TEATRI nel MONDO

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    IL teatro PETRUZZELLI



    "La serata si aprì al suono dell'inno reale, gli spettatori in piedi, scoppio di applausi, indi l'ovazione ai Petruzzelli e al cavalier Messeni, e applausi ancora al pittore Armenise e ai coadiutori dell'opera. Questo l'esordio di una serata tanto attesa". Con queste parole il 15 febbraio 1903 si raccontò sul Corriere delle Puglie la serata d'inaugurazione del teatro Petruzzelli....."un gran pubblico, aristocratico e democratico, borghese e lavoratore"..."da italiani di ogni contrada e da esteri di ogni paese, per ambiente, per ricchezza, per gusto, per eleganza, per adattamento alle esigenze artistiche, fra i teatri d'Europa".
    La serata inaugurale è un successo. Le statue a grandezza naturale dei maestri di musica pugliesi - Paisiello, Piccinni, Mercadante e De Giosa - accolgono nel foyer un pubblico sbalordito e incantato dalla maestosità e dalla bellezza della sala. Signore di "eleganza squisita" e gentiluomini in abito di gala si distribuiscono tra la platea e i quattro ordini di palchi, le gallerie e il loggione. In tutto, il Politeama può contenere 3200 spettatori: "Non un palco, non una poltrona, non un posto di loggione vuoto", scrisse l'indomani il Corriere delle Puglie. Su tutti "vegliano" i sommi poeti tragici e comici dell'antichità, ritratti nella cupola affrescata da Raffaele Armenise, gli stucchi in bianco e nero, le figurine muliebri che decorano le logge, e migliaia di lampadine. Tutta questa meraviglia è opera dei fratelli Petruzzelli e dell'ingegner Messeni Nemagna che con un milione e seicentomila lire e quattro anni di lavori hanno dato vita al "gioiello" di Bari.


    Tutto comincia nel 1894. Il Comune decide che Bari ha bisogno di un contenitore culturale degno di una città desiderosa di elevarsi al livello delle altre metropoli italiane. La passione di Bari per il teatro è nota, ma i luoghi di rappresentazione non bastano. Dal 1854 è attivo il teatro comunale Piccinni, ma è troppo piccolo e insufficiente a rispondere alla richiesta dei cittadini. In città, proprio sul mare, c'è un piazzale, si chiama Largo alla Marina, dove si tengono concerti e rappresentazioni di strada. Il suolo è di proprietà del Comune, ma l'Amministrazione è disposta a cederlo a chi costruirà lì un teatro vero. Con questa decisione, intende non solo offrire ai visitatori un contenitore culturale grande e importante, ma allo stesso tempo, dare uno slancio urbanistico alla città. Le proposte arrivano da moltissimi privati. Poi Onofrio e Antonio Petruzzelli, commercianti e armatori di origine triestina, presentano il progetto del cognato, l'ingegnere barese Angelo Messeni, che prevede un teatro più grande costruito in tempi più rapidi. La proposta dei Petruzzelli è accettata e nel 1896 è stipulato il contratto tra la famiglia e l'amministrazione comunale. Secondo l'accordo, il Comune dà ai Petruzzelli il suolo "in concessione gratuita e perpetua" e quarantamila lire di premio. In cambio la famiglia si impegna a costruire il politeama nei tempi stabiliti e a gestirlo sotto l'osservanza dei patti, clausole e condizioni racchiuse nelle "Deliberazioni Consigliari". Il contratto porta la data del 29 gennaio 1896. Due anni dopo, nell'ottobre 1898, cominciano i lavori.

    E' il periodo d'oro della borghesia barese e il Petruzzelli deve essere il monumento, la bandiera della sua crescente potenza. La città ambisce al ruolo di piccola capitale europea e il Petruzzelli deve essere il simbolo di questa ambizione. Inoltre la costruzione di un politeama di quelle dimensioni serve a dare una spinta urbanistica alla città, diventando fulcro della nuova zona di espansione al di là del centro murattiano rigido e squadrato, ma serve anche a rendere Bari un punto di riferimento per la Puglia e le regioni vicine.
    La comodità dei collegamenti e la presenza di grandi maestri della musica italiana ed europea portano subito il teatro nell'Olimpo della lirica. Il primo direttore artistico del Petruzzelli, Antonio Quaranta, d'accordo con i proprietari, chiama a Bari le voci più famose e i melodrammi più grandiosi: Aida, Il Trovatore, Andrea Chenier, sono solo alcune delle opere rappresentate nella stagione inaugurale del 1903.

    Nel corso degli anni il Petruzzelli mantiene le aspettative e il suo nome risuona in tutta Europa come simbolo non solo di Bari ma di tutto il Sud. Il momento clou sono gli anni '30: Mascagni, La Rotella, Refice e Respighi rappresentano le loro opere e assistono alle prime. Poi scoppia la guerra e durante l'occupazione il teatro diventa sede dei concerti e dei varietà per le truppe alleate. Sono gli anni ricostruiti da Sordi e Monica Vitti nel film "Polvere di Stelle" girato nel 1972 proprio all'interno del Petruzzelli.
    Dopo la guerra il teatro ritorna tempio della lirica ma è negli anni '80 che vive il momento di massimo splendore. E' a Bari che vanno in scena per la prima volta Ifigenia in Tauride di Niccolò Piccinni, mai più rappresentata dopo il debutto a Parigi nel 1779, e la versione per Maria Malibran de I puritani di Bellini, rimasta inedita.
    In quegli anni Bari per il mondo è il Petruzzelli. E non solo per la lirica. Musical, balletto, grandi concerti. Non c'è artista internazionale che non sia passato di qui: Von Karjan, Rudolph Nureyev, e poi Sinatra, Ray Charles, Liza Minnelli, Juliette Greco. E poi i grandi artisti italiani: De Filippo, Riccardo Muti, Carla Fracci, Luciano Pavarotti, Giorgio Gaber.
    Il tempio della lirica diventa luogo di culto anche per la musica leggera e al Petruzzelli approdano Freddy Mercury e i Queen, lo spettacolo Azzurro, Paolo Conte, Ornella Vanoni.
    "L'offerta artistica del celebre teatro - ricorda il giovane regista barese Alessandro Piva - era molteplice: accanto a una stagione lirica e della danza in grado di richiamare i nomi più prestigiosi si affiancava una programmazione di ricerca e d'avanguardia, senza negare lo spazio a manifestazioni ed eventi di altro taglio. C'era a Bari un clima culturale prezioso per la formazione di giovani a caccia di stimoli"
    Sono gli anni più attivi e vivaci ma anche gli ultimi anni di vita del Petruzzelli. La notte tra il 26 e il 27 ottobre 1991 il teatro è distrutto da un incendio doloso. L'ultima opera rappresentata è la Norma. Ironia della sorte, quest'opera si chiude con un rogo.
    (Annalisa Misceo, uniurb)
     
