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NIKO, UNA RENNA PER AMICO
Titolo originale: Niko - Lentäjän poika
Anno: 2008
Nazione: Finlandia
Distribuzione: VIDEA-CDE
Durata: 80 min
Data uscita in Italia: 30 ottobre 2009
Genere: animazione
Regia:Kari Juusonen, Michael Hegner
Sceneggiatura:Hannu Tuomainen, Marteinn Thorisson
Musiche:Stephen McKeon
Montaggio:Per RisagerTRAMA
Niko è un piccolo cucciolo di renna, suo padre è membro delle leggendarie Forze Volanti che tirano la slitta di Babbo Natale. Purtroppo però Niko, non ha mai conosciuto il vero padre e nessuno dei suoi amici sembra credergli quando parla del famoso presunto papà e tutti lo prendono in giro quando tenta di lanciarsi in volo e immediatamente cade a terra. Così ogni giorno, Niko, che soffre terribilmente di vertigini, insieme al suo fedele amico e padre adottivo Julius, uno scoiattolo volante, si allena per riuscire a volare con scarsi risultati. Un giorno Niko e Julius e Wilma, una donnola canterina, decidono di partire per una fantastica e pericolosa avventura in territori freddi e tenebrosi alla ricerca della mitica stalla delle renne di Babbo Natale; dovranno però fare i conti con il malvagio Lupo Nero che insieme alla sua gang ha escogitato un piano segreto per eliminare le renne volanti di Babbo Natale.......recensione.....
Vincitore di numerosi premi a festival dedicati al cinema per l’infanzia, Niko è una coproduzione tra Finlandia, Danimarca e Germania che dimostra come anche le produzioni europee possono ottenere degli standard più che dignitosi.
Dimenticate la Pixar, siamo in un territorio molto più definito. Il film di Michael Hegner e Kari Juusonen è esplicitamente rivolto a un pubblico infantile, ma una volta tanto si tratta di un film che non risente delle banalità più classiche che affliggono il cinema d’animazione per bambini.
Il piccolo Niko, dopo aver causato l’attacco dei lupi e messo in pericolo suo branco, sente il peso della responsabilità e decide di autoesiliarsi dal gruppo, partendo alla ricerca del padre. I lupi però sono sempre in agguato e lui li sta conducendo proprio dove abita Babbo Natale...Gli elementi della classica favola natalizia ci sono tutti, ma alcuni elementi sono decisamente interessanti. Sebbene i ruoli siano ben definiti, ci sono i buoni e ci sono i cattivi, appare evidente che il tema fondamentale della storia ruota attorno al concetto di famiglia, nello specifico per quanto riguarda la figura paterna e quello che può significare per un piccolo in crescita. Niko infatti è consapevole di essere il frutto dell’amore fugace di sua madre con una renna del Corpo Volante, non conosce però suo padre. Al suo fianco però c’è lo scoiattolo volante Julius che, dopo aver perso per colpa dei lupi tutti i suoi cari, ha scelto come sua famiglia proprio il piccolo Niko. Anche il cucciolo, quando il suo percorso di crescita lo avrà condotto davanti al suo genitore biologico saprà riconoscere di avere sempre avuto al suo fianco un padre vero. Non a caso il film proviene dai paesi scandinavi, dove evidentemente il concetto di famiglia tradizionale non è così (vanamente) ostentato.
Non siamo di fronte a un prodigio della tecnica dell’animazione digitale, ma la caratterizzazione dei personaggi è fatta con cura e i gelidi scenari lapponi sono disegnati con grandissima attenzione per le luci e la fotografia sono decisamente superiori al livello medio per le produzioni europee.
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. Professore: Oh! Eravate qua! Dove siete stati?
Peter: Non ci crederebbe se glielo raccontassimo!
Professore: Mettimi alla prova! (Il Professore e Peter)Le cronache di Narnia
Il leone, la strega e l'armadioTitolo originale
The Chronicles of Narnia: The Lion, the Witch and the Wardrobe
Paese di produzione USA
Anno 2005
Durata 144 min (versione cinematografica)
150 min (versione estesa)
Colore colore
Audio sonoro
Rapporto 2.35:1
Genere avventura, fantasy
Regia Andrew Adamson
Soggetto C. S. Lewis (Libro)
Sceneggiatura Ann Peacock, Andrew Adamson,
Christopher Markus, Stephen McFeely
Produttore Mark Johnson, Philip Steuer, Andrew Adamson,
Perry Moore, Douglas Gresham
Casa di produzione Walden Media
Distribuzione (Italia) Walt Disney Pictures (2005-2010)
20th Century Fox (2010-presente)
Fotografia Donald M. McAlpine
Montaggio Sim Evan-Jones, Jim May Ann
Effetti speciali Rhythm & Hues, Sony Pictures Imageworks, W
eta Workshop ltd. Smirnova
Musiche Harry Gregson-Williams
Scenografia Roger Ford
Costumi Isis Mussenden
Trucco Howard Berger e Tami Lane
Interpreti e personaggi
Georgie Henley: Lucy Pevensie
William Moseley: Peter Pevensie
Skandar Keynes: Edmund Pevensie
Anna Popplewell: Susan Pevensie
Tilda Swinton: Jadis, La Strega Bianca
James McAvoy: Sig. Tumnus
Kiran Shah: Ginarrbrik
Patrick Kake: Oreius
Jim Broadbent: Professor Digory Kirke
Elizabeth Hawthorne: Sig.ra Macready
Judy McIntosh: Sig.ra Pevensie
James Cosmo: Babbo Natale
Rachael Henley: Lucy Adulta
Noah Huntley: Peter Adulto
Mark Wells: Edmund Adulto
Sophie Winkleman: Susan Adulta
Shane Rangi: Gen. Otmin
Riconoscimenti
2006 - Premio Oscar
Miglior trucco a Howard Berger e Tami Lane
Il film è tratto da Il leone, la strega e l'armadio, un romanzo fantasy per bambini di C. S. Lewis. È stato il primo della saga di Le cronache di Narnia a essere scritto, nel 1950, ed è il più noto. Tuttavia, cronologicamente nella serie viene per secondo, dopo Il nipote del mago che è stato scritto più tardi. Il nome Narnia in realtà appartiene ad una città italiana individuata sull’atlante latino dello scrittore, oggi la città si chiama Narni e si trova in Umbria.TRAMA
I quattro giovani fratelli Pevensie, mentre giocano a nascondino nella casa di campagna di un vecchio professore, trovano per caso un armadio fatato che li conduce in luoghi che non avrebbero mai sognato di visitare. Dopo aver aperto l'anta dell'armadio, si allontanano dalla Londra della II Guerra Mondiale per immergersi nello spettacolare universo parallelo di Narnia - un regno magico popolato da animali parlanti e creature mitologiche. Purtroppo però, questo splendido luogo è stretto nella morsa di un gelo senza fine, per via di un terribile incantesimo lanciato da Jadis, la Strega Bianca. Grazie all'aiuto del sovrano di Narnia, il saggio e mistico leone Aslan, i quattro ragazzi riusciranno a guidare Narnia in una battaglia spettacolare che la libererà per sempre dalla schiavitù del ghiaccio
"Non possiamo abbandonare quella gente che soffre".
