FUMETTI e ANIMAZIONE

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted


    RIFLESSIONI


    ... FUMETTI ...
    ...La notizia di cui mi piace commentare brevemente oggi racchiude in se stupore, sogno, fanciullezza e venalità. Vi chiederete, cosa può racchiudere in se tante componenti? Quale storia riesce a raccontare tanto? E’presto detto, si tratta della vendita, a costo record, di una tela, di un quadro che si ispira all’ambiente dei fumetti. I fumetti sono il legame più forte che ci unisce al mondo dell’infanzia. Come i cartoni, i fumetti riescono nella magia di farci sentire sempre bambini e risvegliare in noi il piccolo che vive e sogna dentro di noi. Magia e stupore sono gli ingredienti che accompagnano quella lettura, e lo sfogliare di quei fumetti è come il muovere una pozione magica che ferma il tempo intorno a noi rendendolo eterno. Un fermo immagine che racchiude il nostro desiderio mai domo di restare fanciulli e vivere in quella eterea incoscienza e spensieratezza che sono tipici di quella stagione della nostra vita. Gli occhi sempre sognanti di chi sfiora ogni attimo la gioia di vivere, chi sente sfiorare la propria pelle dal tenue soffio della gioventù. Mi piace pensare che la persona che ha acquistato quella tela, sia una persona come noi alla ricerca del sogno, alla continua scoperta della magia del volo al di sopra della razionalità. Lo immagino, seduto davanti a quella tela, estasiato cercare nei segni di quel pennello, i segni della gioventù mai finita, mai passata, sempre presente…….
    (Claudio)



    Lichtenstein battuto per 43 milioni di dollari
    Una tela di Roy Lichtenstein, uno dei maestri della pop art americana e' stata venduta all'asta da Christie's alla cifra record di 43 milioni di dollari. La vendita di 'I can see the Whole Room!... and There's Nobody in It!', tela ispirata ai fumetti e realizzata nel 1961, ha superato quella di un altro quadro dello stesso artista che si e' fermato a 42,6 milioni di dollari. Tra le altre importanti tele battute all'asta da Christie's, anche un olio di Mark Rothko, venduto per 18,6 milioni dollari.









    GIOVINEZZA.

    La giovinezza non è un periodo della vita,
    essa è uno stato dello spirito,
    un effetto della volontà,
    una qualità dell'immaginazione,
    un'intensità emotiva,
    una vittoria del coraggio sulla timidezza,
    del gusto dell'avventura sulla vita comoda.

    Non si diventa vecchi per aver vissuto un certo numero di anni;
    si diventa vecchi perché si è abbandonato il nostro ideale.
    Gli anni aggrinziscono la pelle,
    la rinuncia al nostro ideale aggrinzisce l'anima.

    Le preoccupazioni, le incertezze,
    i timori, i dispiaceri,
    sono nemici che lentamente ci fanno piegare verso la terra
    e diventare polvere prima della morte.
    Giovane è colui che si stupisce e si meraviglia,
    che si domanda come un ragazzo insaziabile " e dopo?",
    che sfida gli avvenimenti e trova la gioia al gioco della vita.

    Voi siete così giovani come la vostra fede,
    così vecchi come la vostra incertezza.
    Così giovani come la vostra fiducia in voi stessi,
    così vecchi come il vostro scoramento.
    Voi resterete giovani fino a quando resterete ricettivi.
    Ricettivi di tutto ciò che è bello, buono e grande.
    Ricettivi al messaggio della natura, dell'uomo e dell'infinito.

    Se un giorno il vostro cuore
    dovesse essere mosso dal pessimismo
    e corroso dal cinismo,
    possa Dio avere pietà della vostra anima di vecchi
    (Generale Douglas Mac Arthur ai cadetti di West Point, 1945)



    .

    Edited by gheagabry - 15/1/2012, 23:47
     
    Top
    .
  2. gheagabry
     
    .

    User deleted



    CI MANCHERAI ... UN PENSIERO A ...



    MOEBIUS



    L'11 marzo 2012 è morto a Parigi Jean Giraud, grande disegnatore e fumettista francese più noto con lo pseudonimo di Moebius (ma nella sua carriera aveva utilizzato anche quello di Gir). Aveva 73 anni. Moebius era nato nei sobborghi di Parigi nel 1938 e da ragazzo aveva svolto parte del suo servizio militare durante la guerra di Algeria. Dopo il suo ritorno aveva cominciato a pubblicare storie western nei periodici a fumetti Spirou e poi Pilote, che gli avevano dato una prima notorietà, ma il personaggio che lo rese famoso fu il luogotenente Blueberry, il cui primo volume uscì nel 1965. Ne seguirono altri 27.È considerato uno dei più importanti disegnatori di fumetti al mondo ed è noto soprattutto per le sue storie fantastiche - fantascientifiche.Nelle sue opere più famose il suo tratto è molto nitido e attento ai particolari, estremamente realistico nella rappresentazione. A partire dagli anni Sessanta Giraud si interessò sempre di più alla fantascienza. Realizzò illustrazioni per libri e riviste, prima di pubblicare storie in proprio con lo pseudonimo Moebius, che si riferisce al matematico tedesco August Ferdinand Möbius e alla particolare superficie che da lui prende il nome e che, nella sua rappresentazione più famosa dovuta al disegnatore olandese M. C. Escher, è simile al simbolo dell’infinito in matematica (in realtà introdotto a metà del Seicento).
    A metà degli anni Settanta fondò insieme ad altri disegnatori una rivista di grandissima influenza, non solo nel campo del fumetto ma più in generale in quello delle arti visive, Métal Hurlant. Qui comparvero alcune delle storie e delle serie più famose della sua carriera di disegnatore di fantascienza, come Il garage ermetico e Arzach. Queste storie sono caratterizzate da ambientazioni fantastiche ed estremamente varie, con trame spesso poco comprensibili e non lineari. Nel 1981 cominciò un’altra sua celebre serie, L’Incal, frutto di una collaborazione con Alejandro Jodorowsky, con cui lavorò per molti anni.(il post.it)


