STORIE DI UOMINI.....

...dialoghi con la natura e con l'uomo..

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  1. gheagabry
     
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    Il vento si insinua tra gli alberi dello Yellowstone e racconta.

    Vecchie storie di uomini veri che hanno sfidato la solitudine della natura e l’hanno vinta.

    Oggi il mito della frontiera americana è chiuso dentro case super accessoriate, sempre più protette, sempre più asettiche.

    E il popolo, che in sole quattro generazioni conquistò un continente, ha paura di uscire e respirare il cielo delle Montagne Rocciose.

    Il grido dell’aquila dal collo bianco che le attraversa è un urlo di terrore per chi soffre di biofobia.

    Il panico di lasciare la propria stanza, il quartiere, la città sta colpendo gli yankees. Nei parchi, nelle riserve e nelle foreste ci sono sempre meno persone.

    In un solo decennio si sono persi 80 milioni di visitatori. Una caduta complessiva del 25 per cento.

    I dati scoraggianti derivano da uno studio condotto dell’ecologista Patricia Zaradic, che è stato pubblicato sul Proceedings of the National Academy of Sciences.

    Le interpretazioni si sprecano, le giustificazioni anche.

    Per alcuni la colpa è del tempo tiranno che non lascia più spazio all’aria aperta e si concede solo alle attività domestiche.

    Per altri invece, come Oliver Pergams, dell’Università dell’Illinois, dipende dalla fobia in cui è avvolta la società moderna.

    “La paura dello sconosciuto, degli animali, di perdersi sono caratteristiche innate nell’uomo. Oggi però vengono amplificate dai media”, spiega.

    E aggiunge: “Per chi non conosce la vera natura, è difficile pensare che sia qualcosa di diverso dall’uragano Katrina, dagli tzunami, o dal riscaldamento globale”.

    Forse non tutti sanno che siamo stati proprio noi a causare questi catastrofi, sfruttando senza rispetto il Pianeta.

    Forse un giorno il vento che si insinua tra gli alberi dello Yellowstone lo racconterà.



    (Andrea Lessone, il reporter)

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  2. gheagabry
     
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    Uomo e Natura, la ciclicità degli eventi


    di Francesco Bizzini

    Una legge naturale, termine alquanto beffardo. Pare infatti che dove l’uomo ponga la propria razza Madre Natura faccia le valige per traslocare altrove. E non è una regola degli ultimi inquinati secoli. No, ricercatori stanno studiando casi simili disseminati tra le pieghe del tempo, addirittura risalenti a undicimila anni fa.

    Dai dati in loro possesso si evince che ben centotrenta specie animali siano sparite dal Nord America in quell’epoca. E la questione non investe semplici (ma comunque preziosi) insetti di qualche grammo. A dissolversi come neve al sole furono il mammut, la tigre dai denti a sciabola e i bradipi giganti.

    Gli studiosi, dopo infiniti dibattiti, hanno estrapolato due motivazioni che potrebbero rappresentare una spiegazione plausibile a questo strano fenomeno: la prima riguarda la pratica della caccia intensiva e la seconda quella delle malattie umane introdotte in territori che fino ad allora non avevano mai visto l’ombra dell’uomo.

    “Gli umani sono arrivati e gli animali hanno iniziato a sparire”, ha affermato Ross MacPhee, il curatore della collezione di mammiferi dell’American Museum of Natural History di New York. Ma la terza probabile causa sembra servita sul piatto con altrettanta semplicità. Anthony Barnosky, paleontologo dell’Università della California, addirittura vede nella congiunzione tra cambiamento climatico e azione umana un leit motiv valido fino ai giorni nostri:

    “Oggi ci troviamo allo stesso bivio – ha affermato lo studioso – un simile avvenimento sembra in corso odiernamente, la crescita esponenziale della popolazione mondiale e la crescita del riscaldamento globale a livelli senza precedenti”.

    Insomma un filo che lega la nostra era tecnologica e il Pleistocene: l’agire umano influisce sull’estinzione repentina di specie animali, viaggi intercontinentali seminano malattie quali l’Aids, tubercolosi, colera, pandemie, senza poi dimenticare che in Africa quanto in Amazzonia la vegetazione è in pericolo e con lei gli animali che vi ci abitano.

    C’è da segnalare però che il consenso scientifico intorno alle estinzioni in massa alla fine dell’Era Glaciale non è di certo unanime. L’unico punto comunemente condiviso è da sempre la storica teoria di Paul Martin dell’Università dell’Arizona che imputa la repentina morte di numerose specie alla pratica venatoria delle popolazioni provenienti dall’allora vicino continente asiatico. Un vero e proprio massacro, soprattutto per quei mammiferi che superavano i quaranta chili.

    Un massacro che purtroppo oggi si ripete. L’uomo non cambia. Mai.




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  3. gheagabry
     
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    SCOPERTE O CONQUISTE?



    Cent’anni fa, in Perù, un professore di storia decise di attraversare la foresta a nord di Cuzco per raggiungere un montagna che svettava a 2.400 metri. Là, oltre il ruggito del fiume Urubamba, trovò un’antica cittadella di pietra: terrazze, templi, costruzioni di granito, ricoperte di vegetazione e rampicanti. Hiram Bingham era arrivato a Machu Picchu, il sito che riteneva essere la “città perduta degli Inca”.
    “Quelli di Machu Picchu potrebbero essere i resti più importanti scoperti in Sud America dal tempo della conquista” scrisse nell’edizione 1913 del National Geographic. Ma le sue parole erano fuorvianti. Bingham non aveva “scoperto” Machu Picchu. Né si può dire che il sito era “perduto” Lo aveva forse portato all’attenzione del mondo occidentale, ma le tribù locali sapevano della sua esistenza, e il fatto stesso che lui si stupì di trovare una famiglia indiana sul crinale è di per sé sconcertante. E’ improbabile che le parole di Bingham abbiano avuto ripercussioni negative sugli indigeni, ma il linguaggio dei colonialisti ha ovunque giocato un ruolo-chiave nella distribuzione dei popoli tribali del mondo. Per secoli, le loro terre sono state considerate “vuote” per giustificarne il furto e lo sfruttamento. Dopo tutto, se una ragione è disabitata, non ci sono diritti umani da rispettare. Parimenti, i pregiudizi razzisti e le etichette di “arretrati” e “ selvaggi” affibbiate ai popoli tribali hanno radicato nell’opinione pubblica sentimenti di disprezzo e paura, alimentando spaventose persecuzioni. Quando gli europei sbarcarono in Australia la dichiarazione “terra nullius”, ovvero terra di nessuno. Ma non era così. Gli Aborigeni vi vivevano da 50.000 anni. Eppure, il concetto di “terra nullius” è stato abolito solo nel 1992, dopo aver ormai privato un intero popolo della sua terra e provocato la morte di centinaia di migliaia di persone. Allo stesso modo, quando i venti del commercio spinsero Cristoforo Colombo nel “Nuovo Mondo”, egli giunse in realtà nella terra natale di popoli che vi viveno da millenni, con culture e stili di vita propri. Ovviamente, la verità è che l’America non era “nuova”, l’Australia non era “vuota” e Machu Picchu non è stato “scoperto” nel 1911. Queste terre erano, e ancora sono la casa di molti popoli indigeni. Definirle “vuote” prima dell’arrivo dei colonialisti, e “scoperte” poi, significa derubare i popoli tribali della loro identità, della dignità e dei diritti alla terra. Significa negare la loro reale esistenza.
    (Joanna Eede, tratto da “Oasis” nr 195/2011)



    Quale patto il bianco ha rispettato e l'uomo rosso ha infranto? Nessuno. Quale patto l'uomo bianco ha mai fatto con noi e rispettato dopo? Nessuno. Quand'ero ragazzo i Sioux erano padroni del mondo; il sole si levava e tramontava sui loro tenitori. Lanciavano diecimila uomini in combattimento. Dove sono i guerrieri oggi? Chi li ha sterminati? Dove sono le nostre terre? Chi le saccheggia? Quale uomo bianco può dire che gli ho rubato la terra o un suo solo soldo? Tuttavia dicono che sono un ladro. Quale donna bianca, anche isolata, ho mai catturata o insultata? Tuttavia dicono di me che sono un cattivo Indiano. Quale uomo bianco mi ha mai visto ubriaco? Chi è mai venuto da me affamato ed è ripartito con lo stomaco vuoto? È forse un male che io abbia la pelle rossa? Tatanka Yotanka (Toro Seduto).



    Lettera di Capo Seathl agli Stati Uniti d'America



    Centocinquantatrè anni or sono, il Governo degli Stati Uniti fece pressione su Capo Seathl e la sua tribù di nativi americani allo scopo di acquistare i territori del Puget Sound, dove loro vivevano e cacciavano: due milioni di acri e uno stile di vita in cambio di 150 mila dollari e di una riserva entro la quale il Governo degli Stati Uniti si impegnava a mantenere la tribù. Capo Seathl rispose con un discorso che dipinge con graffiante efficacia la società urbana degli Stati Uniti nel 1850 e delineava un pauroso ritratto del nostro paese e del resto del mondo come lo vediamo oggi.



