CITTA' FANTASMA

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  1. gheagabry
     
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    .... città fantasma ....



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    "...il deserto piano piano ha preso il sopravvento e si è insinuato
    lentamente e subdolamente nelle case, negli orti, nelle baracche,
    nelle finestre rotte, nelle porte ormai divelte,
    si è insinuato proprio dove un tempo fervevano intense attività."


    KOLMANNSKUPPE, Namibia


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    John Coleman era solito fermarsi con la sua carovana su di una collinetta lungo la strada carrabile prima di entrare a Lüderitz, la sua meta. Trasportava merci dall’interno verso la costa atlantica della Namibia. A quei tempi, prima della costruzione della ferrovia, il mezzo di trasporto più diffuso erano i carri trainati dai buoi. Anche quella mattina del 1905, giunto in vista di Lüderitz, John si fermò sulla collina, ma questa volta venne sorpreso da un’improvvisa e violentissima tempesta di sabbia. Riuscì a salvarsi per miracolo ma perse tutto il carico e tutti i suoi animali. L’evento fu così memorabile per la città che la collina venne ribattezzata ‘Coleman’s hill’, Kolmannskuppe in tedesco, la lingua dei colonizzatori di quelle regioni.

    Negli anni successivi i tedeschi iniziarono a costruire una ferrovia capace di collegare il porto di Lüderitz e nei pressi della "collina di Coleman" accadde qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la storia dell’area. Il 14 aprile 1908 Zacharias Lewala trovò una pietra lucente mentre lavorava alla manutenzione della linea ferroviaria. Quando la mostrò al suo supervisore, l’ispettore ferroviario tedesco August Stauch, questi, sospettando che si trattasse di un diamante, fece rapporto ai superiori. Ben presto il governo tedesco intuì la ricchezza della zona, tanto che dichiarò l'area Sperrgebiet ‘Zona proibita’, dando inizio allo sfruttamento del campo diamantifero. La ‘corsa ai diamanti’ aveva ufficialmente inizio.
    A dispetto della linea ferroviaria, i 10 km che separavano Lüderitz dal campo diamantifero erano una distanza enorme per recarsi ogni giorno al lavoro. Nacque così Kolmannskuppe. Nel 1909 la città possedeva già un timbro e un ufficio postale autonomo. La ricchezza dei giacimenti di diamanti fece di Kolmannskuppe una delle città più ricche della terra. La città aveva una propria elettrica quando in Germania venivano ancora usate le luci a gas. Nell'ospedale che forniva assistenza medica a tutta la Sperrgebiet, vi era addirittura la prima macchina a raggi X di tutta l’Africa australe.
    La città si sviluppò velocemente, divenendo un centro vivace e di accoglienza per i lavoratori provenienti dal difficile ambiente del deserto del Namib. Furono costruite case grandi ed eleganti per farla assomigliare a una città tedesca, e si pianificarono servizi importanti, tra cui un ospedale, una centrale elettrica, una sala da ballo, una scuola, un teatro dall’acustica perfetta costruito in Germania e poi trasportato e rimontato qui, una grande palestra, un casinò, una fabbrica del ghiaccio e svariate mense per i lavoratori. Le carni fresche potevano essere acquistate presso la macelleria, la città era dotata di un forno, di una fabbrica di mobili, di un parco giochi pubblico e persino una piscina alimentata con l’acqua dell’oceano.

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    Al momento del suo massimo splendore vivevano a Kolmannskuppe circa 300 adulti bianchi, 40 bambini e 800 lavoratori neri a contratto. Nonostante l'isolamento e la desolazione del deserto circostante, Kolmannskuppe divenne una vivace oasi di cultura tedesca, in grado di offrire intrattenimento e svago per le esigenze dei colonialisti ricchi. Poi nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale. Il 18 settembre l'ufficio postale venne chiuso. Il 19 settembre le truppe dell'unione sudafricana sbarcarono a Lüderitz. Le forze tedesche in ritirata chiusero la centrale elettrica e fecero esplodere parti della linea ferroviaria. Le forze sudafricane non esitarono a deportare la popolazione civile.
    Quando nel dopoguerra riprese l’estrazione dei diamanti, i bei tempi erano ormai finiti. Il ritmo di estrazione rallentò e un nuovo più grande deposito fu rinvenuto alla foce del fiume Orange, dove la compagnia mineraria creò una nuova città: Oranjemund. Gli ultimi abitanti di Kolmannskuppe lasciarono la città nel 1956.
    Nell’arco di 40 anni Kolmannskuppe visse, fiorì e morì. Oggi le fatiscenti rovine della città fantasma lasciano indovinare poco del suo antico splendore. Le case sono state quasi demolite dal vento e il deserto sta gradualmente riprendendosi quello che era suo, avvolgendo gli edifici e riempiendo le stanze un tempo piene di vita.
    (Stefano Scolari. National Geographic)



    "...Tutta la zona di Luderitz Bay fu invasa da impiegati, doganieri, magistrati,
    oltre ai veri e propri cercatori che volevano delle concessioni.
    Un nuovo Eldorado richiamava gli uomini, ma soprattutto fomentava speranze,
    alimentava sogni impossibili!
    Oggi la città fantasma è davanti a noi con il suo abbandono,
    il suo triste squallore di incompiutezza, di qualcosa che è finito perché forse si era desiderato troppo.
    E’ quasi bella a vedersi, stagliata tra il giallo ocra della sabbia
    ed il cielo senza nubi, nitido, trasparente, di un blu intenso come possono esserlo solo i cieli africani.
    Nel 1956 è stata definitivamente evacuata ed ora la natura ne ha reclamato il possesso.
    E’ lei la vincitrice e l’uomo, il piccolo uomo presuntuoso non riesce a capirlo,
    vive nel suo labirinto, rincorrendo il suo destino e gira in tondo, batte la
    testa di qua e di là non imparando mai la lezione."
    (inviaggioconrenata)



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    Edited by gheagabry1 - 20/4/2023, 21:38
     
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  2. gheagabry
     
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    Le città fantasma.........


    "Un posto che se non lo vedi non credi. E credetemi..! In una landa desolata (ma desolata veramente) e completamente fuori mano dal mondo civilizzato, un certo Bodie trovò un filone d’oro nella seconda metà dell’800...."


    BODIE, California



    Mono County, California, a est della Sierra Nevada. Da queste parti, quando tira il vento e le vecchie lamiere ondeggiano, sembra ancora di sentire il via vai dei minatori che a metà Ottocento fecero di Bodie uno dei centri principali della corsa all'oro. In pochi, all'epoca, avrebbero immaginato che un secolo e mezzo dopo al posto degli avventori ebbri nel saloon della cittadina si sarebbero aggirate le volpi del deserto. Un segnale della sua cattiva stella, però, Bodie l'aveva dato fin dall'inizio, visto che il suo presunto fondatore, un certo W.S. Bodey, passò a miglior vita sorpreso da una tormenta di neve.


    Nelle loro prediche domenicali i pastori puritani inveivano contro Bodie "immersa in un mare di peccato, agitato da tempeste di lussuria e avidità". Oggi la circonda solo la desolazione di un mare di sabbia, tra le montagne brulle di Mono County, 13 miglia a Nord dalla strada US Highway 395 che attraversa la California. "A Bodie erano censite 2 chiese e 65 fra saloon e bordelli", recitano i manuali di storia: oggi ne restano gli scheletri consumati dal vento desertico. Bodie è una città fantasma, una delle tante che rimangono intatte negli Stati Uniti, lontane dalle rotte turistiche. Per terra, nella via principale di Bodie, giacciono tuttora alcuni attrezzi arrugginiti da minatori, come se i cercatori d'oro fossero fuggiti all'improvviso. Ce n'erano 10 mila nel 1859, quando la città fu fondata. Sono spariti nel nulla, con la stessa velocità con cui arrivarono qui dal mondo intero per fare fortuna. Oggi di Bodie rimane solo il 5% di quel che fu la città all'apice della sua gloria, nel 1880, ma quel poco che resta ha il fascino maledetto di un paesaggio dominato dalla presenza della morte. C'è la lavanderia cinese che ha ancora la stufa a vapore dove si scaldavano i ferri da stiro. Un paio di occhiali coperti di polvere, abbandonati a fianco della cassa nell'emporio Boone Store & Warehouse. Il pianoforte al Sam Leon Bar. Mancano gli uomini e le donne che animavano questi oggetti, e anche delle loro storie si è perso quasi tutto. Bodie nella sua scenografia spettrale sembra una città spopolata in un attimo da un'epidemia, o evacuata nel panico di un attacco atomico. Visione da Apocalisse. Invece è quel che rimane di un sogno che attirò un popolo di avventurieri.

    Come centro minerario emergente, Bodie possedeva i servizi e le attrazioni delle maggiori città, incluse due banche, una banda musicale, la ferrovia, sindacati di minatori e operai, molti giornali e una prigione. Al culmine dello sviluppo, 65 saloon costeggiavano la via principale, che era lunga un miglio. Omicidi, sparatorie, risse da osteria e assalti alle diligenze erano all'ordine del giorno. I lingotti d'oro sfornati dalle nove presse della città erano trasportati per via fluviale a Carson City, attraverso Aurora, Wellington e Gardnerville. La maggior parte dei carichi era accompagnata da una guardia armata. Appena il lingotto giungeva a Carson City, veniva consegnato alla zecca o spedito per ferrovia a quella di San Francisco....A Bodie esisteva un quartiere cinese che arrivò a contare centinaia di residenti ed era dotato di un tempio taoista. Come in altre città minerarie situate fuori mano, c'era anche un popolare quartiere a luci rosse, all'estremo nord dell'abitato. In periferia è rimasto il cimitero con l'annesso obitorio, che è l'unico edificio della città costruito in mattoni disposti su tre strati (con ogni probabilità in funzione di isolante termico). Lungo la via principale si trova infine la Miners Union Hall, luogo d'incontro dei sindacati dei lavoratori e centro ricreativo, oggi adibito a museo.

