CURIOSITA' STORICHE....

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  1. gheagabry
     
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    Curiosità storiche.....



    Rileggendo alcuni fatti del passato alla luce delle conoscenze scientifiche di oggi, si possono fare scoperte sorprendenti..Enrico VIII, re d'Inghilterra nella prima metà del '500, fondatore della Chiesa Anglicana, fu si dispotico e crudele, ma in un certo senso non era colpa sua. Il monarca ebbe 6 mogli...descritto come un giovane attraente e dai modi gentili, col passare degli anni si trasformò, nel fisico e nella mente: inrassò, si imbruttì e soprattutto divenne tirannico, irascibile e sanguinario. Al punto da far uccidere 2 delle sue consorti. Tra i suoi problemi, anche la difficoltà di generare un erede maschio (tutte le sue mogli ebbero molti aborti o partorivano bimbi morti). Colpevoli di tutto ciò, secondo uno studiò di Catrina Banks Whitley e Kyra Kramer della Southern Methodist University di Dallas, sarebbero due le condizioni genetiche: la prima fa si che nei globuli bianchi del sangue sia presente un gruppo di proteine chiamate "antigeni Kell"...la seconda determina una malattia rara chiamata "Sindrome di McLeod. E mentre quest'ultima sarebbe la responsabile dei comportamenti malvagi e tirannici, gli antigeni di Kell avrebbero determinato la sua difficoltà di procreare.
    Infatti, queste proteine si trasmettono ai figli, e se un uomo ne è portatore, alla prima gravidanza non ha problemi, ma nelle successive la donna produce anticorpi che attaccano il feto, compromettendone lo sviluppo. Lo studio è stato condotto sui discendenti di Enrico VIII... la prova definitiva si avrà solo esaminamdo le spoglie del Re.................Ivan il Terribile sarebbe stato così sanguinario perchè era sotto gli effetti di una intossicazione, tipica della sua epoca, quella di mercurio. La sua tomba è stata aperta negli anni 60 e l'analisi delle ossa ha svelato abbondanti tracce di questo elemento. Le conoscenze dell'epoca avevano portato a credere però che fosse stato avvelenato con il mercurio stesso, oppure che lo avesse assunto per la cura della sifilide di cui soffriva. Invece secondo una recente ipotesi, lo consumava volontariamente, per beneficiare degli effetti di questo metallo sul sistema nervoso. (tratto da Focus extra n° 52)


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    Edited by gheagabry - 12/4/2013, 16:53
     
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  2. gheagabry
     
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    La storia profuma di legno e gelsomino




    Si può ritrovare il passato attraverso il profumo? Chi lo sa. Di certo maestri profumieri, storici, archeologi e scienziati hanno dato il via a una nuova collaborazione per ricreare gli odori della storia. D’altra parte ogni epoca può essere ben descritta con un profumo. Quale sentore hanno gli anni Settanta se non quello dell’orientale Patchouli? Per non parlare del decennio seguente quando non c’era spiaggia che non odorasse del cocco degli oli abbronzanti. Il legno e il gelsomino del profumo Chanel segna sicuramente l’emancipazione delle donne negli anni Venti. E tornando ancora indietro nel tempo?

    L’Osmotheque di Versailles raccoglie un vasto archivio di profumi storici. Come l’acqua di Colonia che Napoleone portò con sé nel suo esilio a Sant’Elena. La fragranza è stata riprodotta grazie agli appunti presi dall’assistente dell’ex imperatore.



    Di tutti i sensi l’olfatto è quello più legato ai ricordi, basta pensare a quale potere evocativo abbiano dato ai profumi scrittori come Proust, Baudelaire e Suskind. Potrebbe essere un’esperienza unica annusare la fragranza che i ricercatori del museo egizio di Bonn cercano di rimettere insieme utilizzando 80 elementi diversi (soprattutto resine e incensi) trovati in flaconcino accanto ai doni funebri di Hatshepsut, celebre regina egiziane.
    di Caterina Pinna

    Avrà, nella sua formula, la nota della tristezza, l’acqua di Colonia che Napoleone usava nel suo esilio a Sant’Elena e che un team di storici ed esperti di profumi è riuscita a ricreare? Probabilmente no. La fragranza è stata riprodotta grazie agli appunti presi da un assistente dell’ex-imperatore ed è ora nella collezione della Osmotheque di Versailles, vasto archivio di profumi storici.
    Si può ritrovare il passato attraverso i profumi perduti? Forse sì.
    Storici, archeologici, scienziati, maestri profumieri hanno iniziato una nuova collaborazione per ridare gli odori alla storia. Le tecnologie usate per analizzare residui organici su reperti millenari sono impiegate oggi per ricostruire odori e profumi.
    "Mi sembra significativo che mentre usiamo tutti i sensi per fare esperienza del mondo che ci circonda, il passato ci si presenta del tutto inodore", si stupisce lo storico sensoriale Mark Smith.
    Ogni epoca ha in realtà un odore che la contraddistingue.
    Un profumo di Chanel, con i suoi accordi di legno e gelsomino, ci racconta dell’emancipazione delle donne negli Anni ’20. Il sentore forte del patchouli ci riporta subito agli Anni ’70. E l’odore di un abbronzante al cocco ci trasporta su una spiaggia degli Ottanta.



    E per epoche più lontane? Anche qui si può provare a rintracciare gli odori, se non necessariamente i profumi. Una visita allo Jorvik Viking Center di York, Inghilterra, è un’esperienza forte per le narici delicate. Gli odori sono quelli di un villaggio vichingo dell’alto Medioevo: pesce marcio, rifiuti, pelli conciate. Più piacevole, ma altrettanto strano, potrebbe essere un assaggio del profumo usato da Hatshepsut, la più diva delle regine nell’Egitto dei Faraoni: i ricercatori del museo egizio di Bonn stanno cercando di rimettere insieme 80 elementi diversi (soprattutto resine e incensi) dai residui trovati in un flaconcino.
    Lo stesso accade con le piccole bottiglie di profumo amate dai mandarini cinesi. Non solo si cercano di recuperarne le essenze, ma i contenitori sono oggetto di un collezionismo forsennato e ispirano i designer delle case produttrici di profumi. Laudamiel, noto produttore francese, è al lavoro su formule di profumi trascritte in sanscrito da bramini medievali peruso religioso.




