PENISOLA ARABICA

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  1. gheagabry
     
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    Prendete solo ricordi , lasciate nient'altro che orme


    OMAN, Il corno d’Arabia


    C’era una volta una nazione, grande quasi quanto l’Italia, che non aveva luce elettrica, acquedotti e fognature, non conosceva i giornali, possedeva 9 km di strade asfaltate e un solo ospedale (straniero), dove per spostarsi da un posto all’altro occorreva un permesso e di notte vigeva il coprifuoco, dove tutti i poteri erano concentrati nelle mani di un sultano assolutista che aveva sui suoi sudditi poteri di vita e di morte e che fece chiudere le poche scuole esistenti, già precluse alle femmine, perché possibili fonti di corruzione. Questo succedeva non nel Medioevo ma fino al 1970 in Oman, estremo lembo sud-orientale della penisola arabica, una terra desertica ma tanto ricca in passato da produrre oro, incenso e mirra dei Re Magi e da essere la patria di Sindbad, l’intraprendente marinaio delle Mille e una notte, e di un popolo che per commercio spingeva le sue esili navi in tutto l’oceano Indiano da Zanzibar fino all’India e alla Cina. Nel 1970 prese il potere Qabus Bin Said, figlio del sultano oscurantista con studi in college britannici, che in quaranta anni ha trasformato radicalmente il paese, facendone uno dei più progrediti ed equilibrati del Medio Oriente.(ANNA MARIA ARNESANO)
    L’Oman è il terzo paese più grande della penisola arabica dopo l’Arabia Saudita e lo Yemen; differisce dagli altri Emirati del Golfo non solo nelle dimensioni, ma anche per la sua apertura verso l’oceano.
    Crocevia di tre continenti, l’Oman ha un ricco passato coloniale di scambi. Esiste ancora una forte atmosfera africana a Sur e a Mirbat, i più antichi porti di pesca del Paese. Seta e porcellana cinese, stoffe e spezie indiane compongono il paesaggio dei mercati dell’Oman, terra pregna dell’atmosfera incantevole del magico Oriente. Dalle strade dell’incenso a quelle dell’oro nero, la storia del Sultanato è scandita dagli scambi marittimi e terrestri. Secondo la leggenda, Sinbad il marinaio avrebbe vissuto intorno al X secolo a Sohar, un porto del Nord del Paese. Da secoli i dhow (imbarcazioni tipiche) hanno attraversato i mari del Golfo trasportando spezie tra Oriente e Occidente, tra Asia e Africa. Il nome dhow deriva dall’arabo mhele: una nave la cui prua era scolpita a forma di testa di cammello. Un dettaglio meno conosciuto della storia del Paese è il fatto che l’Oman fu l’unico impero coloniale in Medio Oriente a possedere depositi di merce sulla costa africana orientale tra Zanzibar e Mombasa. Le navi mercantili che partivano dal porto di Sur frequentarono le coste dell’Africa dell’Est. Prima di tutto verso il Mozambico per il commercio delle spezie, dell’oro e dell’avorio; poi nel XIX secolo fino a Mombasa, Pemba e Zanzibar. La prosperità di questi scambi fu tale che il Sultano di allora istallò la capitale e la sua corte proprio a Zanzibar dal 1831 al 1856. Alla sua morte, tedeschi, inglesi e francesi lottarono per imporre i loro Protettorati. Ancora oggi gli omaniti di Zanzibar conservano i loro tratti africani e parlano lo swahili. Gli Omaniti hanno sempre guardato al mare come fonte di scambio e commercio con i paesi vicini e sono così diventati anche esploratori di terre nuove. Sur è la città portuale da dove partirono i battelli per l’Africa dell’Est e l’India. I cantieri navali della città si possono visitare per ammirare la tradizione dei grandi navigatori perpetuata ancora oggi attraverso la fabbricazione dei dhow secondo metodi antichi, senza piani e senza chiodi, utilizzando solo tek delle isole omanite. Le pesanti porte in tek scolpite sono una testimonianza di questo passato comune. Importate in grandi quantità a Zanzibar dall’Oman, gli antichi arabi le consideravano come l’elemento più importante della casa: il primo a essere fabbricato e l’ultimo a essere istallato. Ogni disegno esistente sulla porta ha una simbologia: i pesci incarnano la fertilità, i fiori di loto la riproduzione e la saggezza, le palme la salute, le catene la sicurezza e i datteri l’abbondanza.

    .....storia.....