..recensione..
Nel 1950 C. S. Lewis pubblicò il primo libro di una saga che diventerà famosa col titolo "Le cronache di Narnia"; "Il leone, la strega e l'armadio" è il primo dei sette volumi di cui si compone. La saga, famosissima nei paesi anglosassoni, narra le avventure dei quattro fratelli Pevensie che attraverso un armadio magico si ritrovano nel fantastico mondo di Narnia. Un universo parallelo dove Lewis ha voluto traslare tutte le sue passioni: i personaggi della mitologia classica (unicorni, minotauri, centauri, fauni, grifoni, ciclopi…), le ambientazioni e i costumi medievali ma soprattutto i valori cristiani di cui si fa portatore il Leone Aslan, pronto ad immolarsi, lui innocente, al posto di un traditore, per salvare il suo popolo.
In questo mondo fantastico, dominato dalla magia, la padrona incontrastata è Jadis, la Strega Bianca, che ha congelato tutto in un lungo inverno senza fine. Sarà l'arrivo dei quattro fratellini a portare nuova speranza al popolo di Narnia.
E' interessante notare come "Le cronache di Narnia" ed "Il Signore degli anelli" furono scritti negli stessi anni, i due autori si conoscevano, erano amici e leggevano in anteprima le storie l'uno dell'altro, in entrambe le opere si riflettono l'ansia e la confusione del mondo uscito dalla Seconda Guerra Mondiale. Ora i film tratti dalle due saghe escono a poca distanza l'uno dall'altro e i debiti del regista neozelandese Andrew Adamson (Shrek) verso Peter Jackson non si limitano all'utilizzo dello stesso software per creare il favoloso mondo di Narnia. La scelta di scenari incontaminati e aperti, le riprese dalla preparazione delle armi da parte dei ciclopi, la battaglia finale tra il bene e il male danno una spiacevole sensazione di dejà vu.
Dalla pellicola però sono state tolte le parti cupe, il film è pensato per un pubblico di famiglie con bambini (produce Disney), sono state eliminate tutte le scene violente e sanguinose, nella battaglia finale non c'è praticamente spargimento di sangue ed in alcune fasi degli scontri risultano tagli evidenti. L'unica scena cruenta è il momento del sacrificio da Aslan. Ma quello che manca veramente al film è il cuore e la passione, a parte la Strega Bianca magistralmente interpretata da Tilda Swinton, i personaggi risultano freddi e stereotipati, i bambini non comunicano simpatia e la scelta di far doppiare Aslan a Omar Sharif non è stata felice.
(Elisa Giulidori)
Guardare oggi il film Il leone, la strega e l’armadio è come leggere il romanzo da cui è tratto: non si fa che paragonarlo con Il signore degli anelli e ripetere con un po’ di delusione quanto l’opera.tolkeniana fosse più ricca, complessa, suggestiva ed adulta. Sottraendo il film ad un confronto scomodo quanto pretestuoso si può però continuare ad affermare che il primo capitolo delle Cronache di Narnia è probabilmente più soddisfacente per un pubblico giovanissimo che per un pubblico adulto, al quale certi toni rassicuranti possono risultare sgraditi e le dinamiche prettamente “infantili” dei protagonisti bambini possono rendere difficoltosa l’identificazione. E’ anche vero che la pellicola, pur essendo assolutamente fedele al romanzo – salvo lo smussare e raccordare alcuni punti per renderli cinematograficamente più efficaci – inciampa in almeno due o tre occasioni rendendo la storia più stucchevole e consolatoria di quanto Lewis avesse fatto. Se alcuni aspetti rischiano quindi di rendere troppo bambinesca la pellicola, restano indiscutibili i suoi meriti nel rendere visivamente affascinante quel che la fantasia dello scrittore inglese aveva creato. E se di favola si tratta, Il leone, la strega e l’armadio è anche una bella favola. La prima parte del film affascina subito grazie alla trovata dell’armadio-porta su un mondo fantastico, poi grazie a tutte le trovate puramente fiabesche (dal fauno ai castori, dall’inverno senza fine all’insinuante, affascinante figura della strega). La seconda parte, meno improntata alle invenzioni ed alle atmosfere fiabesche (eccezion fatta per le statue di pietra), risulta meno felice. Da un lato perché in fatto di battaglie non esiste davvero più alcuna possibilità di stupire il pubblico cinematografico, dall’altro perché il processo di trasformazione del fratello maggiore in guida dell’esercito del bene è troppo rapido. Il leone Aslan, la figura carismatica della saga, paga invece un doppiaggio italiano assolutamente folle: chissà perché anziché avere una voce profonda ed autorevole parla con quella accentata di Omar Sharif. I personaggi più simpatici sono il fauno ed i castori, la Strega Bianca interpretata da una glaciale ed imponente Tilda Swinton è del tutto appropriata, ma le personalità dei quattro fratelli sono piuttosto fragili. Almeno i due maggiori appaiono pedanti o al massimo insignificanti, mentre la piccola Lucy è decisamente amabile ed il “traditore” Edmund risulta più umano ed interessante degli altri. Il primo capitolo delle avventure di Narnia offre scenografie incantevoli, costumi perfetti ed il piacere della fantasia e della favola, oltre all’immancabile lotta tra il Bene ed il Male. Gli manca una vera suspense che faccia dubitare, almeno per un minuto, che il primo trionfi sul secondo, ma questa è prerogativa di moltissime favole.
