GIORNALI

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted



    I GIORNALI



    Uno dei più solenni elogi del giornalismo fu una dichiarazione di Thomas Jefferson nel 1787.
    «Se fossi costretto a scegliere fra un governo senza giornali, o giornali senza un governo,
    non esiterei a preferire la seconda scelta».
    ..Ma non mancavano, anche in passato, opinioni meno benevole – come un’osservazione di Honoré Balzac citata da Alberto Cavallari:
    «Se la stampa non ci fosse, bisognerebbe soprattutto non inventarla. Il giornalismo è un inferno, un abisso d’iniquità, di menzogne, di tradimenti, che non possiamo attraversare, e dal quale non possiamo uscire puliti».
    Forse il primo “quotidiano” della storia inteso come pubblicazione giornaliera contenente il resoconto degli avvenimenti politici e di attualità, risale al 59 a.C. quando a Roma Giulio Cesare istituì gli "Acta Diurna populi Romani" (o semplicemente Acta Diurna), una sorta di gazzetta ufficiale che veniva affissa nei luoghi pubblici.... In varie epoche successive c’erano “gazzette”, diffuse in vari modi, anche se raramente a disposizione del “grande pubblico” (anche perché erano poche le persone che sapevano leggere). Pare che la prima forma di “giornalismo” fosse la diffusione di notiziari manoscritti, nell’Europa rinascimentale, fra i mercanti che si scambiavano notizie sulla situazione economica, politica e militare, su usanze, costumi e tendenze, con contenuti anche “umanistici” e culturali.
    I primi precursori dei giornali furono bollettini stampati, spesso sensazionalistici, diffusi in Germania nella seconda metà del Quattrocento. Seguirono varie forme di comunicazione stampata, ma uscivano irregolarmente, quando c’era qualche notizia da diffondere, senza una precisa periodicità.
    Il primo quotidiano, The Daily Courant, uscì a Londra nel 1702. In Francia il Journal de Paris nel 1777. Negli Stati Uniti il Pennsylvania Packet nel 1784. I primi quotidiani italiani uscirono molto più tardi – dopo il 1840. Per esempio Il Corriere Mercantile di Genova, nato come bisettimanale nel 1824, divenne quotidiano nel 1844. La Gazzetta del Popolo, nata a Torino nel 1848, continuò a uscire fino al 1983. L’Osservatore Romano uscì nel 1849 e divenne quotidiano nel 1851 – nel 1870 assunse il ruolo di organo ufficiale del Vaticano.
    La Gazzetta di Mantova e la Gazzetta di Parma si contendono il titolo di “più antico giornale d’Italia”. La prima rintraccia le sue origini fino a un “aviso” che usciva alla corte di Mantova a partire dal 1664. La Gazzetta di Parma, invece, uscì per la prima volta nel Settecento, ma dal 1758 ha avuto più continuità (divenne quotidiana nel 1850).
    Anche se in alcuni paesi c’erano quotidiani nel XVIII secolo, una larga diffusione si sviluppò nel XIX, in particolare dopo l’invenzione del telegrafo nel 1844. Un altro impulso alla “quotidianità” delle notizie venne dalla nascita del telefono nel 1877. C’erano giornali “illustrati” anche negli anni precedenti, ma le prime fotografie furono pubblicate nel 1880. La diffusione dei servizi fotografici ebbe un forte aumento dopo la nascita della “telefoto” nel 1927 (la telescrivente esisteva dal 1922).
    La prima agenzia di informazione per la stampa fu la francese Havas nel 1835, seguita dalla Associated Press negli Stati Uniti (1848), dalla Wolff in Germania (1849) e dalla Reuter in Inghilterra (1851). In Italia la Stefani, a Torino, nel 1853.
    Fra i più antichi quotidiani italiani ci sono La Nazione, nata a Firenze nel 1859, il Giornale di Sicilia (1860), il Corriere Adriatico (1860), il Roma di Napoli (1862), l’Arena di Verona (1866), il Corriere della Sera (1876), il Messaggero (1878). La Gazzetta Piemontese, nata nel 1867, nel 1895 divenne La Stampa. Il Sole, che usciva dal 1865, cent’anni dopo si è fuso con il 24 Ore (che era nato nel 1946).




    Ci fu un aumento del numero di quotidiani dal 1880 in poi. Per esempio l’Eco di Bergamo (1880), il Piccolo di Trieste (1881), la Libertà di Piacenza (1883), il Secolo XIX di Genova (1886), il Gazzettino di Venezia (1887), la Prealpina di Varese (1888), l’Unione Sarda (1889), il Mattino di Napoli (1891), la Provincia di Como (1892). Il Giornale delle Puglie, nato nel 1887, divenne poi la Gazzetta del Mezzogiorno. Il Telegrafo, che usciva dal 1887, prese il nome di Tirreno nel 1945 (e poi definitivamente nel 1977). Il Resto del Carlino nacque a Bologna nel 1885 prendendo il nome dalla moneta di cui era il “resto” di due centesimi (nello stesso anno a Firenze un giornale che si vendeva nelle tabaccherie si chiamava Il Resto del Sigaro). La Gazzetta dello Sport, nata come bisettimanale nel 1896, divenne quotidiano nel 1913.
    La diffusione della stampa in Italia nel diciannovesimo secolo era limitata dall’esteso analfabetismo. La “tiratura” complessiva dei quotidiani non superava le 500 mila copie. All’inizio del ventesimo secolo, quando alle repressioni del 1898 seguì una fase politica di maggiore libertà, e con lo sviluppo industriale aumentarono le concentrazioni urbane, ci fu una crescita del numero di testate – e un notevole aumento della diffusione. Nel 1913 Giovanni Giolitti dichiarava che in Italia si leggevano, ogni giorno, cinque milioni di copie di giornali. Se per “giornali” si intendessero solo i quotidiani, il quadro sarebbe catastrofico – cioè se allora erano 20 per 100 abitanti oggi, in percentuale, sarebbero la metà. Il declino è meno preoccupante se nella definizione “giornali”, come allora si usava, comprendiamo anche i periodici. Ma il fatto è che la diffusione della stampa in Italia ha avuto una crescita stentata.
    (censis)



    .
     
    Top
    .
  2. gheagabry
     
    .

    User deleted





    I GIORNALI


    La storia della rotativa


    rotativa


    Il lettore tiene ora in mano una delle molte migliaia di copie del giornale The Times tolte da un apparato meccanico.
    Con queste parole contenute nel suo articolo di fondo, il 29 novembre 1814 l'autorevole quotidiano londinese annunciava la grande novità: l'uso della stampatrice meccanica a vapore.
    Tra gli ostacoli maggiori che si erano opposti alla diffusione delle notizie e della stessa cultura era l'alto costo dei libri, che fin dalla meravigliosa invenzione di Gutemberg venivano stampati a mano: certo il progresso c'era stato, visto che prima erano addirittura copiati a mano uno per uno con tempistiche interminabili, ma i tipografi, la nuova professione che aveva visto la luce dopo l'invenzione della stampa moderna, ne componevano faticosamente ogni pagina, riga per riga, carattere per carattere e l'operazione richiedeva tempi lunghissimi, a tutto svantaggio del numero delle copie che potevano essere prodotte.

