LA STORIA DELLA MOZZARELLA

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    La storia della mozzarella











    Tipico formaggio dell'Italia meridionale, viene classificato come formaggio a pasta filata di consistenza molle. È uno dei formaggi più famosi, reso ancora più famoso da molte preparazioni culinarie e soprattutto dalla pizza
    Il termine “mozzarella” deriva dal verbo “mozzare” e descrive l'operazione, eseguita ancora oggi, di tagliare con le mani la pasta filata stringendola tra il dito pollice e l'indice, detta appunto “mozzatura”.






    La storia






    La mozzarella ha una storia antichissima e un'origine incerta. La storia di questo formaggio è strettamente legata alla comparsa del bufalo in Campania, nell'Italia meridionale, che alcuni fanno risalire al sesto secolo, altri ritengono sia stato introdotto in Italia da Annibale. Tornando indietro nel tempo si trovano notizie certe da uno storico della Chiesa Metropolitana di Capua, Monsignore Alicandri. In un suo lavoro cita un documento in cui si legge che presso il Monastero di S. Lorenzo in Capua - siamo nel XII secolo - i frati offrivano come ristoro ai pellegrini un pezzo di pane e una mozza o provatura. Lo scritto recita testualmente: “…una mozza o provatura con un pezzetto di pane era la prestazione che i monaci del monastero di S. Lorenzo in Capua davano in agnitionem dominii al Capitolo Metropolitano il quale ogni anno, per antica tradizione, nella quarta fiera delle legazioni, recavasi processionalmente in quella Chiesa…”. Il termine “mozzarella” è strettamente legato alla locuzione “mozza” che non è altro che la provatura, ovvero la provola, come si può intuire nel testo citato di Monsignore Alicandri.

    Curiosando tra i contratti per l'appalto del prodotto della “Reale Industria della Pagliara delle bufale”, era disposto che la mozzarella doveva restare nella salsa 24 ore mentre la provola 48. Sembra sempre più evidente che la mozzarella era un sottoprodotto della preparazione della provola, sottoprodotto non per qualità, ma per la sua evidente difficoltà nel mantenere la freschezza durante il trasporto, condizione indispensabile per la mozzarella. Al contrario la provola veniva affumicata in modo da poterla conservare più a lungo. La mozzarella dunque doveva essere un prodotto usato nell'ambito familiare dei produttori o ad un mercato ristretto di palati raffinati.

    Il termine “mozzarella” lo troviamo nel XVI secolo, e precisamente nel 1570, citato in un libro di cucina scritto da Bartolomeo Scappi, cuoco presso la corte papale dove specialità d'ogni parte d'Europa erano sempre presenti. Il testo cita “…capo di latte, butirro fresco, ricotte fiorite, mozzarelle fresche et neve di latte…”. Anche se dal 1500 si sente parlare di mozzarelle ed altri formaggi, non sembra che questi prodotti fossero ampiamente diffusi, infatti da documenti dell'epoca si parla di provature affumicate e fresche. Solo più tardi si verificherà un episodio fondamentale e che farà aumentare la diffusione della mozzarella. Grazie ad un impianto d'allevamento di bufale e di trasformazione del latte nella Tenuta Reale, meglio conosciuta con “Reggia di Carditello”, la mozzarella comincia ad acquistare notorietà e diffusione. Compare nel mercato verso il 1720 per poi diffondersi fino diventare conosciuta a partire dal 1780.

    Con l'Unità d'Italia si crea ad Aversa un mercato all'ingrosso delle mozzarelle e di altri formaggi dove l'incontro tra la domanda e l'offerta stabiliscono e guidano i prezzi che verranno poi applicati. La mozzarella ha sempre legato le sue radici alla bufala, inizialmente utilizzata come animale da lavoro, ma poi divenuta preziosa per la produzione del latte. Dal 1600 si inizia ad avere notizia delle “bufalare”: costruzioni in muratura di forma circolare dove si lavorava il latte di bufala producendo caciocavalli, burro, ricotta e, naturalmente, mozzarella. All'inizio la mozzarella, vista la sua deperibilità, era destinata ad un mercato prevalentemente locale.






