GROENLANDIA

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  1. gheagabry
     
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    Volò l’angelo del signore con le sue gerle distribuendo colori…
    Azzurro per gli oceani infiniti, ocra per deserti infuocati,
    verde per steppe ai confini del tempo…
    E quando arrivò ove il destino si perde nelle frange dell’aurora boreale
    altro non aveva che il bianco serafico delle ali…
    E si posò allora sui diamantini ghiacciai, sulle distese percorse dalle slitte insonni.
    Perle di acqua diventarono le sue piume, si addormentò sognando il caldo delle case
    nei paesi ai confini del nulla costruendo geografie dei disgeli,
    occhi di cani che perforano la notte senza ombra di alberi.
    Aveva colorato il mondo nel suo instancabile viaggio,
    ma qui si era fermato per costruire il ghiaccio del paradiso,
    qui dove nell’estremo silenzio di notte si percepisce solenne il respiro degli dei
    (Rita De Santis)


    La GROENLANDIA


    Nella leggendaria Thule gli uomini antichi, stando alle testimonianze del navigatore greco Pitea di Messalla, identificavano la terra che si stendeva a Nord. I racconti di Pitea su quelle terre che si trovavano fuori dai confini allora conosciuti suscitarono scalpore e incredulità. Nessuno a quei tempi poteva immaginare che di notte il sole se ne andava per un sonno di poche ore e la notte era molto corta perché esso tornava subito a sorgere ed esattamente il contrario accadeva con l’avvento della stagione invernale…, che montagne di ghiaccio galleggiavano nel mare, le sue storie, in cui non faceva altro che descrivere con minuzia di particolari queste regioni ricoperte dai ghiacci, risultarono per la società dell’epoca così tanto incredibili che venne etichettato come un bugiardo. Fin dove arrivò resta un mistero certamente dovette raggiungere luoghi prossimi al Circolo Polare Artico, ossia a quella linea geografica ben definita, a nord della quale il sole almeno per un giorno dell’anno non tramonta o non sorge nell’arco delle ventiquattrore. Si pensa alla Groenlandia e subito la si associa, a dispetto del nome “terra verde”, a una sconfinata e monotona distesa bianca e proprio così appare dal finestrino dell’aereo. La calotta glaciale, nonostante la si osservi dall’alto, mostra già tutta la sua imponenza. Il manto di ghiaccio ricopre la Groenlandia per 2400km, con uno spessore di circa 700mt. Prima di giungere a Kangerlussuaq, man mano che l’aereo si prepara all’atterraggio, si rivelano i particolari di questa superficie che dall’alto sembrava completamente piatta e invece è molto crepacciata e seraccata. Kangerlussuaq è l’hub aeroportuale della Groenlandia essendo il suo aeroporto dotato di una pista abbastanza lunga da consentire ai voli internazionali di atterrare e di decollare collegando il paese con il resto del mondo. Questo non deve trarre in inganno perché la città è invece inaspettatamente piccola, conta, infatti, appena 600 abitanti. In inverno il centro vitale è l’aeroporto. L’hotel, il ristorante, i negozi, il cambio, le previsioni meteo, il bar, la sala giochi, il night, l’agenzia di viaggio, il capolinea dell’unico bus del paese, tutto si trova all’interno dell’area aeroportuale.
    Kangerlussuaq sembra una città dormitorio, le case sono dei capannoni, è asettica, indifferente, fredda, senza anima e sembra il set cinematografico di un film dell’orrore.
    Viste le premesse, al di là dell’inevitabile transito per raggiungere le altre località della Groenlandia, che cosa spinge a venirci? Almeno tre sono i motivi! Il “ghiacciao Russel”, la possibilità di avvistare qualche “bue muschiato”, ma soprattutto la “luce del nord”. Ecco svelato l’arcano. D’inverno, in particolar modo, è famosa in tutto il mondo per essere uno dei posti sulla terra dove più facilmente si manifestano le aurore boreali, uno dei fenomeni più impressionanti che possa offrirci la natura. A marzo se il cielo è terso, sgombro da nubi e il freddo abbastanza intenso, lo spettacolo è visibile pressoché tutte le notti. Il massimo di frequenza aurorale si registra, infatti, in una fascia compresa tra 60° e 70° di latitudine. Per questo ci troviamo a Kangerlussuaq, ognuno di noi nutre la segreta speranza di vedere l’aurora boreale.