    «Il Grande Capo ci manda a dire che desidera comprare la nostra terra. Il Grande Capo ci manda anche parole di amicizia e di buona volontà, e e questo è gentile da parte sua, visto che ha ben poco bisogno della nostra amicizia. Prenderemo in considerazione la proposta perché sappiamo che, se non vendiamo la terra, l'uomo bianco potrebbe prendersela con il fucile.
    Come si possono comprare il cielo e il calore della terra? Per noi è un' idea strana. Se non possediamo la freschezza dell'aria e lo scintillio dell'acqua, come possiamo acquistarli?
    I morti dell'uomo bianco dimenticano la terra dove sono nati quando vanno a camminare fra le stelle. I nostri morti non dimenticano mai questa magnifica terra, perché essa è parte dell'uomo rosso. Noi siamo parte della terra ed essa è parte di noi. I fiori profumati sono le nostre sorelle; il cervo, il cavallo, la grande aquila...questi sono i nostri fratelli. Le creste rocciose, gli umori dei prati, il calore dei pony e l'uomo...appartengono tutti alla medesima famiglia.
    Così, quando il Grande Capo a Washington manda a dire che vuole comprare la nostra terra, chiede molto. Il Grande Capo manda a dire anche che ci farà riservare un posto dove potremo vivere comodamente fra di noi, egli sarà nostro padre e noi i suoi figli. Prenderemo in considerazione la vostra offerta. Ma non sarà facile, perché questa terra ci è sacra Qui e ora faccio di questa la prima condizione...che non ci venga negato
    il privilegio di recarci a visitare, indisturbati, le tombe degli antenati, degli amici e dei figli.
    L'acqua scintillante che scorre nei fiumi e nei torrenti non è semplice acqua, ma il sangue dei nostri antenati. Se vi vendiamo la terra, dovete ricordare che è sacra, dovete insegnare ai vostri figli che è sacra e che ogni pallido riflesso nell'acqua limpida dei suoi laghi racconta gli eventi e le memorie della vita della mia gente.
    Il mormorio dell'acqua è la voce del padre di mio padre.
    I fiumi sono nostri fratelli; essi spengono la nostra sete. I fiumi trasportano le nostre canoe e nutrono i nostri bambini. Se vi vendiamo la nostra terra, dovete ricordare e insegnare ai vostri figli che i fiumi sono nostri fratelli...e vostri; dovete quindi trattare i fiumi con la gentilezza che avreste per un fratello.
    L'uomo rosso è sempre fuggito davanti all'uomo bianco, come la mutevole bruma dei monti fugge davanti al bagliore del sole. Ma le ceneri dei nostri padri sono sacre. Le loro tombe sono suolo consacrato e allo stesso modo si sono sacri queste colline, questi alberi, questa porzione di terra. "Noi sappiamo che l'uomo bianco non capisce il nostro modo di sentire. Per lui un pezzo di terra è uguale all'altro, perché egli è uno straniero che viene nella notte e prende dalla terra quello di cui ha bisogno. La terra non è suo fratello, ma il suo nemico e, dopo averla conquistata, la abbandona.
    L'uomo bianco si lascia dietro le tombe dei suoi padri e non se ne cura. Ruba la terra ai suoi figli e non se cura. La tomba del padre e il diritto di nascita del figlio vengono dimenticati. Egli tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, alla stregua di cose da comprare, saccheggiare e vendere, come pecore e perline luccicanti. La sua fame divora la terra e la rende un deserto. Io non so. Il nostro modo di sentire è diverso dal vostro. La vista delle vostre città ferisce gli occhi dell'uomo rosso. Ma, forse, l'uomo rosso è un selvaggio e non capisce. Nelle città dell'uomo bianco non c'è un posto tranquillo, un posto dove ascoltare le foglie che si dischiudono in primavera e il frinire delle ali di un insetto... Ma, forse, è perché sono un selvaggio e non capisco.
    Il frastuono delle vostre città ferisce le nostre orecchie. Cosa rimane della vita di un uomo se non può ascoltare il richiamo solitario del succiacapre o le discussioni notturne delle rane attorno a uno stagno? Io sono un uomo rosso e non capisco...Gli indiani preferiscono il soffice sospiro del vento sulla superficie dello stagno e l'odore di quel vento, lavato dalla pioggia di mezzogiorno o profumato dalla resina dei pini.
    Per l' uomo rosso l'aria è preziosa, perché tutte le cose dividono il medesimo respiro;
    l'animale, l'albero, l'uomo... dividono tutti lo stesso respiro.
    L'uomo bianco non sembra far caso all'aria che respira....
    Ma se vi vendiamo la nostra terra, dovete ricordare che per noi l'aria è preziosa, che lo spirito dell'aria è lo stesso della vita che essa sostiene. Il vento che ha dato a mio nonno il primo respiro ha raccolto anche il suo ultimo sospiro.
    E se vi vendiamo la nostra terra, dovete mantenerla separata e sacra, un posto dove persino l'uomo bianco possa assaporare la brezza addolcita dalla fragranza dei fiori.
    Prenderemo in considerazione la vostra proposta di acquistare la nostra terra. Se decideremo di accettarla, io porrò un'altra condizione: l'uomo bianco deve trattare gli animali di questa terra come fratelli. Io sono un selvaggio e non capisco nessun altro modo di vivere. Ho visto i bufali uccisi, a migliaia nelle praterie, dall'uomo bianco che passava sul treno. Io sono un selvaggio e non capisco come il cavallo di ferro fumante
    possa essere più importante del bufalo che noi uccidiamo solo per sopravvivere.
    Cos'è l'uomo senza gli animali? Se tutti gli animali sparissero, l'uomo morrebbe di una grande solitudine dello spirito. Perché tutto quello che accade agli animali presto accade all'uomo. Tutte le cose sono collegate.
    Dovete insegnare ai vostri bambini che il terreno sul quale camminiamo è formato dalle ceneri dei vostri nonni. Affinché rispettino la terra, dite loro che è ricca delle vite della vostra gente. Insegnate ai vostri bambini quel che noi abbiamo insegnato ai nostri, che la terra è la nostra madre.
    Quel che avviene alla terra, avviene ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su loro stessi.
    Questo noi lo sappiamo: non è la terra che appartiene all'uomo, ma l'uomo alla terra. Questo lo sappiamo.
    Tutte le cose sono collegate, some il sangue che unisce i membri di una stessa famiglia. Tutte le cose sono collegate. Quel che avviene alla terra, avviene ai figli della terra. L'uomo non tesse la sua trama della vita,
    ne è semplicemente uno dei fili. Qualsiasi cosa fa alla tela, la fa a se stesso.
    Ma noi prenderemo in seria considerazione l'offerta di andare nella riserva che avete pronta per la mia gente. Vivremo separati e in pace. Ha poco importanza dove trascorrere i giorni che ci restano: non sono molti. I nostri figli hanno visto i loro padri umiliati nella sconfitta. I nostri guerrieri hanno conosciuto la vergogna, e da dopo la sconfitta trascorrono le giornate nella pigrizia, ubriacandosi. Ancora qualche ora, ancora qualche inverno e nessuno dei bambini delle grandi tribù, che un tempo abitavano questa vasta terra e che ora si aggirano in piccole bande fra i boschi, sarà lasciato a piangere sulle tombe di una gente una volta potente e piena di speranza come la vostra.



    Ma perché dovrei addolorarmi per la scomparsa della mia gente? Le tribù sono fatte di individui, e non sono di loro migliori. Gli uomini vengono e vanno, come onde del mare. E l'ordine della Natura. Perfino l'uomo bianco, che ha parlato e camminato a fianco del suo Dio come amico, non può essere esentato da questo destino.
    Potremmo essere fratelli, dopotutto. Staremo a vedere.
    Una cosa sappiamo, che forse un giorno l'uomo bianco scoprirà...il nostro Dio è lo stesso Dio. Ora voi pensate di possederlo, come volete possedere la nostra terra, ma non potete. Egli è il Dio degli uomini, e la sua compassione è uguale per l'uomo rosso e per l'uomo bianco.
    Questa terra gli è preziosa e offendere la terra significa mancare di rispetto al suo Creatore.
    Anche i bianchi passeranno; forse prima di tutte le altre tribù. Contamina il tuo letto e una notte soffocherai nei tuoi stessi rifiuti. Ma nel vostro perire, scintillerete vivamente, infiammati dalla forza del Dio che vi ha portati qui e, per qualche speciale motivo, vi ha dato dominio su questa terra e sull'uomo rosso. Un destino che ci è misterioso, perché noi non comprendiamo tutti i bufali uccisi, i cavalli selvaggi domati, gli angoli segreti delle foreste pieni dell'odore di molti uomini e il profilo delle fertili colline deturpato dai fili parlanti.
    Dov'è il boschetto? Sparito. Dov'è l'aquila? Sparita.
    La fine della vita e l'inizio della sopravvivenza.
    Così prenderemo in considerazione la vostra offerta di comprare la nostra terra. Se acconsentiremo, sarà solo per assicurarci la riserva che promettete. Là, forse, potremo finire di vivere i nostri brevi giorni come desideriamo. Quando l'ultimo uomo rosso se ne sarà andato dalla faccia della terra, quando la sua memoria fra gli uomini bianchi sarà diventata un mito..... Loro amano questa terra come un neonato ama il battito del cuore della madre. L'uomo bianco non sarà mai solo. fate che sia giusto e gentile nel trattare la mia gente, perché i morti no sono privi di potere. Morti ho detto? La morte non esiste. Solo un cambiamento di mondi!
    Se vi venderemo la nostra terra, amatela come noi l'abbiamo amata. Curatela come noi l'abbiamo curata. Conservate nella mente il ricordo di questa terra, così com'è, quando la prenderete.
    E con tutta la vostra forza, con tutta la vostra mente, con tutto il vostro cuore, preservatela per i vostri bambini e amatela...come Dio ama noi. Una cosa sappiamo: il nostro Dio è lo stesso Dio. Questa terra Gli è preziosa»