    La produzione della mozzarella











    Tecnicamente si definisce mozzarella un formaggio fresco, a pasta molle, cruda e filata a sfoglie sovrapposte dalla crosta sottilissima. Oggi viene prodotta in forme tondeggianti di diverse dimensioni, bocconcini, pani o trecce.

    La prima fase della lavorazione della mozzarella parte dal latte, filtrato per togliere tutte le impurità e pastorizzato per eliminare gli eventuali germi patogeni, quindi viene fatto coagulare mediante l'aggiunta di caglio di vitello. Successivamente il composto viene scaldato alla temperatura ottimale di 34-38° C. Anticamente si aggiungeva latte bollente ma oggi viene riscaldato mediante getti di vapore. Il tempo necessario per la coagulazione del latte è di circa trenta minuti e talvolta si può arrivare anche ad un'ora. La massa che costituisce la cagliata viene quindi spezzata in parti piuttosto grandi e posta a riposare. L'operazione seguente consiste nella rottura della cagliata, utilizzando bastoni alla cui estremità è fissato un disco di legno oppure utilizzando un attrezzo metallico, fino ad ottenere dei frammenti dalle dimensioni di 3-6 centimetri. Questa operazione, apparentemente semplice, viene eseguita con molta cura ed attenzione dagli operatori, anche perché durante la rottura viene generalmente persa una piccola quantità di grasso (circa l'1%) nel siero.


    La Mozzarella: un formaggio apprezzato dalla cucina Italiana



    Dopo la rottura la cagliata viene lasciata acidificare sotto siero. Questa fase della lavorazione è fondamentale per la qualità del prodotto finale e la durata dell'acidificazione rappresenta un fattore che darà un contributo importante alle caratteristiche della mozzarella. La cagliata si pone, a questo punto, su un tavolo a spurgare e a maturare per circa 20-30 minuti. Generalmente nel Sud dell'Italia è preferita una mozzarella dal sapore acidulo, più adatta per il periodo invernale. Il giusto grado di maturazione della mozzarella viene determinato nel seguente modo: si prendono circa 100 grammi di pasta matura, viene fatta fondere in acqua calda e fatta filare con l'ausilio di un bastoncino. Se si allunga in filamenti di almeno un metro e senza spezzarsi, la mozzarella si può considerare “pronta”. Questa operazione, apparentemente semplice, richiede in realtà l'esperienza e l'abilità del casaro competente per potere superare questa fase critica della lavorazione. Una cagliata immatura o surmatura produrrà una mozzarella di bassa consistenza e ad un abbassamento nella resa della lavorazione. Il siero rimanente dalla lavorazione, ricco di proteine, sarà utilizzato per la produzione della ricotta.

    La fase di lavorazione successiva prende il nome di “filatura” ed è la fase che incide maggiormente sulla consistenza della mozzarella. Nella lavorazione tradizionale quest'operazione viene eseguita ancora manualmente e consiste nel tagliare a fette sottili la cagliata, inserirla in un tino di legno e, con l'aggiunta di acqua bollente ad 80 gradi, viene fatta fondere. Utilizzando strumenti tradizionali, una ciotola ed un bastone di legno, la cagliata viene sollevata e tirata fino ad ottenere un impasto omogeneo dall'aspetto lucido, lasciando drenare il siero in eccesso. Proprio da questo tipo di processo deriva la classificazione della mozzarella come formaggio a pasta “filata”. Si procede quindi con la “formatura”, cioè con l'operazione che determinerà la porzionatura della pasta. Sono necessarie due persone per poter manipolare, con gesti sapienti e ricchi di esperienza, nonché per “mozzare” la pasta stringendola tra il dito pollice e l'indice, isolando i pezzi della grandezza desiderata per poi immergerli in acqua fredda. In questa fase nascono le varie forme di mozzarelle, tra cui la caratteristica forma di treccia, foggiate attorcigliando tre segmenti di pasta. Nei caseifici artigianali questa fase viene fatta ancora manualmente, in quelli industriali saranno appositi macchinari a svolgere questo lavoro.