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  2. gheagabry
     
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    BELLONAE AC MVSICAE THEATRVM RAINVTIVS FARNESIVS PARMAE
    ET PLACENTIAE DVX IV CASTRI AVGVSTA MAGNIFICENTIA APERVIT ANNO MDCVIII

    Ranuccio Farnese duca di Parma e Piacenza, quarto duca di Castro,
    con augusta magnificenza inaugurò nell'anno 1608 il teatro di Bellona e della musica


    TEATRO FARNESE


    "...non saliamo in Galleria. Restiamo qui tra polvere e legno. Il Teatro Farnese lo merita. Invita a un barocco abbandono che si adagi sulla sua storia. La storia di un teatro suggestivo e magico, singolarmente raro di spettacoli, quasi a rimarcarne la sufficiente e solitaria bellezza e fantasia.
    Il Palazzo della Pilotta era decisamente grande per la piccola Parma seicentesca: troppo grande per la città, mai abbastanza per il delirante e necessario gusto del fasto di Ranuccio Farnese, duca superstizioso e ipocondriaco di un'eta in crisi.
    Il '600 è peste e broccati, regge e mendicanti, forma, immagine... teatro.
    Ranuccio ne vuole uno, appena oltre lo scalone all'imperiale, al posto di quella enorme sala d'armi. Lo vuole subito: che sia pronto per la visita del signore di Firenze, Cosimo II De Medici, e ne veda e valuti lo sfarzo e la potenza.
    Si sarà aggirato qui, il Duca, le mani nella barba, in questo spazio ncora freddo e vuoto di progetti, per consigliarsi (e mai termine, a detta dei pettegoli, fu più appropriato) con Bartolomeo Riva sul da farsi: era lui, Tesoriere di Stato dalle umili origini che reggeva le fila delle attività (e dei danari) ducali.
    Un anno di tempo: si può contattare l'Argenta, si, Giovan Battista Aleotti, che a Vicenza ha già fatto un bellissimo teatro; poi si potrebbe usare il legno, è leggero, flessibile, ma non meno bello, e magari dipingerlo in finto marmo e decorarlo con stucchi, sculture, scene di dei..."


    Situato al primo piano del Palazzo della Pilotta il Teatro Farnese occupa un grande "salone" che era originariamente destinato a "Sala d'arme" (lunghezza m 87.20; larghezza m 32.15; altezza m 22.65), riadattata e trasformata in teatro tra la fine del 1617 e l'autunno del 1618.
    Costruito dunque in brevissimo tempo, usando materiali leggeri come il legno e lo stucco dipinti, il teatro nacque per volontà di Ranuccio I, duca di Parma e Piacenza dal 1593 al 1622, il quale intendeva festeggiare con sfarzo la sosta di Cosimo II de' Medici a Parma, programmata in occasione di un viaggio del Granduca di Toscana a Milano per visitare le tomba di San Carlo Borromeo.
    Si trattava di un evento di grande importanza politica per Ranuccio, che aveva così la possibilità di rinsaldare i suoi legami con la famiglia medicea, riallacciati nel 1615 con un accordo matrimoniale tra le due famiglie ducali.
    Sfumato il progettato viaggio di Cosimo, l'inaugurazione del teatro - già ultimato nel 1619 - avvenne solo nel 1628, in occasione delle nozze tra Margherita de' Medici e il duca Odoardo, con uno spettacolo allegorico-mitologico dal titolo "Mercurio e Marte" - con testo di Claudio Achillini e musiche di Claudio Monteverdi -, arricchito da un torneo e culminante in una spettacolare naumachia, per la quale fu necessario allagare la platea con una enorme quantità d'acqua, pompata tramite una serie di serbatoi posti al di sotto del palcoscenico.
    Il progetto del teatro, dovuto all'architetto ferrarese Giovan Battista Aleotti detto l'Argenta (dal paese d'origine), subì alcune modifiche su suggerimento del marchese Enzo Bentivoglio, signore di Gualtieri e, probabilmente, del duca stesso.
    Sotto la direzione degli architetti collaboratori Giovan Battista Magnani e Pier Francesco Battistelli lavorarono al cantiere maestranze specializzate ferraresi.
    Gli stuccatori erano guidati da Luca Reti ed i pittori, di diversa provenienza, erano capeggiati dal cremonese Giovan Battista Trotti detto il Malosso, dal bolognese Leonello Spada e dai parmigiani Sisto Badalocchio, Antonio Bertoja e Pier Luigi Bernabei. Essi dovettero provvedere, oltre che alla decorazione delle pareti, anche a quella del soffitto, purtroppo perduta.
    Data la complessità degli allestimenti scenici e i loro altissimi costi il teatro fu utilizzato soltanto nove volte, in occasione di matrimoni ducali o importanti visite di stato. Dopo l'ultima rappresentazione, risalente al 1732, il teatro decadde lentamente fino alla quasi totale rovina, subendo un colpo terribile con il bombardamento che lo colpì nel maggio del 1944, che determinò la quasi completa distruzione delle parti lignee e di gran parte delle statue in stucco. Il teatro è stato completamente ricostruito nel 1956 secondo il disegno originario: le parti lignee, in origine completamente decorate, furono lasciate grezze, ad evidenziare le poche strutture originali superstiti.

    ...gli spettacoli...


    A tanta novità, a tanto splendore e grandezza, non corrispose però un adeguato uso: e forse furono proprio la grandiosità e la regalità del luogo a toglierlo da subito ad un suo normale utilizzo teatrale. Opera inaugurale fu il torneo musicale Mercurio e Marte, di Claudio Achillini, con le musiche di Claudio Monteverdi. Punto culminante, una spettacolare naumachia durante la quale, nella platea allagata, una vera e propria battaglia si svolgeva tra verisimili modelli di navi. E’ purtroppo facile stendere una cronologia degli spettacoli dati al Farnese: nove in 104 anni, il primo nel 1628, l’ultimo nel 1732. Il costo e la complessità degli allestimenti, quasi tutti a carattere o con inserzioni soprattutto spettacolari, ne limitarono l’uso all’esclusivo festeggiamento di fauste ricorrenze, soprattutto nozze, dei successivi regnanti.

    1628 Inaugurazione del teatro con il torneo e lo spettacolo "Mercurio e Marte" di Claudio Achillini, con musiche di Claudio Monteverdi, in occasione del matrimonio del duca Ottavio Farnese con Margherita de' Medici.

    1652 Rappresentazione del dramma fantastico "Le vicende del Tempo" di Bernardo Morando, con musiche di Francesco Manelli, in occasione della visita degli arciduchi Carlo, Sigismondo, Francesco ed Anna di Toscana.

    1660 Rappresentazione del dramma in tre atti "La Filo", ovvero "Giunone rappacificata con Ercole" di Francesco Berni, con scene di Carlo Pasetti e musiche di Francesco Manelli, in occasione delle nozze di Ranuccio II Farnese con Margherita Violante di Savoia.

