MICHELANGELO BUONARROTI

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  1. gheagabry
     
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    Io sto qua in grande affanno
    e con grandissima fatica in corpo
    e non ho amici di nessuna sorta.




    MICHELANGELO BUONARROTI

    Michelangiolo nacque il 6 marzo 1475 da Lodovico Buonarroti e da Francesca di Miniato del Sere a Caprese.
    In quei tempi lontani, il territorio capresano doveva avere certo una linea più accentuatamente rupestre, quantunque dentro le antiche mura del castello, di cui oggi rimangono soltanto ruderi massicci, contenesse la casa, che era la residenza del potestà. Pittoresco sempre resta il paesaggio, dove, verso settentrione, spicca il Crudo Sasso di S. Francesco, e in basso il fiume Sinigerna, affluente del Tevere, serpeggia lento tra i monti e le valli.
    Il padre di Michelangiolo, essendo potestà di Chiusi e Caprese, dimorava sei mesi in una sede e sei nell’altra. Da un documento, però, si rileva che il figlio nacque, quando Lodovico si trovava a Caprese. Ciò chiaramente risulta da una copia dell’atto di nascita, scoperto da Alessandro Gherardi, tra le carte dell’Archivio Buonarroti. La casa natale porta 1’ iscrizione : « In questa
    umile cameretta il dì 6 marzo 1475 — nacque — Miclielangiolo Buonarroti ». Un bimbo tranquillo e grave si sveglia a Caprese — scrive Emilio Ludwig — cresce a Firenze, penetra creatore poderoso nella città dei Papi; il castello e la basilica si riflettono nella sua anima.
    Dopo essere stato battezzato nella chiesetta di S. Giovanni, appena trascorso un mese dalla nascita, fu portato a Settigriano (Firenze) e dato a balia alla moglie di uno scalpellino.
    Michelangiolo nella sua vita adulta giustamente affermò che il proprio mestiere l’aveva succhiato col latte. La sua famiglia era fiorentina e l’aria che respirò — dice Giovanni Papini fin quasi a venti anni fu quella delle colline e delle strade fiorentine.

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    A Michelangelo la madre morì che aveva solo sei anni. L'infanzia era stata grigia e fredda. Il suo temperamento era d'indole taciturna. Era stato mandato a balia, da bambino, in una famiglia di scalpellini.
    Tornato in città frequentò, contro la volontà del padre, il pittore Francesco Granacci, che lo invogliò alla pittura presso il Ghirlandaio. Stranamente il tredicenne Michelangelo, invece di lavorare gratuitamente, poté fruire di un contratto triennale di apprendistato. Col Ghirlandaio opera agli affreschi in Santa Maria Novella, ma il sodalizio dura molto poco. Ancor fanciullo, andando a imparare con lo scultore Pietro Torrigiani, da questi, per rivalità, si buscò un pugno che gli deturpò il naso per tutta la vita.
    Tuttavia Lorenzo il Magnifico, accortosi del suo talento, lo accoglie alla corte come un figlio adottivo. A Palazzo Medici frequenta, appena quindicenne, Poliziano, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola e altri umanisti neoplatonici. Studia le opere d'arte antica riunite nel Giardino di via Larga (giardini medicei di San Marco), sotto la guida di Bertoldo di Giovanni. Scolpisce la Madonna della Scala e la Centauromachia. Studia anatomia sezionando cadaveri.
    Alla morte di Lorenzo, durante la predicazione del Savonarola e mentre si sta avvicinando il re francese Carlo VIII, fugge da Firenze (ottobre 1494), recandosi a Bologna, ma già nel 1496 parte per Roma, dove resta sino al 1501. Aveva ottenuto l'incarico della Pietà in San Pietro, che suscitò non poche critiche, in quanto aveva rappresentato Maria troppo giovane rispetto al Cristo. Prima della Sistina aveva realizzato, in pittura, solo qualche tavola e il cartone per la Battaglia di Cascina per Palazzo Vecchio.
    Tornato a Firenze fino al 1504, nel marzo 1515 viene chiamato da Giulio II per realizzare un monumento funebre, ma abbandona la città nell'aprile 1506 perché il papa è preso per il nuovo San Pietro con l'architetto Bramante. Nel novembre dello stesso anno deve però raggiungere Giulio II a Bologna, appena conquistata dalle truppe pontificie, allo scopo di realizzare una grande statua in bronzo del pontefice (febbraio 1508), distrutta poi, tre anni dopo, dai seguaci del Bentivoglio.
    Nel maggio 1508 sottoscrive il contratto per la decorazione della volta della Sistina. Committente è lo stesso Giulio II, che lo incarica di sostituire le stelline del soffitto della Cappella Sistina con un affresco dedicato ai Dodici Apostoli, che poi diventerà quello della Storia della Creazione. Gli ci vogliono quattro anni per terminare il progetto.
    Dopo la morte di Giulio II, nel maggio 1513, firma un secondo contratto per il monumento destinato alla sepoltura del pontefice, ma il progetto non si realizzerà mai in maniera compiuta, nonostante vi abbia lavorato per oltre trent'anni (più volte dirà di sentirsi invidiato da Bramante e Raffaello). I lavori vengono sospesi una prima volta nel 1520 perché gli era stata commissionata la facciata di San Lorenzo, anch'essa rimasta incompiuta, come altre opere dell'artista, per problemi tecnici e finanziari.A Firenze intanto costruisce la Sagrestia Nuova di San Lorenzo (1519-33) e la Libreria Mediceo-Laurenziana.