    La California, ricchissima e a tratti sovrappopolata nelle sue zone costiere, è il regno delle ghost-town nelle vaste zone desertiche a cavallo della Sierra Nevada. Alcune sono diventate attrazioni turistiche, troppo restaurate e quindi con un'insopportabile aria da Disneyland. Ma la maggior parte sono in uno stato di abbandono, conservate solo dal vento arido e dal clima desertico di questo Far West. Per raggiungerle bisogna salire a cavallo, o avere un fuoristrada capace di arrancare fra sabbia e pietre. Alcune hanno ancora oggi una fama sinistra, che tiene lontani i superstiziosi. Ce n'è una al confine col Nevada - Hornsilver, detta anche Gold Point - che è stata un centro minerario dal 1868 al 1960: la grande fuga data appena quarant'anni fa. Eppure anche Hornsilver è stata riconquistata dalla forza degli elementi, il vento e la sabbia l'hanno mummificata come le altre. Queste città-fantasma sembrano una metafora della California, della sua storia di "boom and bust", euforìe e crolli che si ripetono a cicli, inesorabilmente. Se la maggior parte delle città-fantasma sono lontane dalla civiltà, quasi inaccessibili, la più singolare giace invece sotto una metropoli opulenta e post-moderna. Nel cuore della California di oggi, culla delle tecnologie avanzate, si nasconde questa misteriosa traccia del passato
    (Federico Rampini)


    "...anche dopo essere diventata un parco protetto si è lasciato tutto com’era e i visitatori possono gironzolare per Bodie entrando un po’ ovunque facendo solo rigorosamente attenzione a due cose: a dove mettono i piedi (perchè chiodi, vetri rotti e serpenti sono un po’ ovunque) e a NON portare via nulla, nemmeno un chiodo. La pena per chi trasgredisce è quantomai severa: un decennio di maledizione anche per chi porta via solo un sasso da Bodie. Sarà pure superstizione ma c’è uno spazio con tutte le lettere di quelli che nei primi anni hanno portato via qualcosa da Bodie e ora chiedono il perdono alla città fantasma. Ed è un deterrente piuttosto efficace visto che davvero nessuno tocca niente qui a Bodie. Tutti guardano e scattano foto ma nessuno sposta una virgola...."
    (dal web)







    Siamo qui per riscoprire dove è finito il Far West, quello dei libri, delle leggende, dei film, del passato di una California che centocinquant’anni fa non era il posto cool e glamourous, per usare due termini appropriati, di oggi, ma uno Stato in cui si moriva nel deserto o nel cuore di una tempesta di neve, in fondo a una miniera d’oro o scavando un pozzo di petrolio. Bodie, la città fantasma prima tappa di questo viaggio sulla Route 395, incarna l’inizio e la fine del sogno americano, dalla nascita, con la scoperta di un giacimento d’oro, al boom che ha portato in città servizi di ogni tipo e migliaia di persone, alla morte.

    Bodie, che quest’anno festeggia appunto un secolo e mezzo, è stata battezzata con il nome di uno degli uomini arrivati per primi sul suo territorio, W. S. Bodey, morto in una bufera di neve e mai arrivato a sfruttare, e probabilmente neanche a conoscere, le ricchezze a cui sarebbero arrivati i suoi amici e molti dopo di loro. Le prime grandi compagnie sono arrivate nel 1876, l’elettricità a metà degli anni Novanta. Oggi chi si avventura oltre il Mono Lake, lago di origine vulcanica, lungo la strada sassosa e paga i pochi dollari del biglietto, utilizzati per il mantenimento del parco, può visitare centinaia di edifici intatti o ambienti ricreati.



    Oggi fra le rovine ci sono solo gabbiani, turisti, ranger e un gatto, ma nel momento del boom a Bodie vivevano diecimila persone, sessanta saloon affollavano Main Street, mentre sparatorie, risse e omicidi erano una cosa comune. C’era più di un giornale, una chiesa, hotel, empori e case dei minatori che in parte conservano ancora i mobili degli ultimi proprietari. Come accadeva spesso nel vecchio West, i primi a esplorare il nuovo terreno non sono stati i maggiori beneficiari. Tra coloro che hanno tentato la fortuna c’è stato anche un attore, James Stark, andato in rovina nel tentativo di smontare un teatro di San Jose e trasportarlo a Bodie, dove avrebbe usato le strutture per la miniera.

    I primi a trovare l’oro hanno venduto i loro diritti a una grande compagnia di San Francisco per 67 mila dollari. Ma già soltanto la Standard Consolidated Company, formata subito dopo, ne ha incassati più di sei milioni. Nel 1912 sono iniziati i primi segni di declino, e nel 1917 la ferrovia è stata abbandonata. L’ultima miniera, però, ha resistito fino al 1942. Scendendo, con le montagne della Sierra Nevada alla propria destra e la valle quasi deserta intorno, si arriva a Lone Pine: quattro case, un piccolo supermercato, una serie di motel e un paio di diner, a metà tra il ristorante e il fast food. Lone Pine è diventata però la capitale del cinema, almeno nella sua regione, l’Inyo County, e anche se le locandine nella vetrina del museo sono un po’ sbiadite, le produzioni vanno avanti ancora oggi, rendendo fieri i 1600 abitanti. L’ultima grande produzione che ha scelto le Alabama Hills è quella di “Iron Man”, il kolossal avveniristico con Robert Downey jr e Gwyneth Paltrow, nel 2007: del resto il regista Jon Favreau si impegna da anni a realizzare i suoi film in California, e tra le colline ai piedi della Eastern Sierra ha trovato uno scenario adatto proprio per rappresentare l’Afghanistan tribale e vicino a Osama Bin Laden in cui il protagonista Tony Stark finisce prigioniero. Molto più spesso, però, Lone Pine e dintorni ospitano produzioni infinitamente più piccole e meno ambiziose di “Iron Man”. E non di radio accettano produzioni impegnate in altrettanto remunerativi spot pubblicitari.



    La sua stagione d’oro, però, risale agli anni dei western. Nel 1917 Lone Pine è stata scoperta e da allora è diventata meta di registi che hanno organizzato sparatorie, inseguimenti e imboscate tra le gole delle Alabama Hills. La strada che corre dietro Lone Pine è lunga ancora una volta tre miglia e ovviamente sterrata per buona parte. Ancora una volta, però, vale la pena correre qualche rischio e percorrere la Movie Road, come è stata battezzata: fra le rocce tonde e la terra rossa ci si sente davvero riportati in un tempo molto lontano, si riconoscono perfettamente gli scenari dove sono avvenuti famosi attacchi di indiani o altrettanto pericolosi assalti dei banditi. Oggi, auto a parte, l’unico pericolo sono i serpenti a sonagli, ma anche loro si vedono raramente e non infastidiscono quasi mai.

    Una delle targhe in cui ci si imbatte lungo la strada è dedicata a “Gunga Din”, epico film d’avventura del 1939 con interpreti popolarissimi come Cary Grant e Douglas Fairbanks Jr. Per la scena magistrale dell’attacco in una gola, la California diventa India coloniale con il fortino dell’esercito inglese, il tempio della dea Kalì e le strade attraversate dagli ufficiali. Ma qui è stato filmato anche “Il Gladiatore” nella sequenza struggente in cui Russell Crowe cavalca verso casa. Il Mount Whitney, il più alto degli Stati Uniti escluse le vette dell’Alaska, viene spesso incluso tra le location. John Wayne lo ha alle spalle in uno scatto nel backstage di “Pugni, pupe e pepite” di Henry Hathaway, del 1960. Seduto, con una coperta sulle spalle, sorride all’obiettivo. Sono molti i film in cui il più grande dei cowboy ha avuto come sfondo la Sierra Nevada, più di dieci solo negli anni Trenta, e forse proprio lui è il vero simbolo del West non ancora dimenticato.
    (laria. M. Linetti, Secolo XIX).














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    “La città ti fa sentire vuoto.
    E’ vuota fisicamente, vuota di persone, vuota di ambizione, di energia e di progetti”.
    (Samantha Howell)


    Le rovine di DETROIT


    Da capitale dell’industria automobilistica statunitense a città fantasma, nei sobborghi di Detroit stanno cadendo a pezzi oltre un migliaio di edifici. Vittime della crisi economica e dei proprietari che li hanno abbandonati aspettano da decine di anni l’arrivo delle ruspe, ma di questi tempi anche la demolizione è un lusso e finché restano in piedi, vengono depredati dai ladri o diventano il riparo di qualche senza tetto.
    Non solo abitazioni private e fabbriche, ma anche teatri, biblioteche, hotel, scuole, banche e stazioni ferroviarie. Servizi e strutture pubbliche per la Detroit che fu, troppo impegnativa ed onerosa la loro riconversione è molto più facile pensare a radere tutto al suolo, piuttosto che provare a recuperare.
    E nel mentre tutto rimane com’è, ma accade anche alle rovine delle antiche civiltà che vogliamo conservare, il tempo e la natura svolgono il loro compito nel tentativo di riportare tutto all’origine, a prima dell’arrivo dell’uomo.
    Nonostante l’abbandono e l’incombere degli anni questi edifici mantengono intatto il proprio fascino e guardando queste immagini viene spontaneo immaginarli nel pieno del loro splendore, vivere il sogno di quando erano brulicanti di persone e delle loro storie.
    (SARA ALLEVI)


    Alla fine del XIX secolo Detroit cominciò ad affermarsi come centro industriale, fino alla consacrazione nel 1913 con l’invenzione della catena di montaggio da parte di Henry Ford e il suo utilizzo nella fabbricazione delle automobili. La città conobbe un periodo di grande splendore edilizio: furono costruiti grattacieli e quartieri di lusso per dare dimostrazione del benessere dei cittadini, migliaia di persone arrivarono in cerca di un lavoro. Negli anni Cinquanta la popolazione raggiunse i due milioni di abitanti, rendendo Detroit la quarta città più grande degli Stati Uniti.
    Ma la stessa logica che ha generato i fasti della città li ha anche distrutti: quando, negli anni Cinquanta, gli stabilimenti furono trasferiti nella periferia della città, il centro cominciò a svuotarsi. L’esodo fu accelerato dalle proteste del 1967, che a Detroit diventarono particolarmente violente.

