MONGOLIA

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  1. gheagabry
     
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    Ecco Mappa Mongola, tesoro d'epoca Ming
    Oltre trenta metri di seta dipinta che fotografano la Mongolia del XVI secolo. E' l'incredibile 'Mappa del paesaggio mongolo', documento unico che sara' in mostra a Roma, in prima mondiale dal 21 ottobre al 26 febbraio alle Terme di Diocleziano, inserito nella rassegna 'A Oriente.
    Citta', uomini e dei sulla via della seta', primo di 11 progetti della neonata Biennale Internazionale di cultura Vie della Seta. Fotografato e filmato in anteprima dall'Ansa, che ha avuto accesso al backstage della mostra, l'importante reperto, un lungo rotolo, e' stato rinvenuto e acquistato nel 2002 in Giappone - dove era giunto negli anni Venti del Novecento - da una societa' d'aste di Pechino. Ora e' di proprieta' di un privato cinese.
    Risale all'epoca Ming (sarebbe stata realizzato tra il 1524 e il 1539) e raffigura luoghi e soggetti rinomati delle Vie della Seta, un territorio vastissimo che dal lembo più' occidentale della provincia cinese del Gansu (Cina nord occidentale) arriva fino al Mar Rosso.
    Anzi, secondo l'esperto della universita' di Pechino che l'ha studiata, in origine doveva misurare almeno 40 metri, descrivendo pure le terre che dalla Mecca arrivavano all'odierna Istanbul. Realizzata con inchiostro e colori su seta, la Mappa e' ricca di 211 toponimi cinesi, molti dei quali traslitterati dal mongolo, dall'uiguro, dal persiano, arabo, armeno, greco. Persino la Mecca (Tianfang) e' presentata come una nobilissima citta' della Cina.
    L'esposizione, curata per la parte scientifica da Francesco D'Arelli e Pierfrancesco Callieri, sara' ospitata in alcune Aule delle Terme di Diocleziano aperte in via eccezionale dalla soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma. Allestimento e percorso multimediale sono firmati da Studio Azzurro. Promossa dai ministeri degli esteri e dei beni culturali, nonche' da Roma Capitale e Camera di Commercio di Roma, la Biennale internazionale di cultura Vie della Seta e' organizzata e coordinata da Zetema.(Ansa)


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  2. tomiva57
     
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    Mongolia


    Vacanze in Mongolia



    Postato da: oissela
    Autore: guajira
    da: viaggioideale.it


    Mongolia


    Mongolia



    La voglia di trascorrere una vacanza in un luogo lontano dalle solite mete turistiche, ci fa optare per un viaggio in Mongolia. Espletate le pratiche burocratiche (consistenti nella richiesta del visto al consolato onorario mongolo con sede a Torino, e successiva spedizione del passaporto tramite corriere convenzionato che nell’arco di pochi giorni ci riconsegnerà a domicilio il tutto), siamo pronti per la partenza. La Mongolia è una destinazione ancora relativamente poco battuta, e sono poche le compagnie aeree che vi arrivano. Per chi viaggia dall’Italia la scelta Aeroflot è pressoché obbligata. Per risparmiare qualche centinaio di euro a testa partiamo da Milano anziché dalla molto più comoda Venezia: dobbiamo fare scalo a Mosca, dove non possiamo uscire dalla zona internazionale dell’aeroporto a meno di non essere in possesso di visto russo. Poco male, perché all’andata dobbiamo aspettare solo due ore prima di imbarcarci per Ulan Bator. Il volo dalla capitale russa a quella mongola si rivela scomodissimo: i sedili sono stretti e a fianco di uno di noi è seduto un belga di notevole stazza che per tutto il viaggio non fa altro che bere vino, vodka e… sudare. Arriviamo comunque vivi e vegeti in Mongolia alle 7 di mattina e, dopo aver cambiato un po’ di soldi, ci facciamo portare in centro da un tassista improvvisato. Non abbiamo prenotato un posto per dormire e perdiamo la mattina a cercarne uno. Notiamo subito come gli alberghi qui siano pochi e molto cari rispetto agli standard asiatici: decidiamo quindi di orientarci verso una ben più accessibile guesthouse. Ne dobbiamo girate diverse prima di trovarne una che avesse una stanza doppia libera. Alla fine troviamo posto alla Khongor Guesthouse: inizialmente vorremmo pernottare lì per una sola notte e poi cercare qualcos’altro. Ma poi il prezzo economico (circa 9 euro al giorno per la stanza), la possibilità di poter prenotare tour direttamente, e la posizione centrale ci fanno decidere di rimanere lì per tutto il periodo di ferie, o perlomeno per i giorni che resteremo ad Ulan Bator, visto che una parte considerevole della nostra permanenza in Mongolia la trascorreremo in giro per le sterminate lande desolate del Paese.