    La sfida - quasi un’ordalia -fra Hugo Pratt e Jean Giraud si svolse in un auditorium farcito di fumettari e prof universitari, davanti alle telecamere della tv francese. Era il ’72, due anni prima di fondare la rivista Métal Hurlant, che con i suoi pderodattili fantascientifici e le sue vikinghe sessuomani, avrebbe acceso la Scapigliatura del fumetto europeo. Davanti a una lavagna intonsa, i due grandi rivoluzionari, Pratt gargantuesco e Gir con occhialetti e aria da surrealista, dovevano disegnare un racconto partendo da quattro onomatopee - Fiuii, Clong, Stunt, Shhh! - utilizzando i loro personaggi storici, Blueberry per Giraud e Corto Maltese per Pratt. Era come se Pollock e Picasso si prendessero a secchiate di colore sulla note di una sirena della polizia. Ne nacque un romanzo fatto di tratteggi, ritratti, sequenze pazzesche cavalcate in un’ora. Finì pari. Ma in quella tempesta creativa (reperibile su Youtube) ci dà l’idea plastica di cosa abbia significato per la Francia e per il mondo Jean Giraud che dopo adottò definitivamente lo pseudonimo di Moebius tratto dal nastro di Möbius, la figura geometrica nota per essere l’esempio più semplice di superficie a una sola faccia. Un paradosso. Moebius di facce ne ebbe sempre parecchie.
    Da classico amante del western alla John Ford creò Blueberry ex soldato ispirato a Jean Paul Belmondo che anticipando le tematiche del revisionismo indiano di Soldato blu e Balla coi lupi. Nel 1974 contribuì, poi, a fondare il gruppo de Les Humanoides Associés, che, l’anno successivo, iniziò a pubblicare la visionaria rivista Métal Hurlant, appunto, dove impresse una vera e propria sterzata all’immaginario fantastico occidentale. Opere come Il Garage ermetico o la lisergica e grottesca saga di Arzak (attraverso cui si sovvertivano i canoni della classica narrazione fumettistica: campiture cinematografiche, trame contorte alla Joyce, disegni pittorici) vennero recepite, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 dal mondo del cinema. Lo chiamavano il Michelangelo del fumetto. Moebius era bravissimo a creare sogni. Dai racconti de L’incal con protagonista il detective John Difool a quella di Arzak fino al poetico Silver Surfer-Parabola disegnato per la Marvel su richiesta diretta di Stan Lee che scrisse la trama, Moebius descriveva mondi impossibili, astronavi e cavalieri solitari che solcano i cieli in sella a una gigantesca cavalcatura alata. A volte erano solo immagini, respiri cosmici, che all’improvviso si intorcinavano in sceneggiature talmente complesse da confondere il lettore. Ma da affascinare, per esempio, il mondo del cinema. Film come Dune, Alien, Tron, The Abyss, Il quinto elemento o Blade Runner hanno risentito, in maniera più o meno diretta, dei suoi influssi artistici. Il fumettista era prediletto da Federico Fellini che gli rese omaggio in Casanova dando il nome di Moebius a un misterioso entomologo. Lo venerava Alejandro Jodorovsky che con lui aveva sognato un adattamento della leggendaria saga fantascientifica Dune (il fumettista disegnò costumi e scenografie) e lo stesso David Lynch se ne ricordò nella sua versione di quel libro. La parola Moebius ricorre - e non per caso - nei titoli di almeno dieci film di tutto il mondo.
    Nel 1982 collaborò al film francese Les maitres du temps di René Laloux e nello stesso anno fu contattato dagli americani della Disney per Tron, in cui la sua impronta è evidentissima. Nel 2004 fu profondamente deluso dall’adattamento americano della sua saga western Blueberry: il protagonista Vincent Cassel non era in parte e il film era sì un delirio, ma non affascinante quanto i deliri che resero Moebius stesso una sorta di guru ecologico del terzo millennio. Il suo prestigio artistico in Francia è enorme, tanto da essersi visto dedicare anche dei francobolli commemorativi. Moebius pur essendo nato a Nogent sur Marne, alle porte di Parigi nel 1938, aveva una concezione molto new age del tempo e delle nazioni. Visse a Tahiti e Los Angeles; veniva spesso a Napoli; era ritornato a Parigi nel declinare d’un’esistenza a dire poco errabonda. I suoi non erano fumetti ma bombe alchemiche. In un saggio Dr. Giraud e Mr. Moebius si racconta di come l’alchimista non sarebbe mai morto, rimasto com’era incatenato alle stelle...
    (Francesco Specchia)

    Devo molto a Jean Giraud-Moebius, l’inventore di mondi di carta scomparso ieri a 73 anni. Gli devo proprio la capacità di immaginare. Moebius è stato una di quelle persone che mi hanno dato per un attimo l’impressione di aver eletto l’immaginazione al potere, con materiali poveri come fantasia, carta e matita. Sono cresciuto con le visioni di Métal Hurlant, quando ancora quel concentrato di utopie colorate (esso stesso un’utopia: i disegnatori che si facevano editori di se stessi) non veniva importato in Italia e correvo a fare incetta di albi a Parigi, per poi volare negli universi creati appunto da Moebius, Druillet, Bilal. Arte povera, senza l’ambizione di essere arte. Ma con una potenza sognatrice in grado di parlare a tutti. L’arte di Moebius mi ha insegnato a non smettere di indagare, cercare, esplorare tutto ciò che esce dal conosciuto, dall’assodato, dal convenzionale. In qualiasi campo e soprattutto nella musica.(Aldo Lastella)

    "Non fa mai piacere dover scrivere un coccodrillo. Perciò tanto vale farlo di getto, e togliersi il pensiero. Per i non addetti ai lavori, nel gergo giornalistico, i "coccodrilli" sono gli articoli che si scrivono per comunicare la morte di un personaggio noto e celebrarne gli eventuali meriti. Gli ultimi due anni sono stati veramente inclementi, sotto questo punto di vista, con il mondo delle nuvole parlanti e non solo. A lasciarci oggi, all'età di 73 anni, dopo una lunga malattia, è stato Jean Giraud, in arte Moebius. L'artista francese che ha regalato al mondo prima il west colorato e vitale di Blueberry, poi l'affresco fantascientifici dell'Incal (uno dei punti pià alti della sua ricca collaborazione con Alejandro Jodorowsky) è sceso dal treno lasciandoci un po' più soli di ieri, e con un'altra leggenda del fumetto da ricordare per sempre. Una carriera fitta di produzioni mai scontate, con voli pindarici tra generi narrativi che solo un grande interprete dell'illustrazione come Moebius poteva fare, regalando ai lettori i deliri grotteschi di La pazza del Sacro Cuore, passando per la sua personale visione del marvelliano Silver Surfer. Di Jean, di Moebius, si potrebbe dire tanto, e tanto certamente si dirà nei prossimi giorni, quando coccodrilli più addestrati e pasciuti saranno sguinzagliati sulle varie testate. Noi, per celebrarlo, ricorderemo il grande progetto cinematografico fallito cui Moebius partecipò, come in seguito con Il Quinto Elemento di Luc Besson, in qualità di scenografo e ideatore del look dei personaggi. Parliamo del famoso progetto filmico di Jodorowsky dedicato a Dune, la celebre saga fantascientifica di Frank Herbert. Progetto destinato a non vedere la luce (lasciando posto a diversissimo film firmato da David Lynch) . Qualcosa di più che incompiuto, eppure tuttavia leggendario per gli estimatori del maestro, che produsse una quantità di affascinanti bozzetti in cui è riconoscibile il suo stile elegante e spettacolare. Con questo tributo, salutiamo Jean Giraud. Non ce ne accorgiamo ancora, ma l'universo, d'ora in avanti, sarà un po' più angusto senza i suoi magnifici disegni. Adieu, monsieur Jean Giraud. Au revoir, Moebius..."
    (altroquandopalermo)
     
    Top
    .
  3.  
    .
    Avatar

    Millennium Member

    Group
    Administrator
    Posts
    112,793
    Location
    Milano

    Status
    Offline

    IL MONELLO – Rivista – (Dal 1933)

    monello1933

    Il Monello è stata una rivista settimanale per ragazzi pubblicata dalla Casa Editrice Moderna (poi Casa Editrice Universo) dei fratelli Del Duca (Cino ed altri). Venne pubblicato dal 1933, due anni prima del “cugino” L’Intrepido. L’edizione venne però sospesa nel 1939 per riprendere, finita la seconda guerra mondiale, nel 1953.