    Era dunque necessario trovare un metodo che, riducendo gli estenuanti tempi di composizione e stampa, che avveniva ancora con il torchio a mano, consentisse di aumentare le tirature.
    Già nella seconda metà del Settecento il problema maggiore della produzione era quello di accaparrarsi il maggior numero di utenze possibili, contava la quantità e non più la qualità e bisognava fare in modo che in molti leggessero e, quindi comprassero e quelli che non lo facevano dovevano essere invogliati a cominciare.
    Il Settecento inglese fu un secolo grandioso per l'Inghilterra delle lettere, nacque il romanzo in senso moderno, l'Ivanhoe di Walter Scott, nacque il quotidiano, lo Spectator e ci fu una proliferazione culturare di grandi autori di molti generi, basti pensare a Swift, Defoe, Fielding, Coleridge. Il cittadino medio, con un pizzico di istruzione in più rispetto alla generazione precedente, chiedeva non solo testi per studiare, ma anche per spiegare e per svagarsi, per la satira, per la politica, per le opinioni. La diversificazione del genere letterario fece la fortuna dello stesso e alimentò la sua stessa richiesta, facile quindi comprendere come mai ci sia tato questo balzo produttivo proprio a cavallo dri due secoli e come mai, ancora oggi, l'Inghilterra abbia un'altissima fetta di mercato letterario per quanto riguarda il numero di autori pubblicati; a batterla è solo l'America, ma per un motivo più statistico che talentuoso: in un grande numero di persone è più facile trovarne di valenti.
    E comunque, il mercato moderno dei libri non si preoccupa neanche più di pubblicare bravi autori, ma chiunque possa avere successo o vendere indipendentemente dal metodo (propaganda, scandalo, tematiche oscene, singolarità del soggetto, letteratura impegnata, bastian contrari, teorie dei complotti).

    rotative

    La prima soluzione vera e propria al problema del tempo di realizzazione di un libro o giornale venne proposta da Friederich Koenig, tedesco come Gutemberg, quando nel 1811 inventò la prima stampatrice a cilindro mossa dalla forza del vapore.
    Il funzionamento prevedeva un cilindro di metallo nel quale scorreva il foglio da imprimere sul piano di stampa, dove si trovavano i caratteri; in tal modo la velocità di stampa diventava molto maggiore rispetto a quella ottenuta col torchio, che doveva percorrere, alternativamente, un percorso dall'altro in basso e, per di più, veniva azionato a mano; era in uso anche il torchio meccanico, che però non aveva modificato sostanzialmente la situazione.
    La nuova stampatrice, che lo stesso Koenig dotò di un secondo cilindro, venne subito acquistata dal Times di Londra, che durante il collaudo riuscì a stampare 1100 copie in un'ora: con qualche modifica la stampatrice raggiunse, nel 1828 una tiratura oraria di 4000 copie finchè, trent'anni dopo, ne stampò ben ventimila. In pratica era nato il prototipo della rotativa.

    Come tanti uomini di genio, anche William Nicholson non riuscì a godere il frutto del proprio ingegno. Egli fin dal 1790 aveva brevettato una macchina stampatrice dorara d'un cilindro portacarta che rotolava sui caratteri, disposti in un piano e pennellati d'inchiostro; successivamente le aveva apportato una sostanzale modifica, fornendola di due cilindi di cui uno serviva a spingere la carta sull'altro, dove erano allineati i caratteri precedentemente inchiostrati, ma le traversie della vita lo avevano condotto sempre più in basso, fino a fargli provare la prigione, e lo sfortunato Nicholson aveva tristemente finito i suoi giorni nel 1815, proprio quando la stampatrice di Keonig dava i suoi primi, brillanti risultati. Pare, anzi, che il tedesco avesse preso spunto per la sua invenzione da un colloquio avuto con l'ingrese, che era andato a visitare in carcere.

    Figlio di immigrati italiani, Ippolito Marinoni era nato e vissuto in Francia: là aveva intrapreso il mestiere di tipografo e già a 24 anni era diventato socio del proprio datore di lavoro; nel 1855, appena trentaduenne, si era meso in proprio aprendo una piccola fabbrica per macchine stampatrici, infine, nel 1872, ideò e costruì la rotativa Marinoni, capace di stampare oltre ventimila copie in un'ora.
    Il nuovo mostro meccanico si basava sullo stesso principio della macchina di Nicholson, i caratteri di stampa erano però disposti non su un piano orizzontale, ma su un cilindro metallico sul quale scorreva la carta, srotolandosi da bobine: è la cosiddetta carta continua, arrotolta in giganteschi rotoli che potevano contenerne centinaia di metri. La nuova rotativa Marinoni, l'ennesimo italiano protagonista di qualche invenzione rivoluzionaria, permise alla stampa di ogni tipo l'ennesimo balzo verso il futuro.
    (georgianagarden.blogspot.com)


    pag_rotativa




    .

    Edited by gheagabry - 22/9/2011, 22:57
     
    Top
    .
  3. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Il primo numero venne annunciato dagli strilloni in piazza della Scala .....

    4sff9z


    IL CORRIERE DELLA SERA


    Era una domenica il 5 marzo del 1876.... In quell'Italia ancora postrisorgimentale, a fondare e dirigere il quotidiano a Milano fu Eugenio Torelli Viollier. L'investimento fu di 30 mila lire: la tiratura iniziale si attestò a tremila copie circa. Adesso i dati delle vendite medie (secondo quanto registra il sito Rcs) indicano la cifra di 715.594, un numero che fa del Corsera il quotidiano più diffuso in Italia.


    Tradizionalmente considerato il giornale della borghesia lombarda, il Corriere della Sera attraversa dunque praticamente tutta la storia dell'Italia unita e la accompagna con una crescita continua. Il giornale cambia anche varie sedi fino a quando nel 1904 l'architetto Luca Beltrami consegna al giornale il palazzo storico di via Solferino che ancora lo ospita. Oltre a essere culla di iniziative editoriali diventate leggendarie, fra le quali la Domenica del Corriere, La Lettura, Il Corriere dei piccoli, il Corriere può vantare di avere ospitato molte tra le firme più prestigiose non solo del giornalismo ma della letteratura nazionale, come quelle di Luigi Pirandello, Eugenio Montale, Ennio Flaiano, Pier Paolo Pasolini.


    .......Dall'editoriale del nº 1 del «Corriere della Sera»......



    "Pubblico, vogliamo parlarci chiaro. In diciassette anni di regime libero tu hai imparato di molte cose. Oramai non ti lasci gabbare dalle frasi. Sai leggere fra le righe e conosci il valore delle gonfie dichiarazioni e delle declamazioni solenni d'altri tempi. La tua educazione politica è matura. L'arguzia, l'esprit ti affascina ancora, ma l'enfasi ti lascia freddo e la violenza ti dà fastidio. Vuoi che si dica pane al pane e non si faccia un trave d'una fessura. Sai che un fatto è un fatto ed una parola non è che una parola, e sai che in politica, più che nelle altre cose di questo mondo, dalla parola al fatto, come dice il proverbio, v'ha un gran tratto. Noi dunque lasciamo da parte la rettorica [sic] e veniamo a parlarti chiaro.
    Non siamo conservatori. Un tempo non sarebbe stato politico, per un giornale, principiar così. Il Pungolo non osava confessarsi conservatore. Esprimeva il concetto chiuso in questa parola con una perifrasi. Ora dice apertamente: "Siamo moderati, siamo conservatori". Anche noi siamo conservatori e moderati. Conservatori prima, moderati poi. Vogliamo conservare la Dinastia e lo Statuto; perché hanno dato all'Italia l'indipendenza, l'unità la libertà, l'ordine. In grazia loro si è veduto questo gran fatto: Roma emancipata da' papi che la tennero durante undici secoli. [...]
    Siamo moderati, apparteniamo cioè al partito ch'ebbe per suo organizzatore il conte di Cavour e che ha avuto finora le preferenze degli elettori, e - per conseguenza - il potere.[...] L'Italia unificata, il potere temporale de' papi abbattuto, l'esercito riorganizzato, le finanze prossime al pareggio: ecco l'opera del partito moderato.
    Siamo moderati, il che non vuol dire che battiamo le mani a tutto ciò che fa il Governo. Signori radicali, venite tra noi, entrate ne' nostri crocchi, ascoltate le nostre conversazioni. Che udite? Assai più censure che lodi. Non c'è occhi più acuti degli occhi degli amici nostri nel discernere i difetti della nostra macchina politica ed amministrativa; non c'è lingue [sic] più aspre, quando ci si mettono, nel deplorarli. [...] Gli è che il partito moderato non è un partito immobile, non è un partito di sazi e dormienti. È un partito di movimento e di progresso.
    Sennonché, tenendo l'occhio alla teoria, non vogliamo perdere di vista la pratica e non vogliamo pascerci di parole, e sdegniamo i pregiudizii liberaleschi. E però ci accade di non voler decretare l'istruzione obbligatoria quando mancano le scuole ed i maestri; di non voler proscrivere l'insegnamento religioso se tale abolizione deve spopolare le scuole governative; di non voler il suffragio universale, se l'estensione del suffragio deve porci in balia delle plebi fanatiche delle campagne o delle plebi voltabili [sic] e nervose delle città. [...]
    [Conclusione] A' giornali dello scandalo e della calunnia sostituiamo i giornali della discussione pacata ed arguta, della verità fedelmente esposta, degli studi geniali, delle grazie decenti, rialziamo i cuori e le menti, non ci accasciamo in un'inerte sonnolenza, manteniamoci svegli col pungolo dell'emulazione, e non ne dubitiamo, il Corriere della sera potrà farsi posto senza che della sua nascita abbiano a dolersi altri che gli avversari comuni".