    Dopo il sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi (1527) e la cacciata dei Medici da Firenze, ha una parte rilevante nel governo repubblicano, in quanto governatore delle fortificazioni murarie. Partecipa attivamente alla difesa della città assediata dalle truppe pontificie e imperiali.
    La Repubblica cade il 12 agosto 1530. E' questo il periodo più angoscioso della sua vita. E' infatti repubblicano convinto, ma fugge a Ferrara e a Venezia (1529) e vorrebbe andare in Francia. Firenze lo bandisce come disertore e ribelle, poi lo perdona e lo richiama, grazie all'intercessione di Clemente VII, che lo salva dalle vendette dei seguaci dei Medici (il papa aveva vissuto, insieme a Michelangelo, alla corte dei Medici: erano entrambi profondamente borghesi e sostanzialmente atei).

    Tuttavia nel 1534 decide di abbandonare definitivamente Firenze per trasferirsi a Roma, dove accetta l'incarico di Clemente VII di dipingere una Resurrezione dietro l'altare della Sistina, idea che venne poi sostituita con quella del Giudizio Universale (1536-41). A Roma rimane molto impressionato dalle conseguenze del saccheggio, che ha dissipato il mito dell'immunità storica della città santa: il sogno della restaurazione classica di Leone X pare concluso.
    Paolo III confermerà a Michelangelo l'incarico ottenuto da Clemente VII e non farà nulla per impedire a Michelangelo di dipingere come gli pareva. Tuttavia proprio questo papa stava per diventare il campione della Controriforma. Le divergenze teologiche col protestantesimo sono destinate a trasformarsi in politiche, con risvolti di tipo militare e Michelangelo col suo Giudizio Universale sembra anticiparne i tempi.
    Partecipa al gruppo di Viterbo che si riunisce attorno al cardinale Reginald Pole e a Vittoria Colonna, capofila degli ambienti cripto-protestanti italiani. L'influenza di questo clima spirituale è visibile nel Giudizio Universale e negli affreschi della Cappella Paolina, dove nella Conversione di san Paolo e nel Martirio di san Pietro i nudi sono ridotti al minimo ma è evidente che: 1. il Cristo odia tutti meno san Paolo, che in quel momento era anti-cristiano; 2. Michelangelo s'identifica in san Pietro e, pur di non cedere dalla propria posizione, si fa crocifiggere capovolto, guardando con disprezzo persino l'osservatore, il committente.