    L'ultima fase della preparazione consiste nella salatura immergendo le forme di mozzarella in una soluzione salina al 10-18%. La durata dell'operazione varia da caseificio a caseificio e dipende dalla concentrazione della salamoia e dalla pezzatura. La salatura può essere fatta anche durante il processo di filatura. Durante questa fase il sale penetra nella parte superficiale della mozzarella, per poi diffondersi uniformemente fino all'interno durante la permanenza nel liquido di governo. Questo liquido serve a conservare la mozzarella fino al consumo finale ed è costituito tradizionalmente da acqua di filatura, sale e siero acido diluito, tuttavia può essere sostituita con acqua salata e acido citrico e/o acido lattico. Quest'ultimo liquido viene ritenuto più idoneo poiché consente di prolungare la vita della mozzarella.






    La conservazione











    Il periodo di conservazione di una mozzarella dipende dalla qualità della materia prima e dalla lavorazione. Generalmente si conserva immersa nel liquido di governo per 3 o 4 giorni ad una temperatura di circa 10-15°C senza perdere le sue caratteristiche. Dopo tale periodo il prodotto inizia a perdere consistenza, la parte esterna comincia a sfaldarsi, perde la sua caratteristica struttura a sfoglie e comincia ad avere una consistenza più “burrosa”, di conseguenza va consumata cotta. Nel caso in cui viene conservata in frigo, per meglio apprezzare le sue caratteristiche si consiglia di tenerla a temperatura ambiente per almeno mezz'ora, poi immergerla per cinque minuti in acqua calda a 35-40° C, tuttavia essendo un prodotto fresco è consigliabile consumarla nel minore tempo possibile. Al contrario, se deve essere cucinata è buona regola toglierla dal liquido di governo e lasciarla in frigo per alcune ore cosi che possa separarsi dal liquido in eccesso e guadagnare in consistenza.






    Tipi di mozzarelle











    Le principali differenze derivano dal latte con cui si produce la mozzarella. La differenza principale tra il latte di bufala ed il latte vaccino è data dal contenuto di grasso e proteine, caratteristiche fondamentali per l'industria casearia. Normalmente nel latte di bufala sono più concentrati alcuni ceppi di lattobacilli, responsabili della differenza di sapore e di aroma e, a quanto pare, influirebbero anche sull'acidificazione della cagliata. Il fior di latte è un termine moderno, nella lingua napoletana non esiste la distinzione “mozzarella fior di latte” ma solo il termine generico mozzarella, senza alcuna distinzione. Il termine fior di latte pare abbia avuto origine in Toscana. In accordo alle leggi di tutela sulla produzione di questo formaggio, la mozzarella viene classificata come segue:
    Mozzarella di bufala Campana - La commissione Europea ha creato un logo che consente di identificare i prodotti alimentari previsti dal sistema di tutela, meglio noto come DOP, ovvero Denominazione di Origine Protetta. Questo garantisce che le caratteristiche del prodotto sono legate strettamente all'ambiente geografico da cui proviene. La mozzarella di bufala Campana ha ottenuto il riconoscimento del marchio DOP per effetto del regolamento CEE n. 1107 del 12 giugno 1996. Per ambiente geografico non si intende solo la zona geografica, ma anche il clima, il suolo, i fattori umani e le tradizioni locali. La mozzarella di bufala Campana DOP è un formaggio derivato da latte intero di bufala e regolamentato dal disciplinare contenuto nel DPR 28/9/1979. Per meglio tutelare e valorizzare in tutto il mondo la mozzarella è nato il “Consorzio per la tutela del formaggio mozzarella di bufala Campana”. Il consorzio si preoccupa di promuovere, valorizzare, assistere le aziende produttrici, salvaguardare la tipicità e le caratteristiche peculiari, nonché vigilare sulla produzione e sul commercio affinché venga sempre rispettata la normativa di tutela. La mozzarella di bufala Campana deve essere prodotta esclusivamente con latte di bufala, munto da animali che vivono nelle zone previste della Campania e del basso Lazio, e prodotta nella stessa zona. È l'unica che può fregiarsi del logo giallo/blu e del logo con la testa di bufala
    Mozzarella di latte di bufala - Si tratta di mozzarelle che derivano da latte di bufale non campane o del basso Lazio, o comunque secondo un procedimento non conforme al disciplinare
    Mozzarella con latte di bufala - Si tratta di una denominazione molto rara, ma possibile, secondo la normativa. In questo caso dovrebbe essere nota la percentuale di latte di bufala utilizzato nella produzione, in caso contrario si intende che il latte di bufala sia anche l'ingrediente principale
    Mozzarella tradizionale - Viene prodotta con latte di vacca. Questo marchio garantisce che il ciclo di lavorazione rispetta l'attestazione di specificità dell'Unione Europea. La confezione deve riportare la scritta “Specialità tradizionale garantita”
    Mozzarella o fior di latte - Prodotto ottenuto con le stesse modalità delle precedenti utilizzando come base il latte vaccino. Esistono due varianti la “magra”, con una quantità di grasso inferiore al 20%, e “leggera”, contenente grasso in misura del 20-35%

