RACCONTI sul RICICLO

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  1. gheagabry
     
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    RACCONTI SUL RICICLO

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    Una volta, non c'era il problema dei rifiuti, infatti le persone usavano cose naturali: non c' erano i detersivi, non esistevano i supermercati dai quali esci con tante borse di plastica ….
    a proposito di borse di plastica, io nel 1997 ero una di quelle.
    Come sono cambiate le cose da allora! Oggi si fa molta fatica, per riuscire a riciclare anche una minima parte di tutti i rifiuti che butta via l'uomo ogni anno. Infatti ci sono cifre allucinanti...comunque si sono fatti molti progressi per limitare l'inquinamento dell'ambiente.




    plastica_mare

    Ero un sacchetto di plastica..
    Ma ora vi racconterò la mia storia...
    Come vi ho già detto ero un sacchetto di plastica ma ora sono diventato un… Volete scoprirlo? Allora seguitemi…
    Una volta la mia vita era molto noiosa… mi usavano solo per trasportare cose pesanti e poi mi accartocciavano sempre, finchè un giorno mi bucai, così mi buttarono nel bidone della plastica.
    Feci un bel viaggetto … mi portarono così in una fab- brica speciale dove mi avrebbero riciclato.
    Dopo molti processi diventai un bell'astuccio pronto per essere rivenduto. Fui consegnato ad una cartoleria ove un bel giorno una bambina mi comprò…fu così che iniziai una nuova vita. Ora sono colorato e bello, mi sento molto felice di non essere più un sacchetto di plastica, mi piace stare fra i bambini, anche se certe volte mi lanciano a terra tanto forte che le penne che sono dentro di me mi sporcano. Potete fare molto anche voi per agevolare il lavoro delle persone che prestano servizio per salvaguardare l'ambiente. Sarebbe utile incominciare a buttare la plastica, la carta, il vetro e l' alluminio negli appositi contenitori per la raccolta differenziata presenti nelle isole ecologiche di tutte le città e dei paesi.
    Insieme si può fare veramente molto!!


    Ero una lattina sono diventata un computer
    Sono un computer, un tempo ero una lattina…
    Quando ero una lattina di aranciata ero in uno scaffale di un supermercato con le mie amiche.
    Un giorno i commessi mi sistemarono bene, io aspettavo che qualcuno mi comprasse…ecco che dopo qualche minuto una bambina di nome Laura, che aveva tanta sete, pregò la mamma di comprarmi.
    Così fui portata in un sacchetto di plastica fino a casa dove mi misero dentro al frigorifero… morivo dal freddo, non vedevo l'ora che qualcuno bevesse il mio contenuto. Passò del tempo ma nessuno mi consumava...
    un giorno Laura mi tirò fuori e controllando la data di scadenza si accorse che ero già scaduta!!!
    Io fui molto triste perchè mi gettò via...il giorno dopo fui trasportata da un grande camion che mi scaricò in una fabbrica speciale… lì venni trasformata dentro strane macchine e dopo lunghi procedimenti mi ritrovai cambiata!
    Ancora non capivo cosa ero diventata…gli operai parlavano continuamente tra loro di schermo, tastiera, mouse…Ma certo, ero diventata un computer!!!
    Così fui portato nello stesso supermercato dove c'era Laura che con i suoi genitori stava scegliendo un computer. Osservarono tanti modelli… poi quando giunsero a me mi guardarono a lungo… erano indecisi. Ma ecco che la scelta di Laura cadde proprio su di me.
    Passai per la cassa, mi portarono a casa e mi misero sopra una bella scrivania nella cameretta di Laura. Tutti i giorni la bambina trascorreva con me parecchio tempo; mi utilizzava per giocare e studiare insieme ai suoi compagni di scuola. Ci pensate che quando ero una lattina non avevo un cervello?
    Ora invece elaboro tante informazioni, mi collego a internet, possiedo tanti giochi, programmi di ogni genere, enciclopedie, … Se volete sapere la verità sono più felice di essere un computer che una lattina!!


    Sono un monopattino ero... una lattina
    Ero una lattina… un bel giorno un bambino mi comprò. Questo bambino aveva sempre mal di pancia perché beveva sempre coca-cola. Sua madre, per caso, scoprì che consumava spesso quella bevanda così mi buttò dalla finestra.
    Passò un altro bambino, mi raccolse e mi sbattè per sentire se c'era ancora il contenuto.
    Mi portò a casa sua e mi mise nel frigorifero: "brrrrr, che freddo che era; ci avrebbe voluto un cappotto!". Mi tenne un giorno poi, mi portò dagli amici e quando fui vuota finii un contenitore con sopra scritto " ALLUMINIO" …così mi trovai dentro con tutte le altre lattine. Passarono molti giorni, la gente continuava a buttare lattine addosso a me…finché arrivò un camion che ci raccolse.
    Feci un lungo viaggio… poi arrivai in una grande città dove mi schiacciarono con le altre lattine, e dopo tanti procedimenti diventai un monopattino! Quel bambino che amava la"coca-cola" mi comprò… io gli avrei voluto parlare ma non ci riuscivo, perché ero stato trasformato assieme alle altre lattine. Decisi, allora, di farlo divertire… così feci per tutto il tempo.
    Il bambino mi presentò i suoi amici che ogni tanto giocavano con me senza rompermi. Ora il mio amico è diventato grande, non mi usa più , mi trovo in uno sgabuzzino… spero tanto che qualcuno mi riscopra così uscirò di nuovo all' aria aperta!

