FENOMENI NATURALI

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  1. gheagabry
     
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    Il FULMINE



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    I fulmini più facilmente osservabili sono quelli fra una nuvola e il suolo, ma sono comuni anche scariche fra due nuvole o all'interno di una stessa nuvola. Inoltre qualsiasi oggetto sospeso nell'atmosfera può innescare un fulmine; si sono osservati infatti fulmini tra una nuvola e un aeroplano, e tra un aeroplano e il suolo.
    In un fulmine si distinguono il lampo (bagliore luminoso della scarica) ed il tuono (fenomeno acustico dovuto all'improvvisa espansione della massa d'aria intorno alla scarica). L'intensità delle scariche va da 30.000 a 100.000 ampere, l'energia termica sviluppata è di 5 miliardi di calorie, la temperatura di 15.000 °C, mentre la lunghezza media delle scariche principali è di 3 km, con massimi fino a 8-10 km. Quando i lampi non si verificano durante un temporale vengono detti lampi di calore, quando illuminano una nube senza seguito di tuono sono chiamati lampi superficiali, quando si formano con il tempo secco ed hanno la forma di un globo o più globi in fila sono detti lampi globulari o lampi a rosario.


    ....l'interpretazione dei fulmini nell'antichità.....



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    Nella mitologia etrusca, il fulmine (scagliato da un dio o da una dea) è l'elemento che feconda la Madre Terra. Il potere del fulmine, luce e calore, insemina la terra durante i temporali. I minerali, "pietre di luce"sono generati dal potere del fulmine, così pure i "genii" della Terra, come Tages e la stirpe dei Titani, detti anche Giganti. Il dono portato dal divino figlio della Terra agli etruschi era di grande valore: la conoscenza...Nella mitologia greco-romana, ad esempio, i fulmini venivano considerati come le frecce di Giove scagliate contro i mortali che si erano macchiati di qualche colpa; il termine saetta, sinonimo di fulmine, deriva proprio dal vocabolo latino sagitta cioè freccia. Nel museo archeologico di Aquileia (UD) è conservato un curioso bassorilievo raffigurante Giove nell'atto di colpire un malcapitato fermatosi a fare "pipì" in un luogo proibito; forse l'analogo dei cartelli "manteniamo pulito il verde pubblico" che si trovano anche ai nostri giorni.
    Nella mitologia nordica, al contrario, i fulmini erano visti come le scintille prodot te dal battito del martello di Thor su un incudine. Non quindi un'interpretazione di merito, ma più una analogia con quanto i fabbri dell'epoca dovevano aver osservato forgiando i loro strumenti e le loro armi. Curiosamente, con questa similitudine, i popoli del nord si avvicinarono di più a quella che è la reale natura del fulmine, cioè quella di una grande scintilla atmosferica. Se la mitologia ha cercato di inquadrare i fulmini in un contesto, se non comprensibile, almeno accettabile per la maggior parte delle persone, sicuramente questo tentativo non poteva bastare ai "filosofi naturali", gli antesignani dei moderni scienziati, per i quali i fulmini dovevano avere anche una causa materiale e un meccanismo generatore. Il filosofo Empedocle (490-430 a.C), cercando di dare una risposta a questa necessità, sosteneva che il fulmine era una parte della luce del sole catturata dalle nubi più dense che, con fragore, riusciva a liberarsi dalla sua trappola. Anassagora (500 - 426 a.C.), al contrario, sosteneva che il fulm i ne era una parte dell'etere, una sostanza estremamente tenue che riempiva i cieli ove si trovavano i pianeti, attirato verso il basso e fatto cadere nel mondo materiale. Aristotele (384 - 322 a.C.), contestando entrambi, sosteneva che il fulmine era il risultato di un'esalazione secca che si liberava dalle nubi a seguito della condensazione dell'aria in acqua. Questa esalazione, diceva Aristotele, era "espulsa dalla parte più densa della nube verso il basso cosi come i semi che schizzano dalle dita [quando cerchiamo di schiacciarli]". L'urto dell'esalazione secca contro le nubi circostanti era, sempre secondo Aristotele, la causa del tuono. Lucrezio (98-55 a.C.), nel suo "De rerum natura", sposando la teoria atomistica di Democrito di Abdera, considerava il fulmine come dovuto al movimento di particelle molto piccole e leggere che, proprio per la loro leggerezza, riuscivano a passare anche attraverso agli oggetti materiali. In questo modo Lucrezio rendeva conto degli incendi alle volte appiccati dai fulmini anche all'interno delle case. Il tuono e il fulmine, sempre secondo Lucrezio, avevano una causa comune ma erano indipendenti: l'urto tra le nubi causava sia il rimbombo (tuono) che la liberazione degli atomi leggeri che andavano a formare il fulmine. Questi tentativi di spiegazione possono sembrare a prima vista inconsistenti, ma, se calati nella realtà dei tempi in cui questi pensatori vissero, denotano una fervida fantasia e soprattutto una capacità di osservazione della natura invidiabile.

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    Edited by gheagabry1 - 10/9/2019, 21:50
     
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  2. gheagabry
     
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    “Nessun fiocco di neve cade nel posto sbagliato”.

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    La sua bellezza è innegabile, la neve è bella a partire dal singolo cristallo, che pur avere tantissime strutture diverse, mostra, a livello microscopico, una regolarita` della sua forma sorprendente ( per lo più esagonale), e che dipende dalla struttura molecolare con la quale le singole molecole d'acqua si legano fra loro, con legami a idrogeno, al momento del congelamento.

    La neve è bella perchè è bianca, ma bianca come nessuna altra cosa può esserlo, appena caduta quando brilla il sole nell'aria tersa di una mattina di montagna; è bianca perchè riflette fino al 95% della luce incidente, grazie alle infinite sfaccettature di ghiaccio che riflettono la luce come minuscoli specchi.si potrebbe confondere il bianco della neve con quello della calce, o quello del sale o altro ? Chi la conosce bene sa che quel bianco è ineguagliabile, e dona a tutto una sensazione di pulizia e candore.La neve puo' infine anche essere colorata: in una giornata di sole con il cielo azzurro essa assume tutte le tonalita' dal bianco al blu; al tromonto si riveste di bellissime tonalita' calde.



    La neve è una poesia. Una poesia che cade dalle nuvole in fiocchi bianchi e leggeri. Questa poesia arriva dalle labbra del cielo, dalla mano di Dio. Ha un nome. Un nome di un candore smagliante. Neve. (Maxence Fermine)