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    Ulan Bator

    Al di fuori della capitale è pressoché impossibile viaggiare da soli: la rete ferroviaria è limitata al solo asse nord-sud (si tratta della linea che unisce la Russia alla Cina) e i minibus adibiti a trasporto pubblico sono utilizzati quasi esclusivamente dai mongoli per trasportare le merci ingombranti che acquistano nella capitale fino agli angoli più sperduti dello Paese. Per spostarsi da un posto all’altro della Mongolia ci vogliono ore e ore, talvolta giornate, di viaggio in dissestate strade di terra battuta (quelle asfaltate sono rare e per lo più situate nei pressi della capitale), ma quando si arriva a destinazione si dimenticano i disagi fin lì sopportati. Non resta quindi che affidarsi ai tour organizzati, che permettono di noleggiare una jeep (o, più spesso, un minivan) con autista e sono comprensivi di pernottamenti e pasti (e non è cosa da poco, per noi vegetariani, avere qualcuno che ci metta a disposizione piatti adeguati in un Paese in cui la dieta è quasi esclusivamente carnivora). La nostra prima destinazione è il monastero di Amarbayasgalant. Il termine “cattedrale nel deserto” è quanto mai adeguato per definire questo monastero. Si tratta di una bellissima costruzione attorniata da mura, situata in mezzo al nulla. Amarbayasgalant è uno dei principali templi buddisti della Mongolia ed ha un fascino enorme: a livello architettonico ricorda molto lo stile cinese piuttosto che quello tibetano, e così sarà per gran parte degli edifici religiosi che avremo modo di vedere in Mongolia.

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    Gher della Mongolia

    La notte dormiamo in una gher (la tipica tenda circolare dei nomadi mongoli). E’ un’esperienza indimenticabile: fuori c’è un bellissimo cielo stellato e dormire in mezzo alla natura lontani dal tran tran del mondo occidentale fa bene allo spirito.
    Il giorno seguente lo trascorriamo assieme ad una famiglia di nomadi: li osserviamo nelle loro attività quotidiane, legate in particolar modo all’allevamento, e giochiamo con i bambini a giochi in cui si inventano loro tutte le regole (ad esempio, una dama in cui solo loro possono mangiare le nostre pedine…). Come spesso accade in Asia, veniamo scambiati per americani. Chissà poi perché ogni occidentale viene considerato uno yankee… per quanto ci riguarda, tutto vorremmo sembrare a parte che sudditi dell’impero a stelle e strisce.

    Dormiamo ancora in una gher, ma questa volta non si tratta più di una tenda solo per noi come quella della prima notte. Da ora in avanti dovremo abituarci a dormire assieme alle famiglie nomadi, in tende che non brillano certo per pulizia: anche questa, tuttavia, è un’esperienza da fare!

    Ritorniamo ad Ulan Bator e ci ritempriamo prima di intraprendere un altro lungo viaggio, questa volta con destinazione Karakorum: non si tratta dell’omonima catena montuosa, ma della vecchia capitale dell’impero mongolo. In realtà, dei fasti dell’epoca non resta nulla. La città fu rasa al suolo dai cinesi e dalle rovine sono stati costruiti degli edifici religiosi circondati da mura su cui si ergono 108 stupa (monumenti votivi utilizzati per conservare reliquie) bianchi: il monastero di Erdene Zuu.