    .
     
    Top
    .
  4. gheagabry
     
    .

    User deleted



    C'è un bellissimo slogan del New York Times, che pubblicano accanto alla testata, di sei parole, che dice: "All the news that's fit to print", che si può tradurre grossomodo con: "Tutte le notizie che val la pena di pubblicare".


    Il giornale " SECOLO XIX"



    Il primo numero de "Il Secolo XIX" esce nelle edicole genovesi il 25 aprile 1886, giorno di Pasqua. La redazione è composta dal direttore e fondatore Ferruccio Macola , dal redattore capo, Lodi, proveniente da un giornale milanese, dall'avvocato Carlo Imperiali, da Federico Donaver, da Ferdinando Massa, da Enrico Bertolotto e da Enrico Rossi, corrispondente da Roma. Amministratore è Pietro Mosetig.
    Nel 1886 a Genova sono pubblicati due giornali quotidiani economici, "Il Commercio" e "Il Corriere Mercantile" e cinque quotidiani di informazione, "Il Movimento", "Il Caffaro", "Il Cittadino", "L'Epoca", "L'Eco d'Italia". .
    Quasi alla fine dell'Ottocento "Il Secolo XIX" fu acquistato da Ferdinando Maria Perrone, un uomo d'affari d'origine piemontese che aveva fatto fortuna in Sudamerica e si era poi stabilito a Genova, dove era divenuto proprietario degli stabilimenti Ansaldo. Da quel lontano 1897, il giornale è ancora oggi dei Perrone; l'attuale azionista di maggioranza e Presidente del Consiglio di amministrazione è Carlo Perrone, pronipote di Ferdinando Maria Perrone, che rappresenta la quarta generazione della famiglia proprietaria.
    La proprietà all'inizio è formalmente del solo Macola, ma in realtà il finanziatore del giornale è il marchese Marcello Durazzo Adorno, presidente dell'importante compagnia di navigazione "La Veloce".
    La prima sede del giornale è in salita San Girolamo, accanto a via Caffaro: una stanzetta col soffitto a volta con un'unica finestra, con due tavoli per la redazione, una scrivania per l'amministratore, alcune seggiole e due attaccapanni. Dalla redazione si accede alla sede della Tipografia Marittima, di proprietà dell'architetto Cesare Gamba (sarà il costruttore, tra l'altro, del Ponte Monumentale).
    Come ha scritto Ferdinando Massa, "In materia di giornalismo il Macola aveva idee pratiche ed innovatrici (...) dando al giornale una spiccata impronta di notiziario, mediante l'abolizione dei lunghi e pesanti articoli, delle diffuse e noiose riviste di politica estera ed interna, allora in uso, al cui posto metteva invece i telegrammi dell'ultima ora; sia commentando le notizie di maggiore rilievo con note brevi, contenenti qualche osservazione acuta, talora sensata, talora paradossale (...)".
    Fin dall'inizio "Il Secolo XIX" punta a battere la concorrenza dei giornali milanesi, molto venduti in Liguria (i più forti sono "Il Secolo" e "Il Corriere della Sera"), puntando sulla freschezza delle notizie e sulla diffusione anche nelle altre province liguri.
    Il nuovo editore chiamò alla direzione del "Decimonono" il più celebre giornalista dell'epoca: il genovese Luigi Arnaldo Vassallo (detto Gandolin, cioè vagabondo) che, dopo aver esordito nella sua città, si era trasferito a Roma. Con Gandolin la diffusione aumentò ancora e la concorrenza fu definivamente sconfitta. Tra il 1906 e il 1908 scomparvero sia l'editore che il direttore Vassallo, e furono nominati direttori, prima del secondo conflitto mondiale, due famosi giornalisti dell'epoca: Mario Fantozzi, romano, poi David Chiossone, genovese.
    Passato il periodo turbinoso della guerra, Umberto Vittorio Cavassa assunse la guida del giornale e la tenne per 23 anni, fino al 1968. Si dimise quando morì l'editore Mario Perrone, figlio di Ferdinando Maria. Nella direzione subentrarono prima Piero Ottone, genovese, poi lo stesso editore Alessandro Perrone (figlio di Mario) che lasciò in seguito la guida del giornale a Michele Tito. Vennero poi Tommaso Giglio, Carlo Rognoni, Mario Sconcerti, Gaetano Rizzuto, Antonio Di Rosa, Lanfranco Vaccari e l'attuale direttore Umberto La Rocca.
    In un secolo, sulle colonne del giornale si sono succedute molte firme prestigiose. Il "Decimonono", infatti, pur avendo un pubblico strettamente regionale, ha sempre rifiutato una dimensione solamente "locale": dedica quindi costantemente grande attenzione e ampi servizi agli avvenimenti nazionali e internazionali.
    Negli ultimi anni il Secolo XIX ha consolidato la sua leadership a Genova e in tutta la Ligura, con un indice di lettura di oltre 600.000 persone. Nel 2001 con l'entrata in funzione del nuovo centro stampa viene lanciato il numero del lunedì ed il quotidiano è tra i primi in Italia ad avere la stampa a colori.


    ......cos'è il giornalismo?.....

    La sintesi più gustosa, più citata, più originale , scritta quando ancora non lo erano, è probabilmente quella pubblicata da Carlo Collodi nell’«Almanacco del Fanfulla per il 1872»:

    «Che cos’è il giornalismo?
    – Il giornalismo è un’arte – rispondono i giornalisti, strizzando l’occhio tra loro.
    – Che cos’è il giornalismo?
    – Il giornalismo è un mestiere – rispondono quei ficcanaso, che hanno avuto l’indiscrezione di stare a vedere come si fanno e come si mandano avanti i giornali.
    – Che cos’è il giornalismo?
    – Il giornalismo è un sacerdozio – rispondono quelli che non sanno mai cosa rispondono.
    – Che cos’è il giornalismo?
    – Il giornalismo è un pretesto per vendere la quarta pagina – risponderebbe Oblieght».


    Collodi si riferisce qui all’editore del «Fanfulla», l’imprenditore Ernesto E. Oblieght, uomo potente, di certo vicino alle posizioni del governo di Agostino Depretis, ma evidentemente anche uomo capace di accettare l’ironia dei suoi collaboratori.
    E Collodi continua:

    «Ho creduto e credo sempre che il giornalismo, in Italia, non sia altro che un patto leonino fra il giornalista e il lettore, vale a dire molte tonnellate di parole per pochi chilogrammi di pane. C’è chi dice che il patto è leonino, perché il lettore si trova tutti i giorni sacrificato barattando il pane buono con degli articoli indigesti o andati a male. Può darsi che la cosa sia vera, ma d’altra parte il lettore è contento, e chi si contenta gode».

    Rilette a distanza di 130 anni, queste affermazioni suonano ormai, appunto, come luoghi comuni. Definibili con l’ossimoro: bugiarde verità. Le generalizzazioni sono sempre insufficienti a svelare la complessità dei fenomeni. Ma aiutano a individuare problemi che possono essere affrontati. Il fatto è che i valori del giornalismo tradizionale vanno sempre ribaditi e alimentati. Vanno coltivati come fiori, altrimenti appassiscono.
    (logos.it)



    .
     
    Top
    .
  5. gheagabry
     
    .

    User deleted




    I Giornali....

