GABRIELA MISTRAL

poetessa cilena

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    Gabriela Mistral











    La tranzione dall’Ottocento al Novecento nella letteratura Ispano-Americana sembra esprimersi perfettamente nel singolare fiorire della poesia femminile. Nel periodo immediatamente successivo al trionfo del Modernismo appare in America una considerevole schiera di poetesse. L’America del Sud è stata definita Continente Lirico per eccellenza, terra di intima tristezza: perciò tanto canto femminile, canto quasi sempre di dolore. È una poesia fondamentalmente pessimista, con rari momenti di ottimismo. Raffinata nell’espressione, fa tesoro degli insegnamenti modernisti, ricerca la musica nella sensazione sottile, si studia nell’intimo con voluttà malata.

    La maggior espressione della poesia femminile del novecento, è una delle voci più alta della poesia ispano-americana moderna: la cilena Gabriela Mistral (1889- 1957), pseudonimo di Lucia Godoy Alcayaga. (Gabriela lo sceglie citando due poeti che ammirava profondamente: Federico Mistral e Gabriele d'Anunzio.

    Gabriela Mistral ebbe un ruolo fondamentale nei progetti di riforma del sistema educativo messicano e cileno e fu membro attivo della commissione culturale della Lega delle Nazioni. Fu console cileno a Napoli, Madrid, Petropolis, Nizza, Lisbona, Los Angeles, Santa Barbara e New York. Dal governo cileno fu inviata in Spagna come rappresentante delle donne universitarie cilene al congresso universitario dell'Istituto di Cooperazione Intellettuale. Nel 1924 si recò negli Stati Uniti dove insegnò letteratura spagnola in numerose università. Fra il 1925 e il 1934 visse in Francia ed in Italia dove ebbe prestigiosi riconoscimenti dall'Università di firenze. Durante la sua permanenza in Europa scrisse più di cinquanta articoli per quotidiani e riviste e lavorò, tra gli altri, con Madame, Curie e con il filosofo francese Henry Bergson, premio Nobel per la letteratura nel 1927.

    Nel 1946 - l'anno in cui il mondo stava uscendo dall'incubo della guerra - le fu assegnato il premio Nobel per la letteratura. Per la terza volta ad un autore di lingua spagnola, e per la prima volta ad un'autrice latino americana. La sua poesia era ancora pressoché sconosciuta al di fuori dell'America latina ed improvvisamente, a cinquantasei anni, lei persona schiva e riservata, raggiunse la fama internazionale che meritava.

    Il premio Nobel le fu consegnato accompagnato da queste parole "Gabriela Mistral, questa cilena che salutiamo con ammirata commozione nel piccolo novero delle donne che hanno vinto il nostro premio, si avvicina fraternamente nel nostro ricordo a un'italiana altrettanto inizialmente sconosciuta, Grazia Deledda. Molte cose le uniscono. L'oscuro lavoro in condizioni disagiate, le difficoltà rovesciate dalla loro tenacia creativa e dal loro calore umano; e quello sguardo puntato sui piccoli, sui miseri, sulle esistenze che proliferano nell'ombra magica di province in cui si svolge la drammatica lotta tra fede e superstizione, tra preistoria e modernità".

    La Mistral amava moltissimo l'Italia, amore che le fece esprimere il desiderio di "possibilmente morirci", ma morì a New York il 10 gennaio 1957. Gli ultimi anni della sua vita, malata di leucemia, li aveva passati negli Stati Uniti dove aveva tenuto alla Columbia University, affollatissime conferenze. Sulla sua tomba, che si trova in Cile nel Norte Chico, Gabriela Mistral ha voluto incise queste parole: "Come l'anima sta al corpo, così l'artista è per il suo popolo".











    La sua morte provocò un nuovo plebiscito di adesioni e ben possiamo affermare che la sua figura appartiene ormai al gruppo dei classici ispano-americani. Maestra normale, la Mistral trova la sua ispirazione nell’umile contatto con le cose, che la porta sempre più intimamente alla comprensione dell’anima del continente. La natura e i bimbi sono i temi principali della sua lirica, ma l’origine del suo successo essa lo deve a un tragico episodio affettivo, che colorò e segnò tutta la sua esistenza: l’abbandono dell’amato ed il suo suicidio. Ne vennero i Sonetos de la Muerte che, presentati a un concorso poetico nel 1914, rivelarono d’improvviso la sua grandezza lirica: da quel momento le arrise il successo e la sua figura si impose nel continente.






