FEDERICO GARCIA LORCA

poeta

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  1. gheagabry
     
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    Che cosa racchiudo in me in questi momenti di tristezza?
    Ahi, chi taglia i miei boschi dorati e fioriti!
    Che cosa leggo nello specchio d'argento commosso
    che l'aurora mi offre sull'acqua del fiume?.


    FEDERICO GARCIA LORCA



    " Lo si sentiva arrivare molto prima della sua comparsa: lo annunciavano intangibili messaggeri, avvisi di sonagli nell’aria, come quelli delle diligenze della sua terra. Poi, quando era già andato via, tardava ancora molto ad andarsene: c’era ancora, ci circondava ancora coi suoi echi, finché qualcuno diceva: «Ma… Federico? È già andato via?» […]
    Per Federico García Lorca il principale lettore non era il lettore, ma l’ascoltatore. «E tu hai il coraggio di recitare le tue poesie?», gli chiedevo in quei primi anni eroici - e timidi -; e lui, colpendosi il petto come se avesse le poesie sul cuore, rispondeva: «Sì, per difenderle». […]
    L’8 aprile del ’26 Federico diede una lettura all’Ateneo di Valladolid e io fui incaricato di presentarlo. Dissi: sono venuto soltanto a dire, con la più tranquilla e semplice sicurezza, che Federico García Lorca, questo grande amico - che tra poco sarà l’amico di voi tutti -, è un grande poeta e che, fra poco, lo sarà per tutti voi. Già, perché… attenzione, sarete… saremo tutti suoi non appena inizierà a cantare. Vi avverto: sentire Lorca ed arrendersi alla sua poesia è tutt’uno, perché Lorca si impone con la forza, immediata e semplicissima, dell’evidenza. So bene che, in circostanze normali, una predizione di questo calibro implicherebbe un grave rischio e una grande arroganza; ma in questo caso non comporta né l’uno né l’altra. No, non spaventatevi: è una specie di belva, di fenomeno, sì, ma un fenomeno di irresistibile seduzione. […]
    L’ultima volta che lo vidi fu a casa di Eusebio Oliver, il nostro medico - così amichevolmente preoccupato per la salute dei poeti -. Federico lesse La casa di Bernarda Alba. (Sì: estate del ’36…) «Adesso capisco finalmente - disse - come sarà il mio teatro…». La sua maturità si apriva allora di fronte a lui come una porta aperta sul proprio Regno, il Pianto, il Divano del Tamarit, La casa di Bernarda, e poi… Lo sa Dio! Camminava con decisione e giubilo verso la pienezza del proprio futuro. Tutto si arrendeva alla sua persona e al suo duende angelico. Cosa mai avrebbe potuto frenarlo? Per questo predissi a suo padre: «In caso di rivolta, se ci sarà un solo spagnolo che si salverà, costui sarà Federico».."
    (Jorge Guillén)



    La poesia serve per nutrire quel granello di pazzia che tutti portiamo dentro,
    e senza il quale è imprudente vivere.
    La poesia non cerca seguaci, cerca amanti.


    Il poeta spagnolo per eccellenza, conosciuto in tutto il mondo nasce il 5 giugno 1898 a Fuente Vaqueros non lontano da Granada da una famiglia di proprietari terrieri. I libri ce lo descrivono come un bambino allegro, ma timido e pauroso, dotato di una straordinaria memoria e di una passione evidente per la musica e per le rappresentazioni teatrali; un ragazzo che non andava troppo bene a scuola ma che era capace di coinvolgere nei suoi giochi un'infinità di persone. I suoi studi regolari sono segnati da numerosi problemi legati ad una grave malattia. Tempo dopo (nel 1915), riesce a iscriversi all'università ma, cosa più importante, conosce il giurista Fernando De Los Rios che gli rimarrà amico durante tutta la vita. Altri contatti importanti in quel periodo furono quelli con il grandissimo musicista Manuel De Falla e con l'altrettanto grande poeta Antonio Machado. All'inizio degli anni '20 è invece a Madrid dove si forma grazie ai contatti con artisti della fama di Dalì, Buñuel ed in particolare Jimenez. Contemporaneamente si dedica alla scrittura di lavori teatrali i cui esordi furono accolti con una certa freddezza.
    Dopo la laurea la sua vita si riempie di nuovi lavori, conferenze e nuove amicizie: i nomi sono sempre di alto livello e vanno da Pablo Neruda a Ignacio Sánchez Mejías. Viaggia molto, soprattutto tra Cuba e gli Stati Uniti, dove ha modo di saggiare in presa diretta i contrasti e i paradossi tipici di ogni societá evoluta. Attraverso queste esperienze si forma in modo più preciso l'impegno sociale del poeta, ad esempio con la creazione di gruppi teatrali autonomi la cui attivitá è finalizzata allo sviluppo culturale della Spagna. L'anno 1934 è segnato da altri viaggi e dal consolidamento delle numerose e importanti amicizie, sino alla morte del grande torero Ignacio Sánchez Mejías, avvenuta in quello stesso anno (ucciso proprio da un toro infuriato durante una corrida), che lo costringe ad un soggiorno forzato in Spagna.
    Nel 1936, poco prima dello scoppio della guerra civile, Garcia Lorca redige e firma, assieme a Rafael Alberti (altro esimio poeta) ed altri 300 intellettuali spagnoli, un manifesto d'appoggio al Frente Popular, che appare sul giornale comunista Mundo Obrero il 15 febbraio, un giorno prima delle elezioni vinte per un soffio dalla sinistra.
    Il 17 luglio 1936 scoppia l'insurrezione militare contro il governo della Repubblica: inizia la guerra civile spagnola. Il 19 agosto Federico García Lorca, che si era nascosto a Granada presso alcuni amici, viene trovato, rapito e portato a Viznar, dove a pochi passi da una fontana conosciuta come la Fontana delle Lacrime, viene brutalmente assassinato senza alcun processo.



