7 MERAVIGLIE ANTICHE

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  1. gheagabry
     
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    LE SETTE MERAVIGLIE ANTICHE


    “L’acqua incanalata scendeva dall’alto fino ai giardini; i viali sono odorosissimi, le cascatelle brillano come gli astri del cielo in questo giardino di delizie. I melograni, coperti di grappoli di frutti come la vite di uva, ne aumentano il profumo. Io, Assur-na¯sir-apli, non smetto di cogliere frutti nel giardino della gioia, come uno scoiattolo [?].” (Stele di Assurnazirpal).


    I GIARDINI PENSILI DI BABILONIA



    Gli autori greci e latini a cui possiamo affidarci come guida per conoscere i Giardini fanno riferimento a fonti antiche risalenti al V e IV secolo a.C. (Ctesia di Cnido e la perduta Storia di Alessandro, scritta da un Clitarco di Alessandria). Dai loro scritti si delinea questa descrizione comune.

    I Giardini si estendono su quattro lati lunghi circa 123 metri ciascuno, su questa base di circa 3.500 metri quadrati si disponevano su più livelli le terrazze, di cui l'ipotesi più diffusa è che fossero cinque. L'effetto frontale era quello di una struttura simile al teatro il cui aspetto rigoglioso doveva essere da lontano simile a un monte. Ogni terrazza era sostenuta da una costruzione di colonne, pilastri in pietra, atta a sopportarne il peso. Questo porticato sottostante generava una galleria, la piú alta misurava circa 25 metri ed era posta allo stesso livello della cinta protettiva. I muri, sontuosamente decorati in rilievo, erano spessi circa 7 metri, e ciascun Saggio era largo circa 3 metri. Affinché le terrazze potessero sostenere lo strato profondo di terra, le piante e l'acqua necessaria all'irrigazione, tali strutture erano costituite innanzitutto da uno strato di canne con abbondante bitume, quindi una doppia serie di mattoni cotti connessi tra loro con gesso, e come terzo strato sovrapposto vi erano collocate delle tettoie di piombo, affinché l'umidità proveniente dalla terra accumulata sopra non trapassasse in profondità. Ogni terrazza riceveva luce e conteneva delle stanze.
    All'ultimo livello si accedeva per mezzo di una scala, lungo la quale correvano delle spirali attraverso cui l'acqua veniva portata di continuo dall'Eufrate, che scorreva lungo l'edificio dei Giardini, dagli "addetti a questo scopo" dice Stradone con "macchine per pompare l'acqua" riferisce Diodoro, "artifici meccanici" scrive Filone. Sopra i tetti di Babilonia si levava una montagna verde che saliva in un dolce pendio appoggiandosi direttamente alle mura di fortificazione. Conteneva: alberi dalle grandi foglie, alberi da frutto e una grande varietà di fiori. In questo paradiso la regina Amytis, poteva pensare con nostalgia alla sua patria lontana stando all'ombra fiorita degli alberi.

    In questo paradiso la regina Semiramide ogni giorno vi passeggiava in cerca di rose fresche e di refrigerio dall'arido clima della Mesopotamia. Ed è questa la caratteristica unica a cui si deve il fascino dei Giardini di Babilonia rispetto alle Sette Meraviglie: quella d'essere stata ideata unicamente per uno scopo edonistico ed estetico.


    Babilonia è la città piú grande dell'antica Mesopotamia. Era cinta da una doppia cinta di mura di forma rettangolare che si estendeva per diciotto chilometri e attraversata dal fiume Eufrate a oriente del quale si disponevano gli edifici principali. Delle otto porte con cui si accedeva alla città la piú nota è quella costruita da Nabucodonosor posta a settentrione detta Porta Ishtar. Da questa iniziava la Via delle Processioni su cui si affacciava un vasto complesso di templi. Tra questi torreggiava sulla città la ziqqurat del dio Marduk, di cui riferisce Erodoto descrivendola a forma di torre a gradini di mattoni e fango, sormontata da un piccolo sacello.
    Di tale opera nessuno mai ha tolto a Nabucodonosor la paternità, anzi proprio in virtù di questa torre il re caldeo è tacciato di hybris (folle tracotanza) e la sua opera è divenuta simbolo della superbia umana: Torre di Babilonia o Torre di Babele. Alla bellezza degli edifici sacri faceva riscontro la grandiosità delle dimore reali. Il Palazzo settentrionale, il Palazzo meridionale e al di fuori della mura la residenza estiva. È nel Palazzo meridionale, quello in cui fu disposto il corpo senza vita di Alessandro Magno nel 323 a.C., che Koldewey colloca i Giardini, poiché nei suoi scavi ha individuato una struttura coperta da volte a botte, quattordici stanze e un pozzo con dei fori, ipoteticamente considerato il meccanismo idrico dei giardini. Questa teoria però trova un ostacolo nella lontananza dal fiume. Per questo motivo D.J. Wiseman, ha collocato i giardini "sopra e a settentrione della grande muratura a ovest" del Palazzo Meridionale presso le rive dell'Eufrate.
    Più recentemente D.W.W. Stevenson ha ipotizzato, senza peraltro fornire prove materiali se non quelle letterarie, la costruzione di un edificio indipendente accessibile dal Palazzo Meridionale e posto più vicino all'acqua dell'Eufrate. Stephanie Dalley partendo dalle fonti ha ipotizzato una confusione tra Babilonia e Ninive.


    Nel silenzio delle fonti babilonesi quelle assire forniscono invece copiose informazioni sull'esistenza di giardini, su opere idrauliche di deviazione di fiumi confermate anche da Sennacherib, il quale colloca i Giardini Pensili non a Ninive ma a sinistra del palazzo della cittadella di Kuyungik, sul fiume Khors.
    Babilonia sul piano simbolico è contrapposta a Gerusalemme al Paradiso anche se il suo nome Bab ilim significa Porta degli dèi. È una città magnifica la cui grandezza e bellezza sono condannate in quanto simbolo del trionfo passeggero del mondo materiale. Destinate al disfacimento alla corruzione. L'effimero mondo mondano vissuto tra raffinate esperienze sensoriali, trionfante nell'autocompiacimento della sua grandezza. Di Babilonia, città posta a 100 chilometri a sud di Bagdag non è rimasto quasi nulla. Conquistata dai Persiani di Ciro nel 539 a.C. parzialmente distrutta nel 482 a.C. fu poi abbandonata.
    Eppure il suo ricordo è ancora vivo nell'immaginario come i suoi Giardini Pensili. E così il suo legame con il cielo, poiché anche il giardino da sempre è associato simbolicamente al Paradiso.
    L'Eden, un luogo di pace e di profumi, collocato per tradizione in Mesopotamia, probabilmente a nord. Un luogo di piacere e fecondità che gli uomini da allora hanno cercato di ricreare.
    (latelanera.com)


    Forse non sono mai esistiti. Ed è proprio l’alone di mistero che li avvolge a renderli ancora più affascinanti e attraenti. Stiamo parlando dei Giardini di Babilonia, una delle sette meraviglie del mondo antico.
    Diversi storici, ma non tutti, li hanno collocati, sulla base della filologia, vicino a quella fascinosa città che è Baghdad. Più precisamente a Babilonia, città del famoso re Nabucondosor II.
    A sentire gli storici che litigano sulla loro collocazione passata e forse mai esistita viene alla mente la leggenda di Atlantide, continente sommerso, la cui esistenza non è mai stata provata. Molti, come l’archeologo tedesco Robert Koldewey (1855-1925), divenuto famoso proprio per aver scoperto l’antica città di Babilonia, collocano i giardini pensili in un punto per altri troppo lontano dall’Eufrate per essere preso in considerazione come il vero luogo di residenza dei fantastici giardini. Infatti i meravigliosi disegni che li raffigurano, sono un’orgia di colori troppo rigogliosi per far sì che gli stessi si trovassero tanto lontano dall’acqua. I giardini, che, letteralmente, nel gergo di allora avevano significato molto vicino a quello che noi oggi attribuiamo a “paradisi”, erano non solo meravigliosi a vedersi, ma pure un’opera di ingegneria e di botanica per i tempi assolutamente rivoluzionaria.
    Nel VI secolo a.C. si era solitamente ben più pratici: il terreno fertile veniva utilizzato per l’agricoltura e bandita era qualsiasi forma di estetica, e, invece, Nabucondosor II si mise in testa di ricreare l’ambiente celeste con piante e fiori provenienti da ogni parte dal mondo e, dunque, spesso abituati ad altri climi e altri gradi di umidità.
    I terrazzi allineati secondo un progetto ascendente simile a quello delle piramidi, vennero costruiti interamente in pietra e per irrigare frequentemente e abbondantemente il tutto ci si servì, probabilmente, di modernissime pompe che pescavano a tutte le ore enormi quantità di acqua dall’Eufrate.
    (Gabriel Tibaldi)



    La descrizione di Diodoro Siculo, vissuto verso la metà del I secolo a. C.:
    “C’era poi anche, nei pressi dell’acropoli, il giardino detto «pensile», costruito non da Semiramide ma da un successivo re siro, per compiacere una sua concubina: dicono infatti che questa, che era di origine persiana e desiderava i prati delle sue montagne, chiedesse al re di imitare, mediante l’abile realizzazione tecnica del giardino, la caratteristica propria della terra persiana. Il parco si estende da ciascun lato per quattro pletri [c. 3500 metri quadrati] con la linea ascendente tipica dei monti e le costruzioni una dopo l’altra, in modo da avere un aspetto come di teatro..."