    LA STAMPA



    Il giornale torinese venne fondato il 9 Febbraio 1867 col nome di Gazzetta Piemontese da Vittorio Bersezio, giornalista e romanziere. Nei suoi primi anni di vita era stampato in tiratura di circa 7000 copie giornaliere, proponendo un'edizione mattutina e pomeridiana: nel 1880 la testata viene acquistata dal deputato liberale Luigi Roux che ne assunse la direzione, affiancato qualche anno dopo dall'imprenditore Alfredo Frassati che la rinomina in La Stampa conservando comunque il suo vecchio nome come sottotitolo, accoppiata che resterà immutata fino al 1908.
    Il quotidiano riuscì in breve a raggiungere un notevole successo, attestato da record di copie vendute che si aggirano attorno alle 170.000 unità. Durante il periodo fascista i suoi connotati assunsero un tono decisamente anti-mussoliniano, cambiamento che costò la direzione a Frassati e la sospensione temporanea della pubblicazione. Nel 1926 la famiglia Agnelli ottiene la proprietà della testata: riprende così anche la stampa a ritmo quotidiano ma stavolta seguendo le direttive imposte dal regime, dettaglio che segna una perdita considerevole nelle vendite rispetto agli anni passati.
    Il ventennio successivo vide la ripresa del giornale grazie alla figura del suo carismatico direttore, Giulio De Benedetti. Tornato ad esser quindi un prodotto di qualità nonostante la sua natura indipendente, La Stampa riuscì a riguadagnare la fiducia persa nei suoi lettori proponendo anche una versione serale, chiamata proprio La Stampa Sera: quest'ultimo assieme al quotidiano principale portò il numero delle vendite a livelli impressionanti, più di 500.000 unità, affermandosi così come primo giornale torinese e uno dei più importanti su suolo nazionale.
    I primi anni 90 sono protagonisti di un adattamento generazionale: viene data molta più importanza al mondo televisivo, portando le pagine di cronaca ad un livello qualitativo superiore: diari, interviste e resoconti sono solo alcuni esempi delle novità introdotte.
    (dal web)


    GAZZETTA PIEMONTESE, 25 aprile 1872
    Notizie delle campagne - L'Agenzia degli agricoltori ci notifica un fatto che segnaliamo all'attenzione dei nostri benemeriti naturalisti.
    In un fondo di Romello (di circa 70 pertiche) i gelsi non mettono foglie; le gemme son fuori ma non si aprono. Lo stesso si verifica in altre località, come per esempio in Terrazzano, provincia di Milano, e in Verderio, provincia di Como. È da notarsi che i terreni nei quali si verifica lo strano e deplorevole caso sono di non vecchio dissodamento.


    GAZZETTA PIEMONTESE, 20 luglio 1872
    Vimercate, 17. - Da qualche tempo i terrazzani nel limite tra Vimercate, Trezzo, Tresciano e di due Verderio sono in allarme per l'apparizione in qui luoghi di una banda di ladri, e i loro timori sono giustificati dalle molte rapine verificatesi anche in questi ultimi quattro giorni.

    GAZZETTA PIEMONTESE, giovedì 13 agosto 1885
    L'agitazione agraria in Lombardia.
    Scrivono da Verderio Superiore (Lecco - Como)
    [?] agosto sera
    Al mattino di buonissima ora, alcuni contadini erano in piazza comunale. [?] formati in vari gruppi discutevano (pareva) o parlavano tra loro. Ma viceversa quando si allontanarono si trovò affisso all'angolo di una casa un manifesto sovversivo. Il cursore (1) del paese, Cassago, informato del fatto, andò in piazza e fece per staccare il manifesto, ma gli fu imposto di non toccarlo. Allora egli corse alla casa dell'assessore Lissoni Eugenio, agente di casa Gnecchi e questi subito mando per i carabinieri a Merate. Quando furono arrivati, il signor Lissoni in mezzo ai carabinieri, andò a strappare il manifesto che diceva propriamente così:
    "Restate avvertiti signori di questo comune voi non avete premura di [tre parole illeggibili] noi [due parole illeggibili] cominceremo ad incendiare delle ville, dei palagi e temete che non si scherza."
    Si radunarono quindi nella sala comunale il Lissoni, che è un bravissimo ed energico assessore, il signor Sottocornola, il segretario comunale, e decisero di mandare subito a chiamare il pretore.
    Fu pure telefonato al tenente dei carabinieri e al questore di lecco, che risposero di partire subito per Verderio
    Intanto il pretore con il brigadiere dei carabinieri confrontarono i due manifesti di Verderio Inferiore e quello di Verderio Superiore (che è distante dal primo 200 metri) ma non trovarono niente di somigliante. Pare che per questo manifesto si fosse giua vociferato qualche cosa in paese.
    Ultim'ora. - I palazzi dei principali signori di Verderio Superiore sono guardati dai carabinieri.
    Si teme che si ripetano simili cose a Verderio Inferiore.
    (1) usciere addetto a portare documenti, notificare atti e simili


    LA STAMPA, 22 luglio 1901
    Tutta la Brianza in sciopero
    Togliamo dai giornali di Milano:
    Gli scioperi continuano a Novate, Imbersago, Paderno, Merate, Sartirana, Sabbioncello, Asnago, Mariano Comense, Fabbrica Durini, Anzano del Parco, Arosio, Romanò Brianza, Cremnago, Inverigo, Nibionno, Figino Serenza, Carugo, Brenna, Novedrate, Lomagna e qualche altro.
    Il ritornello è di dire che gli scioperanti si mantengono quieti, ma non mancano atti quotidiani di violenza e di vendetta.
    I sindaci, i brigadieri dei carabinieri e persone influenti si adoperano per trovare un componimento.
    Le richieste dei contadini non sono dappertutto identiche, però si assomigliano assai ed hanno tutte la stessa base.
    La giornata del contadino è calcolata ora su una media di centesimi 80 al giorno. Esso chiede invece, durante la falciatura, L. 0,20 all'ora e la giornata di 10 ore: ciò che equivale a L. 2 al giorno.
    Chiede inoltre che vengano eliminati gli [...] e che si modifichino la mezzadria e i patti colonici.
    A Verderio, a Lomagna ed in qualche altro luogo l'accordo è avvenuto; ma i più sono ancora in trattativa.
    In Piano d'Erba vi sono pure scioperi, ma localizzati e in via d'accomodamneto.
    A Saronno 500 contadini dell'Amministrazione del marchese Antici si posero in sciopero domandando il ribasso degli affitti e del frumento.
    Lo sciopero si estese anche ai contadini dell'Amministrazione del conte Taverna.
    Una Commissione di contadini si recò dai proprietari per trattare, ma ebbe un assoluto rifiuto.
    I contadini ora si rifiutano di battere e consegnare il frumento.


    (dagli archivi del quotidiano "La Stampa" e della testata che l'ha preceduto, "GazzettaPiemontese")




    .
     
    Top
    .
  6. gheagabry
     
    .