    Il sogno americano ridotto a brandelli, è ciò che prende forma nelle foto di Yves Marchand e Romain Meffre. Ci sono teatri gotici, chiese metodiste, stazioni centrali, banche, grandi biblioteche pubbliche, sale da ballo e dipartimenti di polizia. Ci viene messo davanti l’apocalittico e l’effimero, il passato e la rapidità del tempo. Tutti quelli che un tempo erano arene di un vigoroso orgoglio civico o centri nevralgici della vita statunitense, si mostrano ora in veste di rovine, in tutto il loro abbandono e degrado..... la città statunitense che più ha sofferto economicamente, dalla generazione passata fino alla recessione tuttora in atto e la “carcassa” di una metropoli diventata emblema della decadenza urbana a stelle e strisce. Se non sapessimo che Detroit vive ancora, guardando queste immagini penseremmo che una catastrofe improvvisa si sia abbattuta nel centro storico della città, costringendo tutti i suoi abitanti a scappare, lasciando casa e lavoro.... suggeriscono, anzi denunciano, che qualcosa è andato perso. Non solo i “contenitori della società civile”, i grandiosi palazzi e le sale art deco.
    (valentina veneroso)

    La situazione è nota ma i dati dell’ultimo censimento cittadino svelano una realtà al di là dell’immaginabile. Per il New York Times è “il più stupefacente esempio contemporaneo di collasso urbano”. Il “calo percentuale maggiore della storia americana nelle grandi città”. Detroit oggi ha soltanto 713.7776 abitanti, un calo del 25% in pochi anni. Nel 2000 sfiorava il milione. E nel 1950 era sopra i 2 milioni. Quei tempi sono definitivamente alle spalle.
    La disoccupazione è peggio di Katrina. Basti pensare che New Orleans, dopo l’uragano e la catastrofe del 2005, si è svuotata “solo” del 29%. Ma il numero di persone che sono scomparse dalla città del Michigan – 237.500 – è quasi il doppio delle 140.000 che hanno lasciato New Orleans. Senza abitanti, le casse della città sono vuote: niente tasse, niente scuole, niente servizi. Ad aggravare le cose anche il calo dei contributi federali, che sono destinati solo alle città sopra i 750.ooo abitanti.



    fotografie di Yves Marchand e Romain Meffre


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  5. gheagabry
     
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    Le città fantasma...


    “Non ha retto la modernità, anche se a noi piace pensare che l’ha rifiutata”
    (Rocco Papaleo)


    CACRO, Basilicata



    In molte zone del Sud Italia e' frequente il caso di paesini abbandonati in tempi più o meno remoti in conseguenza di terremoti, frane od altri accidenti della natura o dell'uomo. In Basilicata , in una zona che comprende alcuni comuni e che è stata denominata "Le Macine" , di queste citta' fantasma ve ne sono diverse: Craco, Calcium, Gallipolis, Trifoggio, Campomaggiore Vecchia.

    A causa di una frana di vaste proporzioni, nel 1963 Craco fu evacuata e l’abitato trasferito a valle, in località Craco Peschiera. Allora il centro contava oltre 2000 abitanti. La frana che ha obbligato la popolazione ad abbondare le proprie case sembra essere stata provocata da lavori di infrastrutturazione, fogne e reti idriche, a servizio dell’abitato. Ad onta di questo esodo forzato, Craco è rimasta intatta, trasformandosi in una specie di paese fantasma, caso raro se non unico nel suo genere. È possibile percorrerne le strade, affacciarsi all’interno delle case lasciate tal quali, sia le povere della civiltà contadina e pastorale sia quelle più ricche, gentilizie e patrizie.


    "Incontrati dopo il tramonto, una coppia di anziani passeggiava lungo la strada che costeggia il vecchio paese. Con un pozzo di storia del genere bisogna parlarci per forza penso e decido quindi di fargli delle domande. I due anziani hanno modi molto diversi di reagire alla nostra invasione, quasi opposti, la donna esprime diffidenza dai suoi gesti. Con la sua posizione, mostrandoci le sue spalle, dimostra a noi curiosi ed impiccioni di voler svicolare la discussione il prima possibile. Suo marito di contro mostra tutta la sua rabbia lamentandosi per come all’epoca non sia stata affrontata al meglio la gestione della crisi che ha successivamente portato all’abbandono di Craco, che è culminato con la costruzione del nuovo paese: Craco Peschiera.
    Primo mito sfatato, tramite la proficua discussione, è che il terremoto del ’80 non ha per niente aggravato i danni della frana del 1963. Il secondo mito da sfatare é che non c’è stata nessuna frana in quanto una frana per la sua immediatezza avrebbe dovuto portare a valle, in pochissimo tempo, tonnellate e tonnellate di terreno e mattoni. Pare che la vera causa sia stata piuttosto la mano umana, tramite la costruzione di un nuovo acquedotto che avrebbe dovuto distribuire la città vecchia di innocua e freschissima acqua. L’acquedotto fu costruito da parte di un amico dell’allora sindaco; ecco una bella chicca per i complottisti. A detta del nostro testimone privilegiato, questi lavori furono svolti in fretta e male, causando numerose perdite che riversandosi nel terreno argilloso sottostante il paese e con l’aiuto dell’enorme pressione che un acquedotto può raggiungere, ha reso ognuna di queste perdita un pericoloso agente disgregante, che ha minato le radici dei palazzi del paese vecchio. L’acqua fresca ed innocua si è trasformata così in un nemico che destruttura la città dal basso.
    Il paese quindi non è franato a valle in un attimo, piuttosto è collassato su se stesso per la progressiva mancanza di terra sotto le case di Craco; questo processo è stato lungo più di dieci anni. Il nostro interlocutore mostra adesso tutta la sua rabbia per la gestione frettolosa della crisi, dicendo che bastava chiudere le numerose perdite dell’acquedotto per evitare di dover abbandonare il paese. Mentre l’acqua faceva il suo lavoro di sgretolamento della collina argillosa, il fantasma dell’abbandono del paese si faceva sempre più forte nei cittadini, finché il sindaco non lo impose agli stessi con la costruzione del nuovo paese a valle. A lasciare la prorpia casa l’anziano e la sua famiglia non ci hanno pensato minimamente, diversamente dalla maggior parte dei crachesi che invece si sono divisi tra l’andare in altri paesi vicini o contribuendo alla costruzione di Peschiera, se non attivamente almeno tramite la loro presenza. Ai cittadini fu data la possibilità di scelta tra l’avere la nuova casa a Peschiera, un paese costruito ex novo, o in un nuovo quartiere di Craco vecchia, costruito 300 metri più a valle.
    Intanto mentre la signora continuava a chiedere con i gesti al marito di tornare a casa quiest’ultimo ci disse che tutti, secondo lui, avrebbero dovuto scegliere di restare. Nel nuovo quartiere, racconta, ci sono circa 40 persone, di cui 5 ragazzi; se è vero che non c’è futuro per loro a Craco, allora non ve ne è nemmeno per i giovani di Craco Peschiera, afferma. Il terremoto del 1980, dice con un sorriso sarcastico, ha lesionato le case nuove costruite in fretta nel paese nuovo, senza produrre danni ulteriori alle vecchie case.
    La scelta che la coppia ha fatto, cioè di rimanere legati alla loro terra natia, forse un po’ nostalgica, si esprime in tutta la sua emozionalità quando gli si chiede “Che sensazioni hai quando passeggi lungo questa strada?”. “Qui c’era un medico, li un macellaio” la risposta, mille ricordi saltano alla mente dell’uomo, un’emozione che sicuramente nel nuovo paese non si potrebbe vivere. La scelta fatta e che si ripete ogni giorno, è stata molto forte, pochi la farebbero, quasi nessuno la capisce. Ma per provare a comprenderla, basta solo passeggiare di sera, sotto i ruderi di cui è fatto il paese, alla luce dei pochi lampioni rimasti funzionanti, sotto la loro luce fioca, per respirare la sua anima ancora carica e viva. Il paese si intravede dal basso, con le sue luci e le sue ombre, con i suoi misteri e i suoi silenzi, con la sua storia e la memoria della gente che la sua quotidianità ci ha speso.....Oggi Craco vecchia è chiusa al pubblico, a differenze degli anni passati. Lo scenario all’interno è fantastico e surreale. Affacciandosi dalle finestre delle case diroccate, ci si accorge che non c’è collina più alta a perdita d’occhio: Craco è un monte adagiato su una immensa vallata dalla conformazione e dai colori lunari. Mentre passeggio nel paese vecchio, noto come alberi di fico e piante di menta e mentuccia romana si stiano lentamente rimpossessando del paese abbandonato. Molte buche cospargono le stradine, i crolli sono ovunque e la sensazione che si percepisce è di precarietà, ma sapendo dove mettere i piedi non c’è alcun rischio. Tutte le case sono aperte, non in tutte vale la pena entrare. La cattedrale è spettrale, c’è ancora l’altare; gli uccelli volano via al nostro ingresso."
    (apprendistastregone.wordpress)



    A piedi e con cuore leggero mi avvio per libera strada,
    In piena salute e fiducia, il mondo offertomi innanzi,
    Il lungo sentiero marrone pronto a condurmi ove voglia.
    ...
    Voi file di case! Occhieggianti facciate di finestre! Voi tetti!
    Voi porticati e ingressi! Voi comignoli e griglie di ferro!
    Voi finestre, il cui trasparente guscio tante cose potrebbe svelare!
    Voi porte e scalini ascendenti! e volte, voi!
    Voi pietre grige d’interminabili lastrichi! Voi calpestati quadrivi!
    ...
    La terra non stanca mai,
    La terra è rozza, silente, incomprensibile a tutta prima, la Natura è rozza e incomprensibile a tutta prima,
    Non scoraggiarti, continua, vi sono cose divine con cura celate,
    Ti giuro, vi sono cose divine più belle di quanto possa dirsi a parole.
    ...
    Per portare con te in futuro case e strade, ovunque tu vada,
    Per cogliere le menti degli uomini nei loro cervelli,
    come tu li incontri, per cogliere l’amore nei loro cuori.
    ...
    Andiamo! Qui non possiamo fermarci,
    Sebbene dolci queste riserve ammassate, e conveniente questa dimora, qui non possiamo restare,
    Per quanto sicuro il porto e calme queste acque, qui non dobbiamo ancorarci,
    Per quanto grata l’ospitalità che ci accoglie, a noi è concesso goderne soltanto un poco.
    (Walt Whitman)


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  6. gheagabry
     
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    Le città fantasma....


