LA STORIA DEL RISO ... AL RISOTTO

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    LA STORIA DEL RISO ... AL RISOTTO


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    ..L'origine...


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    Il riso è una pianta cerealicola più diffusa del mondo. Se ne conoscono circa 120.000 varietà. Sulla nascita del riso ci sono molte storie:
    C’era una volta una fanciulla di nome Retna. Era indiana, ed era anche molto bella. Il Dio Shiva se ne innamorò, e la chiese in moglie. Come regalo di nozze, Retna chiese al Dio di dare una mano ai suoi affamatissimi connazionali, donando loro un cibo di cui non si stancassero mai. Shiva disse di sì, ma poi, sarà che gli Dei hanno sempre tante cose da fare, sarà perché i suoi collaboratori non erano all’altezza, non mantenne la sua promessa. Ma Retna teneva duro, a allora Shiva la prese con la forza. Disonorata e ingannata, la ragazza si gettò nel fiume sacro, il Gange. E la sua anima si trasformò in una pianta dai chicchi bianco-dorati: il riso. Così Shiva fu servito. E soprattutto lo furono gli indiani, che da quel momento ebbero di che nutrirsi.
    Anche per i cinesi il riso nasce dalla frustrazione di un Dio. Il Genio Buono, incapace di sfamare gli uomini nel corso di una tremenda carestia, si strappò i denti e li buttò al vento. Sembra un gesto del tutto inutile, del tipo gettare i denti a chi non ha il pane. Ma essendo un dio,sapeva quello che faceva: i suoi denti si trasformarono infatti in semi, che diedero vita a milioni di chicchi di riso. Uscendo dalle leggende, sull’origine del riso continuiamo a brancolare nel buio. O tutt’al più nella penombra delle ipotesi.
    Dal punto di vista linguistico, alcuni risologi sostengono che riso venga da “orysa”, dall’antico tamil “arisi”. Altri fanno invece discendere il termine “orysa” da Orissa, città della costa orientale dell’India, nel golfo del Bengala, ricca di paludi e di lagune in cui si coltiva il riso. O non è piuttosto l’opposto: che sia Orissa a derivare da orysa? Sulla culla primigenia del riso fioccano le teorie: chi dice Giava, chi la Cambogia. Scavando lungo il Mekong, gli archeologi hanno trovato delle ciotole colme di chicchi di riso che risalgono a seimila anni prima dell’era cristiana.



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    Comunque, in un caso o nell’altro (o nell’altro ancora), quel che è certo è che il riso è nato in estremo oriente. Risolto un problema, eccone subito altri due: quando, e per quali vie, il riso è giunto fino a noi? Poiché è la guerra che muove il mondo, non sorprende che il riso (che si conserva a lungo) abbia seguito gli eserciti nelle loro scorribande. Dario, re di Persia, se lo portò appresso fino in Mesopotamia: e più tardi, intorno al 330 a.C., fu il greco Aristobulo, al seguito di Alessandro Magno, a far conoscere il riso ai popoli del bacino del Mediterraneo. A quell’epoca il riso costava molto: il trasporto incideva molto. Dall’oriente veniva condotto ad Alessandria d’Egitto, la mitica “Porta del pepe”, e da qui salpava per l’Europa. Si aggiungevano così altri intermediari, e il prezzo lievitava ulteriormente. Insomma, all’inizio della sua fortuna in Occidente il riso costava la medesima: una fortuna. Per fortuna (ancora lei!) veniva impiegato in piccole dosi; era infatti ritenuto una spezia rara. Lo si usava come farmaco, sotto forma di infusi e decotti, per malati di stomaco e di intestino, e come cosmetico, per rendere la pelle più morbida e luminosa.
    Nell’antica Roma sembra che i gladiatori si dopassero con decotti di riso. Insomma, nell’antichità col riso facevano tutto, meno che il pranzo e la cena. L’uso alimentare del riso era ancora molto lontano. Prima dovevano passare i secoli bui del Medioevo; nei quali l’unico spiraglio di luce per il riso fu la sua introduzione in Andalusia, al seguito dei Mori, che vi si erano introdotti nell’VIII secolo d. C. Ovviamente, il riso coltivato in Spagna costava molto meno di quello proveniente dai mercati orientali, costretto a viaggiare per mesi.
    Complici gli entrambi diminuiti prezzo e distanza, il riso giunse anche in Italia. Sia dal nord (forse per mano dei Crociati), che dal sud, via Sicilia (sempre coi Mori). In Italia settentrionale, fino al 1200, il riso continuò comunque ad arrivare anche direttamente dall’oriente, grazie ai mercanti veneziani, che ne osteggiavano fieramente i tentativi di coltivazione: se avessero preso piede, i loro lucrosi traffici sarebbero stati in pericolo. Dunque, ecco il riso anche da noi. Il popolo poteva cominciare a godere di un cibo nutriente, e non troppo caro? Nemmeno per sogno. L’uso medicamentoso del riso cominciava sì a scemare, ma in favore di un uso dolciario, e non ancora alimentare in senso lato. Dell’impiego “medico” del riso in Italia abbiamo le prove: nei registri dell’ospedale di Sant’Andrea di Vercelli sono trascritte delle somme spese nel 1260 per l’acquisto di riso e di mandorle da somministrare agli infermi. Quanto al nascente uso dolciario, nel libro dei conti del Duca Filiberto di Savoia sono debitamente registrati ripetuti acquisti di riso per farne dolci. Perché il riso acquisti dignità di cibo a tutti gli effetti c’è bisogno del bisogno. Che non tarda presentarsi, sotto le sembianze di carestie ed epidemie. Fino a quel momento, cioè fino alla metà del XIV secolo, in occidente c’erano stati degli alimenti che avevano impedito ai morti di fame di morire di fame: il farro, il miglio, il sorgo, la segale. Ma, per via di alcune subentranti carestie, questi beni cominciarono a scarseggiare. La peste che infuriò in Europa tra il 1348 e il 1352 risolse il problema alla radice, eliminando milioni di bocche: ma quelle che restarono erano così affamate, che si sarebbero mangiate qualunque cosa. Perché allora non provare col riso? L’uso alimentare dl riso nasce da qui. E’ in questo momento che il riso diventa un cibo salvavita. Per lui è una rinascita, una specie di secondo ingresso nel mondo degli uomini. Stavolta però dalla porta principale: lo stomaco. Geograficamente, la via per la quale il riso come alimento giunge nel nostro paese fa meraviglia: Napoli, la capitale mondiale della pasta. I responsabili dell’arrivo del riso a Napoli sono gli Aragonesi,che venendo a prendere possesso della città si tirano dietro il riso, che loro già conoscevano per via degli Arabi. Così, nel regno di Napoli il riso cominciò ad essere consumato in quantità sempre maggiori. Anche se il suo prezzo non era ancora abbastanza basso, Napoli apre la strada all’uso mangereccio del riso, ma non alla sua coltivazione. Nel sud non c’è acqua: le risaie stanno molto meglio al nord, ed è infatti là che si sviluppano nel XVI secolo.
    Come accade non di rado, a rallentarne riassunzione di un rimedio sono coloro che dovrebbero invece promuoverlo: le autorità amministrative e quelle sanitarie. I governi locali e i medici non vedevano infatti di buon occhio l’ impianto delle risaie: erano convinti che i “miasmi” provenienti dall’ acqua stagnante provocassero la malaria. L’anofele, la zanzara responsabile della trasmissione all’uomo dell’agente patogeno della malaria, sarebbe stato scoperto trecento anni dopo. Fino ad allora le risaie vennero osteggiate: dovevano essere localizzate lontano dai centri abitati, quando non venivano addirittura proibite. Va peraltro detto che nel 1584 il collegio dei medici di Novara “sdoganò” le risaie, affermando che non erano responsabili della malaria, e limitandosi a accomandare ai risicultori di evitare che le acque ristagnassero. Nonostante queste difficoltà, la quantità di terreno coltivato a riso continuò ad crescere. Il riso cominciava ad essere impiegato nell’alimentazione umana, ma (come residuo del suo impiego medicamentoso) veniva consigliato solo a chi avesse dei problemi di salute. Se il riso cominciò ad essere considerato un cibo adatto a tutti lo si deve anche al medico senese Pier Andrea Mattioli (1500- 1577), che nel suo ”elogio del riso” lo raccomanda come facilmente digeribile, gustoso e fortificante.