    1664 Spettacolo musicato dal maestro Oliva per le seconde nozze del duca Ranuccio II con Isabella d'Este.

    1668 Rappresentazione del dramma "La Parma" scritto da Alessandro Guitti, in occasione delle terze nozze del duca Ranuccio II con la sorella della seconda moglie, Maria d'Este.

    1690 Grandioso spettacolo, dal titolo "Il favore degli dei", con testo di Aurelio Aureli e musiche di Bernardo Sabadini, in occasione delle nozze di Odoardo Farnese con Dorotea Sofia di Neoburgo.

    1714 Concerto per le nozze di Elisabetta Farnese con Filippo V di Spagna.

    1728 Carosello equestre, dal titolo "Le nozze di Nettuno con Anfitrite", su libretto di Carlo Innocenzo Frugoni, musiche di Leonardo Vinci e scene di Sebastiano Galeotti, in occasione delle nozze di Antonio Farnese con Enrichetta d'Este.

    1732 Rappresentazione del dramma "Venuta di Ascanio in Italia" su libretto di Carlo Innocenzo Frugoni, con scene di Pietro Righini, in occasione della venuta a Parma di Don Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese e infante di Spagna.

    (artipr.arti.beniculturali)
     
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  3. gheagabry
     
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    « Esco ora dalla Scala… È per me il primo teatro del mondo, perché è quello che procura dalla musica i maggiori piaceri… Quanto all’architettura, è impossibile immaginare nulla di più grande, più solenne e nuovo »
    (Stendhal, 26 settembre 1816)


    IL TEATRO DELLA SCALA


    Il Teatro alla Scala di Milano è uno dei teatri più famosi al mondo: da oltre duecento anni ospita artisti internazionalmente riconosciuti ed è stato committente di opere tutt'ora presenti nei cartelloni dei teatri lirici di tutto il mondo. È situato nell'omonima piazza, affiancato dal Casino Ricordi, oggi sede del Museo teatrale alla Scala.

    Nel proprio progetto, ispiratosi al Teatro di corte della Reggia di Caserta di Vanvitelli, il Piermarini ne modificò curvatura e strutture decorative in modo da migliorarne l'acustica: la sala divenne immediatamente il modello per il "teatro all'italiana", la cui forma a "ferro di cavallo" venne in seguito impiegata in molti teatri d’Europa come la Staatsoper di Vienna (1869), il Palais Garnier a Parigi (1875), la Royal Opera House di Londra (1858).
    La facciata principale è la parte del teatro che ha subito, rispetto al progetto originario, il minor numero di modifiche.
    L'unica aggiunta è stata quella dei due piccoli corpi laterali sormontati da terrazzi (1835), i quali, se alterano lievemente la visione laterale rompendo la scansione dei tre diversi volumi della facciata, fanno salva la percezione frontale.

    « Con mia grande sorpresa vidi che stavano demolendo una chiesa per far posto ad un teatro »
    (Thomas Jones)


    ...la storia...


    La storia della Scala di Milano inizia nel 1776 quando un incendio distrusse il Regio Ducal Teatro, ospitato nel cortile di Palazzo Reale. Un decreto dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria affidò a Giuseppe Piermarini l’incarico di costruirne uno nuovo. Il luogo prescelto fu quello della Chiesa di Santa Maria alla Scala, che fu demolita per fare posto al teatro. I lavori di demolizione della collegiata di Santa Maria iniziarono il 5 agosto 1776, il 28 maggio 1778 si svolsero le prime prove di acustica e il 3 agosto, alla presenza del governatore di Milano, l'arciduca Ferdinando d'Asburgo-Este, venne inaugurato il “Nuovo Regio Ducal Teatro” con la prima rappresentazione assoluta de L'Europa riconosciuta di Salieri. Il Piermarini, per il suo progetto, si ispirò alla Reggia di Caserta. Il libretto, opera dell'abate Mattia Verazzi, fu pensato per dare spazio ad arie ricche di virtuosismi, ed è caratterizzato dai numerosi duetti, terzetti e complessi finali d'atto. La sera del 3 agosto, tra gli spettatori c'era anche Pietro Verri, il quale scrisse al fratello Alessandro, in quel periodo a Roma: «la pompa dei vestiti è somma, le comparse ti popolano il palco di più di cento figure e fanno il loro dovere... gli occhi sono sempre occupati». Particolarmente suggestivo risultò l'inizio in medias res, «mentre te ne stai aspettando quando si dia principio, ascolti un tuono, poi uno scoppio di fulmine e questo è il segnale perché l'orchestra cominci l'ouverture, al momento s'alza il sipario, vedi un mare in burrasca».
    Allietarono gli intervalli i balli Pafio e Mirra, o sia I prigionieri di Cipro, musica di Salieri, coreografia di Claudio Legrand, e Apollo placato, musica di Luigi de Baillou, coreografia di Giuseppe Canziani. Il Piermarini, per il suo progetto, si ispirò alla Reggia di Caserta. Il Nuovo Regio Ducal Teatro alla Scala fu inaugurato il 3 agosto 1778 con la prima assoluta de L’Europa Riconosciuta di Salieri. La costruzione del teatro fu finanziata da un gruppo di famiglie milanesi che continuavano a sostenerlo e ne detenevano la proprietà attraverso le quote dei palchi. A quel tempo il teatro era usato non solo come luogo di spettacolo, ma anche per gestire la propria vita sociale. I proprietari dei palchi vi ospitavano invitati, mangiavano e, nel ridotto, giocavano d’azzardo. Tutto questo mentre sul palco si svolgevano gli spettacoli. Il che lascia capire con quale attenzione venissero seguiti!