    Immaginate di svegliarvi una mattina, uscire di casa e andare in paese..e scoprire che non c’è più nessuno: non sareste proprio contenti, il vostro paese per qualche ragione è stato svuotato e si sono dimenticati di avvertirvi. Sì sicuramente camminare nel silenzio, con il tempo che sembra essersi fermato non riempirebbe il vostro cuore di gioia, ma piuttosto di disorientamento e magari angoscia.....

    PYRAMIDEN



    Pyramiden, si trova nell'arcipelago delle Svalbard, nel freddo della Norvegia. Tuttavia, questa zona apparteneva alla ex Unione Sovietica nel 1927. Ha cominciato come fondata dagli svedesi nel 1910, poi diventato un importante centro minerario del carbone. L'isola ospita la città abbandonata è chiamato Spitsbergen e dista solo 620 miglia dal Polo Nord....è uno dei due insediamenti minerari russi alle isole Svalbard, sorge ai piedi dell'omonimo monte ed è stata per quasi cinquantanni la cittadina esemplare del modello sovietico, con la sua economia non monetaria e il cibo libero. Ma era troppo costosa e poco redditizia e così nel 1998 in sole due ore fu sgomberata dei mille residenti.
    Tutto lì è rimasto come allora: i libri sugli scaffali, i giocattoli abbandonati, la mostra fotografica nella piazza centrale. Oggi è abitata da cinque persone: quattro uomini e una donna che serve tè freddo ai turisti. Sbarcano dalla Polar Girl sulla banchina di legno marcio una volta alla settimana per scattare qualche fotografia, controllati a vista. Oppure ci arrivano dopo oltre 70 chilometri a piedi sul permafrost, nel silenzio più assoluto.
    Circondata da una splendida cornice naturale, la città, a parte i danni ed il disordine conseguente al suo abbandono, è comunque ben conservata, il busto di Lenin in piazza, la biblioteca, le case con i frigoriferi, i banchi di scuola uno accanto all'altro, il giardino d'infanzia, la palestra, l'ospedale, lo spaccio, il cinema, il pub, il centro comunitario con piscina coperta, il teatro e la sala da musica.... ricordi intatti negli occhi confusi e nostalgico visitatori. La partenza frettolosa dei suoi abitanti rimane come impronta tangibile in ogni angolo della città, dove si possono ancora vedere i vetri altamente ordinate nei bar, intatta libri della biblioteca e dei disegni dei bambini adornano i muri della loro scuola .


    "Il villaggio russo, sembra saccheggiato, appare come un ghetto ebraico rimasto letteralmente congelato nella desolazione di una fuga frettolosa imposta da una caccia all’uomo spietata. In realtà, però, i minatori russi non erano braccati. Semplicemente Madre Russia non poteva più permettersi, nell’Anno Domini 1998, di mantenere questo avamposto degno di una Guerra Fredda combattuta a suon di palate di carbone (qui di pessima qualità, a dar retta ai norvegesi), di concertini d’ottoni e partite a scacchi.
    Nel Palazzo del Popolo di Pyramiden si trovano pattini e sci sparigliati negli sgabuzzini, mentre sono pochi i volumi rimasti sugli scaffali della biblioteca che un tempo ne allineava 20.000. Solo il bar ha conservato quell’atmosfera anni ’50 in cui da un momento all’altro ci si aspetta di veder comparire una spia in completo nero. Dopo che la madrepatria russa sgomberò i minatori che popolavano Pyramiden, infatti, i primi turisti che vi arrivarono depredarono il magnifico Palazzo del Popolo di tutto quanto vi era conservato: libri, attrezzature sportive, strumenti musicali, fotografie.
    Cadono i muri, crollano i regimi, ma la vecchia abitudine di cercare di mostrarsi più bravi e duri degli altri (i vecchi nemici) stenta a morire. L’orgoglio per i primi tulipani cresciuti alle Svalbard grazie alla terra trasportata qui dai cargo partiti da Murmansk è tutto sovietico. La fiera Russia parla con la bocca della nostra guida, un ragazzo biondo sorridente di soddisfazione, ben indottrinato (convinto o ingenuo che sia), il quale ci racconta che da un anno quattro russi sono tornati a vivere a Pyramiden per restituirla nel suo antico splendore ai prossimi agognati turisti che si spera saranno meno rapaci dei loro predecessori....." (Marta Mancini, il vagabpndo)



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  7. gheagabry
     
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    Le città fantasma....

    "Era una bella giornata di sole [26 Aprile 1986]. Mia figlia ed io eravamo sedute nel nostro cortile. Soffiava un dolce vento primaverile. Improvvisamente un enorme camion militare si fermò proprio davanti a noi. Un uomo che indossava una maschera antigas e una tuta di protezione saltò giù dal camion e cominciò a girarci attorno trafficando con un dispositivo che portava al petto … Poi ci guardò, fissando un segno che non avevamo mai visto prima, infine tornò a bordo del camion e se ne andò. Tutto successe in completo silenzio. Nessuna parola fù pronunciata. Stavamo solo a guardare il segno e il camion e non avevamo idea di cosa stesse succedendo … La giornata non fù più così bella …"
    (Dalle memorie di una donna anziana)


    PRIPYAT


    Pryp"jat' (Прип'ять in ucraino, Припять – Pripjat' in russo) è una città fantasma ucraina situata vicino al confine nord bielorusso, a circa 110 km a nord della capitale Kiev, nella vastissima area paludosa della Polesia. È una città fantasma in quanto sorge adiacente alla famosa Centrale nucleare di Čornóbil's'ka (conosciuta ai più con il nome inesatto di centrale nucleare di Černobyl'), nota per il più grave incidente nucleare della storia umana mai avvenuto, ed ormai in disuso.
    La città di Pripyat è l'emblema del disastro di Chernobyl. Prima di essere avvolta dalla nube radioattiva, ospitava circa 50.000 persone. Era stata appositamente costruita per i lavoratori della centrale, situata a 5 Km. di distanza. L'evacuazione degli abitanti di Pripyat iniziò solo 36 ore dopo l'incidente. Fino al primo pomeriggio di sabato 27 aprile, la gente continuò ad attendere alle proprie attività. Tutto era normale, non fosse stato per la presenza di tanti poliziotti che lavavano le strade della città con uno strano liquido bianco. Poi, improvvisamente, in tre ore 1.110 bus giunti da Kiev evacuarono la popolazione, dicendo che sarebbe stato solo per tre giorni.
    Da allora a tuttora, Pripyat è una città fantasma, circondata da filo spinato, all'ombra della centrale.

    “Dopo l’esplosione del reattore 4, il popolo di Pripyat si diresse verso il ponte della ferrovia, appena fuori dalla città, per avere una buona visione del reattore e per vedere quello era successo. Inizialmente, tutti dissero che il livello delle radiazioni era minimo e che non c’era da preoccuparsi. Non sapevano che gran parte della radiazioni era stata soffiata su questo ponte. “


    .....l'abbandono.....


    Gli organismi repubblicani e provinciali, la Difesa Civile della Repubblica Sovietica bielorussa e ucraina, ricevettero la relazione sull’esplosione e l’incendio alla centrale nucleare di Chernobyl nelle prime ore del mattino del 26 aprile 1986. Parecchie ore dopo il personale ucraino della protezione civile venne posizionato nella città di Pripyat, la polizia chiuse la zona vietandone l’ingresso a tutti i mezzi di trasporto, ad eccezione degli autocarri di servizio.
    A mezzogiorno iniziò il monitoraggio constante della radioattività nella città e nei dintorni. I livelli di contaminazione radioattiva erano già elevati, ma, a causa della mancanza di vento, non estremamente diffusi. La Protezione Civile era pronta all’evacuazione della città, ma l’ordine, da parte del governo centrale di Mosca, tardava a venire.
    Nella serata del 26 aprile, il livello di radioattività a Pripyat aveva superato la radiazione di fondo naturale già di 1000 volte (0,1 mSv / h). Nonostante la situazione radioattiva non avesse causato ancora allarme ufficiale, i fisici della commissione governativa raccomandarono di evacuare gli abitanti, in quanto non potevano giudicare la reale situazione nella zona “attiva” del reattore e gli ulteriori sviluppi dell’incidente.
    Intorno alle 22:00 la Commissione giunse alla conclusione di iniziare l’evacuazione il giorno seguente – 27 aprile. Le aziende di trasporto di Kiev organizzarono più di mille autobus che arrivarono sul posto a tarda notte. Le autorità degli insediamenti circostanti la città, Polesskoe e Ivankov, vennero messi in allerta e pronti ad accettare il piano di sfollamento.
    Tenendo conto della contaminazione radioattiva del territorio, vennero scelti gli itinerari per l’evacuazione e preparate istruzioni chiare per militari, autisti, poliziotti e sfollati.
    E’ doveroso notare che sabato 26 aprile, non venne diffuso alcun avviso ufficiale alla popolazione sulla necessità di rimanere chiusi nelle proprie case.
    Molta gente si recò nella casa della cultura della città che era stata aperta di recente, alcuni giorni prima dell’incidente; non venne organizzata una distribuzione di compresse di ioduro di potassio e non furono preparati sufficienti respiratori da destinare ai bambini.
    Alle 07:00 di domenica 27 aprile, il presidente della commissione governativa confermò la decisione di evacuare la popolazione di Pripyat. Alle 10 incontrò le autorità della città per fornire istruzioni sul piano che doveva iniziare alle ore 14.00.
    Intorno a mezzogiorno, il messaggio radio che venne trasmesso per informare la popolazione, diceva che sarebbero stati necessari tre giorni per evacuare tutta la popolazione.
    Quasi 1.200 pullman si raccolsero vicino a Chernobyl ed iniziarono a trasportare gli abitanti di Pripyat fuori dalla città: erano passate più di trentasei ore dall’incidente.
    Si prevedeva di spostare circa 44.600 persone, ma il numero reale non era ben definito in quanto alcuni avevano già abbandonato la città o si erano spostati per il fine settimana.
    Secondo le fonti informative ufficiali il trasporto venne eseguito in maniera agevole. In meno di tre ore erano rimasti in città solo coloro che dovevano svolgere il loro dovere d’ufficio. Gli sfollati vennero collocati provvisoriamente in città e villaggi delle province vicine.
    (progettohumus.it)


