IL TARTUFO....DIAMANTE DELLE TAVOLE

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    Il tartufo....diamante delle tavole











    Il tartufo e' un frutto della terra conosciuto dai tempi piu' antichi. Si hanno testimonianze della sua presenza nella dieta del popolo dei sumeri ed al tempo del patriarca Giacobbe intorno al 1700 - 1600 a.C.
    I greci lo chiamavano Hydnon (da cui deriva il termine "idnologia" la scienza che si occupa dei tartufi) oppure Idra ,i latini lo denominavano Tuber, dal verbo tumere(gonfiare),gli arabi Ramech Alchamech Tufus oppure Tomer e Kemas, gli spagnoli Turma de tierra o cadilla de tierra, i francesi truffe (derivante dal significato di frode collegato alla rappresentazione teatrale di Molière "Tartufe"del 1664, gli inglesi Truffle, infine i tedeschi Hirstbrunst,oppure Truffel.
    Gli antichi Sumeri utilizzavano il tartufo mischiandolo ad altri vegetali quali orzo, ceci, lenticchie e senape, gli antichi ateniesi si dice che lo adorassero al punto di conferire la cittadinanza ai figli di Cherippo per aver inventato una nuova ricetta. Plinio il Vecchio nel libro della Hystoria Naturale ci narra la storia di un pretore, tale Lartio Licinio, che si trovò nella situazione di emettere una sentenza che gli creava un enorme imbarazzo. Un ricco cittadino chiedeva un risarcimento da una persona che gli aveva donato un tartufo contenente una moneta che gli si rivelò solo quando addentato il tartufo gli si spezzarono i denti incisivi.L'opinione del Plinio nella sua veste di naturalista era che il tartufo "sta fra quelle cose che nascono ma non si possono seminare".
    Plutarco azzardò l'affermazione alquanto originale che il "Tubero" nasceva dall'azione combinata dell'acqua, del calore e dei fulmini. Simili teorie erano condivise o contestate da (tra i più noti) Plinio, Marziale, Giovenale e Galeno ed avevano come unico risultato lunghe diatribe. Non essendo quindi ancora stabilita l'origine dei tartufi, la scienza unita alle credenze popolari coprirono il tartufo di mistero al punto che non si sapeva definire se fosse una pianta o un animale. Oppure venne definito come una escrescenza degenerativa del terreno, più in la' addiritura cibo del diavolo o delle streghe.











    Si credeva che contenesse veleni che portavano alla morte. Ma il rischio di avvelenamento non era collegato all'organismo tartufo in sè, ma al luogo in cui cresceva, quindi la possibile vicinanza nel terreno di nidi di serpi,tane di animali velenosi, ferri arrugginiti e cadaveri.

    Infatti il Guainero nel suo manuale "Pratica Medicinae" tratta tra gli altri argomenti gli avvelenamenti da funghi e da tartufi e dopo aver descritto in modo dettagliato le sofferenze riportate dall'intossicazione, consiglia di far cuocere i funghi e quindi anche i tartufi con delle pere che secondo questa teoria avrebbero assorbito i veleni.
    In realtà la validità di questa pratica non è da attribuire all'azione delle pere ma al semplice fatto che i funghi contengono sostanze tossiche termolabili ad una temperatura pari a 60-70 gradi centigradi ed in questo modo la cottura permette di eliminarle completamente. Altre ricette ci vengono fornite da Dioscoride che nella sua opera "Sulla materia medica" suggeriva per l'avvelenamento da funghi l'aceto, pozioni salate e sterco di pollo. Il primo trattato unicamente dedicato al tartufo risale al MDLXIIII scritto da Alfonso Ciccarelli medico umbro.










