LA STORIA DELLA MODA

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  1. gheagabry
     
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    La storia della PARRUCCA


    Nella storia della moda la parrucca non aveva le connotazioni ridicole che molti oggi le attribuiscono, ma era un accessorio portato fino dall’antico Egitto da uomini e donne, non necessariamente per compensare la perdita dei capelli, ma principalmente come segno di status. In Europa ebbe il suo massimo splendore nei secoli XVII e XVIII, quando trionfarono Barocco e Rococò: se si pensa alla teatralità e al fasto di questi due stili artistici (avete presente la reggia di Versailles?) la parrucca si trovava perfettamente a suo agio tra gli stucchi, i marmi, le decorazioni, la grandiosità che essi comportavano.
    La moda iniziò durante la Guerra dei Trent’anni, durata dal 1618 al 1648, che determinò un netto cambiamento del vestire maschile. A partire dagli anni Trenta del Seicento infatti, tutti gli uomini predilessero abiti in stile militaresco, portando con pose spavalde cinturoni, lunghe spade, pesanti stivali in cuoio. Trionfò la mascolinità bellicosa, e si voleva a tutti i costi esibire un rude aspetto guerresco, oltre che nel vestito anche nell’abbondante peluria, segno evidente di virilità. Parecchi aneddoti raccontano come la parrucca sia entrata nelle case reali e da qui abbracciata da quasi tutta la popolazione che – dati i costi – se la poteva permettere; le parrucche più care erano infatti fabbricate con capelli veri, mentre la gente più modesta doveva accontentarsi di peli di pecora e capra, crine di cavallo o coda di bue.
    Nel Seicento e nel Settecento la Francia era considerata il centro del buon gusto europeo e sembra che sia stato proprio un monarca francese, Luigi XIII, a favorire l’uso delle parrucche per nascondere la precoce calvizie causata da una malattia. Il suo successore Luigi XIV, il Re Sole (1638 – 1715) portò quest’accessorio alla sua apoteosi. Nel 1655 il sovrano concesse la licenza di aprire bottega a 48 fabbricanti parigini di parrucche. Alla fine del Seicento, in perfetta armonia con la bizzarria del gusto Barocco, la parrucca maschile si trasformò in una monumentale torre di riccioli, con due bande che scendevano sul torace e un’altra dietro la schiena. Il peso eccessivo la rendeva molto scomoda da indossare, per cui la si portava solo a corte, mentre nel privato si preferiva la ben più comoda berretta. La circonferenza della parrucca impediva l’uso del cappello, che si portava semplicemente sotto braccio. Tuttavia oltre agli svantaggi, essa aveva vantaggi fisici e soprattutto psicologici non trascurabili: indossata sul cranio rasato, favoriva una maggior pulizia in un’epoca in cui pullulavano cimici e pidocchi. Inoltre rialzando la statura, dava alla figura maschile un senso di imponenza regale che aumentava il prestigio dell’individuo.
    Durante il Settecento fino alla Rivoluzione francese, la moda della parrucca continuò a contagiare gli uomini e successivamente le donne e i bambini. Particolarità del periodo fu l’uso pressoché universale di imbiancarla cospargendola di cipria solitamente composta di polvere di riso. Un servitore la soffiava sul paziente in un apposito stanzino polverizzandola con un piccolo mantice, mentre il volto e il corpo erano protetti con un accappatoio e un cono che copriva la faccia. Oltre al riso si usavano l’amido mescolato con polvere profumata, e per quelli che non se lo potevano permettere, calcina, gesso, legno tarlato, osso bruciato, il tutto passato con cura al setaccio.
    Più frequente per l’uomo che per la donna, la parrucca serviva a coprire teste pelate vuoi dall’età, vuoi da qualche malattia che causava la caduta dei capelli come il vaiolo, allora piuttosto diffuso. La tipica parrucca maschile settecentesca, di moda soprattutto verso la metà del secolo, aveva un ciuffo alto e arricciato sulla fronte, riccioli sulle orecchie e un codino avvolto in un sacchetto di seta nera. Ma i modelli erano molti di più e avevano bisogno di lavorazioni elaborate. I capelli erano impomatati, arricciati, poi, con una specie di permanente avanti lettera, bolliti e infine cuciti a una reticella e fermati da nastri nascosti.
    Le donne si accostarono a questo accessorio con un certo ritardo. Una sera Leonard, il parrucchiere personale di Maria Antonietta d’Austria (1755 – 1793), moglie di Luigi XVI di Borbone e re di Francia (1754 – 1793), acconciò la regina con capelli rialzati artificiosamente più di mezzo metro sul capo, frammischiandoli con sciarpe di velo. Questa acconciatura, che crebbe in altezza fino a diventare mastodontica, fu di moda dal 1770 per circa 10 anni, ed era anche detta pouf o tuppè. Il tuppè era una vera e propria parrucca, fatta solo in parte coi propri capelli; aveva un’armatura nascosta di filo metallico ed era imbottito da un cuscinetto di crine. Era scomodo e malsano, sia perché portato su capelli non lavati ma tenuti in piega da oli e pomate profumate, sia perché attirava inevitabilmente ogni tipo di parassita. Ma l’aspetto più sconcertante erano le incredibili decorazioni che vi venivano appoggiate sopra. La fantasia non aveva limiti: palme, pappagalli, frutta, ghirlande d’amore, scale a chiocciole di pietre preziose, navi con le vele al vento spiegate (à la belle poule). Nomi e nomignoli francesi distinguevano i diversi modelli: à la monte du ciel, di altezza vertiginosa, il pouf à sentiment, con usignoli imbalsamati, alla cancelliera, alla flora, piena di fiori, al vezzo di perle (ovviamente circondata da giri di perle) ecc. L’acconciatura fu studiata per meravigliare gli altri, sfruttando persino la cronaca del giorno e la manifestazione dei propri sentimenti pur di attrarre teatralmente l’attenzione. Per fare un esempio, quando i fratelli Montgolfier nel 1783 alzarono per la prima volta su Parigi il primo pallone aerostatico, la moda diventò la “parrucca alla mongolfiera”.
    Identificata dal popolo con l’odiata aristocrazia, la parrucca decadde con la Rivoluzione Francese. Nel periodo del Terrore addirittura, anche solo girare con una parrucca incipriata poteva portare alla ghigliottina. In Italia e nelle corti europee che rimasero fedeli alle vecchie idee, essa fu portata ancora per qualche anno. Ma già dopo le conquiste di Napoleone Bonaparte fu abbandonata e rimase a decorare le teste della servitù, o di qualche nostalgico che per scherno era chiamato “codino”.
    (Bianca Maria Rizzoli)