    (dal LABORATORIO DI LETTURA E SCRITTURA di una scuola di VALCONCA)


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    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 18:30
     
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  2. gheagabry
     
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    caseplastica_01-Copia
    Bottiglie di plastica al posto dei mattoni
    Come fare di necessità virtù: per proteggere l'ambiente e risolvere la carenza di alloggi, in Nigeria hanno iniziato a costruire case fatte di bottiglie di plastica. Con il nuovo materiale gli edifici sono più stabili di quelli realizzati in calcestruzzo, in grado di resistere a terremoti, incendi e persino proiettili. Quello che può sembrare «arte moderna» agli occhi dei più scettici, è invece un ambizioso progetto edilizio in realizzazione nel Paese dell'Africa occidentale. Con il materiale da costruzione decisamente non convenzionale un gruppo ambientalista vuole risolvere così due problemi in un colpo solo. Da un lato, le bottiglie di plastica che coprono le strade e intasano i canali delle popolose città vengono riciclate con la costruzione delle case. Allo stesso tempo, il progetto intende risolvere il grosso problema dell’abitazione. Ancora oggi sono infatti milioni i nigeriani senza un tetto.
    PRIMO DI UNA LUNGA SERIE - Il prototipo si trova poco lontano dal villaggio di Sabon Yelwa a Kaduna, nella Nigeria settentrionale. Il progetto è a buon punto. Iniziato da un’organizzazione non governativa, la Dare (Associazione per lo sviluppo delle energie rinnovabili), con l’assistenza di esperti londinesi, gli operai hanno ormai alzato le mura; la casa è completa al 70 per cento. «È la prima casa in Africa costruita con delle bottiglie», ha raccontato all’Afp l’iniziatore del progetto, Christopher Vassiliu. «Potrebbe contribuire a risolvere l’esigenza abitativa del Paese e ripulire l'ambiente pesantemente inquinato». Sotto certi aspetti l’edificio è già di per sé una meraviglia e dovrebbe essere il primo di una lunga serie. Una volta finito, infatti, verranno addestrati muratori che in futuro avranno il compito di realizzare strutture simili.

    Houses-with-Plastic-Bottles



    A prima vista l’insolito edificio, con 58 metri quadrati di spazio e dotato di due camere da letto, cucina, patio, bagno e toilette, sembra una comune casetta. Tuttavia, al posto delle pietre sono state utilizzate bottiglie di plastica tappate, riempite con la sabbia, del peso di circa tre chili. Le bottiglie sono impilate in strati e legate tra di loro da un’intricata rete di corde. Fango e cemento completano l’opera e forniscono ulteriore sostegno. Dalle pareti intonacate sporgono poi i tappi di vari colori che danno a tutto l’insieme un aspetto davvero originale.
    Secondo i dati forniti dal coordinatore del progetto, Yahaya Ahmad, le bottiglie riempite con la sabbia sono più stabili dei comuni blocchi di cemento. Insomma, la casa delle bottiglie non solo è ecologica, ma estremamente solida, fatta per durare negli anni e, grazie alla sabbia compatta, venti volte più resistente di una struttura di mattoni. Gli altri vantaggi: «L'edificio è a prova di fuoco, antiproiettile e antisismico», spiega Ahmad. Oltre a ciò, la costruzione di una casa di bottiglie è tre volte meno costosa che quella di una casa normale - l’equivalente di circa 10 mila euro. La sabbia funge poi da isolante termico. «All’interno regna una temperatura costante intorno ai 18 gradi, ideale per ripararsi dal sole tropicale».
    La costruzione è iniziata a giugno. Per realizzarla sono servite circa 14 mila bottiglie di plastica, bottiglie che in Nigeria non sembrano davvero mancare. Molte arrivano dai tanti hotel, dagli uffici consolari e dai ristoranti vicini. La casa di bottiglie è stata concepita affinché non produca gas serra: è completamente alimentata da pannelli solari e da biogas. «La Nigeria ha un enorme problema di immondizia e di carenza energetica», ha detto l'ambientalista britannica Katrin Macmillan, «e questo progetto è un piccolo passo nella giusta direzione».
    Secondo le stime degli esperti, la Nigeria (con una popolazione che supera i 160 milioni), produce ogni giorno una montagna spazzatura di tre milioni di bottiglie di plastica. Allo stesso tempo nel vasto Paese mancano circa 16 milioni di abitazioni, la cui costruzione costerebbe l'equivalente di 226 miliardi di euro, ha calcolato la nigeriana Federal Mortgage Bank. Intanto il prossimo progetto è già stato avviato: a gennaio inizieranno i lavori di ampliamento della scuola elementare di Suleja, nei pressi della capitale Abuja. Qui verranno utilizzate 200 mila bottiglie di plastica.
    (Elmar Burchia, corriere)