    LA NEVE


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    I cristalli di neve nascono nelle nubi stratificate a temperature tra -20 e -40 °C. Dapprima si formano minuti cristalli di ghiaccio sui nuclei di polvere dell'atmosfera. Dato che l'aria nella nube è soprassatura rispetto al ghiaccio, il vapore condensa immediatamente sui cristalli aumentandone la dimensione. Intanto, le goccioline d'acqua nella nube evaporano nel tentativo di ristabilire l'equilibrio, costituendo cosl una fonte continua di vapore per l'ulteriore crescita dei cristalli di ghiaccio.
    In natura esistono forme differenti di cristalli. I cirri sono composti principalmente da prismi lunghi 0,5 mm, con cavita` interne; i cirrostrati hanno soprattutto prismi corti e pieni; gli altostrati una mescolanza di prismi e di sottili piastre esagonali e le nubi ai livelli inferiori cristalli con grande varieta` di forme e dimensioni.
    Gli esperimenti di laboratorio, condotti per studiare come crescono i cristalli, hanno rivelato che la forma del cristallo dipende dalla temperatura e dal grado di saturazione della nube e che lievissimi cambiamenti possono avere effetti assai rilevanti sulla forma dei cristalli. I cristalli di ghiaccio sono relativamente pesanti e tendono a cadere a circa 50 cm/s, spesso crescendo durante la caduta. Se essi cadono fuori dalla nube in aria secca,. possono evaporare; se cadono sotto il livello di 0°C , si sciolgono in pioggia e se raggiungono il suolo intatti sono chiamati neve. Perciò nella neve si possono avere diverse forme: stelle, piastre, prismi o aghi. I cristalli ad ago richiedono aria umida per la loro formazione, mentre i cristalli a piastra possono crescere lentamente quando l'aria è secca ma rapidamente quando l'aria è umida; i cristalli a colonna si formano in aria secca e quelli dendritici, a forma di stella , richiedono sempre un ambiente moderatamente umido. Queste bellissime forme sono il risultato di complesse sequenze di evaporazione, condensazione e deposizione che avvengono nel microambiente attorno a ciascun cristallo. Di solito, però, la neve non cade in cristalli singoli ma in fiocchi compositi, che si formano. quando i cristalli diventano umidi, collidono e quindi ricongelano insieme. Ciò avviene in maniera accentuata a temperature piuttosto 'alte', intorno a 0°C: a temperature più basse, l'aggregazione non avviene poichè i cristalli sono asciutti. I fiocchi più grandi, aventi fino a 6 cm di diametro e composti di centinaia di cristalli singoli, si formano tra 0 e +2°C. Se la temperatura sale anche di poco, i fiocchi si sciolgono per dare pioggia o quella neve parzialmente sciolta detta acquaneve.
    Il fatto che le più intense nevicate avvengano quando la temperatura è attorno a 0°C rende molto difficile la previsione della neve. Un lieve cambiamento della temperatura pur rappresentare la differenza tra un'intensa nevicata e un torrenziale acquazzone. In realta`, in molti casi la precipitazione inizia come pioggia a una temperatura di 3-4 °C, ma a mano a mano che la pioggia evapora nell'aria satura che è sotto la nube, essa trae il proprio calore latente dall'aria, raffreddandola a sufficienza perchi la precipitazione raggiunga il suolo come acquaneve. Di converso, la neve pur cadere fin quasi al suolo prima di sciogliersi e di venire registrata come pioggia.
    Quest'ultimo caso ha come esempio il fatto che cadeva pioggia per le strade di New York mentre le guardie addette alla sicurezza sulla sommita` dell'Empire State Building si tiravano l'un altra palle di neve.
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    Tutte le precipitazioni delle latitudini polari, gran parte di quelle delle latitudini temperate e parte di quelle dei tropici all'inizio sono nevose, ma si sciolgono in pioggia passando attraverso livelli atmosferici piy caldi. Perchi la neve possa sopravvivere e raggiungere il suolo, la temperatura non dev'essere in alcun punto superiore a +20°C. La neve tonda pur raggiungere il suolo con temperature fino a +6°C, dato che i granuli cadono più velocemente dei fiocchi. Ma, a parte il fattore temperatura, le condizioni per la caduta della neve sono esattamente le stesse che per la pioggia: il requisito fondamentale è un movimento d'aria verso l'alto prodotto da un'area di bassa pressione, da convergenza di correnti d'aria o dalla barriera fisica di una catena montuosa. L'aria calda contiene più umidita` di quella fredda, cosicchi le più violente nevicate tendono ad aver luogo quando la temperatura h vicina a 0°C, piuttosto che a temperature estremamente basse. Si dice a volte che "fa troppo freddo perchè nevichi", ma ciò non è sempre vero; tuttavia, come molti detti, anche questo riflette una situazione caratteristica. Le temperature più basse in un luogo di solito si registrano nelle notti serene, e, se la neve è imminente, invariabilmente arriveranno prima le nubi e la temperatura salira` di conseguenza.
    La neve è comune soprattutto nelle zone che hanno le più basse temperature invernali, in genere l'entroterra dei grandi continenti. Nelle regioni marittime, la neve è meno comune, ma quando cade pur essere molto abbondante a causa delle grandi quantit` d'acqua portate sulla terraferma dalle masse d'aria calde oceaniche. Certe localita`, come la zona a sud e a est dei Grandi Laghi del Nord America, sono particolarmente soggette ad abbondanti nevicate: qui l'aria secca continentale proveniente da nord-ovest raccoglie umidita` e calore passando al di sopra dei laghi e diventa molto instabile. Quando raggiunge la riva, h costretta a salire o da una catena di colline o perchi si è soprassaturata per essere passata sopra i laghi, e l'interno carico d'umidita` viene scaricato come una violenta nevicata.
    (Tratto da : "Il Libro del Tempo e del Clima " , di Hardy, Wright, Gribbin, Kington; Edizioni Scientifiche e Tecniche Mondadori.)


    Sui campi e sulle strade
    silenziosa e lieve
    volteggiando, la neve cade.
    Danza la falda bianca
    nell'ampio ciel scherzosa,
    poi sul terren si posa, stanca.
    In mille immote forme
    sui tetti e sui camini
    sui cippi e sui giardini, dorme.
    Tutto d'intorno è pace,
    chiuso in un oblìo profondo,
    indifferente il mondo tace.
    (Ada Negri)


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    "Quando ero bambina, spesso in inverno trascorrevo il pomeriggio a casa della nonna. Quando ero da lei, amavo sedermi alla finestra, guardare la neve oltre i vetri e sognare... Sognare di essere una fata buona che viveva in un bosco perennemente pieno di neve, col suo vestito candido fatto di soffice neve fresca che luccicava al pallido sole dell'inverno. I miei gioielli erano gemme lucentissime di ghiaccio. Nel mio sogno ad occhi aperti era bianchissimo anche il mio gatto, sempre in braccio a me. Anche la mia bacchetta magica era di ghiaccio. Camminavo nel bosco e ogni animale mi si avvicinava sapendo che avrebbe ricevuto da me solo amore....A interrompere quel sogno arrivava poi la nonna con la merenda: cioccolata calda e torta fatta da lei con tanto amore appositamente per me. Si sedeva accanto a me e mi raccontava i suoi sogni di quando era bambina... Erano sogni eccezionalmente simili ai miei!
    Ogni volta che la temperatura scende e arriva l'inverno non posso evitare di pensare alla nonna e a tutta la dolcezza che mi ha regalato con i suoi racconti..."
    [)O( Shani )O(]

    Nella solitudine di questo luogo
    godo di questa visione celestiale
    solo il suono della neve che scende
    pensavo fosse più silenziosa invece
    anche lei ha un suo suono,
    suono di pensieri che volano qua e là
    in mezzo a questa foresta.
    (susy2m)


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    Edited by gheagabry1 - 10/9/2019, 22:07
     