(Raffaella Saso)
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Il viaggio di Norm
Un film di Trevor Wall. Con Bill Nighy, Heather Graham, Rob Schneider, Ken Jeong, Loretta Devine.
l potere universale della storia di base, felicemente eroica, distrae da una fattura non particolarmente brillante.
Marianna Cappi
L'orso polare Norm, erede al trono dell'Artico, non sa cacciare una foca, non prova nessun gusto nel dare spettacolo agli umani di passaggio e non sa bene che farsene della sua innata capacità di parlare "l'umanese". Quando, però, la società edile di Mister Greene si presenta sui suoi ghiacci con un prototipo di casa di lusso, intenzionata a colonizzare l'area, Norm capisce che, se qualcuno può scongiurare l'impresa, quello è soltanto lui.
Il viaggio del titolo porta quindi l'orso bianco dal Polo a New York, dove non fatica a farsi scambiare per un attore un po' bizzoso e ad ottenere il ruolo grazie al quale recapiterà il suo messaggio al mondo. Peccato, a questo punto, che il medesimo messaggio subisca una sorte insolita per un film di questo genere: fatte salve le eccezioni di alto livello, quali L'Era Glaciale e i capitoli successivi, non di rado, infatti, la tematica ambientalista rischia di coprire un peso maggiore, nell'economia del lungometraggio, rispetto alle dinamiche narrative e alle invenzioni visive, come se la gravità del tema scontasse in qualche modo l'impegno nella realizzazione tecnica dell'opera che lo illustra. Qui, invece, la gravità dell'impatto che un insediamento umano causerebbe sull'habitat del grande Nord, è data sostanzialmente per scontata, col risultato che il messaggio di Norm non arriva forte e chiaro come dovrebbe, specie alle orecchie del pubblico più adatto alla visione, quello dei piccoli spettatori, debuttanti del grande schermo come debuttante è la Splash Entertainment, società televisiva al suo primo lungometraggio per la sala.
E i "purtroppo" non sono finiti, perché anche sul fronte della cura dell'immagine e del plot, Il viaggio di Norm non si rivela un'avventura particolarmente brillante: ancora una volta, le intenzioni (la danza dell'orso, il ruolo comico dei lemming, il capitolo commovente del rapporto col nonno) sono migliori dei risultati finali.
Ciò detto, nella favola dell'orso senza qualità che riesce a salvare la propria casa alleandosi con una ragazzina tutta cuore e cervello, che lo aiuta a far fruttare il proprio dono di natura, c'è un contenuto di base così universalmente potente che la visione non deluderà in ogni caso i bambini e nemmeno chi, tra di loro, ha già una buona consuetudine con il cinema e non solo con la formula televisiva, normalmente più episodica e sintetica, che caratterizza questo prodotto animato.
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Pedro - Galletto coraggioso
Un film di Gabriel Riva Palacio Alatriste. Con Bruno Bichir, Carlos Espejel, Angélica Vale, Omar Chaparro, Maite Perroni
Film d'animazione messicano che cita e reinterpreta con ironia latina la cinematografia statunitense, con una buona dose di originalità e vitalità narrativa.
Paola Casella
Pedro è al suo debutto come galletto del cortile che condivide con un gruppetto di uova non ancora schiuse ma molto chiacchierone, il gallo Don Poncho e a sua figlia Di, passione segreta del nostro eroe. Quando la fattoria, gestita da un'anziana contadina, va in bancarotta Don Poncho, che ha un passato di gallo da combattimento, suggerisce di partecipare a una lotta fra galli: se Poncho vincerà salverà la fattoria, se perderà l'intero pollaio dovrà trovare un'altra casa. In realtà a combattere sarà Pedro, non prima di essersi sottoposto ad un allenamento estenuante, e cercherà non solo di salvare la fattoria ma anche di raggiungere l'agognata maturità e conquistare la simpatica Di.
Pedro galletto coraggioso è un film di animazione realizzato al computer da un team di disegnatori messicani che avevano già raccolto grandi consensi in patria raccontando le avventure di una serie di uova animate. Questo terzo lungometraggio realizzato dalla Huevocartoon Producciones ha sbancato il botteghino in Messico, e bisogna riconoscergli un'originalità e una vitalità narrativa che non sfigurano all'interno del cinema messicano contemporaneo. È soprattutto nella regia che Pedro galletto coraggioso tira fuori gli artigli, cimentandosi in sequenze assai movimentate e privilegiando inquadrature rocambolesche. Dalla gara di rap all'allenamento di Pedro che fa il verso a Rocky (ma il tema della saga è rivisitato in chiave mariachi) alle scene sul ring in cui il galletto coraggioso deve fronteggiare il campione Sylvester Pollone, il film messicano osa parecchio e si diverte a citare la cinematografia dominante, ovvero quella statunitense, reinterpretandola con ironia e gestualità latine. Anche la confezione - è il caso di dirlo - "ruspante", più per penuria di mezzi che per mancanza di idee, ha un suo charme anti hollywoodiano (e anti nipponico).
Certo, la grafica è ai limiti del kitch, i personaggi - soprattutto le uova - sembrano uscire da una pubblicità a basso costo (al confronto Calimero era un quadro di Picasso), e l'idea di raccontare un'attività equivoca (e in molti Paesi illegale) come i combattimenti fra galli trasformandola in una libera scelta fra quei pennuti che nella realtà ne sono semplicemente vittime, destano qualche perplessità. Ma la storia del galletto di gran cuore e di scarsa muscolatura che per difendere la sua casa e i suoi amici impara a volare come un'aquila è energizzante e fortemente motivante: piacerà soprattutto ai più piccoli, specie se appassionati di videogiochi.
