LA STORIA DELLA MODA

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  1. gheagabry
     
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    LA MODA nella STORIA



    La parola moda è comparsa per la prima volta in Italia intorno alla metà del Seicento, come traduzione del termine francese mode.

    Il termine fancese deriva a sua volta dal latino modus, che significa modo, maniera,, ma esprime anche il concetto di "giusta maniera", ovvero giusta in una determintao momento e contesto.

    Gli studiosi hanno attribuito all'abbigliamento due funzioni principali: protezione e pudore.

    Per quanto riguarda la prima funzione, la protezione offerta dagli abiti è quella contro il freddo e da questo deriva la convinzione che il bisogno di vestirsi è universale.

    In realtà alcuni antropologi hanno dimostrato come il clima rigido non implichi la necessità di coprire il corpo, un esempio sono gli abiti molto ridotti utilizzati dagli aborigeni delle Terre del Fuoco o australiani. Dunque, da questa analisi è possibile verificare come il bisogno di vestirsi sia legato semplicemente a fattori di natura culturale, infatti ci si veste soprattutto per esprimere una precisa identità nel proprio contesto sociale.

    Per quanto riguarda il pudore, ci si veste per non provare vergogna mostrando le parti intime del nostro corpo, non a caso il senso del pudore è considerato un elemento di differenziazione tra esseri umani e animali.

    E non è neanche un caso che la Bibbia abbia fatto coincidere la nascita dell'esistenza umana con lo svilupparsi del sentimento di pudore al momento della cacciata da Paradiso terrestre.

    Dunque, anche il pudore è strettamente legato a una specifica cultura e alla sua particolare morale religiosa.
    (fonte: "Dalla corte alla strada")



    La moda vera e proprio è comparsa a partire dalla fine del Medioevo, più o meno nel 1340, e ha coinvolto aree delle Fiandre, della Francia, dell'Inghilterra e dell'Italia.
    In questo periodo furono introdotte importanti innovazioni nelle acconciature, nelle calzature e soprattutto nella foggia degli abiti, che portò alla differenziazione dell'abbigliamento maschile da quello femminile, prima invece simili.

    Inoltre si passò dall'abbigliamento drappeggiato a quello aderente, grazie a cambiamenti nel taglio e all'adozione di allacciature fissate con i bottoni.

    Sino alla fine del Medioevo, il modo di vestire era immutato, perchè la società era statica e il passato era un modello di riferimento per tutti i comportamenti.

    Con la fine del Medioevo e lo sviluppo del Rinascimento, il mutamento è diventanto un valore socialmente ambito e la società ha iniziato ad orientarsi verso il futuro. L'individuo diventa consapevole di avere il potere di modificare le strutture sociali e di operare scelte personali nel campo dell'estetica.

    Lo sviluppo della moda è reso possibile, quindi, dallo sviluppo in Occidente della cultura moderna e dei suoi principi democratici. Infatti tale cultura presenta due aspetti importanti per il manifestarsi della moda: l'idalizzazione del nuovo, del futuro e del mito del progresso sociale; la possibilità dell'individuo di svincolarsi dai legami sociali tradizionali e di sentirsi libero di esprimere le proprie scelte.
    (fonti: "Civiltà della moda" di Belfanti e "Dalla corte alla strada" di Vanni e Codeluppi.)



    La moda non è solo sarti,stilisti e sfilate. La moda è arte, la moda è cinema.

    La moda è un settore senza confini. I creatori di moda trovano la loro ispirazione ovunque, nei musei, al cinema, passeggiando per strada, sfogliando un quotidiano.
    Roberto Capucci è considerato da alcuni studiosi un neofuturista, in quanto i suoi abiti-sculture ricordano le scenografie e i costumi di Depero; ancora, Yves Saint-Laurent, tutti ricordiamo il famoso abito ispirato al gioco di linee orizzontali e verticali di Mondrian, stesse linee che hanno ispirato gli artisti neoplastici.
    Molti stilisti hanno collaborato con il cinema, tra questi le Sorelle Fontana. Mi viene in mente il famoso abito "pretino", voluto da Fellini nella "Dolce Vita" per l'attrice Anita Ekberg e da allora tutte le magliette a collo alto verranno definite "Dolce vita".
    Dunque la moda non è fine a se stessa. La moda coinvolge ed è coinvolta da altri settori.
    Come non ricordare la famosa "Hollywood sul Tevere", ovvero quel fenomeno che nel secondo dopoguerra portò a Roma i grandi del cinema americano e consacrò per sempre le nostre sartorie.
    Questo sconfinare in campi diversi tra loro avveniva anche in passato. Nell'800 era noto lo stile impero, una tendenza che influenzò l'arte, l'architettura, l'arredamento e la moda.