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  3. gheagabry
     
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    Il TORNADO



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    Una tromba d’aria (o tornado) è un enorme vortice aereo a forma di imbuto, alto fino a un chilometro o anche di più, e capace di generare venti a 500 chilometri all’ora. Ha la parte più sottile a contatto con il suolo o con la superficie del mare, mentre la sommità arriva a toccare le nuvole: e proprio dalle nubi ricava la sua tremenda forza distruttiva. Per le dimensioni e per l’energia che sprigiona la tromba d’aria è capace di scoperchiare case e far volare come fuscelli oggetti di medie dimensioni; nelle sue manifestazioni più violente può addirittura portar via persone e automobili e devastare intere città.
    La tromba d’aria nasce, e prende gradualmente forza, da quei particolari tipi di nuvole che i meteorologi chiamano «cumulonembi». Si tratta di nubi torreggianti a forma di fungo (viste dall’aereo sembrano addirittura il risultato di esplosioni atomiche) create da forti correnti aeree ascendenti e discendenti. Di solito il peggio che possa venire da un cumulonembo è un temporale, ma in condizioni particolari, rare ma non rarissime, alla dinamica dei moti d’aria si aggiunge una componente rotatoria; se poi il vortice dalla base inferiore della nuvola si dirige verso il suolo, nasce una tromba d’aria.
    Gli Stati Uniti sono il Paese più colpito in assoluto, e il caso più grave di tornado ha portato alla morte 689 persone.
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    Si verificò nel 1925 e in sole tre ore attraversò il Missouri, l’Indiana e l’Illinois lasciandosi dietro una scia di desolazione. Nel 1997 la cittadina texana di Jarrel fu investita in poche ore da ben undici tornado che si formarono in successione: ci furono 30 morti. Sempre in America (e negli altri continenti dove ci sono vaste zone desertiche) il vortice d’aria può presentarsi anche senza connessione con le nuvole, anzi in condizioni di assoluta aridità e cielo blu, come «turbine di polvere» (dust devil). In questi casi è il suolo surriscaldato a fornire l’energia che poi, attraverso una serie complessa di fenomeni, crea il vortice.

    Non esistono solo tornado terrestri: le cosiddette trombe marine si generano su mari, lagune e laghi. Di minore intensità, ma non per questo meno pericolose, sono una minaccia per le imbarcazioni, che non possono prevedere i loro spostamenti.
    Si pensa che siano la causa delle mitiche piogge d’animali, narrate in numerosi episodi leggendari e che ancora oggi accadono: dalle superfici d’acqua preleverebbero animali come pesci e rane, per portarli fin sulle nuvole e poi farli riprecipitare assieme alle piogge a miglia di distanza. A volte gli animali sopravvivono, altre sono congelati in blocchi di ghiaccio (perché negli alti strati dell’atmosfera la temperatura è sempre inferiore allo zero), altre addirittura ricadono a brandelli, a testimonianza della violenza delle correnti atmosferiche che si generano a quelle altezze. La forza di Madre Natura è sempre insuperabile.

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    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 17:26
     
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  4. gheagabry
     
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    Il respiro gelido della notte
    si ferma sui rami spogliati di foglie,
    sui tronchi neri degli alberi in attesa,
    sui cespugli intorpiditi nel sonno invernale,
    sui prati dimentichi del passo dell’uomo.
    Una coltre di bianco cristallo
    copre la vita.
    (Anna)


    La GALAVERNA


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    In Emilia Romagna è un cognome. L’origine etimologico del termine è per metà germanico/longobardo e per metà latino, proviene dalla nebbia (“cala” di “calìgo”) che si congela (“hibernus”). E’ uno dei più spettacolari fenomeni meteorologici invernali ma anche uno dei meno conosciuti e comuni. Tecnicamente è quella precipitazione determinata dalla nebbia ghiacciata.
    Molto spesso, infatti, la nebbia provoca pioviggini simili ad “aerosol”; quando le temperature sono sotto lo zero, queste pioviggini sono composte da piccoli agetti di ghiaccio che si posano soprattutto sull’erba, sugli alberi e nelle campagne, dando l’effetto della neve.
    Fenomeno raro, ma non rarissimo, in pianura Padana, è molto frequente in montagna sia sulle Alpi che, soprattutto, su tutto l’Appennino dove capita molto spesso che la nebbia lascia questo coreografico strato di ghiaccio bianco posato sulla vegetazione. Le piccolissime goccioline di vapore sospeso in aria che accompagnano ogni fenomeno di nebbia, quando le temperature sono sottozero si congelano, rendendo ancor più affascinante il paesaggio.
    Il fenomeno è uno tra i più emozionanti perchè capita molto spesso di andare in montagna, con accumuli nevosi abbondanti, ma senza provare le stesse emozioni se gli alberi sono spogli del bianco tipico della galaverna, poichè è spesso proprio questo che rende il paesaggio fatato e incantevole.
    Quando c’è anche forte vento, capita di avere accumuli di ghiaccio, anche trasversali, per diversi centimetri non solo nelle campagne e sugli arbusti, ma anche nei pali della luce e nei ripetitori.
    La base di accumulo è infatti la più strana e varia e molto spesso dipende dalle condizioni atmosferiche che accompagnano la nebbia.
    Solitamente la galaverna si posa sui fili d’erba più alti, sui rami più esterni degli alberi, ma anche sui fili stesi ed alle linee aeree dell’alta tensione, sulle rocce sporgenti, sulle croci di vetta, arriva addirittura a poarsi sulla barba, sui capelli e sulle sopracciglia dell’escursionista o dell’essere umano che si trova di passaggio in mezzo a questa fredda nebbia.
    Se la ventilazione è debole, questo accrescimento è regolare, ed i cristalli sono di notevole bellezza e simmetria, molto simile alla logica dell’esagono che genera il fiocco di neve nelle nubi.
    Se lo strato è in movimento sostenuto, come può succedere col vento alle quote montane più alte, il deposito è più irregolare, e crea sugli oggetti formazioni di ghiaccio ugualmente vistose, ma di forma appuntita irregolare, di un colore bianco più opaco, di solito sottovento alla direzione di arrivo della nebbia. La comparsa della galaverna nelle zone di pianura è solitamente indice di tempo stabile, anticiclonico, con temperature basse e assenza di nubi.
    (meteoweb)


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    Tecnicamente non so bene dire se si tratti di nebbia ghiacciata, piuttosto che di brina, e forse nemmeno mi importa... Quello che mi rapisce davvero è l'atmosfera sospesa che queste giornate sanno regalare; nel grigio che nessun raggio di sole riesce a forare, il bianco perlaceo dei ricami di ghiaccio rischiara lo sguardo. Tutto è fermo, immobile e pietrificato... La bellezza della nudità, dell'essenzialità... La bellezza speciale e unica di un fenomeno legato al posto in cui sono nata e cresciuta...La galaverna, che cade nel cuore dei mesi che più mi sono estranei - i mesi freddi e torpidi, in cui vorrei solo poter imitare la lucertola che se ne va in letargo, per poi riemergere sotto i raggi del sole - proprio lei mi fa sentire "a casa"... mi regala la sensazione che anche nell'accerchiamento del gelo, si nasconde un cuore di luce, di perfezione... fuggevole, fragile, inimitabile..."

    (gea71)


    ....una leggenda.....