    ..Léonard..



    La chioma di Maria Antonietta era affidata alle cure di un grande artista: il parrucchiere Léonard. Guascone vivace e amabile, d'intelligenza pronta e con temperamento da prima donna, il suo trionfale arrivo come coiffeur a Parigi è descritto mirabilmente da Madame de Genlis: “Léonard arrivò: arrivò e divenne re”. Si recava, con un tiro a sei, da Parigi fino a Versailles per dedicare alla regina con pettine e pomate le sue arti grandi e rinnovate. Come Mansard Léonard elevava sulla fronte di ogni dama che tenesse alla moda torrioni di capelli foggiando quegli erti edifici a simbolici monumenti. Con l'aiuto di forcine giganti e di abbondante rigida pomata i capelli venivano dapprima tirati su verticali dalla radice, alti tre volte un berretto da granatiere prussiano, e poi solo lassù, nel puro spazio, mezzo metro sopra il livello degli occhi, cominciava la vera creazione dell'artista. Su questi «poufs» ovvero «quasacos» di capelli venivano modellati non solo interi paesaggi e panorami, con frutta, giardini, case e velieri con il mare in burrasca (una vera esposizione universale) ma per rendere la moda ancora più varia, questi giochi plastici seguivano simbolicamente gli eventi del giorno.
    Così la storia della pettinatura di quel secolo è anche un po' la storia del regno...quando morì Luigi XV subito nacque la pettinatura “Alle delizie del secolo di Augusto” (Augusto nel 1774 era Luigi XVI) e comparvero le pettinature del “tempo presente o alla circostanza”; quando Beaumarchais pubblicò nel 1775 le sue memorie nelle quali si trova il famoso “ Qu'es - aco, Marin?" subito spuntarono i quasacos; dopo il grande successo dell' Ifigenia di Gluck, Léonard inventò una «coiffure à la Iphigénie », guarnita di nastri neri a lutto e dell'arco lunare di Diana;
    quando il re si fece vaccinare contro il vaiolo, quell'avvenimento ricomparve sulle chiome quale «poufs de l'inoculation »; in seguito all'insurrezione americana subito trionfò la pettinatura della libertà. La mania divenne ancora più stolta e infame: durante la carestia le panetterie di Parigi vennero saccheggiate e questa società ignara non ebbe nulla di meglio da fare che commentare l'avvenimeno con i suoi «bonnets de la révolte». Gli edifici eretti su quelle teste vuote divennero sempre più pazzi.
    A poco a poco le turrite chiome giunsero ad un'altezza tale che le dame non poterono più star sedute nelle loro carrozze ma dovettero entrarvi in ginocchio affinché la costruzione preziosa non toccasse la volta della berlina; i vani delle porte nel castello reale vennero elevati perché le dame in grande acconciatura non fossero sempre costrette a curvarsi passando. Léonard acconciava la regina solo nei giorni di cerimonia: non poteva concedersi di più perché il suo salone parigino era troppo affollato; per tutti i giorni il divin parrucchiere rimaneva nel suo salone e affidava i capelli della regina ai suoi fedeli aiutanti tra cui suo cugino Villenoue detto le “beau Julien”. Le vecchie dame gridarono d'orrore: come poteva la regina di Francia affidare la sua testa ad un uomo, che toccava anche i capelli di mademoiselle Guimard o di qualsiasi altra grue del Palais-Royal? Ma la regina non rinunciò al suo Figaro, del resto le pettinature ideate da Léonard erano veri e propri capolavori architettonici e Maria Antonietta non sarebbe stata regina se non fosse stata la prima in ogni follia.
    (Stefano Torselli e Laura Savani)