    Prima degli scienziati, grandi scrittori hanno parlato del potere evocativo dei profumi, da Baudelaire e Proust a Suskind. Di tutti i sensi, l’olfatto è quello più legato ai ricordi: le informazioni sono processate nell’ippocampo e nell’amigdala, che è la sede della memoria e delle emozioni. Ma cosa succede se si annusa un odore di cui non abbiamo esperienza? «Gli odori del passato devono essere inseriti nel loro contesto, altrimenti potrebbero essere fonte di equivoci», ha spiegato Smith al «Boston Globe».

    Intanto i profumi d’antan ispirano i profumieri moderni. Patricia de Nicolai, presidente di Osmotheque e produttrice indipendente, ha creato un profumo basandosi su una formula del 1800. La stessa Colonia di Napoleone è in vendita a Versailles. È invece in cerca di un mago del marketing il «più antico profumo del mondo», scoperto a Cipro, isola natale di Venere, da un’equipe italiana del Cnr guidata da Maria Rosaria Belgiorno nel 2003, risalirebbe al 2000 a.C., circa.
    Le ricette ritrovate hanno permesso di ricomporre il mosaico essenze nel centro sperimentale di Blera, grazie a un metodo indicato da Plinio il Vecchio. L’idea è quella di confezionarlo in boccette che ricordano quelle originali dissotterrate a Cipro, e farlo annusare ai visitatori dei musei di antichità. Sarebbe come mettere il naso nel nostro passato più remoto.
    (Articolo di Fabio Sindici tratto da LaStampa.it)



     
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  3. gheagabry
     
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    Numeri della storia

    appiaantica

    372

    ..le strade di Roma..

    Le grandi strade romane censite al tempo dell'imperatore Diocleziano (244-311) erano 372, per un estensione complessiva di 50 mila migli, cioè 80 mila km, ma forse l'intera rete lastricata superava i 100 mila km.
    A conto si possono aggiungere 150 mila km di strade non lastricate.



    583

    La lunghezza della via Appia tra Roma e Brindisi era di 583 km. La via Appia è considerata fin dall'antichità " la regina delle strade".
    E' la più antica strada consolare, costruita da Appio Claudio nel 312 a. C. in quell'epoca portava solo da Roma a Capua.



    5

    La larghezza media delle strade romane corrispondeva a 5 metri (per consentire il passaggio di 2 carri affiancat) cui si poteva aggiungere oltre un metro di marciapiede.
    Sotto, sezione di strada con fondo in legno adatta per terreni cedevoli.



    35

    Aree di servizio e stazioni di cambio. Le mansiones, le aree di sosta destinate ai viaggiatori per servizi, si trovavano a 35 km l'un dall'altra.
    Ogni 20 km circa c'erano circa stazioni di cambio per gli animali,le mutationes, dove si potevano trovare anche maniscalchi e veterani specializzati




    3

    Altezza cippo..Ogni miglio veniva posto ai bordi della strada una pietra cilindrica alta 3m, sulla quale erano incise le miglia percorse dalla città precedente,
    quelli alla successiva, la distanza da Roma e i nomi di coloro che avevano fatto costruire la strada.



    2,5

    Il ponte più lungo..Per superare gli ostacoli naturali, i Romani costruirono viadotti, gallerie e ponti.
    Il ponte più lungo fu quello di 2,5 km costruito sul Danubio per volere di Traiano (53-117 d.C.)



    150

    La velocità di Giulio Cesare... Quando nel 58 a.C. Giulio Cesare venne a sapere che gli Elvezi si stavano preparando a migrare verso le regini occidentali della Gallia Narbonese (provincia romana), partì immediatamente e percorse 150 km marciando per 8 giorni consecutivi


    7

    Il numero dei giorni impiegati dai corrieri imperiali...I corrieri imperiali impiegavano 7 giorni per andare a cavallo da Roma a Brindisi, 25 se proseguiva per Bisanzio, 40 per Antioca, 60 fino ad Alessandria d'Egitto.


    30

    30 km al giorno era la media di percorrenza di un viaggiatore a piedi lungo le strade romane. Utilizzando un carro si percorrevano circa 40/45 km in un solo giorno. I messaggeri imperiali a cavallo percorrevano in media 75 km al giorno, ma in casi eccezionali potevano correre e darsi il cambio fino a stabilire dei record come 200 km al giorno. Così accadde nel 69 d.C. quando fu portata a Roma la notizia della rivolta delle Legioni di Magonza



    costruzione



    da civiltà, luglio 2012

    Edited by gheagabry1 - 15/3/2020, 19:53
     
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  4. gheagabry
     
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    NUMERI NELLA STORIA

    00mille

    1089
    I Garibaldini sbarati a Marsala


    Il 5 maggio 1860 da Quarto erano partiti in 1162, ma a Talamone 64 garibaldini si erano distaccati per una spedizione verso Roma, e 9 mazziniani avevamo abbandonato l'impresa.



    6 milioni

    Il costo della spedizione dei Mille, 6.125.345 milioni di lire, venne sostenuto dal Governo provvisorio di Sicilia. 851.738 mila lire furono ricavate da una sottoscizione pubblica. Inoltre, non mancarono finanziamenti da parte dei britannici.



    15
    stranieri


    Diversi volontari venivano dall'estero, senza contare Nizza, Savoia e territori italiani dell'impero Asburgico: tra gli altri il figlio brasiliano di Garibaldi, Menotti, 4 ungheresi, un africano dell'Angola, 2 svizzeri, un corso, un boemo, un "italiano di Gibilterra, un greco e un turco.



    jpg


    150
    Camicie rosse inventate in Uruguay


    La tipica giubba di panno rosso venne scelta la prima volta da Garibaldi come segno distintivo dei soi 500 uomini impegnati a difendere la Repubblia uruguayana dal dittore argentino. Durante la spedizione dei Mille era indossata solo da una minoranza di volontari.