    Un unico episodio nella storia del tartufo collegata ad una morte probabilmente per congestione è riportata da un cronista del 1368. Si parla del duca di Clarence,figlio di Edoardo III Plantageneto giunto in visita ad Alba che dopo un abbondante banchetto comprendente tra le altre cose il suddetto tartufo"...Grande copia di trifole havendo manducato per modo di pane, volse con vini diversi donare refrigerio alle interiora, hautene un forte calore que lo addusse a trapasso" . Diversamente procedeva invece la storia gastronomica del tartufo perché non c'era teoria scientifica o no che ne limitasse l'uso in cucina. E' noto che papa Gregorio IV ne fece largo uso ufficialmente per compensare le energie spese nel fronteggiare i Saraceni. Sant'Ambrogio ringraziava il vescovo di COMO San Felice per la bontà dei tartufi ricevuti. Nell'Europa del passato il tartufo era anche chiamato "aglio del ricco" per il suo leggero sentore agliaceo e naturalmente perchè se ne trovavano in abbondanza. In Piemonte se ne fa un consumo rilevante intorno al XVII secolo ad imitazione della Francia. C'é anche da aggiungere che i tartufi in questione non erano quelli neri per lo più utilizzati per farcire carni e pesci, ma i tartufi bianchi di cui se ne faceva un impiego massiccio.

    La prima immagine a lui dedicata sembrerebbe l'iconografia del Tacuinum Sanitatis, conservata alla biblioteca Casanatese. L'opera illustra un paggio intento a raccogliere tartufi neri da porre in un cesto, e le poche righe descrittive parlano di "terra tufulae", responsabili di provocare il "morbum melanconicum". E’ il rinascimento l’epoca del trionfo del tartufo, che ignorato dalla tradizione popolare domina le mense aristocratiche con le ricette degli autori più prestigiosi. Fu in questa epoca che sembra Caterina de' Medici fece apprezzare alla corte di Francia il tartufo bianco proveniente dall’Italia (nelle terre d’oltralpe ancora oggi si può solo sperare di trovare il nero). Il tartufo nasce e cresce in prossimità delle radici degli alberi, in particolare ama il pioppo, il tiglio, la quercia e il salice. L’autunno è il periodo del tartufo bianco (il più caro); da dicembre a marzo del tartufo nero pregiato; dalla fine dell’inverno e per tutta la primavera si può trovare il cosiddetto bianchetto o marzuolo, e durante l’estate lo scorzone. In cucina: il bianco dal profumo intenso esalta le sue qualità direttamente a crudo sulle pietanza pronte, quello nero invece sprigiona il suo sapore se cotto con gli ingredienti della ricetta.

    Nel '700 il tartufo Piemontese era considerato presso tutte le Corti una delle cose più pregiate. La ricerca del tartufo costituiva un divertimento di palazzo per cui gli ospiti e ambasciatori stranieri a Torino erano invitati ad assistervi. Da qui forse nasce l'usanza dell'utilizzo di un animale elegante come il cane per la cerca. Tra la fine del XVII ed inizio del XVIII sec. i sovrani Italiani Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III si prodigavano in vere e proprie battute di raccolta. Un episodio interessante riguarda una spedizione tartufiera avvenuta nel 1751 organizzata per l'appunto da Carlo Emanuele III nella Casa Reale d'Inghilterra nel tentativo di tartufizzare la cucina britannica. In quel frangente furono trovati tartufi nel suolo Inglese ma di valore estremamente inferiore a quelli Piemontesi.

    Il Conte Camillo Benso di Cavour nelle sue attività politiche utilizzò il tartufo come mezzo diplomatico, Gioacchino Rossini lo definì "Il Mozart dei funghi", lord Byron lo teneva sulla scrivania perché il suo profumo gli destasse la creatività, Alexandre Dumas lo definì il Sancta Santorum della tavola.

    Nel '700 avvenne il matrimonio del tartufo con altri cibi prelibati, come la salsa di ostriche di Francois Mann.
    Talleyrand, ministro degli esteri di Napoleone, era grande estimatore dei tartufi che usava assieme alle donne come arma di diplomazia: ai suoi ricevimenti non mancavano mai ricette “al tartufo” ideate da Careme. Anche nei grandi appuntamenti della storia questo alimento era presente: dal pranzo di conclusione del congresso di Vienna (1815 "croquettes d'esturgeon aux truffes"), al banchetto offerto nel 1896 dal presidente della Repubblica Francese allo Zar Nicola.
    Brillat Savarin lo riteneva il “diamante della cucina”, Gioacchino Rossini, "il Mozart dei funghi", Auguste Escoffier "perla della cucina", Pellegrino Artusi “simbolo del buon mangiare”. Proprio Rossini lo apprezzava nei tuornedos, oppure nell’insalata con radicchio, olio d’oliva, senape, limone, sale e pepe. Giuseppe Verdi, invece, lo mangiava a fettine nel timballo di pasta sfoglia, petti di pollo e purè di fegato profumato al Madera.
    Con il ‘900 il tartufo entrò diffusamente nella cucina borghese, diventando un piatto di mezzo: servito crudo, scaldato o nello champagne.