    La mozzarella è prodotta nelle tipiche forme tonde, in varie pezzature, ossia dal bocconcino di 80-100 grammi alle forme di mezzo chilo; altre varietà sono a treccia e, recentemente, a rotolo: esiste anche in versione affumicata. Di produzione esclusivamente industriale è la pezzatura a ciliegina.

    La mozzarella da latte vaccino è più tipica della Calabria, della Puglia, della Basilicata, dell'Abruzzo e del Molise, in particolare del comune di Bojano, dove viene prodotta anche nelle tipiche forme a fiaschetto (specialmente in Puglia) o a treccia (in Calabria).

    In alcune province della Campania, del Lazio, e del nord della Puglia, in particolare nelle province di Salerno e Caserta, è prodotta la mozzarella di bufala campana utilizzando esclusivamente latte di bufala allevata in zona e un particolare procedimento di lavorazione. Questo tipo di mozzarella è tutelato dal marchio DOP.











    In cucina






    La mozzarella viene consumata soprattutto al naturale, accompagnata da prosciutto crudo e olio o in insalate: tipica la caprese, con pomodori, origano, basilico e un filo di olio extravergine d'oliva. La mozzarella è molto usata per il condimento di pizza, calzone e panzerotto ma in molti casi si preferisce il fior di latte. Questo tipo di formaggio, ossia la mozzarella in tutte le sue varietà, si consuma non oltre cinque giorni dalla produzione.














    fonte dal web
     
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  2. ZIALAILA
     
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    ...nella Piana del Sele , regno della Mozzarella di Bufala , pascolano questi grandi e solenni bovidi ......
    Di origini remote conservano nella misteriosa fissita' dello sguardo , nelle movenze lente e quasi stanche del corpo , nelle arcuate corna lunari di primordiale design, il distaccato stile di vita dell' India , loro paese di origine ...

    bufale



    Che siano arrivate con le orde dei Barbari di Agilulfo - pare che se le portassero dietro come cambuse viaggianti di latte e formaggio nelle loro scorribande italiane - o che siano giunte qui nel cuore antico della Campania al seguito degli Arabi che risalivano dalla Sicilia , le bufale continuano ancor oggi nella primaria funzione di fornitrici di latte ....
    Un latte che mani esperte sanno plasmare in quella lucente , levigata , profumata pasta filante che " mozzata " al momento giusto chiamiamo tutti Mozzarella.


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    ..Fino a 40 anni fa il massaro cantilenava ad alta voce i nomi bizzarri di ciascuna bufala a lui affidata , nomi imposti a seconda dello stato d'animo , di un 'idea : " Passaguai " , " Bambola " , " La veloce " , " A Rossa " , " Chi vive vede " , per chiamarle 2 volte al giorno alla mungitura e...
    Le bufale si avviavano docili con il vitello caracollante al fianco verso la voce amica .
    Superstizione voleva che senza il figlio accanto non avrebbero dato latte al punto che se un vitello moriva , si appoggiava la sua pelle sulle spalle del mungitore in modo che la madre , riconoscendo l'odore della sua creatura , fornisse calma , il prezioso latte ...

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  3. susacrie
     
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    grazie....molto interessante!!!
     