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    Una volta, tanto e tanto tempo fa, viveva lungo le rive della Piave nel tratto compreso fra le sue sorgenti e l’orrida gola che la stringe fino a farla infuriare prima di incontrarsi con l’acqua sulfurea di Gonia, una ninfa di nome …Rugiada, bionda, eterea, figlia di una anguana e di chissà chi!
    Lei amava il Sole che sorgeva all’alba e che passava, solo per qualche ora, sopra la gola dalle alte sponde mostrando i suoi splendidi raggi; ma questo bastava perché lei si risvegliasse e volasse leggera risalendo dai flutti vorticosi del suo letto verso il cielo azzurro per poi ridiscendere lentamente giù giù fino e stendersi, lieve ed impalpabile sui muschi delle rive, sui pini scuri, sui biondi larici, e sull’allegra e profumata combriccola dei fiori del bosco …. per dissetarli dall’arsura dell’estate.
    Questo succedeva per gran parte dell’anno, ma con l’approssimarsi dell’inverno il carro del Sole passava sempre più distante da quelle orride gole, per un tempo sempre più breve, finché, nella stagione in cui giungeva in quei posti il grande vecchio Inverno, la nostra ninfa Rugiada aveva appena il tempo di alzarsi quando percepiva il poco calore dei rari raggi di sole, volteggiare lentamente nell’aria per poi ricadere estenuata sulle piante e sui cespugli intirizziti; e lì si riaddormentava formando lungo tutta la valle della Piave meravigliosi e candidi intrichi di pizzi e merletti che la gente del posto chiamò Galaverna!
    (dal web)



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    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 17:22
     
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  5. gheagabry
     
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    La neve non è soltanto bianca

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    E la neve non è soltanto bianca: il mattino o la sera, quando i raggi solari radono piu obliqui il terreno, ecco, si formano zone sfumate, dal bianco del velluto all'azzurro appena accennato, al grigio della perla, mentre alla superficie i cristallini proiettano i giochi iridati delle loro faccette, come manciate di diamanti.
    Prendiamo uno di questi diamanti e guardiamolo da vicino: è una piccola meraviglia geometrica, cristallizzata su uno schema esagonale; nessuno di questi cristallini di neve è eguale a un altro, perché la cristallizzazione avviene in essi in modo speciale e cosi rapido da impedire la formazione completa delle facce; perciò riescono solo a costituirsi fibrilIe, filamenti, aghetti, che si raggruppano in simmetria esagonale secondo angoli di 30, 60 o 90 gradi.
    Ogni cristallo è uno scheletro poligonale in foggia di tenui, geometriche stellette, elegantissimi corpuscoli dalle mille combinazioni figurate.
    ( A. Malfatti )



    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 16:33
     
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  6. gheagabry
     
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    ... CINQUANTASEI ANNI FA …
    ... Cinquantasei anni dopo; una vita dopo a Roma si è riaffacciata in maniera copiosa la neve. Era il 1956 quando a Roma fece una nevicata storica, poi nel 1986 ne fece una minore ma da ricordare e poi ieri, appunto cinquantasei anni dopo, ha di nuovo lasciato il segno. La città stamattina si è svegliata vestita di un abito candido, delicato; sembrava una sposa nel giorno delle nozze. Eterna e storica come nessuna altra città al mondo, oggi era nella forma più splendente che io abbia mai visto. Bambini in strada che, chissà forse tra cinquantasei anni, potranno raccontare ai loro figli di aver fatto un pupazzo di neve davanti al Colosseo, oppure aver fatto scivolate sotto il colonnato di San Pietro. Cinquantasei anni sono tanti, una vita, ma nella sua eccezzionalità questo evento da giocoso si è poi trasformato, anzi ha mostrato la faccia più dura e triste di questa rarissima manifestazione della meteorologia. Su una radio per tutta la mattina si sono rincorse le testimonianze di tanti cittadini che raccontavano quello che tg e notiziari nazionali non hanno raccontato. Persone che ieri hanno impiegato dalle 12 alle 14 ore bloccati sul raccordo anulare nelle loro automobili. Paesini nell’interland rimasti isolati senza forniture di luce e gas da ore. Sceneggiata rituale dei politici ed amministratori che si rimpallano responsabilità come oramai costume italico; un treno dalle 17,30 di ieri è fermo ed i passeggeri bloccati alle porte di Roma. Sacchi di sale lasciati ieri lungo alcune strade della città che però nessuno si è curato di spargere. Il sindaco ieri sera alle 20,00 che intimava dopo che da ore stava nevicando, l’obbligo delle catene a bordo. Ma nel nostro paese esite la parola “Scusa!”; esiste il concetto di prevenire? Tra le tante telefonate ascoltate per tutta la mattina ci sono stati tanti racconti di umana solidarità, di episodi di soccorso volontario alle persone in disagio fatti al posto delle autorità che avrebbero invece dovuto provvedere. Una mi ha commosso; un giovane che piangeva al telefono e raccontava che viveva in un paesino alle porte di Roma e ieri gli avevano comunicato la morte del papà in ospedale. Quel ragazzo ha provato ad andare in ospedale ma ha dovuto desistere perché le strade erano totalmente bloccate dalla neve e dai tanti bloccati sulla via in auto e senza catene. Piangeva quel ragazzo, piangeva tanto mentre fuori in strada voci di bambini festanti che giocavano con la neve. Due lati di una stessa medaglia, gioia e dolore nello stesso istante… .
    (Claudio)

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    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 16:19
     
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  7. gheagabry
     
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    Noi e il senso della neve

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    I l senso degli italiani per la neve non è come quello di Smilla, la protagonista del famoso romanzo. Del resto, la storia di Peter Høeg si svolgeva in Groenlandia e noi viviamo tra Bolzano e Capo Passero, tra Pordenone e Mazara del Vallo. Dunque, l' empatia fisica, psicologica e persino morale con il gelo non può essere la stessa. In più, ci si è messa una specie di mezza stagione diffusa a darci l' illusione di essere immersi in una gigantesca campana di vetro che ci regala tutto l' anno un inquietante tepore, per cui quando scoppia davvero l' inverno non possiamo che sorprenderci. Figurarsi se ci ritroviamo di colpo con la Siberia in casa. Non è una novità, il nostro mancato senso per la neve: già nel ' 69, non uno degli anni più rigidi che Dio abbia mandato sul nostro emisfero, Nada cantava «Ma che freddo fa», reclamando carezze per un cuore di ragazza. Noi, in fondo, il vero ghiaccio siberiano l' abbiamo vissuto, per lo più, a debita e rassicurante distanza. Al cinema o nella letteratura piuttosto che nella realtà dei nostri inverni per quanto inclementi. Il più crudele e insieme commovente è forse quello del Dottor Zivago , dove il gelo finisce per assecondare il vento della Rivoluzione travolgendo una delle coppie di amanti più memorabili della storia letteraria. Ben prima di Pasternak, però la letteratura russa aveva prodotto scenari glaciali degni di essere ricordati: come quelli in cui si realizzano gli incontri segreti di Anna Karenina con il suo amante. Simili nevicate cosmiche gli italiani le hanno piuttosto vissute da vittime della Storia. Basta pensare alle Centomila gavette di ghiaccio , in cui Giulio Bedeschi racconta la tragica epopea degli alpini sul fronte russo con immagini, appunto, agghiaccianti: «La visibilità divenne nulla, come ciechi i marciatori continuarono a camminare affondando fino al ginocchio, piangendo, bestemmiando, con estrema fatica avanzando di trecento metri in mezz' ora. Come ad ogni notte ciascuno credeva di morire di sfinimento sulla neve, qualcuno veramente s' abbatteva e veniva ingoiato dalla mostruosa nemica, ma la colonna proseguì nel nero cuore della notte». Memorie lontane, che si possono rinnovare anche aprendo una pagina a caso di Nuto Revelli, dove il gelo ustiona la pelle come fosse fuoco. Per il resto, a farci scoprire il senso degli altri per la neve, ci sono sempre le fiabe innevate dei fratelli Grimm o quelle assideranti di Andersen (chi non ricorda la piccola fiammiferaia?), che i nostri bambini mediterranei ascoltano ancora volentieri rintanati in casa al calduccio con il calorifero a palla. E per gli adulti ci sono sempre i libri di avventura o di fantasia. Edgar Allan Poe ne è stato un maestro insuperabile, tanto che le sue Avventure di Gordon Pym , uscite da una fantasia geniale, sono diventate modello per le relazioni dei viaggi reali nell' Antartide e delle spedizioni nel Polo: le imprese eroiche che sfidarono davvero (e non solo con l' immaginazione) le intemperie naturali, a partire da quelle di Cook e di Amundsen. Nessuna finzione. Tutti antenati in carne e ossa di Smilla.

