IL PANE, la storia

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  1. gheagabry
     
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    La storia del pane


    Le-forme-del-pane


    La storia del pane inizia agli albori della nostra civiltà: era noto all'homo sapiens primitivo, che inizialmente mischiava ghiande tritate con acqua, stendeva l'impasto su una lastra rovente ottenendo una specie di focaccia dura e non lievitata.In seguito sostituì le ghiande con farina ottenuta da cereali macinati tra due grosse pietre.....Probabilmente il primo pane dell'uomo è stata una focaccia non lievitata, fatta di farina di un qualunque cereale, impastata con l'acqua e cotta probabilmente sopra i sassi caldi.
    Si arrivò alla lievitazione del pane per caso: un impasto lasciato all'aria e cotto il giorno dopo si rivelò più soffice e fragrante. Questa scoperta è attribuita agli antichi Egizi, già nel 3000 a.C.
    Furono sempre gli Egizi a costruire i primi forni di cottura circa mille anni più tardi, e simboli del pane e dei chicchi di grano sono evidenti nei loro geroglifici. Alcuni storici sostengono che gli operai che lavoravano alla costruzione delle piramidi fossero ricompensati con piccole forme di pane
    Nel 150 a.C. nella Roma antica si costituirono le prime corporazioni di fornai (pistores) e si diffusero diversi tipi di pane, in cui entravano anche ingredienti diversi, come latte, miele o burro, appannaggio questi ultimi dei ceti più ricchi. Le focacce (placenta e offa) erano preparate per lo più con acqua e orzo. L'adipatus, era condito con lardo, lo strepticius era una sfoglia impastata di farina, latte, olio cotta su una pietra arroventata. L’artolaganum era un impasto di acqua e farina steso a formare una sfoglia sottile, antenato probabilmente della pizza. Il nome deriva dalle parole greche artos (pane lievitato) e laganon, (impasto di acqua e farina).Durante il periodo di Roma Capitale del Mondo, il grano è stato l'alimento più importante della popolazione ed era consumato prevalentemente sotto forma di pane.
    L'importanza dei fornai e del ruolo sociale e d economico da essi raggiunti è evidente se si considera che nel 1202 una legge inglese fissava il massimo guadagno consentito in base al peso delle pagnotte prodotte. Per tutelare gli interessi e per distinguere i propri prodotti, i fornai coniarono i primi marchi di fabbrica ("trademark") della storia. Nel Medioevo le ricette si arricchirono sempre più, con l'aggiunta di ingredienti sempre più sofisticati, come acciughe, formaggio, erbe aromatiche.
    Fino al XIX secolo tuttavia il pane era prevalentemente prodotto in casa o dai forni locali. Solo con l'introduzione delle macchine e del processo chimico di lievitazione la produzione del pane divenne su scala industriale.


    Il pane viene spesso usato tra le usanze matrimoniali che si tramandano di generazione in generazione.
    In particolare in Campania, tra gli usi di Greci, un piccolo centro di montagna dell'Avellinese, la mamma dello sposo cinge la testa degli sposi con un nastro di seta e offre loro il pane, come segno di augurio e di abbondanza, mentre il padre versa il vino.
    Sempre nella provincia di Avellino, a Villamaina, la suocera sparge di grano il capo della nuora, in segno di fecondità.
    (dal web)



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    Edited by gheagabry1 - 14/11/2019, 17:06
     
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    il pane...ecco come abbiamo iniziato a lievitarsi!!!aahhhaaa
     
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  3. gheagabry
     
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    Varietà di pane

    presentation-of-b

    Basta entrare in una qualsiasi panetteria per accorgersi che la varietà di pane in commercio è davvero infinita. Soprattutto in Italia, dove ogni regione vanta tipologie di pane differenti per forma, ingredienti e sapori.
    Qualche esempio? Dalla Sardegna arriva il pane carasau, con semola di grano duro e dalla caratteristica forma a disco sottile. Di lunga conservazione, in passato era un alimento fondamentale per i pastori, che potevano trasportarlo facilmente nei loro spostamenti.
    Romagnoli sono il ferrarese e la piadina. Il primo ha marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta), è privo di mollica, è croccante e friabile, dalla tipica forma a nastro incrociato e non si deve mai metterlo in tavola capovolto, dal momento che, secondo la tradizione, si farebbe un torto alla Madonna. La piadina è composta da farina di grano tenero, acqua e sale: si amalgamano gli ingredienti, si stende il composto col matterello e si cuoce direttamente sul fuoco su un ripiano di terracotta.