    La testimonianza, quella di Quinto Curzio Rufo, autore di una Storia di Alessandro:
    “Sull’alto della rocca, meraviglia celebrata dalle favole dei Greci, vi sono i giardini pensili, che pareggiano il massimo livello delle mura e sono incantevoli per l’ombra e l’altezza di molti alberi. I pilastri che reggono tutto il peso sono costruiti in pietra; su di essi è steso un pavimento di pietre squadrate capace di sostenere la terra che vi è distribuita sopra in uno strato profondo e l’acqua con cui questa è irrigata; tali strutture sostengono degli alberi cosí robusti che i loro tronchi raggiungono in spessore la misura di otto cubiti [c. 4 metri], s’innalzano fino all’altezza di cinquanta piedi [c. 15 metri] e sono altrettanto produttivi che se fossero nutriti dal loro terreno naturale. E benché il tempo distrugga non solo le opere fatte dalla mano dell’uomo, ma anche quelle della stessa natura, consumandole a poco a poco, questa mole, che pur è sottoposta alla pressione delle radici di tanti alberi ed è gravata dal peso di un bosco cosí grande, dura intatta; la sorreggono infatti dei muri larghi venti piedi, posti ad una distanza di undici, cosí che, a guardar di lontano, sembra una foresta che sovrasti le sue montagne. È tradizione che quest’opera sia stata ideata da un re di Siria, regnante in Babilonia, per amore della sua sposa, che, rimpiangendo in quei luoghi di pianura i boschi e le selve, indusse il marito ad imitare, con una costruzione siffatta, la bellezza della natura.”


     
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  2. gheagabry
     
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    Le Sette meraviglie antiche...

    « La piramide d'Egitto fu fatta per prima;
    Poi gli ameni giardini costruiti in Babilonia;
    E la tomba di Mausolo, di affetto e rimorso;
    Sorge a Efeso la quarta, il tempio di Diana;
    Brilla a Rodi nel sole il Colosso dorato;
    La sesta è Giove Padre scolpito da Fidia;
    Il faro d'Egitto si dice sia l'ultima.
    O il palazzo di Ciro, cementato con l'oro. »
    (Anonimo)


    IL COLOSSO DI RODI

    "A te, o Sole, le genti della Dorica Rodi innalzano questa statua bronzea che raggiunge l'Olimpo dopo aver calmato le onde della guerra e incoronato la loro città con le spoglia del nemico. Non soltanto sopra i mari ma anche sulla terra essi accendono la dolce torcia della liberta' ."
    Iscrizione votiva sul Colosso.


    La storia del colosso iniziò con l'assedio della città da Demetrio Poliorcete (l'assediante della città) nel 305 AC. Fieri della loro vittoria, i Rodioti decisero di utilizzare i fondi ricavati dalla vendita dell'armamento dell'assedio di Demetrio, per erigere una statua trionfale al loro dio più potente, Helios. Il lavoro fu assegnato a Chares di Lindos che ci mise dodici anni per finirlo (dal 304 al 292 a.C.).
    Nonostante fosse considerato una delle sette meraviglie del mondo antico, sia per il capolavoro tecnico e quello artistico, non esistono informazioni essenziali sul luogo esatto dove fu eretta la statua, e neanche qual era la sua forma esatta. Si calcola che la sua altezza fosse di 31 metri. Ma questa "meraviglia" non resistette più di 60 anni. In un terremoto violento, nel 255 a.C., s'incrinò alle ginocchia e cadde a terra. I Rodioti, per paura di una maledizione, non vollero più rierigerlo e rimase per terra ammucchiato durante secoli. Ma nel 653 d.C. quando gli arabi di Moab saccheggiarono Rodi. Vendettero i pezzi di bronzo a un mercante ebreo. La tradizione racconta che ci vollero 900 cammelli per trasportarli.

    Il colosso era alto 35 metri, un’altezza che nessuna statua aveva ancora mai raggiunto. I piedi poggiavano su due torrioni ai due lati dell’ingresso del porto. Sulle modalità di costruzione l’ipotesi più accreditata vuole che la struttura fosse stata realizzata con barre di acciaio, a formare la figura. Il tutto era stato rivestito poi di lamine di bronzo e rame per le superfici. Perchè la base fosse solida entrambe le gambe erano state riempite, per una certa altezza di pietre, per fare da contrappeso.


    Dell’aspetto esteriore della statua sappiamo troppo poco, ma alcuni accenni a questo riguardo, fatti da Plinio e Strabone, meritano di essere citati, anche se molto incompleti. Plinio, nella sua Naturalis historia, ha scritto:
    "Il piú ammirato di tutti i colossi era quello del Sole che si trovava a Rodi opera di Carete di Lindo, discepolo di Lisippo. Esso era alto 70 cubiti. Questa statua, caduta a terra dopo sessantasei anni a causa di un terremoto, anche se a terra, costituisce tuttavia ugualmente uno spettacolo meraviglioso. Pochi possono abbracciare il suo pollice, e le dita sono piú grandi che molte altre statue tutte intere. Vaste cavità si aprono nelle membra spezzate; all’interno si possono osservare pietre di grande dimensione, del cui peso l’artista si era servito per consolidare il colosso durante la costruzione. Dicono che fu costruito in dodici anni e con una spesa di 300 talenti ricavati dalla vendita del materiale abbandonato dal re Demetrio allorché, stanco del suo prolungarsi, tolse l’assedio a Rodi. Nella stessa città ci sono cento altri colossi piú piccoli di questo, ma tali da rendere famoso qualunque luogo in cui si trovasse anche uno solo di essi."
    (Plinio, Naturalis historia XXXIV 41 sg).

    Strabone, nella sua Geografia, riferisce:
    "La città dei Rodiesi è situata sul promontorio orientale dell’isola, ed è di tanto superiore alle altre città per i suoi porti, le strade, le mura e ogni attrezzatura, che, non sarei in grado di citarne una uguale o tanto meno superiore ad essa. È notevole anche per l’ordine che vi regna e per l’attenta cura agli affari di stato, e in particolare alle questioni navali; grazie a ciò mantenne il predominio sui mari per molto tempo, debellando i pirati e divenendo amica sia dei Romani, sia dei re alleati ai Romani come ai Greci. Perciò, non solo ha conservato la sua autonomia, ma fu anche adorna di molte offerte votive, che per lo piú si trovano nel Dionisio e nel ginnasio, ma anche altrove. Tra le piú importanti di queste vi è anzitutto il Colosso di Elio, che un poeta giambico dice «di 70 cubiti d’altezza, opera di Carete di Lindo». Ora però giace al suolo, abbattuto da un terremoto che gli ha spezzato le ginocchia. Il popolo rodio, ammonito da un oracolo, non lo rimise in piedi.
    Questa dunque è la piú importante delle offerte votive; e ad ogni modo è considerato per opinione generale una delle Sette Meraviglie."
    (Strabone, Geografia XIV 2.5).

    Resoconti che ci informano pochissimo sull’aspetto reale del Colosso; ma il buon senso, unito a ciò che gli antichi scrittori dicono, o non dicono, porta alla conclusione che il dio stava ritto in piedi e probabilmente nudo.
    Si può formulare altre congetture, e dedurre che una statua di 33 metri, per stare in piedi, doveva avere una linea semplice, pressappoco la forma di una colonna, con una sagoma e un atteggiamento non dissimile da quello di un kuros greco del periodo arcaico. Prima di tutto, dobbiamo rifiutare la ricostruzione di Maryon, che ci presentava un uomo nudo in atto di alzare la destra verso il capo; essa è basata su un frammento di bassorilievo marmoreo rinvenuto a Rodi, che in modo molto evidente rappresenta un atleta in atto di posarsi una corona sul capo, e non ha nulla a che vedere con Elio. Sulla base delle testimonianze credibili, Gabriel ha ipotizzato una possibile, anche se non in alcun modo certa, struttura della statua, che consiste in un giovane nudo, rigidamente diritto, con le gambe unite, una torcia in una mano e una lancia nell’altra.
    Quanto alla testa del dio, gli studiosi hanno sempre fatto riferimento alle monete di Rodi dell’epoca che raffigurano la testa di Elio. Molte di esse, circa dello stesso periodo, mostrano il capo circondato dai raggi solari, immagine allora assai comune nelle rappresentazioni di Elio. Ma su altre monete rodiesi dello stesso periodo si trova la variante di una testa senza raggi...L’elemento piú sorprendente dev’essere stato la grandezza della statua, ugualmente impressionante sia dopo la caduta, sia da eretta. La maggior parte delle descrizioni è d’accordo sui 70 cubiti di altezza, anche se una fonte che, nella misura data, forse comprendeva la base, parla invece di 80. La lunghezza del cubito nell’antichità poteva leggermente variare a seconda del luogo o dell’epoca.
    Statue al disopra dei 10 metri non erano rare allora in Grecia, ma nessuna è citata grande come il Colosso, né prima né dopo la sua comparsa. L’ispirazione derivò forse dall’Egitto, dove si conoscevano enormi statue di pietra fin dai tempi più antichi; e sappiamo Rodi e l’Egitto strettamente legati nel III secolo a. C. Una delle pochissime statue di tale grandezza, al giorno d’oggi, è quella in bronzo della Libertà, nel porto di New York.


    Per renderci conto del metodo incredibilmente complicato con cui il Colosso fu costruito, si cita a Filone di Bisanzio. Come egli sostiene, non vi è dubbio alcuno che fu forgiata a pezzi, e che Herbert Maryon si sbagliava supponendola fatta di lastre di bronzo martellato. Filone racconta:
    "Steso al di sotto un basamento di marmo bianco, l’artefice vi appoggiò anzitutto i piedi della statua fino ai talloni, concepiti in proporzione alle misure del dio, che doveva sollevarsi fino a 70 cubiti di altezza; e la sola pianta del piede superava di già le altre statue. Infatti non era possibile sovrapporre le altre parti dell’opera trasportandole da altri luoghi; bisognava invece sovrapporre le caviglie e far salire l’intera opera su se stessa, come un edificio in muratura. Per questo, mentre gli artisti modellano le altre statue in un primo tempo, poi fondono le varie membra separatamente e finalmente le compongono tutte insieme, qui alla parte fusa per prima era subito attaccata sopra la seconda, e su questa veniva sistemata la terza dopo la fusione, quindi la successiva, ancora con lo stesso sistema. Infatti non era possibile rimuovere le singole membra metalliche. Avvenuta la fusione sopra le parti precedentemente disposte, si assicuravano gli stacchi degli agganci e le giunture delle graffe, e si garantiva l’equilibrio gettando pietre nell’interno. Per continuare poi su basi salde il piano delle operazioni, al compimento di ciascuna delle sezioni del colosso l’artista accumulava tutt’intorno una massa mostruosa di terra, nascondendovi sotto la parte già finita e fondendo su quella piattaforma le successive."
    È evidente che, dato un simile modo di procedere, la statua non poteva avere braccia tese in nessuna direzione, se non forse verso l’alto. Il fatto che Carete fosse allievo di Lisippo suggerisce qualcosa sull’aspetto dell’opera, quello che era in uso al tempo in cui la statua fu costruita. Anche se immobile, non poteva avere l’austera e grave fissità di uno degli arcaici kuroi greci. Lisippo si compiaceva di aggiungere un agile senso di moto a un corpo atletico in riposo, e l’Elio di Carete non deve aver fatto eccezione.