    Conosciuta nell’Antichità come regno di Magan e Makkan, l’Oman è un paese a forma di corno che si estende verso l’Iran tra una manciata di isole. I primi uomini arrivarono nel territorio dell’Oman dalla Mesopotamia attraverso lo Stretto di Hormuz per penetrarne all’interno. Ciro il Grande, fondatore della dinastia persiana, conquistò il paese nel 536 aC, un dominio che durò fino al 640 dC, sotto il controllo dei re sassanidi. I Persiani vissero in Oman fino all’avvento dell’Islam e diffusero le loro competenze per l’irrigazione. Furono infatti i creatori di un sistema d’irrigazione intelligente chiamato falaj che ancora oggi consente la coltivazione di terre aride.
    La seconda grande migrazione araba nell’Oman ebbe luogo nel 751 circa, sotto il controllo di Iulanda Bin Massud, il primo Imam del paese, capo religioso e politico. L’economia conobbe in quel periodo uno sviluppo senza precedenti: incenso, cuoio, cavalli, datteri e spezie circolavano nelle regioni di Batinah e Dhofar. Tra il VII e il XI secolo i marinai arabi stabilirono nel paese una serie di scambi commerciali che arrivavano fino al Sudafrica e in Eritrea. Nel XVI secolo, i portoghesi furono i primi europei a sbarcare nei porti della costa dell’Oman e a occupare i punti strategici del paese. Nel 1514, Alfonso de Albuquerque fece dello Stretto di Hormuz una base portoghese per la strada verso l’India. Muscat fu una roccaforte difficile da conquistare a causa della forte concorrenza tra Turchi, Persiani e altri europei che ambivano a presidiare la futura capitale. Tuttavia vi restarono fino al 1650 quando un membro della dinastia Yarubide conquistò Muscat e la sua costa. La presa di Mombasa nel 1665 segnò la fine definitiva del dominio portoghese. I depositi delle spezie e il mercato degli schiavi proveniente da Zanzibar fino a Mogadiscio e dal Bahrein fino al Pakistan contribuirono a costruire la fortuna dei sultani dell’Oman. Verso la seconda metà del XVII secolo, viene costituito lo Stato sovrano: nasce l’Oman, uno dei paesi indipendenti più antichi del Medio Oriente. Nel 1763, col Trattato di Parigi, il Regno Unito si impose nelle Indie a spese della Francia. Il Golfo rappresentò per Londra una via privilegiata di accesso alle coste indiane nominando un agente della British East India Company a Muscat per contrastare i persiani che stavano cercando di recuperare la capitale. Gli inglesi lanciarono campagne contro i pirati della costa e proposero una politica di sostegno del Sultano contro l’avanzata della vicina Arabia Saudita. Nel XIX secolo, l’Oman divenne un protettorato di fatto della Gran Bretagna e nel 1830 Muscat era il più grande deposito di merci nonché principale porto dell’Oceano Indiano.
    (dal web)



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  2. gheagabry
     
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    L'amor mio mi chiede:
    "Qual è la differenza tra me e il cielo?"
    La differenza è che se tu ridi - amore mio -
    io mi dimentico il cielo.
    (Nizar Qabbani)


    DAMASCO



    La capitale siriana appartiene a quella manciata di città misteriose che ci hanno sempre fatto dolcemente sognare.
    Damasco, città prestigiosa dell’Oriente arabo che non si lascia facilmente scoprire al primo sguardo, ma nasconde, infatti, dei quartieri secolari della città antica che riveleranno la dolce armonia che presiedette alla fusione di tutte le civiltà e culture che lasciarono la loro impronta sulla città. Ed è proprio qui che si ha l’ occasione di entrare in contatto con i siriani, un popolo accogliente e aperto, dal leggendario senso dell’ospitalità, in completa armonia con il fascino delle antiche viuzze, delle superbe dimore ad oggetto, dei giardini, degli intimi cortili damasceni e con la vitalità dei loro suq pieni di odori…
    Damasco nacque 6000 anni fa circa. Situata ai piedi della catena montuosa dell’Antilibano, al limite del deserto, vicino a sorgenti abbondanti, ad un fiume e a terre fertili, l’oasi di al Ghutah non poteva che essere abitata da quando i nomadi cominciarono a sedentarizzarsi. Cosa che ne fa oggi una delle città più antiche abitata fin dalla sua nascita senza interruzioni. Il nome “Dimashq” appare già nelle celebri tavolette di Mari, poi in quelle di Ebla e più tardi su papiri egizi del XIV secolo a.C.

    Damasco è la quarta città santa dell'islam dopo La Mecca, Medina e Gerusalemme, è ugualmente santa per gli sciiti e sunniti. É importante anche per i cristiani perchè qui l'apostolo Paolo compì la sua conversione, inoltre nella grande moschea degli Omayyadi è conservata la reliquia di San Giovanni Battista venerata dai mussulmani. Due terzi della popolazione è di credo sunnita ma sono presenti anche comunità cristiane di varie confessioni e un aminoranza armena. Esiste anche una piccola comunità ebraica molto ridotta dopo le varie guerre arabo-israeliane.


    ...la storia...



