BERNINI GIAN LORENZO

scultore, architetto e pittore

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    GIAN LORENZO BERNINI



    Gian Lorenzo Bernini nacque il 7 dicembre 1598 a Napoli, città nella quale il padre Pietro, toscano nato nei dintorni di Firenze, anche lui scultore, si era da poco trasferito con la moglie, la napoletana Angelica Galante, per lavorare nel cantiere della Certosa di San Martino. Nel 1605 tornarono a Roma e Pietro ottenne la protezione del cardinale Scipione Borghese ed ebbe l'occasione di mostrare il precoce talento del figlio.
    Pietro Bernini, rientrato a Roma nel 1605 per lavorare nei cantieri di Paolo V Borghese, realizzò in questo periodo quello che sarebbe stato comunemente riconosciuto il suo capolavoro, il rilievo in marmo raffigurante l'Assunzione della Vergine nel battistero della basilica di Santa Maria Maggiore, un esempio di traduzione in termini scultorei dei valori della pittura devozionale contemporanea; una tecnica quella di Pietro particolarmente attenta alla resa degli effetti pittorici, le barbe e i capelli resi con il traforo, i panneggi profondi, il rilievo delle figure che aumenta nei personaggi in primo piano, tutte tecniche che il figlio utilizzerà nelle sue prime prove autonome. Altra impresa di Pietro che ebbe molta importanza nella formazione di Gian Lorenzo, fu la costruzione della Cappella Paolina, progettata da Flaminio Ponzio, destinata ad accogliere le tombe dei papi Paolo V e Clemente VIII, in cui Pietro partecipò insieme ad una schiera di altri scultori e pittori al complesso progetto decorativo, in particolare realizzando l'altorilievo con Incoronazione di Clemente VIII nel 1611.
    Importante fu per il giovane Bernini la conoscenza dell'organizzazione di un cantiere collettivo (in futuro ne dirigerà molti) e la fusione all'interno di un progetto architettonico e iconografico di scultura e pittura unite in un ambiente ricco di marmi policromi.



    La Roma dell'inizio del XVII secolo era una città che viveva un periodo di fervore di un mondo artistico eccezionale, di grandi novità, di rivoluzioni vere e proprie, come l'esplosione, proprio in quegli anni, della pittura caravaggesca, sul fronte naturalistico, e di quella carraccesca su quello accademico e rispettoso della tradizione figurativa rinascimentale mentre quella rubensiana apriva la strada al barocco; ma soprattutto città che ospitava artisti provenienti da tutta Europa, in un continuo confronto e scambio di conoscenze ed esperienze.
    Le prime opere del Bernini rivelano subito la grandezza del suo talento, rappresentando i massimi raggiungimenti del barocco. Anni dopo, già maturo, l'artista confessò, rivedendo uno dei suoi capolavori giovanili (l'Apollo e Dafne): "Oh quanto poco profitto ho fatto io nell'arte della scultura in un sì lungo corso di anni, mentre io conosco che da fanciullo maneggiavo il marmo in questo modo!"
    Nella prima fase stilistica, Bernini dimostra un interesse e un rispetto assoluto della scultura ellenistica in opere che imitavano alla perfezione lo stile antico, come nell'opera detta Capra Amaltea nella quale l'artista adottò una particolare tecnica di invecchiamento del marmo,tanto da far credere agli studiosi che la statua fosse d'età ellenistica. Il Bernini imita anche l'ultima fase della scultura di Michelangelo Buonarroti come rivelano il San Sebastiano della collezione Thyssen di Madrid e il San Lorenzo sulla graticola, della Collezione Contini Bonacossi di Firenze.
    Con i quattro gruppi borghesiani, che lo tennero impegnato per cinque anni, Gian Lorenzo ottenne una fama immediata.
    Si tratta di Enea e Anchise, del Ratto di Proserpina (1621-1622), del David (1623-1624) e di Apollo e Dafne (1624-1625); tre soggetti mitologici e uno biblico che dimostrano l'interesse antiquario del suo mecenate: il cardinale Scipione Borghese.
    A partire da "Enea e Anchise", lo stile mostra un'evoluzione, con qualche incertezza formale e delle citazioni dirette dalle opere di Raffaello come l'Incendio di Borgo. Per le opere di questo gruppo è probabile che vi sia stato il consiglio paterno: seguono poi il Ratto di Proserpina, una più libera interpretazione dell'arte ellenistica e nella figura di Plutone una ripresa delle cariatidi color pietra, affrescate da Annibale Carracci nella Galleria Farnese; il David, bloccato nell'atto culminante del confronto con Golia, che non si vede ma che è implicito grazie ai gesti e all'espressione dell'eroe biblico, ripreso in parte dal Polifemo, affrescato sempre da Annibale Carracci nella Galleria Farnese; l' Apollo e Dafne un'invenzione figurativa che sospende i due personaggi nell'attimo culminante dell'azione e del dramma, fondendo le figure con lo spazio circostante. Si può affermare che in queste composizioni l'artista fissava un momento transitorio, cioè il punto culminante dell'azione. Inoltre l'osservatore, grazie a una quantità di espedienti, è attratto nella loro orbita: un esempio di ciò che i contemporanei intendevano con l'espressione Ut pictura poesis.



    Ma ciò che colpiva e che affascinava gli osservatori e che fece ben presto di Bernini un mito della sua epoca era il virtuosismo, il naturalismo estremo, la capacità di resa dei particolari anatomici, naturalistici, degli effetti materici e chiaroscurali; inoltre, la novità di gruppi scultorei che entrano in relazione con lo spazio circostante in maniera più libera e articolata, come soltanto Francesco Mochi nel 1605 aveva fatto con le statue per il duomo di Orvieto.
    Lo studio dell'antico per Gian Lorenzo fu alla base della sua formazione artistica: alcuni restauri ne indicano il gusto e gli intenti precisi, volti a un'interpretazione originale dell'ellenismo nelle creazioni come l'Ermafrodito del Louvre (in cui aggiunge un letto in marmo dall'effetto realistico ad una statua antica), ma anche al rispetto della sua integrità e della lettura filologica dell'opera, come dimostra il restauro del cosiddetto Ares Ludovisi del 1627. L'opera, una raffigurazione di Achille stante, con le armi poggiate, viene restaurata dal Bernini come un Marte, aggiungendo un putto nelle sembianze di Amore, e ripristinando tutte le parti mancanti rendendole riconoscibili dalla scelta differente del marmo e dal diverso trattamento eseguito nella lavorazione.
    Virtuosismo e imitazione del vero erano le doti che i committenti illustri richiedevano allo scultore. Il genere del busto-ritratto fece la sua fortuna, anche economica: per tutta la sua vita gli fu richiesto di eseguire i ritratti dei papi, dei regnanti, dei nobili, dei personaggi più importanti ed influenti del suo tempo, a partire dai due che ritraggono il cardinale Scipione Borghese, scolpiti nel 1632, che colgono il personaggio nel momento immediatamente prima del pronunciamento di una parola; per il Bernini, che era un acuto osservatore, era questo il segreto per rappresentare al meglio un carattere umano: fermarlo, immobilizzarlo in un qualsiasi momento della vita e in quel momento rappresentarlo.
    Molti furono i capolavori tra i ritratti dell'artista come il ritratto di Paolo V Borghese del 1620.
    Nel 1621 ottenne la Croce dell'Ordine di Cristo per aver eseguito il "Ritratto di Gregorio XV". Tra il 1630 e il 1635 realizza il busto-ritratto di "Costanza Buonarelli", moglie di un suo allievo e amata dall'artista. Anche qui, la donna è colta di sorpresa, con la bocca socchiusa e la camicetta aperta sul petto.
    I potenti dell'epoca gradivano essere ritratti "all'eroica", molto spesso idealizzati nell'aspetto e nell'espressione, con drappi agitati dal vento e una cascata di riccioli; questo fece la fortuna di molti artisti, tra cui anche il Nostro.
    Allo Chantelou, suo biografo e confidente durante il soggiorno in Francia, Bernini confidò di essersi ispirato alla ritrattistica di Raffaello, sul tipo del ritratto di Bindo Altoviti, ma anche che per ottenere il massimo effetto di naturalezza bisognava portare il soggetto verso un atteggiamento caricato, finto e teatrale. Solo in quel modo si potevano evidenziare i difetti e le espressioni che più caratterizzavano ogni personaggio. Molto spesso usava fare uno schizzo sommario o una caricatura vera e propria.
    In alcuni casi Bernini fu costretto a fare ritratti senza il modello davanti come nel caso di Francesco I d'Este, di Richelieu ma le difficoltà, diceva, erano importanti, in quanto:
    « Chi vuol sapere quel che un uomo sa bisogna metterlo in necessità. »