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  4. gheagabry
     
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    UOMINI

    Non ci sono uomini poco interessanti.
    Sono il loro destini storie di pianeti.
    Tutto, nel singolo destino, è singolare
    e non c'è un altro pianeta che gli somigli.
    Ma se qualcuno è vissuto innosservato
    - e di questo si è fatto un amico-
    tra gli uomini è stato interessante
    anche col suo passare inosservato.
    Ognuno
    ha un mondo misterioso
    tutto suo.
    E in esso c'è l'attimo più bello
    e l'ora più angosciosa,
    solo che noi non ne sappiamo niente.
    Se muore un uomo,
    con lui muore
    la sua prima neve, il primo bacio,
    la sua prima battaglia...
    E tutto egli porta via con sé.
    Restano, è vero, libri e ponti
    macchine e quadri. E' destino
    che molto rimanga, eppure
    qualcosa se ne va lo stesso.
    E' la legge di un giuoco spietato:
    non muoiono uomini,
    ma interi mondi.
    Ricordiamo gli uomini, terrestri e peccatori.
    Ma ,in sostanza, che ne sapevamo di loro?
    Che ne sappaimo di fratelli e amici?
    Che ne sappiamo del nostro unico amore?
    E anche di nostro padre, sapendo tutto,
    noi non sappiamo niente.
    Gli uomini passano...
    Ed è impossibile richiamarli in vita.
    Impossibile risuscitare i loro mondi misteriosi.
    Ma ogni volta desidero ancora
    gridare
    per questa irrevocabilità.

    Evgenij Aleksandrovitch Evtuschenko




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  5. gheagabry
     
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    ... APPARTENIAMO AL MONDO ...
    ...In questi giorni in cui più o meno tutti siamo alle prese con la compilazione dei fogli del censimento della popolazione, mi sono trovato di fronte ad una notizia che mi ha fatto riflettere. Viene dalla Cina dove un paese è composto da persone che non sono neppure censite all’anagrafe, che non hanno nemmeno la carta di identità. Ho pensato, leggendo alle proteste di quelle persone che si sentono fuori dal mondo perché non riconosciuti come esistenti dallo stato, a quanto sia importante nella nostra società la forma, l’esistere sui documenti, l’essere inseriti in contesti sociali. Credo che anche io se mi trovassi nella condizione di quei pescatori cinesi, protesterei per veder riconosciuta la mia esistenza dal contesto sociale; ma non posso dalla posizione nella quale ci troviamo che esiste una palese dipendenza psicologica da strumenti formali e non essenziali. Nella nostra società siamo oramai schedulati, incasellati, censiti e costantemente monitorati, per cui il possesso della vecchia cara carta di identità sembra oramai l’ultima delle prove della nostra esistenza. Già esistere non perché respiriamo, ma perché apparteniamo a casellari e possediamo pezzi di carta con la nostra foto incollata sopra. A volte vorrei poter essere trasparente, non essere osservato e monitorato da satelliti, gps, telefonini costantemente attivi e altre diavolerie moderne. A volte vorrei poter urlare di esistere non per un documento nascosto nella tasca della giacca, ma perché il mio passaggio, il mio respiro su questa terra ha lasciato anche un minimo flebile segno ….
    (Claudio)




    Cina, la strana storia del villaggio che non esiste.
    Si chiama villaggio del Dragone Blu ed è un paese fantasma in Cina. Nessuna delle dozzine di famiglie che lo abitano ha una carta d’identità ufficiale, indispensabile per i servizi sociali, oltre che per viaggiare e lavorare nell’intera nazione. CASE SOMMERSE - Liang Qiquan, un contadino, ha dichiarato alla BBC: “Rivoglio indietro la mia identità. Il governo ha promesso che avrebbe affrontato il problema, ma non lo ha mai fatto”. I problemi degli abitanti del paese fantasma risalgono a oltre un decennio fa, quando le autorità costruirono un bacino idrico in questo antico territorio. Fornisce acqua potabile alla città in rapida espansione di Harbin, famosa per le enormi sculture di ghiaccio in mostra durante i rigidi inverni. Oltre 200 case sono state sommerse sotto la superficie del bacino idrico. Gli abitanti del villaggio affermano di avere ricevuto dei risarcimenti scarsi o nulli. La convinzione del governo infatti era che vivessero nei distretti confinanti. LA RIBELLIONE DEI CONTADINI - E’ una storia già sentita più volte in Cina: i contadini scacciati dalle loro terre nella corsa allo sviluppo economico. Anche se questa vicenda ha una fine diversa dal solito. Un gruppo ha costruito un nuovo villaggio di fianco alla sponda del bacino idrico senza un permesso ufficiale. Era un atto di sfida, con i contadini che si sono messi contro le autorità. E la punizione per l’affronto era quasi inevitabile. Quando il giornalista della BBC, Martin Patience, ha contattato le autorità di Harbin, si è sentito rispondere che erano “perfettamente a conoscenza del problema”. Un funzionario, che ha preferito non rivelare il suo nome, ha dichiarato che i contadini avevano ricevuto “moltissimo” denaro in risarcimenti. VITE NEL LIMBO - Ma nonostante questo avevano deciso di fare ritorno “illegalmente” alle loro terre. Aggiungendo che l’area era a rischio inondazioni e che questo era il motivo per cui le autorità volevano che i residenti del Dragone Blu lasciassero la zona. A preoccupare maggiormente i contadini è invece il problema delle carte d’identità. Senza quei rettangoli di carta, la loro vita è come nel limbo. Qi Yahui ha un bambino di quattro mesi e un figlio giovane.


    ... La Poesia dell'Esistere ...
    Voglio fermarmi qui,
    posare,
    sfogliare le pagine dei ricordi
    accarezzare col pensiero
    le immagini di Allora,
    farle scorrere dinanzi agli occhi,
    riviverle
    fotogramma per fotogramma

    La Musica del Tempo
    sarà giusto sottofondo
    e la Pioggia
    battente sui vetri
    mi sarà gradita


    E passeranno
    sotto i miei occhi
    le mille immagini
    di un Amore
    riscaldato tra le mani
    come uno scricciolo infreddolito
    protetto da coloro che lo spiavano,
    fiero come un'Aquila reale
    che neppure la Morte
    potè domare

    E scorrerà ogni altra immagine
    di una Vita
    intensamente vissuta
    che è Mia
    ancora,
    e ancora giorni di Sole e Luce
    brama
    e Strade, Voli,
    Notti incantate
    nella Poesia dell'Esistere
    e nella sua Musica.

