IL TRIANGOLO DI AFAR

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted



    "Il posto più crudele sulla faccia della Terra".


    Triangolo di AFAR



    Dal punto di vista geologico, la depressione della Dancalia è una delle regioni più instabili del mondo. Sorvolandola in aereo - o su un parapendio a motore come ha fatto innumerevoli volte il fotografo George Steinmetz - questa parte dell’Africa Orientale può apparire immobile e raggelata come i ghiacci artici. Ma le apparenze nascondono una natura ben diversa. Sotto la superficie, la scorza rocciosa della Terra si sta spaccando e le camere sotterranee di magma alimentano non solo 12 vulcani attivi, ma anche geyser fumanti, conche ribollenti e un lago infuocato di lava. I terremoti del 2005 e le scosse successive sono gli ultimi di una serie di movimenti sismici iniziati circa 30 milioni di anni fa quando il magma, fuoriuscendo dalla crosta terrestre, cominciò a dividere la Penisola Arabica dall’Africa, dando vita al Mar Rosso e al Golfo di Aden. Raffreddandosi, la risalita di magma diventa più densa e sprofonda. Oggi alcune parti della depressione dell’Afar si trovano a più di 150 metri sotto il livello del mare.
    (Virginia Morell, gennaio National Geographic Italia).


    A volte il fato, come lo chiamavano gli antichi, è davvero bizzarro. Sette milioni di anni fa in Etiopia esisteva un mare interno che aveva trasformato l'altopiano di Danakil in un'isola paludosa; un habitat isolato. I primati che la popolavano furono costretti a spostarsi nel mare e sembra iniziassero a camminare eretti per poter respirare nell'acqua. Quando il mare si ritirò venne a formarsi il deserto di sale di Danakil dove furono scoperti, nel 1995, un cranio ed un bacino assegnati ad una delle prime specie umane. A sud nel deserto di Afar, ufficialmente dove lo sviluppo umano ha avuto inizio, venne ritrovata Lucy e altri esemplari a lei simili. Fossili che risalgono a oltre quattro milioni di anni fa e che rappresentano l'anello mancante della linea evolutiva.
    Il deserto Afar è unico, non ha niente a che vedere con altri deserti come il Sahara, invece di essere fatto di sabbia è strapieno di sale giacchè anteriormente fu un enorme lago. Essendo coperto da sale, il paesaggio è completamente bianco e spettacolare. Ma se questo posto è già di per sé unico ed impressionante, da pochi anni lo è ancora più, poiché gli scienziati hanno scoperto che tra molti anni, questo punto diventerà un oceano, per incredibile possa sembrare; il continente africano si dividerà in due. Questo si deve ad una fessura che hanno trovato nel corno dell'Africa e che ogni anno cresce a poco a poco. In questa zona le temeperature sono realmente insopportabili e pertanto quasi nessuno ci vive....abitano solo alcuni gruppi nomadi di afar dediti alla commercializzare del sale.


