i bimbi crescono..aiutiamoli

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    Autonomia dei figli: come aiutare i bambini a diventare grandi


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    Parlando di “autonomia” dei bimbi ci sentiamo spesso padroni della definizione; in realtà definire le autonomie dei nostri cuccioli è compito arduo, non solo per i cambiamenti nel tempo in rapporto all’età evolutiva ma anche per un’oggettiva difficoltà ad individuare caratteristiche e peculiarità globali per una meta che rimane molto soggettiva.

    Dunque il concetto di autonomia è personale e si perfeziona grazie al background educativo e culturale del bambino in relazione al contesto familiare in cui vive.

    Il concetto di autonomia che arriva al bambino molto dipende dal modo in cui il genitore lo percepisce, per cui un genitore indipendente, fiducioso e sicuro sarà più propenso a concedere libertà di sperimentare al figlio, mentre un genitore insicuro, timoroso e dubbioso verso i terzi sarà più restio a diminuire l’attività di controllo sul figlio.

    Indubbiamente nella società di oggi assistiamo ad un aumento di pericoli che potenzialmente potrebbero investire i nostri figli. I genitori sono apprensivi perché coscienti delle crescenti paure.

    Basti pensare all’aumento della diffusione della delinquenza nelle metropoli; un tempo si giocava nei cortili, luoghi in cui il bambino si metteva a confronto con i pari, sperimentando le proprie autonomie lontano dall’occhio vigile della madre che spesso rimaneva in casa….quanti bambini hanno ora la possibilità di farlo?



    Ma allora cosa vuol dire autonomia del bambino, e sopratutto quando è il momento di renderlo autonomo?

    Autonomia vuol dire lasciare che il bruco costruisca il suo bozzolo, che lo rompa e che la farfalla che ne esce sia libera di volare….

    Autonomia vuol dire lasciare che i nostri figli crescano….132-202x300

    …e questo accade fin dal primo momento di vita fuori dall’utero della mamma, quando avviene il primo distacco, quando iniziano per la prima volta a respirare autonomamente.

    Un genitore di un bimbo di pochi mesi penserà all’autonomia del proprio figlio quando questi raggiungerà alcuni obiettivi molto pratici come: mangiare e bere da solo, addormentarsi anche senza la rituale presenza del genitore, staccarsi dal seno materno (poiché oltre ad alimentazione il seno costituisce un legame di continuità tra madre e figlio), essere in grado di giocare in una stanza anche da solo e non con la presenza costante di un adulto ecc…

    La conquista di queste autonomie costituisce un successo per i genitori, per i bambini sono affermazioni di sè, cui si arriva non senza dolore, poiché ogni distacco, allontanamento dalla “base” (il genitore) comporta affrontare incognite e ciò che non conosciamo è normale che ci spaventi.

    In questo percorso di crescita del bambino, un caposaldo deve essere irremovibile e cioè che la mamma (o il papà) sono sì il nostro punto di partenza, la nostra provenienza, ma sono anche una base solida cui ritornare. Il bambino deve riuscire a capire che può permettersi di sperimentare di esplorare perché sa che quando vuol far marcia indietro, troverà sempre le braccia dei genitori pronti ad accoglierlo. Ciò andrà a rafforzare le sue sicurezze, la sua coscienza del sè, la fiducia nell’adulto, step necessari per progredire nell’esplorazione del mondo.

    Affrontando nuove esperienze, le incognite, il bimbo potrà sentirsi impaurito ed userà gli strumenti a sua disposizione (il pianto, l’urlo) per richiamare l’attenzione dell’adulto ed essere da lui consolato.

    Ovviamente questi progressi vanno incentivati senza caricare il bambino di ansie per il mantenimento di prestazioni standard, ricordiamoci che ciascun bambino ha i suoi tempi che possono essere dilatati o contratti a seconda delle proprie caratteristiche soggettive. Noi adulti possiamo aiutare i nostri bimbi rinnovando il nostro ruolo di contenitore affettivo e punto di riferimento…..”mamma e papà ci sono anche se Luca gioca nella sua stanza mentre mamma prepara il pranzo in cucina”…..

    Può essere utile, perché il bimbo si abitui a giocare da solo nella sua stanza, proporgli giochi di sua preferenza, sedersi dapprima vicino a lui, giocando non con lui ma con un altro gioco passandogli il messaggio della presenza del genitore senza che l’attenzione sia necessariamente catalizzata su di lui; poi si può andare in un’altra stanza, parlando col bimbo, facendo in modo che il suono della voce gli ricordi la presenza del genitore “non vedo la mamma ma la sento, per cui c’è”.

    Una costante che non dovrebbe mai mancare nel genitore è l’incoraggiamento. Un atteggiamento propositivo, producente, positivo incoraggia e dunque aumenta la fiducia del bimbo e lo sostiene verso nuove esplorazioni. Succede anche per noi .jpgadulti la stessa cosa, quando abbiamo dei sostenitori, siamo più decisi nel perseverare nelle nostre azioni. E’ un pò quello che succede alle squadre di calcio che giocano in uno stadio, incalzati dai tifosi che innalzano cori di incoraggiamento. Ad un figlio che non riesce a costruire una torre usando le costruzioni, non dobbiamo sostituirci e costruirla noi, ma incoraggiamola a fare una costruzione di altro tipo, magari più bassa, con una base più solida, che sia alla sua portata nel tentativo di riuscita

     
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    LA CRESCITA INTERIORE DEL BAMBINO