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    Monastero Erdene Zuu

    Il colpo d’occhio dell’insieme è sensazionale e ripaga di tutte le ore passate nel minivan a sobbalzare per ogni buca. Trascorriamo qualche ora a visitare i diversi templi, immergendoci nella pace del luogo. La sera assistiamo ad uno spettacolo caratterizzato dall’esibizione canora di un anziano che ci fa conoscere il Khoomei, il canto gutturale tipico delle popolazioni mongole (va detto che di per sé la lingua mongola presenta già diversi suoni gutturali): assistiamo anche alle prodezze di una giovanissima contorsionista, e poi andiamo a goderci il meritato riposo in una gher situata all’interno di un villaggio turistico (se così si può chiamare). Il giorno seguente facciamo una breve escursione alla Boovon Khad, una roccia fallica meta di pellegrinaggio da parte delle donne che vogliono avere figli. Fatte le foto e le battute di rito, riprendiamo il cammino verso Ulan Bator. Per strada ci imbattiamo in una manifestazione ludica tipica della Mongolia: si tratta di una selezione locale per il Naadam, la più grande manifestazione sportiva che si svolge nel Paese, nella quale gli atleti gareggiano in tre discipline sportive (lotta, equitazione e tiro con l’arco).

    Dopo qualche giorno di relax nella capitale, è la volta della terza ed ultima escursione: quella nel deserto del Gobi, che ci terrà impegnati per cinque giorni. Pur preferendo viaggiare da soli (cioè senza altri turisti), il caso vuole che due ragazze giapponesi abbiano organizzato con la stessa agenzia il nostro stesso tour per i medesimi giorni. Quindi, anche se con automezzi diversi, facciamo il viaggio assieme. Man mano che ci addentriamo nel deserto, la prima cosa che viene da pensare è che non è poi così diverso dal resto della Mongolia. Si tratta di una steppa con una vegetazione composta quasi esclusivamente da erba e piccoli arbusti, con l’alternanza di zone più brulle e di altre un po’ più rigogliose. Soltanto, con l’incidere dei chilometri scompaiono via via le aquile che invece nel resto del Paese volano numerosissime in cielo e che spesso capita di incrociare appollaiate per terra o sopra qualche palo ad appena pochi passi di distanza. Il primo giorno di viaggio ci fermiamo a Baga Gazariin Chuluu, una montagna di granito in cui la roccia è modellata a formare un paesaggio che pare extraterrestre. Qui un tempo sorgevano dei templi, e qualche rovina, anche se ormai quasi inglobata dalle rocce, si può ancora intravedere. Dopo aver trascorso la notte in una gher, la mattina siamo pronti per ripartire: prossima tappa è il deserto come viene pensato nell’immaginario collettivo, che occupa soltanto una piccola parte della superficie del Gobi; noi abbiamo l’opportunità di vedere le dune di sabbia di Moltsog. Sembra di stare in una grande spiaggia in un ambiente, però, montuoso anziché marino. Ci divertiamo per un po’ a scorrazzare tra le dune e ripartiamo quindi alla ricerca di una gher in cui dormire. Molto spesso le guide dei tour vanno alla ricerca sul momento di un posto dove passare la notte: i nomadi sono ospitali e, particolare non trascurabile, non disdegnano qualche togrog (la moneta mongola).

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    Deserto del Gobi

    Il tour nel Gobi riparte l’indomani con le visite a Bayanzag e a Temeen Shavar: si tratta di paesaggi dominati dal colore rosso della terra e da vegetazione molto rada. In età remote qui doveva esserci una presenza piuttosto nutrita di dinosauri, tant’è che nei dintorni si continuano a trovare resti di questi animali preistorici.

    Ci trasferiamo poi a Yoliin, una zona di montagna con sentieri molto piacevoli da percorrere, che si snodano tra rocce ruscelli e dai quali scorgiamo vari animali tra cui diverse marmotte. La sera, prima di andare a coricarci (ovviamente, ancora in una gher), veniamo convinti a fare un giro in cammello, nonostante una certa contrarietà all’utilizzo degli animali a fini ludici. Fatto sta che a fine cavalcata, Gabriele viene disarcionato e cade rovinosamente a terra, facendosi male ma, fortunatamente, non troppo. Siamo in mezzo al deserto, a centinai di chilometri dal più vicino ospedale e i cellulari non prendono: non ci si può permettere di lamentare dolori. L’autista della jeep ci porge due bicchieri di vodka “Chinggis” a mo’ di medicina e tutto finisce lì.

    Comincia la mattina successiva la lunga marcia verso Ulan Bator: dopo ore e ore di viaggio ci fermiamo a pernottare nell’ennesima gher nei pressi della cittadina di Erdene Dalai. Quest’ultima è un agglomerato di case per lo più in legno e lamiera con qualche edificio in mattoni di impronta sovietica. Come in tutti gli altri centri abitati (sono tutti simili, se si eccettua Ulan Bator, che fa storia a sé), i bagni sono posti poco distanti dalle ultime case e consistono di una casetta in legno (o, talvolta, costruita con l’abitacolo di un camion) che poggia su delle assi posizionate in maniera tale da lasciare una fessura piuttosto ampia; la fessura a sua volta si apre sopra una buca profonda che rappresenta la rete fognaria.