    Ma arriviamo ai giorni nostri, per parlare di un personaggio che diventerà una pietra miliare nella storia del tartufo ovvero Giacomo Morra, albergatore e ristoratore di Alba.


    Egli intuì la possibilità di rendere il Tartufo un oggetto di culto a livello internazionale dandogli un nome "Tartufo d'Alba" e collegandolo a un evento di richiamo turistico e enogastronomico. Nel 1949 egli ebbe la brillante idea di regalare il miglior esemplare raccolto quell'anno alla famosissima attrice Rita Haywort. Quell'episodio non era destinato ad essere unico, perchè da allora in poi quasi tutti gli anni verranno inviati preziosi tartufi a personaggi di rilievo internazionale. Tra tutti i personaggi ricordiamo: il Presidente degli Stati Uniti Harry Truman nel 1951; Winston Churchill nel 1953; Joe Di Maggio e Marylin Monroe Nel 1954; L'Imperatore d'Etiopia Hailè Selassiè nel 1955; il Presidente degli Usa Eisenhover e Nikita Krusciov nel 1959; Papa Paolo VI nel 1965.Seguono ancora Ercole Baldini campione di ciclismo, Sofia Loren, Alfred Hitckcok, l'equipaggio di "Azzurra", Papa Giovanni Paolo II, Ronald Regan, Gianni Agnelli, Gorbaciov, Luciano Pavarotti, Valentino, il Principe Alberto di Monaco, Valeria Marini.
    Il tartufo è un fungo che vive sottoterra, a forma di tubero costituito da una massa carnosa,detta "gleba", rivestita da una sorta di corteccia chiamata "peridio". E' classificato in diverse specie: il "Magnatum pico"nome volgare tartufo bianco, il"Melanosporum Vit" nome volgare tartufo nero, l' "albidum" nome volgare bianchetto, l' "aestivum" nome volgare scorzone, il "brumale" nome volgare tartufo invernale.


    Il tartufo è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell'albero con cui vive in simbiosi. Infatti nasce e si sviluppa vicino alle radici di alberi principalmente quelle del pioppo, del tiglio, della quercia e del salice, diventando dopo la formazione un vero e proprio parassita. Le caratteristiche di colorazione, sapore e profumo dei tartufi saranno determinate dal tipo di alberi presso i quali essi si svilupperanno. Ad esempio i tartufi che crescono nei pressi della quercia,avranno un profumo più pregnante, mentre quelli vicino ai tigli saranno più chiari ed aromatici. La forma, invece dipenderà dal tipo di terreno: se soffice il tartufo si presenterà più liscio,se compatto, diventerà nodoso e bitorzoluto per la difficoltà di farsi spazio.