    User deleted



    La storia di una "Font"...

    la TIMES NEW ROMAN



    Times New Roman è il carattere più usato del mondo, ma anche quello con la storia più controversa. Per più di cinquant’anni, nel secolo scorso, è stato attribuito a un gigante della tipografia: Stanley Morison. Alla fine degli anni Ottanta, però, un tipografo canadese ha scoperto che Morison potrebbe aver copiato il font da qualcun altro. Katherine Eastland ha ricostruito tutta la storia pochi giorni fa sul Daily.
    Quello che si è sempre raccontato della nascita del Times New Roman è questo: nel 1929 Morison scrisse un tagliente articolo in cui diceva che il Times Old Roman, il carattere del Times, era datato, sgraziato e aveva bisogno di aiuto. Il suo aiuto. Il giornale gli diede retta e affidò a Morison il compito di dirigere la creazione di un nuovo font. Morison portò a termine l’incarico e nel 1932 il Times New Roman debuttò sulle spaziose pagine del quotidiano di Londra.
    Il problema è che alcune prove (bozze e disegni delle lettere e corrispondenti modelli in ottone), suggeriscono che il vero padre del font non sia stato Morison né un altro tipografo, ma un designer di barche di Boston di nome William Starling Burgess.
    Burgess è famoso nel suo campo per aver progettato alcuni scafi bellissimi e innovativi (tre delle sue barche hanno vinto l’America’s Cup), aerei per la marina inglese e alcune automobili sperimentali. Prima di fare tutte queste cose, però, quando aveva solo 26 anni, nel 1904, Burgess ebbe un momento di avvicinamento alla tipografia. Scrisse alla sezione statunitense della Lanston Monotype Corporation, chiedendo che venisse creato un font secondo alcuni criteri da lui indicati. Lo voleva usare per i documenti del cantiere navale che stava aprendo a Marblehead, Massachussets. Disegnò a matita le lettere e le inviò; la Lanston cominciò a preparare delle lettere di prova, ma poi Burgess abbandonò il progetto. La Lanston Monotype poi tentò di vendere le bozze del carattere a Time Magazine nel 1921, ma l’offerta venne rifiutata, e il progetto di Burgess, etichettato semplicemente come “Numero 54″ fu archiviato per mezzo secolo.
    Fu il tipografo canadese Gerald Giampa a imbattersi nel Numero 54 nel 1987, poco dopo aver comprato quello che rimaneva nell’archivio della Lanston Monotype. La somiglianza del carattere con il Times New Roman era impressionante. Sapendo di avere in mano qualcosa di prezioso (la possibile prova di un plagio) Giampa chiese a Mike Parker, una delle massime autorità mondiali nel campo della tipografia, di analizzare quello che aveva trovato. Parker si convinse che Burgess fosse il vero creatore del font, e non soltanto lo scrisse su un’autorevole rivista di settore, ma si mise all’opera per completare il carattere di Burgess. Lo diffuse nel giugno del 2009 e lo chiamò “Starling”, come il secondo nome di Burgess. Come è noto, il Times New Roman non comprende un vero corsivo, ma usa uno standard che veniva utilizzato alla Monotype. Il corsivo dello Starling, elaborato sulla base delle bozze di caratteri su cui poi Burgess aveva smesso di lavorare, è il primo vero autentico corsivo del Times New Roman.
    Il successo del font si deve in parte alle stesse ragioni per cui era perfetto per il Times. Come scrisse Morison, Times New Roman non è “largo e aperto, generoso e ampio”, ma “bigotto e stretto, medio e puritano”; punta sulla praticità.
    Morison ha progettato il carattere in modo che su ogni foglio stessero più parole possibile, risparmiando spazio e denaro. Allo stesso tempo, però, le parole non sembrano schiacciate nelle colonne, ma “stanno comode”. L’idea era che fosse economico e leggibile. Bisogna ricordare che il Times era particolare perché la carta su cui veniva stampato non era sottile e grigiastra ma spessa e bianca, più o meno come un comune foglio per la stampante. Per questo il Times New Roman non è stato usato molto dagli altri quotidiani ma ha ricevuto un’ottima accoglienza da libri e riviste.
    Negli ultimi vent’anni, poi, Times New Roman è uscito dal mondo della carta. Nei primi anni Novanta il sistema operativo di Microsoft, Windows, l’ha adottato come carattere di default, e oggi è uno dei font che Google offre per la scrittura delle mail. I fattori che hanno reso grande il carattere al suo debutto nel 1932 – la leggibilità e l’economia – non sono però più così importanti, dato la dimensione dei caratteri in digitale si può cambiare con un click; quello che ha reso il carattere forte e resistente al tempo è il suo essere sofisticato e solido, con una discreta personalità.
    Morison è morto nel 1967 e molte delle prove che potrebbero rispondere in modo definitivo alla domanda su chi ha inventato il carattere non esistono più: un incendio ha distrutto il cantiere navale di Burgess nel 1918, una bomba tedesca è esplosa vicino all’ufficio della Monotype di Londra nel 1941, e una piena che ha colpito la casa di Giampa sulla Prince Edward Island nel 2000 ha distrutto le prove che il canadese aveva raccolto negli archivi della Lanston Monotype. Morison non disse mai di aver “inventato” il carattere, fofse. Preferiva dire di essere stato il sovrintendente della sua creazione.
    Ad oggi, il sito del Times attribuisce il carattere a Morison, a Victor Lardent che ne aveva disegnato alcune delle bozze, e “forse” a Burgess.
    (ilpost.it)


    .
     
    Top
    .
  7. gheagabry
     
    .

    User deleted



    La rivista LIFE




    Marilyn Monroe – 9 novembre 1959 (Philippe Halsman/LIFE Magazine)


    Life, probabilmente la più famosa rivista illustrata al mondo, ieri ha compiuto 75 anni. Nel 1936 Henry Luce, fondatore anche di Time e Fortune, comprò i diritti per usare il nome di una rivista umoristica e di intrattenimento fondata nel 1883. Il 23 novembre del 1936 uscì il primo numero di Life: il settimanale riscosse da subito un enorme successo e per quarant’anni fu il più letto nell’ambito del fotogiornalismo, facendone la storia. Negli anni Quaranta le fotografie di Life raccontarono la guerra a milioni di americani, mentre negli anni Cinquanta la rivista raggiunse un tale prestigio che il presidente americano Harry Truman decise di pubblicarvi alcune parti delle sue memorie. Sempre su Life, nel 1952, fu pubblicato per la prima volta Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway.
    Gli anni Sessanta furono dedicati soprattutto alla guerra in Vietnam, alle missioni spaziali dell’Apollo e alla famiglia Kennedy, una delle più rappresentate sulle copertine della rivista. I servizi di Life spaziavano dai reportage di guerra ai ritratti di icone della moda, della politica, dello sport e del cinema, rispecchiando a pieno il motto del settimanale: To see Life; see the world (Vedere Life, vedere il mondo). Negli anni però le vendite peggiorarono. Alla fine degli anni Sessanta la rivista andò in crisi e nel 1972 venne chiusa. Le pubblicazioni ripresero nel 1978, su base mensile, e continuarono fino al 2000. Dal 2004 al 2007 Life è stato venduto come settimanale in allegato ad alcuni quotidiani americani. Da allora Life pubblica soltanto numeri speciali, mentre è stato aperto un sito in cui è consultabile tutto il ricchissimo archivio fotografico della rivista.
    (ilpost.it)




    Bombe sull’Italia – 12 giugno 1944 (U.S. Arny Air Force/LIFE Magazine)



    .
     
    Top
    .
  8. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Prime copertine di grandi riviste

    eco

    In occasione del suo 154esimo anniversario, la rivista americana Atlantic Monthly ha pubblicato la copertina del suo primo numero, uscito nel novembre del 1857. In un secolo e mezzo di storia la copertina della rivista è cambiata radicalmente: oggi non c’è alcun elemento di continuità con il primo numero. A differenza dell’Atlantic, però, altre storiche riviste hanno mantenuto maggiori legami con le loro prime copertine, come l’Economist che utilizza ancora il logo apparso nel 1959 (anche se il settimanale era pubblicato già dal 1843) o il New Yorker, uscito per la prima volta il 21 febbraio del 1925 con uno stile quasi identico all’attuale. La copertina del National Geographic è la più irriconoscibile, senza neanche una foto, mentre quella di Vogue raffigura una elegante signora con il corpetto e la gonna lunga. Indovinare chi c’era sulla prima copertina di Playboy è molto semplice, invece.(ilpost.it)


    atlantic-monthly

    harpers-bazar

    fortune

    vogue

    Esquire-Autumn-1933

    new-yorker

     
    Top
    .
  9. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Storie di giornali....