    (Mario Calzolaro)



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  6. gheagabry
     
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    ... FIABE DALLA VITA ...
    ...Che belle storie regala a volte la vita; storie fatte di amore di gesti talmente belli e forti da poter essere definiti sovraumani. Storie talmente belle da assomigliare alle fiabe perché mantengono quel senso di forte umanità e di slanci generosi. Sempre più spesso storie, fiabe come quelle che racconta la cronaca vedono protagonisti esseri umani ed animali; quasi fosse il segnale che gli unomini trovano sempre di meno conforto nel rapporto con i loro simili e riversano verso gli animali quel bisogno di amore che in fondo in fondo alberga anche nei cuori più duri. Oggi nel leggere quella notizia di cronaca mi sono visto come davanti al librone delle fiabe della nonna e ho sognato ad occhi aperti. Ce ne vogliono in questo nostro tempo, che corre sopra le persone ed i sentimenti, storie di amore belle come quella del bambino e del delfino … curato dall’amore e dalle cure di quel giovane dal cuore e dalla sensibilità infiniti ….
    (Claudio)



    L'incredibile storia di Winter il delfino.
    Era senza coda ed e' stato salvato, al cinema dal 13 gennaio. Un bambino, un delfino, un anziano medico un po' folle e tanto amore. E' The Dolphin Tale, ovvero in italiano 'L'incredibile storia di Winter il delfino', il film prodotto dalla Warner Bros che racconta l'intensa vicenda - realmente accaduta - del miracoloso salvataggio di un esemplare di delfino ferito cosi' gravemente da perdere la coda e quindi la possibilita' di nuotare. Tutto ha inizio perche' il delfino Winter - che nel film interpreta se stessa - mentre nuota libero rimane impigliato in una trappola per granchi, un incidente che gli provoca gravi ferite alla coda. Una mattina il giovane Sawyer (Nathan Gamble) la trova cosi', abbandonata sulla spiaggia, e chiama subito i soccorsi. Inizia cosi' la storia di Winter che porta in 3d l'emozione pura del rapporto con gli animali. Il delfino viene quindi trasportato al Clearwater Marine Hospital, dove gli viene dato appunto il nome di Winter. Ma i problemi sono tutt'altro che risolti. Si scoprira' prima di tutto che solo la vicinanza del ragazzo e' capace di darle la carica necessaria per affrontare la dura lotta per sopravvivere. Infatti nelle note di regia Charles Martin Smith scrive: ''Uno dei temi piu' importanti del film e' che tutti noi - gli umani, gli animali, la natura - viviamo insieme; siamo parte di una comunita' globale che va oltre il genere umano e penso che il film parli di questo in modo profondo e divertente, con cuore e umorismo''. Winter non ha piu' la coda e nuotare e' per lei veramente difficile. Nella storia reale il direttore dell'acquario di Clearwater David Yale, racconto' che il delfino ''avrebbe dovuto imparare a nuotare senza coda, una cosa che nessun delfino in cattivita' e' stato mai in grado di fare. Non sapevamo se ce l'avrebbe fatta ma nel caso in cui ci fosse riuscita, si sarebbe procurata gravi danni alla spina dorsale''. Nel ruolo del protagonista c'e' infatti Winter stessa. ''Mentre stavamo lavorando alla preproduzione, si e' posta la questione di chi dovesse interpretare Winter'' ricorda ancora il regista. ''Visto il movimento particolare che ha sviluppato per nuotare, e che e' fondamentale per la storia, la soluzione migliore era usare la vera Winter. Questa scelta ha comportato che le riprese si effettuassero a casa sua, al Clearwater Marine Aquarium, che nel film si chiama Clearwater Marine Hospital. Il risultato ha superato ogni nostra aspettativa''. Come racconta il film non bastera' la passione del bravo biologo marino (Harry Connick, Jr.) che lo assiste, servira' l'affetto del suo giovane amico capace di una determinazione tale da scovare su internet un brillante medico esperto di prostetica (uno straordinario Morgan Freeman) per portare a compimento un miracolo. Un miracolo - una coda di silicone lunga 30 cm e collegata alla sua spina dorsale - che non solo ha salvato Winter, ma e' riuscito ad aiutare migliaia di persone in tutto il mondo. Un miracolo che si e' moltiplicato anche al botteghino Usa dove il film molto amato dalle famiglie e' arrivato a scalare la vetta fino a raggiungerne il vertice. L'incredibile storia di Winter il delfino uscira' in Italia il 13 gennaio, ma e' appena arrivato il trailer in italiano. Una curiosita': anche Winter, come ogni star, ha avuto la sua ''controfigura''. Per tutte quelle scene che sarebbero andate oltre i suoi limiti o che in qualche modo avrebbero potuto mettere a rischio la sua sicurezza, i realizzatori hanno usato un delfino animatronico progettato, modellato e guidato da KnB EFX Group, Inc.

    DELFINO

    Dal sapore del mare nel sale evaporato,
    un delfino,
    scostando melodico il velluto tra le onde,
    venne al sole curioso
    a porre un quesito.

    Scherzoso,
    estrasse dai fluidi la pinna dorsale
    e in uno squalo si volle trasformare.

    Minaccioso scorreva,
    sbiancando divertito onde increspate al vento,
    che ondeggiando,
    scapparono impaurite.

    Al primo slancio,
    quando il cielo si mischiò riflesso,
    l'argento della pelle tradì il segreto
    e il mare d'incanto, si quietò.

    "Mio piccolo delfino",
    disse il sole,
    "che vuoi sapere che io possa dire?"

    Il delfino, fattosi serio,
    abbasso la pinna e fischiando un poco,
    pronunciò:
    " luminescente sole,
    vorrei avere ben chiaro
    perché nel profondo del mare,
    dove la luce non giunge,
    non si possa creare un sole
    che brillando rischiari ogni angolo,
    rendendo il fondo, un cielo illuminato."

    Il sole, un poco perplesso,
    folgorò un istante e infine enunciò,
    sorridendo:
    "giovane delfino,
    i raggi del sole che viaggiano in cielo,
    quando incontrano il mare,
    se osservi bene,
    trasformano l'abisso in uno scrigno,
    colmo di gioielli."

    "Di stelle seminano la sabbia,
    di rossi coralli le rocce
    e di scintillanti meduse,
    le correnti marine."

    "Dove lo scrigno si fa più cupo
    e la luce non arriva, li, di nascosto,
    sfumano sogni colorati
    che di bolla in bolla trasformano ogni cosa."

    "Il delfino muta in una vezzosa sirena,
    le stelle marine in sfavillanti tizzoni ardenti
    e le scintillanti meduse,
    in vagabonde comete."

    "Ogni sogno trova il sole,
    rendendo il mare ricco d'amore."
    Un guizzo e in cielo eccitato,
    il delfino salutò il sole calandosi veloce,
    nell'abisso più cupo.
    S'avvolse nello scrigno da ogni lato,
    socchiuse gli occhi e addormentandosi felice,
    sognò del sole il raggio colorato,
    illuminando d'incanto,
    il mondo intero.
    (Stefania)

     
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  7. gheagabry
     
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    Nozze deriva dal latino "pubere" che significa avvolgersi in una nube (sottinteso il velo), allusione al velo giallo zafferano che copriva la sposa in segno di protezione...meno romantico il termine "matrimonio" (contratto, alleanza ufficializzata per avere figli)....quanto alla luna di miele, è un modo di dire di origine romana...gli sposi dovevano cibarsi di miele per tutta la durata di una lunazione.


    "...scene di un Matrimonio..."



    Venere è sposa di Vulcano, ma consuma movimentati giochi con Marte.Iside, invece, è così innamorata del marito Osiride che riesce a riunificate le membra disperse e a partorigli un figlio.Hera ritorce con musi e dispetti le corna del marito Zeus, ma se lo tiene stretto.Peggio fa il gelosissimo Plutone, che rapisce la fanciulla Proserpina e la sposa imprigionandola nel suo palazzo.
    Le storie sentimentali degli dei riflettono i comportamenti amorosi degli uomini, con colpi di fulmine, tradimenti, rotture, nonché tutte le pecche e le delizie dei matrimoni, a breve, medio o lungo metraggio. Quando, giunto alla nuova abitazione, lo sposo solleva la moglie tra le braccia per farle oltrepassare la soglia senza irritare gli spiriti della casa, non compie solo un gestp superstizioso, ma un atto magico, riflesso di antichi rituali di passaggio. A tutti gli effetti il matrimonio è un passaggio iniziatici che sottolinea un cambiamento di condizione, abitudini e stato sociale."quo men" significa sia sposarsi sia oltrepassare la soglia. E tutto il cmplesso corredo di riti, gesti, formule colori e profumi che accompagnano il matrimonio ha il compito di proteggere questo passaggio, racchiudendo i due sposi in uno spazio e in un tempo magici.sempre che gli sposi siano stati uniti dal destino: lo dice una leggenda orientale che affida questo compito a un vecchio abitante di un monte impervio, il cui lavoro consiste nel legare col filo rosso della felicità la gamba di un bambino e di un bambina destinati, una volta cresciuti, a formare una coppia. Senza dimenticare, alla fine del rito nuziale, il lancio del riso.secondo il rito cinese, è il dono di un buon genio della palude che sacrifica i suoi denti per salvare gli uomini dalla carestia. Per magia dall'acqua nascono piantine di riso, simbolo di abbondanza, fertilità e fortuna.
    (laura Taun)


    Nell'antica Grecia, gennaio era il mese dedicato alle nozze ed il perno della cerimonia erano l'addio al passato e i gesti benaugurali per il futuro. La ragazza sacrificava le chiome e bruciava i giochi d'infanzia, poi, assieme allo sposo faceva un bagno con acqua di fiume dalle supposte virtù fecondatrici. Seguiva il banchetto nuziale a base di fichi, datteri, mandole e dolci di sesamo, ritenuto afrodisiaco. A casa la sposa assaggiava uno spicchio di melagrana, rivivendo il mito di Plutone e Persefone. Infine di corsa al talamo, dopo aver appeso sulla soglia 2 potenti simboli di fecondità.. pestello e tegame

    Nell'antica Roma. la data era stabilita dall'augure: un giorno al mese propizio (giugno o settembre, mentre erano proibiti maggio ed agosto, perché dedicati ai morti). Era lei, la futura sposa, avvolta in un velo giallo zafferano, a pronunciare la formula di rito " ubi tu Cais, ego Caia". Solenne promessa di seguire il marito ovunque e comunque. Una stretta di mano tre i due sanciva il patto, seguiva il banchetto e il ritorno, a sera, alla nuova casa, dove toccava allo sposo sollevare la moglie oltre la soglia, perché non inciampasse. Qui le porgeva i doni.fuoco e acqua, simboli del sole e della rugiada, alcune monete d'oro, auspicio di una via equilibrata tre freschezza, calore e ricchezza e la chiave dell'alloggio di cui sarebbe divenuta signora.