    Correva l'anno 1929 quando per la prima volta Giacomo Morra fece il primo tentativo di pubblicizzare il tartufo all'interno della già consacrata Fiera d'Alba con una esposizione dei migliori tartufi raccolti ed ottenne un tale successo che si decise di farne una costante all'interno delle Feste vendemmiali. Naturalmente la manifestazione negli anni successivi destò sempre più interesse richiamando personaggi di alto livello nazionale. Nel 1930 The Observer si occupò con un esteso articolo della Fiera di Alba ed in particolare del tartufo. Nel 1932 Pinot Gallizio artista Albese fonda il "Palio degli Asini". Nel 1933 ufficialmente la Fiera d'Alba viene denominata "Fiera del Tartufo" e per la prima volta i vini locali come il Barolo, il Barbaresco e l'Asti Spumante si affiancarono al prodotto tartufo. Nel 1936 la VIII Fiera del Tartufo fu inaugurata da Umberto di Savoia e nel '37 da Pietro Badoglio. nel 1942 la Fiera durò solo tre giorni e venne sospesa a causa della guerra. Si riparte quindi nel 1945 ed il costo dei tartufi era salito a 3000 al Kg. Dagli anni '50 in poi la Fiera mantiene il compito specifico di promuovere a livello internazionale le nuove industrie albesi, lo sviluppo delle attività commmerciali, l'artigianato, l'agricoltura e i suoi prodotti. Le manifestazioni collaterali alla fiera assunsero una notevole importanza ad esempio con l'organizzazione di concorsi di pittura che portarono ad Alba grandi pittori come Menzio, Paulucci e Solavaggione. Nel 1967 venne ricostituito il Palio degli asini dando vita alle rievocazioni medievali della Giostra delle Cento Torri.






    Il tartufo re degli eccitanti






    I Romani conoscevano e mangiavano le poco profumate terfezie, o “tartufi della sabbia” provenienti dall’Africa.
    All’epoca la loro origine rappresentava un enigma, Plinio le inseriva fra le piante prodigiose, e Apicio le proponeva nella sua raccolta di ricette.
    In Europa, per quasi tutto il Medioevo i tartufi non vennero considerati, ma dalla seconda metà del Quattrocento vi fu un’inversione di tendenza.
    Questi tuberi, specialmente i neri raccolti lungo gli Appennini, divennero in Italia un cibo ricercato e molto apprezzato dai potenti.
    Numerosi fonti indicano che si utilizzavano le scrofe per cercarli, e che erano cotti sotto la cenere o saltati in padella, per essere poi mangiati senza una precisa collocazione durante il pasto. In quel tempo ai tartufi s’iniziarono ad attribuire anche virtù afrodisiaca, e il medico Michele Savonarola li consigliava come alimento ideale per i vecchi che avevano una bella moglie.
    Platina, erudito dell’epoca, non solo assegnò al tartufo un alto potere nutritivo, ma lo definì:
    “un eccitante della lussuria… servito spesso nei pruriginosi banchetti di uomini ricchi e raffinatissimi che desiderano essere meglio preparati ai piaceri di Venere”.
    L’efficacia dei tartufi era così proverbiale da meritare una testimonianza letteraria di Pietro Aretino, riferita ad un vecchio che non riusciva a godere dei piaceri amorosi:
    “né per tartuffi, ne per carcioffi, né per lattovari puoté mai drizzare il palo, e se pur l’alzava un poco, tosto ricadeva giuso…”.
    Tutti i medici italiani del tempo concordavano sul potere afrodisiaco dei tartufi, e alcuni ciarlatani preparavano e vendevano con lauti guadagni elisir d’amore a base della sua essenza.
    I trattati italiani di gastronomia del Seicento parlano del potere rinvigorente del tubero come un fatto scontato, e la sua virtù non viene dimenticate neppure nelle memorie di Casanova.
    Secondo Brillat Savarin fino al 1780 il tartufo scarseggiava sopra le mense francesi, ma nel 1825 anno di pubblicazione della Fisiologia del Gusto, grazie alla corroborante fama il suo consumo era ormai diffuso.
    In Italia, nella seconda metà dell’Ottocento, Paolo Mantegazza nel libro “Igiene dell’amore”, elencando gli alimenti afrodisiaci, metteva in cima i tartufi. Poiché lo scienziato era il primo italiano a trattare e divulgare argomenti scabrosi, la sua notorietà diventata enorme contribuì a consolidare la fama del tubero.
    Negli ultimi decenni del Novecento è stata avanzata un’ipotesi scientifica sulla virtù di stimolante sessuale del tartufo. Secondo questa, il suo odore dovuto soprattutto all’androstenone, sostanza presente anche nel feromone del porco maschio, attirerebbe irresistibilmente le scrofe. Per analogia fra mondo animale e umano, si è ipotizzato che i tartufi avrebbero un effetto eccitante anche sul genere umano.