    Alcuni ritratti sono legati ad aneddoti celebri su Bernini. Ne è un esempio il busto di Scipione Borghese: poiché, durante il lavoro, il marmo mostrò un difetto, l'ignaro Scipione fu invitato a non posare per qualche giorno, ignorando che quello era il tempo necessario a scolpire un busto esattamente identico. L'episodio, che circolò in seguito, servì ad incrementare il mito della sua bravura e velocità d'esecuzione.
    Il 1623 fu un anno cruciale per le sorti di Roma, anche dal punto di vista artistico. Fu eletto papa Matteo Barberini col nome di Urbano VIII, un pontefice ambizioso, amante delle arti e grande ammiratore di Bernini, da lui considerato l'artista ideale per realizzare i suoi progetti urbanistici e architettonici, per dare forma ed espressione alla volontà della Chiesa di rappresentarsi come forza trionfante, attraverso delle opere spettacolari, con uno spiccato carattere comunicativo, persuasivo e celebrativo.
    Doveva essere un'arte che fondeva diverse tipologie: l'architettura, la scultura e l'urbanistica, che avevano nel teatro il loro denominatore comune: Bernini fu infatti un realizzatore di scenografie e opere teatrali molto apprezzate, nelle quali utilizzava ogni espediente possibile per stupire il pubblico con effetti illusionistici, riutilizzati poi nelle sue architetture.
    La prima commissione barberiniana fu, nel 1623, la statua di Santa Bibiana, nell'omonima chiesa, che comprendeva anche il progetto della facciata e una statua che ritrae la santa in un momento di estasi. La scultura, che dialoga con le pitture di Pietro da Cortona, un altro protagonista del barocco romano, segna un ulteriore momento di cambiamento dello stile dello scultore, con un panneggio già barocco, mosso ed espressivo, tanto da evidenziare l'estasi della santa, creando al contempo accentuati effetti chiaroscurali. In seguito userà sempre maggiormente l'espediente di utilizzare l'abbigliamento e i drappeggi come mezzo per sostenere un concetto spirituale in un gioco di rientranze e sporgenze, luci e ombre.
    Il sodalizio artistico di Urbano VIII col suo artista prediletto troverà in San Pietro il suo luogo ideale: la basilica sorta sul luogo della sepoltura dell'apostolo Pietro, fondatore della Chiesa cattolica, doveva rappresentare la rinascita della Chiesa stessa e la sua rivincita morale e spirituale dopo la crisi del secolo precedente.
    Il Papa voleva che il nuovo altare situato sopra la confessione fosse sormontato da un enorme baldacchino bronzeo, costruito tra il 1624 e il 1633, poggiato su basamenti marmorei con lo stemma barberiniano. Sviluppato su quattro colonne tortili lungo le quali si dipanano racemi e motivi naturalistici, termina con quattro volute che si incurvano a dorso di delfino sorrette da angeli, e culmina con il globo e la croce: si ispira ai baldacchini effimeri utilizzati durante le Quarantore o altre cerimonie religiose. Bernini in questo modo ha bloccato nel bronzo un'invenzione provvisoria, con tutto il suo carico di trionfo effimero.



    La zona attorno, formata dai quattro piloni che sorreggono la cupola, fu dedicata al culto delle reliquie con nicchie contenenti statue monumentali di santi: San Longino di Bernini, Sant'Elena di Andrea Bolgi, Sant'Andrea di Francois Duquesnoy e infine la Veronica di Francesco Mochi; statue che sembrano dialogare con l'ambiente circostante, animate da panneggi mossi, e che vanno oltre lo spazio fisico delle nicchie; tutte le statue sono posizionate sotto le logge contenenti le reliquie stesse. Nel Longino, tre giri di pieghe partono dal nodo sotto il braccio sinistro, guidando lo sguardo verso la replica marmorea della sacra lancia, reliquia conservata nella cripta sottostante, in tal modo il panneggio acquista vita autonoma, svincolandosi da ogni logica concatenazione.
    Nel 1627 comincia la costruzione del monumento sepolcrale di Urbano VIII: terminato molti anni più tardi, fu collocato in posizione simmetrica rispetto a quello cinquecentesco di Paolo III Farnese, il papa del concilio di Trento, cioè colui che aveva iniziato la riforma della chiesa che si considerava conclusa proprio dal Barberini. Questo monumento si ispira alle tombe medicee di Michelangelo, con la statua del Papa in cima in atto di benedire e con ai lati del sarcofago le figure allegoriche della Carità e della Giustizia. Al centro uno scheletro, in luogo della consueta statua allegorica della Fama che scrive l'epitaffio. L'innovazione iconografica sta a significare che anche la morte, rappresentata dallo scheletro, rende omaggio alla gloria del Papa.
    Con Urbano VIII crebbe la fortuna del Bernini, che fece incidere le stampe per le edizioni delle poesie latine del pontefice nel 1631.
    Al 1642-43 risale la bellissima Fontana del Tritone, la prima delle sue fontane: un insieme di motivi classici e secenteschi in una fantasia del tutto barocca.
    La fortuna dell'artista sembra fermarsi improvvisamente con la morte del suo protettore: infatti nel 1644 comincia il pontificato di Innocenzo X Pamphili, molto più austero, a causa della crisi economica dello stato pontificio dopo la guerra di Castro e del ridimensionamento del suo potere in seguito al trattato di Westfalia del 1648.
    Nel 1644 Bernini, che era stato rispettato, ma anche temuto e odiato per il potere quasi dittatoriale esercitato sul mondo artistico romano, subì anche l'umiliante abbattimento del campanile posto sulla facciata della Basilica di San Pietro, per problemi di statica e per la natura cedevole del terreno sui cui insistevano.
    I suoi detrattori lo consideravano un cattivo architetto dal punto di vista tecnico, e si vendicarono.
    Quelle persecuzioni ingiuste ispirarono allo scultore uno dei gruppi più felici e forti tra le sue opere: la "Verità scoperta dal tempo", rimasta però incompiuta con la sola figura della "verità". Con la successiva riconciliazione con il Papa iniziò uno dei periodi più favorevoli per le meditazioni del Bernini ..In questi anni ebbe modo però di realizzare anche uno dei suoi capolavori assoluti, un'opera che nei suoi valori estetici e culturali rappresenta uno dei fatti artistici più importanti del XVII secolo, la Cappella Cornaro nella chiesa di Santa Maria della Vittoria con l'estasi di santa Teresa d'Avila.
    Bernini, nel rappresentare un evento estatico organizza lo spazio angusto di una cappella come uno scenario teatrale, con tanto di spettatori, i familiari del committente ritratti a mezzo busto e sporgenti da palchetti laterali, e il gruppo centrale della santa, con l'angelo che la trafigge con un dardo, sulla scena.