    La rivista deve il suo nome al protagonista del film di Charlie Chaplin, Il Monello, interpretato dal giovane Jackie Cooga. Accolse tra le sue pagine fumetti e strisce divenute piuttosto celebri, come Arturo e Zoe, così come illustrazioni di autori altrettanto celebri, come Walter Molino. Il Monello entrò negli anni ‘70, quando ormai era al suo 38° anno di vita editoriale. Con l’inizio del decennio cambiò formato e divenne più grande: il primo numero del 1970 era di dimensioni 16 cm x 22,5 cm (circa 4 cm in più rispetto al formato dei ’60), costava ancora 70 lire, ma aveva un numero minore di pagine, 80 più la copertina, spillate. La carta era assai sottile e con la tendenza ad ingiallire rapidamente. Nella testata appariva ancora il volto di Jackie Coogan, anche se del personaggio all’interno si erano ormai perse le tracce da decenni. Fino al 1974 fu direttore Alceo Del Duca, seguito fino al 1980 da Domenico Del Duca, cui si affiancarono come vicedirettori nel corso del decennio Antonio Mancuso, Angelo Saccarello e Graziano Cicogna.

    Il-Monello

    monello-1960

    Nel periodo 1970-1972 oltre due terzi delle pagine del giornale era dedicata ai fumetti.

    Negli anni subì diverse rivisitazioni nella forma, passando da libretto a vera e propria rivista, ma anche nei contenuti: dagli anni settanta i fumetti lasciarono sempre più spazio a rubriche musicali rivolte ad un pubblico preadolescenziale.

    Il motivo di tale scelta editoriale si lega sia alla tendenza dei giornali dell’epoca ed alla fascia di pubblico maggiormente lucrativa per questi : gli adolescenti. Ecco che, a parte le storie libere ed i pochissimi fumetti, appaiono inserti fissi (dal 1973 – al centro del giornale – l’allegato “Io proprio io”, biografie e interviste di personaggi celebri dello spettacolo e dello sport).

    Il-monello27-allegato-io-proprio-io

    Tra i collaboratori che scrissero in quel periodo sul Monello, ricordiamo Renzo Arbore, Enzo Tortora, Gianni Vasino, Alfredo Rossi, Luciano Gianfranceschi, Federico Urban, Renato Colombo.

    Il giornale chiude i battenti poco dopo aver cambiato nome in “Monello Okay!”. L’ultimo numero in edicola è il 41 del 12 ottobre 1990.

    Il-monello-1974

    il-monello-22-del-1978-Alice

    IL-MONELLO-NOVEMBRE-1979-Heater-Parisi



     
    Top
    .
  4.  
    .
    Avatar

    Millennium Member

    Group
    Administrator
    Posts
    112,793
    Location
    Milano

    Status
    Offline

    SKORPIO – Rivista – (dal 1977)

    skorpio_anno-01_n-%C2%B0-1
    Il Numero 1 di Skorpio

    Skorpio è una rivista settimanale italiana di fumetti, pubblicata dalla casa editrice romana Eura Editoriale.

    La rivista ha iniziato le pubblicazioni nel 1977. È la “gemella” di Lanciostory, rivista analoga per contenuti e impostazione editoriale pubblicata dalla medesima casa editrice.

    Oggi con la scomparsa delle “Riviste contenitore”, cioè quelle riviste che non presentavano personaggi fissi ma antologie di fumetti di scuole anche molto diverse tra loro (esempi ne sono L’Eternauta, Comic Art, Orient Express) resta, con la sua “gemella”, l’unico esempio di periodico antologico di fumetti.

    Interno-di-pagina-del-1980

    Inizialmente venivano presentate esclusivamente opere di autori latino-americani e pochi italiani, successivamente c’è stata un’apertura anche al mercato franco-belga.

    Al suo interno trovano spazio serializzazioni, a partire dal numero 36 del 2004 modificate in una forma diversa (episodi di 20-25 pagine, che consentono una fruizione più rapida delle storie), di storie a fumetti di autori come Robin Wood, Carlos Trillo, Jean van Hamme, Hermann, Domingo Mandrafina, Josè Luis Ortiz, Antonio Segura,Ernesto Garcia Seijas e molti altri. Autori di estrazioni culturali molto differenti tra loro (latino-americana, belga,francese, italiana), che permettono di offrire un’ampia e variegata panoramica ai lettori.

    Dal n. 1 dell’anno 2010 Skorpio viene pubblicato dalla casa editrice Editoriale Aurea srl, che ha preso in carico le testate Eura Editoriale alla fine del 2009, quando la proprietà dell’azienda è stata ceduta. Il nuovo team, composto dal direttore responsabile Enzo Marino e dal direttore editoriale Sergio Loss, esperti dirigenti provenienti dall’Eura, prosegue nell’offrire al pubblico italiano una selezione di fumetti che vengono creati e pubblicati in Italia e nel mondo, con particolare riguardo alla scena franco-belga e argentina..

    Di seguito carrellata di splendide copertine e più specificatamente le prime 5 del primo anno e tutti i numero 1 dei successivi 20 anni tratti dal sito ufficiale di Skorpio come da link sotto.

    skorpio_anno-01_n-%C2%B0-2 skorpio_anno-01_n-%C2%B03 skorpio_anno-01_n%C2%B0-4 scorpio-anno-3_1skorpio-anno-14-n-1 skorpio_anno-15-n-1skorpio_nno-16-n-1 skorpio-anno-17-n-1-_

    skorpio_anno-20-n-1

     
    Top
    .
  5.  
    .
    Avatar

    Millennium Member

    Group
    Administrator
    Posts
    112,793
    Location
    Milano

    Status
    Offline

    CORRIERE DEI PICCOLI – (1908/1995)

    Corriere-Dei-Piccoli-1968

    Il Corriere dei Piccoli anche noto come Corrierino o CdP, è stata la prima rivista settimanale di fumetti dell’editoria italiana; pubblicata dal 1908 al 1995.

    Fondazione

    Il primo numero uscì in edicola il 27 dicembre 1908 come supplemento del Corriere della Sera, al prezzo di 10 centesimi.

    Il fondatore e primo direttore responsabile fu il giornalista e romanziere Silvio Spaventa Filippi, che ne rimase il direttore fino alla sua morte nel 1931, ma l’idea della pubblicazione fu dell’educatrice Paola Lombroso Carrara, figlia del più noto Cesare Lombroso.

    Nell’editoriale di quel primo numero, titolato “Come fu e come non fu…”, il direttore tracciò le linee guida del piano editoriale del giornale ed esortò il giovane lettore a leggere la rivista sotto la luce più chiara, imitando il genitore che legge con aria di importanza il Corriere della Sera. Il pubblico cui il giornale si rivolgeva era dichiaratamente quello dei figli della nascente borghesia, fedele lettrice del “Corriere”, ma non soltanto, tanto che di quel primo numero furono tirate ben 80.000 copie.

    Il “Corrierino”, come venne soprannominato, riuscì addirittura in alcuni numeri degli anni ’60 a superare le 700.000 copie di tiratura, complice, secondo il direttore di allora, Zucconi, una forte epidemia di influenza.

    Corriere-dei-piccoli-n.-1-del-1908

    Storia

    Il “Corriere dei Piccoli” divenne subito una lettura di riferimento per diverse generazioni di bambini e ragazzi italiani. Quando nacque, le storie per bambini erano d’impronta nazionale, si richiamavano cioè alla pedagogia del Risorgimento.