    ...Le varietà di riso...



    Fino al 1850 L'unica varietà di riso che veniva coltivata in Italia era il Nostrale. Fu solamente grazie all' audace curiosità di un missionario gesuita, padre Calleri (Missionario nelle lontane Filippine), che nel 1839 portò con se nelle tasche i semi di ben 43 va rietà di riso asiatico. I semi selezionati attecchirono subito e si die de così inizio atta moderna risicoltura.



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    Il riso si distingue fondamentalmente i base alla misura e alle dimensioni dei su chicchi: quelli lavorati in Europa, nella Cina del Nord e in Giappone sono corti e tondeggianti, mentre quelli che provengono dal coltivazioni indiane e del Sud-est asiatico sono più stretti e affusolati. Appartiene a quest'ultimo tipo l'elegante riso Basmati. E' caratterizzato da chicchi allungati e da un piacevole aroma di nocciola che conserva anche dopo la cottura. Cresce i India e ai piedi del Himalaya ed è conosciuto e commerciato in tutto il mondo.
    Il riso glutinoso o colloso, invece, è i vendita solo nei negozi orientali. A dispetto del nome, non è particolarmente ricco di gtutine, quanto di amido; durante cottura perde consistenza e diventa un massa collosa. Sia il glutinoso bianco che la varietà nera vengono per questo motivo utilizzati nella preparazione di dolci e per una specie di porridge, decisamente lontano dai nostri gusti occidentali, con cui gli orientali fanno colazione.
    Una varietà largamente utilizzata in tutto il Sud-est asiatico è il riso Jasmine, bianco e profumato, che si serve come contorno della maggior parte dei piatti orientali.



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    La raccolta del riso nel basso veronese



    Da ricordare il riso Sushi, che, ricoperto di amido di mais e sciroppo, viene appunto usato nella preparazione del sushi giapponese. Tende a diventare colloso con la cottura.
    Sta avendo una grossa diffusione sul mercato il riso parboiled, per la sua caratteristica di non scuocere, di essere resistente alta cottura e per la capacità dei chicchi di rimanere ben sgranati. Grazie a queste sue caratteristiche è indicato nella preparazione di insalate, di piatti freddi e di quelle ricette che richiedono la necessità di conservarlo cotto.
    All'estero il riso viene classificato in base alla lunghezza del chicco - corto, medio e lungo - mentre in Italia la trentina di varietà più diffuse viene divisa in quattro diverse categorie merceologiche: tondo, fino, semifino e superfino. Sono categorie che in nessun modo rappresentano una scala di valori qualitativi.