    I primi insediamenti documentati risalgono al IV millennio a.C. che fanno di Damasco una delle città abitate ininterrottamente da maggior tempo sulla terra. Sono stati trovati dei riferimenti a Dimashqa in reperti del III millennio di Mari e Ebla.
    All'inizio del II millennio fu conquistata dagli amorrei e quindi dagli egizi nel XV secolo. Successivamente fu conquistata dagli amarnei nel XIV secolo, dagli ittiti nel XIII e dai Popoli del Mare intorno al 1200 a.C. Nel 1000 a.C. Damasco divenne una città stato aramaica che dovette sottomettersi, nel 960-930 a.C., al re ebraico Davide. Gli ebrei furono sostituiti prima dai neoassiri di Tiglatpileser III nel 732 a.C., dai neobabilonesi nel VII secolo, achemenidi persiani (532 a.C.), seleucidi (II secolo a.C.) e per finire, la città passò nel I secolo a.C., all'armeno Tigranes il Grande e ai nabatei.
    La dominazione romana di Damasco iniziò nel 64 a.C. quando la città fu consegnata a Pompeo dai nabatei, in questo periodo continuò ad essere un importante centro commerciale tanto da meritarsi il titolo di metropoli, concesso da Adriano nel 130 d.C, e successivamente quello di colonia nel 222, da Alessandro Severo. Durante la dominazione romana si formò una forte minoranza cristiana e quando l'imperatore Giuliano (331-363) si convetì al cristianesimo trasformò il tempio di Giove in una grande cattedrale. La storia islamica di Damasco iniziò nel 636 quando fu conquistata dall'esercito omayyade agli ordini del califfo Khalid ibn al-Waid. Damasco divenne per più di 100 anni la stupenda capitale dell'impero omayyade e mantenne grande importanza strategica e militare anche dopo la conquista da parte degli abbasidi,nel 750, che trasferirono la capitale a Baghdad. La città seguì le vicende storiche di tutta l'area siriana e nei secoli seguenti subì l'occupazione egiziana dei tulunidi e fatimidi, quella degli zengidi, degli ayyubidi e dei mamelucchi nel 1250. Subì anche le varie incursioni mongole, molto grave fu quella del Tamerlano nel 1400.
    Nel 1516 Damasco passò in mano agli ottomani di Selim I. Sotto gli ottomani la città divenne un ricco capoluogo di provincia e un importante centro di traffici carovanieri come dimostrano i grandi caravanserragli nei pressi della meschea degli Ommayyadi e del palazzo Azem. Damasco rimase sotto il dominio ottomano fino al 1920 quando la Società delle Nazioni diede mandato alla Francia sulla Siria fino al 1946 quando divenne la capitale dello stato indipendente siriano.


    ...Moschea degli Omayyadi...



    Il luogo dove sorge questa moschea era già ulilizzato dagli amorrei duemila anni prima di Cristo per celebrare i loro dei.
    Anticamente questo luogo era sopraelevato rispetto il territorio circostante di 5-6 metri. Il primo santuario costruito in questo luogo era dedicato al dio semitico della tempesta Hadad-Ramman, il Baal-Hadad di Ugarit poi diventato, in epoca ellenistica e romana, Zeus o Jupiter-Damascenus. I romani modificarono il tempio originale nel I secolo a.C. e poi ancora tra il II e il III secolo d.C., all'epoca dei severi, diventando il forse il più grande della Siria romana.
    Nel IV secolo una parte del complesso fu trasformato in chiesa cristiana per il divieto imperiale di praticare culti diversi da quello cristiano. Nel 661 il califfo Muawiya fece erigere una moschea sul lato est, quindi per circa 50 anni i mussulmani e i cristiani celebrarono i loro riti fianco a fianco fino a che il califfo al-Walid terzo sovrano della dinastia omayyade tra il 705 e il 715 fece abbattere tutti gli edifici interni per erigere una grande "moschea di stato".
    In epoche successive questa moschea superò varie calamità senza subire molti danni ma nel 1893 un grave incendio la tanneggiò così gravemente da rendere necessari lunghi restauri. Il muro perimetrale della moschea segue la recinzione interna del tempio romano del quale ha mantenuto l'ingresso, Bab al-Barid, sul lato ovest utilizzato dai fedeli. Alla destra di questo ingresso è presente la sala per la abluzioni rituali.


    ....Palazzo AZEM....



    Poco a sud della moschea degli omayyadi si trova il Bait al-Azem, palazzo Azem. Questo palazzo e stato costruito, nel 1749, dal governatore ottomano dell'epoca Asad Pasha al-Azem nel tipico stile di una residenza ottomana. È suddiviso in più edifici al cui interno si trovano le sale per gli incontri degli ospiti, chiamate salamlek, e quelle private, haramlek. I diversi edifici, costruiti intorno a 2 cortili con fontana e giardino, sono ricoperti di marmo a fascie policrome come la pavimentazione dei cortili, il tutto da un gradevole effetto visivo che mitiga la maestosità del luogo.
    Nelle varie stanze è stato creato un museo etnografico, dove sono stati ricostruiti con oggetti e manichini momenti di vita nell'epoca ottomana. ....Nella cultura ottomana dell'epoca, quando una donna si sposava non poteva più uscire dal palazzo del marito e dovevano vivere nell'harem. Però potevano ricevere la visita della madre e quindi esistevano degli appartamenti dove soggiornavano le madri delle spose durante i periodi di visita, chiamati, ovviamene, "stanze delle suocere"
    (dal web)

    Dal 1920 al 1946 la Siria subisce la dominazione francese e con queste bellissime parole Nizar Qabbani descrive l'episodio dell'arresto di suo padre in quel periodo:
    “Nella nostra casa di Damasco nel quartiere di Mi'dhanat al-Shahm si convocavano riunioni politiche a porte chiuse e si progettavano scioperi, manifestazioni e atti di resistenza. Dentro le porte comunicavamo con sussurri che facevamo fatica a capire. La mia immaginazione da piccolo non era in grado di cogliere le cose con chiarezza ma quando vidi i militari senegalesi entrare in casa nostra alle prime ore dell’alba con fucili e baionette per portare via mio padre in un’auto blindata verso un campo di concentramento nel deserto, seppi che mio padre esercitava un altro lavoro oltre alla fabbricazione di dolci. Era fabbricante di libertà.”