    La santa ha un'attitudine talmente sensuale da far dimenticare a molti osservatori la natura mistica e spirituale dell'evento.
    Inoltre gli permise nel 1644 di realizzare la Fontana dei Quattro Fiumi a Piazza Navona a Roma, con al centro un obelisco su un basamento di travertino che imita gli scogli, le rocce, i palmizi e i muschi con le quattro statue allegoriche dei fiumi.
    In seguito realizzò: il "Monumento di Suor Maria Raggi" a Santa Maria sopra Minerva, la "Verità" custodito nella Galleria Borghese e i busti di Innocenzo X, custodito nella Galleria Doria Pamphilj, e di Francesco I d'Este nel museo Estense di Modena.
    Con l'elezione di Fabio Chigi, che sceglie il nome di Alessandro VII nel 1655, torna un papa umanista, che come Maffeo Barberini trent'anni prima si circonda di artisti e architetti per l'esecuzione di ambiziosi progetti urbanistici.
    In S. Pietro termina l'apparato decorativo interno con la spettacolare macchina della Cattedra di San Pietro (1657-1666)...All'esterno costruisce il colonnato ellittico, un intervento urbanistico e architettonico, uno spazio dedicato alle cerimonie religiose pubbliche, un'invenzione dal forte contenuto allegorico, che sottintende all'abbraccio della Chiesa, intesa come istituzione ecumenica, alla totalità del suo popolo.
    Bernini era ormai un artista di fama internazionale, e nel 1644 il ministro Colbert per conto del re Luigi XIV convinse il Papa a concedergli il suo artista prediletto e così il 29 aprile 1665 l'artista partì per la Francia, con l'intento tra l'altro di progettare la ristrutturazione del palazzo del Louvre. Fu accolto come un principe.
    L'esperienza francese durò però pochi mesi, il 20 ottobre ritornò a Roma, dopo essersi reso conto che il suo stile non incontrava il gusto dei committenti francesi e i suoi progetti rimasero sulla carta. Riuscì soltanto a completare il ritratto di Luigi XIV.
    Sotto il nuovo papa Clemente IX Rospigliosi, lo scultore esegue una serie di angeli portanti i simboli della Passione di Cristo da collocare lungo Ponte Sant'Angelo. Di queste opere, solo una è autografata ed è ora collocata nella chiesa di Sant'Andrea delle Fratte.
    Muore il 28 novembre del 1680; la sua reliquia viene posta nella chiesa di Santa Maria Maggiore, a Roma. Il suo ultimo lavoro è il busto del Salvatore conservato nel convento di San Sebastiano fuori le mura a Roma.






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    BERNINI pittore




    Celebrato artista di papi, principi e cardinali; artefice, con le sue architetture e i suoi marmi, della stupefacente scenografia barocca di Roma, Gian Lorenzo Bernini (1598 - 1680), principe del Barocco romano, rivela anche il suo estro pittorico.
    Bernini pittore è un Bernini privato, che dipinge per sé, ritraendo i suoi amici, i colleghi e se stesso; che rifiuta di vendere i suoi quadri, con la sola eccezione di un dipinto sacro "I santi Andrea e Tomaso" (ora in mostra), preferendo conservarli nel suo studio o tutt'al più regalarli. E nella pittura, libero dai condizionamenti della committenza e dalle conseguenti derive agiografiche, Bernini ritrova un'autonomia intellettuale e artistica, mai raggiunta nelle opere scultoree più note e celebrate.
    Una la lunga serie di autoritratti in cui l'artista, con pennellate rapide e concise, esprime, senza filtri, il senso angoscioso dello scorrere del tempo: dall'intenso "Autoritratto" del 1623, che ci consegna l'immagine di un giovane dallo sguardo vigile ma già consapevole del suo talento a un vibrante schizzo a carboncino realizzato nel 1678 durante il suo sfortunato soggiorno in Francia, che ci restituisce il cipiglio amareggiato di un vecchio. E poi i ritratti, che diventano una sorta di journal intime in cui l'artista fissa i volti e le emozioni degli amici, dei colleghi, della gente qualunque con cui vive, facendo tesoro del verismo di Caravaggio e della capacità di penetrazione psicologica di Velasquez che conobbe e ammirò.... il "Ritratto di giovane", forse Domenico Bernini senior, uno dei fratelli minori dell'artista; il ritratto del suo allievo "Giovan Battista Gaulli"; persino un "Urbano VIII" ma ritratto con grande libertà, senza attributi pontifici se non il camauro e la mozzetta invernale.....il "Cristo deriso" del 1637, unica figura intera della produzione pittorica berniniana, di impressionante realismo.










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    È uno dei personaggi dominanti del Seicento italiano, principale interprete del fasto cattolico della Chiesa e dell'aristocrazia romana. Lavorò quasi esclusivamente a Roma, da cui si allontanò per pochi mesi nel 1665, chiamato a Parigi per il rinnovamento del Louvre (i suoi progetti non vennero però realizzati). Ebbe la sua prima educazione artistica sotto la guida del padre Pietro e si formò a Roma (dove la famiglia si era trasferita nel 1605), sommando il virtuosismo tecnico del tardo manierismo allo studio del naturalismo ellenistico, le suggestioni dei grandi maestri del Cinquecento al classicismo della pittura dei Carracci in una rinnovata e originalissima visione. Tale formazione appare evidente nelle sculture conservate a Roma alla Galleria Borghese: Giove fanciullo e la capra Amaltea, per molto tempo scambiata per opera ellenistica; il gruppo Enea, Anchise e Ascanio, ritenuto da alcuni studiosi opera del padre; Plutone e Proserpina (1621-1622), che riassume l'esperienza manieristica; David, in cui non viene esaltato l'eroe, ma lo sforzo del corpo teso nel lancio della pietra in una scattante posa a spirale; Apollo e Dafne (1622-25), un vero prodigio tecnico per la levità delle figure colte in corsa, liberissime nello spazio, per l'abilità della lavorazione del marmo che pare cera traslucida nella resa della metamorfosi della ninfa. Si capisce così come B. non sia affascinato dalla realtà sconvolgente delle cose, come Caravaggio, ma dalla loro mutevole e fuggevole apparenza in uno spazio aperto e dinamico. Inizia in seguito la lunga serie di opere per S. Pietro , che occupò l'artista per più di quarant'anni nella difficile e delicata impresa della definitiva sistemazione dell'edificio: il primo lavoro è il famoso baldacchino (1624-33), col quale sostituì ai tradizionali cibori un'originalissima struttura bronzea, che si inserisce nell'enorme vano sottostante la cupola rendendolo vibrante e dinamico; avvalorò po questa soluzione con il riassetto dei grandi piloni della cupola, le cui facce interne, rivolte cioè verso il baldacchino, vengono animate con due ordini di nicchie: quelle superiori, le Logge delle Reliquie, incorniciate dalle colonne tortili della "pergula" dell'antico S. Pietro, che fanno da eco a quelle poderose del baldacchino, e quelle inferiori occupate da quattro enormi statue di santi, una delle quali, l'enfatico Longino, è opera dello stesso Bernini. Ideò poi il rivestimento di marmi policromi delle navate, realizzò i monumenti funebri di Urbano VIII, di Alessandro VII, la Cappella del Sacramento e la sistemazione del vano absidale con l'immensa "macchina" della cattedra di S. Pietro (1657-1666) sorretta dalle colossali statue dei Dottori della Chiesa e culminante nel gorgo di angeli e di raggi dorati che partono dal finestrone con il simbolo dello Spirito Santo. Per l'esterno di S. Pietro progettò due campanili laterali per la facciata, che dovevano equilibrarne la larghezza e incorniciare la cupola michelangiolesca, ma ne venne costruito uno solo e lo si dovette demolire per cedimenti del terreno: il fatto segnò un'interruzione dell'attività berniniana per S. Pietro, che riprese però ben presto e culminò con la costruzione del Colonnato (1656-67), la più famosa e la più geniale delle sue opere, nella quale realizzò con la massima chiarezza la sua concezione di spazio dinamico, che lo spettatore comprende solo muovendosi in esso, stimolato dall'inarrestabile successione di scorci, e diede una grande lezione di consapevolezza urbanistica nel collegamento della basilica alla città. Se i lavori per S. Pietro, che comprendono anche la scenografica Scala Regia (1664-67) e il gruppo di Costantino a cavallo, possono costituire una sorta di filo conduttore del percorso artistico di B., vastissima fu la sua attività in Roma, tanto che organizzò una vera équipe di aiuti, tra i quali era anche il fratello Luigi. Risulta dalle sue opere, in cui architettura e scultura sono inscindibilmente fuse, che B. è l'artefice principale delle fastose scenografie della Roma barocca, sia in senso letterale, poiché dà canovacci per opere di teatro, allestisce spettacoli, macchine sceniche, addobbi per feste, sia, soprattutto, per la sua concezione di uno spazio in cui uomo-natura-architettura-scultura sono in continua e mobile relazione: si pensi alle fontane delle Api (1644), del Tritone (1642-1643) e soprattutto a quella dei Fiumi (1648-51), che rende vibrante di colori e di suoni la cavità di Piazza Navona; si pensi alla concezione teatrale della Cappella Cornaro in S. Maria della Vittoria, in cui l'Estasi di S. Teresa (1647-1652) si drammatizza in un vero scenario teatrale, o del presbiterio di S. Andrea al Quirinale.





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  3. gheagabry
     
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    .......la visione del Bernini.......