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    Riso tondo: ha chicchi piccoli e tondeggianti. Cuoce in 12-13 minuti e durante la cottura tende a rilasciare amido, il che lo rende adatto alla preparazione di minestre in brodo, tirnballi e dolci. le varietà più conosciute sono Auro, il Balilla, il Cripto, retio, Originario, il Pierrot, il Raffaello, il Rubino e il Selenio.

    Riso fino: Ottimo per timballi e supplì, i suoi chicchi sono affusolati e lunghi. Cuoce in 14 minuti ed è molto apprezzato per la sua estrema versatilità in cucina. Le varietà sono l'Ariete, il Cervo, il Drago, l'Europa, il Loto, il Razza 77, URB, il Ribe, il Ringo, il Rizzotto, il Sant'Andrea, lo Smeraldo e il Veneria.

    Riso semifino: i suoi chicchi sono tondeggianti, semiallungati e di media grandezza, la sua buona capacità di rilasciare l'amido fa sì che si presti alta preparazione di minestroni, supplì, timballi e risotti in cui è prevista la mantecatura, nella tipica preparazione 'all'onda'. Cuoce in 13-15 minuti. Tra le varietà si segnalano l'Italico, il Lido, il Maratelli, il Padano, il Romeo, il Rosa Marchetti e il Vialone nano.

    Riso superfino: dai chicchi grandi e molto lunghi, tiene bene la cottura e rilascia pochissimo amido, tanto da lasciare acqua di cottura quasi limpida. Per questo è indicato nella preparazione di insalate e di piatti come la paella, in cui i chicchi debbono rimanere ben sgranati. Tra le sue varietà si contano l'Arborio, il Baldo, il Carnaroli, il Corallo e il Roma.



    Fonte:risotto.it
     
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    ...LE VARIETA' DI RISO...





    va1Arborio: Ha chicchi grossi e Lunghi Grazie al suo alto contenuto di amido resiste bene alla cottura e per questo motivo è l'ideate per i risotti. E' il più amato e conosciuto dagli italiani.
    va2Baldo: i chicchi sono grandi, traslucidi e molto consistenti. Ricco di amido, ha grande capacità di assorbimento ed è perfetto per la preparazione di risotti, per te cotture al forno.
    va3Balilla: dai chicchi piccoli e tondi, ha un grande potere di assorbimento e di crescita in cottura. E utilizzato per minestre, ma anche nella preparazione di dolci, timballi e crocchette.
    va4Basmanti: varietà originaria dell'India, dalla regione del Punjab. Ha chicchi lunghi e affusolati e quando cuoce emette un aroma di sandalo e nocciola. E ideale per la preparazione di piatti unici.

    va5Carnaroli: nato da un incrocio tra il Vialone e Leoncino, ha chicchi grossi, consistenti, e affusolati che assorbono facilmente gli odori e si legano con armonia agli ingredienti. Dopo l'arborio è la varietà più diffusa in Italia.
    va6Gange: proveniente da coltivazioni indiane; si presta per la preparazione di piatti unici a base di carne e di pesce, ma può essere utilizzato anche come contorno e nelle insalate. Il suo tempo di cottura è di circa 18 minuti.
    va7Glutinoso: Esiste nelle varietà bianca e nera. E' molto ricco di amido: in fase di cottura perde vigoria e assume una consistenza collosa. Per questo motivo viene utilizzato solo nella preparazione di dolci e budini.
    va8lntegrale: questo tipo di riso è quello che più conserva tutte le proprietà nutritive del cereale, poiché non subisce il processo di raffinamento e sbiancatura del tipo brillato. Si sposa bene con bolliti e zuppe.

    va9Originario: ha chicchi piccoli e rotondi che cuociono in circa 12-14 minuti. Utilizzato soprattutto per le minestre, per la sua resistenza alla cottura si presta anche alla preparazione di dolci e dei famosi arancini.
    va10Pedano: Caratterizzato da una pasta particolarmente tenera e da un alto contenuto di amido, è indicato soprattutto per preparare minestre e minestroni, ma si apprezza anche pescato e condito in bianco o al sugo.
    va11Parboiled: si ottiene sottoponendo il riso grezzo ad uno speciale processo di precottura. I suoi chicchi conservano te caratteristiche nutrizionali tipiche del riso integrate. Sopporta cotture lunghissime e non scuoce mai.
    va12Patna: di origine thaitandese, ha chicchi lunghi e affusolati e un colore bianco latte. Per La sua origine orientale, è adatto a piatti esotici ma anche a insalate di riso, tortini e ripieni. Ha un'ottima tenuta in cottura.

    va13Red: pregiata varietà orientate, cresce nelle coltivazioni del Borneo. I suoi lunghi chicchi presentano il caratteristico colore rossastro. Ideale come contorno a piatti di carne e di pesce. Gli indonesiani lo offrono agli dei.
    va14Ribe: presenta una pasta molto compatta e chicchi lunghi e affusolati. Resiste bene alla cottura ed è indicato per risotti e risi imbottiti.E' la varietà più utilizzata nel procedimento parboiled.
    va15Roma: ha i chicchi lunghi, grossi e tondeggianti. E' molto apprezzato in cucina per la sua estrema versatilità, che lo rende adatto a qualsiasi tipo di cottura, anche nelle minestre e gratinato in forno.
    va16Sant'Andrea: i suoi chicchi sono lunghi grossi e corposi. Per il suo alto contenuto di amido è particolarmente indicato nella preparazione di minestre e zuppe, ma anche di sformati e dolci. Assorbe bene i condimenti.