    Il giornale si distinse dalla corrente principale pubblicando la versione italiana di numerosi fumetti americani, che raccontavano storie spontanee e divertenti:

    Bibì e Bibò (The Katzenjammer Kids, creati nel 1897)
    Fortunello (Happy Hooligan, nato nel 1899)
    Arcibaldo e Petronilla (Jiggs & Maggy)
    Le tavole delle storie non avevano le nuvolette ma erano sottotitolate da filastrocche in rima baciata. Da ricordare anche Mammola e Medoro e poi Gibernetta e ancora Pier Cloruro de Lambicchi e la sua Arcivernice, Quadratino, Il Collegio La Delizia…

    Ancora più famose le rime baciate del “Signor Bonaventura” di Sergio Tofano, apparso il 28 ottobre 1917, che iniziava ogni avventura con la fatidica frase: “Qui comincia l’avventura del Signor Bonaventura, ricco assai da far paura…”, e terminava invariabilmente ricevendo in premio un assegno da un milione.

    corriere-dei-piccoli-bonaventura

    Lettura sicura e affidabile per i genitori, che tornavano a casa dall’edicola con il Corrierino insieme con il Corriere “dei grandi”, il giornale continuò con gli stessi contenuti e la stessa grafica almeno fino alla direzione di Giovanni Mosca, che diminuì le storie a fumetti a favore dei racconti e delle letture. Con la direzione di Guglielmo Zucconi, dal 1961, si puntò di più a pubblicare fumetti adatti ad un pubblico di ragazzi, tanto da introdurre un inserto, il Corriere dei Piccolissimi dedicato ai fratellini minori.

    Fumetti a parte, notevoli furono anche i racconti a puntate e in epoca successiva le storie di Gianni Rodari.

    Uno dei punti di forza del settimanale fu poi il Corrierino Scuola, inserto che per molti anni, durante il periodo scolastico, pubblicò schede (da utilizzare per le ricerche), atlanti geografici e storici, scenari naturalistici da completare e altri utili sussidi. Un altro punto di forza furono i soldatini o i calciatori, le bamboline di carta coi vestiti e gli accessori e tutta una serie di giochi e di ambientazioni in carta tutti da incollare su cartoncino e ritagliare.

    Corriere-dei-piccoli-Diario-1970-1971

    Tra le rubriche meritano una citazione: “La palestra dei lettori”, “Corrierino-club” e “Corrierino Sport”.

    Il Corrierino uscì ininterrottamente per quasi 90 anni, tranne un periodo di circa un anno, alla fine della Seconda guerra mondiale, quando quasi tutte le testate giornalistiche furono costrette a cambiare nome e il Corriere dei Piccoli divenneGiornale dei Piccoli, con direttore responsabile Arnaldo Sartori. Altri direttori famosi del Corrierino furono: Giovanni Mosca (1952-1961), Guglielmo Zucconi(1961-1963) e Carlo Triberti (1964-1972).

    Fu soprattutto quest’ultimo a imprimere una seconda giovinezza al settimanale, a partire dal n.11 del 1968, cambiando radicalmente formato ed impostazione alla rivista,ora tutta a colori, ed introducendo i fumetti della scuola franco-belga: IPuffi, Ric Roland, Luc Orient, Michel Vaillant, Dan Cooper, Bruno Brazil,Bernard Prince, Poldino Spaccaferro, Gaston Lagaffe, pur senza dimenticare la vocazione divulgativa del settimanale. Celebri le famose schede per le ricerche scolastiche e seguitissimi i romanzi a puntate (ad esempio Efrem o Tommy River di Mino Milani), pubblicati settimanalmente.

    Il periodo della direzione Triberti può essere considerato il più fecondo per quanto riguarda i contenuti, specie per la pubblicazione di ottimi fumetti e la valorizzazione di prestigiosi autori e disegnatori, non soltanto stranieri, ma anche e soprattutto italiani; ad esempio Hugo Pratt con Una ballata del Mare Salato e Benito Jacovitti con i suoi personaggi Cocco Bill, Zorry Kid e Jak Mandolino.

    Corriere-dei-piccoli-1968

    Non vanno poi dimenticati Leone Cimpellin e il suo “Tribunzio”, Grazia Nidasiocon “Valentina Mela Verde”, e disegnatori del calibro di Toppi, Battaglia, Uggeri, Di Gennaro. Anche la giornalista Lea Maggiulli Bartorelli, che firmava con lo pseudonimo di Zietta Liù, fu collaboratrice della testata.
    Nel 1970, proprio per ampliare lo spazio dedicato ai fumetti, il direttore Triberti aumentò il numero di pagine, da 52 a 68, anche se a discapito del colore. Infatti ora le pagine erano per metà a colori e per l’altra metà in b/n e rosso.

    La testata acquistò le caratteristiche di un vero e proprio “familiare d’informazione” per ragazzi, per le rubriche di sport, attualità, musica, cinema, scienza, curate da esperti del settore. A questo punto, però, l’unica pecca del giornale era il nome, non più adatto al pubblico cui si rivolgeva.

    Nell’estate 1970 un referendum durato tre settimane, svolto tra i lettori per mezzo di cartoline postali da inviare alla redazione e denominato (Scegli Tu), decretò che i giovani lettori preferivano un cambio di testata, passando da Corriere dei Piccoli a Corriere dei Ragazzi. Ci vollero quasi due anni prima che il risultato del referendum fosse pubblicato e la fatidica decisione di cambiare nome venisse presa. Questo fatto decretò un piccolo terremoto interno alla redazione, visto che Carlo Triberti fu affiancato da Mario Oriani (direttore responsabile dei periodici per ragazzi), a partire dal n.33 del 1971, proprio per gestire il cambio di testata, cosa che avvenne dal n. 1 del 1972.
    Per ammortizzare l’impatto sui lettori il Corrierino fu allegato in versione ridotta di 16 pagine ai primi 16 numeri del CdR, diretto da Luigi Boccacini a partire dal n. 11-inserto/1972. Uscì poi un diciassettesimo numero (speciale, del 7/5/1972), allegato ad Amica 17/1972, allora diretta da Oriani, e dalla settimana successiva il Corrierino ritornò in edicola a 48 pagine metà a colori e metà in bianco/nero, al prezzo di 100 lire, con contenuti per bambini; mentre il Corriere dei Ragazzi, diretto magistralmente da Giancarlo Francesconi, con contenuti per adolescenti, proseguì la sua avventura lasciando un ricordo indelebile nei giovani lettori di quegli anni, per la ricchezza e lo spessore dei contenuti e per la carica innovativa del periodo 1972/1975, tanto da essere ancor oggi ricordato come una delle migliori espressioni dell’editoria per ragazzi di sempre.

    corriere-dei-ragazzi-numero-1-1972

    Gli ultimi anni

    Il Corriere dei Piccoli ha subito molte modifiche e adeguamenti ai tempi. Dal 1972 in poi si sono avvicendati molti direttori che hanno, ad ogni cambio di direzione, stravolto formula, formato e foliazione al giornalino, passando da un formato rivista ad un tabloid in cartoncino e di nuovo al formato rivista, e cambiando pure nome da Corriere dei Piccoli a Corrierino, nel 1993, durante la direzione di Maria Grazia Perini.