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Quando c'era Marnie
Un film di Hiromasa Yonebayashi. Con Sara Takatsuki, Kasumi Arimura, Nanako Matsushima, Susumu Terajima, Toshie Negishi.
Quintessenza di uno stile filosofico, emotivo e morale dai colori e dai giochi di luci e ombre che raggiungono vette stupefacenti.
Emanuele Sacchi
Anna soffre di asma, ma i suoi problemi sono di natura psicologica: non riesce ad accettare se stessa e ad amare la propria madre adottiva. Quest'ultima manda Anna in vacanza da dei parenti in Hokkaido, nella speranza che ritrovi salute e serenità. Inspiegabilmente attratta da un maniero che si vocifera sia infestato dai fantasmi, la ragazza vi conoscerà Marnie, una coetanea che sembra provenire da un'altra epoca.
Solo il futuro potrà rivelare se Quando c'era Marnie sarà destinato a rappresentare il testamento dello Studio Ghibli, l'atto finale di un'epopea impareggiabile. Primo titolo (e forse ultimo) privo di ogni contributo da parte delle due anime dello studio, Takahata Isao e Miyazaki Hayao, il film rimane quintessenza di uno stile filosofico, emotivo e morale forgiato nei decenni e via via perfezionato dal punto di vista tecnico. I colori e i giochi di luci e ombre in Quando c'era Marnie raggiungono vette stupefacenti, come esige una ghost story britannica, scritta da Joan G. Robinson nel 1967 e trapiantata da Yonebayashi Hiromasa (Arrietty - Il mondo segreto sotto i pavimento) nel paesaggio naturale dell'Hokkaido.
Come già negli ultimi capolavori dello studio, Si alza il vento e La storia della principessa splendente, i personaggi sono scossi da emozioni profonde e brutali, quando non autodistruttive. Il primo segmento di Marnie è scioccante per il verismo con cui racconta di uno stato di depressione e di incapacità di interagire con l'altro da sé; ma il secondo non è da meno, mettendo in scena un'amicizia tra le due ragazze che ha tutte le caratterisitiche della storia d'amore e che sembra indirizzare la vicenda verso un epilogo imprevedibile e spiazzante. Il prosieguo spiegherà le ragioni di un legame così profondo, ma l'impressione di un'analisi psicologica audace e senza precedenti, specie per un film di animazione, resta.
Anna e Marnie, un tomboy e una bambina bionda di un'altra epoca, sono apparentemente opposte per aspetto e ambiente di appartenenza ma complementari come lo yin e lo yang e si attraggono inesorabilmente in un mondo che non accetta l'una per la sua singolarità e l'altra perché non appartiene al piano convenzionalmente inteso come realtà. In Marnie vivono un po' di Cenerentola e un po' della sua omonima hitchcockiana, nella sua famiglia la Belle Époque spettrale di Shining e il gotico delle sorelle Brontë; ma per quanti riferimenti cinematografici o letterari si possano cogliere Quando c'era Marnie è soprattutto Studio Ghibli, bildungsroman di una ragazzina più difficile di Chihiro e Kiki, più sola e malinconica di Kaguya. E, benché si avverta in qualche momento l'assenza della supervisione dei due maestri, segreto dell'incolmabile sarebbe quello di un mondo senza più Ghibli.. -
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Heidi
Un film di Alain Gsponer. Con Anuk Steffen, Bruno Ganz, Isabelle Ottmann, Quirin Agrippi, Katharina Schüttler.
Un adattamento curato e riuscito, che guarda al romanzo ottocentesco e all'esempio di Belle e Sebastien.
Marianna Cappi
La piccola Heidi, rimasta orfana, è stata cresciuta dalla sorella della madre, ma viene il giorno in cui la zia Dete trova lavoro a Francoforte e Heidi viene perciò affidata all'unico parente che possa occuparsi di lei, il padre di suo padre, un uomo solitario che vive in una baita di alta montagna. Nonostante un primo rifiuto, il vecchio si affeziona alla bambina e llei mostra di amare moltissimo la vita dura dei monti e il pascolo delle capre con l'unico amico, Peter. Il nonno, però, si rifiuta di mandarla a scuola e così Dete torna a prenderla e la porta a Francoforte perché faccia compagnia a Klara, la rampolla di casa Seseman costretta in sedia a rotelle, e venga istruita dal suo stesso precettore.
La storia di Heidi, pubblicata nel 1880 e nata dalla penna della scrittrice svizzera Johanna Spyri, appartiene a quell'età del mondo, durata millenni, durante la quale i bambini non nascevano per vivere al centro della vita dei loro genitori, ma dovevano sperare di sedurre gli adulti per non finire troppo male. La Spyri, che aveva a cuore la loro condizione svantaggiata e quella delle giovani donne, crea con Heidi il personaggio di una bambina irresistibile, grata e coraggiosa, capace di sciogliere il cuore indurito del vecchio nonno, di arrivare a capire da sola l'importanza dell'alfabetizzazione, ma anche di non lasciarsi abbindolare dalle seduzioni della vita borghese e cittadina, dove il lusso e il calore rimano in realtà, rispetto ai bisogno di un bambino, con oscurità e prigionia.
Il film di Gsponer, fedelissimo al romanzo, lavora su questa collocazione storica: sul peso delle dicerie (rispetto al vecchio dell'Alpe) e delle superstizioni (il sovrannaturale) che animano un mondo agli albori della rivoluzione industriale, così come sulla formalità delle relazioni umane e sull'esistenza, fortunatamente, di piccole sacche di resistenza, dentro la società classista (la nonna di Clara, che capisce la malattia dell'anima di Heidi) o fuori di essa (il nonno di Heidi, che ha scelto l'isolamento dal volgo). Sono note di contorno, che non distraggono rispetto al cuore del racconto, sulla carta più prettamente pedagogico e sullo schermo più indirizzato a valorizzare il rapporto con la natura.
Alain Gsponer, già regista di Un fantasma per amico, guarda chiaramente al recente successo di Belle & Sebastien e, come in quel caso, indovina la scelta della giovane protagonista, mentre Bruno Ganz interpreta il nonno, in un riuscito incontro tra icone svizzere.