    Le specie del tartufo






    Per quasi due millenni il centro Europa è stato il nucleo commerciale del tartufo ma esso e' presente in molte culture sin dalle epoche preistoriche.

    Secondo gli antichi romani i tartufi migliori si trovavano in Grecia e Libia, per Bartolomeo Platina, medico cremonese del '400 in Africa, Siria, Grecia. In Oriente e' diffuso nelle zone della Cina e del Giappone e si presume che anche i nativi Americani ne conoscessero l'esistenza ma non si hanno prove che ne indichino l'utilizzo. In Europa erano famosi quelli della Provenza, del Perigord della Borgogna. In Germania si conobbero ai primi del '700 nelle zone di Brandeburgo e Sassonia ed in Italia il tartufo nero e' presente in quasi tutto il territorio avvalendosi di un mercato a livello internazionale solo nell'ottocento ad imitazione della Francia. Questo discorso pero' vale solo dal punto di vista della commercializzazione del tartufo nero, perche' in Italia nel basso Piemonte, gia' dall'epoca medievale il tartufo bianco viene considerato come oggetto di scambio tra le famiglie nobili.

    Ma scendiamo piu' nel particolare e cerchiamo di conoscere meglio i luoghi dove i tartufi nascono. I tartufi si dividono in due famiglie principali: le Tuberacee e le Terfeziacee.
    Le piu' importanti specie di tartufi ricercate e conosciute per scopi alimentari appartengono al gruppo delle tuberacee che pur essendo classificate come funghi ipogei, possono in determinate condizioni affiorare dal terreno. Esse vivono in simbiosi con piante come quercie, pioppi, noccioli, salici, faggi ed anche conifere.
    In genere la maturazione avviene nel periodo autunnale, ma esistono anche specie primaverili, estive ed invernali. Tra quelle piu' conosciute sul nostro territorio nazionale e che rivestono interesse economico e culinario se ne annoverano sette.




    Tartufo nero







    Il tartufo nero pregiato, nome scientifico TUBER MELANOSPORUM VITT conosciuto come tartufo di Norcia, di Spoleto o truffe de Perigord per i francesi ha un aspetto abbastanza omogeneo e tondeggiante con verruche poligonali.Il colore bruno nerastro della superficie assume sfumature color ruggine allo sfregamento. La carne o gleba é chiara, il suo profumo é intenso, aromatico e fruttato.
    Cresce nelle zone collinari e montane in simbiosi con il nocciolo il rovere e la farnia. Dopo il tartufo bianco é considerato il più pregiato a livello commerciale ed é uno dei protagonisti della cucina internazionale.Il periodo di raccolta é da Dicembre a Marzo. Dove cresce il tartufo nero di solito la vegetazione scarseggia e sotto l'albero l'erba é rada a causa dell'azione del micelio.
    E' possibile osservare anche la presenza di una mosca particolare l'Anisotoma Cinnamomea che normalmente deposita le uova nelle vicinanze del tartufo.




    Il tartufo bianco







    Il tartufo bianco pregiato, nome scientifico TUBER MAGNATUM PICO. E' considerato il tartufo per autonomasia perché riveste un'importanza commerciale notevole. Conosciuto anche come Tartufo d'Alba o del Piemonte perchè cresce in abbondanza soprattutto in questa regione (Monferrato e Langhe), ma lo si trova anche se in minima parte in alcune aree dell'Italia centrale e nel sud della Francia. Alba lo ha battezzato, ma nel Piemonte é presente in tutto il Monferrato, Langhe e Roero ed in parte della collina torinese.
    Esso ha un aspetto globoso, con numerose depressioni sul peridio che lo rendono irregolare. La superficie esterna é liscia e leggermente vellutata. Il colore varia dall'ocra pallido al crema scuro fino al verdastro. La sua carne o gleba é inconfondibile e si presenta bianca e giallo grigiastra con sottili venature bianche. Il suo profumo piacevolmente aromatico ma diverso dall'agliaceo degli altri tartufi lo rende unico nel suo genere. Vive in simbiosi con quercie, tigli, pioppi e salici e raramente lo si trova in concomitanza ad altri tartufi. Il tartufo bianco, per nascere e svilupparsi ha bisogno di terreni particolari con condizioni climatiche altrettanto particolari: Il suolo deve essere soffice e umido per la gran parte dell'anno, deve essere ricco di calcio e con una buona circolazione di aria. E' quindi intuibile che non tutti i terreni presentino queste caratteristiche e proprio questi fattori ambientali fanno si che il tartufo bianco diventi un frutto raro quanto ambito. La raccolta è da Settembre a Dicembre.