    Nessuna delle fonti antiche riferisce sulla collocazione esatta del Colosso nella città di Rodi, un’omissione che ha dato luogo a innumerevoli tentativi di situarlo in vari luoghi. Non si può tenere in alcun conto la teoria che la statua fosse nel deigma, o bazar, a sudest del porto di Mandraki, poiché tale teoria si basa sull’errata lettura di certi testi antichi. Si è anche asserito che nella città bassa vi era una cappella di San Giovanni al Colosso, eretta sul sito del Colosso stesso; ma non c'è mai stata una cappella in quella parte della città.
    La credenza che la statua fosse collocata a cavallo del porto, poi denominato Mandraki, è riportata negli scritti di un pellegrino italiano, un certo De Martoni, che visitò Rodi nel 1394-95. Egli citava una tradizione popolare, secondo la quale la statua poggiava un piede dove, al tempo suo, sorgeva la chiesa di San Nicola (oggi forte San Nicola), all’ingresso orientale del porto, mentre l’altro piede poggiava sul fianco opposto dell’imbocco del porto. Cosa chiaramente impossibile, perché l’apertura delle gambe della statua avrebbe dovuto superare in tal caso i 400 metri. Eppure quest’idea, insieme all’altra che il Colosso reggesse una torcia a mo’ di faro, ebbe ampia diffusione nel Medioevo, sia in racconti scritti sia su disegni. Questa credenza può esser anche derivata dalla cattiva interpretazione di un carme tramandato nell’Antologia Palatina.


    Dopo il Colosso, si diffuse il costume di collocare statue gigantesche all’ingresso dei porti, come quelle di Ostia, il porto di Roma, e di Cesarea in Palestina. Quest’ultimo è menzionato da Giuseppe Flavio nella sua Guerra Giudaica (I 413):
    «La bocca del porto guardava verso nord, [...], e su ciascuno dei due lati si elevavano su colonne tre colossali statue».
    Il porto fu costruito da Erode il Grande fra il 22 e il 20 a. C. Rappresentazioni di simili statue appaiono su monete come elemento essenziale nella raffigurazione dei porti. Parecchie di esse, aventi funzione di faro all’ingresso della rada, dovevano essere di proporzioni gigantesche.
    Tuttavia vi sono due obiezioni principali alla teoria che la statua stesse all’imbocco del porto. Prima di tutto, sembra improbabile che gli abitanti di Rodi accettassero, dopo la distruzione del Colosso nel 226 a. C., che un’enorme massa di macerie occupasse indefinitamente
    un tratto di terreno cosí vasto e importante. In secondo luogo, un autore antico ci informa che la statua, nella caduta, causò il crollo di molte case all’intorno, il che non sarebbe potuto accadere se fosse stata sul molo di un porto.
    Tutto ciò conduce a un’ipotesi conclusiva, che sembra la piú probabile...In cima alla Strada dei Cavalieri vi è una vecchia scuola turca, che si sa essere stata costruita nel secolo scorso sul luogo della chiesa conventuale dei Cavalieri, dedicata a San Giovanni al Colosso. La chiesa, iniziata nel 1310, fu disintegrata accidentalmente da un’esplosione di polvere da sparo nel 1856.
    Prima di attribuire troppo peso alla denominazione data alla chiesa di San Giovanni al Colosso, occorre notare che, per la grande fama della statua, l’aggettivo colossensis («del Colosso») nel Medioevo era applicato all’intera città di Rodi. Tuttavia, da numerose iscrizioni trovate vicino a questo luogo si ha la certezza quasi assoluta che il tempio di Elio anticamente sorgeva lí o nelle immediate vicinanze. Era pratica comune presso i Greci dedicare offerte votive nei santuari degli dèi, cosí che grandi santuari come quello di Delfi ed Olimpia divennero veri musei di sculture. Poiché sappiamo che il Colosso era un ex voto per la liberazione della città dall’assedio di Demetrio, esso doveva essere stato elevato nel tempio di Elio.

    Il terremoto che abbatté il Colosso (e anche molti altri edifici della città di Rodi) avvenne nel 226 a. C. Strabone annota che la statua si spezzò all’altezza delle ginocchia, e che l’offerta di Tolomeo III d’Egitto di pagarne subito il restauro fu declinata dai Rodiesi, ammoniti da un oracolo a non provvedere a ricostruirla. Cosí la statua rimase per circa 900 anni dov’era caduta, e i viandanti potevano vederne i resti nonché la massa di pietra e ferro che un tempo l’aveva sorretta.
    (favoladellabotte)
     
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  3. gheagabry
     
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    L’ottava Meraviglia del mondo

    White Terraces, le terrazze della Nuova Zelanda



    Tra le sette Meraviglie del mondo antico, soltanto la Grande Piramide di Giza è rimasta in piedi – e considerando la sua robustezza, rimarrà a guardarci ancora a lungo nonostante sia minacciata dal turismo.
    Per chi non conoscesse i loro nomi, oltre alla piramide troviamo i Giardini pensili di Babilonia, il Colosso di Rodi, il Mausoleo di Alicarnasso, il tempio di Artemide, il Faro di Alessandria e la Statua di Zeus a Olimpia. Pochi, però, sono a conoscenza di un’ottava struttura che molti consideravano appartenente di diritto alle Meraviglie antiche. Si tratta delle White Terraces e delle Pink Terraces («le terrazze bianche» e «le terrazze rosa»), situate in Nuova Zelanda.
    Questa meraviglia, assolutamente naturale, si era formata grazie alla presenza di un geyser situato in cima alla collina che, costantemente 24 ore su 24, faceva cadere l’acqua calcarea lungo i fianchi della collina su cui era alloggiato modellandola e disegnandola. L’acqua, che raggiungeva una temperatura piuttosto elevata, con il tempo ha scavato nella roccia, l’ha plasmata creando una serie di gigantesche vasche, le più grandi al mondo.
    Fino al 10 giugno 1886, flotte di viaggiatori erano soliti spostarsi da Auckland e cavalcare un giorno intero pur di raggiungere questo luogo affascinante: una serie di gradoni fatti di silice, dalla cima dei quali grondava un’acqua continua che formava una serie di suggestive cascate. Il tutto sullo sfondo del vicino lago Rotomahana. Lo scenario ricorda da vicino i Giardini Pensili di Babilonia.
    In quella fatidica data, però, il vulcano Tarawera eruttò d’improvviso, seppellendo tra le ceneri villaggi come Te Wairoa (che oggi è un centro turistico), assieme ai loro abitanti, e provocando l’inaccessibilità alle famose terrazze.

    Per anni gli archeologi hanno cercato le sue tracce, senza trovare prove evidenti. Fino a ora. Grazie a una sofisticata tecnologia di mappatura, usata anche per il rastrellamento del Titanic, la Gns Science è riuscita a scovare, ancora a gennaio, una striscia di terra che di recente è stata attribuita con certezza alle White Terraces. Naturalmente si tratta di resti in mezzo al fango e proprio per questo non si sa ancora quanto delle terrazze, sepolte dai detriti, sia rimasto.
    (dl web)
     
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  4. gheagabry
     
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    Leggende

    Sette Meraviglie ... Il Colosso di RODI
    Da una legge sacra di Cirene appare che la parola "Kolossos" significava la statuetta aniconica di argilla, legno o cera rappresentante il doppio di un individuo, maschio o femmina. Il vocabolo appartenente ad una lingua pre-greca di ceppo asiatico, significò, ancora in età preellenica, non solo la statuetta di valore magico, ma la vera e propria statua, con tale significato, fu acquisito dal dialetto dorico, quando i Dori colonizzarono le isole e l'Asia Minore. Per tale ragione troviamo attribuito questo termine alla statua gigantesca di Helios che la città dorica di Rodi innalzò in ricordo della vittoriosa resistenza all'assedio di Demetrio Poliorcete. La statua venne costruita da Chares di Lindo, scolaro di Lisippo. Dopo che venne eretta il vocabolo "kolossos" indicò solo le statue di grandissime dimensioni ed essa venne annoverata tra le sette meraviglie del mondo. L'iscrizione dedicatoria è conservata nelle fonti scritte e forse anche si può ricostruir l'epigramma dell'artista. La costruzione dell'opera durò dodici anni, sicchè si può pensare che l'opera fu dedicata nel 290 a.C. a Helios. Pare che essa fu elevata sotto Seleuco Nicatore, data che non sposta tale cronologia. Dal racconto di Filone di Bisanzio riguardante la costruzione della statua, si apprende che essa era alta 32 metri e che l'artista, dopo aver infisso solidamente con grossi perni di ferro i piedi di bronzo della statua in una base di marmo, elevò il resto del corpo a strati avendo cura di preparare, nell'interno della statua, un'intelaiatura di ferro, formata da barre orizzontali e di montanti, che seguivano la forma della statua e che erano fissati con perni alle pareti di essa. Lo scheletro di ferro era stabilizzato da un riempimento fatto con blocchi di pietra. Per la fusione, sul posto, delle parti bronzee era stato elevato tutto intorno un terrapieno. Non è escluso che essa fosse di legno e che la quantità di assi e di travi occorrenti fosse prelevata dalla colossale torre d'assedio, l'Elepoli, alta 40 metri, impiegata da Demetrio Poliorcete. Negli anni 224 e 223 a.C. il Colosso di Rodi crollò in seguito ad un terremoto, spezzandosi alle ginocchia. Secondo Strabone non fu restaurato per un divieto sacro. I pezzi si trovavano ancora distesi a terra nel 653 d.C.; furono sottratti dagli Arabi durante una loro scorreria e venduti ad un ebreo di Emesa. Durante il dominio dei Cavalieri di Rodi e nel Rinascimento, nacque la leggenda che il Colosso di Rodi sorgesse nel porto minore di Rodi e che le navi passassero sotto le gambe divaricate della statua; ricostruzione non accettabile per considerazioni stilistiche e tecniche. Migliore è l'ipotesi del Gabriel che (secondo cui) il Colosso di Rodi sorgesse là dov'è oggi il "forte di S.Nicola", eretto dai Cavalieri Giovanniti. Non si sa se essa reggesse una fiaccola o una lancia. L'impostazione era verticale perchè, date le dimensioni, la statica doveva essere sicurissima. E' pensabile che nel rendimento dei lineamenti del volto e nell'espressione psicologica nel Colosso, Chares si sia ispirato all'immagine del Sole sulla quadriga eretta per gli abitanti di Rodi da Lisippo. Le immagini di Helios nelle monete rodie non ci forniscono elementi per la ricostruzione dell'immagine lisippea, perchè dal primo conio del 408 a.C. si susseguirono varianti non tanto differenziate da poter riconoscere un nuovo tipo, il quale riproducesse il volto dell'Helios di Lisippo. La scultura di Chares, con ogni probabilità, aveva intorno al capo una fitta raggiera, come altre immagini del sole scoperte a Rodi.