    Opere






    Suoi libri fondamentali restano le raccolte dai titoli Desolación (1922), Ternura (1944). A stretto rigor di termini basta Desolación a dare la misura della Mistral, perché proprio in questo libro la sua arte raggiunge il punto più alto, in una sincerità che si effonde con potenza d’immagini singolari. In essa sono già presenti tutti i motivi della poesia mistraliana: amore, sogno, natura, culto della fanciullezza, ma soprattutto è presente il dolore, che occupa parte preponderante della raccolta, il dramma della morte e della passione, dolore dal quale, in ultima analisi, tutti gli altri motivi si originano.

    Il critico Onís ha dato della Mistral la definizione più esatta:
    “ Anima tremendamente appassionata, grande in tutto, dopo aver vuotato in alcune poesie il dolore della sua desolazione intima, ha riempito il suo vuoto con le preoccupazioni per l’educazione dei bimbi, la redenzione degli umili e il destino dei popoli ispanici. Tutto ciò in lei non è altro che una pluralità di modi per l’espressione del sentimento cardine della sua poesia: l’ansia insoddisfatta di maternità, che è al tempo stesso istinto femminile e anelito religioso di eternità”.

    Desolación è un libro profondamente triste, anche se vi sono canti di bimbi e riso argentino. Le prime poesie della raccolta segnalano già l’orientamento doloroso: la poetessa canta del proprio destino di donna sterile, e sorge ancor più acuta la tenerezza per gli altri bimbi. Tanto tormento contribuisce ad aggravare il peso della vita. Gabriela Mistral trova la rispondenza al suo stato d’animo nella natura, in:

    Ne La encina ( La quercia), ad esempio, essa vede l’immagine della vita, vento che passa per il vasto fogliame come un incantesimo, senza violenza e senza voce, facendola fiorire, ma anche intristendola.
    Il capitolo che intitola Dolor rivela un aggrapparsi disperato, un cedimento doloroso. È in questo capitolo che sono inclusi i versi del suo tormento d’amore, quelli della tragedia determinata dal suicidio dell’amato. Dio stesso, per la donna tribolata, diventa sì creatura viva, ma ancora troppo poco umana per la sua pena.

    Nel Nocturno c’è una chiusa sofferenza, colorata di pianto represso. L’angoscia del suo destino s’accresce e conduce al grido che già fu del Cristo nell’ora dell’agonia:
    “Padre Nuestro che estás en los cielos “Padre Nostro che sei nei cieli
    ¡por qué te has olvidado de mí! “ perché ti sei dimenticato di me!”

    Nei Sonetos de la Muerte è ormai un cuore stanco che palpita;la passione amorosa frustata si colora di tinte funebri. Le liriche sembrerebbero concludere il dramma dell’amore mistraliano, ma proprio dopo i Sonetos nasce la poesia più forte della Mistral. Se rivali terrene non preoccupano più la donna innamorata, ora è la sorte ultraterrena dell’amato che l’inquieta, e questa inquietudine cresce fino a diventare delirante disperazione, sete di perdono per lui, desiderio di penetrare i misteri divini. Nel Ruego (Preghiera o Supplica) la visione postuma dell’amato è ormai puro sentimento, dolore.

    Col passare degli anni si fa largo anche il tormento della maternità frustrata, e l’amore per tutti i bimbi della terra, visibile già nelle prose poetiche dei Poemas de las Madres, in cui la Mistral si lascia trasportare dall’onda emotiva, ma particolarmente visibile nelle Canciones de cuna (Ninne nanne), nei delicati ritmi delle quali la poetessa sembra trovare finalmente quiete alla propria pena. In realtà il dolore è solo assopito, e si manifesta nella stessa tenerezza intensa con cui la Mistral canta le piccole creature; il “velloncito” della sua carne è realmente una piccolissima, tenera cosa:

    Velloncito de mi carne
    Que en mi entraña tejí,
    velloncito friolento,
    ¡duérmete apegado a mí! Agnellino della mia carne
    che ho tessuto nelle mie viscere,
    agnellino freddoloso,
    addormentati attaccato a me!


