LA DERIVA DEI CONTINENTI

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  1. gheagabry
     
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    Non e’ stato l’uomo a tessere la trama della vita,
    egli e’ solamente un filo.
    Quello che fa alla trama, lo fa a se stesso.
    (capo pellirossa)


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    LA DERIVA DEI CONTINENTI



    Fino a qualche secolo fa si pensava che l’attuale disposizione delle terre emerse e dei mari fosse quella primordiale, ovvero che la Terra avesse assunto subito una precisa conformazione e che questa si fosse poi mantenuta inalterata. Già agli inizi dell’800, però, quest’ idea cominciò a vacillare e il dubbio nacque dall’ osservazione dei planisferi che venivano disegnati in quel periodo.
    Agli inizi del XX secolo, nel 1912, venne fatta la stessa osservazione dal fisico tedesco Alfred Wegener, il quale avanzò l’ipotesi che tutti i continenti fossero un tempo uniti in un unico blocco. Questo “supercontinente”, chiamato PANGEA (dal greco pan “tutto” e gè “terra”), circondato da un unico immenso oceano, chiamato PANTHALASSA, avrebbe in seguito cominciato a smembrarsi in più continenti, i quali si sarebbero poi allontanati gli uni dagli altri, andando alla deriva come zattere sul mare, sino a occupare le posizioni attuali. La teoria di Wegener è conosciuta come teoria della deriva dei continenti.Ritrovamenti fossili che dimostrano come specie identiche di animali e vegetali del passato vivessero in zone della Terra oggi molto distanti tra loro. Infatti sono stati ritrovati fossili di un rettile di acqua dolce, il Mesosaurus, vissuto circa 300 milioni di anni fa sia in Sud a sia in Africa meridionale, e di una felce, la Glossopteris , risalente a circa 350 milioni di anni fa in Sud America, Africa meridionale, Antartide, Australia e India.
    Le rocce che si trovano lungo i margini dei continenti oltre che incastrarsi idealmente, sono geologicamente identiche anche nella sovrapposizione degli strati. Ad esempio l’ Africa meridionale ha un paesaggio simile al Sud America,con rocce di ugual natura.
    Nonostante tutte le prove la teoria di Wegener fu accolta con scetticismo dagli studiosi del tempo. In effetti Wegener, con i mezzi e le conoscenze di cui disponeva agli inizi del ‘900, non poteva spiegare come e perché da questa PANGEA si fossero poi distaccati i vari continenti e da che cosa fosse scaturita la forza capace di spostarli. Oggi tale teoria è universalmente accettata in quanto studi compiuti sui fondali oceanici ne hanno permesso una completa spiegazione scientifica.



    Le placche sono i frammenti del guscio esterno terrestre, detto litosfera, spesso circa 100 km. Le placche si muovono l’una rispetto all’altra a velocità di qualche cm l’anno, e per tettonica si intende appunto il movimento relativo tra le placche e le deformazioni che ne conseguono ai margini. Quando due placche si allontanano si forma un oceano, quando si avvicinano si forma una catena di montagne. La vitalità della terra e di questa dinamica è testimoniata dai terremoti e dal vulcanesimo....La crosta è come una zattera sull’oceano: galleggia come un tappo di sughero, in particolare la crosta continentale. Infatti la crosta oceanica è molto più giovane (0-200 milioni di anni) di quella continentale (fino a 3900 milioni di anni). La giovinezza geologica della crosta oceanica ne indica la sua maggiore mobilità: se ne forma continuamente di nuova, mentre altrettanta ne scende all’interno della terra, dove le placche si infilano all’interno del mantello nel processo detto subduzione.
    Le placche si comportano perciò come tante zattere in balia del mare. Se due zolle si allontanano, tra l'una e l'altra si può formare una spaccatura detta dorsale. L'Eurasia e l'Africa, per esempio, un tempo erano saldate alle due zolle americane: dopo la separazione di queste placche si è formato uno stiramento, la dorsale medio Atlantica. L'allontanamento può anche provocare fenditure all'interno della zolla: nella placca africana, per esempio, si è aperta la cosiddetta frattura del Gran Rift, che in futuro porterà alla spaccatura dell'Africa in due parti.
    Se invece due zolle continentali si avvicinano, il mare che le separa finisce per chiudersi e, al momento del congiungimento si formano catene montuose, come nel caso dell'Himalaya, sorta quando l'India si congiunse con la placca eurasiatica. Se una zolla continentale si scontra con una zolla oceanica, la crosta oceanica si inabissa nell'astenosfera. L'urto provoca movimenti di magma e quindi fenomeni vulcanici: per questo le regioni che si trovano al confine tra placche continentali e placche oceaniche, come il Cile o l'Asia orientale, sono luoghi caratterizzati da un'intensa attività vulcanica. Infine, quando due zolle oceaniche si avvicinano, assistiamo alla nascita di vulcani sottomarini e talora alla formazione di nuove isole. Quando invece due zolle non si urtano ma scivolano l'una a fianco dell'altra, in direzioni opposte, l'attrito da origine a energia che viene liberata attraverso terremoti e maremoti.



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    La terra è benigna, mite, indulgente, ed alle richiedenze dei mortali serva continua; quante cose, costretta, produce, quante altre spontaneamente distrugge, quanti profumi, sapori, succhi, sensi, e colori ci offre! Con quanta onestà ci rende i tesori che a lei affidiamo! Quante cose per utile nostro essa alimenta.
    (Gaio Plinio Secondo)




    .....la pangea.....



    La “Pangea” in paleogeografia è il nome del supercontinente che si ritiene contenesse tutte le terre emerse nei periodi Paleozoico e Mesozoico. Il nome Pangea significa “tutta la terra” da greco antico “παυ” = “tutta” e “γεα” = “terra”. Tale nome fu coniato dal geologo tedesco Alfred Wegener nel 1915, in seguito alla formulazione della Teoria della deriva dei continenti. Il vasto oceano o superoceano che circondava il supercontiente viene chiamato Panthalassa (tutto il mare); mentre l’ampia insenatura che separava parzialmente la parte settentrionale da quella meridionale, vale a dire quel “golfo” creato da a nord “l’Eurasia” e a sud “l’Africa” viene chiamato “Oceano di Tetide”. Secondo la teoria, la Pangea si spezzò e si divise circa 180 milioni di anni fa, a causa del processo della tettonica a zolle, dando luogo ad altri due supercontinenti: Laurasia o Continente del nord e Gondwana o Continente del sud. Dalla successiva, ulteriore frammentazione di Laurasia e Gondwana deriveranno gli attuali continenti.

    Il Laurasia era un supercontinente generatosi dalla rottura di Pangea; tale avvenimento avvenne nel Neoproterozoico ed è “scomparso” o meglio si è ulteriormente diviso nel Fanerozoico. All’interno di Laurasia erano contenuti gli attuali continenti dell’emisfero settentrionale (Nord America, Europa, e Asia nord occidentale.

    Il Gondwana fu un supercontinente generatosi durante il Neoproterozoico e scomparso nel Mesozoico. Venne a crearsi dopo la disgregazione di Pangea, e dai suoi successivi disgregamenti e allontanamenti si generarono gli attuali continenti dell’emisfero meridionale (Sud America, Africa, India, Antartide ed Australia. La prova che questi continenti erano conglomerati assieme si trova nelle analogie delle successioni stratificate dei continenti meridionali; oltre che da testimonianze panteologiche quali la comparsa nel triassico del rettile erbivoro Lystrosaurus presente in tutti questi continenti, Antartide compreso.
    Sono stati proposti diversi altri nomi per questa terra, quali:
    Rodinia (1990 – McMenamin) dal russo “rodit” (generare).
    Urgondwana (1991 - Hartnody)
    Katania (1995 – Young)
    Paleopangea (2000 – Piper)



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    Alessandro, re dei Macedoni, aveva incominciato a studiare la geometria
    per sapere, infelice,
    quanto fosse piccola la terra di cui aveva
    occupato una minima parte.
    (Seneca)




    ....nella storia.....