    Tipico della Puglia è l’Altamura (certificato DOP), saporita pagnotta di farina di grano duro, lievito naturale, malto e sale. Mentre “sciocche”, ovvero senza sale, sono le pagnotte toscane, preparate con farina di grano duro, acqua e lievito naturale.
    Certo la lista potrebbe continuare all’infinito passando dalle michette milanesi piuttosto cave all’interno alle ciriole romane che, al contrario, sono piene di mollica dalle manine toscane prive di sale motivo per cui sono un ottimo accompagnamento per i saporiti salumi toscani, alle morbide mafalde siciliane dalla tipica forma oblunga e intrecciata

    Guardando ai nostri cugini d’Oltralpe, ci accorgiamo che anche loro non scherzano in fatto di pane: oramai la baguette è divenuta simbolo della Francia ed è conosciuta in tutto il mondo. Una curiosità che forse non tutti sanno è che la sua tipica forma lunga e stretta (la baguette perfetta misura 70 cm x 6) deve la sua origine alla necessità di infilare comodamente il pane negli zaini dei soldati di Napoleone.


    Dai paesi del nord Europa arriva invece il pane scuro di segale, un cereale più resistente al freddo rispetto al frumento. Si tratta di un pane particolarmente sano: è ricco di fibre, di proteine, e ha un contenuto calorico basso. Tuttavia nei paesi d’origine difficilmente viene consumato come accompagnamento nei pasti: si preferisce mangiarlo spalmandoci sopra del burro, del formaggio oppure con una fetta di prosciutto. Un esempio? il knäckebröd tipico pane svedese croccante e multi cereale dal nome onomatopeico che ricorda il rumore di una fetta di pane croccante che si spezza.
    Concludiamo il nostro viaggio nel mondo del pane con un’escursione in India, dove questo alimento differisce notevolmente dal nostro perché non esiste lievitazione. Gli ingredienti del pane indiano sono più o meno quelli della nostra piadina romagnola, ma la preparazione è diversa. Questo pane, saporito e leggero, è particolarmente adatto a chi è intollerante al lievito.



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    (desiderimagazine.it)

    Edited by gheagabry1 - 14/11/2019, 17:05
     
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    Il pane

    fornaio

    S'io facessi il fornaio
    vorrei cuocere un pane
    così grande da sfamare
    tutta, tutta la gente.
    Un pane più grande del sole,
    dorato, profumato
    come le viole.
    Un pane così
    verrebbero a mangiarlo
    dall'India e dal Chilì
    i poveri, i bambini,
    i vecchietti e gli uccellini.
    Sarà una data
    da studiare a memoria:
    un giorno senza fame!
    Il più bel giorno di tutta la storia.

     
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  5. gheagabry
     
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    Dalla ciriola alla michetta, viaggio nel mondo del pane.

    cibo-9811Le-Ciriole

    Dalla ciriola romana alla carta musica sarda, dalla michetta milanese alla coppia ferrarese. Il pane, protagonista sulla tavola italiana, continua a essere uno dei cibi più amati nel mondo. Colpito dalla crisi (-5% delle vendite nel 2011, fonte Coldiretti), il 90% degli abitanti del Belpaese consuma comunque pane fresco tutti i giorni, secondo quanto elaborato dall'Ufficio economico Confesercenti per Assopanificatori Fiesa-Confesercenti. E ogni famiglia spende in media circa 28 euro al mese per acquistarlo. In ogni caso, sottolinea Confesercenti, dagli anni '70 a oggi il consumo di pane, in ragione di nuovi stili di vita, di una diversa organizzazione e struttura familiare si è ridotto del 10%, dai 61 kg procapite del 1974 ai circa 55 kg di oggi. La gran parte della produzione - circa il 90% - proviene da forni a carattere artigianale. La restante parte - 10% circa - è prodotta da forni industriali. Un chilo di pane comune costa in media 2,75 euro, fa sapere Coldiretti, ma il prezzo varia notevolmente nelle diverse regioni nonostante il costo del grano sia praticamente lo stesso a livello nazionale e internazionale. Da un'inchiesta di Altroconsumo, emerge che è Milano la città italiana dove il pane è più caro (minimo 3,9 euro al chilo), mentre Napoli con i suoi 1,7 euro è la più economica. Ma per chi vuole un 'pane speciale' a Bologna, per un chilo sono necessari 6 euro. Al supermercato in generale si risparmia con 1,96 euro in media al chilo. L'arte bianca risale a migliaia di anni fa. Lievitato e non, con farina integrale o di soya, all'olio o al latte, di varietà di pane ora ne esistono a centinaia. Gli ingredienti di base sono sempre gli stessi (farina, lievito, acqua e sale). Ma oltre alle varietà classiche, che "ogni regione e provincia si porta dietro" dice Francesco La Sorsa, presidente della Fippa (Federazione italiana panificatori, panificatori pasticceri e affini), a Ign, testata online del Gruppo Adnkronos, ogni panificatore poi ne produce di originali cercando di andare incontro anche alle richieste del cliente. "All'origine c'era la pagnotta tonda - sottolinea - poi con il tempo sono nate le varie forme". "Il pane di per sé non è cambiato con il tempo - dice La Sorsa - le trasformazioni delle forme e delle tipologie sono dovute alle richieste del cliente. Per cui è nato quello di segale, ai cereali, ecc. Ora in molti chiedono quello senza lievito, come qualche anno fa andava molto di moda il pane di soya ". "Ma le varietà classiche non solo resistono, sono comunque quelle più vendute", dice a Ign Claudio Conti, presidente Assipan (Associazione nazionale panificatori e affini). Veri e propri prodotti tipici che in qualche caso hanno anche ricevuto un riconoscimento, come il pane di Altamura (Dop - Denominazione di origine protetta) e quelli di Genzano e Matera (Igp - Indicazione geografica protetta). Pur essendo presente ogni giorno in tavola, anche il pane in ogni caso ha a che fare con la crisi. "In realtà già da qualche anno il settore sta patendo - sottolinea a Ign La Sorsa - con la liberalizzazione della panificazione e il settore che si è frammentato, per cui tutti possono vendere e fare pane se attrezzati. Di recente, poi, la gente ha cominciato a consumare meno pane nel senso che se prima magari ne comprava in abbondanza ora compra solo ciò che mangia davvero". "In linea di principio io non sono contrario alle liberalizzazioni - ci tiene a precisare il presidente della Fippa - penso siano in generale un'opportunità. Noi in ogni caso non eravamo lontani, perché nelle zone turistiche e nelle città d'arte con deroghe comunali c'era già la possibilità di aprire nei giorni festivi e di allungare gli orari. Ma non tutte le aziende che panificano si trovano in queste zone, quindi non hanno questa necessità. In questi casi vedo le ultime liberalizzazioni penalizzanti con costi eccessivi senza un ritorno economico adeguato". "Di certo non aiutano a incrementare i posti di lavoro - conclude - per questo è necessario solo che la gente ricominci a consumare". Per il presidente Assipan Conti "il pane è cambiato con il cambiamento del tessuto sociale.