    440
    Lombardi


    Tra i Garibaldini, la regione che diede il maggior contributo fu la Lombardia: un quinto dei volontari totali veniva dalla provincia di Bergamo. Seguivano 160 liguri e oltre i 100 i veneti. Più di 40 uomini erano siciliani; 80 e 40 rispettivamente vennero da Toscana ed Emilia Romagna.



    7
    Bianchi


    Bianchi risulta il cognome più diffuso tra i1089 Garibaldini registrati sulla Gazzetta Ufficiale del 1878. Seguono con 4 attestazioni ciascuno: Garibaldi (compreso il figlio), Carrara, Cattaneo, Conti, Panseri, Ricci, Riva, Rossi e Testa.



    50
    metri


    Era la lunghezza dei piroscafi Lombardo e Piemonte usati per la traversata, ciascuno dalla stazza di 240 tonnellate.



    32
    traditori


    Recentemente studiosi neoborbonici hanno proposto una lista di 32 alti ufficiali dell'esercito siciliano che facilitarono le vittorie di Garibaldi per danaro o per dabbenaggine. Altri studiosi parlano di 2300 collaboratori di vario rango. Il primo nobile siciliano a cambiare bandiera fu Sebastiano Santanna, barone di Alcamo. Tra coloro che abbandonarono le armi borboniche anche i mercenari bavaresi.


    garibaldi-palermo


    11
    anni


    Il più giovane Garibaldino era Giuseppe Marchetti di Chioggia, arruolatosi con il padre Luigi. Tommaso Parod, il più anziano, aveva 70 anni. Nella spedizione c'era anche una donna, Rosalia Montmasson, moglie di Franesco Crispi, ma imbaratasi di nascosto da lui in abiti civili.



    35.000
    soldati


    L'esercito del sud consegnato da Garibaldi a Vittorio Emanuele II a Teano (in realtà Vairano) il 26 ottobre 1860. La onversazione tra i due durò 20 minuti.


    86
    vittime della spedizione


    I Garibaldini partiti da Quarto che persero la vita tra Marsala e la fine dell'impresa a Napoli. Altri 41 caduti caddero in seguito a altri episodi del Risorgimento.



    Edited by gheagabry - 12/4/2013, 16:45
     
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  5. gheagabry
     
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    Le IDI di MARZO


    Le idi di marzo sono una data dell’antico calendario romano, diventata celebre perché fu quella in cui, nel 44 a.C., venne ucciso Giulio Cesare. Molti dipinti e opere d’arte hanno fatto riferimento alle idi di marzo nel titolo o come momento chiave della narrazione, dal Giulio Cesare di Shakespeare alla poesia Idi di marzo del poeta greco Costantino Kavafis. “Idi”, idus in latino (femminile plurale, della quarta declinazione), era il nome con cui venivano indicati i giorni più o meno a metà di ciascun mese del calendario romano. I giorni del mese, infatti, non erano numerati progressivamente dal primo all’ultimo come oggi, ma erano chiamati in base a una serie di date fisse: il primo giorno del mese erano le calende (calendae), poi veniva “il giorno dopo le calende”, e poi si iniziavano a contare i giorni che mancavano prima delle altre due festività mensili: le none e le idi. Queste due festività cadevano il quinto e il tredicesimo giorno dei mesi di gennaio, febbraio, aprile, giugno, agosto, settembre, novembre e dicembre, mentre cadevano il settimo e il quindicesimo in marzo, maggio, luglio e ottobre.
    Calende, none e idi erano in origine legate al ciclo lunare e indicavano rispettivamente la luna nuova, il primo quarto e la luna piena: ma con il tempo e le diverse riforme del calendario che si succedettero in età romana, il calendario diventò invece solare e il rapporto con le fasi lunari si perse completamente. L’ultima grande riforma del calendario venne fatta proprio da Giulio Cesare e entrò in vigore nel 45 a.C., con alcuni aggiustamenti fatti dal suo successore Ottaviano Augusto. Questo calendario, detto giuliano, era di 365 giorni e prevedeva gli anni bisestili: fu preciso a sufficienza da diffondersi in tutto l’Occidente anche dopo la caduta dell’impero, e venne sostituito solo nel 1582 con una riforma del papa Gregorio XIII (il calendario gregoriano che usiamo ancora oggi).
    L’anno dopo l’introduzione del calendario, Giulio Cesare venne ucciso da una congiura organizzata da una serie di personalità legate al Senato di Roma, tra cui i celebri Bruto (Marco Giunio Bruto) e Cassio (Gaio Cassio Longino), e assassinato con diverse pugnalate mentre si trovava nel Teatro di Pompeo. Venne ucciso perché nel corso degli anni era diventato sempre più potente, concentrando su di sè diverse cariche e minacciando l’autorità e il potere del Senato. La sua morte diventò uno degli episodi più celebri dell’antichità romana, interpretata in molti modi nei secoli successivi e nel Quattrocento italiano, ad esempio, fu l’oggetto di un dibattito culturale. Per alcuni divenne il simbolo della giusta uccisione di un tiranno, per salvare le istituzioni della repubblica: come nel busto di Bruto scolpito da Michelangelo o nella tragedia Bruto secondo di Alfieri. Per altri Bruto e Cassio diventarono il simbolo del tradimento (il filo-imperiale Dante, nel XXXIV canto dell’Inferno, li sprofonda più in basso possibile, nella bocca di Satana insieme a Giuda). Ma la data delle idi di marzo è rimasta come simbolo di una data tragica e attesa legata al potere, vista la leggenda, raccontata già dagli storici antichi e ripresa da Shakespeare, che la morte di Cesare gli fosse stata preannunciata da un indovino proprio per le idi di marzo.
    (ilpost)
     
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  6. gheagabry
     
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    Chi e“clown”?