    Ormai siamo stanchi di trascorrere gran parte della giornata a guardare fuori dal finestrino paesaggi che dopo un po’ risultano essere sempre uguali. Passiamo ore a contare i copertoni dei camion che vengono abbandonati in gran numero ai bordi della strada e quando arriviamo a Ulan Bator (nel tardo pomeriggio) non possiamo esimerci dal recarci a rilassarci al chioschetto della Tiger (ottima birra mongola).

    Per quanto riguarda Ulan Bator, l’abbiamo visitata approfittando dei giorni di intervallo tra un tour e l’altro: la città ci è subito piaciuta tantissimo. Piuttosto inquinata (come molte città asiatiche), appare ai visitatori come un misto di vecchia capitale di stampo sovietico e città in continuo mutamento in cui trovano posto, gli uni accanto agli altri, modernissimi centri commerciali e piccole bancarelle in cui si vendono sigarette e frutta e che fungono anche da telefoni pubblici (sopra un banchetto è posizionato un telefono collegato chissà dove di cui i mongoli usufruiscono spesso!). Prendiamo subito confidenza con i luoghi più conosciuti: il centro è costituito da Piazza Sukhbathaar, la classica piazza di vaste dimensioni di stampo sovietico dominata dal palazzo del Parlamento presso il quale è situata una statua di Gengis Khan (una statua di modeste dimensioni, in attesa di quella molto più grande che le autorità hanno in cantiere di costruire). Non distante vi è un grande centro commerciale in cui si trova un po’ di tutto e che fungerà come punto di riferimento sia per cambiare soldi che per l’acquisto di diverse cose. Tra i luoghi che visitiamo il più incantevole è di sicuro il Monastero di Gandan, nel quale assistiamo ad una cerimonia cui partecipavano decine e decine di monaci oltre a numerosi fedeli. Per il resto, visitiamo un paio di musei (Museo di storia naturale e Museo Nazionale di storia mongola) mentre rinunciamo ad altri luoghi che magari avrebbero anche meritato una visita, preferendo bighellonare un po’ per la città, che dal nostro punto di vista merita veramente di essere conosciuta non soltanto da un punto di vista turistico. La penultima sera andiamo alla collina di Zaisan, dove si trova un Memoriale dedicato all’antica amiciza mongolo-sovietica. Si tratta di un insieme monumentale imponente, di stampo tipicamente socialista, sopravvissuto al cambio di regime avvenuto in seguito alla disgregazione dell’U.R.S.S. La collina è frequentata abitualmente dai giovani del posto, che vi si recano per trascorrere dei momenti romantici. Il panorama di Ulan Bator che si vede da qui è sensazionale, e ci lascia tanta malinconia, visto che siamo ormai agli sgoccioli del nostro viaggio. Scesi dalla collina, visitiamo anche un parco che si trova nei dintorni, caratterizzato dalla presenza di una grande statua dorata di Buddha: anche qui è pieno di gente che ne approfitta per una passeggiata o per pregare. Arriviamo così alla fine della vacanza: l’ultimo giorno ad Ulan Bator lo dedichiamo allo shopping (tra le altre cose, troviamo anche la maglia della nazionale di calcio mongola, una chicca…) e a sedute di massaggi (qua veramente economici). La mattina dopo ci imbarchiamo nuovamente su un volo Aeroflot diretto a Mosca e, dopo sette interminabili ore trascorse all’aeroporto Sheremetyevo in attesa della coincidenza, a malincuore saliamo sull’aereo che ci riporterà in Italia.


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    lago Tolbo



    mongolia



    da: cacciapassione.com



    La Mongolia (Монгол улс) è il più grande stato del mondo non avente accesso al mare. Confina a nord con la Russia e a sud con la Cina. La capitale è Ulan Bator ed è la città più grande, nella quale risiede circa il 38% della popolazione. La Mongolia è una repubblica parlamentare e con i suoi 1.565.000 km², è 19º paese del pianeta per estensione territoriale (cinque volte l'Italia).