    michetta-or

    Quindi l'evoluzione dal dopoguerra in avanti ha fatto sì che le richieste dei consumatori migliorassero anche in virtù del miglioramento del tenore di vita". Proprietario di un forno storico nel cuore di Trastevere a Roma, Conti parla di "un pane più curato" in una "pezzatura più piccola" per un'"infinità di tipi". "Ogni forno - sottolinea con Ign - ha personalizzato dei tipi di pane per rispondere meglio alle esigenze del proprio cliente". "Il consumatore oggi richiede una tipologia di pane molto vasta - continua - ma il classico non solo resiste è anche il più venduto". Quanto alle liberalizzazioni, il presidente di Assipan si dice d'accordo in via generale ma sottolinea: "Credo però che nel nostro settore liberalizzare in modo selvaggio gli orari, sia sicuramente un grande costo in più per le piccole aziende ma non vada neanche nella giusta direzione per le grandi imprese". I quattro ingredienti base del pane, tutto sommato semplici, ricoprono un ruolo egualmente importante per la buona riuscita del prodotto. Anche l'acqua, più o meno dura, fa la differenza. Di farine ne esistono tantissime (dal mais al riso, dal kamut ai ceci, dalla segale alla castagne). Per il pane, il cereale più importante resta il frumento (grano), dal quale si ottiene la farina bianca (che deriva dal grano tenero) di colore bianco e la semola (che deriva dal grano duro). Quest'ultima era tradizionalmente prodotta prevalentemente nelle regioni del sud Italia, mentre ora la sua produzione ha una distribuzione nazionale. Da quella di grano tenero si distingue sia per la granulometria più accentuata che per il suo caratteristico colore giallo ambrato, colore che si ripercuote anche sui prodotti con essa ottenuti (pane di Altamura, ad esempio). La farina di grano tenero può essere di tipo 00, tipo 0, tipo 1, tipo 2 oltre a quella integrale, che contiene tutte le parti del chicco di grano. La 00 è più raffinata rispetto a quella di tipo 0, in quanto sottoposta più volte al processo di macinazione. Di lieviti se ne usano principalmente due: quello naturale (conosciuto anche come pasta madre), che consente una conservazione maggiore ma ha tempi di lavorazione molto più lunghi, e quello di birra, che ha tempi di lievitazione più brevi. Per questo motivo "c'è qualcuno che li mischia", dice La Sorsa il quale ricorda come la pasta madre sia più utilizzata per il pane grosso, che ha più mollica.