     
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  5. gheagabry
     
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    Mausoleo di ALICARNASSO

    Il termine mausoleo con il quale si intende la tomba a carattere monumentale- discende dalla tomba di Mausolo, satrapo della Caria, ad Alicarnasso. Secondo gli antichi autori è ad Artemisia che si deve la costruzione del Mausoleo dedicato al fratello-sposo Mausolo, ed è per questo che sovente se ne è fatta risalire la datazione al biennio intercorso tra la morte di lui e quella di lei, cioè al 353-351 a.C..



    Ma è evidente che la tomba aveva proporzioni troppo vaste perchè in così poco tempo se ne fosse potuto ideare il progetto e completare la costruzione; è più probabile che ciò sia avvenuto mentre Mausolo era ancora in vita, nel 370-365 a.C., e che l'esecuzione terminasse intorno al 350 a.C., poco dopo la morte di Artemisia. La bellezza dell'architettura della tomba, unitamente alla decorazione scultorea, la fecero qualificare fra Le sette meraviglie del mondo antico. Donde si passò a denominare col nome di mausoleo qualsiasi tomba monumentale (mausoleo di Augusto, mausoleo di Adriano). Ma il mausoleo fu un tipo architettonico essenzialmente classico: non sarebbe esatto denominare mausoleo edifici sorti dopo la fine del paganesimo. La tomba di Mausolo, secondo la ricostruzione del Krischen, presenta un grande basamento di 22 metri di altezza, circondato inferiormente da una zoccolatura degradante, sopra la quale si innalza un colonnato ionico di nove colonne per undici, di circa tredici metri di altezza; sopra questo si trovava una piramide a gradini di 7 metri ed infine la quadriga. Il tutto raggiungeva un'altezza di 49 metri. In questa ricostruzione tutto l'insieme è legato da un sistema di misure molto semplice basato sul multiplo del piede e del cubito sami, congiunti dal rapporto di due o tre multipli per due e per potenze di due, secondo regole costanti dell'architettura greca. La ricostruzione di Krischen fu, fra le molte, la più semplice ed attendibile. Essa si accorda con le misure delle fondamenta e con quelle di parti architettoniche rinvenute dall'archeologo inglese Newton negli scavi del 1856. Vanno altresì ricordati numerosi frammenti di fregio, rappresentante la Amazzonomachia; sembra che questi rilievi ornassero l'esterno della cella e che, secondo la tradizione tramandataci da Plinio, fossero stati affidati ai maestri maggiori del tempo. A Scopas il lato orientale, a Leocore il lato opposto e gli altri due a Briosside e Timoteo. La facciata e l'intero complesso dell'edificio erano opera di due architetti: Potino e Pitide. Sembra che nel sec.XII il monumento esistesse ancora: più tardi, nel 1402, il monumento servì da cava di marmi.

     
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  6. gheagabry
     
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    Statua di Zeus

    Trono alto circa quattordici metri con spalliera diritta e culminante con figure di dei; braccioli sostenuti da sfingi; il dio era seduto con peplo drappeggiato, che era d'oro; i piedi poggianti su uno sgabello lavorato, cesellato e poggiante su un leone a tutto tondo; calzari cesellati con lavori di scene di guerre; nella mano destra reggeva una vittoria, che si dice fosse d'oro e misurasse due metri... Con la mano sinistra regge un'asta molto lunga poggiante sul terreno e avente in cima un'aquila d'oro; la faccia del Dio esprime bontà e gioia, come dice Crisostomo. La testa è incoronata di olivo. La faccia e la parte scoperta del corpo erano d'avorio cesellato, mentre erano d'oro e di altri metalli preziosi barba e capelli. Pietre preziose disseminate nei punti opportuni, ad esempio gli occhi. Qualcosa possono dirci, a tal proposito, le statue dei bronzi di Riace. Pausania descrive minutamente il gran numero di figure che sono nei piedi del trono e attorno ad esso sulla base; si giunge perfino a venti figure di dei che assistono alla genesi di Pandora. Il tutto poggiava su un basamento di marmo pario, alto uno o due metri. Quando si pensa che la statua di Minerva, nel Partenone, era visibile ai naviganti che giravano capo Sunio, quasi fosse un faro ideale, si ha l'idea della grandiosità di tutti i monumenti che Fidia affidò ai posteri. Sarebbe facile affermare che i cosiddetti "Bronzi di Riace", essendo di Scuola fidiaca, potrebbero darci un'idea della grandiosità della concezione artistica del sommo Fidia, ma non siamo nè certi che vengano da tale scuola, nè, se così, fosse, bastano a darci una definizione del massimo artista e del suo "Zeus di Olimpia". Abbiamo pochissime fonti, nessuna immagine dello "Zeus" e poche e vaghe descrizioni, come quella che ci dice che era alta oltre i tredici metri.



    Dice Pausania (libro V, 11, 1-10):
    Il Dio, costruito d'oro e d'avorio è assiso in trono; una corona, che imita i rami di olivo, gli sta sul capo. Egli porta nella mano destra una Vittoria, anch'essa d'avorio e d'oro, che tiene una tenia e porta una corona in testa. Nella mano sinistra del dio è uno scettro ornato di ogni genere di metalli. L'uccello, che è posto in cima allo scettro, è l'aquila. D'oro sono anche i calzari del Dio e così pure il mantello; sul mantello sono posti come ornamento piccole figure e fiori di giglio. Il trono è variamente ornato di oro e pietre preziose ed anche di ebano e d'avorio, ed in esso ci sono figure rappresentate in pittura e figure scolpite. In ciascuna delle gambe del trono sono quattro Vittorie, che rappresentano lo schema delle danzatrici; ce ne sono poi altre due alla base di ciascuna gamba. Sopra ciascuna delle gambe anteriori si trovano dei fanciulli tebani rapiti da Sfingi, e, sotto le Sfingi, Apollo e Artemide saettano i figli di Niobe. Tra le gambe del trono sono quattro sbarre, ciascuna delle quali traversa dall'una all'altra gamba. Sulla sbarra anteriore (quella che c'è proprio dirimpetto all'entrata) si trovano sette statuette; l'ottava infatti non sanno in che modo sia sparita. Sopra alle rimanenti sbarre è rappresentata la schiera combattente con Eracle contro le Amazzoni; il numero di queste e di quella insieme è di ventinove. Anche Teseo è in mezzo ai compagni di Eracle. Però non le sole gambe sostengono il trono, ma anche colonne eguali e poste fra esse. Non è possibile andare sotto il trono, così come noi in Amicle penetriamo all'interno. In Olimpia sono d'impedimento certe barriere a guisa di muri....... Nella parte più alta del trono ed a maggiore altezza del capo della statua, Fidia fece, da una parte, le Carìti e, dall'altra, le Ore, le una e le altre in numero di tre. Lo sgabello posto sotto i piedi di Zeus, chiamato "thranion", dagli abitanti dell'Attica, ha leoni d'oro, e, scolpita in rilievo, la battaglia di Teseo contro le Amazzoni, la prima prodezza degli Ateniesi contro stranieri. Per avere un'idea di questa statua ricorriamo alle monete in cui altri artisti avevano, più o meno male, riprodotto l'effige e così citiamo alcune monete di Elide al tempo di Adriano; esiste una pittura murale scoperta ad Eleusi. Sappiamo che Adriano ne ordinò una riproduzione ridotta, in oro, per metterla forse nella sua villa di Tivoli e che, a sua volta, fu riprodotta su monete. Si discute dei "braccioli del trono", perchè si suppone che fossero sostenuti da sfingi, che ci fossero due leoni d'oro a tutto tondo, e non in bassorilievo, insomma ci sarebbe tanto da dire, ma la grandiosità e la bellezza suprema di questa statua ci sfugge sempre e noi siamo condannati ad intuire il mistero come si suole fare di certe entità credute ma mai viste da occhi umani, in realtà vera e fotografata.

     
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  7. gheagabry
     
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    Tempio di Artemide


    La collocazione del tempio di Artemide fra le sette meraviglie del mondo è dovuta alla stupenda architettura ed alle dimensioni eccezionali del suo complesso. L'edificio più importante e più antico, denominato "D" dagli archeologi, fu costruito per ordine di Creso circa a metà del VII secolo; di ciò abbiamo come testimonianza delle iscrizioni in caratteri Lidi e greci che si trovavano sulle colonne del tempio "D".



    I lavori furono eseguiti dall'architetto Chersifrone. La fama del tempio nella antichità era legata al diritto di asilo che questo elargiva e crebbe molto per i racconti legati a personaggi illustri e alla vita religiosa della città. Fin dai tempi più remoti il denaro necessario al sostentamento del tempio veniva procurato dai pellegrini, dai mercanti che affollavano il tempio e dai sacerdoti che vendevano le carni usate per i sacrifici. Gli scavi nel santuario sono oggi ancora in corso, per il momento si ritiene che nel VII secolo il santuario consistesse in una struttura simile ad un altare che cambiò varie volte e di due altri monumenti: l'Hekatompedon, così detto perchè misurava 100 piedi e l'altare a rampa. Tutto ciò fu ricoperto con la costruzione del tempio "D" e quella del cortile dell'altare. Il tempio "D" aveva otto colonne sulla facciata e pare nove sul retro, non doveva essere ipetro, sebbene alcuni studiosi sostengono che il tempio fosse aperto alla pioggia, perchè nella zona della cella fu trovato un tubo che serviva per eliminare l'acqua.