    Nei suoi diari e nelle poesie spesso si lamenta delle condizioni grame della sua esistenza, ma egli non era affatto povero, anzi aveva accumulato una fortuna equivalente a molte decine di milioni di euro (p.es. una cifra equivalente a 46 milioni di euro decise di lasciarla al suo amante Pierfrancesco Borgherini). Nel periodo in cui lavorò alla Biblioteca Laurenziana riuscì a ottenere da Clemente VII uno stipendio mensile equivalente a 600 mila euro. Il suo reddito abituale era di almeno cinque volte superiore a quello di Leonardo o Tiziano o Raffaello. Non si godè tutto questo patrimonio solo perché era incredibilmente avaro e viveva molto modestamente, pensando soltanto ad accumulare i suoi guadagni presso le banche e acquistando terreni (cfr Rab Hatfield, The Wealth of Michelangelo).

    Negli ultimi vent'anni della sua vita s'interessa solo di architettura. L'unica scultura scolpita è la Pietà, simbolo del crollo di tutti i miti rinascimentali.
    (homolaicus)





    Michelangiolo, nel suo aspetto fisico, fu piuttosto debole e malaticcio, piuttosto brutto, tanto che egli si raffigurò in quel verso : «la faccia mia ha forma di spavento ». Egli stesso affermò di aver rinunziato a prendere moglie per attendere all’arte, che gli fu idolo e monarca, e a chi gli rimproverava tale cosa, egli rispondeva argutamente «Io ho moglie troppa, che è quest’arte, che mi ha fatto sempre tribolare ed i miei figlioli saranno le opere che io lascerò ».
    Conosceva a meraviglia la struttura del corpo umano, avendola esaminata e studiata dal vero nei cadaveri dell’ infermeria di Santo Spirito a Firenze.
    Lavorava indefessamente, e diceva con ragione ad Ascanio Condivi, suo biografo : « Ascanio, per ricco ch’ io mi sia stato, sempre son vissuto povero ». Dormiva poco, viveva solitario ; faticava molto, parte della notte attendendo alle sue sculture. Era tutto preso dall’ ispirazione dell’arte e dai sacrifici che gl’ imponeva, cosicché dimenticava ogni comodità della vita. Si era fatto una specie di elmo di cartone, sul quale fissava una candela, per lavorare con più profitto nelle ore notturne.
    Racconta il Vasari che una volta, a notte avanzata, gli mandò quattro mazzi di candele di dieci libbre l’uno. Ma Michelangiolo, avendole rifiutate, il servitore che gliele aveva portate disse che si era stancato, e che invece di riportarle via, gliele avrebbe messe tutte ritte in certa fanghiglia, davanti alla
    porta, e che le avrebbe poi accese tutte. Allora Michelangiolo subito disse: « Posale costi, chè io non voglio che tu mi faccia le baie all’uscio ».
    Ebbe familiarità con gli uomini più famosi del suo tempo ; sette pontefici, che durante la sua vita si succedettero sulla cattedra di S. Pietro, raccomandarono al genio di lui 1’ immortalità del proprio nome.
    Il padre suo, Lodovico, che a Firenze esercitava uffici modesti, morì nel 1534 a 92 anni. Michelangiolo ebbe quattro fratelli: Buonarroto, Leonardo, Giovan Simone e Sigismondo. Anche quando era travagliato da mille difficoltà, Michelangiolo si occupava della casa, dei fratelli, del nipote ; sempre consigliava i suoi cari in molte lettere e li ammoniva come un buon padre di famiglia.
    Con i suoi guadagni acquistò case in Firenze e diversi terreni nel contado fiorentino. Circa i sessanta anni cominciò a sentire i disturbi del male che lo tormentò poi lungo tempo. « Per quello che giudicano i medici, dicono che io ho il male della pietra » così scriveva al suo nipote Leonardo. E confessava che questo incomodo gli era sopraggiunto a causa di tante fatiche e di tanti disagi, sopportati con eroica costanza. Lo curava Realdo Colombo, medico eccellente.