    Indubbiamente, ci sono grandi differenze tra comico, intrattenitore, buffone, umorista, satirista, barzellettiere, istrione, saltimbanco, pagliaccio (buffone travestito con una veste simile a un sacco di paglia), clown (termine scandinavo che significa “buffo, rozzo, goffo)”…. Ma sono tutti accomunati da un effetto: fanno ridere. E far ridere è una delle arti più difficili e preziose. Proprio grazie a quest’arte, solo per citare due esempi contemporanei, l’Italia ha conquistato un Nobel (proprio con un giullare: Dario Fo) e un Oscar (con Roberto Benigni). E da 40 anni in alcuni ospedali i clown sono diventati un’integrazione alle cure: la clownterapia, fondata dal medico statunitense Hunter “patch” Adams. Ma allora perché chi possiede questo talento è oltraggiato, tanto da essere considerato “persona poco seria, che si comporta in modo ridicolo o sulla quale non si può fare affidamento”?

    La risposta va cercata nella Storia. Ed è una risposta sorprendente. Innanzitutto perché i comici sono nati come figure sacre nell’antica Grecia. Durante i culti di Dioniso, feste contadine che celebravano la rinascita primaverile, c’erano demoni ballerini, i fliaci, che sfilavano con ventre e sedere imbottiti, indossando un fallo artificiale. Il riso serviva a scacciare gli influssi nefasti e ad alimentare la forza rigeneratrice della natura, in cui aveva un ruolo centrale il sesso: e infatti questi primi comici furono trasgressivi, nelle movenze e nel linguaggio. La commedia è nata qui, e poi si è trasferita a teatro, prendendo di mira i potenti, i costumi e la cultura del tempo.



    Nel Medioevo, il comico si è diviso in due figure opposte: da un lato il buffone di corte, organico al Potere, che lavorava stabilmente per far divertire il Signore di turno. Spesso era nano o deforme, matto o demente: una valvola di sfogo per i potenti. Dall’altro lato, il giullare (termine che deriva dalla parola “gioco”): un artista di strada, capace di divertire con battutacce. Era una persona ai margini della società perché non apparteneva a nessuna delle classi del tempo (sacerdoti, guerrieri, contadini). E proprio per questo era libero di vestirsi e di dire ciò che voleva, attirando però le ire dei teologi: perché parlava di sesso senza tabù e perché il riso allontanava gli animi dalla ricerca di Dio. Ricordate “Il nome della rosa” di Umberto Eco? La storia ruota proprio intorno a un monaco benedettino che voleva nascondere un manoscritto, il libro della “Poetica” di Aristotele dedicato alla commedia. Un manoscritto pericoloso, perché avrebbe legittimato il riso.



    Eppure, già a quell’epoca c’era stato un religioso che era andato decisamente controcorrente: San Francesco d’Assisi, che si definì “giullare di Dio” proprio per rimarcare la sua follia, la sua volontà di rinunciare ai valori mondani per godere di una piena letizia.
    Lo spirito dei giullari è sopravvissuto nel Carnevale, un momento liberatorio in cui cadono i divieti ma anche le barriere gerarchiche che separano le persone. Un risultato ottenuto grazie alle parolacce: un linguaggio libero, diretto e giocoso, che permette di cogliere le cose per quello che sono. Secondo il critico letterario russo Michail Bacthin, con le parolacce «Ogni cosa prende accenti diversi, familiari e liberi dalla paura. È la liberazione dalla meschina serietà degli affari della vita quotidiana, dalla serietà sentenziosa e cupa dei moralisti e dei bigotti.» Anzi: “Il riso è una delle forme più importanti con cui si esprime la verità sul mondo, sulla storia, sull’uomo: è un punto di vista particolare e universale. Solo al riso è permesso di accedere a degli aspetti estremamente importanti della realtà“.



    Ma tutto questo è finito nel 1600, con la nascita delle monarchie assolute che hanno arginato lo spirito del Carnevale: perché il Potere per mantenersi ha bisogno dell’autoritarismo, dell’ufficialità, dei divieti. Il potere è serio: e, avverte Bachtin, c’è sempre, in questa serietà, un elemento di paura e di intimidazione. Il riso, invece, presuppone il superamento della paura, non impone divieti né restrizioni. Il potere, la violenza, l’autorità non usano mai il linguaggio del riso. Inoltre, il potere è statico, si basa sul principio della gerarchia immutabile ed eterna, dove il superiore e l’inferiore non si mescolano mai. Perciò nella cultura ufficiale le lodi e le ingiurie non si possono mai mescolare».

    Ecco perché la politica ha tanto paura dei comici e vuole svilirli!!! Perché rischiano di sgretolare il Potere dalle fondamenta. Ma non è l’unico motivo.

    La figura del comico è, secondo Carl Gustav Jung, un “archetipo”, ovvero una figura ricorrente e universale, presente nell’inconscio collettivo. E’ il folle, lo scemo del villaggio, il jolly, il trickster: un abile imbroglione, amorale, al di fuori delle regole, capace di salvarsi dalle situazioni più ingarbugliate grazie al suo misto di ingenuità e astuzia, di creatività e incoscienza. E’ un comico furbo, triviale, che con le sue trovate creative riesce a mettere in contatto l’umano col divino, rovesciando l’ordine costituito e creando un mondo differente. Come l’eroe della mitologia greca Prometeo, che rubò il fuoco agli dèi e lo portò agli uomini. E questo aspetto fa ancora più paura al Potere…
    (vito tartamella)





    Sono la Matta, sto nelle carte,

    quando mi peschi e io ti sorrido,

    il gioco falsato si fa divertente.

    Son l’occasione, sono la sorte,

    sono l’arcano, lo zero, il niente,

    la congettura disordinata

    da cui il tutto poi si diparte.

    Son cortigiana, son corteggiata,

    sono squillante come i sonagli,

    sono risate dietro i ventagli,

    sono follia che ti forza il destino,

    sono il capriccio, creante e creata.