    In seguito si pensò che la copertura fosse tronca e limitata al colonnato, cioè che la parte centrale fosse scoperta. L'accesso alla terrazza alta del santuario avveniva per mezzo di scalini di marmo costruiti attorno all'edificio come una gigantesca cornice. L'alto basamento era largo 7,85 m e lungo 131 m. Plinio racconta che le colonne erano alte 20 m, snelle ed elegantemente scanalate (stile ionico), dei bellissimi capitelli sostenevano le travi tanto grosse da far sorgere una leggenda che parla di un intervento della stessa dea per aiutare l'architetto ad erigerle, questi infatti scoraggiato dalla difficoltà dell'impresa meditava il suicidio. Il fregio non aveva figure ma solo una grossa dentellatura sulla cimasa più alta che sorreggeva il timpano. Quest'ultimo aveva tre aperture o finestre: quella centrale fornita di sportelli e al suo fianco si ergevano due statue di amazzoni. Plinio parla nel complesso di 127 colonne. La cella si trovava esattamente al centro dell'edificio; non si è sicuri del fatto che la statua della dea dominasse la cella, ma possiamo immaginare che la grandezza della statua fosse quella delle copie di epoca romana. La strana statua delle molte mammelle dell'Artemide Efesia rappresenta una dea madre. La statua è rigida, la parte bassa assomiglia al sarcofago di una mummia egizia. Gli elementi decorativi come cervi, leoni, grifoni, sfingi, sirene e api sono originari dell'Est. Le statue avevano molta importanza in questo complesso, infatti di tutte le competizioni svoltesi fra i greci, quelle di scultura che si tennero nel V secolo per abbellire il tempio furono uniche sotto molti punti di vista. Gli scultori delle statue di bronzo delle amazzoni, qui però mostrate in atteggiamento di supplici che implorano rifugio nel tempio, furono invitati ad esporle in pubblico e le quattro giudicate migliori (erano quelle di Fidia, Policleto, Cresila e Fradmone) furono scelte per decorare il tempio "D"; la celebrazione della pace di Callia del 450 a.C. fu l'occasione per questo avvenimento. L'altare non si trovava in linea retta rispetto al centro della facciata, ma il sacerdote poteva scorgere le parti alte del tempio dove avveniva "l'apparizione" della dea dalla finestra centrale del tempio. Per stabilire quale fosse l'immagine di culto in epoca arcaica è importante notare che il tempio "E" è volutamente simile nelle linee e nei particolari al tempio "D". Il tempio "D" fu distrutto il 21 luglio del 356 a.C. da un certo Erostato, che lo incendiò pensando in questo modo di rendere il proprio nome immortale. Nel più basso livello degli scavi, in quello che è chiamato "deposito della fondazione", databile intorno al 600 a.C., furono trovate statuette d'oro, di legno, d'avorio, d'argilla, alcune erano raffigurazioni di Artemide come dea cacciatrice con l'arco o dea dell'Ade con una torcia; le più piccole figure arcaiche del VI secolo mostrano i diversi aspetti della dea. Senofonte narra di aver visto nel tempio una statua arcaica della stessa forma di quelle trovate negli scavi. Queste statue mostrano un miscuglio di forme orientali, lidie, persiane, ittite ed egizie. Una parte importante per la ricostruzione del tempio è rappresentata dalle monete che recano la sua immagine, nelle fondamenta del tempio "D" sono state trovate 87 delle più antiche monete conosciute. Per ricostruire la facciata del santuario si utilizzò una sola moneta e non ci si rese conto che, sulla moneta era stata operata una sintesi del numero esatto delle colonne (8), come risulta da altre monete. Dopo la distruzione da parte dei Goti, avvenuta nel 262 d.C., si era tentato di ricostruire il tempio che nel periodo classico poteva essere considerato l'espressione dello spirito della Grecia Ionica. L'uso dell'edificio nel IV secolo era mal tollerato dalla religione cristiana, e per questo fu completamente distrutto da S. Giovanni Crisostomo. Si dice che la gente continuasse ancora ad adorare le pietre sottratte all'area sacra, la primissima e più venerata era la pietra caduta dal cielo, probabilmente un meteorite. La scoperta dei resti del tempio avvenne nel 1860 per opera di John Turtle Wood.

     
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  8. gheagabry
     
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    La Piramide di CHEOPE







    Una delle costruzioni più grandi mai realizzate dall'uomo. S'innalza verso il cielo da parecchie migliaia di anni nella piana di Giza in Egitto.
    Le sue misure sono: lato settentrionale 230 m e 25.05 cm, lato occidentale 230 m e 35.65 cm, lato orientale 230 m e 39.05 cm ed infine lato meridionale 230 m e 45.35 cm, per una altezza di 146 m. Il tutto per un peso di circa 6.000.000 di tonnellate e un' area di 13.1 acri. Gli angoli alla base sono quasi perfetti: angolo sud-est 89° 56'e 27", quello di nord-est 90° 3' 2", quello di sud-ovest 90° 0' 33", e quello di nord-ovest 89° 59' 58" (appena due secondi d'arco di differenza).

    Secondo stime affidabili, la Piramide consiste di un totale di circa 2.300.000 blocchi di pietra calcarea e granito, con pesi che variano dalle 2.5 tonnellate alle 70 tonnellate. Non solo, ma bisogna aggiungere anche un rivestimento simile a uno specchio di 22 acri costituito, da 115.000 pietre lucidissime, ciascuna del peso di 10 tonnellate, che originariamente coprivano tutte e quattro le facciate. Dopo essere stata staccata da un violento terremoto nel 1301 a.C., la maggior parte dei blocchi di rivestimento fu rimossa per la costruzione del Cairo.




    Tra gli specialisti in archeologia egizia, è opinione comune che fu costruita come tomba per il faraone della IV Dinastia (2575 - 2467 a.C.) Khufu (conosciuto come Cheope). Questa opinione si basa principalmente sul ritrovamento di geroglifici su alcune pietre all'interno della piramide che assomigliano al suo sigillo, e alla testimonianza di Erodoto che vide i monumenti nel V° secolo a. C., cioè più di 2000 anni dopo che erano stati costruiti. Nonostante il fatto che nessun corpo fu mai trovato all'interno delle sue stanze ben sigillate, gli egittologi persistono nella loro teoria, facendo nascere una storia su decine di migliaia di schiavi costretti al lavoro per decine di anni nella costruzione di una montagna di pietre in cui mettere il cadavere di un solo uomo.

    La Piramide di Cheope (veduta aerea)

    La Camera di Re: scoperta intorno all'anno 820 d.C. dal Califfo Ma'mun. Essa è situata a un terzo dell'altezza della Grande Piramide, e cioè a circa 45 m dalla base. Ci si aspettava di trovare un tesoro proporzionato alla grandezza del monarca, ed invece la camera del faraone (funeraria secondo l'egittologia ortodossa) era completamente vuota e spoglia dal qualsiasi decorazione e iscrizione. Solamente un sarcofago in granito vuoto (oggi tale materiale viene intagliato per la sua durezza, con abrasivi quali la polvere di diamante o di carburo di silicio detto carborundo).

    Per accedere alla Camera del Re, si devono superare percorsi stretti ed impraticabili, corridoi e gallerie piccolissime. La domanda che ci si pone è come hanno fatto i saccheggiatori di tombe a trafugare tutto, ma proprio tutto all'interno di una stanza situata a circa 45 m di altezza, e il cui unico modo per raggiungerla dalla base è una galleria ascendente (bloccata da pesantissimi tappi in granito) che si collega alla Grande Galleria, lunga circa 46 m e con una pendenza di 26°.





    Grande Piramide di Cheope:


    1: ingresso al corridoio discendente;

    2: camera sotterranea incompiuta;

    3: corridoio cieco;

    4: corridoio ascendente;

    5: corridoio orizzontale;

    6: camera della regina;

    7: Grande Galleria;

    8: cunicolo scavato dai ladri;

    9: camera del sarcofago;

    10: vani di scarico;

    11: condotti della camera del re;

    12 : condotti della camera della regina.


    Le misure della Piramide di Cheope



    E' la teoria che vuole dimostrare come la Piramide di Cheope fu costruita sulla base di conoscenze geometriche molto sviluppate che ne facevano una specie di mappamondo. Verso la fine II secolo a.C. il grammatico greco Agatarchide di Cnido, scoprì che la base della Grande Piramide era esattamente un ottavo di un minuto di un grado in lunghezza. Da quì si ottiene che moltiplicando la lunghezza per 8, poi per 60 ed in ultimo per 360, il risultato è straordinariamente vicino alla circonferenza terrestre.

    Nel 1638 il matematico scozzese John Greaves, durante la sua visita in Egitto, prese alcune misure: il sarcofago nella Camera de Re (1.97m), l'altezza della Piramide (146.6m) e il lato base (211.2m). Lo scopo fu quello di scoprire l'unità di misura utilizzata dagli architetti egiziani, ma purtroppo i rilevamenti furono insufficenti.

    Il tentativo successivo venne fatto dalla squadra di scienziati francesi portati da Napoleone in Egitto. Il capo-squadra, Edmè-François Jomard, come Greaves intendeva cercare l'unità di misura utilizzata e quindi verificare se le misure della Piramide poteva ricondurre alle dimensioni della Terra.

    Jomard misurò un lato della base (230.9m) e l'altezza (146.6m) da cui potè calcolare in 51º19' la pendenza e in 184.7m l'apotenusa. Egli sapeva che gli antichi indicavano l'apotenusa in 1 stadio, ed Erodoto aveva scritto che 1 stadio era pari a 400 cubiti, per cui 1 cubito è uguale a 0.4618m. Alcuni studiosi greci avevano dichiarato che la base della Piramide era lunga 500 cubiti.Moltiplicando 500*0.4618 Jomard ottenne 230.9m ossia la lungezza della base che aveva misurato.