    Già nel 1590, il cartografo olandese Abraham Ortelius notava nel suo saggio Thesaurus Geographicus che il profilo delle coste dei continenti dimostrava chiaramente che essi si erano staccati l'uno dall'altro "per via di terremoti e inondazioni". L'idea di Ortelius fu ripresa da diversi autori nei secoli successivi (tra gli altri, Bacone, Franklin e Alexander von Humboldt). L'idea divenne ancora più attraente nel XIX secolo, quando lo STUDIO DEI FOSSILI portò la PROVA del fatto che, per esempio, il Nordamerica e l'Europa avevano avuto in passato una flora comune. Sulla base di queste osservazioni, Eduard Suess giunse nel primo Novecento a ipotizzare l'origine dei continenti moderni dalla frammentazione di un antico supercontinente, Gondwana. Tutti questi autori, pur avendo intuito il fenomeno della deriva dei continenti in sé, avevano però difficoltà a fornire una spiegazione coerente delle cause.
    Nel 1910, il geologo statunitense Frank Taylor giunse a formulare l'idea dello scorrimento della crosta terrestre dalle alte latitudini a quelle basse dell'emisfero settentrionale. Egli si riferiva in modo particolare alla Groenlandia, che immaginava essere il residuo di un antico massiccio da cui si erano staccati, lungo fosse di spaccatura, il Canada e l'Europa settentrionale. Anche alla tesi di Taylor mancava un punto importante: il meccanismo che produceva lo spostamento delle masse continentali. La sua spiegazione, che faceva riferimento alle forze di marea verificatesi quando la Luna venne catturata dalla Terra, furono considerate fantasiose dalla maggior parte dei suoi contemporanei, ma servirono come importante ispirazione per Wegener.



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    Tutte le cose sono collegate tra loro.
    Qualsiasi cosa accade alla terra, accade ai figli della terra.”
    (capo pellirossa)


    ...terremoti...



    I terremoti sono dovuti al liberarsi di energia all'interno del globo. Ciò viene avvertito in superficie come vibrazioni del terreno. Il punto ove tale energia si libera si trova nelle profondità del pianeta ed è chiamato ipocentro. Sulla verticale dell'ipocentro si trova l'epicentro, il punto della superficie dove le vibrazioni sono più violente.Sul nostro pianeta i terremoti sono molto frequenti: fin dalla nascita della Terra, se ne possono contare circa 3.000 al giorno. Fortunatamente l'ipocentro è spesso molto profondo - fino a 700 km. - e solo i sismografi avvertono i quasi impercettibili smottamenti del suolo. I più disastrosi terremoti si verificano invece quando l'ipocentro è molto vicino alla superficie. Le regioni più a rischio sono dette fasce sismiche e si trovano ai margini delle zolle tettoniche, generalmente in corrispondenza di grandi catene montuose e della cintura circumpacifica. Per misurare l'intensità dei sismi si utilizzano la scala Richter e la scala Mercalli. La prima valuta la quantità di energia liberata, la seconda l'entità dei danni in superficie.

    Si ritiene che il terremoto più intenso di cui abbiamo riscontri scientifici sia stato quello verificatosi il 22 maggio 1960 in Cile, nella regione a sud di Concepción. Finora è l'unico ad aver misurato i 9,5 gradi della scala Kanamori, il sistema di valutazione di onde sismiche più attendibile per terremoti estesi e molto intensi. Raggiunse la magnitudo di 8,3 della scala Richter.
    In Europa, per esempio, uno dei più celebri terremoti della storia fu quello che rase al suolo la città di Lisbona il primo novembre 1755... Una delle catastrofi più gravi di cui si abbia notizia sembra però quella che colpì la regione cinese dello Shansi nell'inverno del 1556 .. Anche recentemente la Cina è stata teatro di terremoti catastrofici come quello di Tientsin e Tangshan, nel luglio 1976, che raggiunse una magnitudo di 8,2 della scala Richter.



    ....maremoti....



    Se l'ipocentro di un terremoto si trova all'altezza del fondo marino o appena sotto si verifica un maremoto. Talvolta questi fenomeni possono avere origine anche da esplosioni vulcaniche sottomarine.
    L'onda sismica colpisce l'acqua causandone un movimento oscillatorio di lunga durata, che si può propagare anche per 16.000 chilometri. Si formano così altissime onde, in grado di raggiungere i 40 metri, che viaggiano ad elevatissima velocità, fino a 100 metri al secondo. Le gigantesche onde dei maremoti sono chiamate con l'espressione giapponese tsunami


    Se un batterio osservasse e studiasse l'unghia di un uomo, potrebbe crederla sostanza inorganica. Allo stesso modo noi, osservandone la crosta, consideriamo sostanza inorganica il globo terrestre. Ed è sbagliato. (Lev Tolstoj)



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    ...miti e leggende...



    Una serie di perturbazioni cosmiche potrebbe aver determinato la scomparsa della civiltà umana che popolava la terra prima dell'inizio della storia umana conosciuta: leggenda o realtà? Questa ipotesi spiegherebbe l'impossibilità di ritrovare Thule, la misteriosa isola del sole di mezzanotte.
    Alcuni collegano Thule addirittura ad Atlantide, la mitica terra di cui parla il greco Platone, un ricco continente travolto dagli dei per la sua empietà. Dietro la leggenda di Atlantide, c'è comunque la consapevolezza che il pianeta Terra ha avuto diverse fasi, con profondi sconvolgimenti, proprio come ci insegna lo studio della geologia. Lo storico greco Plutarco, vissuto tra il I e il II secolo d.C., menziona la leggenda legata a una misteriosa isola di Crono, posta nell'Atlantico: lì sarebbe prigioniero il dio, sconfitto dal figlio Zeus. E Cronio, Cronium, è il mare di ghiaccio, così come lo chiama anche Plinio.
    Dunque, il mito potrebbe essere interpretato così: l'isola di Atlantide/Crono, dopo un lungo periodo di prosperità - età di Saturno - venne intrappolata dai ghiacci, a seguito di una grande catastrofe - era quaternaria / Pleistocene.



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    ...........terra ancestrale MU...........



    In conformità ad una tradizione ormai da lungo tempo consolidata, la nascita del mito della terra ancestrale di Mu, questo il nome del mondo perduto, iniziò a germogliare in seguito al fortuito incontro tra un “angloamericano spettrale e di bassa statura” di nome James Churchward, giunto in India per soccorrere l’affamata popolazione locale, e il sacerdote di un monastero non meglio precisato. Da quel momento in poi iniziò una lunga e congiunta ricerca volta dapprima all’interpretazione di un misterioso bassorilievo, ricco di antichi simboli e custodito in una sconosciuta località del subcontinente indiano, poi all’opera di traduzione di millenarie tavolette d’argilla vergate in un alfabeto ormai dimenticato.
    Churchward, nella prima delle sue opere - The Lost Continent of Mu - così descrisse quelle tavolette e il loro contenuto: “[…] erano d’argilla seccata al sole ed estremamente friabili. […] I caratteri erano gli stessi della lingua che avevo studiata sul bassorilievo col mio amico. E insieme comprendemmo di essere davanti ad iscrizioni originali di Mu. […] Le iscrizioni narravano particolareggiatamente la creazione della terra e dell’umanità e parlavano del luogo in cui l’uomo era comparso agli inizi della storia. […] Ebbi così a constatare che le civiltà greca, caldea, babilonese, persiana, egizia, indù, cinese, erano state tutte precedute dalla civiltà di Mu. […] Scoprii che quel continente scomparso rappresentava senza dubbio alcuno l’habitat originario dell’umanità. In quelle meravigliose contrade era vissuto un popolo che aveva finito per colonizzare tutta la terra. Ma, improvvisamente, Mu era stata spazzata via dalla faccia del pianeta da terremoti apocalittici, seguita da un’invasione delle acque, dodicimila anni fa. In un turbine di fuoco e di acqua, Mu era scomparsa.”
    ...nonostante la sua grandiosità, nel periodo di massimo fulgore, un immane sconvolgimento tellurico avrebbe distrutto la parte meridionale del continente e, nel volgere di pochi secoli, altri violentissimi terremoti portarono al totale inabissamento di Mu. I pochi sopravvissuti si imbarbarirono progressivamente, dando inizio alla storia come noi la conosciamo, pur conservando una fumosa memoria delle loro antiche e nobili origini. Solamente Atlantide, avanzatissima colonia muana, conservò intatto il livello tecnologico e culturale raggiunto dal continente scomparso, ma, come la propria madrepatria, anch’essa sarebbe stata destinata a scomparire nel mare.