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    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 18:33
     
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  3. gheagabry
     
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    raccolta-differenziata-1



    Tutti gli errori (e gli orrori) del riciclo
    Differenziare è fondamentale, ma l’errore è sempre in agguato. Gettate i giornali nel cassonetto condominiale per la carta e trovate residui di pizza in un cartone? In quello del vetro adocchiate un piatto di ceramica e una pirofila in frantumi? Sono gli errori più comuni. Come la Barbie in mezzo alle bottiglie dell’acqua. O i vasi sporchi di terra. Ma cosa succede quando ciò che gettiamo in pattumiera non è adatto al riciclo?
    VETRO - «Si crea un grosso danno al ciclo produttivo, soprattutto buttando ceramica e pirex in mezzo al vetro. I detector non riconoscono le particelle di ceramica, pur essendo macchine molto sofisticate, e quando il vetro viene triturato e compresso, anche la ceramica, che fonde a una temperatura differente dal vetro, viene inglobata nelle nuove bottiglie», spiega Walter Facciotto, direttore generale del Conai, Consorzio nazionale imballaggi. «Queste bottiglie però, che contengono particelle differenti dal vetro, possono scoppiare, sono a rischio». Quindi dipende da noi la qualità delle nuove bottiglie in circolazione. Riciclando un chilo di vetro si evitano le emissioni di CO2 di una utilitaria che percorre quasi 10 chilometri, secondo i dati del Coreve (Consorzio recupero vetro), mentre grazie al recupero e al riciclo di carta e cartone tra il 1999 al 2011 il Comieco (Consorzio nazionale recupero e riciclo imballaggi a base cellulosica) ha evitato la formazione di 222 discariche. CARTA - «Per quanto riguarda la carta, l’errore più comune è buttare gli scontrini, carta termica che contiene solventi e aumenta lo scarto, oppure cartoni sporchi, con avanzi di cibo, che fermentano», continua Facciotto. Bisogna sottolineare che la raccolta differenziata è strettamente limitata ai soli imballaggi: e in questo senso gli errori più vistosi li registriamo tra i manufatti in plastica: giocattoli, articoli per la casa, articoli di cancelleria, da ferramenta e giardinaggio, piccoli elettrodomestici, qualsiasi oggetto in plastica o con parti in plastica, viene erroneamente buttato nella raccolta differenziata ma, per fare un esempio, una bambola o un gioco in generale, è prodotta con differenti polimeri, non riciclabili. Lo stesso vale per il vaso o la penna sfera, anche se privata del refill. Nella fase di selezione i singoli polimeri vengono separati prima del riciclo, e ciò che viene scartato va ai termovalorizzatori e recuperato energeticamente». PLASTICA - Se con venti bottiglie di plastica (Pet) si fa una coperta in pile, con sette vaschette portauova si può tenere accesa una lampadina per un’ora e mezza, e le tonnellate di rifiuti in plastica raccolte in Italia lo scorso anno (dati Corepla, Consorzio raccolta recupero riciclaggio rifiuti imballaggi in plastica) sono pari a sette volte il volume della Grande Piramide in Egitto e a due volte il peso dell’Empire State Building. Considerando la mole dei rifiuti prodotti è quanto mai opportuno separare e riciclare al meglio. Anche perché i rifiuti «migliori» hanno più valore. Maggiore è la qualità del materiale che scartiamo, maggiore è il corrispettivo riconosciuto ai Comuni. METALLI - Per l’acciaio, ad esempio, si va da un minimo di 38,27 euro a tonnellata a un massimo di 83,51 euro, per l’alluminio da un minimo di 173, 96 euro a tonnellata a un massimo di 426,79. L’Italia è al primo posto in Europa per il riciclo dell’alluminio: secondo dati Ciai (Consorzio imballaggi alluminio) nell’ultimo anno è stato recuperato l’80% degli imballaggi in alluminio circolanti nel Paese, mentre in più di dieci anni secondo il Consorzio nazionale acciaio sono state recuperate quasi 3 milioni di tonnellate di acciaio, l’equivalente in peso di 300 torri Eiffel. «Le buone ragioni per differenziare correttamente non mancano: tutto ciò che scartiamo è riutilizzabile come materia prima, se lo buttiamo correttamente», conclude Walter Facciotto. «Per questa ragione, dovremmo andare periodicamente alle isole ecologiche e smaltire là le lampadine, i piccoli elettrodomestici, i cellulari, il legno. È un piccolo gesto che ognuno di noi può fare per l’ambiente senza troppa fatica».
    (Anna Tagliacarne, corriere)[/color]

    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 18:35
     
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  4. gheagabry
     
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    RaccoltaDifferenziataEcopuntoT



    "Le cose vecchie, spolverate con cura, appaiono nuove"

    Le cose, usatele ancora!!!!!!!

