere. quel che riguarda Montecitorio, e la vita del povero deputato di provincia, è però più persuasivo. […]tutta la parte amorosa, le donne, specialmente Nuccia, non convincono; Nancy è solo un manichino ideologico tutto-fare. E tutto il viaggio in America è forzato[…]. Come vede il libro ho cercato di leggerlo in tutte le sue dimensioni, insomma ci ho preso gusto e mi ci sono arrabbiato, non rimpiango il tempo che ho impiegato a leggerlo, posso dire che mi ha mosso pensieri e ci ho imparato.
    Spero che Lei non s'arrabbi per il mio giudizio. Si scrive per questo e solo per questo: non per piacere, o stupire, o "aver successo".
    Un cordiale saluto
    Suo Italo Calvino

    Calvino legge il libro ci si appassiona, lo fa riflettere e impara dalla sua lettura ma non è pubblicabile. Dopo tutto, secondo il grande scrittore, si scrive per questo: per non essere pubblicati!

    Alberto Moravia sul suicidio di Guido Morselli dopo il rifiuto di Dissipatio H G: “Ha fatto malissimo. Visto che era ricco poteva fare come me, che a vent’anni feci pubblicare a mie spese Gli indifferenti”.
     
    Top
    .
  2. gheagabry
     
    .

    User deleted



    ITALO CALVINO cantautore





    Primo maggio 1958. Italo Calvino fa il suo esordio come «cantautore». Ma cantautore per davvero. E aveva pure la voce da baritono, finto baritono, quello da troppe sigarette. Al corteo della Cgil a Torino gli altoparlanti gracchiano la canzone Dove vola l’avvoltoio, scritta da Calvino, musicata da Sergio Liberovici. È una canzone con i partigiani buoni, o perlomeno dalla parte giusta, e i nazisti-avvoltoi cattivi. E contro la guerra. E per dire che non era, quella «canzonetta», una divagazione ludica di un già grande scrittore (aveva ormai pubblicato Il barone rampante e Il visconte dimezzato) leggete il confronto tra i versi del più grande cantautore italiano, Fabrizio De André, e quelli di Calvino.

    De André, La guerra di Piero, 1964: «Lungo le sponde del mio torrente/ Voglio che scendano i lucci argentati/ Non più i cadaveri dei soldati/ Portati in braccio dalla corrente».

    Calvino, Dove vola l’avvoltoio, 1958: «Nella limpida corrente/ Ora scendon carpe e trote/ Non più i corpi dei soldati/ Che la fanno insanguinar».

    Era successo che un gruppo di scrittori e musicisti non ne potevano più delle canzonette che spopolavano a Sanremo, le definivano «figlie di una musica gastronomica» e avevano inventato una combriccola che si chiamava «Cantacronache». Il loro slogan era: «Evadere dall’evasione». Se l’erano inventato l’impiegato Rai Straniero, l’architetto Amodei e l’avvocato Jona. Erano giovani intellettuali torinesi, torinesi di cultura Einaudi per intenderci, che s’erano messi in testa di scrivere canzoni — come testimonia Francesco Giuffrida — in cui la realtà, i problemi grandi e piccoli di tutti i giorni, fossero il nucleo centrale della composizione, con buona pace delle mamme piangenti, dei vecchi scarponi, delle casette in Canadà, dei papaveri e papere.

    A Calvino, come a Franco Fortini, l’idea piace da morire e scrive abbastanza in fretta un pugno di canzoni: Dove vola l’avvoltoio, Canzone triste, Oltre il ponte, Il padrone del mondo, Sul verde fiume Po, Turin-la nuit. Canzoni lunghe, a volte con ritornelli ossessionanti, di impegno politico, sociale, civile, dove c’è di mezzo la guerra, la pace, la Resistenza, la giustizia, l’ingiustizia, ma anche la fantasia delle favole che ti fanno tornare in mente le Fiabe italiane. Forse lo sa, o forse no, ma anche il Re degli Ignoranti, Adriano Celentano, è debitore a Calvino. La struggente favola di Celentano: Chi non lavora non fa l’amore evoca la Canzone triste di Calvino che a sua volta evoca la leggenda di Lady Hawk. «Erano sposi, lei s’alzava all’alba/ prendeva il tram, correva al suo lavoro./ Lui aveva il turno che finiva all’alba/ entrava in letto e lei ne era già fuori».

    Calvino fa tutto questo per passione, non s’aspetta mai più al mondo che dall’altra parte del mondo qualcuno si accorga delle sue «canzonette». E invece…

    Invece ecco che cosa succede in un caffè di New York nel 1959 dove incontra le allieve di un corso d’italiano e la loro professoressa. «Vogliono cantarmi, le ragazze — scrive Calvino in una lettera a Liberovici — una canzone italiana. Bene, dico io, già rassegnato a sentire la solita canzonetta napoletana o radiofonica in omaggio all’italiano di passaggio. Una ragazza ha una chitarra, suona, le altre cantano e cosa cantano? Eravamo in sette… in sette è l’incipit di Sul verde fiume Po… E poi tutte le strofe, una dopo l’altra… Questo per dimostrarti come Cantacronache sia popolare anche oltreoceano».