    Nonostante le continue mutazioni di formula, il CdP anche dopo il 1972 ha pubblicato ottimi fumetti di grandi autori, basti pensare al “Gianconiglio” di Carlo Peroni, “RediPicche” di Luciano Bottaro, “Walkie Talkie” di Giorgio Pezzin e Giorgio Cavazzano, i divertenti “Ronfi” di Adriano Carnevali, “Gennarino Tarantella” di Carlo Squillante ed altri. In seguito, l’avvento della tv commerciale ha spinto il settimanale a modifiche nei contenuti, come pubblicare a fumetti le serie animate più in voga. Il giornale ha superato anche momenti molto critici, legati alle vicende, soprattutto politiche, che hanno interessato i suoi editori (nel periodo della gestione Rizzoli, all’epoca dello scandalo P2), che di fatto lo hanno lasciato navigare verso tirature sempre più basse, fino a farlo passare dalla RCS alla scandinava Egmont (nel1994). È uscito in edicola senza interruzioni fino al 15 agosto 1995.

    Un ultimo numero è stato distribuito nelle edicole lombarde nel gennaio 1996 per non perdere i diritti sulla testata.

    Di seguito alcune copertine del Corriere dei Piccoli per la gioia dei vostri occhi.

    Corrierino-dei-piccoli

    corriere-dei-piccoli-19681

    Corriere-dei-piccoli-1-corrierino-estate

    Corriere-dei-piccoli-giocatori

    CORRIERE-PICCOLI-1971

    Corriere-dei-piccoli-1981

    Corriere-dei-Piccoli-19821

    Corriere-dei-Piccoli-1984

    Corriere-dei-Piccoli-19891



     
    Top
    .
  6.  
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    moderatori
    Posts
    43,236

    Status
    Offline

    Auguri di buon compleanno papà di Mafalda Quino compie 80 anni


    MAFALDA+DI+QUINO



    vignetta-di-mafalda


    - Perfino la data della sua nascita è stata un pasticcio: Quino compie 80 anni il 17 luglio, però all’anagrafe di Mendoza, la città del vino al nord dell’Argentina, è stato registrato il 17 agosto. Del nome di battesimo, poi, non ne parliamo: «Ho scoperto di chiamarmi Joaquìn alle elementari». In casa l’hanno sempre chiamato Quino per distinguerlo dallo zio. Joaquìn Salvador Lavado Tejon, è rimasto per sempre Quino, che poi, a pensarci bene, se lo separi si legge «qui no», e con il cognome «là vado». Insomma, non poteva essere che il papà di Mafalda la contestataria, l’irrequieta, l’indignata: «Oggi sarei in prima fila tra loro» ha ammesso lo scorso ottobre a Luca raffaelli, direttore artistico di romics, il festival del fumetto.
    Il grande fumettista argentino ha lasciato Milano due anni fa, vendendo la casa che aveva comprato con la moglie Alicia, e ha fatto ritorno a Buenos Aires dove Mafalda è nata dalla sua matita nel 1964. Con l’Italia, Quino ha sempre avuto un rapporto speciale: «Mi sento più mediterraneo che argentino». Quino è arrivato a Milano nel 1976, quando il generale Jorge Rafael Videla ha preso il potere nel suo paese dando il via alla dittatura «sporca» e la metropoli lombarda è diventata il suo rifugio per sei anni filati (curiososamente lo è stata anche per le spoglie di Evita Peròn). «La patria significa gioventù - ha ricordato Quino - stare lontano da lei ha fatto sì che il mio umorismo sia diventato un po’ meno vivace, però a volte più profondo». Le strisce di Mafalda erano popolarissime già alla fine degli anni ’60, ma dalla sua penna non ne è uscita più nemmeno una: l’ispirazione finì dieci anni dopo. Figlia della classe media, abitava in calle Chile 371, nel quartiere di San Telmo a Buenos Aires. Il 30 agosto del 2009 la capitale argentina ha messo proprio lì davanti Mafalda in panchina.
    Quino non ha mai smesso di essere amato da adulti e ragazzi. La sua bambina contestataria e preoccupata per le sorti del mondo, è stata tradotta in 20 lingue e paragonata al successo ottenuto da Charly Brown. Milano l’ha celebrata nel 1994 per i suoi 30 anni al Circolo della Stampa, nel 2004 Quino ha inaugurato a Milano «In viaggio con Mafalda», la mostra itinerante per i 40 anni, patrocinata dal Touring club. Nel 2009 sempre a Milano è festa per i 45 anni di Mafalda con una mostra organizzata dall’associazione amici del Loggione della Scala, nel 2010 l’editore Magazzini Salani pubblica in un cofanetto metallico l’intera collezione «Oggi mordo!». Auguri Quino, si sentirebbe dire se potesse essere a Milano tra i suoi fans. Si comincia dalla pagina di Facebook: chi azzecca la frase più bella per gli auguri a Quino vincerà la t-shirt «Sono indignata!» e il libro appena uscito da Magazzini Salani «10 anni con Mafalda» in onore al suo eterno papà.
    di Bruna Bianchi


    30572_nombre mafalda_mappamondo



    Fonte:www.ilgiorno.it,web
     
    Top
    .
  7. gheagabry
     
    .

    User deleted




    È morto Toppi, grande fumettista milanese

    toppi-autoritratto

    La dolcezza dell’amore, dell’abbandono, nei visi delle sue donne. Negli occhi di una Marilyn, nelle mani di una fata che sa d’antico, nei gesti, nelle incredibili acconciature della sua Sharaz-De. Ma anche la crudeltà, l’odio, l’indifferenza. Tutto questo ha disegnato Sergio Toppi. Lo ha vissuto documentandosi, senza spostarsi troppo dal suo studio-abitazione di via Mecenate. Studiando, leggendo interminabili libri di storia. E scavando, grattando, quasi frustrando la carta col suo pennino, col suo segno vigoroso.




    Il grande fumettista e illustratore milanese si è spento nella sua città a 79 anni, a causa di un tumore che lo faceva soffrire da qualche anno. Aveva esordito giovanissimo come illustratore per l’Utet, e per alcuni anni era stato coinvolto nel processo creativo dei cartoni dei Pagot, quelli di Calimero e Grisù. Ma è solo con il Corriere dei Piccoli, a quasi 35 anni, che Toppi arriva al fumetto. E il suo tratto ruvido, affastellato, carico di «trattini», eppure efficace e comunicativo, arricchisce anche le pagine di Linus, Alter Alter, Corto Maltese, L'Eternatuta, e soprattutto le tantissime riduzioni a fumetti dei classici della letteratura de Il Giornalino, il cui direttore, padre Stefano Gorla, lo ricorda così: «Toppi era un signore, un uomo gentile che con il suo tratto mai incerto sapeva definire ed evocare insieme: una rarità, un privilegio concesso a pochi. Lo ricorderemo presto con una ristampa del suo Il richiamo della foresta, di Jack London».