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    Un miliardo di ore fa, la vita appariva sul Pianeta Terra.
    Un miliardo di minuti fa, inziava il Cristianesimo.
    Un miliardo di Coca Cole, fa era ieri.



    ...una canzone....



    Il pianeta terra, la mia casa,
    il mio posto capriccioso nel mare dello spazio,
    sul pianeta terra galleggia una nuvola di polvere di un globo minore,
    tu....busto su un pezzo di metallo arruginito,
    tu....granello di materia.....
    su di te il volo di un'astronave solitario,di un grande asteroide freddo come una roccia senza tonalità.
    A volte mia terra blu non è vero che sei il mio amore dolce,
    prendono il sopravvento le emozioni più profonde del mio cuore,
    gare di ebbrezze carezzevoli,
    tutta la vita con la musica,
    il mio inqueitante soul.
    Nelle mie vene ho sentito il mistero dei corridoi del tempo,
    libri di storia di vita,
    canzoni della mia età,
    le pulsazioni nel mio sangue hanno ballato a ritmo della marea e delle inondazioni.
    La tempesta elettrice e turbolente dentro di me,
    sento il sale, l'amaro,
    il dolce di ogni incontro di passione, di calore....
    il profumo, il gusto....
    al di là di tutti i sensi sono entusiasta della tua bellezza,
    ho conosciuto il tempo come beatitudine,
    il momento di adesso.....
    Sul pianeta terra galleggia una nuvola di polvere di un globo minore,
    tu....busto su un pezzo di metallo arruginito,
    tu....granello di materia.....
    su di te il volo di un'astronave solitario,di un grande asteroide freddo come una roccia senza tonalità.
    A volte mia terra blu non è vero che sei il mio amore dolce,
    prendono il sopravvento le emozioni più profonde del mio cuore,
    gare di ebbrezze carezzevoli,
    tutta la vita con la musica,
    il mio inqueitante soul.
    Pianeta Terra, gentile e blu,
    con tutto il mio cuore, I LOVE YOU.
    Michael Jackson- Dangerous 1991






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    Edited by gheagabry1 - 2/10/2019, 23:12
     
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  2. gheagabry
     
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    La FAGLIA di SAN ANDREAS



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    La faglia di San Andreas è una frattura nella crosta terrestre che separa la placca pacifica da quella nord-americana. È una spaccatura lunga migliaia di chilometri, ad andamento circa verticale, ma sinuoso, con molte diramazioni che dall'Oceano Pacifico penetra nel continente americano all'altezza della California settentrionale e prosegue quindi a terra fino a Los Angeles, San Diego e quindi si addentra nel Golfo di California (Mare di Cortez) in Messico. Penetra all'interno della terra per decine di chilometri, fino a raggiungere l'astenosfera (la parte calda e duttile del mantello superiore sopra la quale galleggiano le placche).
    La faglia determina un movimento relativo orizzontale tra le due placche, di tipo "destro" (vuol dire che un osservatore che guarda la faglia stando su una placca vede la placca oltre la faglia muoversi verso destra rispetto alla propria posizione). La faglia di San Andreas è famosa in quanto genera i frequenti terremoti della California ed è una della principali strutture crostali simogenetiche del pianeta. E' una faglia geologica che si sviluppa per 1287 km attraverso la California, tra la placca nordamericana e la placca pacifica e lungo la quale si sono verificati devastanti terremoti. Fu scoperta nel 1895 nella California settentrionale dal professore di Geologia dell'Università di Berkeley, Andrew Lawson, che prese questo nome da un piccolo lago, Laguna de San Andreas, che si trova su una valle formata dalla faglia a sud di San Francisco.

    ....credenze e superstizioni....


    Nell’antichità il minimo movimento tellurico era considerato foriero di disastri maggiori, quasi un preavviso che ben più dolorose calamità stavano per abbattersi sulla Terra. Il segno infausto veniva esaminato ed interpretato dagli indovini e dai sacerdoti i quali stabilivano penitenze e sacrifici per scongiurare futuri cataclismi non solo di natura geologica ma anche di ordine politico, sociale e militare. Quei popoli primitivi cercavano anche di dare una interpretazione “logica” al fenomeno basata su criteri astronomici legati all’origine della Terra e del Cosmo intero.
    I miti e le leggende parlano di animali mostruosi, simili a quelli a noi familiari, che vivono sottoterra. La mitologia indù ad esempio immaginava otto possenti elefanti a fare da pilastri alla Terra; quando uno di loro scuoteva la testa (come in effetti fanno questi pachidermi quando sono stanchi) causava il terremoto. Altri animali venivano deputati a portare la Terra sul dorso: fra questi vi erano la tartaruga acquatica e un enorme pesce-gatto che viveva nel fango sotterraneo dove ogni tanto si agitava producendo un sussulto della Terra sovrastante. E fra tanti non poteva mancare anche un mito di natura erotica legato ad un focoso gigante sotterraneo che, quando si accoppiava,generava un terremoto. Col passare del tempo, in molte mitologie si venne affermando il concetto di divinità con complicati attributi e motivazioni umane. I membri di un’antica tribù peruviana pensavano che quando il loro dio visitava la Terra per contare gli uomini presenti, i suoi passi facevano tremare il suolo; per abbreviarne il compito la gente usciva di corsa dalle case gridando: “Sono qui, sono qui!” introducendo nella mitologia il buon senso di abbandonare le fragili abitazioni in caso di terremoto. Le divinità attraverso interventi di questo tipo mostravano la loro attenzione e il loro interesse per la vicende terrene. Con l’avvento del Cristianesimo le cose non cambiarono, anzi peggiorarono rafforzando l’alone di mistero e di magia che accompagnava il fenomeno. Le cronache parlano di terremoti che seguirono al martirio di santi durante le persecuzioni dei cristiani e si legge in scritti medioevali che la morte e resurrezione di Gesù Cristo furono accompagnate da due violenti terremoti. Nei Vangeli la stessa fine del mondo è preannunciata da profezie apocalittiche collegate a sconvolgimenti tellurici. Anche in epoca moderna, nonostante la sua spiegazione a livello scientifico, il cataclisma sismico è rimasto circondato dal mistero e alcune realtà culturali ancora oggi vedono in esso la collera della divinità stanca dei peccati degli uomini. Il terremoto che colpì Lisbona il mattino del 1° novembre 1755 scosse la Cristianità non meno di quanto fece sobbalzare il suolo del Portogallo. I pii abitanti della capitale si trovavano in quel momento in chiesa a celebrare il giorno di Ognissanti e la chiesa crollò loro addosso. Coloro che si salvarono fuggirono sulla spiaggia giusto in tempo per essere travolti da enormi ondate provenienti dall’Atlantico. Questo disastroso terremoto, accompagnato dal maremoto e concluso da un enorme incendio che mandò in cenere meravigliosi tesori, magazzini ricolmi di preziosi abiti di seta, mobili di pregio e dipinti di artisti famosi, trovò infine d’accordo il potere politico e quello religioso nell’istituire un “auto da fè” (atto di fede) che consisteva nel macabro rituale, da parte dell’Inquisizione, di ardere a fuoco lento alcuni eretici. La collera del dio offeso o altre ingenue storie mitologiche furono acriticamente accettate per millenni dai nostri antenati come cause fondamentali dei terremoti. Non tutti i popoli antichi si lasciarono però suggestionare da miti e leggende: i primi a cercare nella natura le cause dei terremoti furono gli astronomi babilonesi in quanto credevano che ci fosse una relazione tra l’allineamento del Sole e delle stelle e l’incidenza dei sismi sulla Terra. Anche nella Grecia classica fu trattato a lungo il fenomeno sismico con l'intento di attribuirgli una spiegazione razionale. I filosofi greci, le cui osservazioni e interpretazioni furono ritenute valide fino a tempi molto recenti, individuavano nei quattro elementi la causa prima dei terremoti. Talete ad esempio immaginava che la Terra galleggiasse sull’acqua e quindi i terremoti non erano altro che il riflesso del moto ondoso. Per altri la causa dei terremoti era da ricercarsi nell’aria, nel fuoco interno al pianeta o nella secchezza della terra. Aristotele chiuse definitivamente la controversia sull’origine dei terremoti affermando che gli improvvisi movimenti della Terra erano provocati da esalazioni secche racchiuse al suo interno che cercavano con violenza una via d’uscita. L’autorità del grande maestro di Stagira era tale che le sue affermazioni rimasero indiscusse per secoli.Solo in anni molto recenti, grazie agli studi geologici conseguenti a misurazioni molto precise, si è chiarita l’origine dei terremoti ma già verso la metà del Settecento, in seguito al terremoto di Lisbona, si tentò di dare una giustificazione scientifica all’origine di questo fenomeno. Si scontrarono a quel tempo due orientamenti antitetici: quello dei “fuochisti” e quello degli “elettricisti”. Per i primi i terremoti erano determinati da fuochi di origine vulcanica, per i secondi invece erano prodotti da scariche elettriche. Fra i sostenitori di questa seconda ipotesi vi era Benjamin Franklin che, dopo aver provato l’esistenza dell’elettricità nei temporali, aveva inventato il parafulmine. Questa scoperta aveva irritato gli uomini di chiesa i quali ritenevano che in questo modo Dio non sarebbe stato più libero di far cadere i fulmini dove meglio credeva. Il terremoto era quindi il segno della disapprovazione divina attirata dalla selva di parafulmini sistemati sui tetti delle case.