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Boxtrolls - Le scatole magiche
Un film di Anthony Stacchi, Graham Annable. Con Ben Kingsley, Isaac Hempstead-Wright, Elle Fanning, Dee Bradley Baker, Steve Blum.
Continuità tematica e originalità visiva sono i punti di forza del terzo lungometraggio della LAIKA.
Marianna Cappi
La società di Pontecacio è guidata da Lord Gorgon-Zole e dai suoi pochissimi sodali (l'élite in tuba bianca), e terrorizzata dalle leggende spaventose sui Boxtrolls che l'invidioso Archibald Arraffa sparge senza sosta da più di dieci anni. Con l'aiuto dei suoi tirapiedi, Arraffa si propone infatti di sterminare fino all'ultimo membro dei Boxtrolls, una comunità gentile e ingegnosa, e di poter ambire così al privilegio di possedere una tuba bianca e sedere al tavolo dei formaggi più saporiti del mondo. Non ha fatto però i conti con Uovo, il ragazzino cresciuto sottoterra dai Boxtrolls, né con Winnie Gorgon-Zole, sua coetanea, stanca dell'insensibilità del padre e decisa a scoprire tutta la verità sulle "terribili" creaturine che hanno imposto il coprifuoco alla città e movimentato il suo immaginario.
Dopo Coraline e La Porta Magica e ParaNorman, lo studio LAIKA "anima" (in stop motion) alla propria maniera il libro di Alan Snow "Here Be Monsters!" ed è difficile pensare che si potesse fare meglio. Come già nei titoli precedenti, il mondo di riferimento è diviso in due e la barriera di separazione non è mai tanto fisica quanto ideologica. Timidi al punto da vivere dentro le scatole di cartone che un tempo contenevano oggetti o alimenti, i Boxtrolls sono a loro volta collezionisti indefessi di rifiuti che poi però trasformano in nuove invenzioni. Una premessa che anticipa tematicamente la venuta dell'unico eroe possibile: il freak, l'ibrido umano/non umano, colui che non ha tradizione né dunque pre-giudizio e può farsi motore di una rivoluzione della specie. Generato da un padre inventore e cresciuto da un boxtroll di nome Fish, Uovo è il tramite perfetto per "passare all'altro mondo" e dare una raddrizzata ad una mentalità storta e cristallizzata, mantenuta tale da chi ne trae il proprio comodo.
Salta all'occhio, in breve, la forte continuità del terzo film con la storia cinematografica dello studio, oltre che la sintonia tematica con un altro progetto di animazione recente e particolarmente riuscito qual è Hotel Transylvania. Si conferma qui anche la scelta tecnica de 3D stereoscopico, già in fase di concezione e fotografia del film. Detto questo, a fare però di Boxtrolls qualcosa di piacevolmente unico, è l'aspetto visivo: un colorato ensemble di costumi vittoriani e immaginario steampunk, vicino a Burton e Selick ma più chiaro e leggero, ammorbidito e profumato dal vizio ghiottone del formaggio, che ispira anche l'esilarante canzone finale del Monty Phyton Eric Idle.
Video
fonte:http://www.mymovies.it/. -
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I pinguini di Madagascar
Un film di Simon J. Smith, Eric Darnell. Con John Malkovich, Benedict Cumberbatch, Tom McGrath, Christopher Knights, Chris Miller.
I magnifici quattro sono un'unità di élite: non solo quando si tratta di salvare il mondo, ma anche di far funzionare una commedia
Marianna Cappi
Ci sono pinguini che si accontentano di un'esistenza da carini e coccolosi e ci sono pinguini che, al contrario, hanno fatto dell'avventura mozzafiato il loro pesce quotidiano. Come Skipper, Kowalski, Rico e Soldato. E poco importa se Soldato è davvero carino e coccoloso: il suo desiderio più grande è proprio quello di liberarsi di questa etichetta e poter dimostrare a Skipper di essere un membro a tutti gli effetti della squadra, meritevole e coraggioso. L'occasione gli verrà fornita dalla missione contro il malvagio Octavius Tentacoli, un ex polpo invidioso (ora umanoide geneticamente modificato) che minaccia di trasformare tutti i pinguini della terra in mostri.
Se avete pensato anche solo per un attimo che i tanti "Madagascar" erano sufficienti e che non c'era dunque bisogno di uno spin-off dedicato ai pinguini della serie, basteranno pochissimi minuti di questo film per farvi ricredere del tutto, nonostante, magari, siate persino già passati attraverso la serie televisiva.
Sì, perché Skipper, Kowalski, Rico e Soldato sono davvero un'unità di élite, come amano presentarsi, e non solo quando si tratta di salvare il mondo, ma anche e soprattutto quando si tratta di far funzionare una commedia. Non c'è una sola tipologia di umorismo che sfugga loro, dalla presa in giro metacinematografica (dei documentaristi in Antartide, per esempio, pronti a tutto per movimentare il loro girato) allo slapstick, che percorre tutta la lunghezza del film, all'umorismo più surreale, che è la loro vera arma segreta. Pronti a tutto per salvare la Terra, persino a rinunciare al corso di teatro già prenotato, i magnifici quattro non falliranno l'obiettivo, nonostante l'ora dedicata ai rimbalzi sui gonfiabili proprio quando tutto sembrava ormai perduto.
Virtuosi della strategia dell'ultimo minuto e persino dell'azione in assenza di qualsivoglia strategia, i pinguini di Madagascar hanno gioco facile nel superare di gran lunga in simpatia i loro sodali in quest'avventura, ovvero la task force segreta Vento del Nord. L'agente Classified (un husky pieno di sé) e i suoi compagni, infatti, sono soliti alle entrate in scena con effetti speciali e allo sfoggio di alta tecnologia, ma si tratta molto spesso di puro fumo negli occhi. I nostri, invece, regalano allo spettatore effetti speciali molto più pirotecnici, anche se spesso prodotti involontariamente. In questo senso, non possiamo che rallegrarci, infine, per la comparsata fuori tempo massimo di re Julien, sovrano indiscusso del nonsense e campione di scervellato ottimismo.