    La REPUBBLICA


    La Repubblica è un quotidiano italiano, con sede a Roma, appartenente al Gruppo Editoriale L'Espresso. È il secondo quotidiano d'Italia per diffusione, dopo il Corriere della Sera di Milano. Il quotidiano la Repubblica nasce ad opera di Eugenio Scalfari, già direttore del settimanale L'espresso. Quattro stanze in via Po 12 costituiscono la sede. Scalfari ha chiamato con sé alcuni colleghi fidati: Gianni Rocca, caporedattore centrale, poi Giorgio Bocca, Sandro Viola, Mario Pirani, Miriam Mafai, Barbara Spinelli, Natalia Aspesi e Giuseppe Turani. Le vignette satiriche sono affidate alla matita di Giorgio Forattini. Il primo numero del nuovo quotidiano esce in edicola il 14 gennaio 1976. Si presenta al pubblico con un formato più piccolo degli altri; è composto di 20 pagine ed esce dal martedì alla domenica. Il quotidiano di Scalfari rinuncia a pubblicare tutte le notizie (mancano infatti lo sport e buona parte della cronaca), per dare ai lettori articoli su cui riflettere. la Repubblica vuole essere un "secondo giornale", con le sole notizie importanti a livello nazionale, per un pubblico che ha già letto i fatti del giorno sull'abituale quotidiano cittadino. Al posto della Terza pagina tradizionale, la cultura è collocata nel paginone centrale.
    All'inizio Repubblica è un giornale molto scritto. Dopo una prima fase, quando la griglia ha raggiunto un'impostazione standard, la pagina inizia ad essere movimentata con l'aggiunta di illustrazioni, fotografie e disegni.


    "Trent' anni sono un tempo considerevole nella vita di un uomo. Ma sono anche un tempo significativo nella vita di un organismo. Di un giornale, per esempio, che è un organismo complesso, è un prodotto industriale, un prodotto politico-ideale. Un giornale ha un' anima, ha degli uomini che lo incarnano ogni giorno. E tanti giornali messi l' uno in fila all' altro forse, se ci riescono, interpretano il senso lungo di un periodo della storia. Eugenio Scalfari, come nacque e a chi si rivolgeva, quando nacque, il giornale la Repubblica?
    SCALFARI: Meriterebbe un discorso lungo. Nacque perché Carlo Caracciolo ed io pensavamo ad un quotidiano da sempre. Perfino l' Espresso voleva essere un quotidiano. Per una serie di ragioni diventò invece un settimanale. La Repubblica arrivò in edicola poco dopo che, a partire dal 1974, l' Espresso cominciò a realizzare molti utili, più di quanto non avesse fatto fino a quel momento. Il 1975 si profilò ancora meglio, da questo punto di vista, e a quel punto decidemmo di realizzare un quotidiano investendo quegli utili». Indirizzato a chi? Avevamo in mente il pubblico dell' Espresso, che a quell' epoca vendeva sulle trecentomila copie. Pensavamo che, almeno in parte, questo pubblico si sarebbe trasferito sul quotidiano. In realtà questo avvenne, ma in misura molto minore di quanto pensassimo». Noi che partecipammo, a diverso titolo, a quell' avventura, avemmo l' impressione che quel giornale nascesse mirando a un pubblico preciso: le donne e i giovani. In molti fummo sorpresi di vedere firme femminili sulla prima pagina. Era la prima volta nella storia del giornalismo italiano. Le donne c' erano, ma si occupavano di giardinaggio, di moda.
    Un quotidiano presuppone un tipo di acquisto completamente diverso da quello di un settimanale. Noi di quei trecentomila lettori dell' Espresso ne prendemmo settantamila. Gli altri sarebbero provenuti dai settori emergenti della società di allora. E quindi, dopo il ' 68, certamente le donne, i giovani... Scalfari sta fornendo i tratti iniziali di questa avventura trentennale, ma noi potremmo celebrare un altro anniversario: a maggio prossimo si compie il decennale della direzione di Ezio Mauro. Lei, Mauro, ha accompagnato questo foglio quotidiano per un tratto considerevole della sua storia. Come lo ha preso nel ' 96 e come si trova oggi? Nel ' 96 ha assunto la direzione con un' incoscienza totale. Ero direttore della Stampa e sapevo che Repubblica aveva un' organizzazione più complessa.
    E tuttavia, forse perché relativamente giovane, dicevo a se stesso che le chiavi inglesi - gli attrezzi che smontano e rimontano il mestiere - erano sempre le stesse. No, Repubblica è un' operazione più complicata, ma forse quell' incoscienza è stata utile per cominciare senza un sovrappeso, senza un gravame psicologico eccessivo. Ha smesso di lavorare un giorno a Torino e il giorno dopo sono venuto a Roma. Ha cercato di tenere il giornale fedele al progetto di cui parlava Eugenio, che io, da lettore di Repubblica, interpretavo così: rappresentare l' Italia che crede alla possibilità del cambiamento, che crede di avere diritto al cambiamento. Il quale cambiamento, in certi casi, è una prospettiva che può essere declinata politicamente, ma rappresenta soprattutto un modo di pensare, di essere, di leggere.
    "Quello che lei dice introduce un problema: noi possiamo prendere le sue parole da due punti di vista, uno alto e uno basso. Quello alto conduce all' idea di un giornale che ha un' anima, quello basso di un giornale che è un partito. Questo giornale ha un' anima? è un partito?
    SCALFARI: Un' anima ce l' hanno più o meno tutti i giornali. Nel nostro caso è un' anima particolarmente forte perché è ancorata a convinzioni profonde, di tipo etico-politico. è un giornale che crede, come ha detto Ezio, nell' innovazione, nell' efficienza. Noi non siamo mai stati favorevoli a progetti politici.
    MAURO: Sono un po' poveri di spirito quelli che sostengono che questo giornale è un partito. Lo pensavo quando ero un lettore di Repubblica, quando ci ho lavorato come corrispondente dall' estero e lo penso tanto più da direttore. Tuttavia, chi dà quel giudizio intuisce qualcosa che non riesce a esprimere, qualcosa di unico nel giornalismo e cerca la scorciatoia più semplice. Questo giornale ha uno straordinario legame di appartenenza col suo pubblico. Ma questa appartenenza è portata alle conseguenze più profonde. Ed ecco che torna la questione dell' anima, della natura del giornale: la gente che compra Repubblica, compra quel sentimento di appartenenza, quella certa idea dell' Italia, quel modo di guardare il mondo. Ed è questo che spinge ad andare in edicola 365 giorni all' anno, a farsi largo nella torre di Babele che è oggi diventata un' edicola. Solo un paese arretrato come questo continua a fare ai giornali la domanda: con chi stai? Mentre la domanda vera per un giornale di una società liberale sarebbe: chi sei? Qual è il tuo carattere? qual è il tuo modo di essere? Solo capendo chi sei davvero si capirà che quel tuo modo di essere obbliga in certi casi a stare con qualcuno e a stare contro qualcun altro. è la tua natura che impone di prendere posizioni...."
    (La repubblica, 14 gennaio 2006)
     
    Top
    .
  10. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Il Newsweek

    Un pezzo di storia del giornalismo dall'anno prossimo non esisterà più

    nw19330217

    Oggi Newsweek ha annunciato che il 31 dicembre 2012 uscirà l’ultima edizione cartacea del settimanale. A partire dal prossimo anno il periodico uscirà solo nelle versioni per tablet ed e-book reader, oltre ai contenuti pubblicati sul sito. Insieme al passaggio al digitale, ci saranno alcuni licenziamenti nelle redazioni statunitensi ed estere.

    nw19390417

    Newsweek è uno dei più celebri newsmagazine statunitensi, diffuso in tutto il mondo e con edizioni in diverse lingue. A partire dal 2008 è stato colpito molto duramente dalla crisi della carta stampata, cercando in vario modo di cambiare il suo pubblico e resistere alla crisi: il risultato è stato un profondo fallimento, con un numero di copie vendute in edicola sceso, negli Stati Uniti, a poche decine di migliaia (ma gran parte della diffusione avviene tramite gli abbonamenti).

    nw19450514

    Il primo numero di Newsweek uscì il 17 febbraio 1933. Per tutta la sua storia il principale concorrente dell’edizione cartacea di Newsweek è stato l’altra celebre rivista TIME. Le storie delle due riviste erano collegate già alla nascita: entrambe con sede centrale a New York, il primo direttore di Newsweek fu Thomas J.C. Martyn, che aveva lavorato agli esteri di TIME (fondata dieci anni prima).