    Son bizzarria che vuoi dominare

    ma che davvero non sai possedere,

    nessuno ha dita forti abbastanza

    da trattenermi a lungo nel gioco,

    dopo una mano è finita, in sostanza.

    Sono il giullare della tua corte,

    vivo di poco, costo anche meno,

    sono lo specchio sincero al tuo nulla,

    mille lusinghe, gran complimenti.

    Meglio non crederci, sono fasulla.

    (Isadora Drunken)



    Edited by gheagabry - 12/4/2013, 16:54
     
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  7. gheagabry
     
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    SETH TARAS

    I suggestivi fotomontaggi di Seth Taras, il fotografo americano che fonde immagini storiche con scene di vita quotidiana per insegnare a chi guarda che la grande storia... è dappertutto.


    foto-storiche-montaggi-presente-know-where-you-stand-seth-taras-3

    La Terrazza del Palais de Chaillot
    Gli amanti della storia non potranno che ammirare queste foto. Sono l'opera di un fotografo autodidatta, Seth Taras, che ha ritratto oggi i luoghi storici immortalati in altrettanti momenti storici. Con un programma di fotoritocco ha sovrapposto le immagini di oggi alle foto storiche creando sapiente mix.
    Il suo lavoro è stato utilizzato dal canale televisivo americano History Channel per una campagna pubblicitaria che ha previsto anche degli spot televisivi, visibili nell'ultima foto di questa gallery.
    Nell'immagine, Parigi, 1940/2004: Adolf Hitler e due ragazzi su una delle terrazze del Museo della Marina, di fronte alla Torre Eiffel.




    Straße des 17. Juni
    Berlino, 1989/2004: la Straße des 17. Juni (Via del 17 giugno) come appariva nel 1989 poco prima della caduta del muro e nel 2004.




    Lo sbarco in Normandia
    Saint Laurent-sur-mer, Normandia, 1944-2004: i primi fanti americani sbarcano a Omaha Beach. È l'inizio della liberazione dell'Europa dal giogo nazista, che non sembra per altro disturbare i giovani cercatori di conchiglie moderni.




    Il disastro dell'Hindenburg
    Lakehurst, New Jersey, 1937/2004: un uomo porta a spasso il suo cane mentre alle sue spalle si consuma uno dei più celebri disastri aerei di sempre. Il dirigibile Hindenburg, partito 3 giorni prima da Francoforte in uno dei primi voli di linea intercontinentali della storia, si incendia a pochi metri dal suolo provocando la morte di 36 persone.



    Edited by gheagabry1 - 15/3/2020, 20:02
     
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  8. gheagabry
     
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    ...e i MEDICI ordinarono di catturare MACCHIAVELLI

    why-niccolo-machiavelli-wrote-prince

    Un mandato di arresto "eccellente" del 1513 è stato ritrovato per caso a Firenze dallo storico Stephen Milnet, dell'Università inglese di Manchester: L'avviso destinato alle ugole dei banditori dell'epoca, riguardava Niccolò Macchiavelli, il più famoso politico rinascimentale, caduto in disgrazia e accusato dai Medici di cospirare contro di loro.

    Il documento è la testimonianza delle fine della carriera di Macchiavelli, poi catturato, torturato per un giorno e mandato in esilio forzato fuori città. Inutili i suoi tentativi di rientrare nelle grazie dei governatori di Firenze, anche dopo la scrittura de "il Principe" considerato acora oggi un capolavoro sull'arte della politica.




    focus, storia
     
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  9. gheagabry
     
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    Qual era il quadro preferito da Hitler, Lenin e Freud?

    isola-dei-morti




    È l’isola dei morti, l’opera più famosa dell’artista svizzero Arnold Bocklin. Ritrae un’isola spettrale che emerge da un lago, folta di cipressi e circondata da alte rocce. In primo piano, su una piccola barca, una figura coperta da un lenzuolo bianco, forse un fantasma, traghetta una bara. Il pittore simbolista, che spesso si ispirava a mondi fantastici e mitologici, ne dipinse 5 versioni, dal 1880 al 1885. La terza fu acquistata da Hitler per una cifra altissima (oggi circa100 milioni di euro).

    Il dittatore aveva appeso il quadro nel suo studio e lo portava sempre con sé, perfino nel bunker dove si suicidò.

    Pittura da leader
    La passione di Hitler per l’opera di Bocklin fu condivisa anche da altri personaggi storici: Lenin ne teneva una versione appesa sopra il letto, mentre Freud ne aveva addirittura 22 copie nel suo studio. Anche D’Annunzio ne possedeva una.

    Le parolacce fanno paura ai dittatori

    DUxTrux-200x300

    Con le parolacce si possono fare molte cose. Ci si può sfogare, eccitare, ridere… E anche far vacillare una dittatura. Non ci credete? Chiedetelo alle 5 mila persone che, fra il 1926 e il 1943 furono denunciate, sotto il regime fascista, semplicemente perché avevano imprecato contro il duce, raccontato una barzelletta dissacrante o sfregiato la sua immagine. Di questo esercito di oppositori, 1.700 furono inviati al confino, 300 spediti in galera e 3mila diffidati. L’ha scoperto un professore di storia, Alberto Vacca, che ha fatto una ricerca nell’Archivio centrale dello Stato studiando le numerose denunce per “offese al Capo del Governo” durante il Ventennio.



    La ricerca è diventata un libro, edito di recente da Castelvecchi: “Duce truce. Insulti, barzellette, caricature: l’opposizione popolare al fascismo nei rapporti segreti dei prefetti (1930-1945)”. Un libro che possiamo considerare il primo “figlio legittimo” di “Parolacce”: dato che esistono anche quelli illegittimi (imitatori senza arte né parte, o senza riconoscenza dei meriti).