    Edited by gheagabry1 - 14/11/2019, 17:01
     
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    pane_carbonizzato-2

    Quattordicimila anni fa, e quattro millenni prima dell'inizio dell'agricoltura, si faceva già il pane. Un gruppo di archeologi ha fatto questa scoperta sorprendente durante gli scavi in un sito nel nord del Giordania, dove vivevano cacciatori-raccoglitori di epoca Paleolitica.


    Le origini del pane, uno dei prodotti alimentari più consumati nel mondo, sono avvolte nel mistero. La teoria più accreditata vuole che l'attività sia andata di pari passo con l'inizio dell'agricoltura, quando alcune comunità di uomini, divenuti stanziali, hanno iniziato la coltivazione dei cereali. Era stata fatta l'ipotesi che anche i cacciatori-raccoglitori del Paleolitico abbiano utilizzato i cereali selvatici, poi domesticati per l'uso agricolo, per ricavare farine e produrre prodotti simili al pane. Non si erano però mai trovate prove a sostegno di questa ipotesi.

    pane_preistorico


    ANTICHE BRICIOLE. Nel sito di Shubayqa 1, nella regione nord-orientale della Giordania, alcuni resti carbonizzati trovati in un focolare si sono rivelati, alle analisi, proprio briciole di impasto di pane. Questi antichissimi frammenti hanno consentito a un gruppo di ricercatori dell'Università di Copenaghen, di Cambridge e dello University College di Londra, di ricostruire la complessa catena produttiva apparentemente messa in piedi da questi fornai preistorici.

    Il sito giordano ha riportato alla luce tracce tra le più antiche della cultura natufiana: queste comunità costruivano piccoli villaggi, utilizzati come campi-base dove gli abitanti, che si dedicano alla caccia e alla raccolta muovendosi sul territorio, tornavano periodicamente. Nel sito, il cui scavo è iniziato negli anni Novanta, sono presenti due edifici sovrapposti, di età diverse, datati da circa 14.000 a circa 11.000 anni fa. In quello inferiore, il più antico, oltre a numerosi strumenti di pietra per macinare, è venuto alla luce un focolare il cui contenuto, sepolto, è rimasto intatto dopo l'ultimo utilizzo.

    PanificAntica



    I ricercatori hanno identificato resti di piante erbacee, di piccoli legumi come fieno greco e astragalo, e di cereali selvatici, grano (Triticum boeoticum), orzo e avena, e oltre 600 resti macroscopici di cibo carbonizzato. Tra questi, 24 frammenti di 4-5 millimetri, spessi circa 2, con la tipica struttura "a bolle" che si ottiene mischiando, impastando e cuocendo farina e acqua. In pratica, briciole. Le analisi suggeriscono che queste pagnotte preistoriche, probabilmente piatte come focacce non lievitate (dato lo scarso sviluppo in altezza), e simili a quelle identificate in altri siti di età neolitica o romana, erano fatte di farina di cereali selvatici, un grano che è l'antenato del grano monococco domesticato, segale, miglio, avena, setaria (graminacee). È probabile che l'impasto venisse cotto nelle ceneri del camino o su pietre calde.

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    Una delle strutture di pietra nelle quali veniva cotto il pane più antico mai scoperto
    (fonte: Alexis Pantos) © ANSA/Ansa

    Che ruolo aveva questo pane nella dieta di queste comunità preistoriche? Era un cibo abituale sulla tavola o una rara concessione? Molto difficile dirlo. Il fatto che i resti di pane siano stati trovati nei due focolari appena prima che il sito fosse abbandonato, suggerisce che gli antichi abitanti potrebbero averlo preparato come scorta di cibo in vista della partenza. Ma è anche possibile che il pane di quei tempi fosse un prodotto per le occasioni speciali, data la lunga e complessa procedura per realizzarlo, dallo sgranare i cereali al macinarli, fino all'impastarlo e cuocerlo. Potrebbe anche essere, ipotizzano i ricercatori, che proprio la volontà di fabbricare più facilmente questa nutriente "delizia" sia stata una delle molle che ha spinto alla domesticazione e alla coltivazione dei cereali. Se fosse così, allora l'agricoltura sarebbe nata per avere sempre a disposizione il pane.
    (www.focus.it)

    "I cacciatori-raccoglitori natufiani sono di particolare interesse per noi perché vivevani in un periodo di transizione in cui le persone sono diventate più sedentarie e la loro dieta ha cominciato a cambiare. Le lame di falce di selce e gli strumenti di pietra macinata trovati nei siti di Natufian nel Levante hanno a lungo portato gli archeologi a sospettare che le persone avessero iniziato a sfruttare le piante in un modo diverso e forse più efficace. Ma quella trovata a Shubayqa 1 è la prima prova di pane recuperato finora, e mostra che la cottura è stata inventata prima della coltivazione delle piante",
    ha detto il professor Tobias Richter dell'Università di Copenaghen), che ha guidato gli scavi a Shubayqa 1.