    Il “ghiacciao Russel”, vera e propria reliquia dell’era glaciale, si raggiunge dopo circa 25km, avanzando verso l’interno, su piste immacolate di neve e ghiaccio, grazie a mezzi speciali adatti a questo genere di percorso. Si tratta di Iveco Turbostar (come quelli utilizzati dalle spedizioni di Overland) a quattro ruote motrici e pneumatici montati con catene.
    Nevica quando partiamo, ciò nonostante i raggi del sole ogni tanto si insinuano tra le nubi, rischiarando il paesaggio. Il passaggio più delicato del tragitto è il superamento di un lago ghiacciato che l’autista affronta a velocità molto moderata, un’ultima impervia salita e si è infine di fronte alla falesia laterale del ghiacciaio. Fa’ molto freddo, siamo vestiti come sul Monte Rosa pur essendo a livello del mare, troviamo momentaneo rifugio in due igloo costruiti da alcuni cacciatori. Qui la nostra guida, Jesper, approfitta per spiegarci come la neve una volta fosse l’unico materiale di costruzione a disposizione degli inuit, in particolare durante la caccia sul pack. L’ice-stock, lo strumento utilizzato per farli, è un bastone con una punta adatta a rompere e lavorare il ghiaccio. Molte sono le tradizioni scomparse, ammette malinconicamente, solo una ancora resiste ed è la caccia. Dopo i mesi bui invernali, la caccia primaverile è un evento liberatorio. La cattura della balena, in particolare, continua ad essere ben radicata e finisce sempre con una grande festa.
    A tutta la comunità ne è riservato un pezzo. Della balena non si butta niente oltre alla carne per mangiare (i cui scarti vanno a saziare i cani), il grasso viene bruciato per produrre luce, i fanoni e la pelle utilizzati per fabbricare piatti, utensili, vestiario e giocattoli, i tendini usati per cucire. Gli inuit (eschimesi della Groenlandia), gli abitanti della terra che vivono più a nord, cacciano civilmente, ammazzano per sopravvivere, non come purtroppo gli viene tante volte rimproverato dalle associazioni animaliste. Bastoni e uccisioni scriteriate non fanno parte della loro cultura. In Groenlandia non si spara alle femmine e ai piccoli. È un etica ben fondata.
    Si riparte e inizia la breve camminata sul ghiacciaio già di per sé non facile è resa ancor più difficile da un sottile strato di neve fresca che copre la superficie ghiacciata. Scivolate e capitomboli si susseguono pur calzando tecnici scarponi con tanto di suola in vibram. Per fortuna si è su un terreno completamente piatto. Spazzata via con una mano la neve che ricopre il ghiacciaio ci si rende conto di come si sia proprio sul manto di ghiaccio, stiamo calpestando la calotta glaciale (il ghiaccio senza la terra sotto come spiega Jesper). Lo spazio assume contorni indefiniti, davanti a noi il regno del gelo e della desolazione, se proseguissimo toccheremo luoghi incontaminati e davvero isolati. Se ci s’incanta a guardare l’orizzonte il paesaggio sembra sparire in un turbine bianco. Sembra impossibile che questa terra di ghiaccio tanto lontana dal mondo industrializzato sia seriamente minacciata dall’effetto serra e si stia sciogliendo. Oggi i ghiacciai si stanno davvero ritirando a seguito del progressivo aumento della temperatura terrestre e i primi ad accorgersene sono proprio gli inuit. Questo incredibile scenario di cristallo che è l’artico comincia a denunciare segni di disgregazione che preoccupano gli scienziati di tutto il mondo. Le cause sono conosciute, l’allarme è stato dato, ma si fa’ qualcosa?
    Sensibilizzate i vostri amici quando tornate nel vostro paese – ci chiede Jesper – e ricordate loro che “La più grande riserva di acqua dolce del pianeta si sta’ via via esaurendo”.