    .....il "BIG ONE".....


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    Potrrebbe essere uno dei più potenti terremoti degli Stati Uniti quello che si verificherà lungo la Faglia di San Andrea tra non molto, se le previsioni del geofisico Yuri Fialko dello Scripps Intitution of Oceanography a La Jolla (Usa) dovessero avverarsi. Il vero "Big One". Le sue conclusione sono da considerarsi estremamente serie in quanto sono state accettate e pubblicate dalla autorevole rivista scientifica Nature.
    Spiega Fialko: "La faglia sta accumulando un’energia estremamente elevata che potrebbe essere rilasciata attraverso un violentissimo terremoto". Ma quando? "Purtroppo questo non lo può dire nessuno, anche se l’appuntamento con il sisma non dovrebbe essere poi così lontano", aggiunge il ricercatore. La faglia di San Andrea corre con direzione nord-sud attraversando quasi tutta la California occidentale, passando attraverso due megalopoli, San Francisco e Los Angeles per poi fondersi con un’altra faglia più a sud, quella di San Jacinto. La crosta che sta ad ovest della faglia si muove verso nord, mentre quella che sta ad est è in movimento verso sud, un fenomeno che ha dato origine ad una faglia chiamata "trascorrente". La frizione tra le due gigantesche porzioni di roccia accumula grandi quantità di energia che quando viene rilasciata può produrre violentissimi terremoti. Il segmento della faglia che sta più a nord rilasciò la sua energia esattamente 100 anni fa, quando diede origine al ben noto terremoto che distrusse San Francisco provocando 3.000 morti, mentre il settore centrale della faglia causò un violento sisma nel 1857. Il tratto meridionale della faglia invece, non si è mosso da circa 250 anni ed è per questo che l’energia che si è caricata in questo settore è talmente elevata da far pensare ad un imminente e violento terremoto. Fialko ha studiato la faglia sia attraverso la strumentazione sistemata direttamente lungo la frattura, sia utilizzando dati raccolti da due satelliti dell’Agenzia Spaziale Europea dal 1985 ad oggi. I satelliti Ers-2 e Envisat hanno permesso di misurare i movimenti del suolo a distanze di soli 20 metri, permettendo così di avere un quadro temporale della situazione estremamente dettagliato. Le conclusioni non sono certo liete per le 18 milioni di persone che vivono lungo questo tratto di faglia. Spiega il geofisico: "Lo stress cui è sottoposta la lunga faglia (causato dalla spinta dell’Oceano Pacifico lungo la costa occidentale degli Stati Uniti) avrebbe dovuto muovere i due fianchi della frattura facendola slittare anche di 7 metri durante gli ultimi 250 anni. Ma questo non è minimamente accaduto". Se ciò fosse avvenuto l’energia si sarebbe potuta scaricare lentamente attraverso piccoli o medi terremoti, ma poiché ciò non si è verificato c’è da aspettarsi che lo scarico dell’energia sarà devastante. Aggiunge Fialko: "Anche se nessuno può dire se il terremoto avverrà domani o più in là, penso che si è comunque vicini alla fine di una fase che ha permesso un elevato accumulo di energia". Il geofisico ha previsto che il terremoto potrebbe allontanare i due labbri della faglia anche di 10 metri e sarebbe un movimento tra i peggiori mai registrati dall’uomo. Basti pensare che il catastrofico terremoto di San Francisco determinò uno scivolamento della faglia di "soli" 6,4 metri. "E’ senza dubbio una nuova evidenza che dovremo fare i conti con una storia che già conosciamo - ha sottolineato Scott Brandenberg dell’Università della California di Los Angeles- e quindi è assolutamente necessario prendere tutte le precauzioni del caso". ( LUIGI BIGNAMI, 22 giugno 2006)


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    Si presenta come una cicatrice sulla Terra nelle immagini aeree che siamo abituati a vedere nelle riviste o nei documentari. Vista dal vivo appare come un tranquillo ricamo di colline formate dal tempo. Stiamo parlando della Faglia di San Andreas, in California. E NextMe si è recato sul posto per conoscere di persona quello che è il punto di congiunzione di due placche terrestri.
    Il punto di osservazione raggiunto è uno dei pochi accessibili. Si chiama Wallace Creek, nel cuore dello stato californiano. Proprio questo punto, preso come riferimento ipotetico, tra 10 milioni di anni potrebbe essere proiettato verso il Golden Gate di San Francisco. Infatti, stando alle osservazioni effettuate dai geologi, la placca pacifica e quella nordamericana si sposterebbero l'una nel verso opposto dell'altra di circa 34 millimetri annui. Quello che intorno si vede è il risultato del lavoro perpetuo di milioni anni. Una corona di montagne senza alcuna interruzione che di fatto costituisce il prodotto di uno spostamento incessante nel tempo. Negli ultimi sei anni, un team di scienziati provenienti da diverse istituzioni si è riunito in un progetto chiamato SAFOD o San Andreas Fault Observatory in the Deep. In pratica, è stato praticato un foro al centro della faglia vicino a Parkfield California, una specifica area lungo la faglia finora conosciuta. La perforazione è stata effettuata al fine di sperimentare una serie di piccoli terremoti ogni anno attraverso il recupero e lo studio di alcuni campioni di roccia. I geologi Chris Maron e Brett Carpenter e l'idro-geologo Demian Saffer sono giunti ad una comprensione dei tipi di rocce coinvolte nei grandi terremoti. Attraverso rigorosi test di laboratorio presso il Penn State, si sono determinati i punti di forza e di rottura delle rocce. Ma per loro stessa affermazione, il progetto SAFOD é solo un pezzo di un complesso puzzle con il difficile obiettivo di riuscire a predire quando e dove si verificheranno i terremoti, onde evitarne di devastanti come quello che colpì il Giappone l'11 marzo 2011. Nel frattempo, i geologi confermano che in California sarebbe imminente un mega terremoto. Tuttavia, questo evento catastrofico è annunciato da molti anni e i californiani conoscono bene l'entità del rischio, vivendo da sempre su una zona altamente sismica in grado di proiettare questo segmento del paese nell'Oceano Pacifico. Dal 2011, gli allarmi si sono intensificati in modo significativo. Come fosse una pentola fumante, infatti, una pressione si starebbe creando sotto la superficie dello stato californiano e potrebbe scatenare un forte terremoto in qualsiasi momento. Ed è la conclusione alla quale si è giunti in seguito al recente studio dell'istituto di Oceanografia Scripps.(Federica Vitale)


    Edited by gheagabry1 - 2/10/2019, 23:36
     
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    L'AMASIA, terra futura

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    L'amasia inizierà a formarsi tra circa 100 milioni di anni



    L'idea che gli attuali continenti siano il frutto della frantumazione di un antico supercontinente, Pangea, è entrata nel bagaglio culturale corrente, da quando nel 1912, Alfred Wegener enunciò per la prima volta la teoria della deriva dei continenti.