    Il ruolo del Bernini non è certo quello di un rivoluzionario, ma quello di un mediatore che cerca di ricomporre in una visione sintetica le tensioni di un dibattito culturale.
    Non rifiuta nessuna delle ipotesi, ma ne tenta immediatamente una riduzione ad una visione ortodossa ed in definitiva conservatrice. Considera il classicismo come un'enorme enciclopedia in cui già tutto è contenuto in embrione. Ama profondamente la natura e ne imita la struttura:
    è dalla contemplazione di essa che nascono alcune opere importanti, nonostante egli consideri pericoloso un rapporto diretto tra artista e natura che non passi attraverso il filtro del mondo classico.
    La sua ricerca perciò è un gioco continuo di creazione ed imitazione, di azione ed imitazione. Tuttavia il suo atteggiamento non è di tipo eclettico, ma piuttosto sintetico, perchè non ammette come Borromini, la compresenza non risolta di diverse tensioni in un'opera.
    Bernini in parte riesce quindi ad essere conservatore pur dando contemporaneamente un contributo enorme in senso innovativo alla cultura barocca.
    Questo aspetto apparentemente in contrapposizione è dovuto al legame che egli sente con il presente. E' legato alla società del tempo e alla cultura di Roma talvolta in modo intimista e talvolta mondano. In un'epoca dove la capacità di contatto e l'oratoria erano le armi principali del successo, Bernini personifica l'architetto alla moda, vivendo però la situazione in modo contraddittorio.
    Da una parte ha la convinzione che la vita vada vissuta fino in fondo con impeto ed abbandono, ha il culto della gioia di vivere,di sentirsi profondamente calato nella realtà: dall'altra ha contemporaneamente la convinzione che la vita è ricerca senza una possibile conclusione; continua ipotesi in avanti verso nuovi orizzonti; motivo di lacerante tormento prima della gioia della scoperta.
    Il primo grande incarico del Bernini è quello del 1624, per il "Baldacchino di S.Pietro", ottenuto all'inizio del pontificato del Cardinale Barberini.



    La risoluzione del problema fu lenta e dolorosa. La progettazione del Baldacchino segna un lento e graduale percorso autocritico che si prolunga per dieci anni impegnando l'intera giovinezza dell'architetto.
    Appena ricevuto l'incarico, compone un primo progetto ed inizia la realizzazione delle prime quattro colonne fino al 1630, poi per tre anni lavora al coronamento sino all'inaugurazione del 1633.
    Il problema era inserire la propria opera in un contesto fortemente caratterizzato come quello della basilica. Questo avrebbe richiesto un'esperienza che a Bernini, ventenne, mancava.
    Bernini compie un'approfondita ricerca di soluzioni in una serie di ipotesi successive, tutte documentate. Bisogna dire che il tema del Baldacchino rientra nella tradizione ecclesiastica, per cui Bernini poteva rifarsi ad esempi precedenti; ad esempio quello costruito ai tempi di Paolo V, di cui sembra aver preso tutti gli elementi: il basamento, gli angeli, il coronamento; ciò che cambia sono i rapporti tra le parti, complicati dalla presenza della colonna tortile, anch'essa derivata da un esempio precedente, in cui però erano ricondotte alla forma di vitigni.
    L'uso della colonna classica, avrebbe obbligato Bernini alla ricerca di proporzioni precostituite, impedendogli di sviluppare il baldacchino in altezza, secondo la propria volontà, a meno di utilizzare sovrapposizioni di più ordini.
    L'intuizione che per risolvere il problema ci volesse qualcosa di molto semplice, permise al Bernini di usare la forma, non la proporzione, delle colonne vitinee. Questo atteggiamento lo porta ad immaginare sostegni alti 28 metri, relativamente sottili per poter lasciare libera la vista dell'architettura michelangiolesca.
    Create le colonne si poteva già configurare la funzione di centro ideale della chiesa, in senso verticale, preannunciante fin dallo ingresso l'altissimo sviluppo della cupola.
    Borromini collabora al coronamento dell'opera con un complesso gioco di volute a dorso di delfino, che diventerà, in pratica, il manifesto del barocco.
    Difficile é stabilire dove finisce la scultura e inizia l'architettura. E'salvaguardato il principio dell'illusionismo ottico e prospettico nel rapporto che si viene a creare tra baldacchino e cupola (l'occhio, passa dall'uno, per vedere l'altra).
    Aspirazione ad una visualità di tipo dinamico. Il risultato finale è quello di un oggetto (baldacchino da processione) ingrandito in modo matematico.
    Il Bernini completa la visione dinamica, ponendo ai lati delle quattro colonne del baldacchino, quattro statue in nicchie sugli sfondi. Di esse, quella di S.Longino,viene eseguita dallo stesso Bernini.
    Egli crea la proporzione tra il baldacchino e la statua e umanizza il gesto del santo.
    Dal punto di vista linguistico, c’é una enorme ricchezza di particolari, soprattutto nel moto della veste, che é comunque un elemento di derivazione michelangiolesca per ricchezza descrittiva.
    La differenza profonda sta nella ricerca dinamica, per cui la veste viene rappresentata con toni fortemente chiaroscurali, dovuti al moto del corpo. Potente tensione muscolare. Le nicchie in cui vengono poste le statue sono rivestite di marmo, le decorazioni in marmo bianco sono in bassorilievo, mentre negli sfondati, il marmo usato, é a forte venatura per richiamare, astrattamente, cieli nuvolosi.



    Il 1629 è un anno di grandi cambiamenti per il Bernini: muoiono il padre e il Maderno, a cui il Papa Urbano VIII aveva affidato l'incarico di architetto della Basilica Vaticana e la costruzione del Palazzo per la sua famiglia all'incrocio delle quattro fontane.
    In questo progetto l'opera del Maderno é stata per anni misconosciuta; in realtà egli aveva già stabilito la tipologia (quella della villa suburbana) ed il tipo della pianta e delle facciate.
    Bernini fu praticamente l'esecutore di queste idee ed il creatore a nuovo della scala del Palazzo, che è l'elemento più vistosamente innovativo in quanto crea una dissonanza tra la facciata e l'interno. La pianta è quadrata, ruotante attorno ad un pozzo quadrato che crea una tipologia intermedia tra lo sviluppo verticale a chiocciola, già usato nel '500, e quello longitudinale tra pareti parallele (tipico della tradizione romana).
    La scala termina in un loggiato di tipo cinquecentesco per dare l'illusione di un profondo chiaroscuro alla facciata interna.
    Abbiamo già accennato quanto sia importante la scultura per il Bernini. Dove questo avviene con maggiore intensità, è nella Cappella Raimondi, dove viene sperimentata per la prima volta la luce alla "bernina", cioè un tipo di luce radente a fonte nascosta (denominazione che prenderà successivamente).
    Tra le sculture da ricordare, ci sono le quattro per il Cardinale Borghese: "Enea ed Anchise", "Il ratto di Proserpina", "Il David","Apollo e Dafne".
    Esse segnano tutti il percorso della scultura del Bernini: le prime due sono di derivazione manierista, ricche di virtuosismi, di movimento, di sperimentazione formale, ma legate ancora alla tradizione dell'eccezionalità del personaggio e dell'avvenimento.
    Nel David invece Bernini si accosta alla poetica del Caravaggio che è ricerca di luce sulla figura umana e di realismo talvolta crudo. Apollo e Dafne è il simbolo della rivoluzione barocca. Figure apparentemente in squilibrio, rappresentate in corsa, legate da scarni elementi naturalistici. Completamente trascurato il tema mitologico, quello che conta é la luce, il moto, la presenza dell'aria che muove le vesti e fa vivere il marmo; c'é uno stretto legame tra immaginazione e realtà, fino ad ora tenute in antitesi, perché ormai l'immagine ha sostituito completamente la realtà. Per questo motivo il Bernini riesce a sdrammatizzare il vero, a non guardarlo con lo stesso sgomento con cui lo guardava il Caravaggio;rimane soltanto curiosità, desiderio di conoscenza.
    L'opera in cui maggiormente Bernini riesce ad operare una sintesi tra pittura, scultura ed architettura, é la "Cappella Cornaro", progettata e costruita attorno al '50. Qui lo spazio é formato dal concorrere delle tre arti, usate in modo non decorativo ma strutturale. La pittura usata in modo sintetizzato sullo sfondo é colorazione dei bassorilievi, mentre é scultura il raggio di sole che colpisce le figure. Il tutto é circondato da una rappresentazione di tipo scenografico che crea una partecipazione di tutto ciò che sta intorno alla figurazione drammatica; è da questo desiderio di scenografia che nasce la curva convessa dell'edicola, primo segno in ordine di tempo, dell'interesse del Bernini verso quel processo di deformazione sul quale il Borromini portò sempre avanti le sue ricerche. L'obiettivo cui tende Bernini é quello di raccontare con la massima comunicatività possibile un avvenimento umano ma soprannaturale: l'estasi di una santa (SantaTeresa) nel momento in cui viene vissuta.