    In Israele . in rito lungo un anno. Il primo passo è la firma della "ketubah", il contratto matrimoniale scritto in aramaico su pergamena..quindi gli sposi si recano insieme dal rabbino, sotto il baldacchino rosso dove ricevono la benedizione, scambiadosi gli anelli. Il passo successivo si chiama "nissim" e a luogo un mese o persino un anno più tardi: lo sposo indossa il "tallith", mantellina da preghiera in lana o in seta con il quale copre anche la sposa, qusi fossero sotto una tenda in ricordo dell'antico nomadismo. Seguono 6 benedizioni rabbiniche e uindi il banchett, dove gli sposi brindano e poi frantumano i bicchieri in ricordo della distruzione del tempio si Salomone e a simbolo della rottura con il passato per iniziare una nuova vita.

    In Giappone.Prima di raggiungere lo sposo davanti all'altare delle divinità shinto, la fidanzata giapponese, avvolta in un kimono bianco e con un panno bianco ripiegato sul capo, fa la solenne promessa di non tormentare mai il marito con la sua gelosia. Durante il banchetto..un brindisi "sansankudo".. gli sposi devono insieme 9 sorsi di liquore di riso per aprire la porta della loro casa alla felicità.

    Il rito nuziale gitano .. il capofamiglia spezza il pane, lo cosparge di sale e lo porge alla coppia dicendo "Quando sarete stanchi di questo pane e di questo sale, che è simbolo di ricchezza e di fecondità, sarete stanchi anche l'uno dell'altro". Per assicurarsi la fedeltà dells sposa, il marito la invita a camminare su alcuni dischi di legno di tiglio, ciascuno dei quali reca inciso un simbolo augurale. Durante il banchetto , gli sposi devono rompere una marmitta di coccio piena di grano. I frammenti dovranno essere conservati con cura, finchè ne rimarrà almeno uno l'unione durerà.
    (tratto da Airone, 2010)




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    Edited by gheagabry - 4/5/2016, 20:24
     
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  8. gheagabry
     
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    ... MIGRAZIONI ...
    ...La forza delle immagini spesso riesce dove le parole non giungerebbero mai. A volte ci sono spettacoli che nel loro svolgersi lasciano poco spazio al respiro, figuriamoci alle parole; la Natura, gli animali a volte si muovono o danno vita a spettacoli che nessuna penna riuscirà mai a descrivere in modo esaustivo. Avete mai osservato la migrazione degli animali? Quell’innato istinto che li porta nel medesimo periodo dell’anno a muoversi e spostarsi da un luogo all’altro del pianeta uniti, come guidati da una mano invisibile. Ieri mi è capitata davanti gli occhi una sequenza di immagini della migrazione degli gnu; imponente per numero, per organizzazione, per determinazione ad arrivare alla meta del viaggio. Sono rimasto senza parole, immagini che da sole valgono un poema, tante sono le emozioni forti che esse hanno suscitato in me. E così ho pensato ai salmoni che risalgono il corso dei fiumi, alle balene che migrano periodicamente, alle cicogne … a tutti quegil animali a cui, sempre nello stesso periodo dell’anno, parte forte l’istinto ad andare in un altro luogo lontanissimo. Immagini di una Natura che non smette mai di sorprenderci e di farci sentire orgogliosi di farne parte … .
    (Claudio)





    Migrazione degli gnu, potenza della natura nelle terre di Tanzania.
    (Ign) - La migrazione degli gnu in Tanzania è uno dei più spettacolari eventi di fauna selvatica. Come dimostarno questi scatti di Tom Whetton che ha catturato il momento in cui circa cinquemila animali tentano di attraversare il fiume Mara. Ma sono solo una piccola parte del milione e mezzo di gnu che ogni anno affrontano il viaggio e ai quali, dice il fotografo, si accompagnano 400mila zebre e 300mila gazzelle.
    Tom organizza annualmente dei tour fotografici nel mese di agosto per coloro che vogliono assistere a questa straordinaria migrazione.



    NOTTE DELLE MERAVIGLIE

    Splendida notte,
    luce soffusa di stelle,
    disegna profili di deboli ombre.

    Il mare, inchiostro nero,
    fa da specchio alla luna,
    che timida prova a celarsi,
    dietro fuggevoli nubi.

    Profumi di spezie e di fiori,
    diffusi nella tiepida aria,
    stordiscono l’animo,
    in un dolce abbandono.


    Notte delle meraviglie,
    riporti alla mente giovani sogni,
    ricordi cari forse accantonati,
    rivivon vincendo la barriera del tempo.

    Ed io, come in un gioco infantile,
    mi sorprendo a parlar con me stesso,
    io, figlio di questa meravigliosa natura,
    aspetto il sorger di un nuovo sole,
    l’alba di una nuova vita.

    (Antonino8.pa)









    ... INCENDI OVUNQUE ...
    ...Sembra come spesso dico, quando accade una cosa, poi a raffica si ripetono avvenimenti o notizie sempre sullo stesso argomento. Ieri parlavamo della pioggia e del violento ribellarsi della Natura ai soprusi ai suoi danni dell’uomo. Oggi ho trovato un’altra notizia sulla stessa lunghezza d’onda. Dallo spazio un satellite ha fatto delle foto alla Terra. Le immagini sono inequivocabili … la sulla Terra ci sono sparsi ovunque segni di incendi in corso; la terra è un pianeta in fuoco titolava il sito dell’Ansa e contemporaneamente ovunque sul web si è sparsa la notizia. Chi di noi non si è trovato almeno una volta in presenza di un’incendio grande durante l’estate? Incendi che colpiscono soprattutto parti di costa o luoghi dove costuttori senza scrupoli pagano piromani per disboscare e poi costruire in quei luoghi. Ma mentre si disbosca quei luoghi oltre a perdere la naturale bellezza indeboliscono la propria consistenza del terreno che alle prime piogge frana. Ci risiamo altri esempi della cattiveria dell’uomo … altre manifestazioni dolose dell’egoismo dell’essere umano. … Buon risveglio amici miei … Vi abbraccio fortissimo … Buon OTTOBRE a tutti….
    (Claudio)




    Terra'pianeta fuoco'in foto e video Nasa.
    Monitorati 40 milioni di incendi, -10% area bruciata in 14 anni. (ANSA) - La Terra come un pianeta di fuoco: oltre 40 milioni di incendi sul pianeta monitorati in 10 anni dai satelliti della Nasa sono i protagonisti di una galleria di foto e video diffusi dall'Agenzia spaziale americana. Il materiale è stato presentato in occasione del lancio dell'ultimo satellite di osservazione della Terra, della Nasa, il Npoess Preparatory Project, previsto per il 28 ottobre. I satelliti mostrano che l'area bruciata in tutto il mondo è diminuita del 10% negli ultimi 14 anni.


    Una poesia sulla Madre Terra

    La terra vi concede generosamente i suoi frutti,
    e non saranno scarsi se solo saprete riempirvi le mani.
    E scambiandovi i doni della terra scoprirete
    l’abbondanza e sarete saziati.
    Ma se lo scambio non avverrà in amore
    e in generosa giustizia, renderà gli uni avidi
    e gli altri affamati.

    Quando voi, lavoratori del mare dei campi e delle vigne,
    incontrate sulle piazze del mercato
    i tessitori e i vasai e gli speziali, invocate lo spirito
    supremo della terra affinché scenda in mezzo a voi
    a santificare le bilance e il calcolo, affinché il valore
    corrisponda a valore.


    E non tollerate che tratti con voi chi ha la mano sterile,
    perché vi renderà chiacchiere in cambio della vostra fatica.
    A tali uomini direte: «Seguiteci nei campi o andate
    con i nostri fratelli a gettare le reti nel mare.
    La terra e il mare saranno con voi generosi quanto con noi».

    E se là verranno i cantori, i danzatori e i suonatori di flauto,
    comprate pure i loro doni.
    Anch’essi sono raccoglitori di incenso e di frutti,
    e ciò che vi offrono, benché sia fatto della sostanza dei sogni,
    distillano ornamento e cibo all’anima vostra.