    Nella landa più crudele del pianeta,tra temperature impossibili, venti furiosi e geyser di lava, la vita agra dei commercianti afar. È una delle lande più desolate e inospitali del pianeta, un posto nel quale il sole ti acceca, il caldo ti toglie il respiro e l’unico rumore che rompe il silenzio è quello delle tue scarpe su una crosta luccicante che si estende a perdita d’occhio in tutte le direzioni per centinaia di chilometri. Benvenuti nel deserto della Dancalia, al confine tra Etiopia ed Eritrea, un luogo che sembra uscito dal quadro di un pittore astratto e che richiama alla mente immagini di un altro pianeta: stagni di verde acido e giallo fosforescente, geyser di lava infuocata, colonne di roccia ocra che svettano tra la sabbia, crateri fumanti che dopo il tramonto si colorano di blu intenso e sentieri punteggiati di carcasse di asini, capre e cammelli.
    Uno di quei luoghi surreali in cui tutto ti aspetteresti di trovare, tranne che degli esseri umani.
    Le temperature raggiungono i 50 gradi, piove pochi giorni all’anno e il terreno arido e roccioso viene spesso spazzato da venti sabbiosi che penetrano nella bocca e nei polmoni. Eppure, dalla notte dei tempi, la presenza di una distesa di oltre 1.200 chilometri quadrati di sale in questa fossa tettonica che sprofonda per oltre cento metri sotto il livello del mare ha attratto carovane, alimentando un commercio che ancora oggi sembra rimasto lo stesso di secoli fa. Qui il sale lo chiamano anche oro bianco, e i suoi più grandi mercanti sono gli Afar, il popolo di cultura nomade che abita questi paesaggi lunari: un milione e mezzo di persone cresciute ai confini del mondo abitabile, tra deserti e vulcani in costante ebollizione. Le cronache coloniali ne parlano come di gente dall’indole guerriera e dalla ferocia leggendaria, (un proverbio a loro attribuito è «meglio morire, che vivere senza uccidere»), anche se la loro ospitalità nei confronti degli stranieri fa pensare più che altro a un vecchio mito, oppure a un pregiudizio.
    La realtà è che di questo popolo che parla una lingua cuscitica e si tramanda la propria cultura solo oralmente si sa poco o nulla, eccetto che – secondo alcune iscrizioni ritrovate nella pietra – già 2000 anni fa tassavano le carovane di mercanti di sale, e nel decimo secolo dopo Cristo furono convertiti all’Islam dai mercanti arabi.
    L’isolamento non ha però evitato agli Afar una storia segnata da guerre e rivolte.
    Per avere un’idea basta farsi un giro per i loro villaggi di capanne di paglia simili a igloo, dove capita di incontrare uomini che nascono tra gli abiti pugnali e pistole: la testimonianza più vivida di una regione travagliata da anni di tensioni tra Etiopia, Eritrea e Gibuti.
    Avere un’arma qui significa sopravvivere. Ma la sopravvivenza di un uomo e della sua famiglia dipende anche dai suoi cammelli. Un patrimonio che va difeso ad ogni costo. Perché un cammello può darti il latte per sfamare tuo figlio, ma anche marciare per quattro giorni nella canicola con un carico di trenta chili di sale da rivendere nelle regioni confinanti.
    Il viaggio dall’altopiano alla Piana del sale – un’immensa distesa che ricorda le lande ghiacciate dei poli – dura quattro giorni, necessari per percorrere cento chilometri e passare in breve da duemila metri di altitudine ai meno cento delle cave. I mercanti ci arrivano con carovane di cammelli, che marciano ininterrottamente fino all’arrivo a Hamed Ela, un caravanserai di poche centinaia di persone in mezzo al nulla. I mercanti pagano una tassa per ogni bestia, prima di proseguire verso le cave. Qui Afar musulmani e Tigrigna cristiani dell’altopiano etiope si ritrovano dieci mesi all’anno per scavare nella terra blocchi di sale da caricare sui dorsi degli animali, che lo porteranno verso ovest, in direzione di Makallè, dei villaggi della regione, del Sudan, o addirittura nello Yemen, dall’altra parte dello stretto di Aden. È un lavoro massacrante. Inginocchiati su una crosta di sale con piccozze e scalpelli sotto un sole cocente, decine di estrattori e intagliatori scolpiscono interi massi di sale, ricavando i ganfur, blocchi quadrati di circa un metro di lato che vanno dai tre ai sei chili. In questo modo ogni anno si muovono oltre 300 tonnellate di sale all’interno del Corno d’Africa. Non molto, date le dimensioni della cava. Ma abbastanza perché migliaia di famiglie afar e tigrigna possano sopravvivere nel posto più crudele della terra.
    (Pablo Trincia)


    "Uno dei deserti più aspri e desolati della terra. Una delle più profonde depressioni sul pianeta. E poi una temperatura che staziona intorno ai 50 gradi e il rischio delle popolazioni nomadi e selvagge. Chi vorrebbe andare in un posto così? Eppure la Dancalia è un deserto fatto di cristalli colorati, di distese saline, di colate e pietre laviche senza fine, di valloni desolati. E’ uno dei paesaggi più incredibili che ci siano al mondo.
    La strada che attraversa la Dancalia è fondamentalmente quella che porta da Massawa ad Assab. Ma non è una strada, in realtà si tratta di una pista, durissima e faticosa. Da città a città ci sono 631 chilometri, 550 in Dancalia, come dire all’Inferno. La strada costiera, di cui parlano le guide italiane del 1938 non esiste più. A quei tempi il viaggio attraverso la Dancalia era molto più veloce: si partiva il pomeriggio da Massawa e si arrivava ad Assab il giorno dopo all’alba. Oggi ci vogliono almeno quattro giorni, appoggiandosi durante il tragitto agli accampamenti militari presenti nella zona. Il viaggio in Dancalia comincia alla fine della prima diga di Massawa. La prima direzione è verso l’accampamento militare di Galaalol. La prima colata lavica si trova 18 chilometri dopo aver aggirato il massiccio di Ghedem, montagne che sfiorano i mille metri chiudendo la baia di Hirghigo. L’ultima tappa prima di trovarsi nel nulla è l’oasi di Foro, dove è anche possibile fare qualche acquisto. Qui non si è lontani dalle rovine di Adulis, pochi sassi tra le pietre laviche ormai, ma uno dei luoghi più grandiosi dell’antichità africana: in epoca pre-cristiana Adulis fu il più importante porto del Mar Rosso, incrocio dei commerci tra gli altopiani africani, la penisola arabica e l’oceano indiano. La via verso sud porta a Galaalol in circa 80 chilometri.
    Nel libro “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez, uno dei personaggi, vagando per il deserto trovava il gigantesco relitto di un galeone spagnolo. Cose che capitano. Nel deserto della Dancalia, a 40 chilometri da Galaalol, compaiono, come un miraggio, le carcasse di due grandi aerei, in prossimità del villaggio di Marsa Fatma.
    Le tappa successiva del viaggio è Thiò, un villaggio di pescatori dopo il quale si abbandona definitivamente la pista costiera e ci si addentra verso l’interno, salendo in direzione delle Alpi dancale. Il cammino diventa sempre più difficile: si inerpica su dossi lavici, si ridiscende nell’alveo di fiumi. Intorno, il paesaggio è una continua inflorescenza di cristalli colorati. Poi Afambò e avanti, verso Assab."
    (Filippo Golia - 21/12/2000)