    Il territorio della Mongolia è molto variegato, poiché si passa dal deserto del Gobi a sud, alle regioni fredde e montuose a nord e ovest; per il resto si riscontra la maggior presenza di steppe. La cima più alta della Mongolia è il picco Hùjtnij, il quale si trova nel massiccio Tavan Bogd a 4.374 m. Il bacino del lago Uvs Nuur, condivisa con la Repubblica di Tuva in Russia, è uno dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Il clima estivo è mite, mentre in inverno le temperature scendono fino a -40 °C e a –60 °C nella taiga.

    Il clima del paese è anche soggetto a rigide condizioni climatiche e per questo con il termine zud si definisce un inverno particolarmente freddo e nevoso. La capitale Ulan Bator ha una temperatura media tra le più basse al mondo, se confrontate con le maggiori città al mondo. Tendenzialmente la Mongolia è un paese freddo e ventoso, avendo un clima continentale, con inverni lunghi, freddi e rigidi, mentre in estate il clima diventa asciutto e salubre, raggiungendo i 25-30 °C durante i quali avvengono la maggior parte delle precipitazioni annuali. Nella breve stagione estiva, il vento diventa il protagonista e si distingue quello fresco del nord e quello tiepido dal Gobi.

    L'immenso altopiano di circa 1500 metri di altitudine presenta a nord ovest la catena degli Altaj, ricca di fiumi e foreste di betulle, pini e larici siberiani, a nord foreste di conifere degli ultimi contrafforti della taiga siberiana, nella parte centrale steppe erbose e a sud vaste aree che si fondono con le dune di sabbia del deserto di Gobi.

    In una tale varietà di habitat la fauna presente va dagli orsi, stambecchi, argali, cervi maral, caprioli siberiani, marmotte, coturnici, galli forcelli, cedroni e pernici bianche degli Altaj, alle pernici delle zone subdesertiche e ad una varietà di oltre cento tipi di uccelli e mammiferi quali il rarissimo leopardo delle nevi o l'onagro, asino selvatico dell'immenso deserto di Gobi.
    Le migliori riserve sono situati in una delle zone più belle della Mongolia, la valle del Selenghe, una delle più complete aree per la caccia ai galli forcelli, alle starne e agli ungulati. La valle di Selenghe viene considerata la più adatta per la pesca di magnifici temoli, lucci, trote ed incredibili taimen.

    La natura è tutta attorno con starne e galli forcelli ovunque. La starna è quasi uguale a quella europea, ma più rustica, abituata a difendersi da aquile e volpi, mentre il gallo forcello, identico a quello delle Alpi, qui vive in grossi branchi tra la pianura e le cime delle colline.

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    La Mongolia è un’opportunità per scoprire lo spazio sconfinato, poiché lo sguardo giunge all’ orizzonte, in un paesaggio disabitato, con poche strade e piste, lungo le quali quasi 1 milione di persone si sposta con le loro tende seguendo le stagioni e il bestiame.
    Da circa 10 anni, alcuni tour operator hanno aperto la via della Mongolia ai cacciatori europei. Quest’ultimi, infatti, vengono spesso ospitati nelle grandi tende circolari mongole, rivestite da pelli e arredate come vere case.
    La stagione venatoria dura solo da fine agosto a metà ottobre, quando i primi venti freddi imbiancano le colline annunciando il lungo e rigido inverno siberiano.

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    paesaggio_mongolia

     
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  3. gheagabry
     
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    "... in Mongolia la terra riflette il cielo.
    l'ombra delle nuvole corre lungo il deserto e le steppe.
    Il cielo è talmente vicino. Il paesaggio non si svela...."
    (Bernardo Carvalho)


    LA MONGOLIA


    Questo immenso paese di 1.566.500 kmq, pur essendo molto esteso è il territorio asiatico meno densamente popolato, con appena 2,5 milioni di abitanti e una densità di 1,4 abitanti per km quadrato, che si riduce a meno di 0,5 persone per kmq in alcune regioni (aimag). L’altitudine media è di 1580 metri, per cui è uno dei paesi situati in posizione più elevata al mondo. La cima più alta è il Tavanbogd (poco più basso del Monte Bianco, 4374 metri), il fiume più lungo è il Selenga (615 chilometri, poco meno del Po) che affluisce nel lago Baikal. Il lago più vasto è l'Uvs Nuur (dieci volte il lago di Garda), ma nella stessa regione settentrionale si estende il meraviglioso Huvsgol Nuur, il più frequentato anche dal punto di vista turistico dell'Asia centrale (262 metri).
    La Mongolia presenta inoltre, sul proprio territorio alcuni vulcani: Taryatu-Chulutu (Khorgo), Khanuy Gol, Bus-Bo, Middle Gobi.
    La Mongolia è stata da sempre abitata da varie tribù nomadi. Il primo nucleo riguarda gli Xiongnu nel 209 a.C., per far fronte alle incursioni distruttive degli Xiongnu La Cina decise la costruzione della Grande muraglia, che non sempre si rivelò efficace.