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  4. ZIALAILA
     
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    Consigli di degustazione



    mozzarella




    La Mozzarella di Bufala Campana DOP, uno dei prodotti più apprezzati sulle nostre tavole, è un formaggio fresco a pasta filata, di colore bianco porcellanato, con crosta sottilissima, sapore delicato.
    Al taglio presenta una copiosa fuoriuscita di latticello dall'intenso profumo di fermenti lattici ed oltre alla forma classica tondeggiante può assumere diverse forme tipiche, quali ciliegine, bocconcini, nodini e trecce.
    Il latte di bufala con il quale è prodotta ha un rapporto grasso/proteine maggiore di più del doppio rispetto a quello vaccino, che insieme alle caratteristiche organolettiche dovute al legame con il territorio, conferiscono un gusto unico alla Mozzarella di Bufala Campana riconosciuto da tutti.

    mozzarella_di_bufala


    Innanzitutto, qualche consiglio per conservare al meglio questo eccezionale prodotto: la Mozzarella di Bufala Campana DOP è priva di conservanti e contiene solo ingredienti naturali come latte, sale e caglio. Il sapore e le qualità organolettiche sono esaltati immergendo la mozzarella in "acqua di filatura" a cui viene aggiunto sale e siero diluito; questo tipo di liquido conferisce il giusto tono di salatura e assicura la corretta conservazione del prodotto.
    Trattandosi di un prodotto fresco, una volta acquistata e portata a casa, sarebbe meglio consumarla subito per gustarne tutto il sapore ma, quando ciò non sia possibile, per conservarla al meglio seguire alcune facili accorgimenti: mantenerla sempre immersa nel suo liquido, fino al momento del consumo; conservarla in un luogo fresco ; conservare le buste integre ( per evitare di contaminare il liquido di governo e le stesse mozzarelle ivi contenute, sia con l'aria che con altri elementi ) a "bagnomaria" in acqua fresca (15 °C circa) d'estate e invece tiepida (18 – 20 °C circa) in inverno;
    se conservata in frigorifero a bassa temperatura, per gustarla meglio deve essere estratta dal frigo, tenuta a temperatura ambiente per circa 30 minuti e quindi immersa in acqua calda (35-40°) per circa cinque minuti prima del consumo;
    per cucinarla, invece, va tolta dall'acqua e tenuta per alcune ore nel frigo, affinché possa separarsi dall'acqua in eccesso, guadagnando così la giusta consistenza.


    mozzarella-600


    Per consumarla nel migliore dei modi, una volta aperta la confezione, si rovescia tutto il contenuto (liquido di governo e mozzarelle) in una bacinella d'acciaio o ceramica, e ivi si lascia fino al momento della consumazione per evitare che la mozzarella, tolta in anticipo dal suo liquido di governo, si asciughi eccessivamente perdendo così la sua naturale morbidezza e lucentezza.
    Una volta messa nel piatto e tagliata per il consumo, la parte eventualmente restante non va mai rimessa nel liquido di governo per evitare il suo ammorbidimento e salatura eccessive.


    fonte : www.lavinium .com
     
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  5. gheagabry
     
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    mozzarellabufala2010
    Il termine “mozzarella” è abbastanza antico e sembra ritrovarsi per la prima volta citato in un libro di cucina pubblicato nel 1570 da un tal Scappi, cuoco della corte papale; questi, operatore di una cucina che oggi non esiteremmo a definire “internazionale”, in un ambiente dove pervenivano specialità da ogni parte d’Italia e d’Europa, cita: “…capo di latte, butirro fresco, ricotte fiorite, mozzarelle fresche et neve di latte…”.

    Tuttavia è indicativo che il prodotto mozzarella sembri totalmente assente nella iconografia, anche in quella particolare del Presepe Napoletano, che con l’assunto di tranche de vie è uno spiraglio aperto su usi e costumi popolari e non; qui per altro primeggia, significativamente, la provola. Con questa la mozzarella è strettamente collegata, non solo perché ugualmente fatta con latte di bufala, (la provola rispetto alla mozzarella rappresenta un’ulteriore fase della lavorazione) ma perché il nome della mozzarella deriva da quello della provola o, più precisamente, da un nome di questa caduto in desuetudine.