    Nizar amava la sua città e sognava di diventare un pezzo della storia damascena, espresse questo desiderio in una poesia intitolata "La Damasco di Nizar Qabbani"...

    “Ed ecco che ora,
    con la pubblicazione del libro La Damasco di Nizar Qabbani,
    sento che un mio sogno antico si è realizzato.
    Era di diventare un giorno pezzo della storia di Damasco,
    una tessera del mosaico sulla facciata della Moschea Ommayade,
    un anello tempestato di turchese nel suq degli orafi,
    un salice che lava le sue trecce nelle acque dell’Ain al-Fija.”


    Damasco era presente nel cuore di Nizar

    "Damasco… giubilo di acqua e gelsomini" il cui inizio recita:
    “Non so scrivere su Damasco senza che si intrecci il gelsomino sulle mie dita
    Non so pronunciare il suo nome senza che sulla mia bocca si addensi il nettare dell’albicocca,
    del melograno, della mora e del cotogno
    Non so ricordarla senza che si posino su un muretto della memoria mille colombe… e mille colombe volano.”

    [alfiere del bel canto, dal web]



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  3. gheagabry
     
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    LA VIA DEI PROFUMI



    È la via sacra dei profumi. Un’antica strada che, attraverso deserti e montagne, unisce l’estremità della penisola arabica con il Mediterraneo. Una rotta commerciale tracciata per trasportare una resina speciale: l’incenso. Con tanto di pedaggi e dazi. E disavventure garantite da predoni e briganti, oltre a tempeste di sabbia, siccità e difficoltà di orientamento in lande spesso spettrali. Una via così importante e trafficata che ha favorito la nascita nel sud dell’Arabia di un regno florido e felice, l’Arabia Felix.
    La via dell’incenso non è una semplice pista sulla carta geografica. È molto di più. È una delle direttrici lungo le quali è passata la storia dell’uomo. Attraverso di essa sono venuti in contatto mondi lontani e diversissimi tra loro. Si sono toccate Europa e India, oltre che Arabia e Africa. Sono transitate merci, ma anche scienza, cultura, leggenda. Ma la via dell’incenso è legata a doppio filo anche al mito. La tradizione orale parla di un misterioso paese di Punt, terra verso la quale gli egizi effettuarono diverse spedizioni militari con l’intento di impadronirsi delle enormi ricchezze che venivano appunto dai luoghi di produzione dell’incenso. Allora, poco si sapeva dell’origine della famosa resina. Su di essa favoleggiavano letterati e storici. Ne parla Erodoto nel 430 a.C. spiegando che «gli alberi che producono l’incenso sono guardati da serpenti alati di piccola taglia e di vari colori che sono appesi a ogni albero».
    I Magi portarono a Gesù oltre all’oro e alla mirra pure l’incenso e forse anch’essi percorsero l’antica via. Richiestissimo, l’incenso veniva pagato in oro. Era usato come medicinale, nella cosmesi, per le imbalsamazioni ma soprattutto nelle funzioni sacre. Ovunque serviva a fini devozionali nell’area del bacino del mar Mediterraneo, in Mesopotamia e in India. E infatti il suo nome scientifico è Boswellia sacra.
    La pianta da cui si ricava è un albero, per la verità abbastanza modesto, per niente frondoso, molti rami e poche foglie, che nasce esclusivamente sulle rive del mar Arabico. E qui sta la sua particolarità: non si può coltivare altrove. Anticamente con l’incenso viaggiava anche la mirra, resina anch’essa. Sulle groppe dei cammelli si caricavano anche le merci che giungevano dall’India e dall’Africa. C’erano pepe, cinnamomo, zenzero, tessuti, oltre a perle, avorio, piume, pelli e oro.
    Se avessimo uno stradario antico, sapremmo che tutta la via dell’incenso si può percorrere teoricamente in due mesi. Se tutto va bene. Sono 2.400 chilometri da suddividere più o meno in 65 tappe. Così racconta lo storico Plinio il Vecchio. E infatti i cammelli, o meglio i dromedari, riescono a percorrere circa 40 chilometri al giorno.
    L’incenso veniva raccolto tra l’Adramauth e il Dhofar, aree montuose a ridosso del deserto, tra gli attuali Yemen e Oman. Poi la carovana proseguiva lungo una rotta terrestre che passava per San’a e da sud puntava verso Medina. Da qui si dirigeva su Petra per arrivare, attraverso gli attuali Giordania e Israele, in Palestina fino ai porti del Mediterraneo. Qui i preziosi carichi venivano imbarcati alla volta di Atene, Alessandria e le altre città dell’Impero romano, prima fra tutte Roma che ne era grandissima consumatrice. Si racconta che il solo Nerone nel 65 a.C. bruciò, in occasione dei funerali di Poppea, un’intera produzione annua, pari a tremila tonnellate, facendo salire il prezzo alle stelle.