    Il CAPPELLO



    Avendo la necessità di proteggere la testa dal freddo, dalla pioggia, dai raggi del sole, fin dall'antichità la gente si é servita di cappucci, veli, cuffie, berretti, turbanti di ogni foggia. Solamente verso la metà dell'Quattrocento fece la sua comparsa il cappello, cioé il copricapo di feltro caratterizzato da una visiera, chiamata anche falda o ala. Pare che il primo ad indossarne uno fu Carlo VIII, che lo sfoggiò in occasione della sua visita a Roma.

    Il Settecento fu il secolo d'oro del cappello. A quel tempo il re Luigi XV lanciò la moda del tricorno, che diventò il copricapo ufficiale delle divise militari di diversi eserciti. Le signore veneziane trovarono così elegante e civettuolo il cappello a tre punte che lo adottarono, portandolo sopra le parrucche incipriate e la maschera o bauta, sotto al quale nascondevano parte del viso. Le nobildonne francesi e inglesi amavano anche i grandi cappelli ornati di piume e, per puro divertimento, giunsero ad indossare cappellini adornati con uccelli imbalsamati, civetteria che oggi sarebbe giudicata di pessimo gusto. Nel 1806 Arrington, un famoso cappellaio di Londra, creò il cilindro che col tempo diventò uno dei simboli della città.
    La moda dell'Ottocento e del Novecento diede grande risalto a questo capo di abbigliamento, creando per le donne modelli eleganti, deliziosi, sofisticati o sportivi, adatti a ogni occasione. Anche oggi, davanti alla grande varietà di modelli, c'é solo l'imbarazzo della scelta e basta indossare un cappello un po' originale per sentirsi nei panni di un personaggio immaginario e aver voglia di giocare al teatro.



    .....miti e leggende.....