    Ma per curare il suo male aveva più fiducia nelle preghiere che nelle medicine : « ho avuto buon medico, ma più credo alle orazioni che alle medicine ». Si aggiunsero poi sventure familiari; a poca distanza di tempo gli morirono due fratelli: Giovan Simone e Sigismondo, poi il servo fedelissimo Francesco Amadori, detto Urbino, di Casteldurante, che lo aveva servito per 26 anni. Scrisse su questo fedele servo una lettera commovente, dicendo: « dove in vita mi teneva vivo, morendo mi ha insegnato a morire ».
    Presentiva vicina la fine, e affermava che non nasceva pensiero in lui in cui non vi fosse scolpita la morte, della quale aveva perfino rappresentata 1a figura nella propria abitazione a Macel de’ Corvi presso il Foro Traiano, a Roma. Diceva : « Io sono tanto vecchio che spesso la morte mi tira per la cappa, perchè io vadia seco, e questa mia persona cascherà un dì e sarà spento il lume della vita ». Visse fino a quasi 90 anni. Tre anni prima di morire, una volta si alzò scalzo, e in tale stato per tre ore stette a disegnare, poi svenne, e si credette che fosse morto ; poi ritornò in sè. Tre giorni prima della morte, per cacciare la sonnolenza, volle provarsi a cavalcare il suo ronzino di color castagnaccio per andare a vedere i lavori a S. Pietro, secondo il solito, ma il freddo della sera e la debolezza di testa e di gambe glielo impedirono, e così ritornò al fuoco in una sedia, dove stava più volentieri che a letto. Intanto, dalla Chiesa di S. Giovanni Decollato, detta dei Fiorentini, dove risiedeva la Confraternita a cui apparteneva Michelangiolo, un sacerdote partiva col SS. Sacramento, seguito dai fratelli con torce accese, in mezzo a due file di cittadini inginocchiati, poiché la notizia della fine imminente di Michelangiolo si era sparsa per tutta Roma.
    La sera del 18 Febbraio 1564 il suo grande spirito abbandonava la terra, dove aveva tanto lottato, creando capolavori di una potenza sovrumana. Il suo corpo fu posto provvisoriamente nella Chiesa dei SS. Apostoli, ma poi fu portato a Firenze nel tempio di S. Croce, dove su disegno del Vasari, gli fu innalzato il sepolcro.

    (capresemichelangelo)

     
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  2. trecy
     
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    grazie a chi ha fatto questa ricerca....mi è stata utilissima.......
     
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  3. Ravecca Massimo
     
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    Gli ebrei volevano uccidere Gesù, ma non potevano, Pilato poteva condannarlo a morte, ma non voleva, Erode tratto Gesù come fosse il protagonista di un carnevale ebraico (Purim), i soldati romani come se fosse il protagonista di un carnevale romano (saturnali), la scelta tra i due prigionieri famosi riecheggia vecchi riti mediorientali di feste primaverili in cui un dio muore e l'altro vive. Barabba più che un nome proprio, che probabilmente era Gesù, potrebbe essere un titolo relativo ad una funzione ed in ogni caso coincideva con l'imputazione relativa a Gesù: essersi proclamato Figlio del Padre. Per questo Michelangelo quando dipinse il Giudizio Universale per Gesù giudice riprese la figura di Aman (protagonista del carnevale ebraico) dipinta precedentemente nella volta della Cappella Sistina? Cfr. ebook (amazon) di Ravecca Massimo. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.
     
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2 replies since 29/1/2012, 21:56   626 views
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