    Oggi la Boswellia sacra cresce quasi esclusivamente nel Dhofar, in Oman. Preziosa e protetta, è stata messa sotto tutela dall’Unesco per garantirne la sopravvivenza dopo che negli ultimi decenni il mercato è stato invaso dall’incenso sintetico. Come un tempo, il profumo dell’incenso è nell’aria nel souq di Salalah, la principale città del Dhofar. La sua fragranza pervade l’aria e l’anima. La resina brucia in piccoli bracieri e le venditrici sono tutte donne dal volto coperto e dagli occhi nerissimi truccati con kajal. Sul prezzo si tratta incessantemente. Lambito il vasto e temibile deserto del Rub al-Kahli, la via carovaniera entrava in Yemen. Un grande impulso ai commerci della leggendaria Arabia Felix venne dato dal popolo dei sabei che tracciarono e sistematizzarono le piste carovaniere. Furono grandi ingegneri, civili e idraulici. Il loro leggendario regno di Saba o Sheba fiorì nel II secolo a.C. tanto che la ricchissima regina che si reca in Israele per mettere alla prova la saggezza di re Salomone viene citata sia dalla Bibbia che dal Corano.
    Alle porte di Shibam il viaggio prosegue ...Sullo sfondo vi sono le contese tribali per il controllo dei giacimenti petroliferi scoperti tra le sabbie del deserto, proprio dove si possono ancora vedere i pochi resti di Shabwa, altra importante città della via dell’incenso. Oltre il mare di dune si arriva a Marib, leggendaria capitale dei sabei. Qui ci sono i resti della grande diga di cui parlano gli storici antichi e alcuni templi legati a doppio filo al regno di Saba. Da Marib si segue ancora la rotta dell’incenso e si arriva nella splendida San’a, la più affascinante città della penisola Arabica. Le carovane che salivano dallo Yemen puntavano verso nord, entravano nell’attuale Arabia saudita, e poi facevano tappa prima a Medina e poi a Dedan. Un tempo tribù di nomadi e cammellieri si ergevano a guida delle carovane. Tra questi popoli vi furono i nabatei che per primi imposero un ferreo controllo sui commerci della penisola arabica. Furono loro a fondare la splendida Hegra (e con essa la più nota Petra, oggi in Giordania), importante snodo di traffico mercantile, come testimoniano le impressionanti rovine che si innalzano tra le basse dune del deserto dell’Hegiaz. Le solitarie tombe rupestri, magnificamente decorate, sono citate anche nella XV Sura del Corano.
    Abbandonata verso il 70 d.C. Hegra ha seguito il ciclo di decadenza della via dell’incenso quando i commerci iniziarono a preferire la via marittima lungo il mar Rosso ai rischi di quella terrestre. Nell’attuale Giordania, superata Petra e pagati i salati dazi, le carovane proseguivano verso nord. In vista del mar Morto la via dell’incenso virava decisamente a ovest ed entrava in Palestina.
    Le carovane seguivano per un lungo tratto l’ampia valle Arava e oltre Moa, sull’attuale confine israeliano, attraversavano il deserto del Negev che a quei tempi non era arido e desolato come adesso e i dromedari non avevano difficoltà a trovare pascoli verdi. Lungo la via c’erano città e caravanserragli che servivano da punto di appoggio. Mamshit era un importante emporio le cui impressionanti rovine includono una locanda, alcune chiese e antiche terme con piscine. Le soste successive si facevano nel vasto centro di Avedat e presso la piccola Shivta. La tappa finale era Gaza. Il tratto israeliano della via dell’incenso è stato inserito nella lista del patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
    C’è da sperare che la scelta di tutela nel Negev non riguardi soltanto i monumenti storici, ma che consideri parte vitale di questo ambiente anche i beduini che vi abitano da secoli. Depositari di una cultura millenaria... Arrivato a Gaza, l’incenso, il cui valore intanto era salito alle stelle a causa dei balzelli doganali e dei costi di trasporto, veniva imbarcato assieme alle altre merci verso le città del bacino del Mediterraneo.
    (Aldo Pavan)
     