    Ci sono cose che esistono da sempre; o da molto tempo. E che noi continuiamo a usare. Innanzitutto il nostro pianeta; poi le montagne, i fiumi, i laghi, il mare, i boschi, il paesaggio. Poi le cose artificiali, fatte da noi umani: le città, le strade, i ponti, gli edifici. Poi, molti oggetti: soprattutto quelli che fanno parte dell’antiquariato. Poi, un antiquariato di seconda categoria, fatto di oggetti nati più di recente, che chiamiamo modernariato, dentro il quale può essere fatta rientrare anche gran parte di quanto ci è stato lasciato – e abbiamo conservato – dai nostri genitori o dai nostri nonni. E molto altro ancora.
    L’uso e il riuso di queste «cose» le consuma; alcune le abbiamo ridotte in cattivo stato. A volte le restauriamo; altre volte le lasciamo andare in malora, senza preoccuparci di chi vorrebbe o dovrà ancora usarle dopo di noi. Quanto meno sentiamo una cosa «nostra», anche se è nostra più di ogni altra – ed è il caso del pianeta Terra –, tanto meno ce ne prendiamo cura.


    Riusare molte di queste cose già usate non ci crea problemi. A volte siamo persino orgogliosi degli oggetti usati che possediamo, perché il tempo – e l’uso che ne è stato fatto prima di noi – dà loro una patina di nobiltà. Ma il più delle volte non ci accorgiamo nemmeno che stiamo riusando cose già usate da decine, migliaia, milioni o miliardi di esseri umani prima di noi. O accanto a noi. A volte, invece, ce ne vergogniamo; oppure riusare qualcosa che è già stato usato da altri ci fa schifo; e vorremmo che tutto intorno a noi fosse nuovo di zecca. Ma non sempre è possibile. E lo sarà sempre meno in futuro.
    Raramente, però, ci soffermiamo a riflettere sul fatto che quando andiamo al cinema o al bar ci sediamo su poltroncine già usate da migliaia di altri clienti; quando dormiamo in un albergo ci infiliamo tra lenzuola già usate centinaia di volte e dopo la doccia ci strofiniamo con asciugamani che hanno conosciuto intimamente molti altri corpi; e quando andiamo al ristorante mangiamo in piatti strausati da altri e ci mettiamo in bocca forchette e cucchiai che hanno toccato già molte altre bocche. Ma se incontriamo le stesse cose in un mercatino dell’usato, il pensiero di avere a che fare con oggetti che non usiamo noi per la prima volta ci trattiene spesso dall’acquistarli.
    E ancora. I musei sono per antonomasia il luogo in cui si conservano cose usate: da altri popoli, altre civiltà, altre epo- che, altri lavoratori, altri padroni di casa, altri collezionisti. Li frequentiamo non solo per guardare gli oggetti esposti, ma soprattutto per respirare un po’ dell’aria – e dell’aura – che quegli altri da noi vi hanno infuso. Usandoli prima di noi.
    Le cose del mondo hanno una vita propria. E nella loro vita anch’esse si usano e riusano reciprocamente, come parti, o fasi, o manifestazioni di cicli tra loro interconnessi: catene trofiche; cicli chimici, come il ciclo planetario del carbonio; cicli fisici, come quello dell’acqua; o cicli geologici, meteorologici e biologici, come quelli dell’ambiente naturale in cui viviamo. Sono tutti processi che si intersecano costituendo sistemi complessi che è difficile anche solo descrivere. L’uso e il riuso fanno parte di una dinamica intrinseca alla realtà. Che cosa cambia, allora, quando il riuso investe invece l’insieme o una parte dei beni prodotti dall’attività umana? Interrogare l’usato, farlo parlare, cercare di capire di quali inquietudini, di quali abitudini, di quali interrogativi sia il veicolo, e in che modo e attraverso quali processi lo diventi, è cosa che ci riguarda tutti.





    “La civiltà del riuso” di Guido Viale



    Per l’autore le cose, oltre ad avere una dimensione materiale e un valore economico, sono provviste di senso, ovvero portatrici di un cumulo di rimandi, e l’uomo le utilizza, a volte le ri-utilizza, senza nemmeno rendersene conto, altre volte le abbandona, cedendo al fascino, spesso scontato, del nuovo. “Quanto meno sentiamo una cosa ‘nostra’ - riflette l’autore - anche se è nostra più di ogni altra (ed è il caso del pianeta Terra), tanto meno ce ne prendiamo cura”. A spingere con impeto verso il nuovo sono soprattutto l’innovazione tecnologica, la pubblicità e la moda.