    nw19460610

    La copertina della prima uscita – 32 pagine, prezzo di 10 centesimi di dollaro e titolo News-week, con il trattino – aveva però qualcosa di diverso rispetto a TIME, che fin dall’inizio aveva presentato un ritratto o una fotografia con il famoso bordo rosso. Newsweek, invece, voleva raccontare “le notizie della settimana” fin dalla prima pagina: e quindi aveva messo sette fotografie, una per ciascuna notizia ritenuta più importante in ogni giorno della settimana.

    nw19601010


    Un punto di svolta per la nuova rivista, anche dal punto di vista finanziario, avvenne nel 1935, quando si fuse con un’altra rivista nata da poco, Today. Chi rese veramente internazionale il settimanale fu il direttore che arrivò nel 1937, il britannico Malcom Muir. Muir, che poche settimane dopo il crollo di Wall Street nel 1929 aveva fondato – con indubbio fiuto degli affari – quella che è l’attuale BusinessWeek, rimase alla guida fino alla fine degli anni Sessanta e introdusse molti cambiamenti: oltre a fondare le prime edizioni internazionali investì molto sulle opinioni e introdusse le prime rubriche firmate. Nel 1961, intanto, la proprietà passò al gruppo editoriale del Washington Post.

    nw19580415

    Negli anni, Newsweek diventò famoso per il suo orientamento liberal, criticando Nixon e Ronald Reagan, fino ai suoi articoli contro l’ultima amministrazione Bush. Un giornalista del settimanale fu il primo a venire a conoscenza della relazione tra Clinton e Monica Lewinsky, ma i responsabili della redazione decisero di non pubblicarla finendo per essere bruciati dal sito Drudge Report: molti dissero che la scelta era motivata dalla volontà di non danneggiare i democratici. Il settimanale è stato criticato anche per alcuni servizi e copertine di taglio decisamente antiamericano comparsi nelle edizioni internazionali (come una bandiera americana in un cestino, in una edizione giapponese del febbraio 2005).

    nw19620219

    Ad ogni modo, alla fine degli anni Novanta, prima della grande crisi di vendite e di identità, Newsweek aveva un grande successo di vendite, molto simile per numero di lettori e tipo di pubblico a TIME.
    A partire dal 2008 le perdite in costante crescita, soprattutto sul fronte dei ricavi pubblicitari, causarono la messa in vendita della rivista: che fu venduta il 2 agosto 2010 a Sidney Harman, un imprenditore di grande successo nel campo degli impianti audio. Harman comprò Newsweek per la cifra simbolica di un euro, accettando di farsi carico del passivo della società, arrivato a quasi 50 milioni di dollari.

    nw19630216


    Dal novembre 2010, cioè quando Newsweek si è unito al Daily Beast, il direttore è Tina Brown, che dirigeva e aveva contribuito a fondare il secondo. La notizia della fusione venne accolta in modo molto critico e David Carr, celebre giornalista che si occupa di media sul New York Times, si chiese che senso avesse unire «due cose che non hanno quasi nulla in comune a parte il fatto di aver perso entrambe un sacco di soldi.» Uno dei primi risultati è stato che il sito Newsweek.com è scomparso, per essere inglobato all’interno di quello del Daily Beast, creando scontenti all’interno della stessa redazione del settimanale.

    nw19621105


    Durante la direzione di Tina Brown, celebre per aver scritto una biografia della principessa Diana e con una lunga esperienza alle spalle – diresse Vanity Fair dal 1984 al 1992 e il New Yorker dal 1992 al 1998 – il settimanale ha ottenuto diverse critiche, anche pesanti: dalle stroncature del suo restyling grafico, a marzo 2011, a copertine giudicate sessualmente allusive, molto banali o inutilmente sopra le righe.
    L’ultima di queste uscì a settembre, dopo le proteste in alcuni paesi musulmani per il film su Maometto, ma non era male anche quella con la candidata alle primarie repubblicane Michelle Bachmann con gli occhi spiritati. Uno degli ultimi casi controversi riguardò l’articolo di copertina scritto dallo storico britannico Niall Ferguson nell’agosto 2012, che criticava pesantemente Obama: i contenuti dell’articolo e i dati citati sono stati fatti a pezzi da parecchi giornalisti americani, dando a Newsweek molta pubblicità negativa. Negli ultimi dati disponibili, la diffusione del settimanale risulta oggi diminuita del 51 per cento rispetto al 2007. Che già era stato un pessimo anno.

    nw19690721

    nw19680617

    nw19720103

    nw19720612

    nw19781023

    nw19860512

    nw19900219

    nw19891120

    nw19970908

    nw20011203

    nw20110912




    ilpost.it
     
    Top
    .
  11. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Il nuovo Saturday Evening Post

    shirley
    2013

    Il Saturday Evening Post, storico e prestigioso magazine statunitense, ha rinnovato la grafica della copertina e in parte anche i contenuti del giornale. Rispetto ai caratteri storici, è stato rinnovato il logo della parola “Post” e rimpicciolito il corpo della “Saturday Evening”. Nonostante si tratti di un logo storico, lo si è voluto rendere più «contemporaneo». La scelta invece di rimpicciolire la scritta è stata di tipo pratico: semplicemente, la rivista non viene più pubblicata il sabato sera, come in passato, e ora è un bimestrale.

    00satevepostsept51
    1951


    Steven Slon, il direttore editoriale, ha detto di voler attirare un pubblico più giovane, sviluppando anche nuovi prodotti digitali. Ampio spazio, a livello di contenuti, verrà comunque dato ai racconti degli scrittori, che rimarrà il segno distintivo della rivista. Slon ha parlato di una “modernizzazione” necessaria, anche in base alla propria esperienza: lui stesso prima di diventarne direttore editoriale pensava addirittura che il Saturday Evening Post non si stampasse più.

    saturday2
    1960

    Il Saturday Evening Post, che inizialmente era un quotidiano, ha avuto lo stesso nome e lo stesso stile grafico di copertina fin dal 1821, quando cominciò a uscire. Nel 1897 divenne un settimanale, mentre i primi racconti, anche di scrittori importanti come Francis Scott Fitzgerald, John Steinbeck e Agatha Christie, furono pubblicati negli anni Venti del secolo scorso. A rendere leggendaria la rivista sono state anche le copertine disegnate da Norman Rockwell – artista popolarissimo nel raccontare l’America quotidiana – che rappresentano ancora oggi un vero e proprio patrimonio per il giornale, dato che il gruppo ne possiede i diritti di riproduzione.

    jpeg
    1944


    Negli anni Cinquanta il Saturday Evening Post ebbe un forte calo delle vendite, tanto che nel 1969 ne fu interrotta la pubblicazione. Riprese nel 1971 e da quegli anni, il Saturday Evening Post cominciò anche a pubblicare molti articoli di medicina e salute, oltre ai racconti degli scrittori, alternando una linea “letteraria” e una più vicina alle famiglie.

    republican-convention-06-19-1948-john-falter-slider-image
    1948


    La volontà della Saturday Evening Post Society, la società che cura le pubblicazioni del giornale, è quella di rendere oggi la rivista più popolare, soprattutto tra i giovani: il Saturday Evening Post ha circa 350mila abbonati, di un età media di cinquant’anni. Il nuovo progetto editoriale elaborato da Steven Slon prevede da una parte lo sviluppo di una versione per smartphone e tablet, e dall’altra la ricerca di un aumento delle copie diffuse nelle edicole, dato che oggi le vendite sono soprattutto per abbonamento.
    Nonostante la voglia di rinnovare, nella nuova versione del Saturday Evening Post ci sono delle sezioni che cercano comunque di sfruttare la storia della rivista: per esempio nella rubrica “The Vault” ci sono articoli ripresi dagli archivi e in “We Were There First” vengono ripubblicati pezzi in cui nel passato vennero fatte delle previsioni che si sono poi effettivamente verificate. Oppure, viceversa, la sezione “Did We Say That?”, in cui vengono ripubblicati articoli che sostenevano cose che ad oggi sembrano ormai del tutto strampalate.