    "Ti amo, Pripjat'! Perdonami!"
    Una scritta sul muro dell'ospedale di Pripjat'


    "A Pripjat' tutto era moderno e funzionale: due ospedali di cui uno pediatrico, un centro commerciale, due hotel, numerosi bar e ristoranti, cinema, teatro, un centro polifunzionale che dominava la piazza centrale oltre alla piscina coperta, quest'ultima lasciata incredibilmente attiva fino al 2000 al servizio del personale che continuava a lavorare presso la centrale.
    Pripjat' era anche soprannominata "la città dei fiori", per le aiuole che si trovavano sparse più o meno dappertutto. Una delle caratteristiche dell'insediamento urbano è di essere rimasto come fu lasciato dagli abitanti, fatta eccezione per i danni causati dallo sciacallaggio e dal tempo; infatti gli abitanti furono solo informati del fatto che sarebbero andati via per un massimo di tre settimane a causa di "un lieve incidente" avvenuto alla Centrale elettronucleare, ma non tornarono mai più, e così negli edifici rimasero arredi, automobili, fotografie ed elettrodomestici che furono in parte depredati, ma in gran parte lasciati nelle case, date anche le radiazioni accumulate. Solo una volta ogni anno, nell'anniversario della tragedia e nella ricorrenza del primo maggio, i residenti possono tornare a visitare la città in cui vivevano. Il parco giochi, allestito per i festeggiamenti del primo maggio, è la zona più radioattiva della città, essendo esposto direttamente verso la centrale di Černobyl', ma soprattutto perché il giorno del disastro il vento portò qui le prime particelle radioattive, che investirono la grande foresta che si trovava proprio alle spalle dello stesso, i cui alberi morirono totalmente in pochissimi giorni. La foresta venne soprannominata la Foresta Rossa dagli abitanti del luogo a causa del cambiamento di colore degli alberi stessi avvenuto per effetto delle radiazioni. Gli abitanti parlarono anche di stranissimi funghi che vi comparvero anche se non è mai stato accertato. Le radiazioni rimarranno nell'area per circa 48.000 anni, ma gli uomini potranno tornare ad occupare queste zone tra circa seicento anni."
    (dal web)

    ....la foresta rossa....



    La zona di foresta intorno alla centrale nucleare di Chernobyl, in cui le piante, che hanno ricevuto ingenti dosi di radiazioni sono state morfologicamente modificate. A seguito della catastrofe di Chernobyl, decine di migliaia di ettari di foreste hanno subito una massiccia contaminazione radioattiva. Quella più in prossimità alla centrale era localizzata nelle sue immediate vicinanze e si estendeva fino a due kilometri ad ovest di questa.
    La foresta era costituita soprattutto da Pini Silvestri (Pinus silvestris). I segni di mutazioni dovuti alla radioattività erano maggiormente evidenti nelle conifere in quanto assorbivano dosi di radiazione 100 volte superiori agli altri tipi di piante. Considerando la natura degli effetti da radiazioni, gli scienziati hanno classificato la foresta in quattro zone:

    LA PRIMA ZONA...Area che ha subito la perdita completa delle conifere con danni parziali anche agli alberi a legno duro, è la cosiddetta “foresta rossa”. Gli studiosi stimano che il livello di assorbimento delle dosi di esposizione alle radiazioni gamma esterne nel 1986-1987 ha raggiunto quota 8000 – 10000. Qui, i tronchi degli abeti sono completamente morti e gli aghi di pino sono diventati di color mattone. L’intera foresta era letteralmente “bruciata”, per il notevole accumulo di fallout radioattivo. L’alta contaminazione radioattiva degli alberi morti, portò i liquidatori a seppellire i loro resti sotto terra. Nella “foresta rossa” vennero effettuate opere di rimboscamento su 500 ettari di territorio.
    LA SECONDA ZONA...È la zona dove gli effetti letali delle radiazioni nella foresta hanno causato la morte del 25%-40% degli alberi e ucciso la maggior parte del sottobosco (1-2,5 metri di altezza). Nel 90-95% degli alberi sono stati gravemente danneggiati i giovani germogli e le gemme. Dose assorbita 1000-8000.Quest’area comprendeva un territorio di 12.500 ettari, tra cui 3.800 ettari di foreste di pini.
    LA TERZA ZONA...Area in cui le radiazioni hanno causato danni di media entità alla pineta. Questa zona è stata colpita in gran parte nelle mutazioni dei giovani germogli e aghi di pino che assumevano una colorazione gialla accesa nelle diverse parti dei rami.
    LA QUARTA ZONA...È la zona in cui gli effetti delle radiazioni hanno influenzato in maniera parziale i processi di crescita della vegetazione. Non sono stati rivelati danni visibili nella crescita dei pini che è stata normale, mentre gli aghi hanno mantenuto il loro colore. La dose assorbita è stata di 50-120.
    Gli alberi morti costituiscono un rischio significativo, ad esempio nel corso di un incendio, come fonte secondaria di contaminazione radioattiva. Le radiazioni provenienti dagli alberi morti presenti in prossimità della strada, unica via di comunicazione alla centrale nucleare di Chernobyl, hanno notevolmente deteriorato la situazione di quest’area della zona di esclusione.
    (progettohumus.it)

     
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  8. gheagabry
     
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    Le città fantasma.....

    ....BANNACK


    Bannack è la città fantasma del Montana, nella Contea di Beaverhead. Si trova sul fiume Beaverhead, a circa 23 km, dove si unisce con il Beaverhead Red Rock River a sud di Dillon. E’ stata fondata nel 1862 con il nome di Bannock Indians: qui è stato trovato uno dei primi e più importanti giacimenti d’oro della regione. La corsa all’oro, nonché al posto dove dormire nella città fortunata, era appena iniziata.
    Bannack divenne in breve la capitale del Montana nel 1864, fino a quando non fu trasferita a Virginia City. Il borgo ha continuato comunque ad esistere come città mineraria, ma la sua popolazione è andata via via diminuendo. L'ultimo residente risale al 1970. Nell’apice dei suoi anni, Bannack contava diecimila abitanti, tre alberghi tre panifici, due stalle, due macellerie, un negozio di alimentari, un ristorante, una birreria, una sala da biliardo e quattro saloon. Tra i fondatori della città, il dottor Erasmus Darwin Leavitt, medico nato a Cornish, nel New Hampshire, che ha lasciato la medicina per un certo lasso di tempo per dedicarsi alla corsa all’oro, con pala e piccone.
    Gli abitanti erano soprattutto quelli che tentavano la fortuna alla ricerca delle pepite più preziose. Una popolazione fluttuante, dal 1860 al 1930, poi il drastico crollo demografico. Come sorprendersene?: la legge del west era davvero dura. Anzi, era proprio l’assenza della legge a rendere difficile vivere in città potenzialmente ricche come queste. Tagliagole, sceriffi dalla dubbia fedina penale, malviventi ed uomini spietati erano pronti ad uccidere per una pepita erano all’ordine del giorno. E quando il giacimento iniziò a rendere di meno, Bannack divenne la città fantasma di oggi.


    Il Territorio del Montana era gonfio d’oro, non come la California ma abbastanza per avviare un’altrettanta folle “gold rush” e attirare la solita combriccola di tagliagole in cerca di qualche tasca da svuotare. Tagliagole come ad esempio Henry Plummer, sceriffo di Bannack. Prima di ricoprire questo prestigioso incarico i suoi rapporti con la legge erano stati però piuttosto burrascosi: nel 1857 venne incarcerato a San Quintino per omicidio di secondo grado nei confronti del minatore John Vedder, ma in cella rimase ben poco, graziato dal governatore per motivi di salute (pare soffrisse di tubercolosi). Qualche anno dopo, nel 1861, un secondo omicidio, quello del ricercato William Riley avvenuto in circostanze non del tutto chiare, lo costrinse ad abbandonare in tutta fretta la California. Per evitare di essere braccato dalla legge, spedì un falso dispaccio ad un noto quotidiano, informandolo che il ricercato Henry Plummer era stato impiccato insieme ad un complice nello Stato di Washington. Ritroviamo l’astuto fuorilegge in Montana, nel 1863, sposato con una bellezza locale, Electa Bryan, e con un terzo morto sulla coscienza: un tale Jack Cleveland, suo rivale in amore.

    ....Una forca a Bannack.....