    va17SeIvaggio: i suoi chicchi sono lunghi, affusolati e neri, ma non è un riso vero e proprio. E' una graminacea - più precisamente la zizzania acquatica - che non viene coltivata ma cresce spontanea nette paludi. Cuoce in 45 minuti.
    va18Thai: presenta una grana lunga e cristallina. Quando cuoce, emette un caratteristico ed esotico profumo di spezie. Perfetto se abbinato a piatti a base di carne, pesce o verdura, come contorno, all'uso orientale.
    SeIvaggio: i suoi chicchi sono lunghi, affusolati e neri, ma non è un riso vero e proprio. E' una graminacea - più precisamente la zizzania acquatica - che non viene coltivata ma cresce spontanea nette paludi. Cuoce in 45 minuti.
    va19Venere: di origine cinese, è oggi coltivato anche nella Pianura Padana. Dà il rneglio di sé quando è abbinato a piatti di carne e di pesce al forno. E' ricco di proprietà nutritive e, secondo gli antichi Cinesi, afrodisiache.
    va20Vialone nano: ha chicchi di media grandezza, semilunghi e tondeggianti. Le sue caratteristiche sono simili a quelle del Carnaroli, ma è più diffuso nel Nord-est italiano. Cuoce in circa 13 minuti ed è ideale per i risotti.


    Fonte:risotti.it
     
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    ...La storia del risotto...


    Il risotto è nato a Napoli. Quest’affermazione, con qualche esagerazione, e una buona dose di approssimazione (due caratteristiche tipiche - secondo alcuni - dei napoletani) contiene in sé alcuni grani (si stava per dire: alcuni chicchi) di verità. Considerando infatti che il riso è il padre del risotto, va ricordato che l’uso alimentare del riso in Italia è incominciato a Napoli. Non che l’abbiano scoperto i napoletani, il riso: l’avevano portato fino al loro gli spagnoli (per la precisione: gli Aragonesi) nel XIV secolo. I napoletani cominciarono così a consumarlo come piatto unico: però non fu mai, per loro, unico quanto la pasta. Che proprio in quegli anni andava affermandosi e fermandosi stabilmente a Napoli. Il riso invece a Napoli non si trattenne, e nemmeno venne trattenuto; emigrò presto al nord, dove peraltro già lo conoscevano come farmaco e come ingrediente per dolci, e vi prese stabile dimora. Favorito in ciò dall’abbondanza d’acqua, per lui indispensabile per crescere bene. Fu così che l’uso alimentare del riso si affermò soprattutto nel settentrione d’Italia. L’abitudine di mangiare riso perciò non è per nulla napoletana. E ancor meno quella di preparare risotti. Più (e prima) che un piatto, il risotto è un modo di preparare il riso, che si chiama “cottura a risotto”. L’archetipo del risotto è il risotto alla milanese. E, come vedremo, non solo l’archetipo: anche il prototipo. La sua origine non è un giallo; è una leggenda. Il colore dipende dallo zafferano, pianta i cui fiori sbocciano in ottobre. La parte superiore dei pistilli (lo stimma)contiene una sostanza oleosa e aromatica. Gli stimmi vanno essiccati e macinati, fino a ricavarne una polvere gialla, un po’ amara e un po’ piccante.In Italia lo zafferano si coltiva poco, negli Abruzzi e in Sardegna. In Europa lo producono la Spagna e la Grecia, nel mondo le maggiori piantagioni di zafferano si trovano in India e in Iran. Dove la mano d’opera costa poco: una fortuna, dal momento che l’intera lavorazione dello zafferano è manuale. Per fare un chilo di zafferano si devono raccogliere 150 mila fiori, e ci vogliono 500 ore di lavoro. Lo zafferano si impiega in cucina (per il risotto di cui stiamo parlando, e per altro), ed entra nella preparazione di sciroppi e di liquori. E non si ferma qui; entra anche in chiesa. O per lo meno c’è entrato in passato. E proprio là ha dato vita al risotto alla milanese.E’ una bella storia, e bisogna raccontarla bene. A partire dal 1385 cominciarono a giungere a Milano artisti, architetti,artigiani, muratori, pittori, vetrai. Per dare il loro contributo alla“Fabbrica del Duomo”; un immenso cantiere che rimase aperto per decenni, fino ad esitare in quell’incredibile testimonianza del gotico fiammeggiante che sembra uscita dall’estasi di un mistico.Tra i convenuti c’era un fiammingo di Lovanio, tal Valerio Perfundavalle, di professione pittore di vetrate. Per conferire ai suoi gialli un tocco di brillantezza in più, Perfundavallle /size]impiegava lo zafferano. A Milano si lavorava sodo fin d’allora, e lo spacco per il pranzo era piuttosto breve (non c’erano ancora i sindacati, del resto). Il nostro pittore pertanto si riduceva a mangiare un po’ di riso dalla “schiscetta”, sul suo ponteggio sospeso tra terra e cielo. Com’è e come non è, un bel giorno, causa un movimento maldestro, un po’ dello zafferano che serviva per le vetrate finì nel riso.La leggenda sorvola sulle reazioni del nostro eroe (avrà forse sacramentato in fiammingo, a bassa voce dato il luogo). Però….il riso colorato di giallo pareva proprio appetitoso. E il sapore? Perfundavalle esitò un istante. Poi si disse:che male può farmi? E’ una pianta! (Come la cicuta, NdR).Così l’assaggiò. Gli piacque molto. Da quel giorno le sue vetrate furono un po’ meno gialle, e il suo riso lo fu di più. La voce, com’è ovvio,si sparse. E lo zafferano passò in cucina. Come dire: dal croco al cuoco.Questa storia è sicuramente falsa, dalla prima all’ultima parola. Ma è suggestiva, perché mette insieme i due must di Milano: il Duomo, e il risotto alla milanese. Facendoli nascere nello stesso luogo, l’uno dall’altro.Le scatole cinesi non hanno fine: da tutto questo scaturisce – secondo un’altra leggenda – anche il nome“risotto”. Un umanista, assaggiando questo singolare riso giallo, pare abbia esclamato: “Risus optimus!”Leggende ed amenità a parte, è documentato che la “cottura a risotto” è una tecnica tutta italiana. Ma siamo stati noi italiani, con la creatività che il mondo ci riconosce, ad inventare e a rendere famoso il risotto. Certo è che nel 1791 il risotto in Piemonte era già un piatto tradizionale, anche se soltanto del bel mondo: i Savoia erano soliti farlo servire a mezzanotte, durante i ricevimenti che davano nei loro bei palazzi torinesi. A codificare il risotto così come lo intendiamo oggi fu peraltro un cuoco rimasto semi-anonimo, dal momento che di lui conosciamo soltanto le iniziali: L.O.G. ….Nessun discorso che si occupi di cucina può comunque prescindere dal citare, magari di volata, il grande Pellegrino Artusi. Il grande emiliano (forlimpopolese) …..per poter mettere bocca in tutto, mise in bocca tutto. Si deve a lui la classificazione dei risi in base alla cottura. Il risotto acquista così una sua specificità, cucinato - come dev’essere - in casseruola, con un soffritto al quale va aggiunto, poco per volta, del brodo.Ma non c’è autenticità senza certificato di garanzia. Il risotto c’ha pure questo; il suo imprimatur come capolavoro dell’arte culinaria italiana reca nientemeno che la firma di Auguste Escoffier. Quando parla, e scrive di risotti, il celebre cuoco francese non manca mai di definirli “una preparazione all’italiana”. E li descrive, abbinandoli ai luoghi d’origine (alla piemontese, alla milanese, alla fiorentina).