    L'OSSESSIONE PER LE ARMI - L’ossessione per le armi, gli abiti dei militari, in genere per i temi bellici, veniva a Toppi forse dall’infanzia: la guerra la conobbe bambino nelle valli dell’Ossola, dov’era sfollato da Milano coi suoi genitori. «Ci dicevano che là era più tranquillo, e invece nasceva la repubblica partigiana», raccontava il maestro ai taccuini del Corriere nel 2009: «ci colpivano gli alleati, quegli americani di colore, che avevamo visto solo al cinema: ci apparivano come marziani, ricchi e potenti». Toppi sul tema amava dire con ironia: «sono così mite che non sono nemmeno antimilitarista».

    PARLANO LE SUE OPERE - «Per lui parlano le sue opere», dice Mauro Marcheselli, direttore editoriale della Sergio Bonelli Editore, «non aveva un segno bonelliano, ma non fece poco per noi. Per Sergio Bonelli creò Il collezionista, il suo unico fumetto con prospettive di serialità, e alcuni volumi della collana Un uomo, un avventura. Avevo pensato a lui per disegnare una storia dedicata ai Maya. Ma non c’è stato il tempo».

    Alessandro Trevisani, corriere



    sergio-toppi


    (...) Gettando l’occhio sul grande fiume che Sergio Toppi ha lasciato scorrere in questi suoi cinquant’anni e più di disegno ci è immediatamente, tattilmente, chiaro quanto sia inutile ogni tentativo di classificazione e catalogazione assoluta della sua opera, come ogni tassonomia possibile debba lasciare il passo ad un’analisi probabile e, al tempo stesso, come ogni tentativo di analisi non possa assolutamente prescindere dalla catalogazione, anche pedante, e dall’inventario minuzioso. Sergio Toppi non è autore di poche opere e il suo disegnare si è dipanato, negli anni, inarrestabile. Da ogni quadratino di fumetto, da ogni illustrazione, da ogni singola tranche di disegno e pittura si può, e si deve, quasi scientificamente risalire alla metodologia, agli intenti, allo stile ma poi quello stesso quadratino, quella stessa illustrazione devono accostarsi a tutte le altre decine di migliaia e permettere, allontanando lo sguardo, di percepire il grande quadro d’insieme, il suo animus pingendi intero e inevitabile.

    toppi+mediterranee+sulle+rotte+dell%27immaginario+giornalino

    L’albero di fiamma

    Guido Martina scrive, per la Scala d’Oro Utet alla fine degli anni cinquanta, una storia di indiani Sioux e Algonchini con protagonista Nadove, il piccolo ‘preda di guerra’ allevato dal Gran capo Sioux Uazi. Il romanzo è un affresco etnico, si potrebbe dire oggi, ma anche un romanzo di formazione. Ci racconta della crescita, dell’educazione, dei giochi, delle prime cacce e dei primi amori di Nadove, di come conquisti la sua prima penna, di come diventerà un vero guerriero Sioux (Martina li chiama Siù) e riuscirà a portare la pace con gli Algonchini.


    2-albero-fiamma
    Sergio Toppi, L'albero di fiamma, UTET, 1957

    Come si muove Sergio Toppi all’interno di questa storia? Con rispetto e semplicità, chiosando e accompagnando il testo con tavole quasi monocromatiche (toni di blu, di giallo, di rosso…), con pennellate leggere eppur decise. Il pennello di Toppi scolpisce i corpi e i muscoli, accenna pieghe di stoffa e suggerisce ombre. Sono, quelle dell’artista, impressioni in movimento che non lasciano nulla al caso e che, anzi, mentre danno sostanza visiva e immaginosa al testo di Martina, si cercano anche una propria lettura e un proprio spazio autonomi, offrendo al lettore ulteriori suggestioni e informazioni (‘scientifiche’, senza volerlo sembrare!) sugli usi e i costumi degli indiani d’America, sulle loro vesti, sui segni e sui colori di guerra, sui tee-pee e sui totem, sullo scorrere della vita quotidiana e sulla simbologia religiosa.

    In più, le illustrazioni di Toppi si inseriscono con sapienza tipograficamente avvertita nell’architettura della pagina: sembrano non voler mai turbare la narrazione, non cercano cortocircuiti o ‘rotture’ visive ma si insinuano, soavemente invadenti, nelle pieghe del testo. I bisonti e I cavalli corrono, inseguiti dai cacciatori, braccati dalle frecce e dai colpi di fucile, da una pagina all’altra, descrivono campi cinematografici medi e lunghi, tornano a primi piani d’azione drammaticamente definita.
    Di passata si potrà notare come l’Albero di fiamma sia stato destinato, nella programmazione della Scala d’Oro, nel 1957, ai bambini di sette anni. Chiunque abbia letto, sfogliato, guardato le figure di questo gioiello narrativo ed editoriale può trarre da solo, senza bisogno di alcun commento, le considerazioni sul caso.

    Il Sergente Kirk

    Il cinema è una passione che accompagnerà Toppi per tutta la vita. E non solo nella ovvia funzione di spettatore affascinato ma anche in quella di osservatore interessato, capace di analizzarne la lezione pro domo sua e di trasferirla, con le sue ragioni, nella propria arte.
    Il cinema, lo dice la stessa etimologia, è movimento, azione, scorrere di tempi e sovrapporsi di immagini. Racconta una storia in momenti successivi e complessi, ed è capace, proprio per il suo dilatarsi temporale e particolare, di introspezione e approfondimento. Il fumetto, racconto disegnato, si dilata anch’esso nel tempo e nello spazio e può quindi assolvere agli stessi compiti, ma l’illustrazione, la singola immagine racchiusa in un unico foglio di carta, come può riuscire a raccontare una storia, a dare suggestioni sovrapposte e diverse, a soddisfare in pieno quell’ansia di informazione e comprensione che prende, o dovrebbe prendere, il lettore che si ferma ad osservare la copertina di una rivista o di un libro, oppure la tavola di complemento di un testo?

    È questo un punto centrale della riflessione grafica di Sergio Toppi; quel cercar di mettere in essere tutto il possibile per racchiudere ogni significato in una sola immagine al tempo stesso riassuntiva e simbolica. Per questo Toppi guarda con grande interesse al cartellonismo cinematografico degli anni di mezzo, alle temperone di Nano Campeggi per dire, che davano, nelle locandine, la sinopsi visiva del film, con i volti degli attori in primo piano e brandelli di azione che scorrevano nel background. Fuori dal cinema, appesi alle teche d’ingresso, quei cartelloni ci prefiguravano la storia; potevamo immaginarcela, veder quasi gli spazi di collegamento e di emozione che la pellicola ci avrebbe offerto. Fuori del cinema noi spettatori eravamo gli ‘attori’ della pellicola, i personaggi principali che dovevano, per essere invogliati ad entrare e a comprare il biglietto, partecipare, con un atto creativo di immaginazione emozionale, allo svolgersi dell’evento. (...)

    sergio+toppi

    Toppi trasferisce questo tentativo di esperienza nelle sue illustrazioni e quindi, nelle copertine dei libri e delle riviste. I piani si sovrappongono, le storie si intrecciano, le emozioni si confondono, i simboli recitano una loro ambigua parte in rapporto stretto con i protagonisti dei disegni. Ancora primi piani e piani medi e lunghi ma, rispetto alle tempere nazionalpopolari delle locandine cinematografiche, le illustrazioni di Toppi possono dilatare i tempi di lettura e quindi usare tecniche di disegno più raffinate e complesse, spugnature e marezzature di colore, arabeschi di linee, ragnatele di segno. Sempre comunque con una fusione perfetta e una complementarità assoluta di piani che non sono più ‘parti’ di azione per definire il ‘tutto’ ma che diventano esse stesse ‘segno unico’, quasi gestaltiche nell’uso del pieno e del vuoto, del bianco e del nero, della massa e del vuoto.