    In effetti se si esamina la struttura del termine 'mozzarella', non può non rilevarsi che esso si presenta come una forma diminutiva, con insito anche una valenza non proprio positiva (riflessasi poi nell’aver assunto valore d’insulto): il termine primario è “mozza”, di cui la più antica citazione sicura si ha prima del 1481 dal fiorentino Giovanni di Paolo Rucellai.
    Anche se le denominazioni (mozza-provatura) variano a seconda dell’epoca e delle parlate, un fatto appare lampante e sicuro, cioè che tutte queste denominazioni hanno voluto indicare sempre quella che oggi viene chiamata “mozzarella”, che è il principale e più apprezzato prodotto ottenuto dal latte di bufala. Infatti:

    1) “Mozza” :

    a) sorta di cacio fatto col latte di bufala…omissis…(Dizionario degli Accademici della Crusca);

    b) così chiamavansi certi piccoli caci chiusi in una vescica e legati a mezzo. Usano massimamente nel Napoletano dove chiamano mozzarella (Scarabrili, Vocabolario della Lingua Italiana);

    2) “Provatura” :

    a) formaggio di pasta molle fresco che si prepara nel Napoletano col latte di bufala (F. Palazzi, Dizionario della Lingua Italiana);

    b) qualità di formaggio fresco che si fabbrica col latte di bufala (Tramater, Vocabolario Universale della Lingua Italiana);

    c) di forma sferoidale, formaggio crudo di latte di bufala, da kg. 0,5 a 1 (Enciclopedia Italiana);

    d) formaggio di bufala (Buffon – Caetani, Storia Naturale);

    3) “Mozzarella”:

    a) qualità che si fabbrica col latte di bufala (Basilio Puoti, Vocabolario Napoletano – Toscano);

    b) latticino che non usa in Toscana ed al quale dovrà mantenersi il nome di mozzarella derivato da mozza (R. Andreoli, Vocabolario Napoletano – Italiano);

    c) formaggio fresco di latte di bufala, voce napoletana mozza (C. Battista e G. Alessio, Dizionario Enciclopedico Italiano);

    d) forma poco più poco meno di uovo, di provatura fresca (R. D’Ambra, Vocabolario Napoletano Toscano);

    e) simile alla provatura, formaggi propri dell’Italia Meridionale fatti di latte di bufala (Enciclopedia Italiana).

    mozzarella_bufala
    Le parole di un medico senese autore di una monumentale opera medica più volte ripubblicata nel XVI secolo, “…quello (latte) di bufala di cui si fanno quelle palle legate con giunchi che si chiamano mozze e a Roma provature…” (Mattioli) sono illuminanti per capire il rapporto mozza/provola, giacchè in qualsiasi dizionario della lingua italiana, recente o meno, provola viene fatto derivare da provatura; mente a definire il legame mozzarella/provatura interviene il D’Ambra nel suo Vocabolario Napoletano – Toscano domestico (1873) che definisce la mozzarella "…piccola forma poco più poco meno di un uovo di provatura fresca…”.

    Ricordiamo, inoltre, monsignor Alicandri, della Chiesa Metropolitana di Capua, storico emerito, che in un suo lavoro del secolo scorso intitolato “Il Mazzone nell’antichità e nei tempi presenti” ci porta a conoscenza di un documento da lui riscontrato in quell’Archivio Episcopale dal quale si evince come nel XII secolo “una mozza o provatura con un pezzetto di pane era la prestazione che i monaci del monastero di S. Lorenzo in Capua (fondato dalla principessa Aloara, vedova del principe Pandolfo Capo di Ferro) davano in agnitionem dominii al Capitolo Metropolitano il quale ogni anno, per antica tradizione, nella quarta fiera delle legazioni, recavasi processionalmente in quella Chiesa”. Traspare evidente da questo documento come la “mozza” fosse entrata nel costume rituale ecclesiastico; e d’uopo quindi arguire che doveva essersi già necessariamente affermata nell’uso comune.