     
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    Le proprietà del pane impastato con acqua di mare

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    di Federico Formica

    A prima vista è un normale filone di pane. All'assaggio è soffice e saporito nonostante contenga la metà del sale rispetto ai filoni “normali”. Perché il pane in questione non è impastato con acqua di rubinetto né minerale, ma con acqua che viene dal mare. Più precisamente, dal largo della costa pugliese all'altezza di Bisceglie.

    Il curioso esperimento, condotto dal Cnr Isa (l’Istituto di scienze alimentari) e pubblicato sul Journal of Food Properties ha prodotto risultati che sono musica per le orecchie degli amanti del pane. L’acqua del mare, che contiene più batteri e lieviti lattici, sembra garantire una migliore lievitazione anche agli impasti con farina integrale. Questo tipo di farina è considerata più sana perché più ricca di fibre e vitamine, ma ha un problema: è più “restia” a lievitare se impastata con acqua dolce. Il nuovo ingrediente rende anche superflua l’aggiunta di sale. Il risultato - sorprendente a prima vista - è che un filone impastato con acqua dolce è più salato di uno che ha visto solo acqua di
    mare.

    Ma le buone notizie non finiscono qui. “Il prodotto che abbiamo ottenuto è molto interessante anche dal punto di vista nutrizionale” spiega Maria Grazia Volpe, ricercatrice del Cnr Isa che ha partecipato alla ricerca. “C’è una maggiore concentrazione di magnesio ed è ricco anche in calcio e potassio. Dall’altra parte abbiamo riscontrato una minore concentrazione di cloruro di sodio: 1,1% contro 1,7% e a volte 2% degli altri pani campani che abbiamo analizzato”.


    pane-1

    Le popolazioni mediterranee, spiega lo studio, assumono ingenti quantità di sale proprio consumando pane. Mentre l’Organizzazione mondiale della sanità ha stabilito in 5 grammi al giorno la soglia massima raccomandata per non incorrere in patologie legate all’aumento della pressione arteriosa.

    Povero di sale ma ricco in iodio: quello ottenuto dal Cnr ne contiene circa quattro volte di più rispetto al pane normale. Lo iodio è un micronutriente molto importante per il nostro corpo, che lo utilizza per sintetizzare l’ormone della tiroide.

    Non fatelo a casa. Benché in Italia - e soprattutto al Sud - l’acqua marina sia utilizzata da secoli per usi alimentari, ad esempio per la conservazione delle olive - e in molti amino farsi il pane in casa, non è possibile prepararsi da soli quello con l’acqua di mare. Perché l’acqua dev’essere microbiologicamente pura e depurata dal boro. Quella utilizzata per la ricerca proviene dall’azienda pugliese Steralmar, l’unica a produrre acqua di mare per uso alimentare.

    I ricercatori, che nel corso della loro ricerca hanno realizzato anche grissini e brioche con la collaborazione di alcuni importanti panifici campani, hanno già deciso quale sarà il prossimo
    passo. “Adesso procederemo con le analisi sensoriali, che affideremo a dei panel di assaggiatori addestrati, e faremo ulteriori valutazioni scientifiche sulla lievitazione - conclude Volpe - questa prima ricerca ci è servita a capire che siamo sulla strada giusta”.


    (www.nationalgographic.it 16 aprile 2019)
     
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    Pane al carbone vegetale

    Pane-al-carbone-vegetale

    di Federico Formica

    Da antidoto contro gli avvelenamenti a toccasana per pancia gonfia e bruciore di stomaco, adesso il carbone vegetale si è guadagnato un posto nelle vetrine delle panetterie più trendy delle nostre città. Di certo è impossibile che il pane al carbone vegetale passi inosservato: sfumature sull'antracite, così scuro da far impallidire persino quello di segale.

    Che sia originale e curioso è fuori discussione. Ma fa anche bene? Panini e cornetti neri sono davvero alimenti funzionali, come si legge spesso? Secondo gli esperti che abbiamo interpellato no. Anzi, alcune persone dovrebbero consumarlo con molta attenzione.

    Cos'è. Il carbone vegetale è ciò che resta della legna bruciata in condizioni particolari, cioè a temperature molto elevate e in atmosfera quasi priva di ossigeno. Si presenta sotto varie forme. I panettieri usano quello in polvere, una specie di farina nerissima che mischiano all'impasto (e alla farina vera e propria).

    In medicina il carbone vegetale viene usato da molto tempo. “E' un antidoto che viene fatto bere a chi ingerisce sostanze tossiche, come funghi o altri veleni. Per questo bisogna berlo in dosi massicce anche prima
    di una lavanda gastrica” spiega Marco Silano, direttore del reparto Alimentazione e nutrizione all'Istituto superiore di sanità. Questo perché il carbone vegetale è molto poroso: lega le sostanze che si trovano nello stomaco, le intrappola e impedisce all'organismo di assorbirle.