    L’altra escursione è quella chiamata “safari del bue muschiato”. Nell’area intorno a Kangerlussuaq vivono 5.000 esemplari di questa specie. Si svolge alla stessa maniera di un safari africano. Senza una meta fissa, in fuoristrada, armati di binocolo e con un po’ di fortuna si possono avvistare non solo i buoi muschiati, ma anche altri animali dell’inverno artico come le renne e la volpe artica. E’ incredibile come questi animali possano vivere stabilmente nell’artico per tutto il corso dell’anno. Su una collina, alta forse un centinaio di metri, tocchiamo la temperatura minima di tutto il tour in Groenlandia ben 25°C sotto lo zero termico. Raffiche di vento s’insinuano anche sotto gli strati sovrapposti del piumino facendoci rabbrividire, per un attimo, per fortuna solo per un attimo, riviviamo le avventure patite dagli antichi esploratori che hanno dovuto sfidare questi territori di grande suggestione, ma dannatamente impervi e selvaggi. Una scrittura groenlandese dice - il nostro è il paese più pacifico al mondo perché noi siamo abituati ad impegnare il tempo contro nemici naturali quali il gelo, la lunga notte polare, il procurarsi il cibo, non abbiamo mai avuto tempo e modo a schierarci contro altre comunità. Il freddo è il nostro unico e solo nemico. - Abbiamo conosciuto il freddo Groenlandese, quello vero, quello artico!
    Insigni scrittori con la loro penna hanno cercato di descrivere la “Luce del Nord”; per Nansem «va al di là di qualunque cosa si possa sognare»; per il norvegese Theodore Caspari «Nessuna matita può disegnarla, nessun colore può dipingerla e nessuna parola può descriverla in tutta la sua bellezza». Ma non scrivere dell'Aurora Boreale, dice una metafora, è come negarsi una fetta di cielo. Lunedì 12 marzo, periferia di Kangerlussuaq, é da più di un’ora, che aspettiamo, a una temperatura di -17°C, imbacuccati nel nostro materiale tecnico di gorotex, che si manifesti l’aurora boreale. Camminiamo sulla neve, su è giù per una strada, per alleviare il freddo. Ancora un’altra mezzora e ancora niente, eppure le condizioni sono quelle ottimali. Il freddo diventa stridente, il morale sempre più affranto, tutti, silenziosamente, non desideriamo altro che ritirarci nel tepore delle nostre camere d’albergo. All’orizzonte tenue luci indugiano ad accendersi, Beppe me le fa’ notare, ma nessuno vuole illudersi, assaliti come siamo dalla demoralizzazione. Ormai in procinto di rientrare, Beppe si gira un’ultima volta verso quel debole bagliore quando esclama ad alta voce: l’aurora, l’aurora! All’improvviso uno spettacolo senza uguali, centinaia di drappeggi verdi e bianchi, di tanto in tanto con riflessi arancione, iniziano a svolazzare, in cielo, proprio sopra alle nostre teste, e come se se si fosse aperto il sipario di un teatro e fosse incominciato lo spettacolo. L’euforia, l’eccitazione risvegliano i nostri sensi addormentati dal freddo, dimentichiamo l’oppressione del gelo polare spalanchiamo gli occhi e restiamo impotenti davanti a così tanta bellezza. Ora la volta celeste splende interamente di queste luci che si manifestano per tutto il cielo in diverse e stravaganti forme: raggi, drappeggi, archi, incandescenze, pieghe, spirali, corone e ancora veli scintillanti, fuochi fluorescenti, figure danzanti, nastri di luce, onde impetuose continuano a passare e ripassare in cielo, sempre con maggior impeto, più o meno intense, ora tremolanti e l’attimo dopo brillanti. L’incantesimo non si attenua, neppure dopo due ore, indifferenti delle prime avvisaglie di congelamento, siamo come bimbi che vedono per la prima volta uno spettacolo pirotecnico di fuochi d’artificio. L’aurora compare in innumerevoli varianti e con incredibili giochi di luce per cui ogni volta il fascino si rinnova. Anche se il fenomeno oggi è scientificamente ben spiegato, grazie ai contributi di numerosi scienziati che hanno fatto luce sui misteri che l’aurora celava, dissolvendo così tutte le superstizioni che la loro inspiegabile origine aveva creato, voglio continuare a pensare all’ubbia che si manifestino quando il dio di tutti gli uomini (non importa di quale religione), tavolozza alla mano, per svago, inizia a dipingere quella immensa tela che è il cielo. (Adri e Mavi, dal loro diario di viaggio)