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    _è opionione comune che un bambino abbia bisogno di un lento e graduale svezzamento e di una sana dieta alimentare per sviluppare un sistema digerente forte e sano e per poter accostarsi alla vita la crescita del corpo in modo corretto.
    _ ma della vita e della crescita dei sentimenti del bambino, della sua emotività, del modo in cui percepisce il bello, il vero e il giusto del mondo nessuno sembra curarsi. come se una corretta educazione dei sentimenti non fosse necessaria e fosse considerata assolutamente un "in più".
    _forse perchè non è chiaro che in questo ambito ricadono questioni importanti come la volontà, la ricerca della verità, l'armonia, la gioia di vivere, la capacità di cogliere aspetti al di là di ciò che è materiale, il senso della vita, il profondo legame che ci lega agli altri esseri (cio che viene chiamato il simposio umano), la saggezza, il perdono, il riconoscimento dei propri limiti, la capacità di esprimere le proprie emozioni, il coraggio, la fiducia in se stessi e negli altri, ecc...
    _ o forse è perchè questi non sono più valori trainanti della nostra società? infondo alla giustizia si sta progressivamente sostituendo la furbizia mentre i bambini con animo gentile, buone maniere e sincera generosità vengono spesso presi in giro e chiamati "signorine".


    COLTIVARE LA SPONTANEITA' E LA GIOIA

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    _il bambino è l'essere spontaneo per eccellezza. la sua scintilla vitale lo porta ad essere sempre qui e ora esattamente per cio' che e'. senza veli, maschere e costruzioni. questo lo rende un essere eccezionale e raro. l'impulso alla vita, alla voglia di scoprire il mondo (la sua libertà) non dovrebbero essere mai intralciati e ostacolati dalla paura dei genitori ansiosi e convinti di sapere ciò che e' bene e male per i propri figli. perchè la spontanietà è una dote che dimostra come il bambino sa essere "accordato" con ciò che c'e' di vero e di giusto nel mondo. I bambini sono capaci di ridere senza un motivo, senza un obiettivo ma solo perchè sono sintonizzati sulla gioia per la vita in se e per il fatto che loro ne stanno godendo a piene mani. fino a quando gli adulti sono distratti, stornati dalla loro realtà interiore, e presi dalle mille beghe della quotidianità questo senso profondo di gioia di vivere è qualcosa che non possono percepire.

     
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    Dal pannolino al vasino in 13 mosse
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    Tuo figlio comincia a mostrare interesse per la cacca e la pipì, il pannolino resta spesso asciutto...sono i primi segnali che il piccolo è pronto per dire addio al pannolino e a fare i propri bisogni sul vasino (oppure sul water dotato di riduttore).

    Ma come si può avviare una fase di spannolinamento di successo? E quali sono i passi da fare affinchè tutto vada per il meglio senza traumi per te e per tuo figlio?

    Non sarà semplice, non sarà veloce e a volte quando sarai pronta per cantare vittoria il bambino potrebbe subire una regressione o andare incontro a Vedi le foto: Dal pannolino al vasino: 13 mosse vincenti per riuscirci piccoli inconvenienti...proprio nei momenti peggiori.

    Ecco 13 mosse vincenti per affrontare la fase dello spannolinamento. E soprattutto: ecco un elenco di tredici cose che è bene sapere prima di iniziare

     
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    BAMBINI:Come prevenire il singhiozzo

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    COS’E IL SINGHIOZZO E COME PREVENIRLO – Il singhiozzo è una reazione molto comune, dovuta alla contrazione involontaria del diaframma, durante la quale il rapido flusso d’aria che provoca passa attraverso le corde vocali e fa emettere il classico “sic”. Molto spesso capita fin dalla vita intrauterina, anche se è più frequente nei lattanti, magari durante il cambio del pannolino o dopo la poppata.I bimbi più piccoli, a differenza di noi adulti, tendono a ingerire più aria, soprattutto quando mangiano troppo velocemente, oppure quando sono troppo nervosi e vengono presi da crisi di pianto. Per questo motivo il singhiozzo insorge nei neonati con una frequenza che a qualcuno potrebbe sembrare anomala, ma non è così. Normalmente il singhiozzo passa da solo, dopo qualche tempo. Se invece il singhiozzo è accompagnato da altri sintomi, come per esempio il rigurgito o il vomito molto frequenti, la scarsa crescita, l’irritabilità notturna, l’interruzione della poppata con pianti inconsolabili, si consiglia di rivolgersi al pediatra.Cosa fare se al vostro bimbo viene il singhiozzo? Seguite i nostri consigli:1) Fate un massaggino sulla schiena del vostro figlio.2) Dovete fargli bere un po’ di acqua naturale con un cucchiaino.3) Fategli bere un po’ di latte dal seno. Questo lo aiuterà a far rilassare il diaframma.Cosa che assolutamente non dovete fare è somministrare al vostro bebè il succo di limone. In alcuni casi, dicono i specialisti, soprattutto nei primi mesi di vita, il limone può provocare reazioni allergiche.Cosa fare, invece, per prevenirlo?Se il neonato è allattato al seno, occorre cercare laddove possibile di fargli fare delle pause e di non fargli mandare giù dell’aria. Se al contrario è allattato artificialmente, in tal caso bisogna acquistare un biberon adatto. Si consiglia vivamente sceglierne uno di quelli a forma inclinata. La tettarella deve essere sempre piena, in modo tale che non ingurgiti aria, e non deve avere fori piccoli per non costringere il piccolo a sforzarsi, andando poi a creare il singhiozzo.

     
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    Come educare i figli, bambini maleducati

    Un recente sondaggio condotto dall’Associazione Donne e Qualità della Vita che ha Bambini-maleducaticoinvolto 500 albergatori europei, rende poco merito ai bambini italiani under 18, anzi ci diploma con un triste titolo: per il 66% degli intervistati, noi italiani abbiamo i bambini più maleducati del continente europeo!