    lule-fig05_003
    1903


    Il Saturday Evening Post appartiene ancora alla famiglia SerVaas, che l’ha comprata nel 1971, e riflette pienamente la sensibilità del Midwest, con un legame particolare con la città di Philadelphia, dove c’è il gruppo di abbonati più fedele. La società vorrebbe però allargare la sua diffusione, nonostante il «legame emotivo e storico» con quella zona, come sostiene il direttore editoriale, cercando di farsi apprezzare anche in altre aree del paese, magari nelle zone lungo la costa e nelle aree metropolitane. Il primo numero del restyling ha in copertina Shirley MacLaine.


    catcher
    1939

    9111021_rd
    1911

    calvary-crossing-river-by-henry-soulen
    1918


    little_spooners_by_norman_rockwell
    1937

    robert-robinson-elderly-couple-in-automobile
    1913













    ilpost.it

    jpeg
    1937

    1938_02_19
    1938


    saturday
    1941

    jpeg
    1944


    9430529_rd
    1948


    jpeg
    1949

    cover_9511103
    1951


    mccauley-conner-filler-er-up
    1953

    lady-buying-valentine-card-by-ethyl-franklin-betts
    1956

    jpeg
    1956




    ilpost.it
     
    Top
    .
  12. gheagabry
     
    .

    User deleted


    125 anni di National Geographic



    Negli Stati Uniti la National Geographic è un’istituzione, letteralmente: è un ente culturale non profit fondato il 27 gennaio 1888 a Washington, da un gruppo di scienziati, esploratori e filantropi – tra cui l’inventore del telefono, Alexander Graham Bell – che decisero di istituire un fondo per sostenere la ricerca scientifica e finanziare spedizioni geografiche e archeologiche. Oggi ha un canale televisivo e un programma radiofonico, produce documentari, libri e film; ma è conosciuta nel mondo soprattutto per la sua omonima rivista mensile, il National Geographic, che è la pubblicazione ufficiale della società fin dall’anno della sua fondazione (il primo numero uscì nell’ottobre del 1888).
    Il National Geographic, per gli americani
    Negli Stati Uniti il National Geographic (spesso abbreviato in NatGeo) è una delle due storiche riviste di divulgazione scientifica: l’altra è Scientific American (SciAm), che fu fondata 43 anni prima, nel 1845. Alla fine dell’Ottocento le due pubblicazioni si somigliavano abbastanza e avevano entrambe un taglio piuttosto accademico. Poi Gilbert Hovey Grosvenor – genero di Alexander Graham Bell e direttore del National Geographic dal 1899 al 1954 – decise di consolidare la linea editoriale che distingue ancora oggi la rivista: una preferenza per l’etnologia, la paleontologia e la zoologia, e soprattutto una maggiore presenza di servizi fotografici (all’inizio non ce n’erano affatto: fu Grosvenor a far pubblicare il primo, nel 1905).



    In un articolo sul numero del New Yorker della settimana scorsa, lo scrittore e giornalista Adam Gopnik ha raccontato l’esperienza provata nel ritrovare e sfogliare nel seminterrato di casa dei nonni i vecchi numeri di Scientific American e del National Geographic. E ha scritto di come gli articoli del National Geographic abbiano superato meglio la prova del tempo:
    Leggere i vecchi numeri di Scientific American – e riscontrare la distanza tra ciò che gli scienziati ipotizzarono e ciò che scoprirono in seguito – è estenuante. Leggere i vecchi numeri del National Geographic è come guardare una magnifica brochure di viaggio: visita quel pianeta! Alla fine ti viene sia voglia di andare in posti nuovi e scoprire cose nuove, sia voglia di andare in posti vecchi per vedere se è ancora tutto lì e se era vero tutto quello che si diceva.



    Negli Stati Uniti non ci si abbona al National Geographic: formalmente si diventa membri della società e poi, una volta iscritti, si comincia a ricevere il giornale ufficiale. Lo spiega anche il protagonista di un film che la dice lunga su quanto il National Geographic sia radicato fin dall’infanzia nella cultura degli americani: La vita è meravigliosa di Frank Capra, del 1946. In una delle sequenze iniziali il giovane George Bailey (protagonista della storia) spiega alla giovane Mary Bailey (sua futura moglie) da dove provengono le noci di cocco e su quale giornale lo ha letto (e perché Mary non ha mai visto quel giornale in edicola).
    Dal 1888 ad oggi la società ha finanziato più di diecimila iniziative scientifiche e attualmente sostiene circa 3500 progetti in tutto il mondo. Direttamente o indirettamente, il nome National Geographic è legato ad alcune delle spedizioni, delle scoperte e dei documentari più presenti nella memoria collettiva.



    Una delle prime spedizioni celebri finanziate dalla National Geographic fu quella di Robert Peary, un ex ingegnere della marina americana che raggiunse in slitta il Polo Nord il 6 aprile 1909.

    ....

    Un altro evento molto noto che ha segnato la storia della National Geographic risale al 24 luglio 1911, quando un archeologo e storico dell’università di Yale, Hiram Bingham, scoprì tra le Ande le rovine di un’antica città inca nella regione di Cusco, in Perù, in cima a una montagna alta 2400 metri. Consapevole dell’importanza della scoperta, Bingham chiese e ottenne dalla National Geographic un finanziamento di diecimila dollari per gli scavi archeologici, che diresse dal 1912 al 1915. Benché le rovine non fossero sconosciute agli abitanti della vicina valle dell’Urubamba, il sito archeologico del Machu Picchu fu rivelato al resto del mondo quando il National Geographic gli dedicò tutto il numero di aprile del 1913.


    .....

    Gli anni Sessanta furono per la National Geographic anni di importanti scoperte nel campo della paleontologia e dell’etologia.

    ...
    Jacques-Yves Cousteau – documentarista e oceanografo francese, celebre per le sue scoperte nel campo della biologia sottomarina – fu uno dei più noti beneficiari di borse di studio e finanziamenti della National Geographic, e scrisse anche diversi articoli per la rivista. Si rivolse per la prima volta alla società nel 1950, quando già aveva inventato l’aqua-lung, un innovativo modello di respiratore per immersioni. Nel 1955 diresse per la National Geographic uno dei primi documentari a colori girato in ambiente sottomarino, nei fondali del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano. Diventò un film, Il mondo del silenzio: vinse la Palma d’oro come miglior film alla nona edizione del Festival di Cannes, nel 1956, e l’Oscar come miglior documentario nel 1957.
    Negli anni Ottanta la National Geographic fu coinvolta anche in un ritrovamento la cui notizia ebbe risonanza mondiale. Il 1° settembre 1985 l’oceanografo Robert Ballard – che in verità stava cercando due sottomarini della Guerra Fredda, per conto dell’esercito degli Stati Uniti – annunciò di aver individuato il relitto del Titanic, circa 600 chilometri al largo delle coste orientali dell’isola di Terranova (Canada).

    ....


    La copertina del National Geographic di giugno 1985 è una delle fotografie più familiari e riconoscibili dei giorni nostri: ritrae una ragazza afgana di dodici anni con dei bellissimi occhi verdi. Fu scattata dal fotografo Steve McCurry in un campo profughi a Peshawar (Pakistan), dove McCurry stava seguendo la guerra in Afghanistan per conto della Nat Geo. Per 17 anni nessuno ne seppe più nulla, di quella ragazza. Poi, sul numero di aprile 2002, raccontarono di averla ritrovata a Tora Bora (fu riconosciuta tramite la stessa scansione dell’iride utilizzata dall’FBI).

    Oggi il National Geographic viene distribuito a circa 8 milioni di iscritti; considerando anche le edizioni tradotte (in 36 lingue) e vendute fuori dagli Stati Uniti, arriva a una tiratura complessiva di 60 milioni. La prima edizione in lingua italiana risale al 1998 e fu la terza edizione tradotta in ordine di tempo, dopo quella giapponese e quella spagnola. In Italia è edita dal Gruppo L’Espresso.
    (ANTONIO RUSSO)





    www.ilpost.it
     
    Top
    .
11 replies since 18/9/2011, 13:51   1953 views
  Share  
.