    Perciò questo momento di assoluta intimità, si trasforma in uno spettacolo a cui assistono, da una posizione privilegiata, i membri della famiglia Cornaro, affacciati da due loggioni laterali.
    L'intento é quello di rappresentare uno spettacolo edificante, trasmettendo sentimenti ed emozioni nel momento di maggiore intensità.
    E' innegabile che tanto questa rappresentazione che quella della "Beata Ludovica Albertoni", contengono elementi di forte erotismo, dove però la sensualità é legata al misticismo.
    Corrono insieme, talvolta senza equilibrio, lirismo e tragicità ed i confini di questi elementi non sono mai chiaramente definibili. Nell'esame delle due opere bisogna anche porre l'attenzione sul panneggio rappresentato sempre dal Bernini in moto, per accentuare il dinamismo frenetico dell'istante descritto.
    La nuvola di marmo su cui viene rappresentata Santa Teresa, testimonia una profondissima conoscenza dei materiali ed una tecnica raffinata.
    Nel 1650 la famiglia Pamphili commissiona a Bernini un grande palazzo civile a Montecitorio. Il palazzo fu poi completato dal Fontana, ma il Bernini aveva già impostato tutte le scelte più importanti. Troviamo qui espressa per la prima volta l'ideologia del Bernini sull'architettura civile e soprattutto un modo di progettare forse per la prima volta legato alla situazione urbanistica preesistente. Lo spunto principale é dato dal contesto circostante, che imponeva la creazione di una facciata tripartita.
    Grazie a questo vincolo egli riesce a realizzare uno degli elementi che gli sono più cari: l'eccesso in larghezza rispetto all'altezza e la predilezione per un forte ampliamento prospettico laterale.
    Profonda aspirazione naturalistica nell'uso della decorazione:cornici di finestre e pilastri sembrano scolpiti nella roccia, mentre le decorazioni ricordano forme di tipo vegetale.
    Chiamato al restauro del "Pantheon" nel 1626, Bernini aveva proposto una soluzione che ai nostri occhi può sembrare sconvolgente oltre che scorretta: aveva proposto di porre due campanili a sostituzione di due abbaini esistenti. Con questo si sarebbe voluto ovviare all'inconveniente dell'addossamento violento di un parallelepipedo ad un cilindro, nodo difficilissimo e che aveva dissuaso tutto il Quattrocento dall'imitazione, nonostante il Pantheon fosse il monumento meglio conservato dell'antichità.
    Anche Palladio che si ispirò ad esso nella villa Maser, adottò l'espediente di innalzare il pronao rispetto alla cupola e di mascherare l'attacco del parallelepipedo al cilindro con due campanili.
    Nello spirito naturalistico di casa Pamphili si possono collocare le fontane tra cui quella del Tritone, della Barcaccia, delle Api, dei Quattro Fiumi di Piazza Navona.
    Quest'ultima é opera di architettura oltre che di scultura, come dimostrano gli schizzi di progetto. Qui la precisione naturalistica raggiunge dei livelli assolutamente insuperati. Una palma é rappresentata con le foglie piegate dal vento in una specie di gioco realtà-irrealtà.



    Nel 1655 Bernini deve restaurare la chiesa di S.Maria del Popolo.
    L'impianto della chiesa era quattrocentesco con l'aggiunta di pesanti cornici inflesse.
    Egli costruisce negli angoli e nelle pareti concave degli altari fortemente caratterizzati, specie di edicole sporgenti, fiancheggiate da sculture di angeli, rappresentati con estrema naturalezza. Anche qui scenografia e naturalismo concorrono insieme, ed addirittura le canne dell'organo sono rappresentate mescolate ad elementi naturalistici, come tronche di alberi e foglie; quasi un'allegoria sul canto degli uccelli.
    Intorno al '56 Bernini inizia lo studio per il completamento di Piazza San Pietro e del colonnato; già come per il baldacchino, l'impegno fu molto profondo con il sacrificio di parti architettoniche preesistenti per poter liberare completamente la piazza che doveva raccogliere il maggior numero di fedeli possibile.
    L'idea di partenza era stata quella di un colonnato trapezoidale; soltanto su proposta del Papa si tornò all'impostazione ovale che già precedentemente il Rainaldi, chiamato dal Pontefice, aveva adottato.
    Lo spostamento e la nuova collocazione dell'obelisco sotto Sisto V, aveva creato una premessa categorica rispetto alla sistemazione della piazza.
    Trasportato dal Fontana nel punto in cui noi oggi lo vediamo, l'obelisco avrebbe dovuto contrassegnare la piena visibilità della cupola secondo il progetto del Michelangelo.
    Il punto in cui ora si trova era una ripresa di un progetto bramantesco a quadriportico, e sarebbe nata con lo scopo di creare una prospettiva inversa che avrebbe valorizzato il prospetto finale. Ma essa avrebbe anche aumentato il senso di sbarramento della facciata. Perciò Bernini ripiegò sulla pianta circolare e poi su quella a due semicerchi. Poichè le grandi braccia dovevano avere quattro file di colonne, se l'ellisse fosse stata tracciata secondo le regole, sarebbe stato possibile conservare gli intercolunni uguali nelle file esterne delle colonne; per diminuire ancora gli allineamenti Bernini costruì la corsia centrale più larga, una specie di navata centrale, rispetto alle variazioni, quasi una rotazione nella posizione delle colonne.
    Il colonnato corregge quindi le proporzioni eccessivamente in verticale date dal Maderno alla facciata e costituisce, con le sue simboliche braccia, un elemento di così facile comprensione da rappresentare un esempio unico per ciò che riguarda la comunicazione con il fruitore.
    Nel '65 Bernini viene incaricato dell'ultimo lavoro nella fabbrica di San Pietro: la Scala Regia, dove deve tener conto della contemporanea attività del Borromini; molti dei motivi decorativi e l'esaltazione dell'intonaco dimostrano che ormai l'influenza del suo grande rivale é profonda.



    Il suggerimento di una profondità illusoria non é il principale movente dell'opera, ma piuttosto quello di accentuare il senso prospettico delle colonne laterali.
    Lo spazio in cui la colonna si sviluppa é a lati convergenti, e per evitare l'irregolarità insita in questo tipo di tema, egli usa la colonna trasformando tutto in regola.
    Le opere architettoniche successive da esaminare sono: la "chiesa di Castelgandolfo" e di "Sant'Andrea al Quirinale".
    Nella prima egli adotta uno schema di pianta a croce greca, sviluppando però su di essa degli elementi tipicamente barocchi: cambia totalmente la funzione dei pilastri che sono maggiormente legati alla cupola, e la cupola stessa che termina in un tamburo ed in una lanterna.