    Il tartufo bianchetto







    Il tartufo bianchetto, nome scientifico TUBER BORCHII VITT. E' un tartufo molto ricercato per tradizione nelle zone della Toscana, della Romagna e delle Marche, nonostante abbia un valore commerciale inferiore al tartufo bianco. Esteriormente può essere confuso con il Tuber Magnatum, perché in origine si presenta con le stesse caratteristiche, irregolare, liscio e di colore bianco sporco ma quando giunge a maturazione diventa più scuro. Anche la gleba da inizialmente chiara diventa scura. L'odore è la caratteristica che lo contraddistingue dal tartufo bianco, perché se all'inizio è tenue e gradevole in un secondo tempo diventa
    aglioso e nauseante.Cresce in terreni di tipo calcareo, spesso nei boschi di latifoglie e conifere. Il periodo di raccolta è da Gennaio a Marzo.




    Il tartufo estivo







    Il tartufo estivo o scorzone, nome scientifico TUBER AESTIVUM VITT talvolta raggiunge dimensioni notevoli e si presenta molto simile al tartufo nero. La superficie esterna si presenta con verruche piramidali di colore bruno. Ha un odore aromatico intenso, ma al taglio lo si distingue da quello nero pregiato, perché la gleba non diventa scura, ma tende ad un giallo scuro. Cresce sia in terreni sabbiosi che argillosi, nei boschi di latifoglie ma anche nelle pinete.
    E' molto apprezzato ed é utilizzato per la produzione di insaccati e salse. Il periodo di raccolta é da Maggio a Dicembre.




    Il tartufo nero invernale







    Il tartufo nero invernale, nome scientifico TUBER BRUMALE VITT. Spesso viene confuso con il tartufo nero pregiato perché condivide lo stesso habitat e lo stesso tipo di piante simbionti. Si presenta con una superficie leggermente verrucosa e di colore nero brunastro. All'interno la carne scurisce evidenziando le venature bianche. Profuma di noce moscata e cresce in inverno sotto le latifoglie in climi temperati. Commercialmente il suo valore é dimezzato rispetto al nero pregiato.




    Il tartufo nero liscio







    Il tartufo nero liscio, nome scientifico TUBER MACROSPORUM VITT. Anche se esso é poco conosciuto e solitamente non commercializzato é molto apprezzato. Si distingue per l'odore vagamente agliaceo simile al tartufo bianco e la superficie é liscia con piccole verruche. Cresce in simbiosi con pioppi, tigli, quercie e noccioli.




    Il tartufo di Bagnoli







    Il tartufo di Bagnoli, nome scientifico TUBER MESENTERICUM. E' una specie molto simile allo scorzone ma si differenzia da esso per l'odore intenso di fenolo. Si presenta scuro e verrucoso ed all'interno la carne é consistente e biancastra con le solite venature bianche. E' un tartufo molto diffuso in Italia centro-meridionale e viene raccolto più per motivi tradizionali che economici. Cresce in simbiosi con le quercie, i faggi, le betulle e noccioli e lo si trova in autunno e inverno.