    Di Stefano Paolo, CORRIERE



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    La danza della neve

    Sui campi e sulle strade
    silenziosa e lieva
    volteggiando, la neve
    cade.
    Danza la falda bianca
    nell'ampio ciel scherzosa,
    Poi sul terren si posa
    stanca.
    In mille immote forme
    sui tetti e sui camini,
    sui cippi e sui giardini
    dorme.
    Tutto d'intorno è pace;
    chiuso in oblio profondo,
    indifferente il mondo
    tace.
    (Ada Negri)



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    La neve nella storia di ROMA


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    "La neve per Roma è un fenomeno straordinario, che desta nell’animo degli abitanti un senso di speciale allegrezza, nei bambini soprattutto, che ‘ab antiquo’ si dispensano dalla scuola. Non usi a vedere la campagna ammantata della candida veste propria dei climi settentrionali, piacciono i pittoreschi effetti, e i baloccamenti infantili d’innalzamento di fantocci e di piramidi fantastiche nelle vie della città”. Questa frase non è stata pronunciata dal sindaco Alemanno riguardo la nevicata a Roma del 3 febbraio, si tratta invece di una nota del 1887 del sacerdote scienziato padre Giuseppe Lais (1845-1921), noto gesuita discepolo allievo di padre Angelo Secchi che si occupò, con successo, di meteorologia e astrologia.
    Il testo dell’allora Ufficio Centrale di Ecologia Agraria dal titolo “La neve a Roma dal 1741 al 1990” inizia con la seguente osservazione: “La posizione di Roma, ubicata nell’Agro Romano, a poca distanza dal mare ad Ovest, e lontano dall’Appennino verso Est, fa sì che la città risenta particolarmente del clima mediterraneo, in cui le precipitazioni nevose assumono un carattere di eccezionalità. Il verificarsi di una nevicata a Roma, infatti, non è un evento molto frequente, ma neanche così raro come alcuni credono”.
    Se negli ultimi secoli la neve a Roma non è stato un evento raro come alcuni credono, cosa accadeva due/tre millenni fa? All’incirca dal 900 a.C al 300 a.C il clima europeo mutò verso una fase fredda, un periodo caratterizzato da maltempo, inondazioni e due forti avanzate glaciali. All’epoca il livello del mar Mediterraneo doveva essere circa un metro più basso dell’attuale, ragione per cui attualmente i resti dei porti o di allevamenti di pesci greci e romani sono oggetto dello studio dell’archeologia sottomarina. L’Italia andò coprendosi di foreste, mentre le coste si estesero a causa dell’abbassamento del mare ed al consistente apporto di sedimenti portato dai fiumi (a seguito delle intense precipitazioni ed anche perché all’epoca non c’erano le dighe).
    Il primo congelamento del Tevere di cui si abbia notizia è nel 400-399 a.C.; fu un inverno talmente rigido che a Roma caddero 2,10 metri di neve; riportiamo quanto scritto da Dionigi di Alicarnasso:
    “A Roma vi fu una precipitazione nevosa molto abbondante, e dove la neve cadde in minor quantità non fu inferiore ai sette piedi. Vi furono alcune vittime, e specialmente la perdita di greggi, mandrie, bestie da soma, alcune per assideramento, altre per impossibilità di nutrirsi. Gli alberi da frutto che non poterono reggere la troppa neve furono spezzati dal vento o ebbero i germogli avvizziti e non diedero frutto per molti anni. Molte case crollarono e alcune furono travolte, specialmente quelle in pietra durante i cicli gelo-disgelo delle nevi. Non abbiamo nessun’altra notizia storica di calamità di questa portata, né prima né dopo, sino ai giorni d’oggi, a questa latitudine […]Questa fu la prima ed unica volta in cui le condizioni atmosferiche di questa regione ebbero un tale scarto dal livello termico tipico di questo clima.”(in Storia di Roma Antica, XII, frammenti,8,1-3).
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    Anche Tito Livio descrisse quell’inverno: ”Quell’anno fu eccezionale per l’inverno rigido e le nevicate fino al punto da rendere impraticabili le strade e il Tevere non navigabile[…] L’inverno fu severo sia per l’instabilità della situazione meteorologica che improvvisamente alternava le condizioni climatiche, sia perché per qualche altro motivo una grave pestilenza colpì tutti gli animali. Non trovando né la causa né vedendo il limite di questo flagello inarrestabile, su parere del Senato si consultarono i libri Sibillini.”(inStorie, V,13,1-2 e 4-5).
    Nel 275 a.C. a Roma cadde tanta neve per quaranta giorni tale da ostruire le strade di Roma e portare il Tevere al congelamento, lo scrive Sant’ Agostino (354-430): ”Quell’inverno fu memorabile perché incredibilmente rigido al punto che a causa delle nevi, le quali rimasero a una preoccupante altezza per quaranta giorni anche nel Foro, perfino il Tevere gelò. Se si fosse avuto ai nostri tempi, costoro ne avrebbero dette tante e tanto grosse. Allo stesso modo una straordinaria epidemia, finché infierì, ne fece morire molti. Ed essendosi prolungata con maggiore virulenza nell’anno successivo malgrado la presenza di Esculapio, si consultarono i libri sibillini” (in La Città di Dio, libro terzo, 17.3; nel testo sono molte le calamità descritte).
    All’incirca dal 300 a.C a circa il 400 d.C il clima fu caratterizzato da un riscaldamento, spesso a Roma si soffriva il caldo estivo. La causa però più che per il “riscaldamento globale” secondo alcuni era per come la città era stata ricostruita dopo l’incendio del 64 d.C.: ”Secondo qualcuno però, il vecchio tracciato era più salubre in quanto le strade strette e le case alte non lasciavano penetrare altrettanto la vampa del sole: mentre ora quegli spazi larghi, non protetti da un po’ d’ombra, si arroventavano e il caldo era ben più opprimente” (Tacito, Annali, XV, 42-43).
    Oltre a divenire le temperature più miti, mediamente le precipitazioni diminuirono; da quanto scrive lo studioso latino Giunio Moderato Columella le piante rilevarono questo cambiamento: ”Molti studiosi degni di fede hanno espresso l’opinione che il tempo e il clima sono mutati[…] di ciò era convinto anche l’autorevole scrittore di cose agrarie Saserna, il quale afferma che le condizioni del clima erano di molto mutate, per cui certe regioni che in precedenza non potevano consentire la crescita di alcune specie di vite e di olivo a causa dei loro rigidi inverni, nel suo tempo erano diventate ricche di pingui oliveti e vigneti, dato che il clima freddo dei tempi passati si era fatto più tiepido e mite” (in De Re Rustica, libro I, 1.2-5)

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    Columella inoltre descrisse come i suoi contemporanei si lamentassero del tempo: ”Sento spesso i cittadini più illustri che si lamentano ora della sterilità dei campi, ora della variabilità del clima, da lungo tempo ormai sfavorevole all’agricoltura.”(in De Re Rustica, Praefatio, 1). Lo spostamento verso nord, osservato da Columella per l’olivo e la vite, fu rilevato per il faggio da Plinio (in Storia Naturale, XVI, 15 v.36) e Teofrasto (in Delle piante, 3,10): quel tipo di albero un tempo si manteneva alla latitudine di Roma e con il trascorrere degli anni si era spostato in Italia settentrionale”.
    (engrammi.blogspot)