    L'uso della pianta a croce greca deriva da una polemica nei confronti del Borromini a cui voleva dimostrare che non é necessario per fare dell'architettura contemporanea, usare schemi di pianta inusitati e complessi e che anche attraverso un organismo semplice e povero, è possibile esprimere in pieno la propria personalità.
    Proprio in questo periodo incontra il Guarini che di lui sembra aver riportato una buona impressione, tanto che il suo progetto di Palazzo Carignano, ricorda per molti aspetti il progetto del "Louvre" nel 1665.
    In Francia permaneva allora un ambiente retrogrado permeato di un classicismo frenante che influenzò negativamente la fantasia del Bernini. Egli si era ispirato nel primo progetto sia al Cortona sia al Borromini.
    Era chiara l'intenzione di rompere la rigida frontalità d'allineamento che date le proporzioni enormi della facciata si sarebbe ridotta, come infatti avvenne con l'insipida facciata del Perrault, ad uno sbarramento più inerte ancora della facciata di San Pietro.
    Questo problema fu sentito contemporaneamente da quasi tutti i progettisti italiani: tanto il Cortona che il Rinaldi accusano l'esigenza; i francesi neppure se ne accorgono.
    Il pericolo di ogni facciata di ridursi in un semplice prospetto bidimensionale, con le proporzioni allungate del Louvre, diventa molto più marcato. Anche Bernini aveva accettato uniformi scansioni di finestre, ma soltanto perché sapeva che la visione non sarebbe mai stata frontale: come prospettiva di infilata, la ripetizione delle scansioni poteva produrre effetti solenni e grandiosi.
    Ma il Louvre non si poneva in prospettiva laterale, era ossessivamente frontale.
    A complicare la situazione intervenne anche il problema della distribuzione interna dei locali, per cui i francesi erano esigentissimi e di cui il Bernini non voleva occuparsi.
    Egli voleva soprattutto certi servizi e disimpegni; che l'appartamento reale non fosse verso la Senna perché sarebbe stato rumoroso. Ma le catapecchie verso cui non riusciva a capire tale preclusione ed insisteva con il porre l'appartamento reale sul fiume. Oltre al carattere difficile ed alla logorrea, la mancanza di queste accortezze risolse il rapporto il rapporto con Parigi in un disastro.
    Sant'Andrea, iniziata nel '58, è a pianta ellittica con l'asse maggiore nel senso della larghezza.



    Egli perfeziona lo schema ellittico disponendo in modo esagonale le cappelle minori e delimitando così in modo incerto lo spazio interno. Ai due estremi dell'asse maggiore scompaiono le classiche cappelle trasversali sostituite da pilastri passanti; una preoccupazione di tipo religioso provoca una scelta nella posizione della statua del santo, posto sopra il timpano nella cappella maggiore, in una cornice concava che ha un andamento rettilineo e che crea divisione tra la zona di ingresso e la cappella.
    Qui più che in ogni altra opera, appare chiara la preoccupazione di trovare un punto focale, dividendo nettamente lo spazio riservato ai fedeli, da quello dove si compie la funzione -la zona dell'altare é quella più luminosa della chiesa e simboleggia la presenza divina.
    Nell'opera compare la tesi berniniana che la visione classica contenga in sé tutti gli elementi di complessità e dinamicità dell'arte barocca.
    Il legame con il Pantheon é qui più approfondito che in qualunque altra chiesa ellittica, ma la ricchezza decorativa del Bernini serve a contestare l'impassibilità della struttura classica, soprattutto attraverso due episodi: l'arco che corrisponde alla parte superiore dell'ingresso ed il disegno della lanterna che rimane sospesa sopra la cupola, tagliata da una serie di decorazioni di cherubini.
    La frattura creata dalla cornice sopra l'ingresso é ciò che serve a Bernini per contestare la centralità della composizione; inoltre la luce, entrando attraverso l'arco,e diffondendosi, spezza l'unità dell'ellisse, trasforma la curva chiusa in una curva aperta, anticipando la conclusione di Piazza San Pietro con il colonnato.
    Equilibrio quindi tra quiete e e movimento, esaltato dallo svilupparsi verso l'alto di costolature e cassettoni esagonali. Il tema religioso in origine sfocia in un vivo interesse di tipo spaziale soprattutto nell'accurato studio delle relazioni urbanistiche tra organismo, strada ed edifici prospicienti.
    La facciata in partenza é data da un organismo semplicissimo di tipo classico contestato solo da un protiro che é il ribaltamento in negativo del positivo delle finestre.
    A conclusione del lavoro svolto in S.Pietro, Bernini costruisce la "Cattedra", un enorme gruppo classico, dove la luce diventa elemento strutturale e come già l'acqua nelle fontane, non ha più un ruolo complementare, divenendo materiale da costruzione, inserendosi come elemento trasparente, nella pesantezza dell'insieme.
    Questa é l'opera in cui avviene nel modo più tumultuoso la sintesi tra le arti. L'opera é messa in relazioni ottiche con il baldacchino precedente e con la cupola.
    Tra le opere di scultura bisogna ancora ricordare la "Tomba di Urbano VIII, in cui viene usato lo schema piramidale, tipico del '500, e si utilizzano insieme marmo e bronzo, in un gusto del macabro che sarà tipico della seconda metà del secolo.
    Accanto alla figura del Papa emerge la morte rappresentata in forma di scheletro, mentre in basso ci sono le figure della Giustizia e della Carità. L'opera comunque non esce dall'accademia.
    Il Papa é rappresentato in maniera retorica, in un gesto a metà tra il comando e la benedizione. Pieghe del metallo vorticose, contorte in una ricerca di moto. Il ritratto di Costanza Bonarelli é la rappresentazione della donna amata dal Bernini, in un atteggiamento che probabilmente doveva esserle abituale.L'attenzione ä tutta rivolta agli occhi ed alla bocca. Nel ritratto il Bernini ha due atteggiamenti distinti:
    - il primo di rappresentazione della maestà, il potere civile e religioso;
    - il secondo di indagine psicologica in una rappresentazione che non sia soltanto realistica del personaggio.



    Fonte: istitutobalbo.it




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  4. gheagabry
     
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    « E nella piazza è stata iniziata
    davanti alla grande Cattedrale una fontana,
    maestosa, ben fatta, ottagonale.
    La nobiltà e il popolo con ardore
    dalla collocazione di tre tipi di rocce
    hanno eretto questa grande fonte alla romana »
    (Antonio Zacco, 1735)



    L ' ELEFANTINO del BERNINI



    In Piazza della Minerva, sul lato destro del Pantheon, compare una piccola figura un po’ statica. Un elefantino saluta il nostro arrivo sollevando la proboscide, appesantito dal peso dell’obelisco che tiene sul dorso. Nulla ci farebbe pensare ad un’opera del Bernini, se non forse lo sguardo allegro e quasi furbesco dell’animale; che Bernini riesca anche a trasfondere la propria anima nelle sculture che realizza…? Altamente probabile, pensiamo mentre ricambiamo lo sguardo dell’elefantino.

    Verso la fine del 1655, nel giardino del convento domenicano che si affaccia sulla Piazza, venne alla luce un obelisco di granito rosa, alto più di cinque metri e riccamente istoriato di geroglifici.

    Il frate gesuita Atanasius Kircher, storico collaboratore e “compagno” di studi del Bernini, si recò immediatamente sul posto per decifrare i geroglifici; traduzione, questa, che il padre gesuita affidò poco dopo alle stampe, dedicandola a Papa Alessandro VII. Forse per ricambiare la cortesia del padre gesuita, Papa Alessandro VII affidò a Kircher l’incarico dell’estrazione e di un nuovo innalzamento dell’obelisco. Il passo che portò a Bernini fu certamente breve.



    Inizialmente, per sorreggere il pesante ed alto obelisco, Bernini aveva pensato ad un gigante; tuttavia, il suo progetto non incontrò i favori dei committenti, nella fattispecie i frati domenicani ed in particolar modo Padre Paglia, Abate del convento prospiciente la piazza. La scelta del soggetto destinato a sorreggere l’obelisco fu influenzata da un’opera del frate domenicano Francesco Colonna, la Hypnorotomachia Poliphili (la battaglia d’amore in sogno di Polifilo), dove il protagonista, nel corso di una bizzarra avventura onirica, incontrava un elefante con un obelisco sul dorso.

    Rassegnato, Bernini realizzò l’elefantino commisionatogli; i domenicani, però, evidentemente ostili al Bernini, rimproverarono all’opera di essere appoggiata sul basamento marmoreo solo con le zampe e dunque di avere uno spazio vuoto che avrebbe potuto causare un rovinoso ed umiliante crollo (“niuno perpendicolo di pondo non debi sotto a sé habere aire overamente vacuo, perché essendo intervacuo non è solido né durabile”). Inutile perfino l’evidenza della grotta “vuota” che tuttora sostiene l’obelisco della Fontana dei Quattro Fiumi; non era la prima volta che Bernini lavorava, per così dire, nel vuoto. Sempre più rassegnato e punto nell’orgoglio di scultore, Bernini cercò di mascherare il cubo di marmo che ancora sorregge l’elefantino con una pesante ed elaborata gualdrappa di marmo; l’opera sembra quasi estranea alla produzione berniniana.