    Negli ultimi anni, da farmaco per casi estremi il carbone vegetale è diventato un integratore alimentare. E ha assunto la forma di pastiglie e barrette. “E' consigliato alle persone che soffrono di stitichezza, pancia gonfia e meteorismo come rimedio 'naturale' alternativo ai farmaci” dice Laura Rossi, nutrizionista al Crea Alimenti e nutrizione.

    Integratore. Le sue proprietà benefiche, dunque, sono riconosciute dalla comunità scientifica e note da diversi anni. Se avete avete mangiato o bevuto qualcosa di velenoso, pregate di averne una discreta quantità a portata di mano. Se avete digerito male o il vostro intestino è pigro, quello che ci vuole è una pastiglia di carbone vegetale.

    Questo, però, non significa che una pizza nero-pece sia più digeribile o che prevenga la stitichezza. “Una cosa è l'utilizzo come integratore, un'altra è l'uso alimentare”, precisa Rossi, “il carbone vegetale viene usato al momento del bisogno e chi lo mangia con continuità attraverso i prodotti da forno non può pensare di prevenire in questo modo i disturbi intestinali”. I prodotti da forno, come tutti quelli lievitati, possono dare una spiacevole sensazione di gonfiore. In alcuni casi anche bruciore di stomaco. “Ma una pizza con il carbone vegetale non è più digeribile. L'effetto c'è, ma è talmente blando da non essere percepibile” continua Silano.

    Insomma il carbone vegetale non è nato per essere mangiato abitualmente. Tanto che – per l'uso alimentare - in Europa non è considerato un ingrediente ma un additivo. Un semplice colorante il cui nome “in codice” è E 153.

    Pane, panini, biscotti e cornetti al carbone vegetale fanno bene soprattutto a chi li produce.

    Occhio alle medicine. Come spiega Silano, “gli effetti benefici del carbone vegetale sono anche la loro principale controindicazione”. Abbiamo detto che questa sostanza funziona quasi come un collante: nel nostro stomaco lega tutto ciò che ha intorno a sé. I veleni, certo, ma anche i farmaci e i nutrienti. Chi assume medicine salvavita, come i diabetici o chi ha disfunzioni tiroidee, dovrebbe consumare il carbone vegetale a distanza di almeno 1-2 ore. Anche i genitori devono fare un po' di attenzione: “I bambini non possono consumarne molto perché, proprio per la sua porosità, il carbone vegetale blocca anche le sostanze nutrienti che sono fondamentali per la crescita”, avverte Silano. Una brioche o un panino ogni tanto non fanno nulla di male. Il problema è nell'uso quotidiano.

    Cancerogeno? Gli Stati Uniti non hanno mai autorizzato l'utilizzo di E 153 per scopi alimentari. Significa che nelle panetterie oltreoceano non troveremo i panini neri come la notte che siamo ormai abituati a notare nel forno sotto casa nostra. La Fda (l'agenzia statunitense che si occupa di sicurezza alimentare) sospetta infatti che il carbone vegetale contenga sostanze cancerogene come il benzopirene, che sono un tipico prodotto ottenuto dalle combustioni.

    L'equivalente europeo dell'Fda, però, la pensa diversamente. Nel 2012 l'Efsa ha pubblicato un parere scientifico che scagiona il carbone vegetale. Per le quantità minime in cui viene assunto, sostiene l'Efsa, non ci sono rischi che il benzopirene, di per sé presente in dosi infinitesimali, possa avere effetti nocivi sulla nostra salute. Anche perché, continua Efsa, “si comporta come un inerte: in sostanza non viene neanche assorbito dall'apparato gastro-intestinale”.

    Nessun allarme, quindi. Il pane nero non fa male, ma non ha quelle proprietà miracolose che spesse gli vengono attribuite.

     
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    In Belgio c’è un archivio di lieviti madri

    Ne conserva 125 da 25 paesi diversi, facendo da banca per panettieri di tutto il mondo: il New York Times ne ha raccontato storia e obiettivi


    Biblio-lievito-1


    L'archivio, chiamato “Biblioteca del lievito madre”, è a Sankt Vith, un paesino con meno di 10mila abitanti dove la lingua più usata è il tedesco. Si trova all’interno del “Centro per il sapore del pane” di Puratos, un’azienda che produce e vende in tutto il mondo ingredienti per panettieri e pasticceri. Nella pratica è una stanza in cui ci sono una serie di frigoriferi dove sono conservati – a oggi – 125 lieviti madri da 25 paesi diversi, dal Perù a Singapore, alla temperatura di 4 °C. Al loro interno ci sono circa 700 specie di lieviti e più di 1.500 di batteri lattici. Ogni due mesi i barattoli contenenti i lieviti vengono aperti e i lieviti sono nutriti usando la stessa farina con cui erano fatti crescere dai loro creatori: in questo modo continuano a vivere.