    ...Consigli per un buon risotto...


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    Evitare risi scadenti che non offrono affidabilìtà in cottura. Occorre scegliere un prodotto garantito e di qualità. Alcune fra le aziende agricole e risicole italiane si sono dotate di una riseria propria interna e sono in grado di fornire alcuni fra i migliori risi (di secondo lavorato) in commercio, tipo Cascina Veneria di Lignina (Vc) per il Carnaroli, Ferron (Vr) per il Vialone Nano, ma anche i risi di Tenuta Castello e del Principato di Lucedio (Vc).

    Il riso non va lavato, perché l'acqua favorisce l'allontanamento,di sostanze utili e penetrando nei granelli prima della cottura lo predispone a sfaldamento. Fa eccezione l’integrale che va messo, prima della cottura, alcune ore in acqua fredda: Il riso và versato a pioggia in acqua bollente già salata.

    Per le porzioni può essere la seguente scaletta : 50g a persona per le minestre in brodo; 70 per i contorni, 100 per i piatti unici o i primi piatti (il pugno di una donna ne contiene 70).


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    Per preparare un buon riso l’acqua, deve essere abbastanza abbondante anche se il rapporto acqua/riso non è costante, perché può variare,in funzione della, della varietà di riso, del recipiente di cottura. A titolo indicativo si può ipotizzare. che prendendo come base 100 grammi di riso, per fare. Un risotto occorre 1/3 di litro di brodo; per una minestra l'acqua è invece direttamente proporzionale alla intenzione di farla più o meno densa o più o meno cremosa; per lessarli è sufficiente invece mezzo litro di acqua.

    I tempi di cottura sono sempre indicativi per cui non è vera la regola dei 18 minuti. Non va dimenticato che se il riso cuoce troppo diminuisce il suo valore nutritivo,se la cottura è troppo breve la digestione si fa più difficile.
    Il fuoco deve essere vivace e...la pentola scoperta.

    Se non si vuole che i chicchi di riso si sfaldino e divengano collosi,è sempre bene soffriggere il riso in un pò d'olio prima di iniziarne la cottura. Questa tecnica serve a formare attorno al chicco uno strato protettivo che ne impedisce lo sfaldamento. La tostatura resta indispensabile per ogni risotto: essa,consente un successivo ottimale,dei vari ingredienti da parte del chicco di riso.


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    Quando si prepara il riso per contorno, i chicchi dovranno apparire integri. Per ottenere ciò bisogna aggiungere all'acqua di cottura il succo di una fetta di limone, la cui funzione è anche quella di, fissare la coagulazione delle proteine.

    La massima cinese recita:"...è meglio che un uomo aspetti il suo cibo piuttosto che sia il cibo aspettare lui …." Si addice molto bene al riso, in particolare alla preparazione del risotto, perché il riso scotto, non solo perde le sue proprietà nutritive ma non si apprezza volentieri. Il risotto è uno dei pochi primi piatti a primo che va servito su piatto freddo e rapidamente perché la temperatura di cottura superiore ai 100°C che però resta a termine della preparazione dell’alimento favorisce la presentazione della cottura a consentire una particolare situazione di callosità nel riso.


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    Non si dimentichi che gli avanzi del riso possono essere utilizzati in vario modo perché si possono trasformare in tortini, in crocchette, frittate di riso, in arancini o in ripieni di pasta e di verdura.



    Fonte:dal web
     
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    ...La preparazione del risotto...