    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 16:32
     
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    "Non c'è nulla che sia più Russia di un vento russo.
    Ed io ... questo sono.
    Sono il Buran, il vento che nasce in Russia e sempre si spinge fino a voi,
    fino alle assolate contrade di Dante, dal tempo dei tempi".
    (Renzo Fracalossi)


    Il BURAN, Burian o Burano

    Il vento gelido delle steppe Siberiane



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    Il buran è un vento di aria fredda, spesso molto forte, caratteristico delle steppe della pianura sarmatica, ad ovest degli Urali. Ha direzione N-NE ed è causata da una depressione che sconvolge le condizioni anticicloniche tipiche della zona. Esso è spesso accompagnato da bufere di neve congelata durante la quale i fiocchi caduti a terra vengono sollevati di nuovo e, mescolandosi alla neve che cade, azzerano quasi la visibilità; in questo caso assume il nome di пурга, purga. Il buran si spinge frequentemente in Asia, al di là degli Urali, fino allo Xinjiang; più raramente giunge fino a latitudini più basse e arriva fino in Italia seguendo traiettorie orientali, aggirando la catena alpina e non trasformandosi quindi in favonio.
    Durante il tardo autunno e il periodo invernale le sterminate pianure, gli altopiani e le immense steppe, tra la Siberia, il Kazakistan, la Mongolia e le altre ex Repubbliche Sovietiche dell‘Asia centrale, a nord del mar Caspio, sono interessate da un forte raffreddamento dello strato d’aria prossimo al suolo. Questo consistente raffreddamento, meglio noto anche come “raffreddamento pellicolare”, è causato da una serie di fattori, fra cui l’aria secca, la consistente riduzione della luce solare durante il giorno e la lontananza dell’azione mitigatrice di qualsivoglia mare o oceano. In alcune zone della Siberia centro-orientale, tra Dicembre e Gennaio, possono raggiungersi normalmente anche i -50° -60°, come nella Repubblica di Jacuzia. Si viene cosi a sviluppare uno strato di aria gelida e molto pesante, vicino al suolo, con uno spessore limitato ai 1000-2000 metri, che origina il famoso anticiclone termico “Russo-Siberiano”, ossia una vasta zona di alta pressione di origine prettamente fredda, strutturata solo nei bassi strati. Di solito l’anticiclone termico “Russo-Siberiano” non porta sempre bel tempo, come erroneamente si pensa. A differenza dei tradizionali anticicloni dinamici (vedi quello delle Azzorre), essendo strutturato solo agli strati più bassi della troposfera, l’alta pressione russo-siberiana può portare tempo brutto, con forti venti e nevicate, a causa del passaggio di aree cicloniche o gocce fredde, più o meno profonde, in quota, che approfittando dei bassi geopotenziali alla quota di 500 hpa, si sganciano dalla regione artica, dove agisce il vortice polare, e si fiondano nel cuore delle steppe siberiane, kazake e mongole, apportando crude fasi invernali. Inoltre negli anticicloni termici l’aria fredda fa diminuire più velocemente la pressione con la quota e quindi favorisce la formazione di aree cicloniche in quota.


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    Nella steppa Russa il Buran si manifesta in tutte le sua potenza, accompagnato da fitte nevicate e con raffiche che oltrepassano i 100 Km/h. Il freddo è in genere molto intenso durante gli episodi di Buran con temperature spesso inferiori ai -20°C. La neve con simili condizioni cade sotto forma di piccolissimi fiocchi trasportati dalle folate di vento, rendendo l’ambiente circostante accecante ( il meccanismo è lo stesso delle tempeste di sabbia). Le condizioni climatiche diventano estreme anche perchè il vento, già gelido accentua ancor più la sensazione di freddo, mentre la neve dalla consistenza polverosa penetra ovunque, rendendo difficile camminare e svolgere una qualsiasi azione all’aria aperta. Tanto per rendere l’idea dell’inclemenza delle condizioni atmosferiche durante gli eventi di Buran, è sufficiente pensare che durante le guerre Napoleoniche e nella seconda guerra mondiale gli eserciti invasori della Russia furono sconfitti dalla severità del freddo e delle bufere di neve associate a tale vento (per tale motivo è nata l’espressione Generale Inverno)

    Piuttosto raramente il Buran discende dalle steppe e dagli altipiani siberiani per giungere fino al cuore dell'Europa e, addirittura, delle aree mediterranee: di norma questo accade quando viene a formarsi il Ponte di Weikoff (o di Voejkov, a seconda della traslitterazione, dal nome dello scienziato russo che dedicò a questo fenomeno i suoi studi), figura dell'alta pressione originata dall'unione di due anticicloni. Questa sorta di «blocco» si origina allorché l'Anticiclone delle Azzorre tende a convergere verso nord est, andando a congiungersi con le frange occidentali dell'alta pressione russo-siberiana: il ponte anticiclonico, che corre dalle terre poste oltre i limiti orientali degli Urali fino al Mediterraneo e al vicino Atlantico, richiama le masse d'aria gelide dalla Siberia e consente loro lo scorrimento lungo il blocco, giungendo fino alle aree più meridionali attraverso il vento proveniente da Nord-Est ed Est-Nord-Est. Masse d'aria che, quando il ponte di Weikoff è ben robusto, sono trascinate verso sud ovest e possono arrivare fino ai paesi europei che affacciano sul mediterraneo: lì entrano facilmente in contrasto con quelle presenti al di sopra di Francia, Italia e Spagna, molto più temperate ed umide, causando fenomeni di bassa nuvolosità da cui traggono origine anche le nevicate, talvolta vere e proprie tempeste di neve, a bassa quota. Il raffreddamento pellicolare che viene trascinato dal Buran nasce con le caratteristiche di aria secca nelle pianure della Siberia e del Kazakistan: è il passaggio oltre gli Urali che lo porta a scontrarsi con masse d'aria umide, dando genesi alle precipitazioni che, in questi giorni, stanno vessando quasi tutto il paese.

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    ......quando ha visitato l'Italia.......



    Ciclicamente accade di sentir parlare nuovamente del flagello orientale che, soffiando sulle vaste lande della Russia, della Siberia e dell'Asia centrale, oltrepassa la catena degli Urali e giunge fino al cuore dell'Europa. Accadde così durante annate storiche di freddo, quando ghiacciarono laghi e fiumi e tutto lo stivale si coprì di un candido manto che incluse anche aree costiere normalmente caratterizzate da climi miti e temperati: nel 1929 e durante il celebre febbraio del 1956, consegnato alla storia dalle più celebri pagine dei giornali del tempo, ma anche dalla letteratura e dalla musica. Un sogno romantico per quanti poterono assistere o hanno ammirato le immagini della nevicata del '56; furono in molti, in quell'occasione, a vedere per la prima volta, nelle proprie piccole cittadine del Sud, il bianco spettacolo. Un fenomeno raro e stupefacente, portato dal Buran, che si verificò ancora nel 1985; altre ondate di gelo siberiano si verificarono nel 1971, nel 1991, nel 1996.