    Infatti Vacca ha avuto l’idea della ricerca leggendo il mio libro: così, quando ne ultimò la scrittura me lo inviò per mail chiedendomi un parere. Insieme ad alcuni consigli redazionali, l’ho spronato a trovare un editore: sarebbe diventato un libro sorprendente. E così è stato. Tanto da aver raccolto in pochi giorni recensioni molto positive sul “Venerdì” di “Repubblica”, su “Il Foglio”, “Avvenire“, Focus Storia collection, Diacronie (studi di storia contemporanea), la “Cronaca di Piacenza“, Tribuna novarese, archiviostorico.info e booksblog.it. L’autore è stato intervistato da Radio Radicale, Canale 10 e Radio Popolare.

    Dopo una chiara introduzione, che fa capire il contesto storico in cui maturarono le denunce, Vacca ha riprodotto integralmente i rapporti, dividendoli per categorie, seguendo gli stessi criteri di “Parolacce”: frasi offensive; fantasie omicide; maledizioni; insulti all’immagine; barzellette e parodie; sfregi all’effigie.

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    Ritaglio di giornale con scritte ingiuriose, spedito al Direttorio del P.N.F. con busta datata a Palermo, del 18 ottobre 1940.

    Ma non pensate che sia un libro noioso. Come scrivo nella prefazione del libro, “nonostante il linguaggio burocratico, infatti, i rapporti dei prefetti sono piccoli film: vi trasporteranno nelle osterie, sui tram, nelle fabbriche, nei cortili, nelle scuole, nei bordelli dell’Italia sotto il fascismo. Mostrando quanto la dittatura scatenasse il lato peggiore dell’uomo (ricordate il film “Le vite degli altri”?): a denunciare gli autori delle battute – spesso ubriachi, poveri o minorenni – non erano solo i servi del Potere, ma anche tanti livorosi vicini di casa, passanti o colleghi che approfittavano di un passo falso altrui per mettersi in mostra col Regime e liberarsi d’un nemico. Ci sono perfino figli che denunciano i padri: tutti contro tutti in un’Italia nel baratro della guerra e della miseria”.

    “Duce truce” non è solo un viaggio nella nostra storia. E’ anche un’occasione preziosa e concreta per capire non solo che l’adesione al fascismo fu tutt’altro che monolitica, ma anche per comprendere come funzionano le dittature: con una propaganda martellante e capillare creano il consenso, e con una repressione implacabile e minuziosa reprimono il dissenso. Di quest’ultimo aspetto parlano i rapporti: colpisce la cura maniacale con cui ogni minimo sfregio al Capo era indagato, con indagini “celerissime”, perquisizioni, perizie calligrafiche, interrogatori stringenti seguiti dalla punizione implacabile.

    Immagine-6
    Rapporto del Prefetto di Trieste, 6 giugno 1938. Il prefetto propone di punire un appartenente alla Milizia che ha dato del “macaco” al duce con 30 giorni di carcere e la diffida. Mussolini però applica la pena più grave del confino.

    Un esempio? Ecco una denuncia redatta dai carabinieri di Termini Imprese (Palermo) il 20 aprile 1943: “Locali dopolavoro “G. Lo Faso” via Mazzini, veniva rinvenuto calendario recante effigie DUCE tenuta volo deturpata da baffi et barba, nonché da corna tipo cervo fatti matita. Indagasi per scoprire autore”.

    Ci sarebbe da ridere se si pensa alla pochezza dei reati in questione: ma il fascismo era proprio una farsa tragica, nella quale una sola persona si ergeva a Dio, senza curarsi della giustizia e degli individui. E una claque gli reggeva il gioco: una claque fondamentale, non solo per il narcisismo del Capo, ma perché nessuno doveva svelare che il re era nudo, ovvero che aveva un ingiusto strapotere. Sarebbe caduto non solo il Sistema, ma anche una serie di scelte economiche e militari che si reggevano sul consenso delle masse, cementato dall’ingenuità, dalla paura e dalla convenienza.

    Lo rivela, senza volerlo, uno dei rapporti citati nel libro: chi rideva del Duce faceva “un’azione corrosiva e deleteria ai danni del Regime” (…) mentre i lavoratori fascisti, “quantunque pressati dal grave disagio economico, marciano in fervorosa disciplina ed assoluta ubbidienza (…), servendo il Regime”.

    Così la ricerca di Vacca svela l’inganno orchestrato dal Regime: il dittatore è a tal punto identificato con l’Ordine costituito, che chi attenta alla sua immagine è un “sovversivo”, quindi va punito sempre e comunque. Ed ecco perché le dittature odiano, più delle critiche, la satira: perché, come notava Michail Bacthin, il riso – e le pernacchie, le caricature, le parolacce – “abbassando” i potenti, riportano l’equilibrio nella comunità.

    Non a caso Gene Sharp, intellettuale esperto di disobbedienza civile, cita, nel libro “Come abbattere un regime” tra i modi per far crollare i governi totalitari, anche le opere buffe e di dileggio. Una risata, anzi: una parolaccia li seppellirà.


    Di vito tartamella Pubblicato 11 novembre 2011
     
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    Ci sono alcune fotografie destinate a rimanere immortali; alcune volte rappresentano un momento storico particolare, altre volte rappresentano anni e anni di storia.

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    Berlino, 15 agosto 1961. La costruzione del muro tra la zona orientale (nell'allora Germania dell'Est e sotto il controllo dell'Unione Sovietica) e quella occidentale (controllata da inglesi, americani e francesi e di fatto parte della Germania Ovest) è iniziata da due giorni. Il confine è stato chiuso, i carri armati del Patto di Varsavia e i soldati della Germania dell'Est impediscono il libero passaggio tra le due parti della città.
    Peter Leibing, un giovane fotografo sta passeggiando con la macchina al collo a meno di 100 metri dalla linea di demarcazione. Cattura un momento di calma piatta oltre confine: dietro il filo spinato posto lungo la strada un soldato sembra appoggiato al muro; poco oltre un gruppo di donne si ferma a parlare. Tutto immobile, quando...

    pochi secondi dopo...