    Le copertine del Sergente Kirk, che Toppi disegna tra il 1975 e il 1979 (dal numero 43 al numero 60) sono quasi perfette a questo riguardo. Composizioni complessissime e, al tempo, percettivamente immediate. Quando le osserviamo si caricano dell’ambiguità del ‘non raccontato’. Ci parlano di qualcosa che ancora non conosciamo (sfido, non abbiamo ancora aperto il fascicolo!) Eppure ci raccontano delle storie e ci presentano i personaggi. Sono ambigue, già detto, ma narrativamente perfette. Ci dicono qualcosa che solo Toppi conosce ma che lascia a noi intravedere e immaginare. Quale sarà il contenuto, ad esempio, del numero 47 con quell’enorme sombrero rosso in primo piano e il peone di profilo in campo lungo? L’interno ci parlerà di Pancho Villa e Emiliano Zapata? Di cucarachas e cactus? Di rivoluzioni incompiute? Di Massimiliano d’Asburgo?
    Con il fascicolo in mano, osservando i segni graffiati del grande sombrero-sole rosso (anche un simbolo quindi?), dobbiamo raccontarci da soli una storia possibile, seguirne le suggestioni e gli stimoli. Se vediamo per la prima volta quelle copertine e non ne abbiamo altre notizie, si può farne prova. Ogni coperta del Sergente Kirk ci offre una full immersion nelle pieghe del nostro particolare immaginario.
    Il disegno di Toppi ci permetterà, prima di alzare il sipario, di prefigurarci uno scenario personale, magico e irripetibile.


    5-ticonderoga-2
    Sergio Toppi, Ticonderoga, Nuages, 2002
    Ticonderoga

    Quando Robert Louis Stevenson buttò giù i versi della sua ballata, nel maggio del 1887, Ticonderoga poteva essere ancora una parola sconosciuta e misteriosa, magica. Facile quindi collegarla ad una leggenda delle highlands scozzesi mettendo in secondo piano la parte che Fort Ticonderoga ebbe nella storia della Guerra d’indipendenza Americana.

    La ballata racconta dell’amicizia, tradita da una parte e rispettata dall’altra, tra i clan Stewart e Cameron. Cameron offre ospitalità allo Stewart che gli ha ucciso il fratello e gli promette, inconsapevole, ogni protezione. Manterrà la parola anche quando il fantasma del fratello verrà a chiedere vendetta. Tre volte compare il fantasma a richiamare la voce del sangue e tre volte la vendetta è rifiutata. L’ucciso, prima di scomparire per sempre, pronuncia parole oscure:

    It shall sing in your sleeping ears,
    It shall hum in your waking head,
    The name – Ticonderoga,
    And the warning of the dead.

    Ticonderoga è parola mai udita, incomprensibile, che, per quanto si chieda, nessuno sa decifrare. Cameron inseguirà quella parola, quell’incubo di morte, attraverso tutte le guerre e i popoli d’Europa e d’Asia e alla fine riuscirà a trovarla, nelle foreste d’America. L’uomo con la painted face dirà a Cameron che quella terra i francesi l’hanno chiamata Sault-Marie (“un nome da preti”), ma il vero nome è for you and me, Ticonderoga. Al mattino, nella battaglia campale, Cameron perderà la vita andando incontro alle parole della profezia “… far from the hills of heater, far from the isles of the sea”.



    Sergio Toppi disegna Ticonderoga nel 2002 per un libro Nuages. È opera della piena maturità dell’artista, un gioiello straordinario, quasi la summa delle sue epoche ideali e progettuali.
    Le tavole si svolgono tra le brume delle highlands e quelle del nord America, tra terre d’Oriente e notti gotiche. I personaggi compaiono tutti alla ribalta, si affollano, avanzano e indietreggiano, mettono in primo piano i simboli delle loro terre e delle loro angoscie, i colori delle steppe e quelli dell’erica, i fumi delle battaglie e l’oscurità azzurrata dei boschi.

    Sono qui chiamati all’appello i personaggi ormai eterni di Sergio Toppi, quelli che vengono dalla storia del suo disegno fantastico e da quella, scientifica, dell’illustrazione storica e dell’antropologia. Le dodici tavole raccontano, per facce e simboli, la storia definitiva di Ticonderoga, il passaggio dalla terra di origine della ballata, la Scozia, all’universo mondo, con i popoli, le facce e i costumi diversi e ‘particolari’; il suonatore di cornamusa scozzese, il principe tartaro, il pellerossa delle foreste del nord. Sono, quelle tavole, la storia delle tentazioni grafiche di Toppi; lo stile nitido e immaginoso dell’artista ce le mostra in un bell’ordine definitivo, figure e tipologie riassuntive ed esemplari.
    I disegni si appoggiano sul bianco carta e da quel bianco il movimento e l’azione sembrano sempre nascere o fuggire, dal bianco sorge la luna o avanza la notte. Il foglio da disegno e le figure, gli arabeschi e le spugnature, i campi lunghi e i primi piani. Una magistrale, inarrivabile, prova d’artista.

    Testo tratto da: Andrea Rauch, Le parti e il tutto, in Sergio Toppi, Il segno della storia, a cura di Hamelin, Black Velvet, 2009.



    Edited by gheagabry - 21/8/2012, 21:06
     
    Top
    .
  8. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Chuck Jones, 100 anni dopo

    Chuck_Jones chuck-jones

    Oggi, 21 settembre, è il centenario della nascita di Chuck Jones, leggendario animatore, disegnatore, sceneggiatore di film e cartoni animati americano. Jones ha reso famosi e inventato alcuni dei più amati personaggi della serie Looney Tunes di Warner Bros., tra cui Wile E. Coyote (in Italia ha un sacco di nomi alternativi come Vilcoyote o Vile il Coyote, Willy o Willie), Beep Beep (Road Runner) e Daffy Duck.
    Chuck Jones disegna Bugs Bunny

    ortho

    Jones nacque il 21 settembre 1912 a Spokane, a Washington. In Chuck Amuck, la biografia che pubblicò nel 1989, Jones racconta che suo padre era un uomo d’affari di scarso successo e ogni volta che fondava una nuova impresa comprava matite, penne, fogli e altro materiale da cancelleria con sopra le iniziali dell’impresa. Quando i suoi progetti fallivano, regalava tutto il materiale ai figli, invitandoli a utilizzarlo in tempi rapidi. Jones e i suoi fratelli disegnavano continuamente e in seguito molti di loro intrapresero professioni artistiche.

    jon1-023

    Jones iniziò a lavorare nel settore dell’animazione nel 1933. Nel 1936 si sposò con Dorothy Webster – incontrata sul posto di lavoro e con cui ebbe la figlia Lisa – e nello stesso anno fu assunto come animatore alla Warner Bros., diventando in poco tempo un punto di riferimento dell’azienda fino alla chiusura del dipartimento di animazione, nel 1962. Jones lavorò con altri maestri dell’epoca – la cosiddetta epoca d’oro dell’animazione americana – tra cui il regista, disegnatore e animatore Tex Avery. Avery inventò Bugs Bunny ma fu Jones a renderlo famoso, trasformandolo in uno dei personaggi dei cartoni più amati di sempre e facendone il protagonista di What’s Opera, Doc?, giudicato tra i migliori cortometraggi di tutti i tempi e incluso dal Congresso americano nel National Film Registry perché considerato «uno dei film più significativi del nostro tempo dal punto di vista culturale, storico ed estetico».