    Anche gli oggetti, però, sottolinea Viale, hanno un’anima: essi “sono la creatività, la fatica e le attenzioni che hanno contribuito a produrli, e poi la cura di cui sono stati circondati durante la loro vita” e chiedono di avere una seconda vita, di essere riutilizzati. “Il loro riuso è il modo in cui il consorzio sociale, o amicale, o famigliare, raccoglie e valorizza” tutto ciò. Ognuno ha un approccio diverso rispetto ad oggetti non più usati e di cui deve decidere la destinazione. L’autore lo spiega ricorrendo a tre differenti esempi, costituiti da tre diversi libri: “Come ho svuotato la casa dei miei genitori”, di Lydia Flem; “Il museo dell’innocenza”, di Orhan Pamuk; “La discarica”, di Paolo Teobaldi. Si passa dalla dolcezza all’amore, dal rimpianto al rancore. Sono quattro le possibili modalità di ingresso delle cose nel mondo dell’usato: si può decidere di tenerle, di regalarle, di venderle o, infine, di buttarle via. L’autore ripesca anche Charles Dickens, a suo modo di vedere forse il primo ad aver evidenziato che i rifiuti sono “l’onnipresente altra faccia della produzione di massa introdotta dalla rivoluzione industriale”. La strada degli oggetti verso il riuso è spesso lunga e fitta di passaggi di mano e di cambiamenti (pulizie, riparazioni, ecc.): si ha la possibilità di rinvenire oggetti usati di vario genere alle vendite di beneficenza, nei mercatini, in punti vendita in conto terzi e in ecocentri, tutti circuiti alternativi rispetto a quelli del commercio ordinario.

    L’autore approfondisce anche il tema della valutazione che si dà all’usato, che spesso richiede specifiche competenze e in cui rilevano principalmente la funzione e lo stato dell’oggetto, parlando poi dei principali mercati del riuso (cibi invenduti o non consumati, vestiti, materiali informatici, costruzioni con materiali di recupero e Raae, ovvero rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), ma anche di ciò che i Paesi più virtuosi hanno fatto in questi campi (messa a norma delle discariche, produzione di inceneritori di seconda generazione, raccolta differenziata e riduzione della produzione di rifiuti).


    Ma il punto di approdo della ricerca di Viale, che passa anche attraverso l’individuazione di quattro ordini di ostacoli alla promozione di una cultura dell’usato (quelli che si frappongono all’intercettazione di quanto viene dismesso; mancanza di abilità tecniche necessarie per il recupero e la manutenzione degli oggetti vecchi; ostacoli di tipo amministrativo e fiscale; razzismo), è rappresentato dalla spiegazione di un modello ideale, un’ “utopia concreta”, di rapporto tra uomini e cose (prettamente rifiuti). Esso consiste in una ricicleria modello, il “souk (mercatino, ndr) della sostenibilità”, idealizzazione di una civiltà del riuso che secondo l’autore è realizzabile e praticabile senza troppi sforzi e costi. Il recupero conviene a chi cede e a chi acquisisce, riduce il prelievo di materie prime e genera un calo nella produzione di rifiuti, promuove condivisione e socializzazione e aumenta l’occupazione.
    (Andrea Buono)



    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 18:37
     
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  5. gheagabry
     
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    Scozia, i pannolini diventano mobili e tegole

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    Il progetto pilota trasforma questi rifiuti in oggetti da arredo. 500 mila pannolini responsabili di 22 mila tonnellate di C02

    Fuori dalle case di Scozia da qualche settimana sono comparsi nuovi contenitori dell'immondizia: raccolgono esclusivamente pannolini usa e getta sporchi, il tipico oggetto da buttare su cui cala l'ombra del dubbio nel differenziare. Si tratta di umido? Indifferenziato? O cos'altro? Per questo motivo, una società scozzese ha appena lanciato il suo programma pilota di sei settimane che terminerà a fine luglio. I pannolini raccolti fuori dalle case di 4 aree urbane scozzesi verranno poi riciclati e trasformati, come già successo in passato in un progetto analogo inglese, in tegole per i tetti di casa, ma anche in altri oggetti come panchine per i giardinetti, mobili da esterno, cartoni.
    I DATI – Secondo i calcoli del Defra, il ministero inglese per l'Ambiente, ogni giorno un bimbo consuma (in media) 4,16 pannolini, per un totale di 4500 (ma si arriva anche a 6mila) nella sua vita e il 90 per cento dei piccoli in età da panno utilizza le versioni usa e getta (e non le eco-alternative lavabili). L'associazione italiana dei genitori che usano i lavabili, Nonsolociripà, spiega meglio: gli usa e getta compongono il 20 per cento dei rifiuti indifferenziati totali arrivati nelle discariche e impiegano dai 200 ai 500 anni a biodegradarsi. Nella sola Scozia, dove il progetto è partito, l'ente che ha lanciato l'idea, Zero Waste Scotland, ha calcolato che ogni anno vengono gettati 160 milioni di panni sporchi.