    Le prime stagioni del Teatro alla Scala di Milano, fino agli anni Venti dell’800, videro rappresentate le opere dei migliori compositori dell’epoca. Il problema maggiore nell'organizzare le stagioni era mantenere acceso l'interesse degli spettatori, molto spesso distatti, nei palchi, in altre faccende. Essendo lo sfarzo dell‘Europa riconosciuta a lungo andare economicamente insostenibile, già nel secondo anno di attività si diede spazio all'opera buffa, della quale il maggior interprete, il basso Francesco Benucci, calcò spesso le scene scaligere. Grande successo ebbero alla Scala i castrati, sopranisti e contraltisti, tra i quali si possono ricordare Gaspare Pacchierotti, Asterio nell'opera di apertura, Luigi Marchesi, Girolamo Crescentini, di lì a qualche decennio sostituiti dalle primedonne (tra le prime, le celeberrime Giuseppina Grassini ed Elisabetta Gafforini).
    Quanto ai compositori, oltre a Salieri, forse imposto dall'alto e comunque raramente chiamato, si possono in questi primi anni ricordare Domenico Cimarosa, Giovanni Paisiello, Nicola Antonio Zingarelli, Luigi Cherubini, Ferdinando Paër, Johann Simon Mayr, Gioachino Rossini, Giacomo Meyerbeer.
    Durante la primavera e l'estate del 1807, le stagioni furono trasferite alla Canobbiana a causa di importanti lavori di rifacimento delle decorazioni interne, ridisegnate secondo il gusto neoclassico mentre nel 1814, a seguito della demolizione di alcuni edifici tra i quali il convento di San Giuseppe, venne ampliato il palcoscenico secondo il progetto di Luigi Canonica.
    Un grande lampadario con ottantaquattro lumi a petrolio, disegnato dallo scenografo Alessandro Sanquirico, venne appeso al centro del soffitto nel 1823. Contrastanti furono le reazioni: contro i sostenitori dell'innovazione alzava la voce chi riteneva che il lampadario illuminasse troppo la sala, permettendo agli sguardi indiscreti di penetrare nell'intimità dei palchi. Negli anni venti fecero la loro comparsa le opere di Saverio Mercadante, di Gaetano Donizetti e soprattutto del siciliano Vincenzo Bellini, sul quale Barbaja punterà negli anni della propria gestione. È percepibile però la "regia occulta" dell'editore Ricordi che, in forza del suo privilegio di copista prima, di editore poi, delle opere rappresentate alla Scala, oltre che del fondo dei manoscritti del teatro acquistato già nel 1825, influenzò fortemente la scelta dei compositori a cui venivano commissionate riprese e nuove produzioni. Nel 1830, le fasce tra gli ordini tra i palchi vennero decorate, sempre su indicazione del Sanquirico, con rilievi dorati e Francesco Hayez realizzò una nuova decorazione della volta della sala, visibile ancora nel 1875, quando fu sostituita da una decorazione a grisaille. Nel 1835, su progetto di Pietro Pestagalli, vennero aggiunti nella facciata due piccoli corpi laterali sormontati da terrazzi. Nel 1839 iniziò la stagione di Verdi, che però dal 1945, per vent’anni, non presenterà più opere al Teatro alla Scala a causa dei suoi contrasti con gli impresari che non venivano incontro alle sue richieste.

    Nel 1898 la Scala di Milano divenne una Società Anonima presieduta da Guido Visconti di Modrone. La direzione artistica fu affidata ad Arturo Toscanini, che portò Wagner, Berlioz ma anche compositori contemporanei come Mascagni e Boito. Il primo periodo di Toscanini alla Scala fu segnato dal profondo interesse del direttore per Richard Wagner, ma anche per Meyerbeer e Berlioz. Fra i compositori contemporanei, catalizzarono la scena scaligera Mascagni, Franchetti, Boito. Il 21 aprile 1889, con la prima di Edgar, fece il proprio esordio il giovane Giacomo Puccini, ottenendo un successo cordiale ma non propriamente caloroso. Un clamoroso fiasco fu invece, qualche anno dopo, la prima della Madama Butterfly (1904). Mentre Toscanini lasciò il teatro il 14 aprile 1903, Gatti Casazza rimase fino al 1907, anno in cui dispose l'arretramento del palcoscenico per far spazio alla cosiddetta "buca", parzialmente nascosta dalla ribalta. Prima di allora i musicisti e il direttore d'orchestra non avevano un loro posto ma suonavano davanti al pubblico, ostruendo spesso la visibilità dalla platea. Durante le feste mondane l'orchestra suonava invece sul palcoscenico per lasciar maggior spazio alle danze. Nel 1909, il quinto ordine di palchi fu trasformato nell'attuale "prima galleria" per permettere a più spettatori, non proprietari di palchi, di assistere agli spettacoli.

    Nel 1920, grazie alla rinuncia del diritto di proprietà sia da parte dei palchettisti che del Comune, venne fondato l’Ente Autonomo Teatro alla Scala e fu costituita l’Orchestra del Teatro alla Scala, formata da musicisti selezionati con criteri rigorosissimi e assunti a tempo indeterminato. Alla direzione musicale tornò ancora Toscanini. Nel 1929 il governo fascista si assunse il potere di nomina del Presidente dell’Ente. Per questa ragione, e per essere stato schiaffeggiato dopo il rifiuto a suonare Giovinezza, Toscanini rinunciò nuovamente all’incarico e si trasferì a New York. Nell’agosto del 1943 la Scala fu demolita in buona parte da un bombardamento. La ricostruzione fu avviata subito e terminò nell’immediato dopoguerra, nel 1946. L’inaugurazione della nuova sala fu affidata a Toscanini, che fu accolto trionfalmente, e il “Concerto della Ricostruzione” rimase nella storia di Milano.
    L'11 maggio 1946 alle ore 21:00 "precise", come si legge sul cartellone, Toscanini inaugurò la nuova sala, dirigendo l'ouverture de La gazza ladra, il coro dell'Imeneo, il Pas de six e la Marcia dei Soldati del Guglielmo Tell, la preghiera del Mosè in Egitto, l'ouverture e il coro degli ebrei del Nabucco, l'ouverture de I vespri siciliani e il Te Deum di Verdi, l'intermezzo e estratti dall'atto III di Manon Lescaut, il prologo ed alcune arie del Mefistofele. Il "concerto della ricostruzione", che vide tra gli interpreti anche Renata Tebaldi, fu un evento storico per tutta Milano. Come scrisse Filippo Sacchi:
    « quella sera [Toscanini] non dirigeva soltanto per i tremila che avevano potuto pagarsi un posto in teatro: dirigeva anche per tutta la folla che occupava in quel momento le piazze vicine, davanti alle batterie degli altoparlanti »
    Gli anni ’50 vanno ricordati per il pubblico diviso tra i partigiani della Callas e della Tebaldi e per il debutto di Herbert Von Karajan. Nel 1967 il Teatro alla Scala di Milano diventa, per volere dello stato italiano, Ente Lirico Autonomo, con un sovrintendente nominato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Nel 1986 arriva Riccardo Muti che promuoverà riscoperte di autori come Cherubini e Willibald, con regie di ricerca e di rinnovamento.

    Nel 1996 una legge dello Stato italiano ha trasformato l’Ente Autonomo nella Fondazione Teatro alla Scala, una fondazione di diritto privato senza scopo di lucro. Tra il 2002 e il 2004 il Teatro è stato profondamente ristrutturato con un progetto innovativo dell’architetto Mario Botta. Per l’inaugurazione Riccardo Muti ha voluto riportare sul palcoscenico L’Europa Riconosciuta di Antonio Salieri, che aveva inaugurato il Teatro nel 1776. Attualmente la sovrintendenza è affidata a Stéphane Lissner e la direzione musicale a Daniel Barenboim, che è anche direttore dell’Opera di Stato di Berlino.
     