    Costruita in fretta per venire incontro ai numerosi minatori della zona, Bannack divenne rifugio di ogni genere di uomini, inclusi disertori della Guerra Civile, pirati dei fiumi, gambler, fuorilegge e malintenzionati vari. L’anarchia dilagò, e le rapine e gli assassinii divennero episodi quotidiani.
    Plummer organizzò allora una banda, nominandola “Gli Innocenti”, e iniziò una serie di rapine e assalti ai viaggiatori carichi d’oro provenienti dai campi auriferi del Montana. Gli “Innocenti” divennero subito una banda unita tanto da stabilire una parola d’ordine, in modo che i componenti potessero riconoscersi l’un l’altro. Una notte, mentre Plummer era intento a bere al “Goodrich Saloon”, Jack Cleveland, suo vecchio nemico, iniziò a fare illazioni sulle attività criminali dell’ex sceriffo. Quando quest’ultimo, seccato, gli intimò di smetterla e Cleveland continuò ugualmente a sputare accuse, Plummer estrasse la pistola e sparò un colpo d’avvertimento. Come risposta, Cleveland tirò fuori la sua pistola ma Henry fu più veloce e lo ferì mortalmente. Agonizzante, Cleveland venne portato a casa del macellaio Hank Crawford, due porte prima del saloon. Crawford ascoltò le ultime parole di Cleveland, che continuò ad accusare Plummer. Tre ore dopo Cleveland morì, e Plummer venne arrestato. Ma venne ancora una volta assolto grazie alla testimonianza di un uomo, che disse che l’ex sceriffo era stato minacciato da Cleveland.
    Nella tarda primavera del 1863, oltre 10.000 cercatori d’oro stazionavano lungo le rive del Grasshopper Creek, e il caos a Bannack raggiunse dimensioni mai viste. Così i cittadini, spaventati, decisero di organizzare le elezioni per nominare uno sceriffo: Plummer e il macellaio Crawford si offrirono volontari. Quest’ultimo vinse le elezioni a discapito di Plummer, e ciò fece saltare i nervi all’ex sceriffo, che si recò dal neo eletto armato di uno shotgun. Quando l’aiutante di Crawford lo vide, gli sparò alla mano destra, che impugnava l’arma, ma Plummer continuò imperterrito a sparare con la sinistra, e con una precisione micidiale. Spaventato, Hank Crawford si tolse il distintivo e lasciò per sempre Bannack.
    Nelle nuove elezioni, Plummer vinse e diventò ufficialmente sceriffo il 24 Maggio 1863. Nominò rapidamente aiutanti i suoi amici Buck Stinson e Ned Ray. Sconosciuto alla gente di Bannack, il gruppo capeggiato da Plummer era nel frattempo cresciuto, arrivando a contare più di 100 elementi. Ma per Bannack, la nomina di Henry Plummer a sceriffo portò ad un risultato completamente opposto a quello desiderato. Infatti, la cittadina divenne ancora più violenta: nei cinque mesi successivi all’elezione di Plummer, più di 100 cittadini vennero uccisi. Il 20 Giugno 1863, Henry ed Electa si sposarono e andarono a vivere nella loro casa di tronchi a Bannack. Ma la loro unione non durò molto: meno di tre mesi dopo Electa lasciò la cittadina e abbandonò il marito per andare a vivere a Cedar Rapids (Iowa) con i suoi genitori. Non rivedrà mai più Henry. Morirà il 5 Maggio 1912 a Wakonda (South Dakota), dopo essersi sposata con James Maxwell, un vedovo con due figli, e aver avuto da lui due bambini, Vernon e Clarence.
    La banda degli “Innocenti” continuò i suoi misfatti rapinando i viaggiatori lungo i campi minerari del Montana e aiutando lo sceriffo a punire i “malviventi” della comunità, impiccandoli su una forca che lo stesso Plummer aveva eretto. Peccato però che coloro che Plummer impiccava non erano membri della sua banda, che si rivelò ben organizzata e spietata, poiché uccideva tutti coloro che potevano rivelarsi pericolosi con eventuali testimonianze. Molte di queste uccisioni, ed altre, rimasero impunite. Gli abitanti della zona, temendo per la loro vita, preferirono tenere la bocca chiusa. Quando, nell’Agosto del 1863, venne nominato Sceriffo del Territorio dell’Idaho ad est delle montagne, Plummer estese i suoi crimini anche a Virginia City. Nel Dicembre del 1863, i cittadini di Bannack, Virginia City e della vicina città di Nevada City, esasperati da questi crimini, decisero di riunirsi segretamente e formarono i Vigilantes del Montana. Nel cuore della notte, uomini mascherati – sostituitisi alla legge ufficiale – iniziarono a girare per le strade alla ricerca di tutti i possibili fuorilegge, emanando avvisi e attaccando poster fregiati, come simbolo, di un teschio attraversato da due ossa, o dal numero mistico “3-7-77″.
    Nonostante il significato di questi numeri rimanga misterioso, ancora oggi la polizia stradale del Montana ne porta l’emblema cucito sulla manica dell’uniforme. I Vigilantes dispensarono giustizia ovunque, impiccando circa ventiquattro uomini. Quando uno di essi, Erastus “il Rosso” Yeager, mentre si trovava sulla forca pronto per essere impiccato, puntò il dito contro Henry Plummer accusandolo di essere il leader della banda di ladri e assassini che infestava la zona, scoppiò l’inferno. Gli abitanti erano divisi riguardo la fede di Plummer: chi era convinto che fosse un bandito, chi no. Una notte, dopo una pesante bevuta al saloon, i Vigilantes decisero per un drastico giro di vite, considerando Plummer colpevole e, quindi, degno di aspirare alla forca. Così, dopo essere riusciti a rintracciarlo insieme ai suoi amici, il 10 Gennaio 1864 circa settantacinque uomini gli piombarono addosso, conducendolo alla forca che lui stesso aveva costruito. Ned Ray fu il primo ad essere impiccato, seguito da Buck Stinson. Quando arrivò il turno di Plummer, quest’ultimo promise di rivelare ai Vigilantes il punto esatto dove 10.000 dollari erano stati seppelliti in cambio della vita. Ma i Vigilantes lo ignorarono, ed iniziarono a tirarlo su a poco a poco dal collo. Dopo l’esecuzione, guardie armate rimasero per un ora vicino alla forca, i cui tre cadaveri vennero lasciati appesi fino al mattino successivo. Plummer fu l’unico ad essere messo in una bara, e tutti e tre gli impiccati vennero seppelliti nella Hangman’s Gulch (La gola dell’impiccato), circa 90 metri dalla forca. I Vigilantes continuarono a colpire il resto della banda, dispersosi in varie località come Hellgate, Fort Owen e Virginia City.
    (farwest.it)
     
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    Le città fantasma.....

    FABBRICHE di CAREGGINE


    Siamo in provincia di Lucca, nel cuore delle Alpi Apuane, ma sembra di raccontare una favola uscita da un libro per bambini. Fabbriche di Careggine è un borgo molto particolare, unico nella sua bellezza se non nella sua condizione di trovarsi sul fondo di un lago...Fabbriche di Careggine, situato nel comune di Vagli di Sotto, nella splendida Toscana, nasce intorno al XIII secolo da un gruppo di ferrai bresciani che si trasferirono in questo luogo. La loro bravura nel lavorare il ferro fece sì che verso la metà del 1700 venisse costruito un mulino e godesse di agevolazioni sul trasporto dei materiali. Dopo una crescita difficoltosa nei primi secoli del suo sviluppo, divenne fornitore ufficiale di ferro dello Stato, nel 1755 fu dotato di un mulino e godette di esenzioni dai dazi e agevolazioni sul trasporto dei materiali. Il Duca di Modena Francesco III, per favorire la produzione delle maestranze locali, concesse numerosi privilegi, tra cui l'esenzione dal servizio militare. In quel periodo venne realizzata la Via Vandelli, che collegava Modena a Massa e attraversava il torrente Edron proprio in prossimità di Fabbriche di Careggine. Nel corso dell'800 ma soprattutto ai primi del '900, il borgo divenne anche importante centro di produzione e lavorazione del marmo. Tra il 1906 e il 1907 venne costruita una piccola centrale idroelettrica sul fiume Edron per servire i bacini marmiferi.
    Ma nel 1941, sotto il regime fascista, la Selt-Valdarno, oggi Enel, decise di costruire un bacino idroelettrico sbarrando il corso del torrente Edron nel comune di Vagli di Sotto. Il risultato fu una diga alta 92 metri, costruita tra il 1947 e il 1953, che diede vita al Lago di Vagli, sommergendo per sempre le 31 abitazioni di Fabbriche di Careggine, con i suoi 136 abitanti costretti a spostarsi a Vagli di Sotto.

    E Fabbriche così scomparve dallo sguardo dei visitatori. Fabbriche però non è rimasto invisibile. Di tanto in tanto, in concomitanza con i lavori di manutenzione della diga (1958, 1974, 1983, 1994 e 2004), il bacino viene svuotato, e il paese si rivela in tutto il suo fascino....riemerge e ricompaiono le case in pietra, il ponte a tre arcate, il cimitero. Le case, benchè prive di tetti, sono piuttosto ben conservate. E si possono ancora vedere i collegamenti della corrente elettrica in ceramica applicati fuori dalle case. La chiesa romanica di San Teodoro è l'edificio più caratteristico del paese, col suo campanile perfettamente intatto che svetta sulle case. Come per magia.


    Il paese di Fabbriche di Careggine è appena visibile sotto l’acqua increspata, ma si individuano bene le case, i campanili, i vicoli quasi intatti. Entro un anno sopra il lago artificiale di Vagli, sul cui fondo giace sommerso da 50 anniil borgo antico, sorgerà un mega ponte tibetano.
    Sarà un ponte unico al mondo, lungo 200 metri, largo un metro e alto 4. Il progetto inoltre prevederebbe la costruzione di una cupola gigante che dovrebbe proteggere Fabbriche di Careggine.
    (montagna.tv, 3.9.2008)

    ...le leggende...


    Fabbriche di Careggine ha anche le sue leggende ed anche molto suggestive. La prima racconta che in ogni notte di luna piena, quando non c'è vento, la campana della piccola chiesa sommersa risuoni con rintocchi di mortorio, a testimoniare la pena che le poche case sommerse provano ancora per la sorte dedicatagli.
    La seconda è una storia un pò più complessa: si narra che nel paese vivesse una donna tanto bella quanto malvagia, di nome Teodora. Nella notte fra il tredici ed il quattordici di dicembre di un anno imprecisato, il marito della donna - tale Anselmo - mentre tornava a casa dopo aver cercato legna per il focolare, scivolò in una buca e perdette i sensi, morendo lì assiderato. La donna si accorse del ritardo ma odiando il marito non dette l'allarme se non nella tarda mattinata del quattordici. I soccorritori trovarono il corpo di Anselmo, e non poterono che riportarlo in paese; la donna, scansata da tutti dopo questa vicenda per il sospetto che in qualche modo avesse favorito la morte del marito, si rinchiuse nella propria casa uscendo, da quel giorno, pochissimo. Quando le comunicarono che doveva lasciare la sua casa, perchè il villaggio sarebbe stato in poco tempo sepolto dall'acqua, non credette all'avviso e lì rimase, perendo nell'allagamento determinato dalla chiusura della diga. O almeno così si crede, dato che il cadavere non emerse mai e mai venne trovato: si narra però, che la notte del tredici dicembre di ogni anno, la campana della chiesa suoni a distesa, e che a farla suonare sia l'anima di Teodora, ancora in pena per le sue colpe.(dal web)
     
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    Città fantasma...