    IL PROGETTO – Per questo motivo, 4 contee hanno aderito al progetto e 36mila famiglie per sei settimane forniranno il materiale da riciclo: potranno depositare gli usa e getta negli appositi contenitori distribuiti per le vie dei loro paesi o recarsi ai centri di raccolta di zona. I loro pannolini verranno poi consegnati a un nuovo impianto specializzato nel riciclo, per essere trasformati in materiali alla base di alcuni oggetti di uso comune, dalle seggiole da giardino alle tegole per i tetti. Se il progetto andrà a buon fine e le famiglie scozzesi risponderanno positivamente, i comuni interessati continueranno con la raccolta differenziata, allargandola poi in futuro anche ai tamponi e pannolini per signora e a quelli per adulti.

    I PRECURSORI – Sempre in Gran Bretagna già lo scorso anno era stato lanciato un progetto simile, quando fu inaugurato il primo impianto di riciclaggio dei pannolini usati nel West Bromwich, nell'area di Birmingham, grazie a una collaborazione anglo-canadese con l'intento di trasformare in nuovi materiali (anche in questo caso si parlò di tegole) circa 500mila pannolini l'anno, raccogliendoli presso asili e ospedali, e salvare l'atmosfera da circa 22mila tonnellate di Co2. La società canadese che ha costruito il primo impianto inglese opera già con successo nello stesso campo in Canada, California e Olanda mentre anche in Francia Suez Environment sta studiando da anni come riciclare i monouso. In particolare, la società francese cerca di raggiungere un triplice obiettivo con questo tipo di riciclo: produrre nuova energia dalla parte di rifiuto organico, riusare la plastica isolata all'interno dei pannolini per fabbricare nuovi oggetti, produrre concime con l'ulteriore parte organica avanzata.



    Eva Perasso,corriere
     
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  6. gheagabry
     
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    Plastica in mare:
    46 mila pezzi per chilometro quadrato
    Dal problema alla soluzione:
    aziende e designer utilizzano la plastica di recupero.
    E l'oceano si pulisce.




    Se si potesse raccogliere tutta la plastica dispersa negli oceani, ne verrebbe fuori l’isola più grande del mondo. Secondo l’ultima stima fatta dall’Onu si tratta infatti di 100 milioni di tonnellate di materiale disperso in acqua. I rifiuti plastici richiedono migliaia di anni per degradarsi. L’acqua e i raggi ultravioletti li sciolgono lentamente in frammenti sempre più piccoli fino a spezzarli in singole molecole, difficilmente recuperabili. Questa massa continua ad aumentare e gli studi più recenti stimano una media di 46 mila pezzi di plastica per chilometro quadrato. Un numero destinato a raddoppiare nei prossimi dieci anni.
    PROBLEMA - Un problema serio, che ha convinto alcuni imprenditori a fare una scelta forte: ridare vita alla plastica dispersa nei mari. Il marchio svedese Electrolux è impegnato da due anni in questa direzione e ora ha lanciato una campagna social, Vac from the sea, per promuovere il primo aspirapolvere realizzato interamente con bottiglie recuperate dal mare. La raccolta dei rifiuti avviene con immersioni subacquee o direttamente dalla superficie. Attualmente gli aspirapolvere sostenibili corrispondono al 70% delle vendite complessive dell’azienda, ma l’obiettivo è quello di raggiungere il 100%.

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    ESEMPI - Con lo stesso obiettivo di ridurre la presenza della plastica nell’oceano e sensibilizzare al problema, lo studio britannico Swine, insieme a Kieren Jones, ha presentato all’ultima edizione del Salone del mobile di Milano la Sea Chair. Gli sgabelli, interamente realizzati con la plastica raccolta al largo di Porthtowan, vengono modellati direttamente in mare, grazie all’utilizzo di stampi semplici. Ogni sedia viene così codificata con le coordinate geografiche del luogo di produzione e numero di serie. Con questo progetto, che ha vinto il Sustain Rca, i designer vogliono denunciare l’inquinamento degli oceani e lanciare un’alternativa, non certo definitiva, all’estrazione del petrolio.

    RICICLO - Kevin Cunningham è invece un surfer statunitense che trascorrendo molte ore nell’acqua si è accorto, prima di altri, della dimensione di questo problema e ha deciso di produrre una serie di tavole usando in parte materiali riciclati provenienti dal mare. Il vetro diventa il rivestimento del surf, mentre le bottiglie di plastica prendono nuova vita nella pinna. Ci sono infine i sognatori. È il caso dello studio Whim Architecture, che ha progettato un’isola galleggiante fatta con il materiale plastico disperso nell’oceano. L’obiettivo? Creare un nuovo habitat ecologico e interamente stostenibile in cui poter vivere senza dipendere da altri. L’idea è audace, forse impossibile, ma evidenzia un problema e propone una soluzione. Infatti l’uso della plastica riciclata permette un risparmio del 90% dell’acqua utilizzata nella produzione di materiale vergine e tra l’80 e il 90% dell’energia.