    Da questa teoria si è poi sviluppata quella della tettonica a placche, che fornisce un'elegante spiegazione integrata sia di fenomeni geofisici come l'attività sismica, l'orogenesi e il vulcanismo, sia biogeografici ed ecologici.

    Ma oltre a ricostruire il passato, gli scienziati si sono interrogati su quale potrà essere l'assetto delle terre emerse nei prossimi milioni di anni. Sono state sviluppate diverse ipotesi che prevedono la formazione di un nuovo supercontinente, a cui è già stato anche dato un nome: Amasia. In tutti i modelli previsionali sviluppati, infatti, esso sarebbe la conseguenza della fusione dell'America con l'Asia, includendo anche Africa, Australia e forse Antartide, in seguito al loro movimento verso nord rispetto al sistema di riferimento nelle profondità del mantello che identifica l'antica posizione della Pangea.

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    Due erano finora le ipotesi maggiormente accreditate. Secondo la prima, quella del cosiddetto modello di introversione, l'Amasia si formerebbe là dove c'era la Pangea: l'Atlantico (l'oceano "interno" se si pensa ai continenti come frammenti dell'espansione dell'antico supercontinente) vedrà bloccata la propria espansione per tornare lentamente a chiudersi. Nel secondo modello, detto di estroversione, a chiudersi sarebbe il Pacifico (esito dell'espansione dell'oceano "esterno" alla Pangea), in modo da andare a formare un supercontinente nella direzione opposta a quello precedente.

    Ora però una ricerca condotta da ricercatori della Yale University sembra suffragare una terza ipotesi alternativa, descritta in un articolo pubblicato su "Nature". Secondo questo nuovo modello, detto di ortoversione, l'America rimarrà allineata alla posizione della zona di subduzione a forma di ferro di cavallo che definisce la cosiddetta Cintura del fuoco, confine tra il nord del Pacifico e i continenti. Prevarranno invece i moti delle placche verso settentrione, portando alla chiusura del Mar dei Caraibi e successivamente anche dell'oceano Artico.

    Per testare i tre modelli, i ricercatori hanno ricostruito della paleogeografia dello sviluppo dei continenti a partire da Pangea, determinando quantitativamente i centri di di massa dei supercontinenti e delle grandi province magmatiche in momenti successivi della loro evoluzione e misurandone la distanza angolare sulla base di dati paleomagnetici.


    lescienze.it

    Edited by gheagabry1 - 2/10/2019, 22:53
     
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    Se l'Europa sprofonda sotto l'Africa

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    di Richard A. Lovett

    La placca tettonica europea potrebbe aver cominciato a scorrere sotto quella africana: secondo uno studio recente, la nuova zona di subduzione potrebbe determinare un maggior rischio di terremoti nel Mediterraneo occidentale, e naturalmente anche nel nostro paese.

    Le zone di subduzione si creano quando, nella collisione tra due placche tettoniche, una comincia a scorrere sotto l'altra, sprofondando fino al mantello terrestre. A volte sono collisioni graduali, ma spesso hanno accelerazioni improvvise che possono innescare terremoti; e poiché le zone di subduzione si trovano di solito sotto il fondo marino, i sismi possono a loro volta scatenare tsunami come quello che di recente ha colpito il Giappone.

    Da milioni di anni la placca tettonica africana, che contiene parte del fondo del Mediterraneo, si muove verso la placca eurasiatica, a nord, alla velocità di circa un centimetro l'anno. Ma una ricerca condotta sui terremoti più recenti indica che forse, nel punto di collisione delle placche, tra le coste nordafricane e quelle siciliane, si sta formando una nuova zona di subduzione. "È un fatto molto raro", dice Rinus Wortel, geofisico all'Università di Utrecht, in Olanda, e responsabile della ricerca.

    Europa e Africa si scambiano di posto
    Secondo Wortel, 30 milioni di anni fa la situazione era opposta: la placca africana scorreva sotto quella eurasiatica lungo una zona di subduzione di notevoli dimensioni. Per milioni di anni l'Africa si spinse a nord, e le rocce del suo fondo marino scivolarono sotto la placca eurasiatica; finché rimasero solo le rocce continentali, più leggere, e la subduzione si arrestò.

    Ma le due placche hanno continuato a scontrarsi; la spinta da sud ha fatto sì che la placca eurasiatica si "accartocciasse" dando vita a catene montuose come le Alpi, il Caucaso o i monti Zagros, tra Iraq e Iran.

    Oggi, analizzando le posizioni e i movimenti dei recenti terremoti lungo i confini delle placche, Wortel e i suoi colleghi pensano che la situazione si sia invertita: lungo la nuova zona di subduzione, sarebbe l'Europa a essere spinta sotto la placca africana.

    I risultati della ricerca, annunciati in un recente convegno della European Geosciences Union a Vienna, sono molto interessanti, perché le zone di subduzione, una volta formate, tendono a esistere per periodi geologici molto lunghi.

    Rischio sismico sottovalutato?
    Altri studiosi si dicono incuriositi dalla possibilità che esista una nuova zona di subduzione, ma restano cauti. "Non ho partecipato al convegno, ma mi sembra perfettamente plausibile", dice Seth Stein, docente di geofisica alla Northwestern University di Evanston, nell'Illinois. Ad esempio, la tettonica di altre zone del Mediterraneo, come l'Italia continentale, è cambiata negli ultimi due milioni di anni.

    Ma decifrare questi cambiamenti è molto complesso, ribatte Chris Goldfinger della Oregon State University. "Dovrei studiare i dati per una settimana per avere un'idea valida".

    Wortel aggiunge che la formazione della zona di subduzione è un processo molto lungo: "Avviene su una scala temporale di milioni di anni. Ad esempio, sostiene, le zone di subduzione più antiche sono contrassegnate da gigantesche fosse sottomarine. Una fossa simile dovrebbe alla fine formarsi nel Mediterraneo, ma certo non da un giorno all'altro.

    Tuttavia Wortel ritiene che i nuovi dati indichino che il rischio di terremoti nel Mediterraneo occidentale è stato finora sottovalutato, e forse si sta aggravando. "Si pensa che la sismicità della regione non sia così elevata da causare eventi devastanti come il terremoto in Giappone", spiega lo studioso. Ma forse è solo per abitudine: "che una tragedia del genere non avvenga da un centinaio d'anni non significa che il rischio sia inesistente", prosegue Wortel. In fondo, il terremoto di Messina del 1908 - una scossa di magnitudo 7,1 che provocò uno tsunami con onde alte fino a 12 metri - causò 70 mila morti. E il terremoto di Lisbona del 1755, che ebbe l'epicentro poco a ovest dello stretto di Gibilterra e fu anch'esso accompagnato da un maremoto, uccise secondo alcune stime almeno 100 mila persone.




    national geographic
     
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    LA DEPRESSIONE DI AFAR

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    Alcuni anni or sono si scoprì in Etiopia un luogo davvero unico sul nostro pianeta: una gigantesca frattura in una remota area desertica dove “un nuovo oceano sta letteralmente prendendo forma”.
    Si trattava di una fessura lunga 60 metri e larga 4 m, che si era aperta tra settembre 2004 e i primi mesi del 2005 nel deserto dell’Afar, a 990 km a nord est della capitale Addis Abeba. La frattura è poi diventata via via sempre più lunga e larga.