    Sono termini trasparenti e palpitanti di emozione. Gabriela Mistral risuscita, qui, tutta la tenerezza della donna iberica. Attraverso questi versi si percepisce chiaramente che la serenità non è tornata nell’anima della poetessa. Il suo verso cerca la trasparenza, e raggiunge musicalità in cui la parola, pur imprescindibile, quasi si annulla, mentre vive un unico stato d’animo, misto di dolore, d’amore, di tenerezza, e di rimpianto.

    A tutti i sentimenti accennati fa sfondo la natura, che in Desolación compare solo a rispecchiare il momento più intenso della tragedia. I paesaggi della Patagonia, tra i quali si era rifugiata la donna ferita, non portano che nuovo tormento al suo cuore. La sua desolazione rispecchia nel paesaggio, di cui canta la densa bruma, la terra senza primavera, la lunga notte, il venti che intorno alla sua dimora costruisce un cerchio di singhiozzi e di lamenti.
    In Desolación tutto è, in definitiva, ancora e sempre amaro dolore, superamento, infine, della nota personale per cogliere un nascosto dolore cosmico.

    La raccolta successiva, Tala (1946), appare come offerta ad un alto ideale di umanità: i proventi del libro sono destinati ai bimbi spagnoli che la guerra civile ha disperso per il mondo. Sotto tali auspici Tala non può essere che un’ulteriore nota di pianto e un nuovo momento nell’interpretazione del dolore universale. La visone che la Mistral ha di sé è sempre più disperata e straziante, ma vi è in Tala un nuovo sforzo per superare l’episodio personale, proiettando il dolore della propria anima su un piano più alto, portandolo quasi a tonalità mistiche. È il significato nel Nocturno del descendimiento quell’improvviso cogliere, nell’ìmpeto della supplica a Dio quando più sembra essersi dimenticato del mondo, la piccolezza della propria tragedia. Davanti al Cristo dolorante delle semplici croci disseminate sui monti cileni, al cospetto di tanto strazio divino, l’umano dolore della Mistral si sfoca; essa sente il suo Cristo, il Dio che soffre, non il Dio splendente di gloria, vicino più che mai, e a lui può abbandonarsi


    Acaba de llegar, Cristo, a mis brazos,
    peso divino. Dolor que me entregan. Giungi finalmente, Cristo, alle mie braccia,
    peso divino, dolore che mi affidano.



    Da questo momento si perfeziona anche il processo di immedesimazione con la natura. Scoperto il Cristo tra i suoi monti, sembra che proiprio nella cordigliera Gabriela Mistral trovi il senso epico della sua poesia, che diviene canto alla grandezza primitiva dell’America. I versi vanno perdendo le dolcezze della rima, ma acquistano vigore arricchendosi, nel vocabolario, di arcaismi che la poetessa usa con compiacimento , e che servono a rendere la maestosa e allucinante grandezza del paesaggio americano.

    Per giungere a comprendere la totalità del paesaggio continentale Gabriela Mistral segue un cammino di avvicinamento graduale, la conquista, prima, dell’anima di ogni singolo elemento. Lo si vede nel gruppo di composizioni riunite sotto il titolo Materias. Penetrata la materia essa può celebrare l’essenza profonda della sua terra. Negli inni americani la poesia si arricchisce, infatti, di colore e si rafforza nel tono ampio del verso maggiore. Essa canta il sole del tropico, il sole degli Incas e dei Maya, “maduro sol americano”, che illumina valli e montagne, pianure e abissi immensi, circondati da tanta acqua marina. Nelle Ande, la Mistral sente la sua razza, quella india che rivendica, agitarsi sulla terra che arde sotto il grande miracolo, formicolio di vita pura che grida verso l’Avvenire.

    Del paessaggio, ciò che maggiormente colpisce la Mistral non è la pianura, ma lo scheletro gigantesco della cordigliera, che nella sua colossale ossatura unisce tutte le terre americane. Nel secondo inno, Cordillera la canta, madre che giace e sempre cammina, essere che palpita nel suo cuore e in quello di tutti i popoli che vivono al suo contatto, grande come la speranza, distesa attraverso tutto il continente, “carne di pietra dell’America”. Più tardi Pablo Neruda celebrerà anch’egli questo aspetto del mondo americano. Dalla natura sale, finalmente, la parola di speranza che Gabriela aveva promesso alla fine di Desolación; non certo una parola di speranza per sé, ma per tutto il suo popolo.