    Altre informazioni siu tartufi neri











    Tra i tartufi neri citiamo ancora delle tipologie della specie non commestibili, per il semplice fatto che possiedono sapori sgradevoli o duri e legnosi. Il TUBER RUFUM, dal colore rossastro presente quasi tutto l'anno in boschi di latifoglie ha un odore forte e nauseante. Molto simile è il TUBER FERRUGINEUM, di colore rossastro tendente al ruggine, cresce nei boschi di latifoglie in inverno e primavera. Ha un odore agliaceo e marcescente come anche il TUBER FOETIDUM. Il TUBER EXCAVATUM come odore non é disgustoso ma la consistenza della gleba lo rende non commestibile.Tutte queste specie non presentano sostanze tossiche, di regola hanno odori sgradevoli ma rappresentano una preda ambita per alcuni animali come ad esempio quello che viene chiamato il tartufo dei cervi l' ELAPHOMYCES GRANULATUS.
    Le Terfezie sono presenti sin dalle epoche più antiche nelle coste dell'Africa e in tutto il bacino del Mediterraneo ed hanno da sempre riscontrato un notevole apprezzamento da parte delle popolazioni del posto e scarso interesse da parte degli europei. La TERFEZIA LEONIS é molto conosciuta in Africa e la si trova anche in Sardegna. Vive in simbiosi con le quercie, ma anche con il cisto e l' heliantemo.






    Valore nutrizionale del tartufo






    Apprezzato per l'aroma e per il caratteristico sapore come tutti gli alimenti il tartufo ha un valore nutrizionale.
    Le componenti principali dei tartufi e cioe': proteine, grassi, carboidrati, acqua e ceneri, risultano quantitativamente simuli a altri funghi edibili e come tali l'alta percentuale di acqua contenuta fra il 75 e il 90% e la presenza di molecole non digeribili dall'uomo fanno si che il valore nutrizionale del tartufo non sia di primaria importanza anche con un notevole consumo di questo alimento (notevole sarebbe anche il costo).
    Quindi anche se l'elevato costo dei tartufi porterebbe il consumatore a credere in un pregevole valore nutrizionale dello stesso, anche se il tartufo ha delle proteine di buona qualita', questo prezioso alimento e' utilizzabile senza controindicazioni per ogni fascia di eta' e di peso.






    Uso in cucina e conservazione











    La passione gastronomica del buongustaio riceve una scossa e viene pervaso da esaltazione quando puo' immergersi nel profumo intenso del tartufo.
    Mentre per la scienza botanica le differenze fra il tartufo bianco e quello nero sono minime, in cucina le due specie vengono nettamente distinte secondo un principio essenziale: il tartufo nero va consumato in quantità, quello bianco in pratica e' un aromatizzante, che trasmette ai cibi soprattutto un profumo, e va quindi impiegato in dosi minime. Le altre differenze sono:il nero si consuma cotto, il bianco quasi esclusivamente crudo, affettandolo con l'apposito tagliatartufi direttamente sulla vivanda.
    I tartufi bianchi sono un "dono" quasi esclusivo di alcune regioni dell'Italia come il Piemonte, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Basilicata e Calabria, anche il tartufo nero pregiato in queste regioni e' possibile trovarlo.

    Conservazione:
    e' possibile conservare in diversi modi il tartufo bianco o nero, ma consigliamo in particolare di utilizzate un contenitore a chiusura ermetica, in modo che il profumo non si disperda.
    Prima di porli nel contenitore pulite il tartufo: la pulizia va fatta con uno spazzolino di durezza media o con un pennellino per eliminare la maggior parte della terra, quindi con un panno per togliere la rimanenza, il tutto fatto con delicatezza.
    Dopo aver disposto i tartufi nel contenitore, ricopriteli con del riso che ne manterra' l'umidita' costante e non li fara' ne' asciugare ne' marcire e recuperateli solo al momento dell'uso.
    Il riso per conservare i tartufi ne assorbirà il profumo, quindi non buttatelo ma utilizzatelo per farne degli ottimi risotti.
    Come dicevamo i tartufi piu' pregiati si mangiano crudi, tagliati con il tagliatartufi al momento di servirli direttamente sulla vivanda pronta posta nel piatto. Qualita' meno pregiate trovano un ottimo utilizzo come guarnizione o nella preparazione delle salse, questi ultimi vanno prima tagliati a pezzetti e messi a insaporire in padella con olio, aglio, acciuga e timo, quindi cosparsi sulla vivanda pronta posta nel piatto.












    fonte truffel.com e taccuinistorici











    Edited by tappi - 9/10/2011, 21:43
     
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    grazie Silvana .....che profumo!!
     
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    i miei nonni usavano i maiali x trovare tartufi.anche oggi in croazia si usa questo metodo.
     
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