    Qui nascerà un oceano
    “Questa fessura è l’inizio dell’apertura di un nuovo mare che tra pochi milioni di anni si formerà tra l’Africa occidentale e la nuova isola, la quale si muoverà verso l’Oceano Indiano”, aveva spiegato Dereje Ayalew, dell’Università di Adis Abeba, che guidò il gruppo di geofisici in quella affascinante ricerca. “A nessun uomo era mai capitato di studiare la nascita di un nuovo oceano. Fino ad oggi infatti, conosciamo quelli che si sono già formati, ma mai avevamo avuto modo di osservarne uno nella sua fase primordiale”, disse Ayalew. Dalla fratture che si sono aperte nell’area sono fuoriuscite anche delle lave la cui camera magmatica è stata scoperta recentemente a circa 32 km di profondità. Spiega Kathy Whaler dell’Università di Edimburgo: “Le ricerche ci hanno permesso di stabilire che là sotto vi sono circa 3.000 chilometri cubi di roccia fusa, sufficienti a coprire tutta Londra con un chilometro di lave”.

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    La depressione di Afar, all’estremità del rift dell’Africa orientale (dove il continente si sta separando), si allarga. Qui nascerà un oceano: tra un milione di anni, il Mar Rosso potrebbe inondare l’area. Tra 10, l’intero rift (3.500 km di lunghezza) potrebbe essere sommerso.
    Tutto ciò comunque, rientra in una situazione molto più vasta, dove già da alcuni milioni di anni si stanno verificando un insieme di fatti che fanno intendere che l’Africa si spezzerà in due. Il Mar Rosso ad esempio, è un tratto del nuovo oceano già in fase avanzata, mentre i grandi Laghi d’Africa si trovano ad uno stadio intermedio tra la nuova frattura dell’Afar e il Mar Rosso. Nelle zone in cui avviene questo fenomeno si verifica una distensione della litosfera e lo spessore della crosta diminuisce sempre di più fino a portare alla lacerazione della crosta stessa. A questo punto i magmi profondi risalgono lungo le grandi fratturazioni che vengono a crearsi e danno origine ad una intensa attività vulcanica.
    Le Rift Valley, tra le quali la più imponente e spettacolare è proprio quella che si sta formando in Africa Orientale, hanno questa origine. Quando il fondo della fossa raggiunge il livello del mare, le acque la invadono e si genera un nuovo oceano che andrà via via espandendosi.

    Di luigibignami Pubblicato 14 marzo 2012


    La depressione di Afar è tra i posti più caldi della Terra: il paese (oggi fantasma) di Dallol ha registrato una media annuale di 34,4 °C, record per una località abitata. Si trova a pochi chilometri dal confine con l'Eritrea, nei pressi del cratere del Dallol, in un’area di geyser e sorgenti calde. Il giallo rivela la presenza di zolfo; se c’è anche ferro ossidato, i toni virano sull’arancione.

    Queste strutture nel cratere del Dallol sono create dalla ricristallizzazione del sale. L’acqua percola nel sottosuolo, si scalda arrivando vicina al magma, risale attraverso spessi strati di sale, che scioglie e porta in superficie. Dai fori, escono vapori tossici.

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    Un canyon nella depressione di Afar, dove si trova il punto più basso dell’Africa: 155 m sotto il livello del mare. L’area è già stata invasa più volte dal Mar Rosso: l’ultima è stata 80.000 anni fa, quando il livello del mare si è alzato.





    focus.it

    Edited by gheagabry1 - 2/10/2019, 22:46
     
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    LA PANNOTIA

    EarlyCambrianGlobal

    La Pannotia è un ipotetico supercontinente che sarebbe esistito fra i 600 ed i 540 milioni di anni fa, che si formò alla fine del Precambriano durante l'orogenesi panafricana (650-500 Ma). Viene anche chiamato il Supercontinente vendiano e "Greater Gondwanaland", suggerito da Stern 1994 . Pannotia deriva dal greco: pan- , "all", -nótos , "sud", che significa "tutta la terra del sud".
    Nel 1976 Piper fu probabilmente il primo a proporre un supercontinente proterozoico precedente a Pangea, oggi noto come Rodinia. A quel tempo si riferiva semplicemente a esso come "il super-continente proterozoico", ma molto più tardi lo chiamò "simmetrico analogo a forma di mezzaluna di Pangea" "Palaeopangaea". L'esistenza di un supercontinente tardo proterozoico, molto diverso da Pangea, fu tuttavia proposta per la prima volta da McWilliams 1981 sulla base di dati paleomagnetici, ma fu documentata da Bond, Nickeson e Kominz 1984. La ricostruzione di Bond è praticamente identica a quello di Dalziel 1997 e altri.


    Circa 750 milioni di anni fa, il supercontinente Rodinia si divise in Protolaurasia (che successivamente si ruppe e si riassemblò come Laurasia), Cratone del Congo e Protogondwana.
    La Protolaurasia ruotò, in senso antiorario, verso sud, in direzione del Polo Sud. Il cratone del Congo si posizionò fra i due, circa 600 milioni di anni fa, formando la Pannotia. Tutta la massa di terra si trovava nei pressi del Polo Sud, per cui è presumibile che in quell'epoca ci siano stati più ghiacciai che in qualsiasi altra era geologica terrestre. Somigliava ad una "V" con la punta rivolta a nord-est: al suo interno vi era un oceano, formatosi durante la rottura della Rodinia, che sarebbe diventato l'attuale Oceano Pacifico. All'esterno, invece, la Pannotia era circondata da un gigantesco oceano chiamato Oceano Panafricano, l'equivalente della Pantalassa.
    La Pannotia, però, ebbe vita breve: gli scontri che avevano dato origine al supercontinente avevano una componente di movimento di striscio laterale, e i continenti che si erano raggruppati avevano mantenuto una attività di deriva. 540 milioni di anni fa, appena 60 milioni di anni dopo la sua formazione, la Pannotia si divise in quattro continenti: la Laurentia, la Baltica, la Siberia e il Gondwana, che successivamente si riunirono, dando vita alla Pangea, il più recente dei supercontinenti.

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    La formazione della Pannotia iniziò durante l'orogenesi panafricana quando il continente del Congo fu catturato tra le metà settentrionale e meridionale del precedente supercontinente Rodinia circa 750 Ma.
    Le ricostruzioni di Rodinia variano ma la maggior parte include cinque elementi: Laurentia o lo Scudo canadese si trova al centro; la costa occidentale di Laurentia si trova di fronte all'Antartide e all'Australia (o all'East Gondwana); la costa orientale di Laurentia si trova di fronte al cratone amazzonico; la costa nord si affaccia su Baltica; e la Siberia si trova vicino a Baltica.
    La posizione meno certa dei blocchi continentali include: il Crat dell'Africa occidentale era semplicemente un'estensione del cratone amazzonico; L'East Gondwana fu probabilmente distrutto dagli oceani; i Cathaysian Terranes (Indocina , Cina settentrionale e Cina meridionale) erano situati adiacenti al Gondwana orientale vicino al Polo Nord; il Congo Craton era situato sulla costa sud di Laurentia, probabilmente separato da Rodinia dagli oceani del Mozambico e dell'Adamastor .

    Pannotia si formò da subduzione di oceani esterni (un meccanismo chiamato estroversione) su un geoide basso, mentre Pangea da subduzione di oceani interni (introversione) su un geoide alto forse causato da superplumi e eventi valanghe di lastroni. La crosta oceanica subdotta dalla Pannotia si formò all'interno del superoceano di Mirovoi che circondò Rodinia prima della sua disgregazione di Mais 830-750 e fu accresciuta durante le orogenesi del Proterozoico Tardo che risultavano dall'assemblaggio della Pannotia.
    La disgregazione di Pannotia fu accompagnata da un innalzamento del livello del mare, da cambiamenti drammatici nel clima e dalla chimica delle acque oceaniche e dalla rapida diversificazione del metazoi; nel 1984, Bond, Nickeson e Kominz trovarono sequenze di margini passivi neoproterozoici in tutto il mondo - la prima indicazione di un supercontinente neoproterozoico tardo ma anche le tracce della sua scomparsa.
    L'Oceano di Giapeto iniziò ad aprirsi mentre Pannotia si assemblava, 200 Ma dopo la rottura di Rodinia. L'apertura di Giapeto e di altri mari Cambrici coincise con i primi passi nell'evoluzione dei metazoi dal corpo molle e fece anche una miriade di habitat disponibili per loro, che portò alla cosiddetta esplosione Cambriana, la rapida evoluzione dei metazoi scheletrati. I trilobiti nacquero nel neoproterozoico e iniziarono a diversificarsi prima della disgregazione di Pannotia, come dimostra la loro presenza onnipresente nei reperti fossili.