    ...la storia...


    Come entità storica, alla Groenlandia mancano le guerre sanguinose, i colonnelli, i tiranni da quattro soldi, le lotte di successione e le guerre. La mancanza di avvenimenti importanti e guerre sanguinose si può ascrivere a due fattori: l'esiguità della popolazione, sparpagliata su un territorio molto vasto, e lo sforzo di sopravvivere in condizioni climatiche ostili che ha sempre lasciato poco tempo per l'attivismo politico. La storia della Groenlandia è un qualcosa di inafferrabile: una miscela di saghe leggendarie, aneddoti, fatti scientificamente provati e supposizioni. Si pensa che 5000 anni fa essa fosse abitata da due distinte tribù, che con il tempo si fusero o si estinsero una dopo l'altra, anche se di loro non si sa poi molto. Queste due tribù furono seguite dai Saqqaq, di cui si sa qualcosa in più poiché lasciarono una miriade di manufatti che successivamente furono riportati alla luce e studiati dagli archeologi. Né le ipotesi né i dati scientifici sono finora riusciti a spiegare perché si estinsero anch'essi.
    Passò del tempo e finalmente nel X secolo la storia della Groenlandia si rimise in moto con la repentina comparsa della cultura thule, che si espanse rapidamente verso est. I thule erano relativamente avanzati e a loro si deve l'introduzione di due simboli della Groenlandia: il qajaq ('kayak') e la slitta trainata da cani. Furono probabilmente queste due invenzioni che li salvarono dalla stessa tragica fine cui andarono incontro le sventurate tribù che li precedettero.
    La Groenlandia non ebbe contatti duraturi con gli europei finché Erik il Rosso, il leggendario vichingo, non vi trascorse sei anni in esilio. Fu proprio Erik il Rosso a battezzarla Groenlandia ('terra verde'), anche se il nome si rivelò più lirico che realistico; per gran parte dell'anno infatti la Groenlandia era tutto fuorché verde. Questo, però, non scoraggiò gli islandesi, che si precipitarono numerosi a colonizzare la Groenlandia e per un paio di secoli si dedicarono alla pastorizia, all'agricoltura e alla caccia, mentre il paese scivolava gradatamente nel suo abituale oblio. Nel 1621 la Groenlandia rinunciò alla sua indipendenza ed entrò a far parte dei possedimenti della Corona di Norvegia; 130 anni dopo il paese fu stretto dalla morsa del grande gelo e quando il mondo esterno riallacciò i contatti, dopo il disgelo, i coloni se n'erano andati, o completamente assorbiti o uccisi dai thule.
    La Groenlandia fu dimenticata per altri tre secoli, finché la possibilità di scoprire un passaggio tra l'Europa e l'estremo oriente, i guadagni che potevano derivare dalla caccia alla balena e lo zelo dei missionari non la rimisero al suo posto sulla cartina. Per i missionari luterani l'opera di conversione fu un gioco da ragazzi: qualsiasi religione che avesse punito i malfattori mandandoli in un clima caldo avrebbe avuto una grossa presa sugli inuit. Nel 1605, quando ormai la Norvegia aveva rinunciato alla Groenlandia, la Danimarca organizzò una spedizione per rivendicare il paese a nome del re e successivamente vi mandò lo zelante missionario Hans Egede come suo rappresentante.
    Poco dopo si scatenò la corsa alla conquista dell'estremo nord, che vide come protagonisti principali gli inglesi e gli americani. I libri di storia indicano l'esploratore americano Robert Peary come la prima persona che raggiunse il Polo Nord, ma non vi sono prove a sufficienza per confermare la veridicità del suo resoconto e quindi non si esclude la possibilità che Peary sia stato battuto da Frederick Cook. (liceoberchet.)

    .....storia, miti e leggende nel popolo Inuit.....