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  4. tomiva57
     
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    GRAZIE GABRY
     
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  5. gheagabry
     
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    Lo YEMEN


    Yemen Repubblica dell'Asia sudoccidentale, nell'estremo sud-ovest della penisola arabica, formatasi nel 1990 dall'unione della Repubblica democratica popolare dello Yemen (Yemen del Sud) con la Repubblica araba dello Yemen (Yemen del Nord); benché i confini interni non siano ben delineati, il paese è delimitato a nord dall'Arabia Saudita, a est dall'Oman, a sud dal golfo di Aden e a ovest dal mar Rosso. Fanno parte del territorio dello stato anche le isole di Socotra, nel golfo di Aden, di Kamaran, nel mar Rosso, e di Perim, nello stretto di Bab al Mandab. La superficie dello Yemen è di 527.968 km2 e la capitale è San'a.
    L'estrema regione meridionale dello Yemen è calda e arida e si affaccia per circa 1200 km sul golfo di Aden con una stretta pianura sabbiosa; quella occidentale, la semidesertica Tihama, che si estende nell'interno per circa 50 km, presenta una lunga fascia costiera bagnata dal mar Rosso. La sezione centrale, dove precipitazioni irregolari ma abbondanti permettono le coltivazioni, è dominata da elevati altipiani e massicci montuosi solcati da profonde vallate; qui si trovano il Jabal an-Nabi Shu'ayb (3760 m), la massima cima del paese, non lontano dalla capitale, e l'Hadramawt, una valle che si estende oltre le catene dominanti il litorale sudorientale. Le alteterre, pur non presentando corsi d'acqua permanenti, sono interrotte da gole e valli originate dai numerosi fiumi a corso stagionale (uadi) le cui zone limitrofe, insieme alle oasi, costituiscono le aree più fertili del paese. Presso il confine nordorientale l'altitudine digrada, lasciando il posto al grande deserto sabbioso del Rub' al-Khali ("Regno del vuoto").