    Gli alberi tessono il vento e le rose lo tingono del loro profumo.


    Che poeta! Non ho mai visto riunite, come in lui, la grazia e il genio, il cuore alato e la cascata cristallina. Federico García Lorca era lo spirito scialacquatore, l’allegria centrifuga, che raccoglieva in seno e irradiava, come un pianeta, la felicità di vivere. Ingenuo e commediante, cosmico e provinciale, singolare musicista, splendido mimo, timido e superstizioso, raggiante e gentile: era una sorta di riassunto delle età della Spagna, della fioritura popolare; un prodotto arabico-andaluso che illuminava e profumava, come un gelsomino, tutta la scena di quella Spagna, ahimè!, scomparsa. […] La grande capacità di metafora di García Lorca mi seduceva e mi interessava tutto ciò che scriveva. Dal canto suo, lui mi chiedeva a volte di leggergli le mie ultime poesie e, a metà della lettura, mi interrompeva gridando: «Non continuare, non continuare, ché mi influenzi!». Nel teatro e nel silenzio, nella folla e nel decoro, era un moltiplicatore della bellezza. Non ho mai veduto un tipo con così tanta magia nelle mani. Non ho mai avuto un fratello più allegro di lui. Rideva, cantava, musicava, saltava, inventava, crepitava. […] «Ascolta», mi diceva prendendomi sottobraccio, «la vedi quella finestra? Non la trovi ciorpatelica?».«E che vuol dire ciorpatelico?» «Non lo so neanch’io, ma è assolutamente necessario che ci rendiamo conto di cosa sia e cosa non sia ciorpatelico. Altrimenti, siamo perduti. Guarda quel cane lì: com’è ciorpatelico!». […]
    Federico ebbe una premonizione della sua morte. Una volta, di ritorno da una tournée teatrale, mi chiamò per raccontarmi un fatto molto strano. Con la troupe de La Barraca, era giunto a un remoto paesino della Castiglia, nelle cui vicinanze aveva accampato per passare la notte. Non riuscendo a dormire, verso l’alba, uscì a fare un giro […]. Si fermò all’ingresso dell’ampio parco di una vecchia proprietà feudale, dove l’abbandono, l’ora e il freddo rendevano la solitudine ancor più penetrante. Federico si sentì, ad un tratto, oppresso per via di qualcosa di confuso che doveva accadere. Si sedette su un capitello caduto. Un agnellino venne a brucare fra i ruderi e la sua comparsa fu quella di un piccolo angelo di nebbia che, di colpo, rendeva umana la solitudine. All’improvviso apparve un branco di maiali. Erano quattro o cinque bestie scure, maiali neri, selvatici e affamati. Federico assistette allora a una scena raccapricciante: i maiali si avventarono sull’agnello, lo squartarono e divorarono. Questa scena, di sangue e solitudine, scosse Federico a tal punto che ordinò al suo teatro ambulante di proseguire subito il viaggio. Ancora stravolto dall’orrore, Federico mi raccontava questa storia terribile tre mesi prima della Guerra Civile. In seguito compresi, sempre più chiaramente, che quella scena era stata la rappresentazione anticipata della sua morte. […] L’assassinio di Federico fu per me l’avvenimento più doloroso di un lungo combattimento. La Spagna è sempre stata un campo di gladiatori; una terra con molto sangue. L’arena, con il suo sacrificio e la sua crudele eleganza, ripete l’antica lotta mortale fra l’ombra e la luce.
    (Pablo Neruda)



    Ho chiuso la mia finestra
    perché non voglio udire il pianto,
    ma dietro i grigi muri
    altro non s'ode che il pianto.
    Vi sono pochissimi angeli che cantano,
    pochissimi cani che abbaiano;
    mille violini entrano nella palma della mia mano.
    Ma il pianto è un cane immenso,
    il pianto è un angelo immenso,
    il pianto è un violino immenso,
    le lacrime imbavagliano il vento.
    E altro non s'ode che il pianto.




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