    La leggenda attribuisce l’invenzione del feltro all’apostolo Giacomo, fratello di Giovanni evangelista. Si racconta infatti che, andando per il mondo a testimoniare la dottrina del Cristo, egli abbia escogitato un sistema per alleviare le sofferenze provocate ai suoi piedi dalle lunghe marce alle quali lui che era pescatore mal si adattava.
    Raccolse dunque i ciuffi di lana che i montoni la sciavano attaccati ai cespugli e ne fece un morbido strato fra il piede e i sandali. Dopo qualche tempo si accorse che la lana si induriva grazie alla pressione, all’umidità e al sudore. Quel compatto sottopiede segnò la nascita del feltro. Si era infatti naturalmente prodotto il processo di agglutinamento che è tuttora l’operazione fondamentale nella fabbricazione del feltro. È vero che gli antichi avevano l’abitudine di cercare un inventore per ogni cosa, ma ciò che va oltre la leggenda è il fatto che già le prime corporazioni dei cappellai tributavano a san Giacomo una particolare venerazione e lo consideravano il protettore della loro “arte”.
    Certo la leggenda rientra anche nel gusto medievale dell’aneddoto agiografico ma non si può ignorare il ruolo che il culto di questo santo ebbe nella diffusione e nello sviluppo del feltro. La località nella quale, secondo la tradizione, fu scoperta la tomba dell’apostolo fu chiamata Santiago de Compostela, nome che deriva da campus stellae il campo indicato miracolosamente da una stella, che divenne meta di uno dei pellegrinaggi più popolari del Medioevo.
    E furono proprio i viaggi devozionali verso Compostela che divennero anche occasione di scambi e commerci lungo gli itinerari costellati di luoghi di sosta e monasteri. La pregiata lana spagnola merinos utilizzata dai cappellai per i feltri più fini trovò anche in queste strade della fede la via per trasformarsi in merce di scambio.
    San Giacomo si festeggia il 25 luglio. L’iconografia lo presenta come un viandante: sulle spalle un povero mantello, appoggiato al lungo bastone di legno col manico ricurvo, porta in testa il cappello di feltro a larghe tese su cui è applicata una conchiglia.
    (dal web)




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    Il Cappello d'oro di Berlino (in tedesco: Berliner Goldhut) è un manufatto risalente alla tarda Età del bronzo realizzato in una sottile lamina d'oro. Fu utilizzato come copertura esterna di un lungo copricapo conico, probabilmente realizzato in materiale organico.



    Quello di coprirsi la testa è un uso antico, anzi antichissimo se già nel periodo neolitico l’uomo usava larghi cappelli di paglia per ripararsi dal sole.
    Certo non sono molti i reperti giunti fino a noi poiché si trattava di manufatti in materiali deperibili, ma ne troviamo ampia testimonianza nei dipinti, nella scultura, nei mosaici nonché in monete e documenti scritti.
    Il materiale più antico furono le pelli di animali selvatici dapprima usate al naturale e poi rozzamente conciate, tagliate e legate insieme con lacci fatti passare dai fori praticati con punteruoli d’osso.
    In anni recenti la scoperta dell’uomo del Similaun ci ha fornito un esempio concreto di cappello “archeologico”.
    Lana, cotone, seta, cuoio sono stati da sempre elementi offerti dalla natura per proteggere le parti del corpo più delicate conservandole ad una temperatura il più possibile costante e va da sé che la testa è stata sempre considerata una parte quanto mai sensibile.
    Inizialmente il copricapo aveva certo una funzione pratica: doveva preservare la testa negli scontri e difendere dal freddo e dalle intemperie, ma i confini tra funzione utilitaria e simbolica del cappello non sono sempre facilmente delineabili.




    “Il cappello esiste perché esiste la necessità di preservare, anche solo simbolicamente,
    la parte più nobile dell’uomo, la testa e quindi il pensiero”


    La testa come sede dell’anima e della vita assume fin dalla preistoria potenti qualità magiche. Per questo il gesto di coprire il capo esprime innanzi tutto il bisogno di proteggere questa parte del corpo da forze ostili o anche di evidenziarla dandole rilievo e visibilità quasi a richiamare l’attenzione del divino.
    Nella tradizione romana più antica qualunque sacrificio o rituale religioso doveva essere compiuto velato capite, ossia con la testa coperta e la copertura avveniva con il lembo della toga. Secondo gli Indiani d’America il cappello della grande medicina, se portato in battaglia aveva il potere di deviare frecce, lance e proiettili.
    Fatto di pelle di bisonte con le corna attaccate era al centro di un importante cerimoniale presso gli Cheyennes. I sacerdoti greci e poi quelli romani durante i sacrifici si cingevano il capo con l’infula, la benda di lana bianca o rossa che ritroviamo nelle strisce pendenti della mitra dei vescovi, l’originario copricapo di re e dignitari persiani penetrato in Occidente attraverso i culti misterici.