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Minuscule - La valle delle formiche perdute
Un film di Hélène Giraud, Thomas Szabo. Titolo originale Minuscule - La vallée des fourmis perdues. Animazione,
Un viaggio emozionante nella grandezza morale del piccolo mondo.
Marianna Cappi
Tra i resti di un pic-nic abbandonato in fretta da una coppia in procinto di avere un figlio, c'è una scatola di latta, piena di zollette di zucchero, che impegna tutte le forze di un gruppo di formiche di nere, decise a trasportarla nel loro formicaio. Poco lontano, una neonata coccinella, curiosa del mondo, ha smarrito la sua compagnia e ne trova un'altra in quella delle formiche nere. L'amicizia che la giovane coccinella stringe con una delle formiche, a capo della spedizione, è tale che la coccinella non abbandonerà il gruppo nemmeno quando questo si troverà inseguito e poi attaccato senza tregua da un intero formicaio di formiche rosse, guerriere organizzate e pronte a tutto.
Minuscule è un viaggio emozionante nella grandezza del piccolo. Occorre superare una soglia e abbandonare alcune comodità per entrare appieno nel piccolo mondo dei suoi personaggi, dove il tempo e lo spazio hanno coordinate altre, la legge di natura è durissima, la vita breve e intensa. Thomas Szabo e Hèlène Giraud, i demiurghi della situazione, si sono imposti a loro volta delle leggi, delle regole di comportamento audiovisivo che fanno la bellezza e l'originalità dell'opera e vanno dal rifiuto del dialogo, in favore di un utilizzo ricercato e sofisticato dello strumento sonoro in chiave evocativa, imitativa ed emotiva, alla scelta di stilizzare al massimo le possibilità espressive dei loro insetti, relegandole quasi esclusivamente agli occhi, espediente che richiama la figura del mimo con il suo portato di ironia e comicità ma anche di attitudine per il dramma.
Rispetto alla serie televisiva, il film è una sorta di Assalto al treno di Porter, un salto in lungo narrativo in termini di avventura e superamento della formula con la morale, ferma restando, però, la regola delle riprese dal vero, sulle quali si innesta il lavoro cartoonesco in computer grafica. In questo senso, il paragone con il kolossal del Signore degli Anelli, che gli autori stessi hanno sottolineato, va al di là dell'ambientazione high fantasy, con una varietà di popoli di diverse lingue e dimensioni, creature orrorifiche e misteriose e una netta divisione dell'universo in Bene e Male, ma trova elementi di comunanza anche nella tecnica produttiva ibrida e nella scelta di una location che corrisponde alle dimensioni scenografiche ideali del racconto.
In fondo, però, né l'inseguimento spettacolare tra cielo, terra e acqua (che ricorda, tra gli altri, quelli di Semola e Merlino made in Disney) né il contributo importante della musica, organizzata come un'opera vera e propria, in cui ogni personaggio ha la sua voce, potrebbero molto senza la forza del racconto, nel quale un piccolo esserino combatte a rischio della propria vita per la salvezza di un popolo che non è nemmeno il suo. E ricordarci che abitiamo un mondo che non è solo nostro.
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Home - A Casa
Un film di Tim Johnson. Con Jim Parsons, Jennifer Lopez, Rihanna, Steve Martin, Matt Jones.
Un divertente viaggio on the road a bordo di un'utilitaria volante, vicino a papà Spielberg.
Marianna Cappi
Oh è un alieno che appartiene alla specie dei Boov, perennemente in fuga dai Borg. L'ultimo trasloco dei Boov li ha portati sulla Terra. Oh spera che sia l'inizio di una nuova vita, fatta di socialità e di amicizia, ma il resto della sua specie non la pensa come lui. Per di più, Oh commette un errore che rischia di mandare a monte l'intera colonizzazione e deve scappare per non essere arrestato. S'imbatte così in Tip, unica ragazzina scampata al concentramento coatto del genere umano in Australia. Dopo un'iniziale diffidenza, i due diventano compagni di viaggio, sulla rotta per il ritrovamento della mamma di Tip e forse, davvero, di una nuova vita.
Atterra nelle sale come un altro titolo d'animazione di qualità, buono per il pomeriggio delle vacanze di Pasqua, e speranzoso di trovar successo soprattutto in patria, dove ne ha più bisogno, ma non è affatto una visione scontata, nonostante il titolo rischi di confondersi tra i tanti omonimi della storia del cinema. Home , in verità, è un po' un alieno come il suo soggetto: diverso dagli altri figli di casa Dreamworks, ma anche piacevolmente più vicino ad uno dei tre papà di casa (la prima), Mr Spielberg.
Il suo antieroe, Oh, non ci fa tenerezza perché cambia colore quando mente o quando si emoziona, Oh ci conquista perché è un disastro assoluto, un Hrundi V. Bakshi della galassia, un sabotatore inconsapevole ma totale, capace di destinare all'estinzione un pianeta intero. Il suo è un errore "umano", un sms mandato al destinatario errato, solo che il guaio comporta conseguenze su scala universale. Ma quello che dice il film di Tim Johnson è proprio che, se scappare è l'opzione più popolare (i Boov premiano la vigliaccheria, considerata un valore), avere il coraggio di agire e pensare diversamente dal resto della specie, è una cosa rara, un vero e proprio detonatore di incertezza e di avventura. Così Oh è, anche e soprattutto, un esserino che s'impegna per rimediare, e che, dal caos che ha innescato, saprà tirar fuori quel ribaltamento totale di prospettiva che è prerogativa delle rivoluzioni e dei film migliori.
Gli sceneggiatori di Epic - Il mondo segreto hanno apportato le giuste modifiche al romanzo di Adam Rex ("The True Meaning of Smekday"), concentrandosi sulla verità del legame che nasce tra Tip e Oh e sulla bellezza del viaggio on the road a bordo di un'utilitaria volante, foraggiata con bevande ghiacciate e a base di scorza d'arancia e uvetta passa. Musica (Rihanna) e colori, tanti. E una comicità, liberata dalle convenzioni terrestri e nutrita dal linguaggio inventato dei Boov, che fa centro anche sugli adulti, come vogliono le abitudini di casa, ma stavolta senza escludere la comprensione dei bambini. Con Home la Dreamworks cerca e trova una nuova regione, in cui le idee originarie e le novità sembrano poter coabitare felicemente.