    Dopo il suo innalzamento nella piazza, avvenuto l’11 luglio 1667 (nel frattempo il papa era morto da una quarantina di giorni), la gente cominciò a chiamarla il Porcino della Minerva. In seguito il nome mutò in Pulcino forse per un semplice motivo fonetico: persosi col passare del tempo il ricordo del fatto, porcino fu probabilmente confuso con purcino, che è appunto la forma dialettale romana per pulcino.

    Per vendicarsi delle tante critiche a cui era stata sottoposta la propria opera, Bernini sceglie di posizionare l’elefantino in modo che rivolga il dorso all’entrata del convento domenicano; non solo, dopo quella che sembra un’evidente mancanza di rispetto nei confronti dei domenicani, il nostro caustico Bernini fa spostare la coda dell’elefante in un irriverente e divertito saluto ai domenicani.




    Oltre al significato religioso, secondo cui l’obelisco rappresenta l’antica saggezza e l’elefante la pietà e l’equilibrio della mente, Bernini, da genio come lo conosciamo, aggiunge la propria personale firma all’opera. Non fa nulla di simile all’irosa firma martellata da Michelangelo alla Pietà, quando essa non fu riconosciuta come sua opera; fa qualcosa di più. Il suo nome non è scritto sul marmo, la sua mano non perfettamente riconoscibile nelle linee dell’opera. La vera firma che Bernini appone all’opera è lo sguardo innocente dell’elefante contrapposto al suo irrispettoso saluto ai domenicani, l’intelligenza contrapposta alla grettezza, la furbizia all’invidia. Bernini studia, si informa, si guarda intorno; è una mente vorace, affamata di studio e di sapere, è proprio la robusta mente necessaria per sorreggere una solida sapienza di cui parla l’elefantino; è solo che i domenicani non avevano fatto i conti con questo aspetto della personalità del Bernini, si erano limitati a criticarlo, opponendo il potere, il proprio tenere il coltello dalla parte del manico alla sua estrosità artistica. Ma Bernini non si fa sottomettere da queste critiche, dall’ignoranza e dalla grettezza che troppo spesso chi ha il potere ha opposto ai geni; e risponde a tono, con il proprio tono ai frati domenicani, ricordandoci che non è sempre giusto ribellarsi con la violenza ai propri oppositori. A volte basta la coda di un elefantino per provocare un’esplosione più forte di tante bombe e tante armi. Quale migliore arma del proprio cervello?






    (Silvia, lefontaneromane)


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  5. gheagabry
     
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    “Bernini e Borromini: colleghi rivali”



    Due uomini che tra odio e amore impreziosirono Roma, furono di certo, Borromini e Bernini, due geni totalmente diversi tra di loro: Bernini, uomo di mondo, affabile ed estroverso, Borromini risevato e timido.

    Borromini, dopo essere giunto a Roma, si aspetta di essere nominato dalle fabbriche portate avanti da Maderno, architetto svizzero-italiano, ma i suoi sogni vengono presto infranti poiché quella nomina viene data a Gian Lorenzo Bernini, che lo conferma primo suo assistente, rendendo materiali le sue idee e i suoi disegni; infatti il Borromini esegue i disegni nei marmi alla base del baldacchino di San Pietro, poi gli otto stemmi di Urbano VIII Barberini, caratterizzati dalle famose tre api e dalla raffigurazione per sette volte del viso di una donna gravida che culmina nella testa del bambino che nasce, nell’ultimo stemma.


    Francesco Borromini

    Finisce la collaborazione ed inizia la lotta per la commissione dei lavori. Lo scontro reale inizia, però, nel palazzo di Propaganda Fide. Bernini nel 1634 realizza la cappella ovale dei Re Magi e dopo 10 anni tira su la facciata, purtroppo però, tutto questo ad Alessandro VII non piace, ciò permette al Borromini di levare al suo rivale l’incarico.


    Gian Lorenzo Bernini

    Lo scontro ha inizio. Borromini, soddisfattissimo, fa lavorare tutta una notte i suoi muratori, per ornare la finestra d’angolo del palazzo con due grosse orecchie d’asino, simbolo dell’incapacità di Bernini, poiché la sua casa-studio si trovava proprio davanti al palazzo Propaganda Fide. Bernini, non esita a vendicarsi e la notte dopo scalpella da solo un enorme mensola del cornicione del suo palazzo dandogli la forma di un pene. Le orecchie e il pene rimarranno a lungo nei due palazzi, simboli di uno scontro artistico in atto, finchè le due composizione non vengono “sformate” per garantire più decenza ai due palazzi. Un’altra protagonista dello scontro è Piazza Navona: la fontana dei quattro fiumi di Bernini e la chiesa di S.Agnese del Borromini. Negli attegiamenti delle statue che rappresentano il Nilo e il Rio della Plata, della fontana, si riconosce un senso di disprezzo e orrore nei confronti della chiesa antistante: il Nilo le dà le spalle e si copre il viso, il Rio della Plata alza il braccio sinistro quasi ad evitare un imminente crollo della chiesa e ad indicare alla statua di Santa Agnese di fare attenzione. Ciò che fa credere che questo sia solo una simpatica storia è il fatto che la costruzione della chiesa iniziò nel 1652 per finire nel 1657, mentre la fontana era stata progettata nel 1649 e fu inaugurata due anni dopo.
    (Selene, dal web)





    Scrive il Guattani: “il bizzarro e capriccioso Bernini nel dare quella forma di fallo ad un modiglione che regge ancora un balcone sull’angolo della sua casa, altro non voleva che dileggiare il suo emolo Borromino, il quale sull’angolo opposto della fabbrica di Propaganda Fide nell’arma del papa, in luogo dei cartocci, vi aveva posto due orecchie asinine per deridere il suo avversario”.







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  6. gheagabry
     
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    L'Estasi di santa Teresa d'Avila (1647 – 1652)
    è scultura in marmo e bronzo dorato posta nella chiesa di Santa Maria della Vittoria in Roma, ed è unanimemente considerata dalla critica come uno dei capolavori di Gian Lorenzo Bernini.
    Nel 1647 - in un periodo in cui, con il pontificato di Innocenzo X, la straordinaria carriera artistica di Bernini stava conoscendo qualche appannamento - il cardinale Federico Cornaro affida alle sue qualità di architetto e di scultore la realizzazione della cappella funeraria della propria famiglia nel transetto sinistro della chiesa di Santa Maria della Vittoria. Bernini, nell'eseguire la commissione, cerca una sua rivincita professionale verso l'atteggiamento tiepido che il nuovo pontefice mostra nei suoi confronti e chiama, per così dire, a raccolta tutta la sua inventiva di architetto e di scultore sino a giungere a realizzare uno degli esempi più alti di arte barocca.

    Una delle cifre per intendere l'arte barocca è, come noto, il gusto per la "teatralità": la rappresentazione spettacolare e talvolta anche enfatica degli eventi.



    In quest'opera Bernini, mettendo a frutto la sua esperienza diretta di organizzatore di spettacoli teatrali, trasforma, in senso non metaforico ma letterale, lo spazio della cappella in teatro. Per far ciò egli amplia innanzitutto la profondità del transetto; poi, aprendo sulla parete di fondo una finestra con i vetri gialli, pensata per rimanere nascosta dal timpano dell'altare, si procura una fonte di luce che agisce dall'alto, come un riflettore e che conferisce un senso realistico alla irruzione sulla scena di un fascio di raggi in bronzo dorato, così la luce che scende sul gruppo, attraverso i raggi, sembra momentanea, transitoria e instabile in modo da rafforzare la sensazione di provvisorietà dell'evento. Si può facilmente immaginare quanto tale effetto, nella penombra della chiesa, dovesse apparire a quel tempo suggestivo.

    L'elegante edicola barocca, realizzata con marmi policromi, nella quale Bernini colloca la scena dell'Estasi di Santa Teresa, funge da boccascena del teatro: essa mostra la figura della santa posata su una vaporosa nuvola che la trasporta – come se fosse operante una macchina da teatro nascosta – verso il cielo.

    Palchetto di sinistraLa trasformazione della cappella in teatro diventa letterale con la realizzazione, ai due lati del palcoscenico-altare, di "palchetti" sui quali, in forma di bassorilievo, sono raffigurati – ritratti a mezzobusto – i vari personaggi della famiglia Cornaro. L'evento privatissimo dell'estasi della santa diviene in questo modo evento pubblico, al quale i nobili spettatori paiono assistere non già con trepido stupore e con vivo trasporto devozionale, ma con staccato disincanto; li vediamo anzi - come avviene spesso a teatro - intenti a scambiarsi i loro commenti.