    E prima di lasciare la piazza del mercato,
    badate che nessuno vada via a mani vuote.
    Poiché lo spirito supremo della terra non dormirà in pace
    nel vento sino a quando il bisogno dell’ultimo
    di voi non sarà appagato.

    (Estratta dal “PROFETA”, di Kahlil Gibran)



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  9. gheagabry
     
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    "Hanno nella valigia
    i cavalieri antichi"


    I librai di Montereggio



    Con la bella stagione gli uomini di Montereggio partivano dal piccolo paese con la gerla piena di libri e raggiungevano prima Pontremoli, poi la pianura, per andare a vendere la loro "merce" nelle città"del Nord", dove peregrinavano a lungo, fino all'inizio della stagione invernale, quando ritornavano a casa. Il primo, nel Cinquecento, fu Sebastiano da Pontremoli, che si trasferì a Milano dove apprese l'arte della stampa. Lo seguirono altri, come i Viotti, suoi compaesani, che a poco a poco aprirono anche una bancarella. Piano piano la fama dei librai si estese oltre la valle e, con l'aumento del lavoro, molti andarono a portare i libri sempre più lontano, fino in Germania.

    "Prima di lasciare i librai di Pontremoli fecero un giuramento. Erano riuniti in una sala del Municipio, proprio sotto il campanile, e le loro facce rugose apparivano, nella penombra, solenni come quelle di arcaiche statue di legno. Gli uomini vestivano per lo più abiti a righe, e avevano sul panciotto, bene in mostra, la catena d'oro. Le donne, più dimesse, tenevano al braccio sinistro certe ampie borse da spesa. Erano i librai più vecchi del mondo: i capelli bianchi apparivano come distinzione necessaria in quell'adunata. Uno a un certo punto si alzò, alto e massiccio, con baffoni all'umbertina, e disse: "Ed ora, amici, propongo un solenne giuramento: quello di ritrovarsi nel nostro paese, ogni anno, in un dato giorno, a questa stessa ora, finché Iddio ci conserva, a fare una bella mangiata". Seguì un lungo silenzio; poi i librai alzarono lentamente all'altezza del viso la mano e giurarono.
    Pontremoli è un paese della Lunigiana, famoso fin dal Medio Evo quando era la porta delle grandi vie di comunicazione fra la Toscana e la Lombardia, circondato da boschi di castagni e di pini. Tra questi boschi sorgono da un tempo immemorabile Montereggio e Parana, villaggi di trecento anime, così piccoli che passano per frazioni del Comune del mandamento di Pontremoli; e questa è la terra dove si nasce librai.
    A Montereggio e a Parana è difficile che la gente sappia leggere e scrivere; non ci sono che le pecore e castagni e si vive mangiando formaggio e polenta dolce, in attesa che l'inverno diventi primavera e l'estate autunno, così da un anno all'altro. Eppure ogni casa di Montereggio è piena di libri intonsi; e a ogni stagione c'è un pastore che lascia il villaggio e va per il mondo a fare il libraio. La storia dei pastori librai della Lunigiana si perde nel tempo. Si ignora il nome di chi si lanciò per primo nella grande avventura; si sa solo che la partenza dei neo-librai fu sempre solenne. Sembrava obbedissero a una strana ispirazione: si presentavano ai vicini e dicevano: "Vado".
    Si chiamavano Maucci, Tarantola, Bertoni, Fogola, Vannini, Giovannacci, Rinfreschi.
    Dopo ore ed ore di diligenza arrivavano alla grande città, andavano da un editore e, con pochi quattrini ricavati dalla vendita delle castagne, del formaggio e delle foglie di gelso, compravano i resti del magazzino. Non avevano confidenza con l'alfabeto, ma "sentivano" quali libri era il caso di comprare e quali no: in virtù del sesto senso che, dicono è stato loro donato dal demonio in un'ora di benevolenza. Acquistavano la "Genoveffa", il "Guerin Meschino", i "Tre moschettieri", le "Poesie" del Giusti, la "Massima Eterna" ed altri libri di preghiere, le "Tragedie" del Manzoni, l' "Orlando Furioso", la "Gerusalemme Liberata" e perfino il Boccaccio. Quando la valigia di fibra era piena, se la caricavano sulle spalle e andavano per le campagne italiane a offrire con mille accorgimenti i libri ai contadini. Aprivano per esempio una pagina qualsiasi dell'Orlando Furioso e cominciavano a declamare. Non leggevano, ma ripetevano le ottave che avevano sentito leggere da altri. I contadini, dopo essersi fatti giurare sulla Madonna dei Sette Rosari che lì dentro c'erano scritte proprio quelle belle parole, si decidevano a prendere il libro per non meno di dieci soldi. Dopo aver girato le campagne i librai scendevano di nuovo nelle città dove distendevano i libri sui muriccioli e sui marciapiedi.
    La vita vagabonda durava da un anno all'altro. Quando avevano i soldi abbastanza per potersi comprare un carretto col ciuco, mandavano a chiamare la moglie, rimasta al villaggio, oppure sposavano la figliola di un altro libraio; e riprendevano a vagare. Per strada, tra una tappa e l'altra, nascevano i figliuoli. Li mettevano dentro alle ceste, fra i libri del carretto, perché crescessero respirando l'aria della carta stampata e si facessero le ossa fra i titoli dei capolavori. Poi i più giovani emigravano, andavano in Francia, in Germania, in Romania, in Ungheria, e ovunque ci fosse una piccola colonia italiana.
    Molti presero la via della Spagna e dell'America Latina. Il primo ad andare oltre Atlantico fu verso il 1850 Carlo Maucci, della Piana di Parana, che aveva dovuto interrompere la sua carriera di girovago in Italia, perché sospetto di diffondere libri mazziniani. Carlo Maucci, imbarcatosi come mozzo, era partito con 180 volumi in lingua spagnola e decine di copie dei "Promessi Sposi". In America lo aspettava la fortuna. Alla fine del secolo aveva fondato la "Casa Editoryal don Carlo Maucci"....Alla fine del secolo molti girovaghi pontremolesi avevano fatto un patrimonio. I loro figli andavano a vendere in carrozza ed avevano aperto notevoli Case Editrici. I meno fortunati possedevano almeno un bancarella fissa sotto i portici di qualche grande città. Da vecchi, cercavano un po' di riposo, a quel modo. Ci pensavano i figli, cresciuti nelle ceste dei librai, a vagare per le montagne.
    Ogni tanto qualcuno moriva e anche questo distacco non accadeva in un modo qualsiasi. Qaundo erano ormai molto vecchi e sentivano avvicinare il gran giorno, i pontremolesi facevano come i nobilissimi animali che a un certo punto della loro vita scappano a ricercare il luogo in cui sono nati. Tornavano ai boschi di Parana, di Montereggio e di Mulazzo e morivano lì. Ma per ognuno che se ne andava un altro cresceva.
    Oggi i pontremolesi, fra bancarellisti e girovaghi, sono qualche centinaio e reggono onorevolmente al mutare dei tempi. Partono ancora con la valigia di fibra. Così fece anni addietro Quirino Ghelfi che d'estate gira col suo carico tra Verona, Riccione, Cattolica e Rimini e d'inverno tiene la sua bancarella sotto iportici di Padova. Così ha fatto Walter Micheloni, figlio dell'oste di Mulazzo; e lo potete incontrare ogni giorno a Genova, in vico Falamonica.
    Per far vedere che sono vivi e contano ancora qualcosa alcune settimane fa si dettero appuntamento a Mulazzo e tennero un congresso. Giunsero da tutte le parti d'Italia. Qualcuno arrivava in automobile, ma la maggior parte scendeva dal treno. Non si riconoscevano più, quantunque molti fossero imparentati fra loro.
    Due, Elisabetta e Luigi Rinfreschi, non si vedevano da quarant'anni. Dal treno scese anche Bista Fogola, uno dei Fogola che ora sono sparsi un po' dappertutto: a Pisa, a Torino, a Spezia, a Genova, ad Ancona. Venne uno dei Tarantola, uno dei Santoni, una discendente dei Maucci, Maria Maucci che incominciò a nove anni la sua carriera, a diciott'anni sposò un libraio, a vent'anni ne sposò un altro che le dette tre figli, ora tutti librai. Sessanta inaugurarono il congresso sul cucuzzolo della collina, fra i castagni e i pini di Mulazzo. Avevano alzato un palco alla meglio, con un microfono, quattroseggiole e una bandiera. Sul palco avevano fatto salire le autorità: il ministro Gronchi, Bompiani che rappresentava gli editori, la vedova di Leonida Campolonghi, Salvator Gotta, il Sindaco di Mulazzo con la fascia tricolore intorno alla vita, il Perazzoli, segretario dell' "Associazione Librai Ambulanti con posteggio fisso". Molti parlarono, ma il discorso impegnativo lo fece Gotta che, tra l'altro, disse un gran bene delle bancarelle. I librai stavano intorno, in piedi sotto i castagni, ad ascoltare con piglio competentissimo. L'indomani, quando furono soli, so barricarono dentro il municipio di Pontremoli e fecero il solenne giuramento per la grande mangiata annuale."
    (Oriana Fallaci, da "Epoca" del 6 settembre 1952)


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  10. gheagabry
     
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    Eccolo che arriva! “In fondo alla piatta e sterminata distesa della prateria si materializza contro il cielo un puntino che avanza verso di noi ad andatura travolgente. Si levano grida, acclamazioni e poi cavallo e cavaliere sfrecciano davanti ai nostri volti eccitati e si allontanano come una sorta di uragano in miniatura”.
    (Mark Twain)


    Il PONY EXPRESS



    "..E cosi oggi se lo immaginano tutti, ventre a terra, Ia tesa del cappello rialzata all’indietro dal vento, lanciato a briglia sciolta verso l’orizzonte. Dal Missouri alla California, passando per il Kansas, il Wyoming, un pezzetto del Colorado, il Nebraska, lo Utah e il Nevada, in dieci giorni (indiani, banditi, bufere e altri incidenti di percorso permettendo), lungo 3.050 chilometri e 157 stazioni di posta."