    John Taylor, all'inizio del 1800, scoprì che dividendo il perimetro della Piramide per il doppio dell'altezza si otteneva un valore molto simile al pi-greco, che indica il rapporto costante tra la circonferenza ed il suo diametro. Il pi-greco fu calcolato con esattezza fino alla quarta cifra decimale solo nel VI secolo d.C. Tramite questa scoperta Taylor calcolò il rapporto tra l'altezza ed il perimetro come uguale al rapporto tra il raggio polare terrestre e la sua circonferenza: 2 pi-greco.

    Le scoperte di Taylor influenzarono non poco uno scozzese di nome Charles Piazzi Smith. Smith calcolò il "pollice piramidale" come 1/25 di cubito. Nel 1864 Smith partì per l'Egitto. Calcolò la posizione della Piramide a 30º circa di latitudine nord. L'ombra della Piramide spariva totalmente all'equinozio di primavera. Le sue misurazioni miglioravano il calcolo del pi-greco fino al quinto decimale. Il perimetro, in pollici piramidali, corrispondeva esattamente a 1000 volte 365.2 (il numero di giorni dell'anno solare) e questo ben 1500 anni prima che i Greci calcolassero il primo calendario, mentre i rapporti tra le lunghezze dei corridoi della piramide rivelavano addirittura alcune date fatidiche della storia del mondo.

    Inoltre, sempre secondo Smith, la Piramide rivelava anche la distanza tra il Sole e la Terra se si moltiplicava la sua altezza in pollici per 10 alla nona potenza (10 a 9 era il rapporto tra l'altezza e la larghezza della Piramide).
    Joseph Seiss, un ecclesiastico americano, scrisse che le pietre della Piramide contenevano un sistema di numeri che indicavano misure, pesi, angoli, temperature, gradi, problemi geometrici e rilevamenti cosmici. Seiss fu sorpreso dalla ricorrente presenza nei suoi calcoli del numero 5.

    Altri sostenitori di questa teoria sottolinearono come il meridiano ed il parallelo che si intersecano nella Piramide (30º di latitudine nord e 31º di longitudine est) incrociano più terraferma di ogni altro come se gli Egiziani volessero posizionare la Piramide al centro del mondo abitato. Un quadrante che si estende a nord-ovest e a nord-est dalla Piramide racchiude perfettamente il delta del Nilo. Petrie, a sostegno questa teoria, partì per l'Egitto nel 1880 con un'attrezzatura molto affidabile. Petrie si stupì dall'incredibile precisione con cui fu costruita la Piramide: sia in lunghezza che in pendenza gli errori erano così minimi da risultare impercettibili. I muri del corridoio in discesa perfettamente diritti per i loro 107m di lunghezza con un'approsimazione di 5mm. Petrie confermò il calcolo del pi-greco scoprendo che anche la Camera del Re conteneva un pi-greco nel rapporto tra la lunghezza e il perimetro.

    Ai giorni nostri esistono ancora studiosi che credono nel significato non casuale delle dimensioni della Piramide di Cheope. Gli ultimi rilevamenti confermano quanto sostenuto in precedenza. Il pollice piramidale (PI), la cui scoperta è attribuita ad Isaac Newton, è uguale a 0.635660m, il cubito piramidale è stimato in 25PI da cui ne consegue che Camera del Re ha un volume di 12500PI ossia una tonnellata piramidale. L'angolo della Piramide è esattamente 51º, 51' e 14.3''. Il volume interno del sarcofago è uguale alla metà del volume esterno. La posizione esatta è di 29º, 58' e 51.06'' di latitudine e di 31º e 9' di longitudine. La Grande Piramide non ha ombra a mezzogiorno nel giorno di equinozio di primavera e guarda verso il nord magnetico con uno scostamento di 3' permettendole di essere la struttura più accuratamente orientata.

    Il parallelo ed il meridiano che coprono la maggior parte di superficie terrestre si incrociano nella Grande Piramide. Il perimetro della base diviso per 100 da' 365.24 come i giorni in un anno come tante altre misure. L'altezza (147m e 75cm anche se originariamente raggiungeva probavilmente i 150m) moltiplicata per un milione è molto vicina alla distanza tra la Terra e il Sole. Il peso, stimato in 5.955t, moltiplicato per un miliardo è una buona approssimazione del peso della Terra. L'altezza media dei continenti sul mare è quasi esattamente l'altezza della Piramide. I quattro lati misurano esattamente: lato nord 230m e 25,05cm; lato sud 230m e 45,35cm; lato est 230m e 39,05cm; lato ovest 230m e 35,65cm. E con maniacale precisione i suo angoli misurano: nord-est 90º, 3' e 2''; sud-est 89º, 56' e 27''; nord-ovest 89º, 59' e 58''; sud-ovest 90º e 33''. In ultimo, la curvatura delle pareti (la Piramide di Cheope è l'unica ad avere una leggera curvatura sulle pareti impercettibile ad occhio nudo) è identica a quella della Terra. In conclusione la Piramide di Cheope, o Grande Piramide, è la scala 1:43.200 della Terra. [/color]


    C'e' un antico proverbio arabo che recita: "L'uomo ha paura del tempo, ma il tempo ha paura delle piramidi".





    La piramide di Cheope detta anche la "grande piramide" è il pezzo forte, classificata come una delle sette meraviglie del mondo antico, in essa sono racchiusi tutti i misteri e ad essa facciamo riferimento in questo articolo.

    I misteri della costruzione

    Primo mistero: la datazione. Ufficialmente la data di edificazione delle piramidi è fissata tra il 2700 e il 2200 a.C.. Nessun documento tratta direttamente della costruzione della grande piramide tanto da poterne stabilire con certezza la data di edificazione, in tutti i casi in cui vi si riferisce è citata come opera esistente; al suo interno non sono stati rinvenuti geroglifici né altri tipi di documentazione. La disposizione delle piramidi e l'orientamento di alcuni particolari sono palesemente riferiti a costellazioni, tuttavia, non corrispondono esattamente all'attuale posizione delle stelle e nemmeno di 5000 anni fa, bensì di 15.000 anni fa!

    Secondo mistero: la mancanza di iscrizioni. All'interno della grande piramide sono praticamente assenti i geroglifici che invece abbondano in tutte le costruzioni egizie. Appare strano che un'opera così imponente manchi delle acclamazioni al faraone che ne ha richiesta la costruzione. Anche sul fatto che si tratti di una sepoltura sorgono dubbi in quanto all'interno non è mai stato trovato nulla che possa essere messo in relazione con un corredo funerario e lo stesso sarcofago non ha analogie con i sarcofaghi rinvenuti in altre tombe egizie.



    Terzo mistero: la lavorazione del materiale. Alcuni massi che formano la Piramide di Cheope sono in granito rosso e presentano la superficie lavorata finemente con una precisione di dimensione e forma che in alcuni casi sono dell'ordine del decimo di millimetro su lunghezze di vari metri. Allo stato attuale delle moderne tecnologie, eseguire lavorazioni di questo genere su blocchi tanto grandi di un materiale così duro, sarebbe un'impresa difficilissima, forse impossibile, nonostante l'uso di utensili in acciaio diamantato ad altissima resistenza. Al tempo degli antichi egizi, l'unico metallo disponibile per la fabbricazione di attrezzi e strumenti di lavoro era il bronzo, metallo che non è in grado di scalfire minimamente il granito, l'unica alternativa era data dagli utensili in pietra scheggiata (....).

    Quarto mistero: il trasporto dei materiali. Le cave dove sono stati estratti i materiali usati nella costruzione della piramide si trovano a centinaia di chilometri. Si ipotizza un trasporto fluviale tramite chiatte, ma le tecnologie costruttive degli antichi egizi (legno e giunco) consentivano la costruzione di imbarcazioni tanto grandi e robuste da sostenere un carico di centinaia di tonnellate? Se anche fosse, resta il mistero delle infrastrutture portuali necessarie per caricare e scaricare i megaliti. Esperti del settore ritengono che allo stato attuale sarebbe una impresa difficoltosa effettuare un carico del genere sulle attuali navi da trasporto peraltro normalmente adibite a grossi carichi. Sul terreno, per trasportare un blocco di cento tonnellate a forza di braccia su slitte (i rulli sono impraticabili a causa della inconsistenza del fondo), significa impiegare non meno di 2000 uomini. Anche disponendoli su dieci file (con una larghezza totale del treno di circa dieci metri), queste avrebbero avuto una lunghezza di 200 metri (un metro di distanza da uno all'altro) con tutti i problemi di manovrabilità connessi. Sul punto di attacco al traino, il tirante sarebbe stato sottoposto ad una trazione di almeno cinque tonnellate con conseguenti problemi di tenuta dei materiali (corde in fibre vegetali).




    Quinto mistero: il cantiere. Interpellate imprese americane che si occupano della costruzione di opere imponenti, dopo approfonditi studi, hanno dichiarato l'impossibilità pratica ad operare nel deserto per edificare una costruzione simile alla grande piramide. Pur disponendo di ingentissime risorse, e di tutti i mezzi della moderna tecnologia, sarebbe necessario predisporre una solida piattaforma in calcestruzzo su tutto il perimetro interessato ai lavori e allo spostamento dei giganteschi blocchi di pietra, di mastodontici mezzi di trasporto, nonché di gru gigantesche

    Sesto mistero: la sfinge. Comunemente considerata un "accessorio" della grande piramide, la sfinge, con il suo aspetto misterioso, è anch'essa carica di enigmi. Uno per tutti la datazione. Ufficialmente risale all'epoca degli antichi egizi ma un particolare importante ne smentisce la datazione. Tutta la base della sfinge risulta erosa dall'acqua come se fosse stata immersa per secoli in una corrente impetuosa, ebbene, fin dal tempo degli antichi egizi, è storicamente provato che quel luogo è sempre stato desertico.