    "Il fuoco sotterraneo continua a bruciare e oggi si stima che si sia esteso per 160 ettari di terra
    ... e lo strato di carbone contiene abbastanza carburante per durare circa 250 anni."


    CENTRALIA


    Centralia è una città fantasma, come ce ne sono molte negli Stati Uniti e in tutto il mondo: ma quello che è più interessante è il motivo per cui i suoi abitanti hanno deciso di andarsene. Il motivo è un incendio che brucia nel sottosuolo della città da cinquant’anni. Un incendio che si estende oggi per circa 1,5 chilometri quadrati nei filoni di terreno carbonifero sotto il livello del suolo, consumandolo a una velocità stimata di diverse decine di metri l’anno. La temperatura del terreno vicino all’incendio è di circa mille gradi, mentre sulla superficie ci sono crolli e crepe da cui salgono sbuffi di fumo.
    All’inizio degli anni Sessanta, Centralia era un paesino di circa 1.100 persone nella Pennsylvania centro-orientale, una zona attraversata dai monti Appalachi e molto ricca di carbone: sotto il paese si trova infatti un grande filone di antracite, il tipo di minerale in cui il carbone è presente in percentuali più alte, oltre il novanta per cento. Alla fine di maggio del 1962, per cause mai chiarite (forse un incendio controllato di rifiuti, che veniva ordinato ogni anno dal comune), si sviluppò un incendio in una miniera di antracite a cielo aperto appena fuori dal paese. Il fuoco passò ai filoni sotterranei del minerale, che ha un colore nero e lucidissimo e ha una caratteristica particolare: è molto difficile da incendiare, ma una volta che le fiamme attecchiscono sono quasi impossibili da spegnere. Il fuoco, alimentato da alcuni cunicoli esplorativi che forniscono l’ossigeno necessario a tenerlo vivo, produce molto calore, ma poche fiamme e poco fumo.
    People raccontò nel giugno 1981 che l’incendio sotterraneo sarebbe potuto essere estinto subito, spendendo circa 50.000 dollari, ma le autorità statali e federali volevano che metà dei soldi venissero dalla contea di Columbia, dove si trova Centralia. La contea non aveva i soldi e la soluzione del problema venne rimandata, forse sperando che le fiamme si sarebbero spente da sole. Dopo di che, dell’incendio sotto il suolo di Centralia non si sentì parlare per un bel pezzo.
    Centralia divenne improvvisamente famosa in tutti gli Stati Uniti il giorno di San Valentino del 1981, quando un ragazzo di 12 anni di nome Todd Dombowski venne inghiottito da una buca che si aprì nel terreno vicino a un albero nel giardino di sua nonna. Sprofondò per circa due metri nella terra fangosa e riscaldata dal vapore, prima di rallentare la caduta grazie alla radice di un albero. Sotto di lui si apriva una buca di decine di metri. Sarebbe morto rapidamente a causa del denso fumo ricco di monossido di carbonio, se un altro bambino non avesse sentito le sue grida aiutandolo a uscire dalla buca. La temperatura del terreno nel giardino dietro la casa della nonna di Todd venne misurata e risultò intorno ai 300 gradi centigradi.
    (ilpost.it)


    La città sorse all'inizio dell'Ottocento sopra un enorme giacimento di antracite, carbone fossile puro al 95%, che venne estratta in quantitativi industriali fino alla fine del secolo diciannovesimo, lasciando infine nel sottosuolo una serie di pozzi abbandonati; caratteristiche della antracite sono la sua estrema durezza, che in passato ne rese difficile l'estrazione, e il fatto che sia di difficile accensione ed ancora più difficoltoso spegnimento. Nel 1962 Centralia contava circa 2.000 abitanti, quando a seguito dell'immissione di rifiuti ardenti in un pozzo dismesso, usato come discarica illegale, la vena carbonifera prese fuoco. Inutili furono tutti i tentativi di estinguere l'incendio sotterraneo, che ben presto manifestò i suoi effetti anche in superficie: ceneri, nuvole di fumo bianco ed acre, moria di alberi, scioglimento dell'asfalto con conseguente formazione di crepe sulle strade, voragini improvvise, ecc. Nel ventennio successivo la popolazione venne progressivamente evacuata, molti edifici abbattuti e Centralia divenne una cittadina fantasma. Le persone si sono trasferite perlopiù nelle comunità vicine.
     
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  11. gheagabry
     
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    Le città fantasma..

    ...TOIANO



    La Toscana è famosa nel mondo per il bassorilievo di morbide colline che ne ricamano per intero il paesaggio. Alla sommità di quasi ognuna di esse, abbarbicati come aquile sul nido, una miriade di borghi più o meno grandi, castelli, monasteri, talvolta vere e proprie città. Tutti ormai ben curati, elegantemente conservati, invitanti ed accoglienti. Tutti, o meglio: quasi tutti.
    Uno di questi borghi, vera e propria Cenerentola della conservazione urbanistica moderna, non ha trattorie, non ha alberghi né negozi, banche, uffici, lampioni, acqua potabile.
    Non ha neppure abitanti, Toiano delle Brota, antichissimo castello al centro della Valdera (lo si raggiunge da Palaia - in provincia di Pisa - e oltre non si prosegue: la strada termina alla fine del paese) ha un’unica via, via del Castello appunto, lunga circa 50mt. e fiancheggiata ai lati da due file di case. Ha una chiesa sconsacrata (ma dove l’acustica è tuttora ottima) e un piccolo cimitero, quello ancora curato dai parenti di coloro che da Toiano non hanno voluto allontanarsi.
    Toiano è forse l’unico borgo in Toscana a non avere niente e nessuno pronti ad accogliere i propri visitatori. Eccetto le sue antiche mura, le sue case, il panorama magnifico che si gode dalla terrazza esposta a Sud, in direzione di Volterra. Bisogna venirci al tramonto: la strada che porta a Toiano è larga, per oltre 5 km, non più di tre metri, tanto che due auto raramente possono incrociarsi. A destra e a sinistra della strada, come guglie di un’antica cattedrale gotica, si ergono speroni di tufo alti anche 40-50 metri. Sono i famosi “Calanchi”: terra grigio-ocra, nuda e secca, erosa da secoli di piogge e vento, impossibile da coltivare e quindi lasciata lì, a modellare un paesaggio che, specialmente in inverno, assume i contorni di una cornice da Purgatorio dantesco. Eppure, una volta parcheggiata l’auto, si ha la sensazione di trovarsi in un piccolo paradiso: silenzioso, sereno, rigoglioso di vegetazione spontanea e punteggiato da antichi alberi da frutto piantati chissà quando e chissà da chi. Ma è soprattutto il panorama ad incantare il visitatore: Toiano è accovacciato su un colle alto e stretto, con uno sguardo si abbracciano interi campi coltivati a olivo e frumento, casolari, vigneti. Di fronte, lontano, un altro imponente sperone tufaceo fa emergere, galleggiante fra le onde di un mare di basse colline, le mura e le torri di Volterra. Toiano ha raggiunto il suo massimo splendore nell’800, quando oltre 500 persone vi abitavano stabilmente. Poi un lento declino, fino al boom economico degli anni ’60, durante il quale le poche decine di famiglie di contadini rimaste se ne sono andate a valle, in cerca di lavoro nelle fiorenti industrie della Valdera. Fra queste industrie c’era – e c’è – anche la Piaggio: la Vespa, icona della Dolce Vita e prodotta ancora oggi in milioni di esemplari, è stata costruita per decenni anche dagli (ex-) abitanti di Toiano. L'antico borgo di Toiano delle Brota, lontano com’è dalle maggiori vie di comunicazione, isolato dal mondo, fatto di case in parte ancora sane e in parte semidistrutte dal tempo e dall’incuria, tappezzate alle pareti da calendari degli anni ’50 e odoranti – ancora oggi – di una forte e fiera atmosfera contadina, resterà nel cuore. Chissà che qualcuno, poi, non pensi di tornare ad abitarlo.
    (damiano.andreina)


    Praticamente disabitato. Alla fine dell’800 era descritto come un villaggio con castello e chiesa dedicata a San Giovanni Battista. Con sede su alcuni poggi di tufo e la sua parrocchia contava 521 anime. Le sue origini risalgono all’alto medioevo, e la struttura del paese resta quella di un castello a cui si accede tramite un ponte (con ogni probabilità un ponte levatoio originariamente). Il paese è segnalato al FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) nel censimento dei luoghi del cuore da salvare.
    Del borgo si parlò molto tempo fa grazie ad Oliviero Toscani che, dedicando a Toiano un concorso fotografico, rese plausibile la prospettiva di far tornare la vita nelle antiche case aggrappate al tufo.Nel piccolo cimitero di Toiano l’ultima croce è del 1999. Porta il nome di Nella Veracini, classe 1913. Ha voluto essere sepolta dove era nata. Da una decina d’anni a Toiano, non muore più nessuno perché non ci abita più nessuno. Toiano è un borgo dove ad ogni angolo aleggiano fantasmi di vite passate. Qui tutto è molto vissuto e rimanda a storie e facce di contadini, come quelle che si possono vedere nelle lapidi del cimitero, piccolo album fotografico di com’era volti scavati dalla fatica ma anche gioiosi, sereni, superbi.
    Ma c’è anche qualcosa di altro nell’anima del borgo. Il mistero, ad esempio. Come quello della morte di Elvira, una bella giovane del borgo che il 5 giugno 1947, giorno del Corpus Domini, venne uccisa in un boschetto. Fu incolpato il fidanzato. Ingiustamente, però: dopo 24 mesi di galera venne assolto. E il mistero è rimasto irrisolto. Si avverte, un po’ dovunque nel borgo, un senso di bellezza violata non solo dal tempo e dall’incuria ma anche dai predoni che dalla chiesa, ad esempio, si sono portati via affreschi, acquasantiera, confessionali. La gente viene quassù e si porta via tutto ciò che trova di antico, di bello.
    (dal web)
     
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  12. gheagabry
     
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    Burning Man, la città temporanea nel deserto

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    Si è appena conclusa l'edizione 2012 di Burning Man, festival di musica e arte che si ispira al concetto di autosufficienza radicale: niente soldi, telefoni, fotocamere ma molte regole e un'esplosione di creatività.