    Le gonfie nuvole bianche prendono forma nelle grandi pozzanghere, appena mosse da un vento che non ci appartiene. E’ un vento nuovo, gelido, che semina disagi al suo soffiare.
    Ma è vento ed il vento porta le voci della Terra.
    Voci lontane di terre lontane.
    Narra di storie che non conosciamo.
    Racconta di facce diverse e per questo affratella.
    Con il suo gelo ci raccoglie al caldo della casa, come che essa sia: dall’arredo modesto e dalle scomode comodità, alle dimore confortevoli, alle dimore di lusso.
    Ma raccoglie anche chi una dimora non ce l’ha, li raccoglie e li piega, come panni appena ritirati, sotto coperte logore e cartoni.
    Vento che arruffa i capelli, ma non i pensieri di chi ha ‘pensieri’ per tutti.
    (Maria Luisa Caputo)



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    "le nubi della Gloria del Mattino"

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    Incredibilmente, il nostro pianeta ci presenta ogni giorno aspetti che non conoscevamo. Tra questi merita di essere ricordato un fenomeno poco studiato che si manifesta quasi esclusivamente nel Golfi di Carpentaria, tra la Terra Arnhem e Capo York, nell'Australia settentrionale. Ci riferiamo alle nuvole della Gloria del Mattino (Morning Glory clouds, come sono chiamate in Australia), cioè delle nubi "a rolo" (roll clouds) che per certi aspetti di potrebbero definire "tornado orizzontali". Questi fenomeni si manifestano come lunghe nuvole a forma di "salsicciotto", singole o in serie che solo in questa regione si presentano con una certa regolarità ma sono state avvistate anche nelle regioni centrali degli Stati Uniti, sulla Manica, su Berlino e nella Russia orientale. Il fenomeno è sicuramente legato alla morfologia dell'ambiente ed al formarsi di brezze, soprattutto marine, in concomitanza di alta pressione ma di forte umidità; tuttavia, i precisi meccanismi che lo generano non sono ancora del tutto chiariti. Le "nubi del mattino" solitamente si producono tra 1.000 e 2.000 m di altitudine e possono essere lunghe fino a 1.000 km, con una velocità di spostamento fino a 60 km/h; spesso sono accompagnate da forti raffiche di vento, venti di caduta (windshear) e rapido incremento della pressione al suolo.

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    ..onde silitoniche...

    In matematica e fisica un solitone è un'onda solitaria auto-rinforzante causata dalla concomitanza di effetti non lineari e dispersivi in un mezzo di propagazione. I solitoni si riscontrano in molti fenomeni fisici, dato che emergono come soluzioni di una vasta classe di equazioni differenziali alle derivate parziali non lineari che descrivono molti fenomeni fisici. Il fenomeno dei solitoni fu descritto per la prima volta da John Scott Russell che osservò un'onda solitaria risalire la corrente nell'Union Canal per chilometri senza perdere energia, riprodusse il fenomeno in un recipiente di onde e la chiamò "Onda di Traslazione".Tra i primi a scoprire la presenza di solitoni nell'oceano fu Alfred Richard Osborne nel 1980 nel Mare delle Andamane e successivamente furono scoperte in altri mari. Evidenza di solitoni furono scoperti anche nel cosiddetto sistema Fermi-Pasta-Ulam

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    Nel 1834 l’ingegnere scozzese Scott Russell, cavalcando lungo un canale nelle campagne di Edinburgo, osservo che all’arresto improvviso di una barca in navigazione corrispondeva la creazione di un’onda costituita da una grande elevazione solitaria di acqua, con forma ben definita, che iniziava il suo moto a partire dalla prua della barca e continuava la sua corsa lungo il canale senza cambiare di forma e variare la velocita.
    Scott Russell segui l’onda, ne misuro la velocita, l’altezza e la larghezza.
    In seguito ripete queste osservazioni in un laboratorio creato all’uopo
    cercando, invano, di dare una interpretazione del fenomeno osservato e del fatto che la velocità dell’onda solitaria variava con l’altezza dell’onda. Soltanto nel 1895 due matematici olandesi, Korteweg e De Vries, riuscirono a dare per la prima volta una descrizione teorica del fenomeno riportato da Russell. Korteweg e De Vries ricavarono una equazione non lineare per la propagazione monodirezionale di onde sulla superficie di un canale .
    Una caratteristica notevole di questo tipo di onde, che le differenzia dalle usuali onde soluzioni di equazioni lineari (le onde piane ad esempio), è la dipendenza della velocità dall’ampiezza, in accordo con le osservazioni di Russell. Una trattazione più dettagliata delle questioni legate alla propagazione delle onde non lineari `e al di la degli scopi di queste dispense. Due altre proprietà importanti delle onde solitarie vanno comunque evidenziate. La prima è implicita nella forma d’onda: i solitoni sono onde non dispersive, la loro forma rimane inalterata nella propagazione. Va poi sottolineato il cosiddetto comportamento particellare di queste onde. Quando due onde solitarie che soddisfano l’equazione KdV collidono, esse non si disperdono o rompono ma si attraversano reciprocamente acquisendo soltanto una variazione di fase.




    l’onda solitonica mantiene perfettamente immutata la propria forma, è quindi un oggetto non dissipativo. Può essere un’onda di acqua, di luce, di nuvole, ecc…
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    dal web

    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 16:58
     
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  12. gheagabry
     
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    Fenomeni naturali....

    Le PENITENTES


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    I penitentes sono cumuli di neve a forma di piramide o di cono che da lontano sembrano figure incappucciate e in atteggiamento di preghiera. La parola deriva dall’espressione spagnola nieve penitente, cioè "neve che prega, che fa penitenza".

    Questa singolare formazione nevosa è caratteristica delle zone montuose tropicali e soprattutto delle Ande, dove si verificano grossi sbalzi di temperatura tra il giorno e la notte. Durante il giorno i raggi del sole sciolgono in parte il manto nevoso e l’acqua, scorrendo, scava su di esso un reticolo di canaletti; poi, durante la notte, la temperatura si abbassa e la neve ghiaccia. L’alternanza di caldo e di freddo rende sempre più profonda la rete di canaletti, fino a che il manto nevoso si trasforma in una distesa di cumuli di neve gelata, che in certi casi possono raggiungere anche l’altezza di sei o sette metri.

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    I CILINDRI DI NEVE


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    Sulle Isole Britanniche: dopo il mese di Dicembre più rigido dal 1996, adesso anche Gennaio vuole rinnovare i fasti di un lontano passato oramai dimenticato.
    Le miti Isole (durante la stagione invernale solitamente vengono attraversate dalle correnti atlantiche mitigatrici del clima), hanno tuttavia avuto in passato degli Inverni molto rigidi, anche se nell'ultimo ventennio gli episodi di neve e gelo sono stati piuttosto rari. Per questo la stagione attuale sta sorprendendo la popolazione non abituata a vedere dei fenomeni insoliti, che sono maggiormente tipici del Nord Europa o degli Stati Uniti, nelle loro zone settentrionali.
    Tra questi, meritano una citazione i "cilindri di neve", che sono apparsi sabato mattina su numerosi campi all'aperto.
    Le condizioni necessarie per lo sviluppo di questo fenomeno (non certo dovuto alla presenza di UFO come qualche incauto giornalista aveva inizialmente spiegato), sono la copertura nevosa piuttosto spessa nei campi aperti di piena campagna, la presenza del Sole, ed un vento piuttosto forte.
    Il Sole, che riscalda la neve in superficie, la porta vicino al punto di fusione, tanto da renderla non più soffice ma piuttosto bagnata ed appiccicosa in un limitato strato superficiale (la neve è infatti un cattivo conduttore di calore, e quest'ultimo non si propaga negli strati nevosi più in profondità). Il vento forte allora "strappa" questi strati di neve appiccicosa superficiale, che tendono ad arrotolarsi sotto la spinta delle masse d'aria, formando così questi cilindri, e facendo venire allo scoperto la zona di neve polverosa sottostante. La combinazione di uno strato spesso di neve e di venti forti, avviene tipicamente in Nord America, oppure in Scandinava ed in Russia, ma è invece molto rara sulle Isole Britanniche.
    (Marco Rossi)

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    ....Come si formano?.....