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  4. gheagabry
     
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    " ... Non c'è nulla in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea. Gli occhi sono abbagliati, l'anima rapita ...".
    (Stendhal)


    IL TEATRO SAN CARLO



    Il San Carlo è il più antico teatro operante in Europa: costruito nel 1737 (41 anni prima della Scala, 51 prima della Fenice) non ha mai interrotto le sue stagioni a parte per due anni (1874-1875) a causa di mancati finanziamenti. Né l'incendio del 1816, né la seconda guerra mondiale riuscirono ad interromperne l'attività: nel primo caso il Teatro fu ricostruito in sei mesi da re Ferdinando, nel secondo una serie di concerti per le Forze Armate sostituì nei momenti più drammatici del conflitto, la normale attività di spettacolo. Divide con il Teatro alla Scala il primato della più antica Scuola di ballo italiana, fondata contemporaneamente a Milano e a Napoli nel 1812, mentre dal 1816 data la sua Scuola di scenografia.

    ..la storia..



    Fu eretto per volontà di Carlo di Borbone che, deciso a dare alla sua Capitale un teatro che sostituisse il vetusto San Bartolomeo, di proprietà della Casa degli Incurabili, assegnò a questa istituzione benefica una rendita di 2.500 ducati, pari all'utile che essa ne traeva dalla gestione, ordinandone l'abbattimento e il recupero del legname. Nello stesso tempo, dette mandato alle Fabbriche Reali di progettare il nuovo teatro. Il 4 marzo 1737 fu firmato il contratto con l'architetto Giovanni Antonio Medrano e l'appaltatore Angelo Carasale. La spesa fu calcolata in 75.000 ducati (circa 1,5 milioni di euro di oggi), la consegna fissata per la fine dello stesso anno.
    L'impegno fu mantenuto con straordinaria precisione: il 4 novembre 1737, giorno dell' onomastico del Sovrano, il San Carlo fu inaugurato con l'opera Achille in Sciro del Metastasio, con musica di Domenico Sarro, che diresse l'orchestra. La parte di Achille fu sostenuta, come usanza dell'epoca, da una donna, Vittoria Tesi, detta la Moretta, con accanto Anna Peruzzi, detta la Parrucchierina, prima donna soprano e il tenore Angelo Amorevoli. Il Teatro s'impose immediatamente all'ammirazione dei Napoletani e degli stranieri, per i quali divenne in breve tempo un'attrattiva giudicata senza eguali, per la grandiosità, la magnificenza dell'architettura, le decorazioni in oro, gli addobbi sontuosi in azzurro (era il colore ufficiale della Casa Borbonica Due Sicilie e perciò i velluti di questa tinta furono sostituiti, dopo l'unità d'Italia, con il rosso ed allo stemma del sottarco fu sovrapposto quello sabaudo).

    La Scuola napoletana aveva, in quegli anni incontrastata gloria europea non soltanto nel campo dell'opera buffa (che nel San Carlo non veniva rappresentata) ma in quello dell'opera seria, con Leo, Porpora, Traetta, Piccinni, Vinci, Anfossi, Durante, Iommelli, Cimarosa, Paisiello, Zingarelli. Napoli divenne, in conseguenza, la capitale della musica europea. Così che anche i compositori stranieri considerarono il San Carlo come un traguardo della loro carriera: Hasse, poi stabilitosi a Napoli, Haydn, Johann Christian Bach, Gluck. Allo stesso modo, i più celebrati cantanti ambirono esibirsi sul palcoscenico del Teatro di Napoli e molti consolidarono su di esso la loro fama, da Lucrezia Anguiari, detta la Bastardella, e a Caterina Gabrielli, detta la Cochetta, ai celeberrimi castrati Caffarelli (Gaetano Majorano), Farinelli (Carlo Broschi), Gizziello (Gioacchino Conti) tutti e tre provenienti dai Conservatori di Napoli, sino a Gian Battista Velluti, l'ultimo evirato cantore.
    Questo primo ciclo di vita del San Carlo, che era stato intanto rinnovato nell'aspetto esterno dall'architetto Antonio Niccolini, si chiude con il doloroso episodio dell'incendio divampato la notte del 12 febbraio 1816, che lo distrusse completamente. Fu un evento che gettò il lutto in tutta la città e che i giornali di tutta Europa raccontarono con emozione. Così come una meraviglia ed ammirazione dettero notizia, dieci mesi dopo, alla fine dello stesso anno, che esso era già risorto. Fu re Ferdinando I di Borbone a volere, sei giorni dopo l'incendio, che il San Carlo venisse senza indugi ricostruito. L'incarico fu affidato al Niccolini, con l'impegno di rifarlo tale e quale com'era prima dell'incendio. Venne rispettata la pianta del Medrano: la sala lunga m. 28,60 e larga 22,50, 184 palchi disposti in sei ordini più quello reale. Venne però sensibilmente migliorata l'acustica (ancora oggi unanimemente considerata perfetta) e fu ampliato il palcoscenico (m. 33,10 x 34,40). Camillo Guerra e Gennaro Maldarelli rinnovarono le decorazioni fra cui il bassorilievo e l'orologio nel sottarco del proscenio. Giuseppe Cammarano dipinse il soffitto tuttora esistente (Apollo che presenta a Minerva i più grandi poeti del mondo) ed il sipario, poi sostituito nel 1854 con altro Giuseppe Mancinello ("Il Parnaso", ancora in uso).