    L’avventura inizia il tre aprile 1860, alle cinque della sera, a St. Joseph, al confine tra Missouri e Kansas. Un cannone piazzato accanto all’ufficio della compagnia del Pony Express spara una salva dando il via al corriere in camicia rossa, pantaloni blu e stivali, che inizia Ia sua galoppata verso la California. Secondo alcune versioni si chiamava Billy Richardson, secondo altre Johnny Fry, il primo Pony Express diretto verso l’Ovest. E uno degli 80 giovani scelti tra i candidati che hanno risposto all’annuncio pubblicato dagli organizzatori della Compagnia su tutti i giornali della frontiera:

    “Cerchiamo giovani magri e resistenti, al massimo diciottenni.
    Devono saper cavalcare benissimo ed essere disposti a rischiare la vita ogni giorno.
    Preferiamo orfani”.


    ... l’inserzione non nasconde affatto la pericolosità di quel lavoro. Tra gli 80 prescelti c’è un ragazzo quindicenne orfano di padre, William Frederick Cody, che pochi anni dopo diventerà il famoso Buffalo Bill. C’é chi dice che anche James Butler Hickok, il futuro pistolero Wild Bill Hickok, abbia fatto il corriere, ma in realtà lui si deve accontentare di fare l’impiegato in una delle stazioni di posta perché supera il peso limite di 55 chili.
    0gni corriere deve giurare di non bestemmiare, non ubriacarsi, non giocare d’azzardo, non maltrattare i cavalli non violare i diritti dei cittadini e degli indiani (bontà loro). Alla Compagnia dovevano avere a cuore l’integrità morale e religiosa dei cavalieri perché ognuno di loro riceve in dono una Bibbia “per difendersi dall’immoralità”. Senz’altro più graditi un paio di pistole Colt e un fucile “per difendersi dagli indiani bellicosi”. Ma i fucili sono poco maneggevoli, ingombrano sui veloci ponies e alla fine vengono messi da parte.


    A organizzare il servizio postale del Pony Express è un intraprendente uomo d’affari, William Hepburn Russell. E’ della stessa razza di uomini come John Butterfield che con le sue diligenze trasporta passeggeri e posta dall’est alla California e viceversa. 0 come Henry Wells e William Fargo che hanno fatto soldi a palate con i servizi postali espressi e che nel 1850 hanno fuso le loro società con quella di Butterfield dando vita all’American Express Company. Assieme ai suoi soci, Alexander Majors e William Waddel, William Russell cerca da anni di ampliare il suo campo d’azione con il trasporto di posta e passeggeri, dopo essersi arricchito con quello di merci per il West. Il debutto, però, non è dei più felici. Mette in piedi una Compagnia di cinquanta diligenze Concord, che diventerà poi la Central Overland California & Pike’s Peak Express Company, per soddisfare le esigenze dei cercatori affluiti nel Colorado dopo la scoperta di giacimenti d’oro e d’argento. Ma s’indebita fino al collo. Da buon affarista qual è mette gli occhi su un altro affare. Nel 1860 vive a occidente delle Montagne Rocciose quasi mezzo milione di americani, in gran parte in California. Da tempo i californiani chiedono un servizio postale, soprattutto perché mancano notizie dall’Est. Una nave da New York o da Boston impiega sei settimane per arrivare a San Francisco mentre le diligenze di Butterfield, via El Paso (Texas), New Mexico e Arizona, ce ne mettono tre. Russell va a Washington, vuole ottenere un contratto per un servizio postale rapido. Nella capitale trova un alleato nel senatore William Gwin della California. Nel gennaio 1860 l’accordo è fatto e il senatore promette finanziamenti per il progetto. Di sicuro il ministro della guerra, John Floyd, firma per Russell fidi bancari: alla luce dei fatti successivi niente altro che promesse di pagare in base a eventuali contratti tra il ministero della guerra e le società di Russell.

    In tre mesi il progetto diviene realtà. In meno di 60 giorni vengono acquistati oltre 400 cavalli di razza, sono allestite 157 stazioni di posta distanti da otto a 40 chilometri l’una dall’altra. Sono reclutati corrieri e gli uomini addetti alle stazioni.
    Nella prima corsa per l’Ovest vengono impiegati 75 cavalli. In quell’occasione il corriere trasporta 25 lettere, tariffa di cinque dollari ogni mezza oncia.
    All’inizio le partenze da e per la California avvengono una volta alla settimana poi diventano bisettimanali. Quando si sparge la notizia della regolarità e della speditezza del servizio, le lettere aumentano. Per risparmiare, la gente comincia a scrivere le proprie missive su fogli di carta velina. I giornali pubblicano edizioni speciali con carta più sottile e più leggera del solito.
    La posta viene messa nella mochila messicana, una borsa di pelle con quattro sacche distinte. Un foro al centro permette di assicurarla al perno della sella in modo che quando il corriere è a cavallo ha una tasca davanti e una dietro per ogni gamba.
    (farwest.it)


    Il 26 ottobre 1861, il Pony Express annunciò la sua chiusura dopo diciotto mesi....il Pony Express fu il mezzo più veloce per le comunicazioni tra la costa occidentale degli Stati Uniti e l’est del continente, con il suo tempo record di consegna di dieci giorni. Fino ad allora, le lettere dalla costa orientale venivano spedite via mare a Panama, poi attraversavano il paese via terra (il canale di Panama venne aperto solo nel 1914) e venivano imbarcate su un’altra nave che le avrebbe portate a San Francisco.
    Nonostante il breve periodo del suo funzionamento, il Pony Express entrò subito a far parte della mitologia della conquista e della colonizzazione dei territori più occidentali degli Stati Uniti. Nel marzo 1861, il Pony Express perse l’appalto per la distribuzione delle lettere lungo il suo percorso attraverso il nord e il centro degli Stati Uniti, a favore di una linea di carrozze che seguiva una strada più a sud, la Butterfield Overland Mail Trail. Il Pony Express si ridusse a operare solo tra Salt Lake City, Utah, e Sacramento, California, ma lo scoppio della Guerra Civile Americana (iniziata il 12 aprile 1861) e l’arrivo dei cavi del telegrafo a Salt Lake City, il 24 ottobre 1861, costrinsero il Pony Express a interrompere le attività.
    Non che i mesi precedenti fossero passati senza difficoltà. Tra il maggio e il giugno del 1860, ad esempio, una serie di attacchi e di imboscate della tribù indiana dei Paiute, nel Nevada, portarono a una temporanea interruzione delle consegne. I corrieri e le stazioni erano tra i bersagli preferiti degli attacchi,
    Il servizio postale veloce più celebre del mondo rimase nei film western, nei fumetti e nei modi di dire, e rinacque col motorino.....(post.it)

    .....La corsa di Pony Bob Haslam....



    Nel maggio 1860 i Paiute scendono sul sentiero di guerra contro gli uomini bianchi che hanno invaso le loro terre. Un vasto territorio che comprende parte del Nevada e una fetta dello Utah diventa insicuro per i corrieri che lì hanno le loro stazioni, da Spring Valley (nello Utah) a Carson City (Nevada), vicino al Lago Tahoe. Molte stazioni sono assalite, assediate, alcune vengono bruciate e 20 impiegati e stallieri sono uccisi.