    I Galli che celebravano la dea Cibele indossavano una mitra con bende ricadenti sulle spalle. Le Vestali portavano il tutulo, un copricapo di forma conica, a pan di zucchero che ritroviamo in monumenti etruschi come quello al dio Vertumno raffigurato in una statuetta conservata al Museo archeologico di Firenze. L’apex, un berretto fatto con la pelle dell’animale sacrificato era indossato a Roma dal flamen dialis, ministro del culto di Giove.
    Già Erodoto conosce le tiare indossate dai sacerdoti iranici durante i sacrifici mentre molti monumenti ci hanno lasciato rappresentazioni degli alti cappelli conici portati in Mesopotamia.
    Gli Ebrei di epoca biblica indossavano probabilmente dei copricapo rituali a forma di turbante o di mitra simili a quelli dei re assiri.



    L’uso recente di coprirsi con la chippa rimanda all’idea della presenza di Dio sul capo dell’uomo. Il turbante di origine persiana è stato per secoli copricapo caratteristico delle popolazioni islamiche e lo stesso Maometto prima della sua conversione commerciava turbanti in Siria. Mitra, tiara, zucchetto, berretta, camauro sono tutte forme di copertura della testa di papi e alti prelati della chiesa cattolica.
    Nel Concilio di Lione del 1245 Innocenzo IV prescrive il galero come simbolo di dignità cardinalizia: di color rosso scarlatto è di panno, a bordi larghi, con due cordoni laterali con sopra cuciti trenta fiocchetti di seta, rossi anch’essi. Possiamo certamente affermare che in tutte le culture il copricapo fa parte di quel “codice corporeo” che, come altre forme di linguaggio, serve a lanciare messaggi, a comunicare.
    È una rappresentazione simbolica che assume significati molteplici: potere, seduzione, minaccia come nel caso degli elmi creati per incutere paura, ma anche appartenenza ad una cultura, ad un ambito sociale, ad una categoria professionale.
    Spesso la storia non ha dato ai prodotti della civiltà e della cultura materiale lo stesso valore attribuito ad un’opera d’arte o ad una scoperta scientifica eppure ogni oggetto realizzato dall’uomo ci permette di scoprire e di leggere il mondo, e certo l’oggetto-cappello ha un ruolo di assoluto protagonista in questo viaggio di scoperta e di conoscenza.




    “Il cappello come tanti altri oggetti che ci passano accanto tutti i giorni, silenziosi e non presuntuosi sul piano della loro presenza nell’enciclopedia del sapere, è un luogo simbolico complesso che è necessario far uscire dal suo anonimato”

    Non si esagera affermando che si può scrivere una storia dell’uomo attraverso la storia dei suoi cappelli.

    Nel Rinascimento:

    Il trionfo del cappello di feltro che certo possiamo considerare copricapo per eccellenza avviene nel secolo XV.
    Il gusto estetico che contraddistingue la civiltà rinascimentale prevale in ogni ambito e anche l’abbigliamento diviene elegante e raffinato. I morbidi velluti talora trapuntati di fili d’oro vengono usati per i mantelli bordati di pelliccia ma anche per i grandi berretti imbottiti, anche se i feltri di lana, solitamente di colore nero cominciano ad essere preferiti dai benestanti che amano l’eleganza che viene dalla Francia dove il cappello di feltro si diffonde più rapidamente che in Italia.

    Carlo VII è uno dei primi ad indossare un feltro di fine pelo di castoro, segno distintivo della nobiltà che lo preferisce a quello di lana. Così lo ritrae Jean Fouquet in un famoso dipinto conservato al Louvre.

    Lo sfarzoso abbigliamento rinascimentale che domina in Italia fino alla prima metà del Cinquecento è testimoniato dalla ritrattistica che il mecenatismo delle Corti ci ha donato in gran copia e che offre splendidi esempi di modelli di copricapo.

    Sotto il regno di Francesco I, e siamo nella prima metà del Cinquecento, il sovrano e il suo seguito iniziano ad influenzare fortemente la moda: la Francia indossa feltri a larga tesa ornati con fibbie e piume mentre una piuma adorna anche i berretti di velluto nero a forma piatta.
    In Germania i feltri di lana hanno una stretta tesa rialzata mentre l’Inghilterra, poco amante delle novità provenienti da altri paesi, resta fedele a berrettoni e classici feltri con testa alta e media. La Spagna preferisce le forme a cono con cupola alta e sarà proprio lei ad imporre i propri gusti in fatto di moda tanto che anche in Italia si prenderà ad usare la cappa, il corto mantello gettato all’indietro sulla spalla per mostrare la manica a sbuffo. Sulla testa il cappello di feltro a larghe tese ornato di piume.