    L’idioma mongolo, di ceppo uralo-altaico (di cui fanno parte anche il finnico, il turco, il kazaco, l'uzbeco e il coreano), è la lingua ufficiale della Mongolia. L'alfabeto utilizzato per la scrittura è il cirillico russo, imposto con la forza dal regime comunista nel 1941 ma, per titoli o marchi, si usa ancora l’antico alfabeto Uiguro.
    Quest’ultimo costituisce una scrittura alfabetica di antica origine siriaca, che i mongoli fecero propria ed usarono, fatta eccezione per un brevissimo periodo nel quale fu tentato l’esperimento dell’alfabeto latino, fino al 1941. Un altro alfabeto, inventato dal primo Buddha Vivente mongolo, Zanabazar, da lui chiamato alfabeto “Soyombo”, fu usato per un breve periodo per tradurre i testi buddisti dal tibetano e dal sanscrito. Si trattava però di un alfabeto elitario, sconosciuto al popolo.


    Fino al XVI° secolo lo shamanismo era la religione dominante in Mongolia. Il lamaismo tibetano fu introdotto alla popolazione dal leader Altan Khan (1507–83). Il profondo rispetto per questa religione è testimoniato anche dai solidi e antichi rapporti che legano la Mongolia al Tibet. Durante il XVIII° secolo la dinastia Manchù incoraggiò la pratica di questo culto, in quanto ciò implicava una maggioranza di monaci piuttosto che guerrieri. Quando il regime comunista salì al potere nel 1921, in Mongolia esistevano 110.000 lama (monaci) che vivevano in 700 monasteri, ma dal 1929 al 1990 le autorità cercarono di ostacolare questo culto. Agli inizi degli anni '30 migliaia di monaci furono arrestati e deportati nei campi di lavoro della Siberia, da cui non fecero mai ritorno. I monasteri furono chiusi e saccheggiati e tutte le cerimonie e culti religiosi dichiarati fuori legge. La libertà di culto è stata ripristinata solo nel 1990 e da allora c'è stato un massiccio ritorno alla fede buddhista, in particolare al lamaismo.

    ..la storia..