    L’impietoso primato ci conferisce il nobel della maleducazione infantile, in barba alla cultura antica del nostro paese, che avrebbe posto le basi della civiltà oltre confine.
    In vacanza all’estero i nostri figli si distinguono quanto a comportamenti insolenti, insopportabili, incivili e irrispettosi.
    Come-educare-i-figli-bambini-maleducati-2Con qualche differenza regionale, si è potuta stilare una lista circa il primato di questa hit parade: romani, milanesi e napoletani sono in cima!
    Sorge spontanea la constatazione che a detenere il posto sul podio sono 3 metropoli…forse che in città ci sia minor cura nella trasmissione di valori educativi rispetto alla campagna?
    Mentre i bambini italiani sono i meno tollerati dagli albergatori, gli svedesi sono i più educati, seguono a ruota danesi e svizzeri. Gli atteggiamento maleducati di bambini e teenager italiani sono diversi:
    nel 22% dei casi a infastidire è la manifesta vivacità senza rispetto: urli, linguaggio scurrile, schiamazzi, mancanza di rispetto verso il personale

    nel 20% a non essere tollerate sono le corse nei corridoi e nelle hall degli alberghi con tanto di urti e spinte agli altri ospiti della struttura

    nel 17% si lamentano atti vandalici come scritte sui muri e oggetti rotti

    nel 15% è il comportamento a tavola a innervosire; voce alta, lamenti continui sia con capricci che manifestando disprezzo verso il cibo, corse tra i tavoli

    nel 12% è il gioco con l’ascensore a far saltare i nervi

    nel 9% è mal tollerato il volume di tv e radio tenuto esageratamente alto.

    Il quadro che viene dipinto è di bambini/ragazzini tipicamente “viziati”, cui i genitori non hanno saputo impartire un’educazione tale da renderli civili e rispettosi.
    Non solo non si sanno comportare a modo, ma risultano fastidiosi….non proprio una figura edificante!
    In effetti la maleducazione dilaga, lo possiamo riscontrare al parco giochi, in spiaggia, a scuola, nei luoghi di aggregazione.

    cattiva-educazione-bambino-aggressivoC’è una tendenza pericolosa da parte dei genitori ad essere comprensivi ed accomodanti verso comportamenti moralmente deprecabili dei figli, trovando spesso scusanti e giustificazioni che non reggono.

    Certo, è più facile accondiscendere che opporsi alle esuberanze ingiustificate dei figli; a volte anche la stanchezza gioca un ruolo fuorviante: il genitore stanco finge di non vedere i comportamenti sbagliati del figlio perché manca la forza fisica, la volontà e i nervi saldi per riprenderlo; una sorta di deresponsabilizzazione genitoriale cercata…..il frutto di queste dinamiche sono la crescente maleducazione, la mancanza di rispetto, la strafottenza, l’inciviltà.
    Occorrerebbe un bell’esame di coscienza da parte di noi genitori che siamo la causa del comportamento dei nostri figli. Un pò più di rigore nel seguire i figli, nell’impartire educazione, concedendo loro spazio quando è giusto farlo, ma richiamandoli all’attenzione laddove vadano oltre. E’ una training che si inizia da subito, quando il bambino è piccolissimo, ovviamente nei modi e nei tempi consoni all’età; altrimenti imporsi nel ruolo di genitore in tempi ormai di crescita avanzata, è molto difficile.
    Ricordiamoci che i nostri figli rappresentano il mondo di domani e ruolo dei genitori è preparare i nostri figli al loro compito nel miglior modo possibile.

    rabbia-bambino-scostumato

     
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    Bambini 2 anni: i capricci della fase oppositiva

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    Fase oppositiva, crisi di opposizione o età dei “No, no, no e no!”


    La crisi di opposizione è una fase normale dello sviluppo dei bambini di 2 anni. Durante il momento oppositivo i figli, sebbene piccoli, si oppongono, a volte anche in maniera violenta, alle direttive e ai consigli dei genitori. È una fase caratterizzata da discussioni e litigi, nella quale si fanno strada nel bambino le prime forme di “pensiero individuale”; il piccolo inizia a sentirsi autonomo e le sue “obiezioni” rappresentano, quindi, null’altro che un richiamo all’indipendenza.

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    Quasi tutti i genitori conoscono e vivono con i loro bambini questa tappa definita anche l’ “Età dei No”
    Di fronte ad una crisi oppositiva non ci si deve impressionare e neanche mettersi in discussione, ma fissare delle regole ben precise da far rispettare ai proprio bambini.

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    Il piccolo deve capire il valore ed il limite del divieto e deve accettarlo quando il genitore afferma un secco no o un no definitivo.

    La fase oppositiva è il periodo in cui i bambini “vogliono fare di testa loro” e rifiutano l’aiuto, la guida e le direttive degli adulti.

    Solo verso i 3 anni la fase oppositiva in parte calerà. Ma il ritorno del bambino ad una maggiore ubbidienza si realizzerà solo se durante la fase oppositiva ( che va affrontata e superata bene) il piccolo avrà interiorizzato una buona condotta comportamentale e di conseguenza sarà pronto a tenere atteggiamenti meno oppositivi.
    Quindi i limiti e le regole dei genitori servono proprio a questo.
    I limiti danno al bambino il senso del confine autorizzato e accettato da mamma e papà, e sono necessari affinché il bambino capisca cosa può e cosa non può fare.

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    Dare delle regole ai propri figli non significa reprimerli, farli sentire in una caserma, ma solo stabilire delle indicazioni di comportamento importanti e fondamentali, necessarie al loro corretto sviluppo.

    Gestire però momenti in cui il bambino contraddice e disubbidisce in continuazione, non è facile.
    Il bambino può iniziare a strillare, a gettarsi a terra, ad agitare mani e gambe, quasi in preda ad una convulsione, affermando saldamente di volere quell’oggetto o di non voler fare una determinata azione consigliata dalla mamma. A questo punto è importante che l’adulto rimanga calmo e non si lasci trascinare dall’ira, dalla rabbia o dal nervosismo.