    La capitale, Sana'a, con le sue case a torre color ocra decorate di gesso, le decine di minareti, il Souk al-Milh dove in un'atmosfera medioevale si mescolano i profumi del cardamomo, del caffe', dell'incenso e della mirra, i colori delle sete, il luccichio delle Jambie e delle incensiere esposte fuori dalle piccole botteghe. La regione di Marib, un tempo fertile al punto da far definire questa zona "Arabia felix", dove regnò la mitica regina di Saba, Bilqis per gli arabi, che la leggenda vuole nata dall'unione di un principe himyarita con la figlia del re dei Ginn. Il miracolo di Shibam, dove, fra il deserto del Ramlat Al Sabatein e aridi altopiani, un blocco di 500 'grattacieli' di terra cruda di 7-8 piani resiste da secoli all'oltraggio degli elementi. E poi, in un alternarsi di deserti, altopiani, canyon, montagne, vallate e wadi, villaggi la cui bellezza lascia senza fiato: Al Hajjarin, Zabid, Al Hajjara, Jibla, Thula, Kawkaban. A ragione Pierpaolo Pasolini lo definì, architettonicamente, "il più bel Paese del mondo. Lo stile yemenita, un enigma solo parzialmente risolto, o di cui solo pochi sanno, se c'è, la soluzione". E se gli scenari naturali e architettonici sono una gioia per gli occhi, la fierezza, la gentilezza, la disponibilita' e la cortesia di questo popolo, lo sono per il cuore. I bambini, vocianti lungo le vie o affacciati alle minuscole imposte dei palazzi color terra, con i loro volti ingenui, le loro grida di stupore nel rivedersi attraverso il display di una macchina fotografica, i loro occhi rivolti al cielo come ad inseguire con lo sguardo un domani meno duro. Le donne, silenziose presenze, esili corpi coperti da un velo che risparmia soltanto gli occhi. I loro sguardi attenti spaziano al di la' di ogni stoffa, di ogni barriera artificialmente posta tra loro e il mondo maschile.
    ("una Venezia nella sabbia" da Alberto Moravia)

    ..la storia..


    Nell'antichità, la regione settentrionale dell'odierna Repubblica dello Yemen era considerata parte dell'Arabia Felix e nel I millennio a.C. fu dominio di minei e sabei, che ne fecero un fiorente centro di traffici basati su mirra, incenso e spezie. I sabei, abitanti del regno di Saba, avevano il loro centro a Ma'rib e praticavano l'agricoltura. Il regno dei minei (Ma'in) era situato nelle regioni settentrionali, con capitale a Karna (l'odierna Sa'dah); essi erano essenzialmente commercianti d'incenso, prima che la loro civiltà venisse oscurata dai nabatei, nel I secolo a.C. Più a sud si trovavano i regni di Qatabane, che nel tardo V secolo a.C. cadde in mano ai sabei, e di Hadramawt. Poco prima dell'avvento dell'era cristiana tutti questi regni furono raggruppati sotto l'autorità di Saba, ma già nel II secolo d.C. gli himyariti, commercianti di Muza, sulla costa del Mar Rosso, cominciarono a prendere il sopravvento.
    Dopo la caduta di Gerusalemme, nel 70 d.C., iniziarono ad arrivare nel regno himyarita i primi profughi ebrei, che vi diffusero largamente la loro religione; nel 330 circa la regione fu invasa dagli etiopi (cristiani) del regno di Aksum che, tenutala in potere sino al 378, la invasero nuovamente verso il 525, dopo che un governante himyarita di fede giudaica iniziò a perseguitare i cristiani. Mezzo secolo dopo, all'occupazione etiopica fece seguito il dominio dei Sassanidi e la trasformazione dell'area in una satrapia persiana. Intorno al 630, popolazioni beduine provenienti dal nord vi introdussero l'Islam e, non molto tempo dopo, la regione si trovò sotto la sovranità dei califfi, prima omayyadi, che avevano la loro sede a Damasco, e in seguito abbasidi, la cui capitale era Baghdad. Già nel IX secolo l'autorità dei califfi era venuta meno causando l'ascesa di dinastie locali. La più durevole fu quella sciita-zaydita, fondata nell'893, dalla quale discese l'ultimo imam (califfo) yemenita, destituito nel XX secolo. Il X e l'XI secolo assisterono alle continue lotte tra le diverse dinastie, alcune schierate con gli ortodossi Abbasidi, altre con i Fatimidi, sciiti discendenti dalla setta ismailita che avevano nel frattempo acquisito importanza in Africa del Nord. Intorno al 1173 gli ortodossi Ayyubidi invasero la regione e la riunirono sotto il loro controllo, ma nel 1229 dovettero piegarsi al dominio dei Rasulidi; sotto il governo di questi ultimi, Ta'izz, la loro capitale, divenne un fiorente centro culturale e Aden un importante polo mercantile.
    Dopo un tentativo di conquista da parte dei portoghesi (fine del XV secolo) il territorio dello Yemen fu raggiunto prima dai Mamelucchi e, nel 1517, dai turchi i quali, in breve tempo, occuparono l'intera regione; nel 1635 essi furono scacciati dalle aree meridionali dagli Zayditi i quali, posta la loro capitale ad Aden, governarono la regione sino a quando, nel 1735, i signori locali entrarono nuovamente in conflitto. Per contrastare la penetrazione del movimento wahhabita (proveniente dall'Arabia) e i tentativi di conquista degli egiziani di Mehmet Ali, nel XIX secolo l'impero ottomano cercò di ristabilire il proprio dominio e, nel 1872, completò l'occupazione di tutta la zona occidentale; quella meridionale, compresa Aden, nel 1839 cadde in mano agli inglesi i quali, soprattutto dopo l'apertura del canale di Suez (1869), svilupparono la città che divenne uno dei maggiori centri di rifornimento di carbone sulla rotta per l'India.
    Dopo anni di ribellione, nel 1911 lo Yemen settentrionale ottenne l'autonomia dalla Turchia e nel 1918 divenne indipendente sotto gli imam zayditi; nel 1934 l'indipendenza del paese fu riconosciuta anche dalla Gran Bretagna, che in cambio trasformò la zona meridionale in protettorato e colonia. Nel 1945 lo Yemen del Nord fu tra i fondatori della Lega Araba e, due anni dopo, si unì all'Organizzazione delle nazioni unite (ONU). Nel 1958, sei degli stati sopravvissuti del sud formarono, con il beneplacito inglese, la Federazione dell'Arabia meridionale che già nel 1965 comprendeva l'intera regione. Nel 1962 un colpo di stato dell'esercito capeggiato dal colonnello Abdullah al-Sallal, spodestò l'imam del nord, Muhammad al-Badr (da poco salito al trono), e proclamò la Repubblica araba dello Yemen (RAY).