    Sono necessarie delle precise condizioni:
    - il suolo deve essere coperto da uno strato di ghiaccio al quale la neve non deve attaccarsi
    -lo strato di ghiaccio deve essere coperto da uno spesso strato di neve soffice
    - il sole deve portare lo strato superficiale della neve a una temperatura vicina al punto di fusione, facendola diventare umida e appiccicosa
    - il vento deve essere sufficientemente forte da trascinare questo strato superficiale di neve, arrotolandolo in cilindri di neve, ma non tanto forte da demolirli. Man mano che il vento fa rotolare questi cilindri (come nelle valanghe) questi accumulano altra neve, aumentando di diametro.
    In alternativa al vento, possono formarsi anche a causa della gravità su di un pendio.

    Ci sono limiti fisici alla dimensione dei rulli di neve. Non vedrete un intero campo arrotolato come un tappeto a buon mercato, per esempio, il peso e lo stress cospirano per tenere la maggior parte dei Rollers di neve molto simile arrotolate sacchi a pelo. I rulli di neve molto larghi, si sono fotografati nei Monti dei Giganti della Repubblica Ceca, sono tanto rari quanto sono effimeri. Le più grandi Rollers neve trovate sono state di circa 2 piedi (60cm) di diametro.


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    L'AURORA BOREALE

    Venerdì 16 marzo la NASA, l’ente spaziale statunitense, ha pubblicato una serie di video che rielaborano alcune immagini scattate dallo spazio. I video sono stati creati dai tecnici del gruppo Crew Earth Observations del Johnson Space Centre di Houston, in Texas, a partire da una serie di fotografie scattate a gennaio dall’equipaggio della trentesima missione di lunga durata sulla Stazione Spaziale Internazionale, iniziata a novembre dello scorso anno e che è programmata per durare sei mesi.



     
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  15. gheagabry
     
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    "...sfere rocciose perfettamente tonde che punteggiano la battigia della spiaggia di Koekohe, vicino al piccolo insediamento di Moreaki, sulla costa di Otago, nell’isola sud. Sparpagliate come biglie sul bagnasciuga, se ne contano oltre una cinquantina – tra integre e frantumate. Alcune superano i due metri di diametro e pesano oltre sette tonnellate, mentre altre arrivano a qualche decina di centimetri di dimensioni; ma in media il loro diametro si aggira intorno al metro."


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    Le Rocce Moeraki


    Nuova Zelanda – Per quasi quarant’anni, gli automobilisti che guidano fra Orewa e Silverdale sono stati intrigati da un insieme di massi sferici enormi a lato dell'intersezione che conduce alla penisola di Whangaparoa. I massi, varianti da circa 3 a 10 m di circonferenza, erano argomento di considerevole polemica e di discussioni quando furono scoperti nel 1971. A quel tempo, si stava costruendo una nuova autostrada fra Silverdale e Orewa e l'ostacolo principale era la collina di Silverdale. Mentre il bulldozer e le altre macchine tagliavano la parte superiore della collina, incontrarono un insieme di circa di dozzina di grandi massi. Da allora in poi, il bulldozer hanno dovuto tagliare via il terreno che circonda le pietre per esporle. Successivamente i massi sono stati spostati giù al lato occidentale della collina, dove sono stati disposti in bell’ordine.
    Ma c’era un problema esasperante da risolvere. I massi sferici enormi erano "concrezioni„, che possono "svilupparsi soltanto„ in un ambiente sedimentario del mare in milioni di anni. Per certi aspetti si sviluppano come una perla si sviluppa in un'ostrica. Una piccola pietra o un pezzetto di conchiglia, che si trova nel fango del mare, è rivestita da uno strato sottile di calcare e di sabbia, che poi s’indurisce col passare del tempo. Un secondo strato ricopre il primo e così via, fino a che l'oggetto originale rimane al centro di molte centinaia di strati di rivestimento. Come accade da milioni di anni, il fondo del mare può allora essere spinto verso l'alto e trasformarsi in una parte di terra asciutta. Tuttavia, i massi rimarranno all'interno dello stesso materiale ricco di sabbia e calcare, da cui sono stati formati. Se sono trovati in mezzo all'argilla o ad altro materiale estraneo alla loro formazione e sviluppo, sono stati spostati, in qualche modo, verso quella nuova posizione.
    Questa era una delle polemiche infuriate per alcuni giorni nel 1971. La prova visiva suggeriva che fosse stato l’intervento umano antico ad avere spostato i massi sino alla cima della collina, fatta di argilla giallastra. Gli operai erano intrigati dalla strana presenza dei massi e chiedevano al Soprintendente del Ministero dei lavori pubblici, Clarry Neville, come le pietre fossero arrivate. Il signor Neville non aveva risposte e disse loro semplicemente: "la vostra congettura è buona quanto le mie„Un altro elemento notato sui massi era che alcuni erano stati incisi con disegni geometrici.
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    Era abbastanza evidente che gli esseri umani avevano praticato, anticamente, disegni ed intagli nelle superfici di un certo numero di pietre. Era ugualmente evidente che l’antica sistemazione delle concrezioni era stata persa da tempo, poiché tanto terreno si era accumulato intorno a loro da seppellirle completamente, sino a quando il Ministero dei lavori pubblici le ritrovò nel 1971.
    Clarry Neville, è stato intervistato dai giornalisti riguardo al ritrovamento anomalo dei massi. Il sig. Neville ha dichiarato che non sapeva proprio in che modo avessero raggiunto la parte superiore della collina. Ha dichiarato che i geologi stavano per studiare la materia e preparare un rapporto dettagliato, ma l'idea era stata lasciata cadere e nessuna spiegazione soddisfacente era venuta dagli esperti. (liutprand)


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    La leggenda Maori ha una propria spiegazione relativa alla loro origine. Il gruppo Ngai Tahu, che viveva nell’area limitrofa, associa i massi al naufragio della grande canoa Arai Te Uru, a seguito di una tempesta, mentre navigava verso Sud. Le sfere sarebbero la trasfigurazione di parte del suo carico, ovvero cesti tondi di cibo e zucche. Ma altri elementi dell’evento sono stati cristallizzati nel paesaggio: lo scafo sarebbe diventato la scogliera che si estende in mare fino a Shag Point, e la grande roccia, Hipo, il navigatore. E ancora molte delle colline tra Moeraki e Palmerston portano i nomi dei membri dell’equipaggio, e una quello dell’onda che sommerse l’imbarcazione. La scienza, ovviamente, propone un’altra spiegazione, non meno romantica. A prima vista i massi sembrerebbero essere stati cesellati e poi depositati dal mare, ma in realtà la loro provenienza va cercata nella direzione esattamente opposta, ovvero presso i rilievi che si innalzano a ridosso della spiaggia. Per milioni di anni, infatti, queste scogliere le hanno custodite dopo averle forgiate nel loro grembo. Poi gli agenti atmosferici hanno dilavato via la roccia più soffice, liberandole, e permettendo loro di rotolare sulla battigia. Si è trattato, insomma, di una sorta di parto. Però la loro prima incubatrice è stata proprio il mare. Il processo cominciò circa 60 milioni di anni fa (nel periodo del Paleocene), quando gran parte del Nord dell’Otago era ricoperto dall’oceano.

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    Edited by gheagabry1 - 10/9/2019, 20:23
     
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