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    Di fronte alla crisi la cosa migliore da fare è quella di tranquillizzare il bambino, Una volta calmato il genitore potrà stare un po’ con lui, parlargli serenamente e insegnargli con esempi pratici che non è bello rifiutarsi sempre di fare ciò che dicono i genitori e reagire in maniera violenta.

    Presentando al bambini gli svantaggi della sua reazione ed i vantaggi del comportamento suggerito da mamma e papà si potrà indurre il piccolo a riflettere sui propri comportamenti.
    Per stimolare il bambino alla riflessione sulle sue azioni ci può essere anche un’altra soluzione: lasciarlo sfogare, seguirlo con lo sguardo ma non limitarlo fisicamente se vuole “stare per conto suo”, se decide di “allontanarsi” e stare da solo.

    In questi momenti il genitore può dirgli di riflettere su ciò che ha fatto perché dopo assieme ne parleranno. Anche se il bambino in realtà rifletterà poco sul suo gesto, lasciarlo libero di allontanarsi dalla situazione per calmarsi è una buona abitudine.

    Nel riaprire dopo il discorso genitori e figli saranno calmi e più predisposti a discutere e chiacchierare sull’accaduto.

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    Per prevenire le crisi la cosa preferibile è “canalizzare le energie del bambino”, strutturargli la giornata a livello sociale e di ore di riposo in maniera tale che non si senta frustrato, solo o isolato, ma neanche stanco o annoiato.

    Stancare il bambino non è la giusta soluzione perché in genere i bambini stanchi diventano più facilmente irascibili e nervosi. È preferibile dare al bambino una “regolarità”, offrirgli l’opportunità di una vita ordinata in cui le regole del pasto, delle manine lavate prima di sedersi a tavola, del riposo e della pipì prima di andare a ninna o di uscire, rappresentino una normale e buona abitudine “imposta dal genitore per il benessere del bambino”.

    Il bambino deve comprendere che la regola nasce in suo vantaggio, seguendola egli si assicura “un qualche beneficio”, deve comprendere che i genitori puntano al suo benessere. Affinché il piccolo arrivi a capire tutto ciò occorre dialogare molto con il bambini offrendogli esempi pratici e semplici da rielaborare.

    Esempio: abbiamo sempre detto al bimbo che non si gioca con le forchette perché le posate vanno adoperate in modo appropriato, ovvero per mangiare. Ma vostro figlio quante volte ha suonato con piatto e cucchiaio in tavola? E quante volte avete dovuto “richiamarlo all’ordine”?

    Quando siamo al ristorante spingiamo il piccolo ad imitare il comportamento degli adulti nell’uso corretto delle posate e se c’è un bambino che sbaglia nella gestione della forchetta facciamo notare a nostro figlio che quel bimbo potrebbe farsi male o rompere qualche cosa (naturalmente osserviamo e commentiamo in modo discreto ma accompagniamo il bimbo nell’indagine delle cose che avvengono intorno a lui. Ricordando che l’osservazione del mondo serve al bambino per comprendere il contesto in cui vive e per orientare i suoi comportamenti)

    In fase oppositiva i piccoli vogliono affermare la loro autonomia e fare tutto da soli. Quest’aspetto dell’età del no, espresso anche come non mi aiutare, può essere positivamente sfruttato dalla mamma ma occorre un pochino di astuzia per “non impazzire”!

    Esempio: << Non mi aiutare faccio da solo, lo yogurt lo apro io>> … magari il piccolo lo apre anche ma dopo 15 minuti di rocamboleschi tentativi di gestione del vasetto e immancabilmente si sporca … e se sono le 6:45 di mattina e si deve andare a scuola ed in ufficio?

    Semplice svegliatevi con anticipo e senza lasciare tracce del vostro passaggio aprite appena appena il vasetto sollevando la carta che lo sigilla di poco ma in più punti, il bambino lo aprirà da solo ma con maggiore facilità.

    Se il piccolo si sporca mangiando lo yogurt da solo fategli fare colazione quando ancora è in pigiama.

    Se vuole vestirsi da solo apparecchiate gli abiti la sera prima coinvolgendolo nella scelta e selezionando indumenti pratici, preferite le scarpe con lo strappo, i lacci non sono indicati per favorire l’autonomia dei i bimbi piccoli.

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    Come insegnare la buona educazione e le regole ai figli


    Ma come si educa un bambino? Come si spiegano ed inculcano al figlio le giuste regole del vivere civile? In che modo si impartisce un corretto stile di vita?

    È impossibile per chiunque dare una risposta unitaria e sempre valida a queste domande, in verità non esiste “il modo giusto di educare”, piuttosto esistono vari e diversi strumenti per arrivare al cuore dei figli!

    Oggi una Amica Mamma ci espone le sue perplessità sul percorso di crescita che sta seguendo suo figlio. Non è raro che un genitore abbia difficoltà a comprendere, interpretare e giustificare certe “attitudini” del bambino; spesso ci domandiamo dove abbia imparato questa o quella cosa (dalle parolacce, agli spintoni, dell’uso della voce alta alle bugie), non sempre riusciamo subito ad incanalare il piccolo verso il buon comportamento.