    Settimo mistero: la precisione dell'edificio. E' sorprendente constatare con quale precisione sia stata eretta una costruzione tanto imponente. Il problema principale è costituito dalla difficoltà di dare la giusta inclinazione alle facce della piramide in modo da giungere al vertice mantenendo le dimensioni progettuali. Ancor più stupefacente è stato constatare che le dimensioni dei vertici e della base sono tra loro rapportati secondo il valore di pi-greco, della sezione aurea e dell'anno siderale, con una precisione sbalorditiva. Si tratta di nozioni acquisite soltanto secoli e millenni dopo l'epoca presunta di edificazione.




    E’ il monumento più famoso e studiato al mondo. Eppure intorno alla Piramide di Cheope i misteri e gli interrogativi continuano a superare le certezze. Inoltre analizzando le caratteristiche, si nota che nulla è stato lasciato al caso…

    E' alta 145 metri e 75 cm.
    Il lato nord è di 230 m. e 25 cm.
    Il lato ovest è di 230 m. e 35 cm.
    Il lato est è di 230 m. e 39 cm.
    Il lato sud è di 230 m. e 45 cm.
    Il margine di errore è quindi solo dello 0,1%.
    Anche i 4 angoli sono incredibilmente prossimi alla perfezione dei 90 gradi:
    sud-est 89 gradi e 56 primi
    nord-est 90 gradi e 3 primi
    sud-ovest 90 gradi
    nord-ovest 89 gradi e 59 primi

    La piramide di Cheope è al centro esatto della massa terrestre, cioè all'incrocio tra il meridiano e il parallelo che coprono la maggior porzione di terra emersa, una sorta di "centro del mondo".





    Il suo peso di 5 milioni e 273 mila tonnellate moltiplicato per un miliardo di miliardi è uguale al peso della Terra; il suo perimetro diviso per la metà dell’altezza è uguale al pi greco, 3.14. La temperatura interna è esattamente la temperatura media della Terra e varia con il passare del tempo.

    Si è inoltre scoperto che le pareti non sono perfettamente lisce ma impercettibilmente convesse. La curvatura che se ne ricava corrisponde al valore in gradi della curvatura terrestre.

    Secondo alcuni viste queste coincidenze, la piramide di Cheope sarebbe una rappresentazione in scala 1 a 43.200 della Terra.




    Ma i misteri forse più importanti la Piramide di Cheope li nasconde al proprio interno..

    La Camera del Re è posta a poco più di 42 metri d’altezza dalla base della Piramide. Piramide che, in origine misurava circa 150 metri d’altezza. Questo vuol dire che sul soffitto di questa camera grava un peso di migliaia di tonnellate, peso che andava “scaricato” per impedire che il soffitto crollasse. Per questo sarebbero state create cinque «Camere di compensazione». Si tratta di vani molto bassi ma con lo stesso perimetro della Camera del Re. Le camere sono sovrapposte così che una sola lastra di granito fa da soffitto ad una e da pavimento per quella sovrastante. Le lastre hanno uno spessore variabile tra i 90 cm e il metro e ottanta. Solo l’ultima stanza in alto ha un volta a V rovesciata, formata da due lastre di oltre due metri di spessore.
    In queste stanze sono stati trovate alcune scritte lasciate dai capomastro egizi durante la costruzione. Tra queste scritte ci sarebbe anche la discussa iscrizione che attribuisce la Piramide al Faraone Cheope.


    Secondo alcuni architetti moderni la precauzione di creare una struttura di questo genere sarebbe eccessiva. Sarebbe forse bastata una sola volta a V rovesciata ma, in fondo, gli architetti egizi si rivelarono già abbastanza in gamba così. Sempre che le “Camere di compensazione” siano davvero quello che si pensa siano. Infatti c’è un’altra possibilità che ha poco a che vedere con le leggi della fisica e con l’architettura. Guardando in sezione la Piramide infatti la zona della Camera del Re ricorda un gigantesco Zed.
    Ma cosa è lo Zed?





    E’ un simbolo legato ad Osiride, costituito da una torre interrotta da 3 o più livelli, una struttura molto simile a quella dello spaccato della piramide .

    Tutti sanno che la piramide sia stata la camera funeraria di Cheope. Ma non si ha la certezza… Il suo sarcofago non venne mai ritrovato. Ma c’è qualcosa di più…

    Qualcuno ha notato che all’interno della camera del Re accadono fatti strani. Due persone sono rimaste nella camera per dieci minuti e invece fuori dalla piramide erano trascorse tre ore; ed altri si sarebbero messi nel sarcofago di granito e si sarebbero ritrovati per qualche secondo in un’altra dimensione…



    Quale scopo aveva la piramide di Cheope ???

     
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  9. gheagabry
     
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    Faro di Alessandria

    Alessandro il Grande giunse in Egitto nel 332 a.C. e, dopo aver conquistato rapidamente il paese, fondò la nuova città ad ovest del delta del Nilo, su una striscia di terreno sabbioso, che separa la palude Mareotide dal Medirerraneo, di fronte all'isola di Faro. Il progetto venne affidato all'architetto Dinocrate; lo portò a compimento Tolomeo figlio di Lago, prima satrapo, poi re d'Egitto.



    L'isola di Faro, su cui sorse la famosa torre luminosa, fu congiunta alla città con una diga lunga 7 stadi (1290 metri circa), formando così due porti comunicanti col Nilo per mezzo di canali navigabili. Già in tempi antichissimi dovette esserci l'uso di accendere sull'alto delle colline, in prossimità del Lido, dei fuochi perchè fossero guida ai naviganti. Si ritiene, tuttavia, che la prima vera e propria torre-faro, quella che ha dato a tutte le altre il nome e il modello, sia stata proprio quella di Alessandria d'Egitto. Architetto ne fu Sostrato di Cnido, figlio di Dexifane, il quale lavorò sotto i primi due Tolomei. La costruzione del Faro iniziò probabilmente nel 297 a.C., sebbene in epoca più tarda il cronista Eusebio, vescovo di Cesarea, che era stato prigioniero in Egitto, citi nella sua Cronaca la costruzione del faro nell'anno 283 o 282 a.C.. L'inaugurazione ebbe luogo sotto il secondo Tolomeo, Filadelfo, tra il 280 e il 279 a.C.. Il Faro era stato consacrato a favore dei navigatori agli dei salvatori ("teois soteroi uper ton laixomenon ", come diceva l'epigrafe dedicatoria, che poteva facilmente essere scorta da chiunque entrasse o uscisse dal porto), nei quali si devono probabilmente riconoscere piuttosto che Tolomeo I e Berenice, i Dioscuri, Castore e Polluce, divinità della luce, splendenti, che i naviganti vedevano, durante la tempesta, posarsi sulla cima dell'albero maestro: la fiamma del Faro vista isolata e alta sull'orizzonte, come una stella, sembrava ad essi l'apparizione della divinità protettrice. Assai presto si diffuse nel mondo antico la fama della torre luminosa sorta sulla spiaggia dell'Egitto, torre che in verità era annoverata tra le più colossali costruzioni dei re greci.