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Nausicaa della valle del vento
Un film di Hayao Miyazaki. Con Sumi Shimamoto, Goro Naya, Yôji Matsuda, Yoshiko Sakakibara, Akiko Tsuboi.
Una parabola ecologista tra fantasy e fantascienza che mostra già il genio inimitabile di Miyazaki.
Emanuele Sacchi
È trascorso un millennio da quando una serie di guerre, culminata nelle esplosioni termonucleari dei Sette Giorni del Fuoco, ha alterato l'ecosistema mondiale. Il Mare della Rovina si è espanso drammaticamente, occupando i regni degli uomini e invadendo la Terra con i suoi insetti giganti e le sue spore velenose. Solo pochi territori sono rimasti indenni, ma i loro abitanti continuano incessantemente a combattere tra loro. In un regno neutrale e pacifico, la Valle del Vento, vive la principessa Nausicaa, dotata di un potere extrasensoriale che le permette di comunicare con gli animali e con i temibili insetti Ohm. Nausicaa è convinta che la soluzione non sia attaccare gli insetti, bensì comprendere il segreto alla base del Mare della Rovina.
È nel futuro distopico di Nausicaa della Valle del vento che ha inizio la straordinaria epopea trentennale dello Studio Ghibli. Benché tecnicamente il film non sia ancora una produzione dello studio, ma un lavoro distribuito dalla Toei, Nausicaa è unanimemente considerata l'opera fondativa della casa cinematografica (è infatti inclusa in tutti i Dvd retrospettivi) e del Miyazaki-pensiero, la filosofia che ha cambiato per sempre il mondo dell'animazione mondiale. Nella vicenda è possibile individuare agevolmente le tematiche peculiari dell'autore, che il regista svilupperà nel corso degli anni: l'amore per la natura e per la vita, un'eroina in età adolescente con un coraggio pari solo alla sua bontà di cuore, la fascinazione per gli aerei e per ogni tipo di strumento o marchingegno che consenta all'uomo di librarsi in volo. Anche il sodalizio con Hisaishi Joe, autore delle musiche, nasce con Nausicaa. Benché da un punto di vista tecnico si avverta una certa obsolescenza (i fondali e le animazioni sono piuttosto primitive, con alcuni movimenti tutt'altro che fluidi), per il resto Nausicaa è opera che trascende la propria contestualizzazione temporale, tanto da rappresentare, a distanza di decenni, un'inesauribile fonte di ispirazione. Forse resta ineguagliabile per lo stesso Miyazaki l'operazione di sincretismo di molteplici fonti (Dune e i suoi Vermi, i Grandi Antichi di H. P. Lovecraft, le battaglie di popoli di J.R.R. Tolkien, l'Odissea), in cui ognuna fornisce il suo contributo senza inficiare la totale autonomia e credibilità dell'universo miyazakiano.
Fantasy e fantascienza si mescolano in parti uguali, in una versione quasi opposta per estetica e spirito rispetto allo steampunk: gli avveniristici ritrovati tecnologici convivono con rudimentali strumenti agricoli, i phaser a raggi laser con spadoni dall'elsa dorata. Il risultato è una straordinaria parabola ecologista in cui la forza della narrazione e la libertà delle creazioni visive del regista non sono intaccate dalla presenza di un evidente messaggio-monito ambientalista. In netta controtendenza con il canone del genere fantastico, Miyazaki evita infatti ogni manicheismo, chiarendo in diverse scene come non esista una divisione netta tra bene e male: anche gli atti più scellerati sono figli di una ragione ben precisa, che alimenta la paura nel cuore degli uomini. Cause e soluzioni variano caso per caso e, benché l'uomo sia dominato da tentazioni e da fragilità che lo portano a commettere gli stessi errori in un ciclo continuo, non esiste il male in sé. Al secondo film, dopo la rielaborazione della saga di Lupin III con Il conte di Cagliostro, Miyazaki Hayao è già un maestro indiscusso e Nausicaa l'inizio di un viaggio indimenticabile.
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Inside Out
Un film di Pete Docter. Con Mindy Kaling, Bill Hader, Amy Poehler, Phyllis Smith, Lewis Black.
Un film che impersona le voci di dentro con un radicalismo che impressiona e commuove.
Marzia Gandolfi
Riley ha undici anni e una vita felice. Divisa tra l'amica del cuore e due genitori adorabili cresce insieme alle sue emozioni che, accomodate in un attrezzatissimo quartier generale, la consigliano, la incoraggiano, la contengono, la spazientiscono, la intristiscono, la infastidiscono. Dentro la sua testa e dietro ai pulsanti della console emozionale governa Joy, sempre positiva e intraprendente, si spazientisce Anger, sempre pronto alla rissa, si turba Fear, sempre impaurito e impedito, si immalinconisce Sadness, sempre triste e sfiduciata, arriccia il naso Disgust, sempre disgustata e svogliata. Trasferiti dal Minnesota a San Francisco, Riley e genitori provano ad adattarsi alla nuova vita. Il debutto a scuola e il camion del trasloco perduto nel Texas, mettono però a dura prova le loro emozioni. A peggiorare le cose ci pensano Sadness e Joy, la prima ostinata a partecipare ai cambiamenti emotivi di Riley, la seconda risoluta a garantire alla bambina un'imperturbabile felicità. Ma la vita non è mai così semplice.
Il segreto della Pixar non risiede nell'abilità tecnica, sempre raggiungibile o perfezionabile, ma nella forza drammatica delle loro storie. Storie che non abdicano mai l'originalità narrativa. Prima un bel soggetto, a seguire la scelta grafica, sempre coerente con quella narrativa che tende a semplificare la superficie e mai la sostanza.