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    Catene montuose e oceani conservano la 'firma' dell'esistenza dell'antico supercontinente chiamato Pannotia, che rappresentava le terre emerse circa 600 milioni di anni fa, nel periodo Precambriano, e che ha preceduto il più noto supercontinente Pangea. A confermare che Pannotia sia effettivamente esistito, nello studio pubblicato sulla rivista Geological Society of London, è il geologo che ne ha sempre sostenuto l'esistenza, Damian Nance, dell'Università americana dell'Ohio, insieme a Brendan Murphy, dell'Università canadese St. Francis Xavier.

    Secondo i due ricercatori i segni dei profondi sconvolgimenti avvenuti della superficie terrestre, come la formazione di catene montuose, l'apertura di spaccature della crosta terrestre, mutamenti del clima e della chimica degli oceani, sarebbero compatibili con la formazione e la successiva frammentazione di Pannotia. "Questo supercontinente ha avuto una profonda influenza sulla storia della Terra e sull'evoluzione di oceani, atmosfera e biosfera", ha osservato Nance. "I cicli di formazione e frattura dei continenti - ha aggiunto - hanno inoltre condizionato il mantello terrestre".


    Per Carlo Doglioni, presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), "la ricerca conferma come la dinamica terrestre sia un susseguirsi di cicli di allontanamento e riavvicinamento delle placche". Ricerche così indietro nel tempo, ha osservato, sono difficili "perché la crosta oceanica più antica ha fra 180 e 200 milioni di anni". Sappiamo che il nostro pianeta è stato interessato da almeno 7-8 cicli di formazione e disgregazione di supercontinenti e "se confermato, Pannotia sarebbe il penultimo di questi cicli". Per Doglioni tuttavia l'aspetto importante non è l'esistenza o meno di Pannotia, ma "la comprensione del meccanismo che determina il movimento delle placche".

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    RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA


    Edited by gheagabry1 - 2/10/2019, 22:38
     
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    Facendo un'escursione lungo le catene montuose sparse intorno al Mare Adriatico, può capitare di arrampicarsi sui resti accartocciati di un continente perduto da molto tempo. Gli scienziati riportano, sulla rivista Gondwana Research, che questo miscuglio roccioso non è altro che il resto di un pezzo di crosta continentale delle dimensioni della Groenlandia, demolito milioni di anni fa.

    ADRIA MAGGIORE

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    40 milioni di anni fa, la mappa del mondo era molto diversa.
    Tutti i continenti terrestri erano uniti in un unico super-continente a forma di Pac-Man, Pangea, che si è poi diviso in due parti: Laurasia al nord e Gondwana al sud. La prima è diventata Europa, Asia, e Nord America. La seconda si è dispersa per formare le attuali Africa, Antartide, Sud America e Australia.
    Gli scienziati hanno scoperto la sorte di un ottavo continente nato dal Gondwana, e lo hanno chiamato Adria Maggiore. Uno studio ha mostrato che le forze geologiche hanno spinto lentamente una massa terrestre delle dimensioni della Groenlandia al di sotto dell’Europa meridionale tra i 120 e i 100 milioni di anni fa.
    Il continente era semisommerso, ma mentre si dirigeva verso il mantello terrestre, il suo strato superiore è stato praticamente sbucciato sporgendosi verso l’alto per diventare le montagne presenti in 30 nazioni europee, come gli Appennini in Italia, le Alpi Dinariche in Bosnia ed Erzegovina, le Alpi Svizzere, i monti Zagros in Iran.
    I magneti naturali della crosta terrestre possono aiutare gli scienziati a ricostruire i movimenti della placca tettonica di 240 milioni di anni fa. Quando la lava bollente si raffredda al confine tra due placche in movimento, intrappola rocce che contengono minerali magnetici che si allineano secondo il campo magnetico terrestre dell’epoca. Le rocce mantengono tale allineamento, per cui gli scienziati possono usare il loro orientamento per calcolare il punto del pianeta in cui questi magneti si trovavano milioni di anni fa.

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    I ricercatori hanno osservato rocce magnetiche di 2.300 siti antichi nella regione del Mediterraneo. Hanno impiegato i relativi dati per creare al computer simulazioni dei movimenti delle placche tettoniche prima, durante e dopo l’immersione di Adria Maggiore nel mantello.
    I ricercatori hanno determinato che il continente nascosto si è staccato 220 milioni di anni fa da quella che è l’Africa attuale per separarsi ulteriormente da quelle che è diventata la penisola iberica 40 milioni di anni dopo. Circa 140 milioni di anni fa, Adria Maggiore era probabilmente una serie di arcipelaghi; all’epoca, Adria assomigliava probabilmente all’attuale Zealandia, il minicontinente su cui poggiano le isole settentrionale e meridionale della Nuova Zelanda. Solo il 7% della Zealandia è al di sopra del livello del mare. Potrebbe anche essere successo come per le Florida Keys, con un arcipelago di isole non vulcaniche sul mare.
    Tra i 120 e i 100 milioni di anni fa, l’azione delle placche tettoniche terrestri ha spinto Adria Maggiore nel profondo del mantello, sotto l’attuale Europa meridionale. Mentre le placche rocciose del pianeta continuavano a muoversi inesorabilmente, questo continente è poi precipitato in diverse zone di subduzione, le voragini geologiche distruttive della Terra. Mentre si tuffava nelle profondità del mantello, lo strato superiore del continente è stato spianato, come una colossale mela sbucciata da un titano. I residui sono stati scaricati sui piani sovrastanti, formando le Alpi, i Balcani e le future montagne presenti lungo la spina dorsale dell'Italia, della Turchia e della Grecia. Diverse parti del continente però evitarono sia la rasatura sia la lenta distruzione dovuta alla subduzione. Questi resti intatti dell'Adria Maggiore si trovano oggi sopra il tacco dello stivale dell'Italia, sparpagliati da Torino a Venezia e nella regione istriana della Croazia
    Le porzioni più profonde si trovano attualmente a una profondità di 1.500 chilometri sotto alla Grecia.

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    Determinare l'evoluzione geologica del Mediterraneo dal periodo Triassico ha presentato alcune serie sfide. Gli scienziati hanno una vasta conoscenza di alcuni periodi della storia della tettonica regionale, ma adesso il puzzle geologico ha generato un'analisi dettagliata e complessa. "Il Mediterraneo è simile ad un miscuglio informe", afferma Robert Stern, un esperto di tettonica a zolle dell'Università del Texas a Dallas. All'interno di questa regione disordinata, diversi geologi avevano precedentemente trovato tracce dell'esistenza di un continente perduto, ma i dettagli chiave della sua storia si sono rivelati sfuggenti. I suoi resti sono sparsi in circa 30 paesi, ognuno con i propri modelli, mappe, tecniche di rilevamento e terminologie. Per risolvere la questione, il team ha trascorso 10 anni a raccogliere un'enorme mole di dati geologici e geofisici da tutta la regione e collegarli al loro modello, utilizzando un software chiamato GPlates. Negli ultimi 15 anni circa, questo software, che Van Hinsbergen descrive come "relativamente a prova di stupidi", ha permesso una visualizzazione e una messa a punto più dettagliata dei sistemi di tettonica a zolle. Il minuzioso processo messo a punto dal team ha rivelato i capitoli mancanti del complicato girovagare di questo continente perduto.

    I geologi possono far combaciare i resti delle costruzioni montuose che si trovano attualmente lungo la sezione della lastra originale, inghiottita dal mantello sottostante, il che consente loro di modellare più precisamente i pezzi dell'antico puzzle.