    Gli scavi archeologici effettuati nel Gobi e in altre regioni della Mongolia hanno portato alla luce alcuni resti umani risalenti a circa 500.000 anni fa. La Mongolia fu infatti popolata fin dall’antichità da popolazioni nomadi che vivevano di allevamento ed agricoltura e che in più di un’occasione, organizzate in potenti federazioni politiche, invasero la Cina.
    Il termine "mongolo" fu utilizzato per la prima volta proprio dai cinesi all'epoca della dinastia Tang (618-907). Tra il IV° e il XII° sec. d.C. non ci sono però molte notizie sulle tribù, prevalentemente unne, che si trovavano in questa vaste prateria dell'Asia centro-settentrionale. I mongoli non erano molto inclini a stringere alleanze con le altre popolazioni nomadi dell'Asia settentrionale. Rimasero poco più che una confederazione disgregata di clan rivali fino alla fine del XII secolo, quando, più precisamente nella primavera del 1206 d.C., un’assemblea generale delle popolazioni di stirpe mongola si riunì per eleggere una guida comune. La scelta cadde su un mongolo di appena 20 anni chiamato Temujin (“il fabbro”), che passerà poi alla storia con il titolo onorifico di Genghis Khan, "Sovrano Universale". Per i mongoli la sua figura incarna gli ideali di forza, unità, legge e ordine. Genghis Khan nominò l'odierna Kharkhorin capitale del suo regno e lanciò la sua coraggiosa cavalleria contro Cina e Russia. Alla sua morte, che avvenne nel 1227, era riuscito ad unificare le numerose etnie che coesistevano nel Paese, creando un vero e proprio impero. Il nipote di Gengis Khan, Kublai Khan, portò a compimento la conquista della Cina, ponendo fine alla dinastia Song e divenendo il capostipite della dinastia Yuan (1271-1368). È in questo periodo che si registra il massimo fulgore della Mongolia: l'Impero Mongolo, il più vasto che il mondo avesse mai conosciuto, si estendeva dalla Corea all'Ungheria e, a sud, fino al Vietnam.
    Dopo la morte di Kublai Khan, avvenuta nel 1294, i mongoli presero però a dipendere sempre più dalle popolazioni che essi avevano assoggettato e si guadagnarono il disprezzo generale creando una classe elitaria e privilegiata, mentre tutto l'impero era preda di fazioni rivali in lotta per il potere. I mongoli furono cacciati da Pechino alla metà del XIV° secolo dal primo imperatore della dinastia Ming. Alla disgregazione dell'impero seguirono anni di declino segnati da guerre fra clan rivali.
    Nel XVII° secolo, il Paese divenne dominio della dinastia Manciù che regnava sulla Cina, andando a costituire due province cinesi, la Mongolia Interna ed Esterna. Nel frattempo, alla fine del XVII° secolo, la Mongolia perse la sua parte settentrionale ed il lago Bajkal a seguito dell’invasione russa. La storia della Mongolia moderna inizia con la caduta della dinastia cinese Manciù (1911). La Mongolia, approfittò infatti di questa occasione per dichiarare la propria indipendenza dalla Cina, diventando un protettorato russo governato da una monarchia teocratica. Nel 1915, Mongolia, Cina e Russia firmarono il trattato di Kyakhta, che sanciva il riconoscimento di una limitata autonomia della Mongolia.
    Nel 1919 però la Cina, approfittando della debolezza russa dovuta alla rivoluzione bolscevica del 1917, occupò la capitale. ... il 26 novembre 1924, fu proclamata la Repubblica Popolare di Mongolia, la seconda nazione comunista del mondo.
    Allineati all’Unione Sovietica, i dirigenti della Repubblica Popolare intrapresero una radicale trasformazione del Paese. La collettivizzazione delle terre e degli allevamenti e la confisca dei monasteri causarono agli inizi degli anni Trenta frequenti rivolte, soffocate nel sangue dalle autorità bolsceviche.Nel 1945 la conferenza di Jalta confermò il protettorato sovietico sulla Mongolia e l’anno seguente la Repubblica Popolare Mongola venne riconosciuto dalla Cina (dal 1949 i due paesi stabilirono normali relazioni diplomatiche). Accolta nel 1961 nelle Nazioni Unite, la Mongolia riprese a coltivare stretti rapporti politici ed economici con i sovietici, al punto da essere considerata una repubblica organica all’Unione Sovietica e tanto da aver ospitato molte basi URSS durante la Guerra fredda ed un contingente di circa 65.000 uomini. Dal 1966 i due paesi sono legati da un trattato di amicizia e di mutua assistenza.
    Nella seconda metà degli anni Ottanta l’ascesa di Michail Gorbaciov alla guida dell’Unione Sovietica determinò anche in Mongolia l’inizio di un processo di democratizzazione, sotto la guida di Jambyn Batmonkh, che nel 1986 avviò anche in Mongolia un cauto tentativo di perestroika (ristrutturazione economica, politica e sociale) e glasnost (trasparenza politica). Il disfacimento dell'Unione Sovietica portò poi, per forza di cose, alla decolonizzazione, che culminò nel luglio 1990 con le prime elezioni multipartitiche. (viaggimongolia.it)


    Il mito mongolo della creazione del mondo racconta:

    "Apparve un cane selvatico azzurro e grigio
    il cui destino era imposto dal Cielo.
    Aveva per compagna una capriola."