    Cuocere il risotto:
    pre-0L'origine del risotto è assai modesta e legata ai ritmi della vita contadina e, nonostante ciò, la sua preparazione è abbastanza elaborata. Il risotto è un'avventura gastronomica che comincia con un soffritto, prosegue con la tostatura del riso (e degli eventuali ingredienti aggiunti) e procede con la graduale aggiunta del brodo: un mestolo ogni volta che la quantità versata in precedenza è stata assorbita. Il risotto deve quindi cuocere per 15-18 minuti nel brodo aggiunto poco alla volta ma, in alcune ricette e in determinate zone d'Italia, questo può essere versato tutto all'inizio. In questo modo le massaie di una volta potevano porre la pentola accanto alle braci e, rimestando dolcemente, lasciare che il riso cuocesse lentamente, insaporendosi a dovere. E' il caso della cottura tradizionale del Risotto alla pilota - da "piloti", come venivano chiamati gli operai addetti alla pilatura del riso, piatto tipico della fascia di Pianura Padana al confine tra le provincie di Mantova e Verona, zona di produzione del celebre Vialone nano.

    Il soffritto:

    pre-1Il soffritto "l'arte di soffriggere si apprende più con la pratica che con la teoria; a ogni modo qui di seguito forniamo le indicazioni di base mirate alla specifica preparazione del soffritto per il risotto. La scelta tra cipolla, scalogno e aglio deve essere compiuta sulla base degli ingredienti che si uniranno al riso nella ricetta: la cipolla ha un sapore più delicato, l'aglio è più deciso e lo scalogno è intermedio tra i due. Identificato l'aroma più adatto, procedete a un'accurata mondatura e poi affettatelo a velo o tritatelo più o meno finemente: quanto più minute sono le parti, più intenso è il profumo iniziale; un trito più grossolano profuma meno ma il gusto rimane più persistente nel risotto.
    Per quanto riguarda invece l'uso di burro oppure d'olio, non orientatevi solamente considerando l'armonia dei sapori, ma valutate anche l'aspetto dietetico. Il burro deve essere gustoso compatto, di colore caldo. L'olio va scelto tra quelli extravergine d'oliva, con particolare predilezione per la spremitura a freddo. Il grasso per il quale avete optato deve formare un velo uniforme sul fondo del tegame. La verdura (cipolla, scalogno, o aglio) va messa quando la base è ben calda e la fiamma deve essere dolcissima. Il trito deve imbiondire lentamente fino ad appassire completamente: in questo modo le asprezze del sapore sfumano.

    La tostatura:
    pre-2Il riso più indicato per il risotto è il superfìno, che ha chicchi grossi e allungati, e va tostato nel soffritto. In questa fase è necessario mescolare con energia per far sì che tutti i chicchi si tostino in maniera uniforme. L'operazione può considerarsi terminata quando i chicchi sono quasi trasparenti con alcuni punti imbruniti. Il profumo che sprigiona è intenso e caratteristico e, con un poco d'esperienza, diventa presto riconoscibile.
    La cottura degli ingredienti e il vino:
    Spesso il riso va tostato con altri ingredienti: aggiungerli secondo: tempi e i modi indicati di volta in volta nelle ricette e prestare attenzione a non eccedere nella precottura. Quando anche questi ingredienti sono pronti, bagnare il tutto con il vino, scelto tra il bianco secco o il rosso corposo e, per qualche istante, alzare leggermente la fiamma, così che la componente alcolica svapori.

    Il brodo:
    pre-3Dopo il vino si passa all'aggiunta del brodo. La qualità del brodo è determinante, e la scelta tra brodo vegetale e di carne o di pesce è affidata all'armonia dei sapori della ricetta e al gusto di chi cucina. Il brodo di carne è più saporito se preparato con un assortimento di carni diverse: bovina, di pollo e magari di coniglio, senza dimenticare le verdure (carota, cipolla e sedano) e i sapori (alloro, chiodi di garofano ecc.). Prima di utilizzare A brodo, sgrassarlo e schiumarlo. Il brodo di verdura ammette un più vasto assortimento nella combinazione dei suoi ingredienti, ma consigliamo di evitare i sapori dominanti come 2 cavolfiore, o antagonisti come 2 finocchio, mentre più appetibile è il gusto di patate, carote, cipolle, sedano, asparagi, spinaci, verza, broccoli, porri e altri. In alcune delle ricette che impiegano pesce, sono descritte le operazioni necessarie per ottenere il fumetto di pesce, ma è possibile utilizzare anche brodo vegetale o di pollo. Non salare il brodo: la sapidità si aggiusta a fine cottura con sale marino integrale.

    La mantecatura:
    pre-4la fase che dà il tocco finale al gusto. Mantecare significa aggiungere burro (oppure olio extravergine d'oliva) e formaggio (parmigiano o altro formaggio stagionato), mescolare e poi lasciare riposare a fiamma spenta coprendo la pentola con un panno ripiegato affinché questo assorba il vapore acqueo che potrebbe bagnare il risotto. In questa fase i sapori si amalgamano, il riso si gonfia e la cottura è ultimata. Il formaggio va grattugiato di fresco: un sapore stantio rovinerebbe irrimediabilmente il migliore dei risotti. Non abbiamo dato indicazioni precise (a parte casi particolari) sulla dose di formaggio: questa varia secondo il gusto e le scelte dietetiche di chi cucina. Bisogna comunque cercare di non esagerare, perché il gusto sapido del formaggio stagionato non prevarichi gli altri. I meno esperti siano quindi attenti a non utilizzare più di 60 g di parmigiano su una dose di riso per quattro persone (300-350 g). Gli altri condimenti vanno usati con equilibrio: il loro sapore non deve prevalere sugli altri, né modificare la consistenza del risotto rendendolo troppo bagnato.