    Come dice la parola stessa, ero uno stile serio e imponente, diffusosi in Francia durante il periodo napoleonico e che riprendeva i simboli della Roma imperiale e dunque anche l'abbigliamento della Roma antica.
    Tutto è moda e tutto fa moda, ma la moda senze le sue fonti di ispirazioni e i suoi canali di diffusione non esisterebbe, o, meglio, farebbe fatica ad esistere!
    (Lauren V.)






    La storia di questo particolare fenomeno offre un punto di osservazione privilegiato per studiare la confluenza di molti elementi: l'intreccio continuo tra l'evolversi della storia delle idee e quella del pensiero economico; le relazioni tra i cambiamenti del gusto, analizzati in chiave antropologica, e l'incidenza del progresso scientifico; il meccanismo di influenza reciproca che caratterizza l'attuale rapporto tra mass media e consumatori. Protezione, pudore, ornamento sono le tre motivazioni principali del vestirsi che si inseriscono in un sistema formale di segni organizzato in funzione normativa. Primo tra tutti quello della differenza fra i generi (maschi e femmine), enfatizzato dalla componente erotica, con la sua carica esibizionista e il desiderio di piacere. Il carattere di trasgressione ostentata, fondamentale nella manifestazione dei fenomeni di moda, trascina una carica di invito sessuale che travalica la semplice caratterizzazione di genere tipica dell'abbigliamento.

    DALL'ILLUMINISMO AL ROMANTICISMO. La storia della moda muove i primi passi a partire dalla polemica illuminista sul lusso alla fine del Settecento, che persistette come elemento centrale della critica alla moda, unito alla constatazione del suo carattere effimero e non duraturo (si pensi per esempio a G. Leopardi delle Operette morali, dove la moda e la morte sono le figure emblematiche della caducità). D'altronde proprio alla fine del XVIII secolo si assiste a un aumento di spese generali per il vestiario (confermato dalla nascita delle riviste di moda) e alla crescita della distanza economica e sociale in tema di abbigliamento. Il problema dell'abbigliamento e delle sue trasformazioni assume una nuova rilevanza nella diffusione del processo di civilizzazione: lo sviluppo dell'industria tessile, l'effetto di alcune innovazioni tecniche (la macchina per cucire ela standardizzazione dei prodotti), la nascita dei grandi magazzini, l'allargamento del campo dei consumatori dapprima alla nuova classe borghese e in seguito a sempre maggiori fette di popolazioni, sono alcuni degli elementi che spiegano la rapidità di certi cambiamenti. Rapidità che occorre analizzare a fianco delle persistenze del gusto e dei comportamenti, che pongono il problema dello scarto dei tempi, centrale nelle storie della mentalità. L'ampliamento del campo dei consumatori, la commercializzazione delle mode, l'uso della biancheria accelera il processo di laicizzazione della società, allontanando «l'orizzonte cristiano dell'ascesi» e avvicinando quello «tutto mondano della felicità», come afferma lo studioso francese D. Roche. Alla metà del XIX secolo la moda termina di essere spunto di riflessioni saltuarie e la cultura romantica dominante produce le prime riflessioni articolate sull'abbigliamento, interpretato come una sorta di rivelazione dello spirito generale del tempo. Vede la luce così l'opera di J. Quicherat Histoire du costume en France, uscita sulla rivista "Magazin pictoresque" tra il 1849 e il 1865, che può essere considerata come il testo di fondazione della storia della moda.