    Karl De Smedt, il “bibliotecario” che si occupa dei lieviti madri, ha raccontato al New York Times che l’idea di aprire un archivio per conservare i lieviti madri arriva da un panettiere siriano, specializzato nella produzione di tradizionali biscotti di farina di ceci: contattò Puratos per sapere se l’azienda fosse disposta a conservare il suo lievito madre perché i suoi due figli, eredi dell’attività familiare, volevano sostituirlo con lieviti industriali. La Biblioteca si è poi arricchita, e continua a farlo tuttora, proponendo a panettieri e pasticceri di tutto il mondo di fare proprio questo: conservare i loro lieviti madri nel caso in cui quello che usano venga danneggiato o perso. L’unico impegno da parte dei creatori dei lieviti conservati è di rifornire ogni anno la Biblioteca con la farina (o le altre sostanze) adatte ad alimentarli, per preservarne le qualità.

    l primo lievito madre entrato nell’archivio proviene da Altamura, il comune della provincia di Bari noto proprio per il suo pane; viene alimentato con la farina di grano duro. Il lievito numero 100 è giapponese ed è prodotto a partire dal sakè di riso. Il numero 72 viene dal Messico e viene alimentato da una miscela di uova, lime e birra.

    Non si sa con certezza quale di questi lieviti sia il più vecchio perché dato che le colture sono vive e si rigenerano, non c’è modo di usare la datazione con il carbonio 14 per dare loro un’età: De Smedt può solo riportare l’età riferitagli dai panettieri che glieli hanno affidati.

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    Normalmente viaggia per il mondo alla ricerca di nuovi tipi di lievito: in particolare vorrebbe archiviare quelli usati per fare tipi di pane tradizionali, quelli ottenuti a partire da ingredienti inconsueti e quelli che, per quanto si sa, sono vecchi di secoli. Per trovarli visita scuole di cucina, pizzerie e panetterie artigianali.

    Due anni fa aggiunse alla collezione un lievito donatogli dall’86enne Ione Christensen, ex sindaca di Whitehorse, capoluogo del territorio dello Yukon, nel nord-ovest del Canada: il suo lievito le era arrivato dal suo bisnonno Wesley David Ballentine, che lo aveva cominciato a tenere nel 1897. Come molti cercatori d’oro dell’epoca, tra le provviste che si era portato dietro per sopravvivere un anno in quei territori inospitali c’era del lievito. Nelle notti fredde lui e i suoi compagni dormivano abbracciati ai contenitori del lievito, in modo che rimanessero al caldo e continuassero a vivere – al freddo i lieviti vanno come in letargo. Oggi il lievito di Ballantine è il numero 106 della Biblioteca del lievito madre.

    La Biblioteca non è aperta al pubblico ma ha un sito dove è possibile fare un tour virtuale e imparare qualcosa a proposito di molti dei lieviti conservati guardando dei video. Non ha scopo di lucro ma viene usata da Puratos per fare ricerca sulle qualità dei lieviti. Tra gli altri collabora con la Biblioteca l’italiano Marco Gobbetti, microbiologo degli alimenti e professore dell’Università di Bari e dell’Università di Bolzano, che studia la digeribilità del pane prodotto con il lievito madre.

    Un altro studio sul lievito madre commissionato da Puratos fu fatto dalla North Carolina State University nel 2018: a panettieri provenienti da 16 paesi fu chiesto di produrre un nuovo lievito madre a partire dallo stesso tipo di farina e usando la stessa ricetta. L’obiettivo era capire come i diversi microbi presenti sulle mani dei panettieri – anche lavandosi le mani qualcuno ne rimane – avrebbero influito sulla composizione del lievito e quindi sul sapore del pane. Pronti i lieviti, i panettieri si trovarono a Sankt Vith, dove ognuno di loro preparò del pane col proprio lievito. In quella stessa occasione i ricercatori della North Carolina State University raccolsero i microbi presenti sulle loro mani. Dopo averli analizzati scoprirono che non sono i microbi delle mani dei panettieri a influire sulla composizione del lievito, ma il contrario: sulle mani dei panettieri è facile trovare i microbi presenti nei lieviti.

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    La storia del pane

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    Il pane più antico di cui si abbia certezza risale circa al 12000 a.C. ed è stato ritrovato in Giordania: veniva preparato macinando fra due pietre una miscela di cereali e mescolandola con acqua. L'impasto finale veniva cotto su una pietra rovente.