    I trucchi per un buon risotto:
    pre-5Come tutte le ricette tradizionali, anche il risotto ha i suoi segreti e vale la pena di conoscerne almeno i principali. E' da preferire riso proveniente da coltivazione biologica e, prima di utilizzarlo, mondarlo: eliminare i chicchi rovinati e le eventuali impurità. C'è chi consiglia l'uso della pentola di rame (meglio se vecchia e ricoperta di nero fumo che aiuta la diffusione uniforme del calore); altri si limitano a consigliare una casseruola inox più larga che alta e con fondo triplo; c'è chi, infine, predilige l'uso di un'ampia padella da mettere sul fuoco su una retina frangifiamma. Qualsiasi sia la pentola che si decide di utilizzare, rimestare il riso cm un cucchiaio di legno e sempre dal centro verso i bordi: A risotto, infatti, tende a cuocere più velocemente nell'area esterna del tegame.

    Il servizio:
    pre-6Il risotto deve essere subito servito in tavola, ben caldo e appena prepa- rato: questo piatto non tollera di essere successivamente riscaldato. 'In tavola non dovrebbe mai mancare il formaggio usato per mantecáre, in modo che i commensali se ne possano servire a piacere. Gli avanzi del risotto possono essere adoprati per arricchire la vostra ricetta preferita di polpette o per farne arancini, ma possono anche essere raccolti a que- nelle (ovvero stretti tra due cucchiai), passati in una leggera impanatura e fritti in abbondante olio ben caldo. Buon appetito!



    Fonte:risotto.it
     
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    Il lancio del riso al matrimonio


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    ...Storia e origini di un'usanza diffusa...


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    L’usanza del lancio del riso sugli sposi ha origine dalla tradizione cinese: un’antica leggenda narra che il Genio Buono, alla vista dei contadini colpiti da una grave carestia, sia stato mosso a pietà e abbia chiesto loro di irrigare i campi con l’acqua del fiume in cui egli disperse i propri denti. L’acqua trasformò i denti in semi, da cui germogliarono migliaia di piante di riso, che sfamarono l’intera popolazione. Il riso da allora divenne simbolo di abbondanza e prosperità e lanciarlo sugli sposi equivale ad augurare loro un futuro di felicità e soddisfazioni. C’è anche chi sostiene, invece, che l’usanza del lancio del riso abbia origini Romane. Si dice, infatti, che per tradizione nell’Antica Roma si lanciasse del grano sugli sposi (sempre come augurio di fertilità). Il “cambio di cereali” è avvenuto nel momento in cui il riso è diventato più reperibile del grano (avere del riso in casa è semplice…reperire del grano potrebbe essere un problema). Ma questa seconda ipotesi riguardo alla tradizione del lancio del riso sugli sposi è meno certa rispetto alla prima.


    sposi


    Al giorno d'oggi per quanto riguarda il lancio del riso, ci sono diversi elementi di novità. Per esempio il riso è sempre più spesso colorato e non più bianco e semplice, e viene distribuito agli invitati, fuori dalla chiesa in appositi contenitori (coni, borsette, sacchettini portariso) acquistati, o addirittura creati a mano dalla sposa stessa. Per coloro che non amano particolarmente il riso, esso può essere rimpiazzato dal lancio di coriandoli o di petali di fiori (rigorosamente coloratissimi).
    E' molto in voga, inoltre, sostituire il riso con delle bolle di sapone, magari in flaconcini personalizzati col nome degli sposi. In tal modo poi, gli invitati avranno anche un ricordino simpatico, oltre alla bomboniera, da portare a casa.


    Fonte:dal web
     
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  6. ZIALAILA
     
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    grazie Giulia ho scoperto un sacco di curiosita' carinissime !!


     
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  7. gheagabry
     
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    Risotto patrio. Rècipe

    di Carlo Emilio Gadda




    L’approntamento di un buon risotto alla milanese domanda riso di qualità, come il tipo Vialone, dal chicco grosso e relativamente più tozzo del chicco tipo Carolina, che ha forma allungata, quasi di fuso. Un riso non interamente “sbramato”, cioè non interamente spogliato del pericarpo, incontra il favore degli intendenti piemontesi e lombardi, dei coltivatori diretti, per la loro privata cucina. Il chicco, a guardarlo bene, si palesa qua e là coperto dai residui sbrani d’una pellicola, il pericarpo, come da una lacera veste color noce o color cuoio, ma esilissima: cucinato a regola, dà luogo a risotti eccellenti, nutrienti, ricchi di quelle vitamine che rendono insigni i frumenti teneri, i semi, e le loro bucce velari. Il risotto alla paesana riesce da detti risi particolarmente squisito, ma anche il risotto alla milanese: un po’ più scuro, è vero, dopo e nonostante l’aurato battesimo dello zafferano.