    Qui di seguito la richiesta della nostra Amica e il parere espresso dalla pedagogista, la Dott.ssa Morè:

    2x-200x300<<gentile esperto,vorrei riferire una problematica che mi tocca personalmente.Ho un bimbo di tre anni il quale ogni qual volta entra in contrasto con uno dei genitori (perchè magari gli si proibisce di fare qualcosa) o con un suo coetaneo, che gli sottrae un giochino,reagisce con violenza .E’ figlio unico e da noi genitori, per primi, è molto coccolato. Io cerco di essere paziente ma difronte a questi suoi atteggiamenti che mi irritano perdo la calma e spesso lo punisco con uno schiaffone o lo spavento. Mi rendo conto di sbagliare ma proprio non riesco ad ignorarlo e credo,tra l’altro ,che non sia giusto fare finta di niente. Io e mio figlio viviamo con i miei genitori poichè non sono sposata tuttavia io e suo padre ci frequentiamo e rare volte abbiamo litigato in sua presenza. Il bambino è molto amato da tutte e d ue le famiglie dei nonni. Poichè io ho lasciato il suo papà quando lui aveva pochi mesi e temo di avere sofferto la depressione post parto con frequenti sbalzi di umore ,soprattutto perchè non dormivo la notte,la mia più grande proccupazione è quella di avere la colpa di questo suo temperamento un pò violento.Sottolineo che con gli estranei, ma anche con me stessa, è un coccolone ma se gli proibisco qualunque cosa reagisce violentemente.Vorrei capire se fa parte dell’età evolutiva,se è solo una espressione di rabbia e soprattutto come posso insegnargli a dominare la violenza.Lui guarda molti cartoni ma di genere tranquillo mai lotte e combattimenti.Spero di ricevere un consiglio,cordiali saluti.>>


    Tutti sanno che l’essere figlio unico rappresenta una condizione particolare. In generale il figlio unico 2xzè avvantaggiato sul piano culturale, linguistico e cognitivo e, non dovendo dividere l’affetto dei genitori con fratelli o sorelle concorrenti, non soffre di gelosie. Ma sul piano della socializzazione il figlio unico esce decisamente svantaggiato. Infatti egli è quotidianamente a contatto con adulti disponibili e tolleranti nei suoi confronti. Ciò lo rende più esposto agli attacchi degli altri bambini perché non è abituato a difendersi. Di qui il suo reagire con aggressività e violenza anche se un coetaneo gli ha semplicemente sottratto un giochino. Da questo punto di vista intervenire è facile. Gli adulti, consapevoli di quel che comporta l’essere figlio unico, dovrebbero sin dai primi anni di vita del bambino consentirgli di stare con dei coetanei.

    Altra questione è l’aggressività e la violenza che il bambino mostra nei confronti dei genitori o degli adulti che agiscono nella sua sfera familiare. Nelle note fornite si legge che il contrasto con i genitori si presenta quando magari gli viene proibito qualcosa e si sottolinea che è un bambino molto coccolato. Certamente è naturale e inevitabile coccolare i propri figli, ma qui si tratta di un figlio unico che, come dicevamo, non è abituato a dividere le coccole con un fratellino o una sorellina. Avendo l’esclusività dell’affetto dei genitori gli risulta molto difficile il misurarsi. Spetta dunque sempre all’adulto, genitore e non, nella sua opera educativa dargli il senso della misura e fargli comprendere che l’affetto non può ignorare regole di comportamento fondamentali. Ma occorre farlo per tempo, non lasciar prima correre e minimizzare per poi intervenire improvvisamente punendo. Il bambino non è in grado di comprendere una punizione che arriva improvvisa quando, come si dice nelle note fornite, il genitore perde la calma. Comportandosi in tal modo il genitore disorienta il proprio figlio. La maturazione mentale non consente al bambino di comprendere le ragioni della punizione; egli la vive solo a livello emotivo e inconsciamente pensa che è messo in discussione l’affetto dei genitori nei suoi confronti e può arrivare addirittura a colpevolizzarsi per l’accaduto. In tal modo non si vince la violenza o l’aggressività, anzi la frustrazione che l’ha generata tende ad aumentare.

    Rimanendo nel caso specifico mi sentirei da un lato di tranquillizzare la mamma e di invitarla a non colpevolizzarsi più del dovuto ricordandole che in fin dei conti essere genitore è il mestiere più difficile del mondo, dall’altro la inviterei a fare tesoro delle esperienze sin qui maturate come genitore. Perciò occorre che si faccia più consapevole delle dinamiche infantili e che sia un po’ più decisa e soprattutto pronta nell’educare il proprio figlio all’accettazione delle regole del vivere sociale.

     
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    A 2 anni i bambini devono avere un vocabolario minimo di 25 parole

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    Entro i due anni di età i bambini “normali” devono possedere un bagaglio linguistico di 25 parole (minimo). Se stentano a raggiungere questo numero di vocaboli, sarebbe il caso di considerare di sottoporli a qualche test di tipo neurologico e cognitivo perché la povertà di linguaggio potrebbe nascondere qualche patologia più seria. In realtà, come le mamme e i papà sanno bene, a 2 anni un bimbo conosce in genere molte più parole, secondo gli esperti tra le 70 e le 225, ma ciò che i genitori dovrebbero poter stabilire, grazie ad un test apposito messo a punto dai ricercatori del Bryn Mawr College della Pennsylvania (USA), è se tra questi vocaboli vi siano i 25 fondamentali. Di quali parole si tratta?

    In buona sostanza di termini “basic” di comunicazione che rappresentano tutto il mondo del bambino, che sono: mamma, papà, ciao, giocattoli, cane, gatto, bambino, latte, succo di frutta, palla, sì, no, naso, occhio, banana, biscotto, macchina, caldo, grazie, bagno, scarpa, cappello, libro, andati, di più. Secondo gli esperti americani, coordinati dalla dott.ssa Leslie Rescorla, se un bimbo fatica ad avere familiarità con parole di questo tipo, se non impara con facilità nuovi vocaboli entro i 2 anni e mezzo e se a 3 anni conosce appena una cinquantina di parole, verosimilmente siamo di fronte a un deficit di apprendimento e sarebbe il caso di avvalersi dell’aiuto di un logopedista.