    La fuga attraverso il Muro di Berlino e la sua tragica storia è certamente rappresentata dall’impetuoso salto di un soldato. Conrad Schumann, nato il 28 marzo 1942, è stato probabilmente il più famoso evasore della Repubblica Democratica Tedesca: di origini sassoni si arruolò nella Polizia locale e venne adibito alla sorveglianza del muro di Berlino durante la sua costruzione.
    Correva l’anno 1961 e davanti agli occhi increduli di civili e di soldati che stavano piantando i primi pali, il diciannovenne approfittò di un momento di distrazione dei suoi commilitoni per saltare sopra il filo spinato e sorpassare con un balzo perfetto il confine.Sorpassando l’odiata traccia il soldato della DDR cambiò per sempre il corso della propria vita: un semplice salto, un attimo di lucida follia, mosso dal desiderio di non morire lì, di salvarsi, di andare incontro ad una nuova vita correndo davanti ai volti increduli degli ex colleghi militari.

    La potenza ed il significato di un salto immortalato dall’eternità di una fotografia. Sullo sfondo delle persone che stanno parlando tra di loro e che mai si sarebbero aspettate un tale gesto.
    Conrad si bilancia perfettamente con le braccia; la destra tiene il fucile e rimane meno protesa verso l’esterno, il punto di passaggio scelto sopra il filo spinato sembra essere il più agevole. Guardando la foto si ha la sensazione dell’apnea data dal movimento repentino. Conrad è concentrato, è teso. Guardare avanti, adesso o mai più! Un solo attimo di esitazione e la vita potrebbe finire immediatamente sotto una raffica di proiettili.
    Il tentativo di Conrad ebbe un esito positivo, ma purtroppo la sua storia personale non seguì la stessa sorte. Dopo l’atterraggio ad Ovest, Conrad trovò l’amore di una donna ma non si sentì mai a proprio agio: il tormento di aver lasciato familiari ed amici al di là del muro non lo lasciò mai in pace.
    Conrad dichiarò in seguito che si sentì realmente libero solo dopo la caduta del Muro di Berlino.
    Tornando ad est dopo il 1989 riscontrò come nessuno lo aveva in realtà perdonato. Dopo anni di alcolismo uniti alla depressione si impiccò il 20 Giugno del 1998.

    Il fotografo, Peter Leibing, riuscì a cogliere un momento davvero incredibile: in una foto, destinata a fare il giro del mondo, racchiuse un simbolo di libertà senza confini!


    Questo articolo è stato pubblicato in Fotografia, Il mio odore, Politicamente Scorretto (enrico.it)
     
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  11. gheagabry
     
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    Alzare la bandiera a Iwo Jima

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    Il 23 febbraio 1945, dopo un'aspra battaglia, l'esercito statunitense conquista la cima dell'isola di Iwo Jima, nel Pacifico. Liberata la sommità del monticello, i soldati piantano la bandiera americana. Sono le 10 e 20 del mattino. Ma qualcosa non va: la bandiera è troppo piccola e si vede poco. Viene ordinato di sostituirla con una di dimensioni maggiori. Cosa che avviene...

    ... un paio d'ore dopo.



    Alzare la bandiera a Iwo Jima è una storica fotografia scattata il 23 febbraio 1945 da Joe Rosenthal . Esso raffigura cinque Marines degli Stati Uniti e un US Navy corpsman alzando la bandiera degli Stati Uniti in cima a monte Suribachi durante la battaglia di Iwo Jima nella Seconda Guerra Mondiale.
    La fotografia era estremamente popolare, viene ristampato in migliaia di pubblicazioni. Più tardi, divenne l'unica fotografia a vincere il Premio Pulitzer per la fotografia , nello stesso anno, come la sua pubblicazione, ed è venuto a essere considerato negli Stati Uniti come una delle immagini più significative e riconoscibili della guerra, e forse la fotografia più riprodotta di tutti i tempi.
    Dei sei uomini raffigurati in foto, tre ( Franklin Sousley , Harlon Block , e Michael Strank ) sono stati uccisi durante la battaglia, i tre sopravvissuti ( John Bradley , Rene Gagnon , e Ira Hayes ) sono diventati celebrità, al loro identificazione nella foto. La foto è stata poi utilizzata da Felix de Weldon per scolpire il Marine Corps War Memorial , situato adiacente al Cimitero nazionale di Arlington , appena fuori Washington, DC Lo stampo originale si trova alla Marina Accademia Militare motivi, un college Preparatory Academy privato situato a Harlingen, Texas .




    focus.it
     
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    Prima dell'Olocausto di Hiroshima

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    Negli anni '20 l'architetto boemo Jan Letzel costruì alcuni edifici in una piccola città giapponese. Si trattava soprattutto di musei, come questo, realizzati secondo i più aggiornati criteri antisismici allora disponibili.
    Nessuno avrebbe mai pensato che questo museo, fotografato nel 1945, potesse sopravvivere alla catastrofe più devastante mai fatta dall'uomo...

    ... soltanto un paio di mesi dopo.

    Il mattino del 6 agosto 1945 alle 8:16, l'Aeronautica militare statunitense sganciò la bomba atomica "Little Boy" sulla città giapponese di Hiroshima, seguita tre giorni dopo dal lancio dell'ordigno "Fat Man" su Nagasaki.




    Alcuni degli edifici in cemento armato ad Hiroshima erano costruiti in modo molto resistente per via del pericolo di terremoto in Giappone e le ossature di questi edifici non crollarono, sebbene si trovassero molto vicino al centro della zona danneggiata della città. Al momento della detonazione in aria della bomba atomica, l'esplosione si riversò verso il basso più che lateralmente, il che favorì maggiormente la sopravvivenza della Sala della Prefettura per la Promozione Industriale, ora comunemente conosciuta come Genbaku, o Cupola della bomba-A, progettata e realizzata dall'architetto ceco Jan Letzel, che si trovava a pochi metri da ground zero (le sue rovine furono chiamate Monumento della Pace di Hiroshima e vennero rese un sito Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO nel 1996, nonostante le obiezioni degli Stati Uniti e della Cina).