    A parte la creazione del "golfo mistico", suggerita da Verdi nel 1872, l'impianto dell'illuminazione elettrica con conseguente abolizione del lampadario centrale (1890) e la costruzione del nuovo foyer con annesso corpo laterale adibito a camerini degli artisti (1937) non ha subito nessun mutamento sostanziale. Ed oggi la sala appare così come la vide Stendhal la sera della sua seconda inaugurazione, il 12 gennaio 1817. Si rappresentava quella sera Il sogno di Partenope, di Giovanni Simone Mayr, scritta per l'occasione, Nella prima metà dell'Ottocento le glorie del San Carlo sono legate al nome di quello che fu considerato il principe degli impresari, Domenico Barbaja. Malgrado la Scuola napoletana, con Zingarelli, Pacini, Mercadante, si tenesse sostanzialmente al passo con i nuovi tempi, Barbaja intuì come per il San Carlo fosse giunto il momento di guardare al di là dei confini impostigli dalla sua tradizione e scritturò come compositore e direttore artistico dei Regi Teatri di Musica Gioacchino Rossini. Questi vi rimase per otto anni, dal 1815 al 1822. Fra i "cantanti di stagione" degli anni di Barbaja si ricordano, oltre a Manuel Garcia, sua figlia Maria Malibran, Giuditta Pasta, Isabella Colbran, Giovan Battista Rubini, Domenico Donzelli e i due grandi rivali francesi Adolphe Nourrit e Gilbert Duprez, l'inventore del "do di petto". E fu dopo una beneficiata al San Carlo che, preso da una crisi di sconforto per essere stato il suo successo inferiore a quello del più giovane conterraneo, Nourrit si suicidò appena rientrato in albergo, l'8 marzo 1839. Rossini fuggì da Napoli per amore. Al suo posto l'impresario scritturò un altro astro nascente nel mondo del melodramma, Gaetano Donizetti. Anch'egli direttore artistico dei Regi Teatri, Donizetti rimase al San Carlo dal 1822 al 1838 componendo per il teatro sedici opere. Qualche anno prima, nel 1826, Barbaja aveva dato fiducia anche ad un altro musicista, uno studente siciliano del Conservatorio San Pietro a Majella, rappresentandogli la sua prima opera, Bianca e Gerlando. Si chiamava Vincenzo Bellini. Anche Giuseppe Verdi fece presto il suo ingresso al San Carlo. Nel 1841 si rappresentò il suo Oberto conte di San Bonifacio e nel 1845 scrisse la prima opera per il Teatro, Alzira. Con il finire dell'Ottocento e della sua grande stagione del melodramma romantico, il San Carlo rimase tra i protagonisti dei nuovi orientamenti musicali italiani ed europei. Giacomo Puccini e la Giovane Scuola, da Mascagni ai quattro napoletani (di nascita o di studi) Leoncavallo, Giordano, Cilea ed Alfano, trovarono il San Carlo pronto ad accogliere le loro opere, mentre l'azione meritoria di un grande musicista e direttore d'orchestra, Giuseppe Martucci, valsa ad introdurre la musica wagneriana nelle consuetudini del Teatro. È dal 1915 un'altra grande figura di impresario Augusto Laganà, guidò il Teatro sino alla costituzione in Ente Autonomo (1927) introducendo dal 1920 la consuetudine, durata poi dieci anni, di inaugurare la stagione con un'opera wagneriana; sensibile ai nuovi fermenti dell'opera italiana. Sostanzialmente risparmiato, pur se danneggiato in alcune strutture dagli eventi bellici, il San Carlo venne requisito dalle autorità militari inglesi nell'ottobre del 1943. Gli spettacoli ripresero il 26 dicembre di quell'anno, destinati alle truppe alleate. I civili potevano accedervi, ma soltanto in galleria e in loggione.
    L'occupazione durò sino al 1946. Ripristinato l'Ente Autonomo nel '48 con la geniale soprintendenza di Pasquale Di Costanzo, coadiuvato dal direttore artistico Francesco Siciliani (poi Guido Pannain), il San Carlo riprese rapidamente la sua posizione di preminenza fra le istituzioni musicali europee. (.ilportaledelsud.org)


    ...curiosità...



    Ogni palco del teatro ha in una delle pareti laterali uno specchio adeguatamente inclinato per riflettere il palco reale. Il motivo di ciò è che nessun spettatore poteva applaudire o chiedere un bis prima che lo facesse il re. Se non c'era il re allora il diritto di "primo applauso" spettava alla regina, poi al principe di Maddaloni, altrimenti al principe di Sirignano e così via secondo una rigida etichetta. Lo specchio dunque serviva proprio ad osservare cosa facessero le massime personalità presenti nel teatro. Solo il loggione non aveva specchi; era quindi libero e privo di qualsiasi tipo di condizionamento.

    I lavori di Niccolini e di Cammarano quindi videro la creazione del velario (la tela di Cammarano) in una posizione sottoelevata rispetto al tetto. Questo meccanismo fa sì che si crei una sorta di camera acustica, come se ci fosse un enorme tamburo sopra la platea. L'acustistica è stata inoltre considerata perfetta anche per il fatto che essa non si altera in base della posizione degli spettatori (platea, palchi, loggione). Fattori determinanti nel risultato sono anche le balaustre, non lisce, e gli elementi decorativi interni, la serie di piccole increspature. I materiali e le tecniche di esecuzione di questi particolari donarono al teatro la capacità di assorbire il suono, senza che questo venisse riflesso con la conseguenza di avere un brutto riverbero.

    La sera del 30 dicembre 1901 Napoli chiamava un suo figlio , Enrico Caruso, non ancora celebre, ad esibirsi come tenore nel monumentale teatro San Carlo nell'opera "Elisir d'amore". Purtroppo quell'elisir per il nostro Enrico divenne amarissimo. Se il fragoroso dissenso del pubblico era comprensibile poichè non era certamente facile captare le finezze di quel timbro e le sue più profonde caratterizzazioni, imperdonabile fu invece la stroncatura, comparsa il giorno successivo su "Il Pungolo", quotidiano napoletano dell'epoca, a firma del critico teatrale Saverio Procida. Un esperto avrebbe dovuto, infatti, apprezzare le sfumature di quella voce poliedrica che sarebbe poi stata definita "unica". Quella voce che era un vero mistero anche per lo stesso Caruso che la giudicava ora fredda, ora calda, con una gamma di variazioni infinita. L'insuccesso di pubblico e di critica di quella sfortunata sera, indusse Caruso a giurare di non cantare mai più nella sua città, promessa che mantenne sino alla morte.
     
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  5. gheagabry
     
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    "Napoleone voleva trasformare Parigi in Roma con la musica e il marmo. Ed è stato fatto. I suoi architetti gli hanno dato l'Arco di Trionfo e la Madeleine. Anche suo nipote, Napoleone III, voleva trasformare Parigi in Roma con Versailles accatastata nella parte superiore, ed anche questo è stato fatto. I suoi architetti gli hanno dato l'Opera di Parigi, in aggiunta al Louvre, e chilometri di nuovi viali".
    (Tom Wolfe)