    Carolina Saporiti





    corriere.it
     
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    QUANDO IL RICICLO DIVENTA ARTE

    ANNARITA SERRA

    La-Venere-cm100-x-100-Plastica-dal-Mare

    Annarita Serra, nata in Sardegna, si trasferisce a Milano, con la sua famiglia, che è ancora bambina. Frequenta il liceo artistico e si specializza in restauro di dipinti antichi. Ma negli anni ’80, dopo un master in marketing alla Bocconi, intraprende la carriera di manager in una multinazionale americana. Impegno che la porterà a vivere e a viaggiare in diversi paesi, tra i quali la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Nuova Zelanda. Nel 1990 cambia radicalmente strada per dedicarsi al suo primo amore: l’arte.

    La-Ragazza-con-lOrecchino-di-Perla-cm

    Dopo aver approfondito un linguaggio pittorico più tradizionale, ritrova le sue radici in una ricerca volta a dare una nuova identità a materiali di recupero, con particolare attenzione alla plastica raccolta sulle spiagge della sua Sardegna. Annarita punta sull’utilizzo di oggetti frammentati e tracce di spazzatura, raggiungendo un impegno estetico intenso ed una energica, e insieme dolce, comunicabilità.

    johnnydepp



    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 18:41
     
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    BERNARD PRAS

    Ritratti d’autore con i rifiuti

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    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 18:46
     
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    un vecchio articolo del 2010

    Plastica addio: meglio l'acqua elastica

    Gli scienziati giapponesi della JST hanno realizzato uno specialissimo materiale flessibile composto dal 95% di acqua. E' estremamente elastico e trasparente e potrebbe liberarci dalla dipendenza della plastica. E dal petrolio. Una simil-plastica con 95% di acqua - I ricercatori giapponesi della Japan Science and Technology Agency (JST) l'hanno subito ribattezzata " acqua elastica" proprio per la sua struttura. E' il materiale più ecologico e economico mai realizzato come sostitutivo della plastica. E' stata mostrata in esclusiva alla Tv nazionale nipponica NHK collegata in diretta con lo staff dell'Università di Tokyo. Ecologica e con grande potenziale - Questa particolare plastica trasparente e gommosa ha il 95% di comune acqua e si ottiene aggiungendo una microscopica parte di argilla e altre sostanze organiche naturali. Il risultato finale sarà gelatinoso e si dimostra perfetto per determinate applicazioni come nella chirurgia per mantenere i tessuti connessi in modo saldo e anti-rigetto. Ma variando la composizione interna dell' acqua elastica si potranno ottenere simil-plastiche differenti. La rivista britannica Nature l'ha già promosso a pieni voti, speriamo non che questa innovazione non si perda nei prossimi mesi.

     
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  10. gheagabry
     
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    RICICLARE UN QUARTIERE A DETROIT

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    Il Progetto di Heidelberg è un ambiente d'arte che si estende su due isolati di Detroit. Guyton ha iniziato il progetto quasi vent'anni fa, nel 1986, in risposta al deterioramento del suo quartiere, che veniva consumato dalla droga, dalla povertà e dalla violenza. L'arte era una soluzione. Ha ha iniziato pulendo lotti liberi, lavorando a fianco di suo nonno e bambini locali. Ha riutilizzato i detriti raccolti da lotti per costruire, ggetti trovati sulle pareti delle case deserte...tutto è diventato arte e la visione della sua comunità in "sculture di arte gigantesche." Lotti vuoti sono diventati giardini di arte pubblica. Ben presto il quartiere aveva strade pois. Guyton, che ha iniziato con uno spazio città devastata, ha lentamente trasformato tutto in colorato, Artscape fantasioso che ispira il gioco, il dialogo, e nuove idee su come ricostruire una comunità.

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    "Ho cominciato a cambiare l'ambiente", dice Guyton. "Ho cominciato a cambiare me stesso. E questo ha avuto un effetto sulla gente. "Un luogo, una volta crivellato di droga e la violenza è ora uno spazio pubblico positivo dove i bambini giocano e visitatori possono passeggiare a proprio agio. La comunità in difficoltà ha partecipato, co-creatori, - una mossa che ha dato alla comunità impoverita un senso di appartenenza e di orgoglio."
    Oggi, il progetto di Heidelberg è diventato un movimento vero e proprio, con uno staff completo, una nuova posizione dell'ufficio, uno stand informativo, artisti residenti, e una galleria.

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    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 19:19
     
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  11. gheagabry
     
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    E se invece di buttare via le matite quando diventano troppo corte,
    fosse possibile trasformarle in fiori, erbe o verdure?


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    La matita, strumento essenziale e semplicissimo, rivisitato da designer e case produttrici in mille forme, si trasforma in chiave green e diventa generatrice di vita. Sprout è una matita da usare finché non diventa così corta da non poterci più scrivere e non resta altro da fare se non piantarla nella terra. Una matita dalle due vite e dalla doppia utilità

    sprout

    Forse l’ispirazione è sorta guardando schizzi degli scienziati del passato, come Darwin, che illustrò l’attecchimento di una massa di polline sulla punta di una matita, a testimoniare la consistenza naturale dei materiali che compongono questi storici strumenti di scrittura.

    sprout_matita

    Sprout è una matita realizzata in legno di cedro, con all’estremità una capsula biodegradabile contenente dei semi che si attivano a contatto con l’acqua. Quando diventa troppo corta per essere utilizzata, bastapianta la matita in un vaso e assicurarle luce ed acqua: dopo qualche settimana nasceranno i primi germogli. La matita Sprout è disponibile in diverse varianti di piante aromatiche, ortaggi e fiori: Aneto, Basilico, Coriandolo, Menta, Peperone, Pomodoro ciliegino, Salvia, Timo, Calendula e Non ti scordar di me.