    Così comincia un'altra storia d'amore. Il cane selvatico con il suo coraggio e la sua forza; la capriola con la sua dolcezza, il suo intuito e la sua eleganza. Il cacciatore e la preda si incontrano e si amano. Secondo le leggi della natura uno dovrebbe distruggere l'altra - ma nell'amore non esistono nè bene nè male, non c'è costruzione e nemmeno distruzione: ci sono solo movimenti. E l'amore cambia le leggi della natura. Nelle steppe da cui provengo, il cane selvatico è un animale femminile. Sensibile, abile nella caccia perchè ha sviluppato il proprio istinto ma, nel contempo, timido. Non usa la forza bruta, bensì la strategia. Coraggioso e cauto, ma rapido. Nel volgere di un attimo, passa da uno stato di rilassamento totale alla tensione che gli serve per ghermire la sua preda. La capriola possiede gli attributi maschili: la velocità, la comprensione del territorio. La capriola e il cane si muovono nei rispettivi universi simbolici. Sono due realtà impossibili che, quando si incontrano, superano le rispettive nature e barriere, e rendono possibile anche il mondo. Questo è il mito mongolo: dalle nature diverse nasce l'amore. Nella contraddizione, esso acquista forza.
    Nel confronto e nella trasformazione, si preserva.
    (Paulo Coelho)


    Il mio Paese

    Khentei, Khangai, Soyon - vette imponenti:
    meraviglie del nord – foreste di legname, fitte di alberi:
    Menem, Sharga, il silenzio di Nomin – l’immobile deserto dei Gobi:
    mari di sabbia del sud, e ancora e ancora:
    sono la mia casa: Mongolia, piena d’anima e bella.
    Kherelen, Onon, Tuul – fiumi limpidi e brillanti,
    ruscelli, sorgenti – acque pure e chiare:
    Khovsgol, Uvs, Buir – stretti, profondi,
    fiumi, laghi dove bevono uomini e animali:
    sono la mia casa: Mongolia, piena d’anima e bella.
    Orkhon, Selenge, Khukhui – fiumi rilucenti:
    vette e altezze dove metalli e pietre stanno sotto:
    antichi luoghi distrutti del passato, accampamenti e tenute,
    autostrade, sentieri verso posti lontani:
    sono la mia casa: Mongolia, piena d’anima e bella.
    Vette che mozzano il fiato, brillanti di neve:
    intatte, infinite sotto il cielo azzurro:
    cime pure, sconfinate e irraggiungibili:
    pianure, sconfinate, dove l’anima si placa:
    sono la mia casa: Mongolia, piena d’anima e bella.
    L’infinita Khalkha tra cime e pianure di sabbia:
    terra sconfinata della gioventù:
    cime bianche abitate dal lupo e dal cervo:
    valli abbaglianti dove i cavalli galoppano:
    sono la mia casa. Mongolia, piana d’anima e bella.
    Erba rilucente, frusciante al vento:
    e pianure, sconfinate, piene di miraggi:
    rocce e ombre di pietre dove gli uomini si incontravano:
    rifugi di pietra dove gli uomini incontravano dio e antenati:
    sono la mia casa: Mongolia, piane d’anima e bella.
    Pianure piene d’erba, sconfinate e brillanti,
    a lungo percorse in gioventù ed ora:
    percorse da uomini liberi, stagione dopo stagione:
    pianure piene di vita dove crescono cinque cereali:
    sono la mia casa. Mongolia, piena d’anima e bella.
    Altezze mozzafiato – tombe dove gli antenati sono cullati:
    pullulanti di bambini e percorse da uomini liberi:
    pianure sconfinate dove crescono cinque animali:
    piene di vita di anime di Mongoli, sempre:
    sono la mia casa. Mongolia piena d’anima e bella.
    Sconfinata, ampia, profonda - bianca d’inverno:
    ricoperta d’erba ghiacciata:
    sconfinata, profonda, ampia – fiorita d’estate:
    echeggiante di canti di uccelli del sud:
    essi sono la mia casa: Mongolia, piena d’nima e bella.
    Terra viva, tra l’Altai e il Khingan:
    terre tenuta viva – passatami dai miei genitori,
    terra cresciuta sotto il sole:
    a me cara sotto il chiaro di luna:
    sono la mia casa: Mongolia, piena d’anima e bella.
    Terra degli antenati: la mia, da Hun a Sung:
    terra terribile, scossa dai Mongoli Blu:
    terra fatta nostra dalle origini del tempo:
    terra battuta dalla bandiera della nuova speranza:
    è la mia casa: Mongolia, piena d’anima e bella.
    Il mio Paese, percorso da bambini, cresciuta con me:
    amata, inviolata, con me – la mia casa:
    cresciuta, cresciuta prima e dopo di me:
    e cresciuta ancora, con me: sempre più nuova e bella:
    è la mia casa: Mongolia, piena d’anima e bella.
    (Dashborjyn Natsagdori)

     
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