    In ogni modo, secondo le stime presentate all’American Association for the Advancement of Science, un buon 20% dei piccoli di 2 anni è indietro dal punto di vista linguistico. Per inciso, anche in Italia, secondo me. Dei bambini che conosco sono davvero tanti quelli che a 3 anni parlano ancora poco e in modo incomprensibile. Tornando alla notizia, ecco cosa afferma la dott.ssa Rescorla in un’intervista al Guardian:

    “Nel nostro studio i bambini con un ritardo linguistico hanno poi recuperato la differenza in modo variabile, anche se dopo i 17 anni i miglioramenti sono stati significativamente più bassi. E anche se molti riescono a coprire il gap, il problema è che non sappiamo a priori chi di loro riuscirà davvero a farlo, ecco perché questo test può essere utile: tutto quello che serve è una matita e un genitore attento.

    Quanto poi alle modalità di apprendimento, anche questo è un fattore da considerare, perché è stato dimostrato da un numero sempre crescente di studi che i bambini sviluppano più rapidamente la loro capacità linguistica se vengono coinvolti in conversazioni reali, anziché lasciati da soli a guardare i programmi televisivi destinati alla loro età.

    Ma in questo caso non c’entra l’effetto negativo della tv sul linguaggio infantile quanto, piuttosto, la capacità che hanno molti bambini di imparare vocaboli ed espressioni nuove proprio grazie all’interazione diretta con gli adulti”. Insomma, mamme e papà di bimbi di due anni, non vi resta che interrogare i vostri pargoletti per assicurarvi che le 25 parole di cui sopra le conoscano e le usino senza difficoltà.

     
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    10 regole contro l'obesità

    Si stima che l'obesità presente nei primi dieci anni di vita esponga il bambino a diventare un adulto obeso nel 75% dei casi. L'educazione alimentare inizia fin dai primi giorni di vita.

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    La Società Italiana di Pediatria (SIP), la Società di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) insieme al Ministero della Salute con il Progetto MiVoglioBene individuano dieci azioni di prevenzione primaria, attuate in sinergia da genitori e pediatra sin dai primi giorni di vita del bambino.

    1. Allattamento. Allattare al seno almeno sei mesi, se possibile fino i dodici mesi. L'allattamento materno è la prima occasione per realizzare una corretta educazione alimentare.

    2. Svezzamento. Introdurre alimenti e bevande complementari al latte materno, a eccezione dell'acqua, dopo i sei mesi compiuti.

    3. Apporto proteico limitato. Controllare l'introito di proteine per i primi due anni di vita. Evitare il formaggio grattugiato nelle pappe fino a un anno. Non superare i 20 g di carne o formaggio e i 30 g di prosciutto.4. Bevande caloriche. Evitare da 0 a sei anni tè istantaneo, tè deteinato, tisane, succhi di frutta, soft drink, acqua zuccherata.

    5. Biberon. Sospendere entro i 12-24 mesi il suo utilizzo. Dopo l'anno di età il rischio di sovrappeso aumenta del 3% per ogni mese di uso del biberon. Il biberon non favorisce una corretta regolazione del senso di sazietà e mette a rischio la salute dentale.

    6. Mezzi di trasporto. A tre anni abbandonare l'uso del passeggino. Limitare l'abitudine di portare il bambino sul carrello della spesa. Privilegiare l'abitudine di andare a scuola a piedi.

    7. Controllo del BMI. A partire dai due anni controllare a ogni visita dal pediatra la curva del Body Mass Index (BMI o Indice di Massa Corporea IMC). Tenere d'occhio l'EAR, early adiposity rebound, l'indicatore del precoce aumento dell'adiposità e quindi di sovrappeso futuro.8. Sedentarietà. Far muovere il bambino il più possibile sin dai primi mesi di vita. Evitare di tenerlo troppo seduto, non metterlo davanti alla televisione prima dei due anni e oltre questa età non superare le otto ore a settimana di tv/videogiochi. Spegnere la tv mentre il bambino mangia o compie altre attività.

    9. Giochi. Regolare e incentivare i giochi di movimento adatti alle varie età del bambino.

    10. Porzioni corrette. Preparare il piatto con la taglia di alimento idonea all'età del bambino. La porzione giusta è riportata nell'Atlante Fotografico delle Porzioni Alimentari che indica tre porzioni crescenti: small, medium, large.

     
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    Mio figlio non mangia frutta: come educare i bambini a mangiare la frutta

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    Confetture e marmellate: sebbene la frutta, nel processo di preparazione di tali alimenti, perda parte delle sue proprietà, le marmellate costituiscono un modo adeguato per aiutare il bambino ad abituarsi al gusto della frutta. Inoltre sono ricche di fibre, per cui esercitano effetti benefici sulla funzione intestinale.
    Frutta sciroppata: sotto questa forma, la frutta conserva gran parte delle sue proprietà. La differenza rispetto alla frutta fresca è che ha un maggiore contenuto di zuccheri e non è molto ricca di sali minerali, fattori che, d’altra parte, non alterano il profilo nutrizionale.
    Frutta secca: sebbene perda gran parte dell’acqua, la frutta secca costituisce un vero concentrato di nutrienti. Ricca di potassio, calcio, ferro e vitamina A, ha un elevato contenuto calorico sebbene sia povera di vitamina C. Preferibilmente senza semi, la frutta secca costituisce un alimento eccellente, soprattutto a colazione per esempio, magari insieme allo yogurt.
    Succhi di frutta e spremute: sono un valido aiuto per i bambini a cui non piace la frutta, poiché hanno un elevato contenuto di vitamina C, potassio, calcio e fosforo. In generale, si deve dare preferenza ai prodotti caseari piuttosto che a quelli industriali.
    Durante l’introduzione di nuovi alimenti nella dieta del bambino, i preparati industriali di frutta, specifici per la prima infanzia, sono una buona alternativa alla frutta fresca. Via libera pertanto agli omogeneizzati e ai succhi di frutta per bambini preferibili ai prodotti fatti in casa per la loro digeribilità e l’apporto equilibrato di nutrienti.
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    Fonte:

    http://www.mibebeyyo.com/bebes/alimentacio...usta-fruta-3921

     
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    Punture di insetti? Niente creme e cremine, ecco cosa fare

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    Oggi fa un po’ freddino e questo post sembra quasi fuori luogo. Ma fino a una settimana fa sembrava estate e c’erano già tante zanzare pronte a lasciare il loro segno sui bambini e anche sugli adulti.
    Ma qual è la cosa migliore da fare in caso di puntura di insetto? Crema di calendula, estratto di camomilla, pomata con il cortisone?
    Secondo gli esperti niente di tutto ciò e assicurano che per alleviare il fastidio le persone dovrebbero utilizzare un panno bagnato piuttosto che cercare rimedi alternativi.