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    Plinio il vecchio (N. H., XI 241) cita il laudatissimum caseum del Campo Cedicio, identificabile con quelle aree tra Mondragone ed il Volturno, cui pure compete l’attuale denominazione di “Mazzoni” e dove è assai sviluppato l’allevamento bufalino e la produzione di latticini di bufala. All’ epoca di Plinio si trattava evidentemente di prodotti vaccini, ma quando tra X e XI secolo si sviluppò il fenomeno dell’impaludamento, il bufalo trovò un habitat idoneo ed il suo latte sostituì quello vaccino nella preparazione di quel prelibato formaggio.

    La mozzarella, quindi, è collegata nella origine del termine alla mozza che altro non è se non la provatura, ovvero la provola; solo così si chiarifica l’espressione del 1570 dello Scappi “mozzarelle fresche” (incomprensibile perché per noi la mozzarella è solamente fresca!).

    Negli annuali contratti per l’appalto del prodotto della “Reale Industria della Pagliara delle bufale” a Carditello, si stabiliva che la mozzarella doveva restare nella salsa 24 ore, mentre la provola 48; la successiva affumicazione, cui generalmente era sottoposta quest’ultima, era un espediente per una migliore conservazione in vista di più facile trasporto e commercializzazione. I documenti d’archivio dimostrano che la pratica dell’affumicazione era stata in precedenza strumento molto utilizzato nel tentativo di conservare più a lungo prodotti facilmente deperibili: infatti nel XVII secolo sul mercato capuano affluiscono accanto alle mozzarelle fresche, provole e mozzarelle affumicate, nonché ricotte di vacca e di bufala salate ed affumicate.

    In definitiva la mozzarella si configura in origine come un sottoprodotto della preparazione della provatura/provola, circondata da una scarsa considerazione per le difficoltà di conservazione e commercializzazione date le peculiari caratteristiche di freschezza, e perciò destinata ad un circuito ristretto, magari di raffinati degustatori. Ancora intorno alla metà dell’800 nella piana del Sele “…le mozzarelle non erano destinate al commercio ma si confezionavano per uso familiare e il latte bufalino serviva per la lavorazione di provole affumicate per salvaguardarne la crosta dal deterioramento…”(Migliorini).

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    Se nel mercato di Capua fin dal 1500 compaiono mozzarelle accompagnate da provole, i dati archivistici sembrano dimostrare come nella non lontana Castelvolturno pervenissero solo provature e le Assise della città di Napoli confermano, per quello stesso periodo, la presenza su quel mercato solo di provature affumicate e fresche; invece la mozzarella, accompagnata da provole, sembra comparirvi solo dal 1720 per diventare più frequente dal 1780 in poi. Contemporaneamente si incrementa sulla piazza capuana il consumo della carne di bufalo, tanto da costituirsi presso l’amministrazione della città un libro della macellazione vaccina e bufalina (1777-1781), mentre un secolo prima i pochi capi bufalini macellati annualmente erano registrati nel libro della macellazione vaccina (1681).


    Questo incremento del consumo di derivati bufalini (carni e mozzarelle) sulla fine del XVIII sec. è indubbiamente legato all’impianto della Tenuta Reale conosciuta come “Carditello”.


    Iin effetti fino al 1790 si chiamò “Cardito” nei documenti ufficiali, avendo occupato parte di una più vasta area di tal nome, della cui estensione resta traccia nel nome del “Fosso del Cardito”, che dalla tenuta “Il Cammino” va verso occidente.

    I documenti della gestione della “Reale Industria della pagliata delle bufale”, conservati presso l’archivio della Reggia di Caserta, permettono d’individuare negli anni ’80 di quel secolo quella “molta attenzione” di cui parlava il de Salis Marchlins, che porta il miglioramento della razza e l’incremento del prodotto: pur riducendosi nel 1790 il numero degli esemplari in lattazione di circa la metà, la quantità di prodotti, in latte e mozzarelle o provole, è appena dell’11% inferiore al massimo del 1784, che ha segnato kg. 30840 di mozzarelle o provole, per la cui manipolazione debbono essere stati impiegati più di 129.500 litri di latte di bufala.