    "Tutto intorno il deserto dancalo risplende di ocra e rosso. Siamo all’apice meridionale del “Triangolo Afar”, tra il Mar Rosso e l’altipiano etiopico. Un luogo unico in cui si incontrano tre placche tettoniche che, per il senso longitudinale, tagliano l’Africa con la Great Rift Valley mentre ad est si inabissano in una dorsale oceanica. L’impercettibile stratificazione del tempo qui si mostra con violenza, ed in ogni tappa del viaggio si impongono i segni di enormi stravolgimenti geologici. Esplorare il Parco Nazionale Awash ha un effetto straniante; entrando in questa stretta striscia di verde assediata dal deserto si passa in un balzo dalla savana alla foresta più lussureggiante, dalle zebre di Grevy, le gazzelle e le antilopi alle 400 specie di uccelli e alla flora che, grazie alle acque dell’unico fiume che scorre in Dancalia, esplode in un rigoglio inatteso.
    La generosità di una simile natura non poteva che riflettersi sulla ricchezza delle culture che, nei secoli, di essa si sono alimentate. Sulle sponde dell’Awash si spostano durante la stagione secca diversi gruppi di Afar. Nonostante molti di essi si siano oramai trasferiti nelle città, la gran parte hanno mantenuto la tradizionale attività pastorale. Perciò quando la già poca acqua del deserto intorno si prosciuga completamente sono costretti a spostare qui i loro armenti, generalmente composti da capre, pecore e vacche. Solo con la stagione delle piogge – da novembre – riprendono la via del ritorno riparandosi sugli altipiani dalle inondazioni e dagli insetti.
    Possiamo idealmente seguirli e scoprire che questo stesso burro, assieme al latte, al sale e ai bovini, li spinge alle falde degli altipiani a commerciare con i Tigrai e gli Amharic. Li osserviamo mentre trattano il baratto. In cambio ai loro prodotti ricevono uova, spezie, verdure, grano e oggetti di lusso come il sapone, utensili in alluminio e oggetti d’ornamento. Nei paraggi di Ahmed Ela la singolare struttura geologica della regione sembra volerci stupire con fenomeni di vulcanesimo secondario, geyser, formazioni saline e pozze colorate dai diversi cloruri, dagli ossidi di ferro e dai solfuri. Dallol, la “collina degli spiriti” che acquisì visibilità in Occidente grazie al documentario del National Geographic “Going to extremis”, si erge come unico punto di riferimento su questa distesa senza confini. Il percorso, attraversando un bosco di ginepri, sale all’altopiano etiopico raggiungendo al tramonto la cittadina di Hawsien nella regione del Tigrai.
    In seguito alla conversione nel 356 d.C. del re axumita Ezena, questa enorme regione divenne uno dei più antichi regni cristiani e Axum – oltre che punto strategico per i commerci tra l’Oriente e i popoli del nord Africa – “la città sacra d’Etiopia”. La profonda spinta mistica che avvolse questa regione nel medioevo portò alla fondazione di numerosi monasteri e di quello che oggi è uno dei patrimoni dell’umanità più sacri: le 100 chiese ipogee sparse in tutto il Tigrai.
    Scavate tra il IX e il XVI sec. sui fianchi rocciosi delle Ambe, sono tutte immerse in paesaggi incredibili, alcune facili da raggiungere, altre da conquistare con lunghe ma magnifiche camminate.
    Non c’è luogo più adatto per fermarsi un attimo e ripensare il nostro viaggio: un percorso che, mutando in continuazione i propri contorni, ci ha permesso di attraversare – insieme ai signori del deserto – un regno di sabbia e lava, vulcani attivi e l’accecante deserto di sale; seguire, risalendo il canyon del fiume Saba, le interminabili carovane del sale, fino a perderci tra i giochi di forme e colori della “collina degli spiriti”. Ed infine il Tigrai, il cuore più antico dell’Etiopia cristiana, con le sue bellissime chiese e la sua natura grandiosa.
    Un’esperienza intensa alla scoperta di un’Africa che non smette mai di stupire."
    (viaggiinavventura)
     
    Top
    .
  2. tomiva57
     
    .

    User deleted


    waw!!!..grazie gabry
     
    Top
    .
1 replies since 2/2/2012, 07:38   1833 views
  Share  
.