La bellezza delle loro sceneggiature è costituita poi dai risvolti teorici, che dopo aver esplorato il mondo oggettuale e indagato i sogni delle cose, reificano le emozioni umane, in altre parole prendono per concreto l'astratto. Inside Out visualizza ed elegge a protagonisti della vicenda la gioia, la tristezza, la rabbia, la paura e il disgusto, emozioni che guidano le decisioni e sono alla base dell'interazione sociale di Riley, che a undici anni deve affrontare sfide e cambiamenti. Se Up svolgeva l'avventura di fuori, Inside Out la sviluppa di dentro, attraversando in compagnia di Joy e Sadness la memoria, il subconscio, il pensiero astratto e la produzione onirica di una bambina che sta imparando a compensare la propria emotività e ad assestarsi in una città altra.
Diretto da Pete Docter, Inside Out impersona le voci di dentro con un radicalismo che impressiona e commuove. Con Inside Out Docter installa di nuovo l'immaginario al comando e ingaggia cinque creature brillanti per animare un racconto di formazione che mette in relazione emozioni e coscienza. Perché senza il sentimento di un'emozione non c'è apprendimento. Dopo la senilità e l'intenso riassunto con cui apre Up, che ha la grazia e la crudeltà della vita, Docter lavora di rovescio sulla fanciullezza, tuffandosi nella testa di una bambina, organizzando la sua esperienza infantile intorno a centri di interesse (la famiglia, l'amicizia, l'hockey, etc) e accendendola con flussi di pensieri sferici che hanno tutti i colori delle emozioni. E a introdurre Riley sono proprio le sue emozioni che agitandosi tra conscio e inconscio sviluppano le sue competenze e la equipaggiano per condurla a uno stadio successivo dell'esistenza. Nel cammino alcuni ricordi resistono irriducibili, altri svaniscono risucchiati da un'aspirapolvere solerte nel fare il cambio delle stagioni della vita e spazio al nuovo. A un passo dalla pubertà e resistente dentro un'infanzia gioiosa, che Joy custodisce risolutamente e Sadness assedia timidamente, Riley passa dal semplice al complesso, dal noto all'ignoto. Nel processo 'incontra' e congeda Bing Bong, amico immaginario che piange caramelle e sogna di condurla sulla Luna.
Creatura fantastica generata dalla fantasia di una bambina, Bing Bong, gatto, elefante e delfino insieme, è destinato a diventare uno dei personaggi leggendari della Pixar Animation, rivelando un'anima segreta, la traccia di un sentimento e l'irripetibilità del suo essere minacciato dalla scoperta di una data di scadenza. Rosa e soffice come zucchero filato, guiderà Joy e Sadness dentro i sogni e gli incubi di Riley, scivolando nell'oblio per 'fare grande' la sua compagna di giochi.
I personaggi, realizzati con tratti essenziali che permettono di coglierne la natura profonda (rotonda, esile, spigolosa), emergono l'aspetto intangibile del processo conoscitivo dentro un film perfettamente riuscito, che ricrea la complessità e la varietà dell'animazione senza infilare scorciatoie tecniche o narrative. Dentro e fuori Riley partecipiamo alle vocalizzazioni affettive indotte da Joy e Sadness che, finalmente congiunte, la invitano a comunicare la tristezza. Perché la tristezza, quando è blu e piena come Sadness, è necessaria al superamento dell'ostacolo e alla costruzione di sé. Impossibile resistere all'espressività emozionale delle emozioni primarie di Docter che privilegia anziani e bambini, gli unici a possedere una via di fuga verso il fantastico. Gli unici a volare via coi palloncini e ad avere nella testa una macchina dei sogni.
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Il castello magico
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Un film di Jeremy Degruson, Ben Stassen. Con Riccardo Suarez, Giorgio Lopez, Christian Iansante, Carlo Valli, Perla Liberatori.
Al terzo tentativo i belga Degruson e Stassen realizzano un cartone semplice ma godibile
Gabriele Niola
Tuono è un gatto che viene abbandonato per strada dai padroni. La città è come una giungla per lui e il primo riparo che trova è in una vecchia casa che anche i cani del vicinato temono. Girano strane leggende sul fatto che quella magione sia infestata, di certo quello che Tuono trova al suo interno è una comitiva di animali e un padrone prestigiatore con i suoi "giocattoli". Quando il proprietario di casa viene ricoverato all'ospedale a seguito di un incidente il suo bieco nipote affarista farà di tutto per cercare di vendere la casa e sbarazzarsi degli altri inquilini animali.
Ben Stassen e Jeremy Degruson sono arrivati in Italia con i film d'animazione Le avventure di Sammy e Sammy 2 - La grande fuga, versione belga dei cartoni in computer grafica americani poco inventiva e molto ripiegata su storie, personaggi e standard d'oltreoceano. Ma se i due film con protagonista la tartaruga di mare Sammy saccheggiavano a piene mani l'universo e l'immaginario di Alla ricerca di Nemo (asciugandolo di qualsiasi secondo livello di lettura per adulti), Il castello magico sembra cominciare a conquistare una certa autonomia.
Stupisce infatti quanto sia migliorata l'animazione, più in linea con gli standard internazionali, ricca, precisa e realizzata in maniera impeccabile, e quanto poco questa volta il duo ricorra ad un immaginario già esistente. Sebbene infatti le avventure di animali parlanti non siano una novità nel mondo dell'animazione e nemmeno la prospettiva dei giocattoli che si animano quando gli umani non li vedono, è indubbio che Il castello magico sia un film che partendo da questi presupposti sviluppa una storia, dei personaggi e delle relazioni tra di essi totalmente originali.
La parabola è delle più semplici: il trionfo di un'alleanza di reietti contro la gretta avidità di un cattivo che (grande classico delle favole tradizionali) è il parente malvagio di uno dei protagonisti buoni. Degruson e Stassen non hanno la minima intenzione di guardare più in là del contenuto spicciolo e della storia, questo è ormai chiaro, tuttavia per la prima volta l'intrattenimento che mettono sullo schermo riesce a stare in piedi da sè. Grandi panoramiche, sequenze furiose, umorismo di bassa lega (ma funzionante) e qualche trovata a sorpresa condiscono un film che pur non inventando niente di particolare riesce comunque ad essere il migliore tra quelli prodotti dallo studio belga.
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