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    Come si legge sul sito ufficiale "Burning Man è un esperimento annuale di creazione di una comunità temporanea, dedicato alla radicale espressione di sè, e ad una forma radicale di autosufficienza".

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    Nei giorni del festival infatti quella che si crea nel deserto è una vera città: si chiama Black Rock City, e al suo interno non ci compra o vende nulla, ad eccezione del ghiaccio (merce rara nel deserto) e del caffè. Per tutti gli altri generi alimentari e non sono ammessi solo il baratto e il dono.

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    Chiunque può diventare cittadino di di Black Rock, purché sia abbastanza equipaggiato. Sono gli organizzatori ad assicurarsene quando un aspirante cittadino si presenta all'ingresso: chi non ha sufficienti scorte o attrezzature può non essere ammesso. Ma prima ancora di preparare le provviste bisogna munirsi di biglietto, che costa tra i 200 e i 300 dollari.

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    Una volta entrati la vita scorre come in una normale città. Solo un po' strana. Non esiste il denaro, ma non mancano attività commerciali e servizi (persino le poste e i saloni di bellezza, o il municipio, dove si celebrano matrimoni legalmente riconosciuti).
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    Tutti rigorosamente basati sullo scambio. Niente auto a Black Rock, ci si sposta in bici o a piedi. O con mezzi molto più fantasiosi.

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    La città è divisa in quartieri: in ognuno di questi esistono luoghi di aggregazione dove si svolgono le attività sociali e artistiche. Dei veri e propri campi dove, scelto un tema, lo si esplora in tutte le sue forme. Si va dalla samba ai travestimenti. Tutti i temi sono comuinicati in anticipo sul sito e i si può accampare nel quartiere che più piace.
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    Dura una settimana, poi tutto sparisce: la città viene smantellata senza lasciare traccia, ognuno si prende cura dei rifiuti.
    Perché Burning man? Perché il festival, ai suoi esordi, si svolgeva sulla spiaggia di Baker Bay a San Francisco e bruciavano una statua dalle sembianze umane. Era il 1991, e il festival è cresciuto.
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    Da….http://it.notizie.yahoo.com

    ARCA1959
     
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  13. gheagabry
     
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    Fulton Market Cold Storage Company



    Quando fu costruito nel Meatpacking District di Chicago, all'inizio del 1920, Fulton Market freddo Storage Company è stato pubblicizzato come "un esempio di sviluppo molto più alto nel disegno freddo magazzino di stoccaggio."



    Nove decenni di celle frigorifere, in combinazione con una mancanza di manutenzione dell'edificio correva a regime un terzo negli ultimi cinque anni, aveva lasciato i suoi interni incrostato di ghiaccio.







     
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  14. gheagabry
     
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    Il campanile di Morino Vecchia sembra il pastore di cui ci racconta Ignazio Silone nel suo romanzo Fontamara, un pastore alla guardia di un gregge di pecore fuggito in una fredda mattina di gennaio del 1915. Morino Vecchia è un luogo della memoria, racconta le persone che lo hanno abitato e trasformato, appartiene alla storia di quella comunità che si è dovuta spostare più a valle per continuare a vivere. Case, chiese, strade e piazze distrutte in pochi secondi. Quello che resta, con le sue mura diroccate e i mucchi di macerie, è un luogo-simbolo: del trascorrere rapido del tempo, della forza della Natura, della instabilità di quello che l’uomo costruisce.

    MORINO




    Morino in realtà, prima del 1915, sorgeva su un colle, ove anche oggi si osservano i ruderi delle case, distrutte dal terremoto di quell'anno. Morino compare nella donazione che nel 1089 Ratterio di Antena fece al monastero di Montecassino. Il documento parla della chiesa di S. Pietro, posta in territorio di Morino, chiesa che ritorna più volte nei documenti dei secoli XII e XIII. Nel Catalogo dei Baroni del 1173 Morino era feudo di Ruggero, conte d'Albe, e contava in quell'epoca circa 375 abitanti. Nel suo territorio, a tre miglia dal paese, in alto, sui monti, era gia nota attorno al 1185 la chiesetta della Madonna del Pertuso, quella che oggi chiamano la Madonna del Cauto. A poca distanza da Morino, gia in tempi remoti, sorgeva un gruppo di case, proprio dove poi si e sviluppata la frazione Grancia. Era chiamata Villa di Morino e i vecchi abitanti di Morino la chiamavano cosi fino a pochi anni fa. La località e documentata con questo nome in varie pergamene conservate nell'Archivio della Certosa di Trisulti (Collepardo) .



    Grancia comincio a chiamarsi più tardi, perche divenne dal secolo XIV al secolo XVIII il granaio dei certosini di Trisulti, che avevano moltissimi possedimenti in particolar modo nel territorio di Morino, ma ne avevano anche a Castronovo, a Rendinara, a Meta, a Civita d'Antino, a Civitella Roveto e altrove. Centro di raccolta dei prodotti delle loro terre era diventata per i monaci di Trisulti proprio Villa di Morino, che a poco a poco prese il nome di Grancia. Un'altra località del territorio di Morino e nota attraverso le pergamene di Trisulti: erano le Taverne di Morino. Probabilmente si trovavano non lontano dal luogo dove ora sorge l'attuale Morino. Io son convinto che Morino fu un pagus (villaggio) all'epoca dell'antica Antino. Il suo territorio ha una posizione felice e la valle dello Schioppo e incantevole in alcuni mesi dell'anno. Morino dovette sentire l'influenza della vicina Antino.
    Infatti, nel territorio di Morino furono ritrovate delle lapidi romane, che confermano la presenza di ville e di case nelle sue adiacenze in tempi lontani. L'antico Morino sorgeva in alto, sicuramente per le solite ragioni di sicurezza e di difesa. Nel 1316 figura sempre nella Contea d'Albe.

    Come tutti i paesi di Valle Roveto, posti alla destra del Liri, anche Morino fu sotto gli Orsini prima e sotto i Colonna dopo. II Catasto di Morino porta la data del 1 luglio 1743. Lo stemma del Comune, come per tutti i paesi di Valle Roveto che rimasero per circa tre secoli sotto la dominazione dei Colonnesi, e sempre la colonna. La colonna, che in realtà e molto tozza, si presenta con decorazioni all'intorno. Nella fascia che circonda l'ovale, dove e disegnata la colonna, si legge questa scritta: Universitas Terre Morini, cioè Università della Terra di Morino. Lo stemma descritto si trova nel Catasto Onciario, n. 3049, dell'anno 1743, nell'Archivio di Stato di Napoli, Sezione Amministrativa. Ancora si può vedere, proprio all'ingresso del paese, nella parete esterna di una casa (forse nei suoi pressi erano le Taverne di Morino), lo stemma dei Colonna. Prima del 1806 venivano eletti, come amministratori del Comune, tre massacri "a cartelle estratte a sorte".
    Dopo l'avvento al Regno di Napoli di Giuseppe Napoleone e di Murat il Comune di Morino fu unito al Comune centrale di Civita d'Antino con S. Vincenzo Valleroveto, Castronovo e Morrea fino al 1816.



    Morino contava 395 abitanti ai tempi di Carlo V, 410 nel 1595, 800 nel 1617, soltanto 350 nel 1648, 400 nel 1663, 360 nel 1669, 442 nel 1703, 491 nel 1706, ben 1078 nel 1779, 672 nel 1806, 1166 nel 1838. Nel 1831 e nel 1839 Morino e Rendinara insieme ebbero rispettivamente 1939 e 2192 abitanti. Ecco i dati della popolazione del Comune di Morino nei censimenti che si avvicendarono dal 1861 al 1961: 2032 abitanti nel 1861, 192~ nel 1871, 1731 nel 1881, 1947 nel 1901, 2226 nel 1911, 2430 nel 1921, 2148 nel 1931, 2055 nel 1936, 2051 nel 1951, 1817 nel 1961. Fu molto alta la percentuale dei morti di Morino al terremoto del 1915. Il paese fu raso al suolo e le vittime dell'immane disastro furono 110.
    (morino.terremarsicane.it)

     
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  15. gheagabry
     
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    Sanzhi UFO Houses, San Zhi



    Sanzhi è un piccolo villaggio sulla costa di Taiwan, costruito tra la fine degli anni '70 e gli inizi degli anni '80. Queste misteriose abitazioni hanno dato vita a una serie di leggende riguardanti alieni e fenomeni paranormali, tanto da sostenere che il villaggio sia maledetto. Le chiamano "UFO houses", le case degli UFO.
    Sembrano appena atterrati sulla Terra ma in realtà sono casette costruite per i militari americani nel 1978 la cui costruzione è stata abbandonata due anni più tardi.



    Ad un primo impatto il villaggio sembra una città aliena uscita da un film di fantascienza, ma in realtà è un paese abbandonato, o meglio un paese che forse non è mai stato abitato.... una ventina di palazzine trifamiliari con giardini privati e piscine in comune, opera del visionario Yu Zi che lavorò su commissione dello stesso governo di Taiwan, intenzionato a promuovere e sfruttare la zona per attirare il turismo balneare.



    Risalire alla storia vera del luogo è molto difficile poiché in rete ci sono moltissime storie ma quasi nessuna trova riscotri reali; una delle versioni racconta che il progetto di costruzione della città avveniristica non ebbe fine poiché si verificarono un’infinità di incidenti che costarono cari sia in termini economici, sia in termini di vite umane.
    Tali avvenimenti scatenarono la fantasia e le credenze popolari, la gente diceva che il luogo dove stava sorgendo la città era maledetto oppure che SanZhi sorgesse su un antico cimitero… tante voci, ma la credenza comune era che degli spiriti o delle presenze volessero impedire la costruzione di San Zhi.
    Ad arricchire la leggenda la storia racconta di come la città abbandonata conservi anche le anime dei defunti operai e che questi terrorizzino gli sventurati turisti.




    Furono demolite alla fine del 2008, nonostante una petizione online per mantenere le strutture come museo.



    fonte www.paesifantasma.com/, web
     
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