    L'OPERA NATIONAL DE PARIS



    L'Opéra National de Paris venne fondata nel 1669 dal re Luigi XIV e si compone attualmente di due edifici principali: Operà Garnier e Operà Bastille.
    Il nuovo teatro parigino è dovuto proprio a Napoleone III: egli si affrettò alla costruzione di un nuovo edificio a seguito di un attentato subito dal corteo reale che si apprestava ad assistere ad uno spettacolo teatrale. Ottanta persone furono uccise dai dissidenti e questo spinse l'imperatore a chiedere un nuovo edificio con caratteristiche strutturali attinenti alla sua sicurezza fisica e a quella della sua corte. La Collocazione dell'Opéra e stata determinata dal piano urbanistico di Haussmann. Già aveva preso corpo l'idea di costruire un nuovo teatro lirico e, a tale scopo, nel 1860, viene indetto un concorso a cui partecipano 171 canditati. La vittoria viene conseguita da un architetto di 35 anni allora sconosciuto, Charles Garnier, a cui era stato assegnato il gran premio di Roma. Si racconta che quando il progetto venne presentato all'imperatore, venne subito messo in discussione tanto che l'imperatrice disse "Che cos'è? questo non è uno stile. Non è classico, non è stile Luigi XVI, che cos'è?"; e Garnier presumibilmente rispose: "No, gli stili di cui lei parla hanno già avuto i loro giorni e sono oramai passati. Questo è lo stile Napoleone III".
    Questo immenso teatro copre una superficie di 11237 m². Il palcoscenico può contenere 450 comparse ed il lampadario centrale ha un peso superiore a 6 tonnellate : tuttavia, date la vastità delle dépendance e dei corridoi, la sale può ospitare solo 2200 spettatori. La facciata principale e rivolta sulla place de l'Opéra. Sopra la gradinata, alcune arcate fanno da cornice ad una serie di statue e gruppi marmorei. Garnier, che desiderava affidarne l'esecuzione a Carpeaux, fu costretto a suddividere gli incarichi tra più artisti. Il gruppo scolpito da Carpeaux, la danza, minacciato dagli agenti asmosferici ed attualmente esposto al Musée d'Orsay, e stato sostituito da una copia da Paul Belmondo. Il padiglione che sporge sulla facciata laterale era quello destinato agli abbonati. Le carrozze potevano entrare nel cortile, illuminato da lampadari sostenuti da statue con figure femminili, opera di Carrier-Belleuse. Il padiglione dell'Imperatore, lungo la rue Scribe, presenta une doppia rampa che doveva essere l'accesso diretto al piano su cui si trovava il suo palco. Una particolarità del monumento e rappresentata dall'utilizzo, voluto da Garnier, di marmi provenienti da tutte le cave francesi, la cui gamma di colori e estremamente varia : bianco, blu, rosa, rosso, verde. Il grande Scalone ed il Grand Foyer sono opere notevoli concepite per rendere ancor piu fastoso l'insieme dell'edificio. Il soffitto della sala, che si può visitare al di fuori dell'orario delle prove, venne decorato da Chagall sul tema di opere e balletti famosi e fu collocato nel 1964.


    La prima pietra venne posata nel 1861. La costruzione dell' opéra ebbe diverse battute d'arresto. Il lavoro dovette essere interrotto per la scoperta di grotte con acque sotterrane nel corso degli scavi, una delle quali dovette essere prosciugata con pompe per 8 mesi. Durante i lavori, sotto la struttura, venne scoperto un piccolo laghetto sotterraneo, visibile ancora oggi dalle sue cantine fu il nascondiglio del Fantasma dell'Opera, nel famoso dramma di Paul Leroux. Fu anche interrotta dopo il disastro della guerra franco-prussiana, con la caduta del secondo impero francese e la Comune di Parigi del 1870. Durante questo periodo il lavoro continuò sporadicamente e girava la voce che la costruzione dell'opera sarebbe stata abbandonata. Si ebbe un incentivo per completarla quando la vecchia Opera di Parigi, conosciuta come Teatro dell'Accademia Imperiale di Musica, fu distrutta da un incendio durato 27 ore il 29 ottobre 1873, lasciando una Parigi disperata. Questo teatro era stata la sede del Balletto dell'Opera di Parigi e dal 1821 aveva presentato i più grandi capolavori. L'inaugurazione avvenne il 5 gennaio del 1875 in presenza di numerose personalità dell'epoca; per l'occasione furono rappresentate alcune parti dell'"Ebrea" di Ludovic Halévy e degli "Ugonotti" di Giacomo Meyerbeer.

    Dalla inaugurazione della moderna Opéra de Paris Bastille nel 1989, l'Operà Garnier viene principalmente utilizzata per spettacoli di balletto, ed è stata ufficialmente ribattezzata 'Palais Opera'. Il moderno edificio venne inaugurato durante l'anniversario dei 200 anni dalla Presa della Bastiglia.


    ...aneddoto...



    Il giovane Marcel va all'Opéra per ammirare la contessa Greffulhe (che ritroveremo descritta nel suo palco come principessa di Guermantes) e molti anni dopo confiderà a Céleste Albaret:

    "Non so quante volte sono andato all'Opera,
    solo per ammirare il suo portamento mentre saliva la scala".
    "Il palco di proscenio a destra, all'Opera, apparteneva alla contessa Greffulhe (...). Ogni lunedi, il giorno degli abbonati, mentre le parigine e le straniere più eleganti di Parigi esibivano le loro spalle nude, i loro diamanti, le loro perle, i loro abiti (...) nelle logge fra colonne e lungo l' emiciclo, la più bella, la regina della bellezza, la contessa Greffulhe si nascondeva nelle tenebre purpuree di questo palco che la sua appartenenza aveva reso famoso".


    Proust descrive lungamente la principessa di Guermantes nel suo palco all'Opéra in pagine dense di metafore marine. Questo è solo un breve stralcio:

    "... fra tutti quei rifugi, alla soglia dei quali la non grave cura di discernere le opere degli umani conduceva le dee curiose ed inaccessibili, il più celebre era il blocco della semioscurità conosciuto come "la barcaccia della principessa di Guermantes".
    Simile ad una dea suprema che presiede da lontano ai giochi delle divinità inferiori, la principessa era volutamente rimasta un po' sul fondo, su un divanetto laterale, rosso come uno scoglio di corallo, accanto a una vasta riverberazione vitrea che era probabilmente uno specchio e faceva pensare alla sezione perpendicolare, liquida e oscura praticata da un raggio di luce nel cristallo abbagliato delle acque."

    (I Guermantes, trad. Giovanni Raboni)

     
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  6. gheagabry
     
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    IL TEATRO DELL' OPERA DI SYDNEY



    Il teatro dell'opera di Sydney (la Sydney Opera House) costituisce una delle più significative architetture realizzate nel XX secolo e tale da rappresentare quasi un'icona non solo per la città di Sydney, in cui sorge, quanto per l'Australia stessa. Il teatro dell'opera venne inaugurato dalla regina Elisabetta II del Regno Unito il 20 ottobre 1973. L'apertura fu trasmessa in televisione, con fuochi d'artificio e l'esecuzione della Nona sinfonia di Beethoven.
    Nel 2007 è entrato a far parte dei Patrimoni dell'Umanità sotto l'egida dell'UNESCO. Il riconoscimento, si legge nella nota Unesco, è dovuto al fatto che il teatro è una grande opera con molteplici aspetti di creatività e innovazione, per architettura e design strutturale. “L’introduzione della Opera House nell’elenco dei patrimoni Unesco conferma il valore davvero speciale che il teatro ha per tutti gli uomini, dovunque essi vivano”, ha detto Kim Williams, presidente della Fondazione del teatro dell’Opera.
    L'Opera House di Sydney appare al di fuori di ogni tradizionale tipologia di struttura teatrale. Schematizzabile in tre parti fondamentalmente autonome e compiute - basamento, copertura e auditorium -, sembra concretizzare le architetture irrealizzabili elaborate nei primi anni del Novecento dalle avanguardie organiche ed espressioniste.
    La Sydney Opera House comprende circa 1000 stanze, cinque teatri, cinque studi di prova, due hall principali, quattro ristoranti, sei bar e numerosi negozi di souvenirs. I cinque teatri sono: Concert Hall (con una capienza di 2.679 posti a sedere), Opera Theatre (1.547 posti), Drama Theatre (544 sedi), Playhouse (398 posti) e lo Studio Theatre (364 posti). I tetti sono stati costruiti con 1,056,000 di mattonelle di granito bianco vetrate, importate dalla Svezia, che nonostante si mantengano pulite per la loro natura intrinseca, sono oggetto di una periodica manutenzione e sostituzione. L'interno è invece composto da granito rosa e da legno in compensato.