    Ma non è per la famiglia committente, bensì per l'ideale platea dei fedeli che si accostano all'altare–palcoscenico della cappella che Bernini mette in scena l'estasi della santa. Egli dimostra qui tutta la sua maestria di scultore, capace di lavorare il marmo come fosse cera, con estrema attenzione ai particolari. La veste ampia e vaporosa della santa, lasciata cadere in modo disordinato sul corpo, è un capolavoro di virtuosismo tecnico, per effetto del quale il marmo perde ogni rigidezza e la scultura sembra voler contendere alla pittura il primato nella rappresentazione del movimento. Commenta a questo riguardo Ernst Gombrich

    « Perfino il trattamento del drappeggio è, in Bernini, interamente nuovo. Invece di farlo ricadere con le pieghe dignitose della maniera classica, egli le fa contorte e vorticose per accentuare l'effetto drammatico e dinamico dell'insieme. Ben presto tutta l'Europa lo imitò. »

    Particolare del volto di TeresaLa raffigurazione delle estasi mistiche dei santi e delle loro visioni del divino, rappresenta uno dei temi più cari all'arte barocca: i santi "con gli occhi al cielo" aiutano – seguendo le raccomandazioni dei Gesuiti sulle funzioni pedagogiche dell’arte sacra – a sentire emozionalmente, con il sangue e con la carne, cosa significhi l’afflato mistico che porta alla comunicazione con Cristo e che è prerogativa della devozione più profonda.

    Anche sotto questo aspetto, della raffigurazione dell’estasi, l'opera realizzata da Bernini nella cappella Cornaro, sarà destinata a far scuola e ad essere presa a modello innumerevoli volte nella storia dell'arte sacra.



    Sul piano iconografico l'Estasi di Santa Teresa è direttamente ispirata ad un celebre passo degli scritti della santa, in cui essa descrive una delle sue numerose esperienze di rapimento celeste:

    « Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. Quando l'angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per Dio. »
    (Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13)

    Il resoconto che la santa ci offre è raffigurato quasi alla lettera da Bernini nella sua composizione marmorea, con il corpo completamente esanime e abbandonato della santa, il suo volto dolcissimo con gli occhi socchiusi rivolti al cielo e le labbra che si aprono per emettere un gemito, mentre un cherubino dall’aspetto di fanciullo giocoso, con in mano un dardo che fa pensare a Cupido, scosta le vesti della santa per colpirla nel cuore.





    In ultima analisi, il risultato voluto da Bernini è quello di una fusione tra spazio architettonico e gruppo plastico in un'unità sostanzialmente pittorica, realizzata attraverso gli effetti di luce e i contrasti cromatici. Intensamente pittorico è, del resto, anche il trattamento del marmo stesso che, nel gioco tumultuoso del panneggio delle vesti, crea un effetto ininterrotto di passaggi luce/ombra, puntando al massimo coinvolgimento dello spettatore.
    Pur ricordando la consumata esperienza di Bernini quale scenografo e autore di macchine teatrali, è bene sottolineare che la "teatralità" della coltissima arte berniniana non è mero "artificio", ma calza perfettamente nei contenuti religiosi in quell'esigenza di persuasione (concordante con il significato che al teatro dettero i gesuiti) espressa in un sistema linguistico che fonde indistintamente tutte le tecniche artistiche in una visione integrale e totalitaria dell'Arte. In quest'opera della maturità Gianlorenzo Bernini riesce a raggiungere efficacemente uno degli obiettivi di fondo della sua di ricerca: attuare attraverso l'integrazione delle arti una nuova sintesi lirica di visione ed emozione.
    Solo aprendosi volontariamente a Dio l'uomo supera definitivamente i suoi limiti umani, e giunge là dove, i pur degni sforzi umani non riuscirebbero a portarlo.






    Era cioè entrato nella fase dell'esistenza dedicata in modo crescente alla preparazione della «Buona Morte» e della «contemplazione» di Dio. Per questo, nella fase avanzata della sua attività, Bernini si è spesso cimentato in sculture che raffigurano personaggi rapiti nell'estasi e stimolano il visitatore a immedesimarsi nella visione: l'evento allucinatorio appare sempre più reale e concreto, in modo da offrirsi come prefigurazione di un'esperienza che supera il livello umano e diventa ispirata comunione con il divino. D'altro canto, l'impegno profuso da Bernini nella commissione dei Cornaro può anche essere visto come un'orgogliosa affermazione professionale: il tempo dell'esecuzione si sovrappone infatti parzialmente con il periodo di scarsa fortuna dello scultore negli anni del pontificato di Innocenzo x. La realizzazione della cappella, di straordinaria ricchezza e complessità anche dal punto di vista della articolazione architettonica, delle soluzioni luministiche, dell'uso dei materiali, delle scelte prospettiche, è una prepotente manifestazione di vitalità creativa, grazie alla quale Bernini si riconferma l'indiscusso protagonista del barocco romano. Intervenendo anche nella preesistente struttura muraria, Bernini ha ritoccato il muro di fondo del transetto, per ricavare una nicchia in cui collocare l'altare. Una finestra è dissimulata dietro il frontone a timpano dell'altare, e in tal modo la luce che piove dall'alto come da un riflettore si sovrappone ai raggi di bronzo dorato, mentre nella volta è dipinta una colomba divina fra le nuvole, alcune delle quali sbordano verso la finestra. Pittura, architettura e scultura si fondono con un effetto di spettacolare complementarietà tra illusione e realtà.





    II termine «theatrum sacrum», spesso adottato in senso figurato per definire l'arte barocca, assume nel caso della Cappella Cornaro un significato letterale. Bernini ha reinventato lo spazio architettonico di Santa Maria della Vittoria, trasformandolo in un piccolo ma completo ambiente teatrale. Superata la balaustra d'ingresso, si scopre che l'altare/palcoscenico è affiancato ai lati dai ricchi palchi riservati ai membri della famiglia committente. Con un efficace artificio prospettico, sulle pareti laterali della cappella sono ricavate aperture ad arco da cui si affacciano i gruppi movimentati dei Cornaro, ritratti a mezzo busto e a bassorilievo. I finti parapetti dei palchi sono coperti da drappi in marmi gialli e neri, con un sontuoso effetto di colore, mentre alle spalle dei personaggi si suggerisce una nobile architettura. Con una nota di arguzia e dì vivacità, Bernini ha raffigurato i Cornaro proprio come se si affacciassero da un palco durante uno spettacolo teatrale: qualcuno appare effettivamente interessato all'azione che si svolge sulla scena, altri sono distratti e chiacchierano fra di loro. II visitatore, entrando nella cappella, si trova così a essere nella posizione e nel ruolo di uno spettatore in platea.

    La «frons scenae» è un'elegante struttura architettonica classica, orientata e arcuata in modo da suggerire un cannocchiale prospettico verso lo spazio interno, dove si trova il gruppo scultoreo con la santa rapita nella visione. Bernini, uomo di teatro, perfetto conoscitore delle tecniche, dei trucchi ottici e delle «macchine» per la scena, imposta un vero spettacolo, con l'effetto della mistica e magica levitazione della santa, sospesa a mezz'aria. E tuttavia, pur nell'esplicito riferimento all'esperienza teatrale, l'Estasi di santa Teresa non produce solo un effetto di meravigliata ammirazione per la «messa in scena». II coinvolgimento personale di Bernini, il sincero trasporto della passione, il movimento fluttuante della scultura finiscono per suscitare anche un forte impatto emotivo nel visitatore. La stessa ambigua e indecifrabile espressione della santa contribuisce a coinvolgere il riguardante nell'interpretazione e nell'immedesimazione: come suggerivano i gesuiti, l'opera d'arte sacra si rivolge ai sensi ma diventa esperienza interiore.

    II gruppo berniniano, preso a modello dall'arte barocca, divenne per almeno un secolo il riferimento obbligato nelle raffigurazioni di estasi mistiche: ne è un esempio la pala con l'Estasi di San Francesco di G. Piazzetta (Vicenza, Pin. Civ.), dove ritorna il motivo del santo sospeso in aria, con il corpo quasi annullato dalle pieghe della veste, le mani e i piedi abbandonati e inerti





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