    Molto prima dell'avvento delle luci elettriche e dei mezzi a motore, la conoscenza del cielo notturno era un aspetto essenziale per la sopravvivenza dei popoli del nord. L'intera famiglia accompagnava gli uomini durante le battute di caccia che duravano per giorni e giorni. Durante lo svolgimento del viaggio, effettuato in slitte trainate da cani, il padre indicava, nella lunga notte artica, i vari corpi celesti ai figli, e, al termine del viaggio, mentre gli uomini costruivano l'igloo per la notte, le madri narravano ai bambini le storie legate al cielo. La concezione del tempo per gli Inuit è molto particolare, come le condizioni che li hanno visti evolvere. L'importanza che gli Inuit hanno posto riguardo al presente si riflette anche sui loro racconti popolari. Essi non sono alla ricerca di una causa primordiale o di una spiegazione riguardo il fine ed il destino, ma invece tentano di definire il loro presente, tanto che si dice «gli Eschimesi non pensano mai molto al di là». Questo è illustrato in un mito della creazione degli Inuit di Groenlandia, nel quale tre amici erano curiosi riguardo la grandezza e la forma della Terra. Essi partirono per l'esplorazione e finirono per camminare attraverso i passaggi senza fine di una enorme casa di ghiaccio per anni e anni. L'unico amico che sopravvisse tornò finalmente dalla sua gente e disse «la Terra è semplicemente un casa di ghiaccio molto grande» e poi morì.
    Questa storia illustra la visione Inuit del mondo simile alla loro piccola società dove la loro piccola società è vista come il mondo intero. E ancora, insegna una sorta di lezione, che nel tentativo di capire gli aspetti del mondo e le strutture di ciò che ci circonda, noi finiamo sempre dove siamo partiti, con noi stessi e la gente che ci è più familiare. Per gli Inuit, il mondo è creato solo per le cose più fondamentali, tangibili e che accadono ora. Sembra che quando gli Inuit riflettono riguardo alla loro esistenza, sono più interessati alle loro relazioni con gli altri (che in caso di necessità li possono salvare) piuttosto che al loro compito in ordine all'universo. Essi si rendono conto che non possono predire il futuro e allo stesso tempo non danno importanza al passato. A riprova di ciò, essi sono giunti ad un livello di benessere che molte società moderne ed industrializzate non hanno. Non è che gli Inuit non hanno creato racconti (e li vedremo in seguito) ma è che danno molta più importanza agli eventi del presente che alle storie del passato. Da quando Nuna (la Terra) e Sila (il cielo) giocano seguendo le loro regole misteriose, è opportuno che l'umanità impari ad interpretare tali regole, a rispettarle allo scopo di vivere. Non esiste una supernatura, ma solo natura (anche gli spiriti ne fanno parte), e l'umanità deve essere furba, allo scopo di osservarla, imparare come adattarsi ai capricci del vento, dell'acqua, delle temperature, della luce, imparare come adattarsi alle migrazioni degli animali, alle malattie, al terreno infido e al peggiore di tutti i terrori: l'ignoto, il pericolo che uno non sia abbastanza intelligente per anticiparlo. Per gli Inuit, l'esistenza è un grande gioco a scacchi contro la natura: l'abilità offre migliori opportunità, ma non si può mai sapere a quale nuova mossa devi contrapporti. La conoscenza è meglio della fede.
    Quando Knud Rasmussen chiese ad una guida Inuit in cosa credesse, si sentì rispondere «noi non crediamo, noi abbiamo paura».
    Gli Inuit hanno anche definito le strutture dei rapporti fra Terra, Sole e Luna. Credono che un tempo ci fosse una grande massa di acqua che copriva la Terra. Quando questa acqua si asciugò, gli oceani e le terre furono creati. Il cielo è una rigida cupola che è fissa sopra alla Terra piatta, con al di là del bordo un grande abisso. Inoltre esistono due sorelle, Tuono e Lampo che creano la pioggia riversando acqua con i loro secchi sulla Terra. Il Sole, le Stelle e la Luna ruotano attorno alla Terra, e le loro posizioni influiscono sulla caccia, sul tempo atmosferico e sulla navigazione.
    L'incapacità delle minacce di passato e futuro di controllare questa cultura ha reso possibile il modo inusuale e solitario di vita degli Inuit.