    Non si conosce nulla di positivo sull'origine della parola "faros" che taluni vorrebbero derivare dall'egiziano phaar "tela" (i Greci avrebbero dato il nome pharos all'isola in cui venivano a comprare il phaar); ma è ipotesi poco consistente, tanto più che finora manca perfino la prova sicura che la minuscola isola fosse la sede di un commercio considerevole, prima della fondazione di Alessandria. Fu Omero nell'Odissea a menzionare Pharos come un'isola e la situò ad un giorno di vela dall'Egitto. Le fonti di Omero erano ovviamente piuttosto incerte. La leggenda narrava la storia della bella Elena giunta in Egitto con Paride, ma quell'isola in cui non c'era nulla da vedere e i cui unici abitanti erano le foche l'annoiò. Dieci anni dopo vi tornò, accompagnata questa volta dal suo sposo Menelao, che stava rientrando in patria da Troia e che, spinto fuori rotta da una tempesta, era approdato su quella terra. Menelao - narra la leggenda- incontrò un vecchio e gli chiese: "Che isola è questa?". Il vecchio rispose che l'isola era del Faraone. Menelao, che non aveva inteso bene, domandò di nuovo: "Faro?". Al che il vegliardo rispose affermativamente, ripetendo la parola "Faraone" con l'antica pronuncia egiziana, che la trasformò in "Prouti". Menelao interpretò malamente la risposta: questa volta capì "Proteo", nome che sapeva essere quello della divinità marina a cui Poseidone aveva concesso il dono della profezia. Così la pronuncia poco chiara di un vecchio e il qui pro quo di Menelao fecero conoscere al mondo l'isola sotto il nome di Pharos, terra protetta dal nume Proteo. Per di più, tornato in Grecia, Menelao aggiunse qualche ricamo alla storia, tanto che le foche, disprezzate da Elena, si mutarono in ninfe che affollavano la spiaggia. Poco sappiamo intorno all'edificio, dagli antichi genericamente ammirato a mai sufficientemente descritto, e poichè tutte le innumerevoli torri luminose che lo presero a modello sono andate distrutte, quando si eccettui il piccolo faro di Taposiris Magna, alto 17 metri, ancora superstite a circa 40 Km. sulla costa occidentale del Delta, per farcene un'idea dobbiamo ricorrere alle modeste lanterne di terracotta, ai mosaici, tra i quali recente quello scoperto a Gerasa e alle monete alessandrine coniate sotto Domiziano, Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio e Commodo. In quest'ultime sono evidenti i particolari essenziali dell'edificio, specialmente i Tritoni, i mostri marini che sappiamo nelle tombe o nelle conchiglie tortili, riprodotti agli angli della cima del I piano. Alla base è raffigurata la porta di ingresso e un'immagine di Zeus Soter ritto in piedi e munito di un lungo scettro è chiaramente visibile su parecchi esemplari. Inoltre descrizioni del Faro ricorrono negli scritti di vari autori classici all'inizio dell'era cristiana, soprattutto in Diodoro Siculo, in Strabone e in Plinio il Vecchio, il quale ci dice che la torre costò 800 talenti cioè circa 5 miliardi e 200 milioni di lire. Del pari all'oscuro siamo circa la sua organizzazione e amministrazione nell'età tolemaica, sebbene sia indubbio che aveva una grande importanza per la vita economica della città. Durante il dominio romano, Iside ebbe, tra gli altri mille, anche l'epiteto di Faria e un tempio di questa dea protettrice della navigazione sorse nell'isola ai piedi della grande torre. Alla guardia e alla manutenzione del faro, nell'età romana, furono preposti liberti imperiali. Il sistema d'illuminazione consisteva nell'accendere fuochi di legno resinoso e grandi torce, oppure nel bruciare oli minerali in vasti recipienti. La potenzialità ed efficacia della luce, che gli antichi considerarono stupefacenti, tanta era la distanza, 50 Km. circa, a cui veniva proiettata, erano accresciute ad intermittenza da enormi specchi concavi di metallo, i quali sarebbero stati espressamente inventati da Archimede. E' noto infatti che nel I Medio Evo il Faro trasmetteva alla città di Alessandria messaggi eliografici dalle navi in arrivo. La torre sorgeva all'ingresso del "megas limen", sopra un isolotto riunito alla punta nord-est dell'isola di Faro, proprio nel luogo attualmente occupato dal rovinato forte Qait Bey (1477-79) che ne copre le fondazioni e le ultime vestigia. Secondo testimonianze storiche, essa era un vero e proprio colosso, alta quanto un edificio di 45 piani. La sua altezza infatti doveva aggirarsi intorno ai 120 - 130 metri e, come una torta nuziale, era composta da tre piani distinti, sempre più stretti. Il I, alto 60 metri, aveva una pianta quadrata ed era molto largo. Il II era alto 30 metri e, sempre stando a racconti e scritti di epoca antica, ricordava molto una torre a sezione ottagonale. L'ultimo pezzo, di 15 metri, invece era costituito da una vera e propria torre cilindrica sormontata da un'enorme statua, forse quella di Alessandro il Grande o quella di Zeus Soter. L'ingresso al monumento non era al livello del suolo, ma un pò rialzato, al termine di una rampa di scalini. Si sa che il Faro attraversò diverse epoche storiche senza grossi traumi e poco dopo l'anno 1000 era ancora in piedi. Ma, in seguito, gli occupanti musulmani distrussero il 3^ piano del Faro, sostituendolo con una piccola moschea. Nei tempi che seguirono il Faro cadde in rovina, fino a trasformarsi in una vera e propria "cava di pietre" per la realizzazione del forte, già citato, che si erge ancora. Sul Faro di Alessandria si modellarono le altre torri consimili, innalzate in età ellenistica e romana, in vari punti del Mediterraneo: esse ebbero in generale un'altezza minore, furono suddivise in un numero maggiore o minore di piani, ma il tipo rimane sempre il medesimo. L'ultima possibile raffigurazione del Faro prima della sua distruzione la troviamo in un mosaico della volta della cappella di San Zeno in S. Marco a Venezia, databile intorno al 1200. Mostra il Faro e una nave con l'Evangelista al timone, mentre arriva ad Alessandria per fondare la chiesa copto-cristiana in Egitto. Ad Alessandria la memoria del Faro è mantenuta viva da una scultura moderna in marmo bianco che lo riproduce insieme a Iside Faria, e accoglie i turisti che entrano nei giardini per visitare le catacombe di Kom-es-Shafur. Per concludere bisogna dire che ora forse potremo finalmente rivedere una copia di quest'incredibile monumento: ciò potrebbe accadere infatti se viene dato il via ad un progetto del governo egiziano per la sua ricostruzione. Con un piccolo enigma da chiarire: come si farà a conciliare la forma originale del Faro, comprendente una statua, cioè una raffigurazione umana, con il Corano che, almeno teoricamente lo proibisce.

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    Il faro di Alessandria d'Egitto era considerato una delle sette meraviglie del mondo. Prese il nome da Pharos, l'isola sulla quale venne edificato, che si trovava di fronte al porto della città e che fu nominata, per la prima volta, da Omero. Attualmente l'isolotto è occupato dai resti del castello Qait Bey (1477-1479). Costruito tra il 300 ed il 280 a.C., rimase attivo fino al XIV secolo, quando due terremoti ne fiaccarono definitivamente la resistenza davvero eccezionale.
    Il finanziatore di questo progetto che definire faraonico non è certamente fuori luogo, fu un mercante di nome Sostrato di Cnido, figlio di Dexifante. L'inaugurazione della spettacolare costruzione si ebbe sotto il regno di Tolomeo II Filadelfo. Lo scopo era, naturalmente, permettere alle navi di arrivare sicuramente in porto, visto che il mare prospiciente la città di Alessandria era "popolato" da pericolosi banchi di sabbia. Tant'è che un'epigrafe dedicatoria posta alla sua base recitava: "teois soteroi uper ton laixomenon", vale a dire "agli dei salvatori a favore dei naviganti". Si ritiene che questa dedica fosse essenzialmente rivolta ai Dioscuri (Dios Kouroi, figli di Zeus), Castore e Polluce, divinità della luce, che i naviganti vedevano posarsi sulla cima dell'albero maestro durante le tempeste.
    Gli archeologi hanno stimato che l'altezza dell'imponente torre sfiorasse i 134 metri. Giuseppe Flavio, lo storico ebreo al servizio dei Romani, scrive che la luce del faro di Alessandria era visibile a ben 48 chilometri di distanza. Alla sommità della costruzione giganteggiava la statua di Zeus che, più tardi, fu opportunamente sostituita da quella di Helios, il sole.
    Tanta fu la riservatezza sul funzionamento del faro di Alessandria, che oggi gli studiosi riescono a fare su di essa solo delle speculazioni. Si pensa che il fascio luminoso del faro venisse implementato da una serie di specchi parabolici, il che potrebbe essere possibile, vista la presenza, a quel tempo, di una notevole scuola matematica che studiava la teoria delle coniche e la catottrica.
    In epoca imperiale, al faro erano preposti dei liberti, che dovevano effettuarne la manutenzione e sorvegliarlo.


    ALESSANDRIA D' EGITTO - Passeggiare sott' acqua e ammirare i reperti di una delle civiltà più antiche del mondo. Il governo egiziano ha confermato la costruzione di un gigantesco museo sottomarino nel Mediterraneo: l'avveniristica costruzione dovrebbe sorgere ad Alessandria d' Egitto, il più importante centro culturale dell'ellenismo dove un tempo sorgeva l'imponente palazzo reale di Cleopatra e il mitico Faro.

    Come tante opere dell'antichità queste due costruzioni furono distrutte da due terribili terremoti (la residenza della regina Cleopatra s'inabbissò nel V secolo D.C. mentre il Faro d'Alessandria riuscì a sopravvivere altri nove secoli) e i reperti furono inghiottiti dal mare. Adesso grazie a tunnel sottomarini e a strutture supertecnologiche i turisti di tutto il mondo potranno contemplare i tantissimi reperti della celebre civiltà egiziana seppelliti negli abissi.
     
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  10. gheagabry
     
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    L'ottava meraviglia del mondo ritrovata



    Immaginate enormi piscine di pietra rosa e bianca disegnate con maestria dalla natura, perfettamente rotonde, incastrate fra terrazze infinite di silice da cui scendono le acque termali che cadono nel grande Lago Rotomahana. Dietro, splendenti cascate che sgorgano dalle montagne de il Signore degli anelli. Esistevano, ed erano l'ottava meraviglia del mondo.

    Ma le Pink and White Terraces in Nuova Zelanda il 10 giugno del 1886 furono sommerse da lava e detriti del vicino vulcano Tarawera che eruttò uccidendo 150 maori e cancellando quel piccolo paradiso. Perduto per sempre? Non proprio. Quasi 131 anni dopo questo scenario magnifico potrebbe infatti tornare a risplendere. Due ricercatori, Rex Bunn e Sascha Nolden, sono certi di averlo trovato e a Repubblica raccontano: "È sepolto lungo il litorale, a 10-15 metri, da cumuli di cenere solidificata e fango. Dobbiamo solo scavare".





    L'affascinante caccia al tesoro naturale delle Pink and White Terraces dura da anni: le terrazze dai colori strabilianti nell'Ottocento attiravano mille turisti europei all'anno e sono un sogno a cui è difficile rinunciare. Così, dopo svariati tentativi, nel 2011 gli scienziati della Gelogical and nuclear sciences neozelandese, con tecnologie simili a quelle per il ritrovamento del Titanic, annunciarono di averne individuato i resti: una tratta sommersa in fondo al lago. Cinque anni dopo però la smentita: "Con ogni probabilità sono andate distrutte, non sono qui". "Le cercavano nel punto sbagliato, non era quella la giusta latitudine e longitudine" racconta Bunn, uno dei due ricercatori che ora si dicono certi di sapere dove si trovano.



    "Nel 2014 ho lavorato nel tentativo di abbassare le acque del lago di 30-40 metri, volevo vederle. Per farlo ho studiato il caso italiano del Lago di Nemi, vulcanico, dove negli anni Trenta Guido Ucelli sperimentò l'uso di idrovore per risucchiare acqua e portare alla luce due grandi navi romane. Ma da noi si presentò un problema". Un'area magmatica sotto Rotomahana risultava infatti ancora attiva con il rischio di eruzione, i lavori vennero sospesi. Iniziava a sorgere il dubbio che non fossero lì. Bunn era bloccato, finché nel 2015 gli telefonò un bibliofilo, Sascha Nodlen: voleva mostrargli strani diari.



    Erano gli appunti del geologo e cartografo austro-tedesco Ferdinand von Hochstetter, partito da Trieste con una spedizione italiana. Questi scritti del 1859 "sono straordinariamente precisi e attendibili come mappe" . I due incrociano dati e coordinate e pubblicano la loro ricerca sul Journal of the Royal Society of New Zealand : "Le terrazze si trovano sulla costa e non in fondo al lago, sono sepolte da strati di detriti e c'è la possibilità di recuperarne parti intatte".

    L'ottava meraviglia "non è distrutta per sempre. La probabilità che sia là sotto? Abbiamo prove convincenti della presenza di almeno tre terrazze". Per Bunn, il paradiso non può più attendere. "I lavori partiranno a breve. Le terrazze sono soltanto coperte e una volta recuperate tutti potranno finalmente vederle".



    www.repubblica.it 15 giugno 2017
     
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9 replies since 17/1/2012, 21:02   1956 views
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