    chuck-jones-06

    Durante la Seconda guerra mondiale, Jones iniziò a collaborare con lo scrittore e poeta Theodor Geisel, meglio conosciuto come Dr. Seuss: i due crearono insieme una serie di cartoni educativi. Nel 1944 Jones diresse Hell-Bent for Election, un cartone animato breve che invitava gli americani a votare Franklin D. Roosevelt alle elezioni presidenziali, e Angel Puss, un cartone con personaggi afroamericani ritratti in un modo successivamente considerato offensivo: non si trova più in commercio e fa parte dei cosiddetti Censored Eleven, uno degli undici cartoni della Looney Tunes messi al bando negli anni Sessanta perché ritenuti razzisti.


    tumblr_kxlbmdpnPx1qaciwyo1_500

    Jones raggiunse l’apice del successo tra gli anni Quaranta e Cinquanta. In questo periodo inventò i suoi personaggi animati più famosi: Pepé Le Pew, Marvin il marziano, Wile E. Coyote e Beep Beep. I cartoni su Wile E. Coyote e Beep Beep, insieme ai corti animati One Froggy Evening (1955), What’s Opera, Doc? (1957) e Duck Amuck (1953) sono considerati i suoi capolavori e alcuni tra i migliori disegni animati mai realizzati.

    Dopo la chiusura della Warner Bros. e un breve periodo alla Walt Disney Pictures, Jones aprì il suo studio di animazione, che nel 1964 venne assorbito dalla Metro Goldwyn Mayer. In questo periodo Jones realizzò molti cartoni di Tom & Jerry e nel 1964 curò l’animazione per il corto The Dot and the Line: A Romance in Lower Mathematics, che nel 1965 vinse l’Oscar al miglior cortometraggio di animazione e fu presentato in gara anche al Festival di Cannes del 1966. Nello stesso anno diresse per la tv Come il Grinch rubò il Natale, adattando una favola di Dr. Seuss.

    Bugs-Bunny-Bugs-at-the-Piano

    Quando nel 1970 MGM chiuse la sezione di animazione, Jones aprì un nuovo studio, Chuck Jones Productions. Continuò a dirigere brevi scene animate e cartoni e a tenere lezioni e seminari sull’animazione fino agli ultimi anni della sua vita. Il suo ultimo cartone per Looney Tunes è del 1996 e ha per protagonisti Bugs Bunny e Yosemite Sam; nello stesso anno ricevette l’Oscar alla carriera. Jones morì a New York il 22 febbraio 2002 per insufficienza cardiaca.

    chuck-jones-e1346442207339



    ilpost.it
     
    Top
    .
  9.  
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    moderatori
    Posts
    43,236

    Status
    Offline

    Morto Paolo Morales, il papà di "Martin Mystere". Aveva 56


    20130116_martin-mystere


    Mercoledì 16 Gennaio 2013

    ROMA - Lutto nel mondo del fumetto italiano. Si è spento oggi a Roma, dopo una lunga malattia, il disegnatore e sceneggiatore Paolo Morales, che aveva legato la sua fama al personaggio di «Martin Mystere». Aveva 56 anni. L'annuncio della scomparsa è stato dato dalla casa editrice Bonelli che «si unisce commossa al dolore della famiglia».
    Nato a Roma il 23 agosto 1956, dopo gli studi Morales inizia a occuparsi di fumetti a tempo pieno, esordendo nel 1978 come autore dello Studio Giolitti, realizzando alcuni episodi de «L'Uomo Mascherato» e storie fantasy e western per il mercato tedesco. Dal 1981 al 1997 lavora per le riviste «Lancio Story» e «Skorpio» dell'Eura, collabora con «L'Eternauta» per Comic Art, «Torpedo» delle Edizioni Acme, «Nero» edito da Granata Press « e con »L'Intrepido« della Universo.
    A partire dal 1991 lavora con Sergio Bonelli Editore per la serie »Martin Mystere«, di cui scrive, sceneggia e disegna varie storie. Sempre per Bonelli, nel 2009 scrive il romanzo a fumetti »Mohican«, illustrato da Roberto Diso, pubblicato nel 2010. Dal 1984 inizia a lavorare nel mondo del cinema (collaborando con grandi registi come Francis Ford Coppola e Martin Scorsese) e della televisione, realizzando storyboard per grandi registi, e, dal 1998, lavora anche come sceneggiatore, story-editor e disegnatore per diverse serie di cartoni animati, da »L'ultimo dei Mohicani« a »Kim«.
    Dal 2005 al 2009 collabora come regista della seconda unità per alcuni film tv diretti da Giacomo Campiotti. Tornando all'ambito fumettistico, nel 1993, insieme ad altri autori, fonda la »Scuola Romana dei Fumetti«, dove insegna la tecnica dello storyboard cinematografico. Nel 2012, realizza il numero 6 della collana »Le Storie«, in arrivo in edicola a marzo 2013.


    Fonte:www.leggo.it
     
    Top
    .
  10. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    FABRIZIO BUSTICCHI



    E' scomparso a 63 anni Fabrizio Busticchi, disegnatore di tante tavole degli eroi bonelliani. A darne notizia il sito internet Sergio Bonelli Editore, casa editricie per cui il fumettista aveva lavorato dagli anni Ottanta. Dopo le prime illustrazioni per la Rizzoli, arrivarono i fumetti ''Corrier Boy'', ''Intrepido'', ''SuperGulp!'', e ''Full''. Tra le sue opere più famose alcune tavole di ''Martin Mystère'', e ''Mister No'', collana alla quale darà darà il suo contributo per molti anni, lavorando insieme a Luana Paesani.



    Nato a Milano il 16 novembre 1953, Fabrizio Busticchi si diploma in grafica pubblicitaria all'Istituto d'Arte di Monza. Inizia la sua attività come illustratore per la Rizzoli, quindi, a metà degli anni Settanta, i primi impegni nell'editoria a fumetti: "Corrier Boy" (per cui disegna la serie "Edge"), "Intrepido", "SuperGulp!" e Full, quest'ultimo pubblicato dalla nostra Casa editrice, nel 1983. Definisce graficamente Allan Quatermain, archeologo avventuriero ideato da Alfredo Castelli e precursore del più celebre Martin Mystère, ispirato al personaggio creato da Henry Rider Haggard. Nel 1991, disegna alcune tavole dell'episodio di Martin Mystère in cui compare il suo prototipo letterario, intitolato "Allan Quatermain" (n. 112), e, nel 1993, passa nella squadra dei disegnatori di Mister No, collana alla quale darà il suo contributo per molti anni, lavorando in coppia con Luana Paesani. Sempre con Luana Paesani alle chine, successivamente, nel 2006 disegna per Demian, nel 2012 per Saguaro e, sempre lo stesso anno, per Universo Alfa, collana satellite di Nathan Never.

     
    Top
    .
9 replies since 13/11/2011, 11:13   4519 views
  Share  
.