    ....PASOLINI....


    Pasolini l'aveva capito, Moravia anche. I soli a non rendersene conto, se non con rabbia, sono stati forse i primi governanti moderni dello Yemen che, alla fine degli anni 60, si diedero a distruggere le antiche architetture per elevare casermoni bulgaro-coreani. E non a caso il salvataggio del patrimonio yemenita è oggi una delle grandi preoccupazioni dell'Unesco. Un patrimonio unico al mondo, un esempio vivente, soprattutto in architettura, di come si operasse nel passato. Perché, fino a pochi decenni fa, e in gran parte anche ora, lo Yemen, paese dei profumi e degli incensi, viveva ancora in un'epoca lontana. Come se l'Italia fosse passata in meno di 40 anni dal 1400 all'oggi, senza elaborare nessun anticorpo contro i virus della modernità. , Grattacieli di fango, torri da Mille e una notte e quindi il deserto, il più implacabile e sconosciuto. Eppure un deserto vivo, capace di rovesciare a ondate fiumi di popoli che noi conosciamo bene: accadi, babilonesi, assiri. E poi aramei, amaleciti, ebrei, arabi. «E' il deserto - spiega il professor Alessandro de Maigret, nome francese, parlata fiorentina, cattedra napoletana - che ha prodotto le genti che occuparono la fertile Mezzaluna, che costituirono tante civiltà del Medio Oriente. E fu sempre il deserto che ha partorito le civiltà sudarabiche». De Maigret, ci elenca nomi antichi, quelli della Bibbia, degli antichi portolani dei naviganti, le storie dei magi e dei mercanti: Sabei, Minei, Hymariti... In quell'angolo del mondo sorsero imperi antichissimi, regni che connettevano le civiltà della Valle dell'Indo con l'Africa, stati scomparsi sotto la sabbia ma che hanno lasciato lo stesso alfabeto all'Etiopia e a Saba, che hanno barattato l'oro del nord con gli aromi del sud. De Maigret e gli italiani scavano tra le sabbie e le montagne yemenite fin dal 1980 e hanno contribuito ad aggiungere una nuova famiglia a quelle che costituiscono la nostra civiltà (gli scavi di Baraqesh, i graffiti di Yalà sono tra i loro successi). Noi sappiamo che i pilastri della civiltà occidentale, quello greco, quello ebraico, quello romano, poggiano su strati più profondi: Mesopotamia, Anatolia, Egitto.
    Oggi scopriamo un altro basamento, quello sudarabico, così lontano e così vicino. Terra di favola, ma di favola in qualche modo nostra, se è vero che l'incenso e la mirra offerti a Betlemme venivano da qui, se è vero che la regina di Saba visitò Salomone e fino a ieri i re dei re di Etiopia (titolo persiano arrivato attraverso lo Yemen) vantavano di discendere da loro. «Ma fu la pietra il materiale in cui essi si riconoscevano - spiega de Maigret -, il durissimo granito e l'alabastro traslucido. Gente venuta dalla sabbia del deserto che si sentiva in qualche modo simile al sasso del deserto. Gente che fu unica nel costruire vie commerciali e nell'imbrigliare le acque». Quando i Persiani, nel V-IV secolo a.C, si impadronirono della via delle spezie e dei profumi i sudarabici seppero aggirarli passando per l'Africa e scendendo poi il Nilo. Gente che seppe rendere viva e fertile la sua terra costruendo dighe gigantesche. Dighe erette con le mani i cui resti lasciano ancora stupiti, come a Marib, come nelle tuttora vive cisterne a gradini dei piccoli paesi. Certo: l'ebraismo e l'islàm hanno portato questa lezione fin nel cuore del mondo, ma una delle radici di questo modo di intendere la fede in un dio irrapresentabile e ineffabile è qui. Un paesaggio completamente formato dal lavoro umano, un'architettura insieme mimetica e vivacissima. Quelle torri da leggenda, quelle case refrigerate con un uso sapiente della pietra traforata, quelle mura di fango più resistente del sasso. Una serie di immagini di un mondo che ha saputo fare della necessità arte e dell'intelligenza strumento di vita. Un mondo, è il caso di ricordarlo, arabo e islamico dove gli ebrei vivono in pace da forse duemila anni. Un mondo che non spreca una goccia d'acqua e che forse ha una lezione per questa modernità sempre più assetata. Ecco perché Pasolini, e Moravia, e Quilici ne furono affascinati. (tratto da il Messagero 3 Aprile 2000)
    Per contribuire alla difesa dello Yemen Pasolini realizzò nel 1971 il cortometraggio Le mura di Sana'a , documentario in forma di appello all' UNESCO (35mm - Durata 13'20" ). Girò inoltre in Yemen alcuni dei suoi momenti cinematografici più alti come ad esempio "Il fiore delle Mille ed una notte" (Durata 130')..Pasolini si innamorò della città yemenita di Sana’a e decise di filmarla, cercando di denunciare quella che già all'epoca si stava delineando come la distruzione di un mondo.
    Il documentario - girato alla fine alla fine delle riprese effettuate per la lavorazione de Il fiore delle Mille e una notte, per cui Pasolini trascorse lunghi periodi in India, Nepal, Iran, Eritrea, Etiopia, in Arabia e nello Yemen - si presenta infatti in forma di appello all’Unesco, un grido d’allarme per l’antica e straordinaria città capitale dello Yemen del Nord, minacciata con crescenti modifiche e abbattimenti. Al proposito così dichiarò lo stesso regista:
    "Era l'ultima domenica che passavamo a Sana'a, capitale dello Yemen del Nord. Avevo un po' di pellicola avanzata dalle riprese del film [...] Si tratterà forse di una deformazione professionale, ma i problemi di Sana'a li sentivo come problemi miei. La deturpazione che come una lebbra la sta invadendo, mi feriva come un dolore, una rabbia, un senso di impotenza e nel tempo stesso un febbrile desiderio di far qualcosa, da cui sono stato perentoriamente costretto a filmare [...] Ma è chiaro che se volessi veramente ottenere qualcosa, dovrei dedicare a questo scopo la mia intera vita. Son cose che qualche volta si pensano ma poi non si fanno. Frustrazione terribile, ma consolata dal pensiero che ci sono persone che, in realtà, per mestiere dovrebbero occuparsi di questi problemi e che dunque la responsabilità è dovuta a loro [...] Ma intanto ogni giorno che passa è un pezzo delle mura di Sana'a che crolla o vien nascosto da una catapecchia 'moderna'. [...] È uno dei miei sogni occuparmi di salvare Sana'a ed altre città, i loro centri storici: per questo sogno mi batterò, cercherò che intervenga l'Unesco."
    (arsworld.net - wuz.it)

    ...miti e leggende...


    La storia della regina di Saba, appena accennata dalla Bibbia, ha per secoli ispirato poeti, scrittori e artisti, superando per popolarità altre famose figure femminili dell’antichità. Eppure il racconto occupa poco spazio nell’Antico Testamento: in sintesi, dice che, avuta notizia della sapienza di re Salomone, la regina di Saba decise di metterlo alla prova con alcuni enigmi. La regina si recò quindi a Gerusalemme con un corteo di giovani e con cammelli recanti aromi, oro e pietre preziose. Salomone rispose a tutti i suoi quesiti e lei, soddisfatta, fece ritorno nel suo regno del sud. Sulla base di recenti scavi archeologici nel tempio di Bilqis (Yemen) e delle ricerche sul suo mito, oggi sembra accertato che la regina di Saba non fu solo un personaggio biblico. Gli arabi la chiamavano Bilqis. Gli etiopi Makeda. Lo storico ebreo Flavio Giuseppe (I secolo d.C.) Nikaula. I Greci la Minerva Nera. La regina compare nel Corano e in testi arabi successivi, che la descrivono con ricchezza di particolari: secondo la tradizione araba, dopo la prova degli enigmi e lo scambio dei doni, la regina di Saba non se ne andò subito. Prima ebbe il tempo di sposare Salomone. I cristiani copti aggiungono che la regina, andando a letto con Salomone avrebbe contribuito a fondare il regno d’Etiopia: dal suo rapporto sarebbe nato Menelik che, una volta cresciuto, andò a Gerusalemme per farsi riconoscere dal padre. Poi Menelik tornò in Etiopia con l’Arca dell’Alleanza.
     
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