    ....la storia....


    L'idea di un teatro d'opera per Sidney era nei piani del governo australiano fin dal dopoguerra. Quando Goossens divenne direttore dell'orchestra sinfonica di Sidney convinse il primo ministro John Joseph Cahill ad indire nel gennaio del 1956 un concorso internazionale per la "National Opera House" da erigere a Bennelong Point. Leggenda vuole che fu Eero Saarinen, celebre architetto statunitense, giunto in ritardo ad una delle ultime sedute della giuria all’esame dei 233 progetti inviati da ogni parte del mondo, a ripescare tra quelli già scartati i fogli con il numero 218 e ad esclamare: "Signori ecco la vostra opera". Il 30 gennaio 1957, il Sydney Morning Herald pubblicava in prima pagina accanto alla foto e al nome del suo autore, una veduta del progetto vincitore del tutto fuori dai canoni stilistici consueti. Lasciando da parte le numerose critiche che in maniera diversa accolsero il progetto del futuro teatro australiano, quell'architettura si presentava in ogni caso, nella sua assoluta originalità, come un oggetto inclassificabile. Così, se qualcuno scorgeva in quell’inconsueta copertura, da subito riconosciuta come il segno forte di tutta la composizione, la somiglianza con il carapace di un curioso crostaceo, il suo stesso autore dichiarava di essersi ispirato piuttosto alle forme delle nuvole e un suo schizzo preparatorio ricordava anche delle onde sul punto di infrangersi, altri vi leggevano una citazione delle vele delle barche presenti nel porto. Utzon era un perfetto sconosciuto: numerosi dubbi sorsero circa le sue competenze tecnico costruttive, quindi consulente per le strutture fu nominato Ove Arup, ingegnere londinese già allora noto come esperto di costruzioni a guscio.

    Nel marzo del 1959 a seguito delle incessanti pressioni del governo (si voleva iniziare a tutti i costi prime delle vicine elezioni) cominciano i lavori, nonostante i pareri negativi di Utzon e Arup che sostenevano che il progetto era ancora ben lontano dall'essere pienamente definito. L'inizio prematuro dei lavori, darà il via ai numerosi problemi costruttivi che costelleranno l'esecuzione dei lavori. Infatti fino a quattro anni dall'apertura del cantiere Utzon non riescì a definire forme e dimensioni delle famose "vele". Nemmeno lo studio di Arup riescì a risolvere il complicato rompicapo: tutte la ipotesi di definizione delle geometrie dei gusci non davana i risultati sperati e non c'era modo di conciliarle rispetto al progetto per le esigenze statiche e tecniche costruttive. Lo staff dello studio londinese alla fine degli inutili tentativi consumò ben 375.000 ore di lavoro. Finché Utzon nell'autunno del 1961 non ebbe un'idea distinta derivante da un decisivo rigore geometrico, tutti i singoli gusci della copertura, con le più svariate dimensione, dalla superfice di un'unica, medesima, sfera virtuale di raggio definito (75 metri). Si tratta della semplificazione estrema, delle incalcolabili geometrie variabili ridotte ai minimi termini di un'unica elementare geometria. Non solo diviene possibile prefabbricare con elementi di dimensione accettabile gli smisurati semigusci, ma soprattutto, l'insieme disgregato delle forme singole, divenuto una variazione dell'identico tema, derivante da una perfetta unitarietà ereditata del proprio modello geometrico generatore: la sfera. "Così come vele di varie grandezze assumono tutte la stessa forma perchè alimentate dal medesimo soffio di vento, così le volte dell'Opera di Sydney, pur rimanendo frammenti nel tutto, ricavano unitarietà, equilibrio ed armonia dalla medesima sorgente formale della sfera che le ha generate".

    Il danno era stato fatto, a causa di una sottostima del costo dell'opera, del forzato stop e delle soluzioni tecnologicamente avanzate (per l'epoca) si sforò pesantemente il budget iniziale (calcoli successivi mostrarono che l'opera sforò del 1400% ). Nel 1965 un nuovo governatore venne eletto, Robert Askin e Utzon si trovò in forte conflitto con il nuovo ministro dei lavori pubblici Davis Hughes. Tentando di frenare i costi, Hughes mette in discussione i progetti, l'organizzazione dei lavori e le stime dei prezzi, arrivando a bloccare i pagamenti. Utzon si dimette e viene sostituito da un team di progettisti Australiani che, ridimensionando il progetto, portano a compimento i lavori nel 1973.

    Nonostante i numerosi attestati di stima nei suoi confronti da parte dei colleghi che misero in evidenza come l'errore originale era da imputarsi ad una sottostima del costo dell'opera dovuta alla fretta di cominciare i lavori, Utzon pagò professionalmente queste dimissioni non riuscendo, per un lungo periodo, ad avere più incarichi professionali e comunque mai più nessun incarico di questa grandezza. Utzon partì dall'Australia la sera stessa delle sue dimissioni e non vi fece più ritorno; non ha mai visto ne visitato personalmente la sua opera più celebre. Nemmeno una medaglia accademica conferitagli dall'università di Sidney nel 2003, la consegna delle "chiavi della città" di Sidney e il premio Pritzker (il "nobel" dell'architettura) lo hanno convinto a ritornare in Australia. E' quantomeno paradossale che un edificio che ha caratterizzato così fortemente il profilo della città, tanto da essere usato come logo per le Olimpiadi del 2000, sia un ottimo esempio di come una non corretta programmazione dei lavori possa generare disastri. Nel caso della Sidney Opera House, in verità, si accumularono una serie di problematiche che vanno anche al di là della semplice organizzazione del cantiere.....questioni politiche, il primo ministro Liberale Cahill era più interessato a iniziare i lavori per potersene attribuire un diritto di "primogenitura" che ad altro; d'altro canto il primo ministro seguente, Laburista, doveva dimostrare l'inutilità e la velleità dell'opera..
    lo scarso peso di Utzon, giovane progettista sconosciuto, che dovette anche subire un forte ostracismo dalla comunità di architetti Australiani. (dal web)
     
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5 replies since 15/1/2012, 16:59   2150 views
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