    Recipiente classico per la cottura del risotto alla milanese è la casseruola rotonda, e la ovale pure, di rame stagnato, con manico di ferro: la vecchia e pesante casseruola di cui da un certo momento in poi non si sono più avute notizie: prezioso arredo della vecchia, della vasta cucina: faceva parte come numero essenziale del “rame” o dei “rami” di cucina, se un vecchio poeta, il Bassano, non ha trascurato di noverarla ne’ suoi poetici “interni”, ove i lucidi rami più d’una volta gurano sull’ammattonato, a captare e a rimandare un raggio del sole che, digerito dagli umani il pranzo, concocto prandio, decede. Rapitoci il vecchio rame, non rimane che aver fede nel sostituto: l’alluminio.
    La casseruola, tenuta al fuoco pel manico e per una presa di feltro con la sinistra mano, riceva degli spicchi o dei minimi pezzi di cipolla tenera, e un quarto di ramaiolo di brodo, preferibilmente brodo al foco, e di manzo: e burro lodigiano di classe. Burro, quantum prodest, udito il numero de’ commensali. Al primo soffriggere di codesto modico apporto butirroso-cipollino, per piccoli reiterati versamenti sarà buttato il riso: a poco a poco, fino a raggiungere un totale di due tre pugni a persona, secondo appetito prevedibile degli attavolati: né il poco brodo vorrà dare inizio per sé solo a un processo di bollitura del riso: il mestolo (di legno, ora) ci avrà che fare tuttavia: gira e rigira. I chicchi dovranno pertanto rosolarsi e a momenti indurarsi contro il fondo stagnato, ardente, in codesta fase del rituale, mantenendo ognuno la propria “personalità”: non impastarsi e neppure aggrumarsi.

    Burro, quantum sufficit, non più, ve ne prego; non deve far bagna, o intingolo sozzo: deve untare ogni chicco, non annegarlo. Il riso ha da indurarsi, ho detto, sul fondo stagnato. Poi a poco a poco si rigonfia, e cuoce, per l’aggiungervi a mano a mano del brodo, in che vorrete esser cauti, e solerti: aggiungete un po’ per volta del brodo, a principiare da due mezze ramaiolate di quello attinto da una scodella “marginale”, che avrete in pronto. In essa sarà stato disciolto lo zafferano in polvere, vivace, incomparabile stimolante del gastrico, venutoci dai pistilli disseccati e poi debitamente macinati del ore. Per otto persone due cucchiaini da caffè. Il brodo zafferanato dovrà per tal modo aver attinto un color giallo mandarino: talché il risotto, a cottura perfetta, venti ventidue minuti, abbia a risultare giallo-arancio: per gli stomaci timorati basterà un po’ meno, due cucchiaini rasi, e non colmi: e ne verrà fuori un giallo chiaro canarino. Quel che più importa è adibire al rito un animo timorato degli dèi è reverente del reverendo Esculapio o per dir meglio Asclepio, e immettere nel sacro “risotto alla milanese” ingredienti di prima qualità: il suddetto Vialone con la suddetta veste lacera, il suddetto Lodi (Laus Pompeia), e i suddetti spicchi di cipolle tenere; per il brodo, un lesso di manzo con carote sedani, venuti tutti e tre dalla pianura padana, non un toro pensionato, di animo e di corna balcaniche: per lo zafferano consiglio Carlo Erba Milano in boccette sigillate: si tratterà di dieci dodici, al massimo quindici, lire a persona: mezza sigaretta! Non ingannare gli dei, non obliare Asclepio, non tradire i familiari, né gli ospiti che Giove Xenio protegge, per contendere alla Carlo Erba il suo ragionevole guadambio. No! Per il burro, in mancanza di Lodi potranno sovvenire Melegnano Casalbuttano Soresina; Melzo, Casalpusterlengo; tutta la bassa milanese al disotto della zona delle risorgive, dal Ticino all’Adda e insino a Crema e Cremona. Alla margarina dico no! E al burro che ha il sapore delle saponette: no!

    Tra le aggiunte pensabili, anzi consigliate o richieste dagli iperintendenti e ipertecnici, figurano le midolle di osso (di bue) previamente accantonate e delicatamente serbate a tanto impiego in altra marginale scodella. Si sogliono deporre sul riso dopo metà cottura all’incirca: una almeno per ogni commensale: e verranno rimestate e travolte dal mestolo (di legno, ancora) con cui si adempia all’ultimo ufficio risottiero. Le midolle conferiscono al risotto, non più che il misuratissimo burro, una sobria untuosità: e assecondano, pare, la funzione ematopoietica delle nostre proprie midolle. Due o più cucchiai di vin rosso e corposo (Piemonte) non discendono da prescrizione obbligativa, ma, chi gli piace, conferiranno alla vivanda quel gusto aromatico che ne accelera e ne favorisce la digestione.

    Il risotto alla milanese non deve essere scotto, ohibò, no! solo un po’ più che al dente sul piatto: il chicco intriso ed enfiato de’ suddetti succhi, ma chicco individuo, non appiccicato ai compagni, non ammollato in una melma, in una bagna che riuscirebbe spiacevole. Del parmigiano grattuggiato è appena ammesso, dai buoni risottai; è una cordializzazione della sobrietà e dell’eleganza milanesi. Alle prime acquate di settembre, funghi freschi nella casseruola; o, dopo San Martino, scaglie asciutte di tartufo dallo speciale arnese affetta-trifole potranno decedere sul piatto, cioè sul risotto servito, a opera di premuroso tavolante, debitamente remunerato a cose fatte, a festa consunta. Né la soluzione funghi, né la soluzione tartufo arrivano a pervertire il profondo, il vitale, nobile significato del risotto alla milanese.

    Da Verso la Certosa, in Saggi giornali favole e altri scritti, I, a cura di Liliana Orlando, Clelia Martignoni, Dante Isella, Garzanti, Milano 1991, pp. 369-371. Prima edizione: R. Ricciardi, Napoli 1961).

     
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6 replies since 25/9/2011, 15:24   1305 views
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