     
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    Churchill spodesta regina su nuova banconota 5 sterline

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    Il volto di Winston Churchill comparira' sulle nuove banconote da cinque sterline che entreranno in circolazione nel 2016. Lo ha annunciato oggi il governatore della banca d'Inghilterra Mervyn King. E' il primo politico a comparire sulla moneta britannica nella storia moderna del Paese, 'spodestando' l'immagine della regina.

    L'immagine scelta riproduce un noto ritratto dell'ex primo ministro su una fotografia scattata da Yousuf Karsh nel dicembre 1941.

    Sullo sfondo il palazzo del Parlamento con il Big Ben e il suo orologio ben visibile che segna le 15, l'orario approssimativo in cui Churchill pronuncio' ai comuni la celebre frase ''Non ho altro da offrire che sangue, fatica, lacrime e sudore'' il 13 maggio 1940: frase riportata anche sulla nuova banconota.

    In filigrana inoltre il premio Nobel per la letteratura di cui Churchill fu insignito nel 1953. Mervyn King ha svelato la nuova banconota in una cerimonia nella ex casa dello statista, a Chartwell. nel Kent, presenti alcuni componenti della famiglia. Churchill era gia' comparso su una moneta coniata nel 1965.(Ansa)

    Il governatore della Banca d'Inghilterra, Mervyn King, lo ha annunciato recandosi nella casa di Churchill, a Chartwell in Kent, nel sud dell'Inghilterra, aggiungendo che la nuova banconota sarà emessa nel 2016. "Sir Winston Churchill - ha detto King, parlando ai familiari del grande statista - è stato un leader veramente grande, un oratore e uno scrittore. Oltre a questo, Churchill rimane un eroe per tutto il mondo libero" (ap)




    Scoperto un componimento inedito di Churchill

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    Di Winston Churchill si sapeva che era stato un abile politico, un ufficiale, un giornalista, uno scrittore e uno storico. Ma ora si scopre anche la sua vena poetica: un suo componimento inedito dedicato all’impero britannico verrà messo all’asta in primavera a Londra. Si tratta dell’unica poesia dello statista arrivata sino a noi ed è stata scoperta da Roy Davids, un commerciante di libri dell’Oxfordshire, Inghilterra centrale. Il componimento, dal titolo “Le nostre moderne parole d’ordine”, è stato scritto con una matita blu su due fogli nel 1899-1900 quando Churchill era un giovane ufficiale. Ma non ha comunque convinto i critici, che lo hanno giudicato dilettantesco.
    “E’ retorica ma non certo poesia”, ha detto Robert Potts del Guardian. Ma la poesia interessa molto i collezionisti: viene valutata intorno alle 15 mila sterline (17 mila euro).
    Personalitaà ricca e multiforme, Churchill si dedicò a diversi “pastime” durante la sua vita. Grande appassionato di poesia - “le parole sono le uniche cose che durano sempre”, affermava - fu però la pittura a conquistare il suo cuore. Un vero e proprio ‘love affair’ nato nel 1916, quando la guerra infuriava e l’allora giovane primo Lord dell’Ammiragliato si trovava a fare i conti con il disastroso fallimento della spedizione dei Dardanelli. I columnist del Times avevano lanciato anatemi contro le “vane morti di tanti soldati britannici”. Il Morning Post lo aveva bollato come un soggetto da “melodramma”, un vero e proprio “megalomane”. E il primo ministro Asquith si doleva: “E’ un peccato che Winston non possieda un miglior senso delle proporzioni”.
    Fu allora che la compassionevole Musa decise di scendere nella vita di quel quarantenne umiliato e sprofondato nella più cupa depressione. La pittura diede a Churchill grande equilibrio e tranquillità interiore e lui si tuffò tra i pennelli con la stessa foga con cui, da giovane, lottava contro la balbuzie, ripetendo ad alta voce le orazioni di Lord Chatham.
    Per il ‘vecchio leone’ fu soprattutto un terapeutico passatempo, come lo definì lui stesso nel phamplet scritto per invitare i dilettanti del pennello a non aver paura, tuffandosi in una meravigliosa “gita nella scatola dei colori”. Dalla morte di Churchill, nel 1965, le sue tele hanno fatto il giro del mondo, da Londra a San Francisco, da Tokio a New York, anche se il giudizio degli esperti sulle sue opere non è mai stato unanime. Eric Newton, critico d’arte del ‘Sunday Times’, nel 1949 lo giudicava “un tecnico dall’abilità superiore alla media”.
    Il biografo Robert Payne gli rimproverava di saper dominare solo i grandi spazi, mentre i piccoli lo disturbavano: “l’umanità - commentava sardonico - ha un posto molto angusto nella sua immaginazione”, sottolineando la sua grande attrazione per i paesaggi dovuta forse alla sua scarsa capacità come ritrattista. Ma Churchill non ne aveva mai fatto mistero: “dipingo gli alberi perché non si lamentano mai”. E in fondo, come chioso’ l’ editor della rivista ‘Art news’, Arthur Frankfurt, forse non raggiunse vette eccelse, ma certo “nessun pittore riuscì a fare in modo così eccellente il primo ministro”.(poesia.blog.rainews24.it)

     
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    Fotografia di Herbert G. Ponting, National Geographic

    Questa foto fu pubblicata nell'edizione di dicembre 1922 di National Geographic con la didascalia "Una grotta in un iceberg". A scattarla fu il fotografo della spedizione al Polo Nord di Robert Falcon Scott, poi conclusasi tragicamente. Sullo sfondo si vede la nave della spedizione, la Terra Nova.




    Fotografia di Michael Nichols, National Geographic

    Sfidando i coccodrilli e altri possibili pericoli, Sophiano Etouck si immerge in una palude durante gli ultimi giorni del Megatransect, la traversata a piedi dal Congo al Gabon guidata dall'ecologo Michael Fay, durata 15 mesi e oltre 3.200 chilometri.

     
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