    Bella soddisfazione per quell’accrocchio (molto snob ma molto sincero) di giovani intellettuali, musicisti, scrittori, salottieri abituali che si incontravano da Giulio Einaudi, da Luciano Foa, da Elsa de’ Giorgi e cantavano, senza paura di essere abbastanza stonati, le canzoni da loro scritte e musicate. Presa confidenza, il gruppo che, tra gli altri, comprendeva Fausto Amodei, Franco Fortini, Ignazio Buttitta, Valentino Bucchi, Margherita Galante Garrone, Giovanni Arpino, Gianni Rodari, cominciò a girare per l’Italia riempiendo quelle salette da cinquanta, cento quando andava bene, posti che erano i circoli culturali, le sedi sindacali, i ritrovi ricreativi ma anche i teatri veri per portare un’emozione più forte ma meno facile di rose-fior-amor alla Nilla Pizzi e successori. Per Calvino l’esperienza di Cantacronache fu anche una terapia. Era immalinconito perché sentiva la frustrazione di essere inutile rispetto al progetto gramsciano di cambiare la società attraverso il ruolo di scrittore. Forse con le canzoni…

    Ma le prime esperienze discografiche non furono un grande successo. Ricordano Giovanni Straniero e Carlo Rovello nel libro Cantacronache, i cinquant’anni della canzone ribelle (Zona editore) che dopo la delusione di un «grande spettacolo mancato in un grande teatro» il gruppo ripiegò sull’idea di fare un vero disco di vinile. E ricordano così la presunta soluzione del dilemma: «Quello spettacolo di cronaca cantata con il quale il gruppo avrebbe dovuto esibirsi, alla fine naufragò, anche per mancanza di spazi adeguati. In quegli anni non erano ancora sorti i locali di cabaret. A quel punto, Liberovici e compagni pensarono di affidare l’esecuzione delle loro prime canzoni a cantanti professionisti. A tale scopo si fecero ricevere presso la casa editrice Cetra di Torino, senza però ottenere alcun risultato. Il primo disco, intitolato Cantacronache sperimentale, fu quindi inciso con mezzi di fortuna, in un negozio di dischi. Liberovici contattò una giovane cantante, Franca di Rienzo, che si esibiva con i «Quattro del muretto di Alassio», la quale prestò la sua voce ai testi dei torinesi. Anche in questo caso il Cantacronache fece scuola. Nasceva l’idea dell’autoproduzione, che avrebbe aperto la strada alle etichette discografiche indipendenti. Un altro tentativo di lanciarsi sul mercato discografico fu esperito a Milano, dove il gruppo presentò le sue composizioni alla casa discografica Ricordi. L’esito fu ancora negativo, ma lo stesso Nanni Ricordi, sentendo quei brani, cominciò a concepire l’idea di una canzone diversa. Nonostante questi insuccessi discografici, Italo Calvino e altri letterati che gravitavano attorno all’Einaudi incoraggiarono il Cantacronache a proseguire la sua attività. L’esordio davanti a un pubblico veramente numeroso avvenne al Premio Viareggio. In quella circostanza, i membri del gruppo eseguirono personalmente le loro composizioni, riscuotendo un certo successo».

    E ancora oggi, Cantacronache può rivendicare di aver inventato la figura del cantautore: «Da quel giorno, rinfrancati da quell’esperienza gli Amici Torinesi decisero che avrebbero cantato da soli le loro canzoni, non avendo trovato cantanti professionisti disposti a farlo».

    In realtà i cantanti che amano portare in giro le parole di Calvino ci sono ancora oggi. I Modena City Ramblers, un gruppo che piace non soltanto ai vecchi rimbambiti ma anche ai giovani svegli, ancora adesso cantano Oltre il ponte, di Calvino, naturalmente. E Grazia Di Michele, che ha partecipato per tre volte al Festival di Sanremo, dice: «Quando con Maria Rosaria Omaggio abbiamo inventato lo spettacolo Chiamalavita per l’Unicef, che aveva il senso di far qualche cosa per i bambini più sfortunati del mondo, ci è venuto in mente Calvino con e per le sue canzoni. Le abbiamo cantate e alla fine molti ci hanno chiesto: ma davvero quei testi erano di Calvino? E chi poneva questa domanda era anche chi conosceva i libri di Calvino. Immaginate quanto sarebbe contento lui, adesso, a sapere quanto siano ancora emozionanti le sue “canzonette”».

    Francesco Cevasco
     
    Top
    .
1 replies since 5/4/2012, 23:07   636 views
  Share  
.