VINCENZO CARDARELLI

poeta e letterato

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    Vincenzo Cardarelli












    Il poeta e letterato Vincenzo Cardarelli, il cui vero nome era Nazareno Cardarelli, nasce a Corneto Tarquinia (Viterbo) 1887 e da giovane pratica diversi mestieri e studia in modo irregolare.

    Alla morte del padre abbandona il paese natale, al quale fu per sempre legato da un rapporto di odio e amore, a causa dell'infanzia infelice e solitaria che vi aveva trascorso, lui afflitto da una menomazione al braccio sinistro spesso veniva affidato alla carità e alla cura di estranei.

    A Roma, in cerca di fortuna, si accosta agli ambienti socialisti iniziando una attività giornalistica che lo porterà alla redazione dell’ "Avanti!".

    Nel 1911 invia alla "Voce" di Prezzolini uno studio su Charles Pégluy ed inizia una assidua collaborazione al "Marzocco" e "Lirica", dove nel 1913 pubblica le prime poesie i cui temi essenziali sono le memorie della sua infanzia solitaria e della sua focosa gioventù.

    Nel 1916 esce "Prologhi", una raccolta di brevissime prose e nello stesso anno collabora alla "Voce" di Giuseppe De Robertis.









    Nel 1919 fonda, insieme a Riccardo Bacchelli, Antonio Baldini, Bruno Barilli, Emilio Cecchi, Lorenzo Montano e Aurelio Saffi, la rivista "La Ronda".

    Cardarelli afferma "le ragioni di un classicismo formale, sorretto da una lingua illustre e da uno stile costruito con estrema vigilanza sulla 'poeticità' della parola [...] per attingere la perfetta eleganza di una lingua nobile e severa mente classica" (G. Barberi Squarotti).

    Il suo modello è, come per gli altri rondisti, il Leopardi delle Operette morali., punti di tangenza si possono trovare con le ricerche del "ritorno all’ordine" in pittura e letteratura.

    Tra le opere principali ricordiamo "Favole e memorie" (1925), "Il sole a picco" (1928), che vinse il Premio Bagutta del 1929 e "Prologhi - Viaggi - Favole", 1929, la cui copertina è disegnata da Scipione.









    Nel 1931 Giansiro Ferrata scrive della sua opera sul primo numero di "Fronte" la rivista di Mazzacurati e Scipione che, dimostrando un vivo interesse per la sua attività letteraria lo invitano a collaborare al secondo numero della rivista.

    "Lettere non spedite" è del 1946, nel 1948 con "Villa Tarantola" Vincenzo Cardarelli vince il premio Strega per la prosa.

    Muore il 18 giugno 1959 nell’Ospedale del Policlinico di Roma e riposa ora nel cimitero di Tarquinia, di fronte alla Civita etrusca secondo la volontà espressa nel testamento.

    La Civita etrusca, che il poeta ha così di frequente evocato nelle sue poesie e nelle sue prose, aveva ai suoi occhi più il valore di un simbolo morale che non di un tema autobiografico: era stato il faro che lo aveva guidato durante la sua avventurosa navigazione tra gli scogli dell’esistenza. Visse nella povertà e nella solitudine, e morì a settantadue anni ancora più povero e più solo.







    Alcune sue poesie






    ATTESA

    Oggi che t'aspettavo non sei venuta.
    E la tua assenza so quel che mi dice,
    la tua assenza che tumultuava,
    nel vuoto che hai lascito,
    come una stella.
    Dice che non vuoi amarmi.
    Quale un estivo temporale
    S'annuncia e poi s'allontana,
    così ti sei negata alla mia sete.
    L'amore, sul nascere, ha di quest'improvvisi

    pentimenti.
    Silenziosamente ci siamo intesi.
    Amore, Amore, come sempre,
    vorrei coprirti di fiori e d'insulti.





    SERA DI LIGURIA

    Lenta e rosata sale su dal mare
    la sera di Liguria, perdizione
    di cuori amanti e di cose lontane.
    Indugiano le coppie nei giardini,
    s'accendon le finestre ad una ad una
    come tanti teatri.
    Sepolto nella bruma il mare odora.
    Le chiese sulla riva paion navi
    che stanno per salpare.






    AMICIZIA

    Noi non ci conosciamo. Penso ai giorni
    che, perduti nel tempo, c'incontrammo,
    alla nostra incresciosa intimità.
    Ci siamo sempre lasciati
    senza salutarci,
    con pentimenti e scuse da lontano.
    Ci siam rispettati al passo,
    bestie caute,
    cacciatori affinati,
    a sostenere faticosamente
    la nostra parte di estranei.
    Ritrosie disperanti,
    pause vertiginose e insormontabili,
    dicevan, nelle nostre confidenze,
    il contatto evitato e il vano incanto.
    Qualcosa ci è sempre rimasto,
    amaro vanto
    di non ceduto ai nostri abbandoni,
    qualcosa ci è sempre mancato.






    PASSATO

    I ricordi, queste ombre troppo lunghe
    del nostro breve corpo,
    questo strascico di morte
    che noi lasciamo vivendo
    i lugubri e durevoli ricordi,
    eccoli già apparire:
    melanconici e muti
    fantasmi agitati da un vento funebre.
    E tu non sei più che un ricordo.
    Sei trapassata nella mia memoria.
    Ora sì, posso dire che
    che m'appartieni
    e qualche cosa fra di noi è accaduto
    irrevocabilmente.
    Tutto finì, così rapito!
    Precipitoso e lieve
    il tempo ci raggiunse.
    Di fuggevoli istanti ordì una storia
    ben chiusa e triste.
    Dovevamo saperlo che l'amore
    brucia la vita e fa volare il tempo.






    GABBIANI

    Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
    ove trovino pace.
    Io son come loro
    in perpetuo volo.
    La vita la sfioro
    com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
    E come forse anch'essi amo la quiete,
    la gran quiete marina,
    ma il mio destino è vivere
    balenando in burrasca.








    fonte settemuse.it
     
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