    Lo afferma uno studio dei ricercatori del Drug and Therapeutics Bulletin che evidenziano come ci siano poche prove che creme, anti infiammatori o addirittura antidolorifici possano servire nel caso di punture di insetti.

    La maggior parte delle punture proviene da moscerini, zanzare, mosche, pulci e cimici con una varietà di rimedi proposti sui banchi delle farmacie. Ma, secondo lo studio, molte delle soluzioni vendute non sono state testate per tali scopi e quindi risultano pressoché inefficaci. Sarebbe meglio utilizzare un panno di flanella bagnato in acqua fredda, nonostante organi autorevoli come la NHS Choices suggeriscano l’utilizzo di specifici trattamenti.

    Il vicedirettore di Drug and Therapeutics Bulletin, David Phizackerley, ha sottolineato: “La gente utilizza molto soluzioni mediche per lenire il dolore e il fastidio causato dalle punture di insetti. E’ bene che sappia che nella maggior parte dei casi, le punture andranno via da sole senza l’utilizzo di agenti esterni“.

     
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    MANI IN BOCCA che brutto vizio

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    Che vizio mettere le mani in bocca – Fino a quando succede che il nostro bambino ha 3 mesi va bene, ma poi quando anche crescendo non perde occasione e continua a infilarsi le dita in bocca diventa fastidioso.Le manine dei bambini si sa non sono mai pulitissime, ma come possiamo impedirglielo?Cerchiamo prima di tutto di capire perché lo fanno, perché ogni caso è diverso dall’altro, ci sono infatti diverse soluzioni, come ad esempio il dolore alle gengive, provocato dagli ultimi dentini che stanno per spuntare.In questo caso mettendo le mani in bocca si alleviano il fastidio delle gengive infiammate e noi eventualmente possiamo aiutarli dandogli una carota da sgranocchiare.Le mani in bocca spesso possono avere la stessa funzione del ciuccio, quindi una consolazione che allenta le tensioni, in questo caso sarà meglio non farglielo notare e trovare assieme a lui un gioco per distrarlo e renderlo più rilassato.Un’altra soluzione è l’emozione. I bimbi quando stanno provando un’emozione forte tendono a mettere le mani in bocca, non è un bel gesto si sa e spesso tende a “mangiare” le dita, in questo caso rimproverarlo sarà controproducente, sarà bene quindi invitarlo a parlare di quello che sta provando e spiegandogli cosa è successo, ma la cosa migliore sarà rassicurarlo con un abbraccio.

     
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    MAMMA: ‘Tu non capisci niente!’

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    Il momento del ‘Tu non capisci niente’

    – Arriva per tutte le mamme il momento in cui tuo figlio, di circa dieci anni, reagisce e esordisce con un “Mamma, non capisci niente” tutte le volte che gli proibirai qualcosa o in un momento di contrasto.Si tratta di un periodo passeggero, ma che comunque va affrontato con tutta calma, in quanto a questa età il bambino ha bisogno di sentirsi grande e avere le proprie idee, anche se allo stesso tempo bisognerà spiegargli con fermezza che, per affermare il suo punto di vista, non serve mancare di rispetto.Permettergli di calpestare il ruolo autorevole di un genitore, significa non riuscire più a stabilire un limite e quindi il prossimo passo sarà quello di chiedergli perché lui la pensa così e fare in modo di instaurare un dialogo, ingrediente fondamentale nel rapporto tra adulti e figli.Sicuramente reagire alzando la voce è un errore e si verrebbe a creare un muro, peggiorando la situazione, come anche rispondergli sgarbatamente, bisogna infatti ricordarsi che nostro figli non è un adulto villano e non è un nostro pari.

     
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    COME CRESCE
    È arrivata la fase dei perché


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    Perché il sole è caldo? Perché non posso mangiare per terra? Perché devo andare all'asilo? È la fase dei perché: un passaggio inevitabile nella crescita di un bambino che, attraverso una serie interminabile di domande a mamma e papà, cerca di capire la realtà, dopo aver passato i primi due anni di vita a scoprirla.

    Interrogativi che possono cogliere di sorpresa o imbarazzare i genitori, che spesso non sanno come rispondere con semplicità al loro bimbo. Ecco come affrontare questo periodo.

    Vuole comprendere il mondo che lo circonda

    La 'fase dei perché' inizia in genere nel terzo anno di vita, non appena il bambino capisce la relazione causa/effetto e padroneggia il linguaggio. "Il piccolo chiede spiegazioni per ogni cosa: le sue domande hanno lo scopo di raccogliere i diversi elementi che gli permettono di capire la realtà", spiega Rosalinda Cassibba, professore ordinario di Psicologia dello Sviluppo e dell'Educazione presso l'Università di Bari. "Allo stesso tempo, chiedere il perché di qualche fenomeno o evento diventa un gioco, una maniera per interagire con la mamma e con le persone che ha intorno. Il bambino si sente importante, grande e vuole dimostrarlo manifestando la sua curiosità". Talvolta, però, il gioco diventa insistente e dettato dalla routine. In questi casi, la mamma può ribaltare la situazione, magari trasformandola in un botta e risposta o rigirando le domande al bambino. Questa fase termina di solito intorno ai 4-5 anni. "In realtà, finisce il 'gioco' dei perché, ma i bambini continueranno a chiedere spiegazioni e a voler capire il mondo che li circonda anche negli anni successivi, soprattutto se nella prima fase hanno ricevuto risposte utili e soddisfacenti".