    Intorno al 3500 a.C. gli Egizi scoprirono la fermentazione, con cui un impasto lasciato all'aria veniva cotto il giorno dopo; ne risultava un pane più soffice e fragrante. Per gli Egizi il pane non era solo una fonte di cibo ma anche di ricchezza. Lo storico Erodoto (484 - 425 a.C.) «fece ogni cosa in modo diverso dai comuni mortali». Eccellenti agricoltori, in pratica sono stati loro i primi veri panettieri ed hanno posto le basi affinché il pane potesse conoscere un successo senza fine e senza frontiere. Gli Egizi avevano scoperto che per ottenere il "magico" risultato bastava aggiungere all'amalgama di chicchi macinati ed acqua un pezzetto di pasta avanzata il giorno prima, dal sapore un poco acidulo, che per questo veniva gelosamente custodita - come fosse cosa sacra - in ogni casa. Ricorrendo a questo piccolo trucco gli Egizi divennero maestri indiscussi nell'arte della panificazione, e si guadagnarono l'appellativo di «mangiatori di pane». Anche nell'oltretomba, la lista delle vivande che i morti portavano con sé comprende almeno quindici nomi per indicare altrettanti tipi di pane. Gli Egizi già allora lo preparavano in una cinquantina di modi e forme differenti.


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    In sostanza, ai tempi in cui i Romani ancora si nutrivano di una semplice pappa di farina e i Greci di una specie di sfoglia cotta sul fuoco, gli Egizi già applicavano con sistematicità quella che più tardi sarebbe stata chiamata la "lievitazione naturale".
    Più tardi gli Egizi trasmisero i segreti della panificazione agli Ebrei, che però producevano soltanto una sorta di panini rotondi spessi circa tre centimetri. Presso il popolo d'Israele, che attribuiva al pane importantissimi significati religiosi, la professione di fornaio godeva di grande prestigio ed ogni città aveva un forno pubblico adibito alla cottura dell'impasto. Dagli Egizi appresero a panificare anche i Greci, nel cui mondo l'idea del pane era strettamente legata a quella della fecondità della terra (basti pensare a Demetra, la dea raffigurata con le messi, celebrata durante i riti dei misteri eleusini connessi ai culti agrari).

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    Secondo cronisti dell'epoca, già nel periodo classico - cioè tra il VI ed il V sec. a. C. - ce n'erano ben 72 tipi diversi: 50 di impasto semplice e 22 più complessi, gli antenati della pasticceria. Rinomati erano i pani di Cappadocia, lievitati col latte, e di Cipro, cotti sotto la brace, o il profumato amolgée, il pane dei contadini.
    Il più celebre era il pane venduto nell'agorà: «sì bianco che l'eterea neve vince in candor», secondo l'elogio che ne fa Archestrato di Gela (IV secolo a. C.).

    Nella sua "Gastronomia" Archestrato :«Concediti pur tu i pani della Tessaglia denominati krimnitas, che peraltro tutto il mondo conosce come chondrinos […]. Ottimo, pure, è il pane di farina che viene prodotto per il mercato di Atene, per ogni mortale; così come valido è il pane che viene sfornato dai forni dell'Eritrea, dove cresce abbondante l'uva in ogni delicato, ricco, momento delle stagioni: ti delizierà nei banchetti».

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    timbro del pane greco




    Il pane, nel XIV sec., veniva preparato con cereali di ogni genere, con avena e crusca, segale, orzo, miglio, farro e, nei tempi di carestia era fatto addirittura con ghiande, paglia e cortecce macinate degli alberi. Veniva spesso aromatizzato al rosmarino, alla salvia, alla maggiorana, all’ anice, arricchito con grassi o mescolato con macinato di carne e, a volte nell’impasto, i poveri mescolavano anche farine di legumi, come fave, ceci e lenticchie e, stagionalmente, con quello che la natura metteva a disposizione come castagne ed erbe, come si faceva fin dai tempi antichi e come consigliava Dio nella Bibbia quando il profeta Ezechiele ricevette il comando: “prendi del frumento, dell’orzo, delle fave, delle lenticchie, del miglio e fanne del pane“.

    Il procedimento di panificazione iniziava con l’”abburattamento” , con cui si separava la crusca dalla farina per il quale veniva usato uno strumento apposito detto “buratto”, si procedeva poi a mescolare la farina con dell’acqua tiepida finchè si otteneva una palla di pasta che veniva fatta lievitare in un recipiente chiuso per tutta la notte: era chiamata “crescente”, quella che oggi conosciamo come “pasta madre” e serviva a lievitare la successiva massa. Una piccola quantità di questo impasto veniva tenuta da parte e serviva per la lievitazione successiva.

    Il pane lievitato era più comune nelle regioni del sud in cui il grano cresceva più facilmente, mentre al nord o nelle zone di montagna si usava pane non lievitato.
    (www.ifood.it/2015/09/lord-lady-e-pasta-madre.html)
     
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