     
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    Uno dei terremoti più violenti avvenuti dal 1668

    Il terremoto di magnitudo 7,8 avvenuto in Turchia è stato mille volte più forte rispetto a quello che nel 2016 ha colpito Amatrice e 30 volte più forte rispetto a quello dell'Irpinia del 1980.
    A livello internazionale, terremoti di questa intensità sono naturalmente rilevanti, ma sono preceduti dalla lunghissima lista dei sismi di magnitudo 8 e 9, fino ad arrivare al più violento mai registrato, quello di magnitudo compresa fra 9,4 e 9,6 avvenuto nel 1960 in Cile.
 Sono stati 14 i violenti terremoti di magnitudo uguale o superiore a 9 avvenuti nel mondo dal 1604, quando l'Alaska venne scossa da un sisma di magnitudo 9,2; il più forte mai registrato è stato però quello che il 22 maggio1960 fece tremare il Cile, a Valdivia, con una magnitudo compresa fra 9,4 e 9,4 e che provocò uno tsunami che raggiunse le coste di Hawaii, Giappone, Filippine, quelle orientali della Nuova Zelanda, quelle sudorientali dell'Australia e le isole Aleutine. 
 Fra le scosse di magnitudo pari o superiore a 8, sono state 31 quelle finora registrate. La più violenta delle quali è avvenuta nel 1700 nel Pacifico, con una magnitudo stimata di almeno 8,7. Appartiene a questo secondo gruppo anche il terremoto più violento registrato in Turchia, quello dell'agosto1668 che aveva colpito l'Anatolia, la stessa zona nella quale la terra ha tremato oggi. 
 La Turchia e la Siria sono presenti anche nella classifica dei terremoti che nella storia hanno mietuto più vittime: sono state 250.000 quelle stimate quando la terra tremò in Turchia nel 526 e 530.000 quelle del terremoto che pochi anni dopo, nel 533 scosse la Siria. 
 Punto di incontro di tre placche continentali e attraversata da due grandi faglie, la Turchia è un Paese ad alto rischio sismico e nella sua storia si contano a decine i terremoti di magnitudo uguale o superiore a 7. Nel '900 sono stati 13 e quello avvenuto oggi è il terzo del XXI secolo, dopo quello di magnitudo 7,2 del 2011 e quello di magnitudo 7 del 2020
    Sono stati 14 i violenti terremoti di magnitudo uguale o superiore a 9 avvenuti nel mondo dal 1604, quando l'Alaska venne scossa da un sisma di magnitudo 9,2; il più forte mai registrato è stato però quello che il 22 maggio1960 fece tremare il Cile, a Valdivia, con una magnitudo compresa fra 9,4 e 9,4 e che provocò uno tsunami che raggiunse le coste di Hawaii, Giappone, Filippine, quelle orientali della Nuova Zelanda, quelle sudorientali dell'Australia e le isole Aleutine.
    Fra le scosse di magnitudo pari o superiore a 8, sono state 31 quelle finora registrate. La più violenta delle quali è avvenuta nel 1700 nel Pacifico, con una magnitudo stimata di almeno 8,7. Appartiene a questo secondo gruppo anche il terremoto più violento registrato in Turchia, quello dell'agosto1668 che aveva colpito l'Anatolia, la stessa zona nella quale la terra ha tremato oggi.
    La Turchia e la Siria sono presenti anche nella classifica dei terremoti che nella storia hanno mietuto più vittime: sono state 250.000 quelle stimate quando la terra tremò in Turchia nel 526 e 530.000 quelle del terremoto che pochi anni dopo, nel 533 scosse la Siria.
    Punto di incontro di tre placche continentali e attraversata da due grandi faglie, la Turchia è un Paese ad alto rischio sismico e nella sua storia si contano a decine i terremoti di magnitudo uguale o superiore a 7. Nel '900 sono stati 13 e quello avvenuto oggi è il terzo del XXI secolo, dopo quello di magnitudo 7,2 del 2011 e quello di magnitudo 7 del 2020
    (Ansa)
     
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    La pianura Padana è africana

    placcheingvcov



    Gli esperti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia spiegano il perché.
    Il processo continua da circa 100 milioni di anni e la risposta arriva dalle placche tettoniche e ci dice proprio che dal punto di vista geologico il territorio di 50 mila km quadrati che la compone e che abbraccia sei Regioni dell’Italia Settentrionale fa parte del continente nero.


    Centinaia di milioni di anni fa gli attuali continenti non esistevano: sulla Terra c’era un unico enorme supercontinente chiamato “Gondwana”.
    Quando si frammentò, diede origine al processo di deriva dei continenti che, trasformazione dopo trasformazione, ha portato fino alla disposizione odierna in costante cambiamento.
    Il Mar Mediterraneo si trova proprio in corrispondenza di un margine convergente tra due grandi placche: quella Africana a Sud e quella Euroasiatica a Nord.

    Il confine tra le due attraversa la penisola per tutta la sua lunghezza.
    Da qui risulta che la Pianura Padana poggia sul lembo più settentrionale della placca Africana.
    Il processo di collisione tra placca Africana ed Eurasiatica continua da circa 100 milioni di anni e prove di questo fenomeno sono le grandi catene montuose dell’Appennino e delle Alpi e l’arco vulcanico delle Eolie. Un’altra testimonianza è il terremoto del 2012 in Emilia Romagna, avvenuto lungo il confine tra le due placche e dovuto allo sprofondamento della placca Africana sotto quella Eurasiatica.

    faglia-italia2



    Geologicamente Europa ed Africa sono a diretto contatto e si fronteggiano nel Mediterraneo. Da Gibilterra verso est si trasforma e da faglia in senso stretto diviene una fascia di deformazione, ma prosegue verso la Sicilia e li disegna un arco, intorno alla Calabria, prende la direzione degli Appennini e risale lo stivale, fino alle Alpi. Qui curva nuovamente e ridiscende, seguendo le coste croate, albanesi e poi greche, dove vira, sfiora i margini meridionali di Creta, attraversa Cipro e sale in Turchia dove prende il nome di Faglia Est Anatolica.
     
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    “250 milioni di anni nel futuro”, la Terra sarà irriconoscibile




    La tettonica delle placche ha segnato e segnerà la nostra Terra. I continenti attuali saranno irriconoscibili.
    La tettonica delle placche ha segnato e segnerà la nostra Terra (oggi contestualmente al cambiamento climatico). I continenti attuali saranno irriconoscibili ed il seguente video è stato realizzato dal Professor Chris Scotese del Dipartimento di Scienze della Terra e dei pianeti della Northwestern University. Ovviamente tutto si basa su ricerche e dati reali. Ecco come sarà la Terra fino a 250 milioni di anni nel futuro a partire dai giorni nostri

     
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    La nascita dell'Himalaya


    van_hinsbergen_et_al_2012_tectonic_map_of_himalaya



    Tra le creazioni più incredibili e visibili delle forze della tettonica delle placche vi è il sistema montuoso dell’Himalaya, che si estende per 2.900 km lungo il confine tra India e Tibet. Questa immensa catena montuosa iniziò a formarsi tra 40 e 50 milioni di anni fa, quando due grandi masse continentali, l’India e l’Eurasia, spinte dal movimento delle placche, si scontrarono.

    Circa 225 milioni di anni fa, l’India era una grande isola ancora situata al largo della costa australiana, e un vasto oceano (chiamato Mare di Tetide) separava l’India dal continente asiatico. Quando Pangea si separò circa 200 milioni di anni fa, l’India iniziò a spostarsi verso nord. Gli scienziati hanno ricostruito il viaggio verso nord dell’India. Circa 80 milioni di anni fa, l’India si trovava a circa 6.400 km a sud del continente asiatico. Quando l’India entrò in Asia tra i 40 ei 50 milioni di anni fa, la sua avanzata verso nord rallentò di circa la metà. La collisione e l’associata diminuzione della velocità di movimento delle placche segnano l’inizio del rapido sollevamento dell’Himalaya.

    L’Himalaya e l’altopiano tibetano a nord si sono alzati molto rapidamente. In soli 50 milioni di anni, vette come il Monte Everest hanno raggiunto altezze superiori a 9 km. L’urto delle due masse continentali deve ancora terminare. L’Himalaya continua a salire di oltre 1 cm all’anno.
    Al momento, il movimento dell’India continua a esercitare un’enorme pressione sul continente asiatico, e il Tibet, a sua volta, preme sulla massa continentale a nord che lo circonda. Una grave conseguenza di questi processi è un micidiale effetto “domino”: tremende sollecitazioni si accumulano all’interno della crosta terrestre, che vengono periodicamente scaricate dai terremoti lungo le numerose faglie.

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