    La vicenda più gioiosa parla di due giovani, fratello e sorella che si rincorrono per gioco in cerchio, sempre più velocemente finché salgono verso il cielo e diventano rispettivamente il Sole e la Luna.
    Siccome gli Inuit non coltivano nulla, essi non dipendono dal Sole, e questa è una ragione per cui in inverno è sempre buio. Ma anche per questo c'è una storiella:
    Molto tempo fa, quando il mondo era appena nato, era sempre buio nella terra dove viveva il popolo degli Inuit. Essi pensavano che fosse buio in tutto il mondo fino a quando non capitò lì un vecchio corvo che viveva viaggiando su tutto il pianeta. Il vecchio corvo raccontò loro dei giorni luminosi che aveva potuto vedere, e più gli Inuit sentivano parlare di luce e più la desideravano.
    “Noi potremmo cacciare più lontano e più a lungo. Noi potremmo vedere l'orso polare arrivare e scappare prima che ci attacchi”.
    La gente supplicava il corvo di andare a prendere la luce del giorno, ma lui non voleva: “È troppo lontano, ed io sono troppo vecchio per volare così a lungo”. Ma la gente lo supplicò così a lungo che alla fine partì.
    Aprì le ali e si lanciò nel cielo buio, verso est. Volò molto a lungo, finché le ali non cominciarono a dolergli per la stanchezza e stava per tornare indietro quando notò un debole bagliore di luce in lontananza. Mano a mano che si avvicinava al bagliore, la luce diventava sempre più brillante finché l'intero cielo non fu illuminato. L'uccello esausto si fermò a riposare su un albero, vicino ad un villaggio. Era molto freddo.
    Una figlia del capo del villaggio andò nel vicino ruscello. Come lei immerse il suo secchio nell'acqua gelata il corvo si tramutò in un granello di polvere e volò sul suo mantello di pelliccia. Quando lei tornò al capanno del padre, portò con sé anche Corvo. Dentro alla casa l'atmosfera era calda e luminosa. la ragazza si tolse la sua pelliccia ed il granello di polvere andò verso il nipote del capo, che stava giocando sul pavimento. Egli volò verso l'orecchio del bambino che cominciò a piangere.
    “Che cosa hai? Perché piangi?” chiese il capo, che sedeva vicino al fuoco.
    “Digli che vuoi giocare con una palla di luce” sussurrò il granello di polvere.
    Come ogni nonno, il capo voleva che il nipote fosse felice e disse alla figlia di andare a prendere la scatola delle palle di luce. Ne prese una piccola, la avvolse con uno spago e la diede al nipote.
    Il granello grattò ancora l'orecchio del bambino, facendolo piangere di nuovo “Digli che vuoi giocare fuori” sussurrò il corvo. Il bambino fece così, ed il capo lo portò sulla neve, davanti a casa, poi tornò dentro. Il granello di polvere si tramutò in corvo, tagliò lo spago con i suoi artigli e volò verso ovest. Finalmente raggiunse la terra degli Inuit, la palla cadde a terra e si ruppe in tanti piccoli pezzi. La luce entrò in ogni casa e il buio lasciò il cielo.
    Tutta la gente uscì di casa “Noi possiamo vedere per chilometri! Guarda le montagne in distanza e il cielo, come è blu. Non abbiamo mai potuto vedere così!
    Essi ringraziarono Corvo, ma lui si scusò: “Ho potuto portare solo una piccola palla di luce ed avrà bisogno di molto tempo per riprendere forza, così avrete luce solo per metà dell'anno”.
    La gente rispose “Ma noi siamo felici di avere la luce per metà dell'anno, prima era buio per tutto l'anno”.

    Kaujajuk riposa tra i cani sulla veranda alla ricerca di un po' di calore e, mentre appoggia il viso sulle calde pellicce, guarda alla Luna, e canta questa canzone:

    Luna, lassù,
    amico fraterno, lassù,
    tu mi dai un poco di calore,
    le finestre si illuminano,
    Luna lassù, tu sei la mia sola sorgente di luce,
    io sto cercando di asciugare i miei vestiti,
    è improbabile, è impossibile, non ce la farò...

    L'uomo della Luna scese e fece diventare Kaujajuk un uomo molto forte e potente, e non esisteva nel villaggio una donna che non mostrasse un po' di gentilezza nei suoi confronti o che non volesse diventare sua moglie.
    (racine.ra.it)

     
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