    Riportate all’epoca sono cifre di notevole consistenza: un mare di latte, che viene manipolato per inondare con un fiume di prodotto l’area casertana e quella napoletana; così si può spiegare la rinomanza, presso larghi strati della popolazione napoletana, della “Mozzarella di Cardito”, che nella diffusa ignoranza della geografia antropica ed economica della Regione viene tutt’oggi attribuita al grosso centro, che si incontra a ridosso di Caivano sulla S. S. 87 “Sannitica”, dove per altro non c’è stata mai l’ombra di un goccio di latte bufalino. I benefici influssi della Tenuta Reale si prolungano nel tempo: nel 1811 all’esame del compilatore della Statistica Murattiana, la razza bufalina campana, dopo le cure al miglioramento genetico attuate nel secolo precedente anche mediante incroci con esemplari della Piana del Sele risulta migliore di quella della campagna romana, si che l’allevamento bufalino è attività ad alto reddito (circa il 40% del capitale investito); il che giustifica l’elevato numero di capi (7800) presenti nell’area capuana.

    Poco più di un cinquantennio dopo (1868), ad unità ormai avvenuta, il quadro appare notevolmente modificato giacchè il numero dei capi s’è ridotto a poco più di un terzo (2422): conseguenza diretta ed immediata delle bonifiche che hanno interessato le piane intorno al Volturno, recuperando terre all’agricoltura, ma riducendo drasticamente quelle idonee all’habitat bufalino.
    Si inizia così quel contrasto tra agricoltura avanzata ed il conservatorismo di chi vuol sfruttare a fondo un’attività che garantisce ancora un reddito elevato.



    E' anche, questo, il tempo in cui con il miglioramento della rete stradale, con l’espandersi delle ferrovie, i prodotti bufalini cominciano a varcare i confini della Campania, per raggiungere altre zone di smercio. Con gli ulteriori interventi di bonifica, attuati in Campania a cavallo degli anni di guerra, sembrò si volesse segnare la definitiva scomparsa dell’allevamento bufalino; però malgrado le catastrofiche previsioni dell’immediato dopoguerra, si deve registrare un incremento medio dell’allevamento costante negli anni.
    (.mozzarelladibufala.org)


    PROVATURA ROMANA



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    Il nome nasce dalla sua genesi: infatti la Provatura è la prova, ossia la parte che viene ricavata dalla massa di formaggio per testare la qualità della filatura della pasta.
    La prima traccia scritta di questo alimento, tipico del Lazio e della Campania, è testimoniata da un documento del XII sec., ritrovato nel’Archivio Episcopale di Capua.
    Ma è nata prima la Mozzarella o la Provatura? Ancora se ne discute. A chiarirci le idee potrebbe essere una monumentale opera medica salernitana, più volte ripubblicata nel ‘500, in cui si trova scritto che con il latte di bufala “si fanno quelle palle legate con giunchi che qui si chiamano mozze e a Roma provature”.
    La Provatura compare in un manifesto del 1690 che raccoglie i più pregiati prodotti alimentari italiani, e la sua realizzazione si diffuse notevolmente in tutto il Sud a partire da metà ‘700, al pari di tutti gli altri prodotti derivati da latte bufalino.
    Oggi la Provatura, la cui preparazione è simile alla Mozzarella, è diffusa in tutto il Centro Sud. Ricavata dal latte di bufala o di mucca, ha forma ovoidale o rotonda di modeste dimensioni.
    (taccuini storici)




    CROSTINI DI PROVATURA ALLA ROMANA

    X 4 PERSONE

    2 fruste o ciriole oppure il pane francese
    6 filetti di acciughe
    150 gr di mozzarella
    2 cucchiai di olio o di burro
    Tagliare le fruste a fettine regolari circa 24 pezzi
    Coprire con la carta da forno una teglia.
    Allineare le fettine e coprirle con la mozzarella.
    Mettere in forno a 200° per 10 minuti.
    Preparare la salsa, facendo scaldare l'olio o il burro con i filetti di alice, appena saranno sciolti chiudere il fuoco.
    Preparare i crostini su piatti individuali mettendo i crostini sovrapposti, cospargere con la salsa. Servire caldi



    Edited by gheagabry - 5/7/2012, 17:42
     
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