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    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 19:24
     
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    La Torre Arcobaleno di Milano

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    La Torre Arcobaleno si trova a Milano, vicino alla stazione ferroviaria di Porta Garibaldi: è alta 35 metri, è stata costruita nel 1964 e nei suoi primi anni di vita non era ancora nota come “Torre Arcobaleno”, dato che serviva semplicemente come serbatoio per l’acqua da destinare alla stazione. Negli anni Ottanta la torre perse la sua funzione, iniziò a deteriorarsi e si pensò di demolirla. In occasione dei Mondiali di calcio del 1990, giocati in Italia, si decise invece di ristrutturarla: fu rivestita con piastrelle colorate e solo allora prese il suo nome attuale, Torre Arcobaleno. Dopo i Mondiali la Torre Arcobaleno si è nuovamente deteriorata, perdendo molte delle sue piastrelle. Da alcune settimane – e anche grazie a Expo – la Torre è stata un’altra volta ristrutturata: i lavori sono costati circa 100mila euro e hanno permesso di sistemare le circa 100mila piastrelle di 14 diversi colori che ricoprono l’esterno della torre.

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    www.ilpost.it

    Edited by gheagabry1 - 11/9/2019, 19:32
     
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    Lo studio KCA ha utilizzato 5 tonnellate di rifiuti di plastica prelevati dall'Oceano Pacifico per costruire una balena di 4 piani, parte della Triennale di Bruges del 2018. Soprannominato "Skyscraper", il lavoro è "un ricordo delle 150.000.000 tonnellate di rifiuti di plastica che ancora nuotano nelle nostre acque". Studio KCA ha lavorato con l'Hawaii Wildlife Fund e il Surfrider Foundation Kaui Chapter per raccogliere i rifiuti usati.

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    da giuliascardone

    BUSTINE IN GEL DI SILICE, SONO DAPPERTUTTO.
    ECCO 4 MOTIVI PER NON BUTTARLE VIA


    gel-di-silice-silica-gel


    Domenica 14 Giugno 2015, 20:00

    ROMA - Avete presente le bustine di gel di silice? Di solito le troviamo all'interno delle scatole delle scarpe, o nelle buste nelle quali sono conservati i maglioni, le t-shirt o le felpe.

    Il più delle volte vengono gettate nei rifiuti, ma hanno delle proprietà davvero sorprendenti e possono rivelarsi utilissime nella vita quotidiana per risolvere qualche problemino.

    Per la manutenzione della tua argenteria Avete sentito bene: lasciando i sacchettini di silice dentro il cassetto dove è riposta l'argenteria, vi aiuteranno ad evitare che diventino scuri e sporchi.

    Per salvare il tuo smartphone se vi è caduto in acqua. Togliete la scheda sim e la batteria (se vi è possibile). Conserva i componenti del telefono all'interno di un sacchetto pieno di pacchettini di gel di silice per 48 ore.

    Per conservare documenti e riviste e per allontanare il pericolo che si rovinino per colpa dell'umidità. Le bustine di gel di silice fungono da deumidificatore e quindi, conservando i libri insieme a loro, eviterete che vengano rovinati dall'umidità.

    Puzza delle scarpe, addio. Si, è tutto vero: inserendo le bustine all'interno delle vostre calzature, il cattivo odore verrà eliminato.

    © RIPRODUZIONE RISERVATA


    FONTE:
    © www.leggo.it/NEWS/ITALIA/gel_silice...e/1410727.shtml,
    web,www.eco-risparmio.it
     
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    'I materiali sono le metafore'

    I corvi di Roadkill installati all'esterno
    della Confederation Centre Art Gallery


    roadkill-crow

    Due enormi gigantesche cornacchie giacevano fuori dall'entrata della Confederation Centre Art Gallery di Charlottetown, nell'ottobre 2018

    roadkill-crow__1_

    Le sculture, ispirate al roadkill, sono realizzate con pneumatici vecchi. Ciascuno è lungo circa cinque metri e pesa più di 360 chilogrammi.
    "Spesso quando faccio le mie opere i materiali sono le metafore, quindi le gomme sono esattamente la causa della catastrofe", ha detto l'artista Gerald Beaulieu.
    I corvi sono stati originariamente creati per l'evento Art in the Open di Charlottetown alla fine di agosto, ma sono rimasti al Centro Confederale tutto l'inverno sull'atrio.

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    Edited by loveoverall - 1/2/2019, 14:27
     
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