    UN NUOVO TIPO DI STORIA. Il vero salto di qualità nella riflessione sulla moda avviene alla fine del secolo e nei primi anni di quello successivo con gli studi di G. Simmel e di W. Benjamin. Simmel pubblica nel 1895 un breve saggio sull'argomento, indagato come manifestazione collettiva di imitazione, nella quale si esprime il bisogno di approvazione sociale, e come spinta incessante alla differenziazione individuale e al cambiamento. In modo chiarissimo il grande pensatore tedesco coglie il rapporto biunivoco tra i comportamenti dei consumatori e le trasformazioni della produzione di moda: Si crea così un vero e proprio circolo: quanto più rapidamente cambia la moda, tanto più gli oggetti devono diventare economici e, quanto più gli oggetti diventano economici, tanto più invitano i consumatori e costringono i produttori a un rapido cambiamento della moda. Benjamin invece si sofferma soprattutto sul carattere di anticipazione della moda. Essa è a pieno titolo una delle componenti fondamentali nella vita delle nascenti metropoli, caratterizzata dall'accelerazione dei ritmi, dal «prestissimo» e dall'«attimo» cantato da Baudelaire. La capacità divinatoria della moda fa parte del suo carattere estremo, che riconduce per Benjamin alla contrapposizione tra «frivolezza e morte». Con il predominio della cultura positivista si sviluppa un approccio sistematico al problema nel campo sociologico. Due teorie interpretative si contrappongono, portando l'attenzione sui comportamenti di differenti strati sociali: quella imitativa e quella distintiva. A. Spencer interpreta il fenomeno della moda all'interno del complesso di norme che concernono i rapporti tra classi superiori e inferiori, il cerimoniale, mettendone in risalto il ca rattere imitativo. Per il sociologo, nell'epoca dell'industrializzazione e della crisi delle leggi suntuarie, le categorie inferiori cercano di accedere ai significati di status di quelle superiori, modificando il carattere dell'imitazione da reverenziale a emulativo. Al contrario T. Veblen sottolinea la reazione delle classi agiate a questi comportamenti imitativi, con la teoria della distinzione, che ripropone la caratterizzazione classista del vestire. Veblen individua tre elementi essenziali nei comportamenti distintivi delle classi agiate: lo sciupio vistoso, la vistosa agiatezza e il cambiamento. Queste teorizzazioni sul fenomeno della moda, centrate sulle distinzioni verticali fra ceti, entrano in crisi nel secondo dopoguerra di fronte al pieno dispiegarsi della società dei consumi di massa, che sembra sostituire alle differenze di ceto quelle orizzontali di età e di genere, catapultando al centro della moda i giovani e le donne, come target privilegiati. Sempre di più la moda si delinea quindi come un fenomeno che non interessa solamente i ceti dominanti: in alcuni settori sociali della società appare come un vero e proprio gioco sul significante, un modo di stabilire una relazione, spesso ambivalente, con l'ordine sociale. A questo proposito le riflessioni di R. Barthes risultano particolarmente importanti. Il sociologo francese propone un parallelo tra l'analisi della moda e la linguistica: riprendendo la differenza postulata da F. de Saussure tra langue e parole, Barthes dà al termine costume l'accezione di realtà istituzionale, indipendente dall'individuo, e al termine abbigliamento quella di realtà individuale. L'insieme di costume e abbigliamento produce il vestiario. Posta questa distinzione terminologica, Barthes si sofferma sulla diffusione dei giornali di moda, focalizzando l'attenzione sulla trasformazione della moda in codice comunicativo produttore di senso. Alle riflessioni di Barthes si riallacciano, a volte in chiave critica, quelle di altri autori (G. Dorfles, J. Baudrillard, G. Lipovetsky, U. Eco, F. Alberoni) che pur nella differenza dei giudizi sulla diffusione dei consumi legati al vestiario, non possono fare a meno di constatare la trasformazione radicale del fenomeno moda: da elemento di caratterizzazione sociale a modulo comunicativo, componente di un'identità variabile.

    • D. Roche, Il linguaggio della moda. Alle origini dell'industria dell'abbigliamento, Einaudi, Torino 1991; G. Simmel, La moda, Editori riuniti, Roma 1985; R. Barthes, Sistema della moda, Einaudi, Torino 1970.

    M. Grispigni



    Edited by gheagabry - 29/1/2012, 10:40
     
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