    La raccolta Ternura (1945), non apporta nulla di nuovo. Gli accenti fondamentali si imperniano sulla visione tenera dei bimbi, ed erano già presenti in Tala e in Desolación. [...] Ma anche se il nuovo libro non rappresenta una novità, esso indica un fissarsi dell’artista su tinte sempre più tenere e pure, in un tentativo di fratellanza universale in nome del fanciullo. La figura del bimbo diviene protagonista esclusiva di quest’ultima fase mistraliana; il suo verso supera la materia avvolgendo in un abbraccio d’amore tutta l’umanità. La Mistral vede nel bimbo il fondamento di tutta la vita, l’avvenire d’amore di tutto il continente.

    Il significato della Mistral, artista e apostolo d’amore e d’umanità, appare sempre più grande nella prospettiva attuale della letteratura ispano-americana. La traiettoria della sua poesia rivela quella della sua anima, che trova la luce nel miracolo fermamente creduto di un mondo nuovo risorgente dalle tenebre delle passioni. Nel coro americano la sua è voce inconfondibile di una sensibilità e di un’arte che recano genuina l’impronta di un mondo nuovo. Lagar (1954) è il suo ultimo libro di versi, per molti aspetti assai vicino a Desolación, permeato di tristi richiami e di insistenti presenze di morte, ma aperto anche a nuove manifestazioni d’amore per la natura e per gli uomini.






    Intima






    Non stringere le mie mani.
    Verrà il tempo infinito
    di riposare con molta polvere
    ed ombra tra le dita intrecciate.

    E tu dirai :
    "Non posso
    più amarla; le sue dita
    si sgranarono come le spighe".

    La mia bocca non baciare.
    Verrà l'istante pieno
    di spenta luce, senza labbra
    starò sotto un umido suolo.

    E tu dirai: "L'amai, ma non posso
    amarla più, ora che non aspira
    l'odore di ginestre del mio bacio".

    E mi rattristerò nell'udirti;
    tu parlerai come un cieco ed un pazzo,
    perché la mia mano sarà sulla tua fronte
    quando le dita si spezzino,
    e scenderà sopra il tuo volto
    pieno d'ansia, il mio respiro.

    Non mi toccare dunque. Mentirei
    nel dirti che ti dono
    il mio amore nelle braccia mie protese,
    nella mia bocca, nel mio collo,
    e tu, credendo d'averlo esaurito
    ti sbaglieresti come un bambino ingenuo.

    Perché il mio amore non è solo questo
    stanco e restio covone del mio corpo,
    che trema tutto offeso dal cilicio
    e in ogni volo mi resta indietro.

    È ciò che sta nel bacio e non nel labbro,
    ciò che spezza la voce e non il petto:
    ma è un vento di Dio, che passa lacerando
    nel suo volo, la polpa delle carni.











    Gabriela è triste, le manca un figlio, e ciò viene espresso nella poesia La donna sterile:






    La donna che non culla un bimbo nel suo grembo,
    il cui calore e aroma raggiunga le sue viscere,
    ha tra le mani sue la stanchezza del mondo;
    un'infinita angoscia le intride tutto il cuore.

    Il giglio le ricorda la tempia di un bambino;
    e l'Angelus le chiede altra bocca che preghi
    e interroga la fonte dal seno di diamante
    perché il suo labbro spezza il cristallo tranquillo.

    E nel guardarsi gli occhi si ricorda la zappa;
    pensa che nel vuotarsi dei suoi non vedrà estatica
    dentro quelli di un figlio il fogliame d'ottobre.

    Nei cipressi ode il vento, con duplice tremore.
    E una mendìca incinta, il cui seno fiorisce
    come messe a gennaio,
    la copre di vergogna.






    Gocce di fiele






    Non cantare: resta sempre attaccato
    sulla tua lingua un canto;
    quello che doveva essere trasmesso.

    Non baciare: resta sempre per una strana maledizione
    il bacio che non viene su dal cuore.

    Prega: pregare è dolce: però sappi
    che la tua lingua avara non giunge
    a dire il solo Padre Nostro che ti salvi.

    E non chiamare come clemente la morte,
    perché nel corpo di bianchezza immensa
    resterà un vivo brandello che sente
    la pietra che ti soffoca
    ed il vorace verme che ti fora.














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    grazie Silvana....si entra in un mondo
     
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