    Mentre i principi del Rinascimento impreziosiscono i loro cappelli con nastri e trine i musulmani diffondono nel sud dell’Europa il loro copricapo in feltro conosciuto col nome di Fez. Il cappello usato dalla nobiltà in segno di rango comincia a diffondersi anche tra i ceti meno abbienti dapprima in forma rotonda, con l’orlo girato verso il basso, il cosiddetto cappello a ruota e poi in altre forme1.

    La fine del Cinquecento è segnata da guerre, carestie, devastazioni. Le corporazioni artigiane attraversano momenti difficili, le vie commerciali si fanno pericolose e ardue. La moda, ancora spagnoleggiante, sembra risentire, anche se assai marginalmente, di questa fase di crisi. Il cappello si rimpicciolisce e sulla testa a calottina si poggia un’ala a foggia rialzata. Restano le piume e i ricevimenti di Corte dove il cappello è d’obbligo come testimoniano i quadri dell’epoca.




    Col cappello sottobraccio:

    Il mutamento della moda maschile del XVII secolo vede l’abbandono delle imbottiture nei corpetti e nei calzoni ed anche le ingombranti e scomode gorgiere vengono sostituite da grandi colletti di lino o di merletto. I cappelli di feltro a cupola alta sono rigidi, a tronco di cono o più morbidi e tondeggianti. Alle piume i borghesi sostituiscono nastri di pelle di gros-grain con una fibbia al centro, ma i signori con il mantello a ruota che seguono la nuova moda di baffi e pizzetto amano il sontuoso cappello “alla moschettiera” ornato di piume e pennacchi.

    In questo secolo la storia del cappello si intreccia ed è fortemente determinata da un oggetto estetico di grande rilievo che, venuto dalla Francia, dilaga ben presto in tutti i paesi europei dove peraltro la cultura e la lingua francese la facevano da padrone: intendiamo parlare della parrucca che ancora fino al Settecento coprirà le teste maschili e femminili costringendo ogni copricapo a fare i conti con la sua ingombrante presenza.

    Come spesso accade nei grandi mutamenti, e non solo in quelli della moda, fu un piccolo anche se… regale evento a mettere in moto una vera e propria rivoluzione dell’immagine. Quando nel 1620 il re di Francia Luigi XIII non ancora ventenne rimase calvo si mise in testa una parrucca per non far perdere la dignità al suo capo coronato.

    La funzione protettiva del cappello era fortemente insidiata da questa nuova “copertura” ma non il suo ruolo estetico. Portato sotto il braccio e usato pressoché unicamente per inchinarsi a rendere elegante omaggio alle dame il cappello a tesa larga, troppo voluminoso, viene sostituito prima da un bicorno con ala aderente ai lati della testa e poi dal chapeau bas, il tricorno che, per gli aristocratici, è in feltro di castoro o in velluto profilato d’oro. Sotto il re Sole, Luigi XIV, la Francia è ai vertici nella cappelleria.

    Non solo i nobili, ma anche le altre fasce sociali fanno uso di un tricorno meno raffinato, in feltro di lana e senza ornamenti. In mano o sottobraccio si porta in ogni occasione questo azzimato oggetto di eleganza che ben si accorda alle leziose note del minuetto.

    Le commedie di Molière e di Goldoni ce lo presentano come complemento maschile che accomuna, almeno nella forma, nobili e servi. Sotto il regno di Luigi XV la nobiltà si veste di velluto mentre le bianche parrucche meno voluminose e illuminate da un soffio di cipria celeste si accompagnano al trionfo di candidi jabots intorno a colli per ora ancora ben saldi.

    L’aristocrazia francese che sta per avviarsi verso il suo tragico declino ha ancora il tricorno sotto il braccio. Occhialini, tabacchiere, fazzoletti di trine completano l’immagine rococò.