    Sì alle risposte semplici, no alle bugie

    Di fronte a questa raffica di domande, i genitori devono dare risposte comprensibili, che permettano al bambino di capire la causa di un fenomeno o la connessione tra più eventi. "Bisogna usare parole semplici, frasi brevi e, soprattutto, evitare di mentire. Se il bambino chiede qualcosa di cui la mamma non conosce la risposta, si può prendere tempo, suggerendo di domandare al papà o proponendo di cercare la risposta su un libro. Se la domanda è invece fonte di imbarazzo, basta ricordarsi che non è necessario dare spiegazioni dettagliate, ma che al contrario va mantenuto un livello di conoscenza adatto all'età del bambino: spesso bastano poche parole per soddisfare la curiosità del piccolo e per far uscire la mamma dall'imbarazzo". Ogni genitore troverà le risposte giuste a seconda delle proprie conoscenze, delle capacità e dell'età del bambino, ma una regola va sempre rispettata: "È fondamentale non dare spiegazioni false o inventate: il bambino si confronta con gli altri e scoprire che la mamma o il papà gli hanno mentito può deluderlo o, addirittura, fargli mettere in dubbio l'autorevolezza dei genitori".



    Articolo di Monica Gabrielli

     
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    Conosci le sue emozioni

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    Non è mai troppo presto per insegnare ai nostri figli a capire e a gestire i propri sentimenti: è il modo migliore per renderli più sicuri e prevenire comportamenti problematici.
    I bambini piccoli apprendono attraverso gli stati d’animo e le reazioni dei genitori: tendono cioè a verificare che l’adulto senta in quel preciso momento ciò che loro stanno percependo. Solamente tramite questo rispecchiamento reciproco impareranno a valutare le situazioni e affrontarle.

    Se il bimbo sta giocando sul tappeto e, dopo vari tentativi, riesce a costruire una torre, volgerà lo sguardo verso il genitore, come se fosse in attesa di un rinforzo: se l’avrà, il piccolo percepirà che l’adulto sente ciò che lui sta provando.
    Il detto che “i piccoli hanno le antenne” è dunque vero: la scienza ha rivelato che si tratta dei “neuroni specchio”, che si attivano ogni volta che si entra in sintonia con un’altra persona.

    Ecco le tappe fondamentali per una buona educazione emotiva:
    0-6 mesi
    Appena nati i bambini sono tutt’uno con le loro emozioni: sono quella sensazione (fame, sete, sonno). Si tratta di cercare di interpretare di volta in volta i richiami del bambino. Rispondere immediatamente al piccolo e soprattutto sempre con la stessa modalità, non lo aiuta a decifrare le sue emozioni. Spinto dal vuoto dell’attesa, comincia invece a elaborare strategie per trovare da sé un equilibrio.
    6-12 mesi
    È il periodo dell’esplorazione del mondo. In queste occasioni, mamma e papà dovrebbero condividere le eventuali conquiste, sottolineando le sue qualità. L’autostima, nei primi anni di vita, si forma proprio a partire dai giudizi che vengono dati su di noi e sulle nostre capacità. Altrettanto importante è dare al piccolo una percezione rassicurante del mondo. Vedere pericoli dappertutto e non concedergli l’autonomia necessaria, gli crea molte insicurezze.
    12-24 mesi
    Secondo gli psicologi, la paura nasce dal senso di dipendenza assoluta che il neonato prova all’inizio nei confronti della mamma: il piccolo si rende conto che non può dominare il mondo e che la soddisfazione dei suoi bisogni dipende da qualcun altro. E questo lo fa sentire vulnerabile e in preda alla paura. Con la crescita il bambino apprende cosa può nuocergli e da cosa deve guardarsi. Verso i due anni, cominciano ad apparire le cosiddette paure sintomatiche: la paura del buio, dei cani, dei mostri, dei rumori forti. Rappresentano una tappa importante della crescita: superandole, il piccolo diventa più forte e sicuro di sé. La prima cosa da fare di fronte a paure irrazionali è rispettare l’emozione del bambino, in questo modo, non si sentirà giudicato, ma solo capito.
    18-24 mesi
    Il bambino è in grado di provare gioie molto intense. Ogni successo ottenuto è la motivazione per andare verso nuove conquiste. Per questo ha bisogno di sentire sempre l’approvazione dei suoi genitori. Invece, sottolineare soprattutto gli sbagli, rende insicuro e triste un bambino. Fondamentale è creare in casa un’atmosfera serena: trasmetterà al bimbo una gioia interiore che lo sosterrà per tutta la vita. Occorre, inoltre, educare i bambini ad apprezzare le gioie semplici, come quelle che nascono dalla contemplazione delle bellezze della natura.
    24-36 mesi
    La collera è un sentimento proprio anche dei bimbi: bisogna riconoscere questa emozione, senza ridicolizzarla, ma anche senza subirla. I bambini fanno molta fatica a capire che la realtà pone loro dei limiti: quando si scontrano con l’impossibilità di dominare il mondo, diventano vulnerabili e impauriti. Ciò crea in loro una sensazione di vuoto, che via via lascia il posto alla rabbia: così si sentono nuovamente potenti. L’atteggiamento migliore è non reprimere la collera e dare invece un nome a quello che prova il bambino.
    È importante non reagire ai suoi scatti con scenate e prove di forza, mentre è utile abbracciare il piccolo spesso, in particolare durante le sue crisi di nervosismo. È fondamentale che si senta contenuto in questi momenti, perché può essere spaventato dalle sue stesse reazioni e da ciò che prova. La stretta salda e la voce ferma dei genitori lo rassicurano che tutto è sotto controllo.

     
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