    In testa alla Rivoluzione:

    Quando la parrucca si ridurrà a pochi riccioli il tricorno tornerà sulla testa e i nostalgici continueranno ad usarlo anche quando la moda proporrà la redingote, il corto soprabito detto anche “finanziera” indossato sui calzoni a culotte.
    Siamo nel 1780.
    I popolani preferiscono il bicorno con le tese fissate da spilloni. Si avvicina il 1789 che segnerà la grande bufera sociale, politica e culturale che, partita dalla Francia, investirà l’intera Europa e quindi anche gli stati italiani.
    Gettate via le parrucche e gli abiti di seta i capi rivoluzionari indossano austere redingote senza trine e ricami; in testa il berretto frigio che diverrà l’emblema dei giacobini.Ci si veste da “sanculotto”: pantaloni lunghi, corto gilet a doppio petto, giubbino detto “alla Carmagnola” dato che era arrivato a Marsiglia attraverso impiegati piemontesi. Il bicorno di feltro con l’ala più voluminosa e profilato in spighetta dorata tornerà a far parte dell’abbigliamento sobrio e decoroso che caratterizza la reazione borghese seguita al Terrore e rappresentata dal Direttorio.

    Viene indossato con le due punte opposte sulla fronte e sulla nuca fino a che Napoleone lo girerà per iniziare l’uso delle due punte ai lati. La rivoluzione francese è finita ma per il cappello si preparano grandi trasformazioni che lo vedranno protagonista nell’arte e nella cultura dell’Ottocento nonché nel passaggio da una economia artigiana alla produzione su vasta scala del primo Novecento.

    Il cappello di feltro detto “a staio” con l’ala arricciata ai lati, di forma tronco conica molto arcuata che compare sulle teste sopravvissute dei nuovi ricchi sembra anticipare la forma del cilindro che presto invaderà il mondo.




    L’Ottocento:

    All’inizio del XIX secolo la borghesia che accresce il suo prestigio in Europa e in America impone una moda più pratica e sobria. La finanziera si trasforma nel frac che per tutta la prima metà dell’Ottocento è di rigore accompagnato da panciotti fantasia e cravatte variopinte.

    Ma il vero, nuovo segno dell’eleganza maschile è rappresentato dal cappello a cilindro destinato ad un ruolo di assoluto protagonista nella storia del cappello. Originario della Cina dove pare venisse confezionato in seta da un cappellaio cantonese arriva nel 1795 in Francia dove lo indosseranno i giovani fondatori del movimento degli Incroyables sostenitori di un modo di vestire più adatto alle idee realiste.

    Alto, di forma cilindrica detto anche bomba, canna, tuba, a torre, a staio avrà la sua definitiva consacrazione in Inghilterra. Fu infatti il signor Herrington forse il più famoso cappellaio di Londra che attorno al 1805 confezionò il primo cilindro ispirandosi proprio al cappello di feltro “a staio” di marca francese. Sulle prime la novità fu giudicata eccessiva tanto che il Lord Mayor gli proibì di andare in giro con in testa quell’ arnese.

    Ma il mercato decise altrimenti: il gusto dell’epoca si incontrò a tal punto con quel cappello che il cilindro si diffuse rapidamente in tutto il mondo. Se la cupola subisce nel tempo diverse variazioni resta pressoché immutata la tesa arricciata ai lati la cui modellatura richiede grande abilità poiché è rigida e non facile da curvare e bordare.

    Con la Restaurazione i cappelli diventano più voluminosi come nel caso del BOLIVAR con l’alta cupola svasata e i bordi larghi derivato anch’esso dal cilindro.



    Bombetta di meta’ secolo:

    Alla metà dell’Ottocento il cappello ha acquistato un ruolo primario. Uomini e donne non si mostrano in società senza cappello.

    Accanto al cappello a cilindro che assume un tono un po’ retrò ed è relegato alle occasioni ufficiali, mondane e galanti comincia a farsi strada la bombetta sempre proveniente dall’Inghilterra.

    È un cappello duro che può in certo modo considerarsi una riduzione del cilindro.

    Ideata dal cappellaio londinese Bowler tanto che essa viene chiamata anche con questo nome fu inaugurata da William Coke nel 1850 con una passeggiata a cavallo nel parco.

    Con la calotta tonda e l’ala arricciata è inizialmente di colore nero ma successivamente prenderà le sfu mature del grigio e del tortora.



    (bettylafeaecomoda)

     
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38 replies since 29/1/2012, 09:53   37759 views
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