    E’ in questa poco rassicurante cornice che nel maggio del 1860 si svolge la famosa cavalcata di Pony Bob Haslam. Partito dalla Friday’s station, nei pressi del Lago Tahoe, arriva a Carson City e scopre che non ci sono cavalli freschi. Haslam prosegue, allora, fino a Buckland, dove finisce il tratto di percorso che gli è stato assegnato. Ma qui il collega che deve dargli il cambio si rifiuta di partire a causa delle scorrerie indiane. Per 50 dollari di premio, Pony Bob accetta di fare anche il percorso del suo compagno e, dopo una sosta di dieci minuti, è di nuovo in sella, percorrendo 305 chilometri in 18 ore e stabilendo un primato. Ma l’avventura di Pony Bob non è finita. Ritornando con la posta per l’Ovest scopre che una delle stazioni in cui deve cambiare il cavallo, Cold Springs, è stata assalita dagli indiani e bruciata, il gestore ucciso e i cavalli razziati. Haslam fa quindi tappa per Sand Springs, malgrado il suo pony sia ormai stanco, e poi prosegue per Buckland. Qui non c’è nessuno che può sostituirlo e allora, spinto da un ulteriore premio, raggiunge Friday’s station, dove la sua cavalcata termina. Haslam ha galoppato per 610 chilometri e il ritardo sull’orario previsto è solo di qualche ora.



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    Il furto della GIOCONDA





    Dumenza, 11 ottobre 1881 – Annemasse, 8 ottobre 1925

    E' stato un decoratore e imbianchino italiano, divenuto famoso per aver trafugato la Gioconda dal museo del Louvre nel 1911.

    Già impiegato del museo, compì il suo furto la notte del 20 agosto.
    Processato dal Tribunale di Firenze, fu riconosciuto colpevole con le attenuanti, e condannato a un anno e quindici giorni di prigione.



    In seguito partecipò alla Prima guerra mondiale, e dopo Caporetto finì in un campo di concentramento austriaco. Terminata la guerra emigrò nuovamente in Francia, morendo in Alta Savoia l'8 ottobre 1925.
    Il furto avvenne fra domenica 20 e lunedì 21 agosto 1911, prima di un giorno di chiusura del museo. L’autore del furto era originario di Dumenza, un paese del nord della provincia di Varese. Emigrato in Francia giovanissimo, aveva lavorato anche per il Louvre. La collaborazione era cessata da qualche tempo, ma Peruggia aveva partecipato ai lavori per la sistemazione della teca di vetro dove era custodito il dipinto, allora nel Salon Carré, e conosceva bene le abitudini del personale del museo.

    Le indagini della gendarmeria francese andarono fuori strada e non portarono ad alcun risultato concreto: la responsabilità del fatto fu via via attribuita all’Impero tedesco, a Guillaume Apollinaire (che aveva dichiarato di voler distruggere i capolavori di tutti i musei per far posto all’arte nuova), e al suo amico Pablo Picasso (subito rilasciato).



    Nel frattempo, il posto lasciato vuoto dalla Gioconda sulla parete del Louvre, fu preso momentaneamente da un dipinto di Raffaello, il Ritratto di Baldassare Castiglione.
    Il dipinto fu rintracciato due anni più tardi, nel dicembre 1913, a Firenze.
    Peruggia raccontò di aver custodito il dipinto in una valigia, posta sotto il letto di una pensione di Parigi. Successivamente aveva portato il quadro in Italia con l'intenzione di "regalarlo all'Italia", ottenendo da qualcuno delle garanzie che il quadro sarebbe rimasto in Italia. Si era trasferto quindi a Firenze.



    Quando fu arrestato, ai carabinieri che lo prelevarono disse di aver compiuto il furto per patriottismo, per "restituire il frutto dei saccheggi napoleonici". In realtà La Gioconda è legittimamente di proprietà dello Stato francese: il dipinto era stato infatti portato in Francia da Leonardo stesso nel 1516, quando il re Francesco I aveva invitato il pittore a lavorare ad Amboise, vicino alla residenza del Re (il Castello di Clos-Lucé). Qui Francesco I aveva acquistato da Leonardo varie opere, fra cui anche la Gioconda (si dice che il Re avesse pagato il dipinto 4000 ducati d'oro, una somma importante per l'epoca).

    Il processo si svolse il 4 e 5 giugno 1913 presso il Tribunale di Firenze, di fronte alla stampa internazionale ed ad un pubblico generalmente favorevole a Peruggia, per un malinterpretato amor di patria.
    La pressione popolare sortì, comunque, l’effetto di indurre la corte a concedergli le attenuanti, ed a comminargli una pena assai mite: un anno e quindici giorni di prigione. Quando uscì di prigione, trovò un gruppo di studenti toscani che gli offrirono il frutto di una colletta, a nome di tutti gli italiani: 4.500 lire.

    L’atteggiamento delle autorità italiane venne apprezzato in Francia. I due paesi, d’altra parte, coltivavano da circa dieci anni rapporti sempre più amichevoli. E, due anni più tardi, avrebbero combattuto insieme la prima guerra mondiale. Si poté così evitare che Parigi chiedesse una pena esemplare, e concordare un lungo periodo di esposizione del dipinto (prima agli Uffizi a Firenze, poi all’ambasciata di Francia di Palazzo Farnese a Roma, infine alla Galleria Borghese, in occasione del Natale), prima del suo definitivo rientro.
    La Monna Lisa arrivò in Francia a Modane, su un vagone speciale delle Ferrovie italiane, accolta in pompa magna dalle autorità francesi, per poi giungere a Parigi dove, nel Salon Carré, l’attendevano il Presidente della Repubblica francese e tutto il Governo.







    dal web

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  11. gheagabry
     
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    La forza della città


    In origine erano baraccopoli, ma sono diventate culle della creatività e della cultura , la più grande forma tecnlogica prodotta dall'uomo.
    L'impatto che determinano va oltre il numero delle persone che ci vivono. Lungo il corso della storia la percentuale di essere umani che hanno vissuto nelle città ha oscillato tra l'1 e il 2%. Eppure quasi tutto quello a cui pensiamo quando diciamo cultura nasce con le città; dopotutto, i termini "città" e "civiltà" hanno la stessa radice (entrambi i termini derivano dal latino "civis", cittadino). Invece, l'urbanizzazione massiccia che oggi caratterizza il "technium" (l'nsieme dei prodotto della mente umana: dalla tecnologica alla cultura) è monte recente. Fino ad un paio di secoli fa non accade molto. Poi esplosero popolazione, innovazione crebbe la libertà e le città diventarono sovrane. Le città sono le culle della creatività dell'uomo; ma, al di là di questa loro importantissima funzione, non tutti pensano che siamo belle, in particolare le megalopoli odierne, con la loro attività rapace e la tendenza a inglobare i dintorni. Sembrano macchini fatte per divorare la natura e in molti si chiedono se anche noi siamo nel menù. Ma allora la recente urbanizzazione su larga scala è una scelta o una necessità? Perché qualcuno dovrebbe scegliere di lasciare la pace del villaggio per occupare una baracca puzzolente in bidonville, se non ne è costretto?
    Ogni insediamento inizia come tendopoli, prima è un campo stagionale: mercato vivace , aria di cambiamento, vita di espedienti. Il comfort scarseggia e lo squallore è la norma. Se il campo si trova in una buona posizione, cresce fino a diventare un vilaggio finchè lo trasformano in un villaggio disordinato. Cerchi concentraci si aggregano intorno al cuore del villaggio, finchè lo trasformano in una cittadina..
    Non c'è nulla di veramente abominevole quanto la vista di tribù indigene, ad esempio quelle che vivono in Amazzonia o a Papua, mentre abbattono le foreste che avrebbero dovuto offrire loro cibo e riparo. Costretti dalla deforestazione a lasciare i loro habitat tradizionali, espropriati della loro economia do cacciatori e raccoglitori, si trovano nella situazione di dover accettare l'unico lavoro disponibile, quella di taglialegna...E' una politica orribile quella di distruggere gli ambienti naturali e di forzare gli abitanti a spostarsi..Il povero si trasferisce in città per lo stesso motivo per cui il ricco attende il futuro tecnologico: andare avanti, verso un mondo fatto, sempre di più, di possibilità e libertà. (focus 224, giugno 2011)


    La città per chi passa senza entrarci è una, e un'altra per chi ne è preso e non ne esce; una è la città in cui si arriva la prima volta, un'altra quella che si lascia per non tornare; ognuna merita un nome diverso; forse di Irene ho già parlato sotto altri nomi; forse non ho parlato che di Irene. L'altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà.
    (Italo Calvino, Le città invisibili)



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  12. gheagabry
     
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    ... IMMAGINI E PAROLE ...
    ... Tessere di un mosaico, piccole colorate pietre che compongono un mosaico; le foto sono il collante tra i ricordi e la realtà, sono il paradosso tra lo scorrere del tempo ed il suo immortalarne l’attimo fermandolo per sempre racchiuso in quel fotogramma. Le foto sono state raffigurate e descritte nei modi più disparati, sono utilizzate per gli scopi più differenti; mai era accaduto di utilizzarle per ricostruire e descrivere la storia di un paese, di un popolo. Immaginate tanti piccoli attimi raffigurati, racchiusi in altrettante foto, che, messi l’uno accanto all’altro, compongono sommandoli uno dopo l’altro tanti piccoli attimi di vita. Uno scorrere del tempo che si ricompone attraverso tutte quelle immagini. Ma essendo le foto rappresentazione di attimi speciali al punto di essere fermati in quei fotogrammi, il mosaico che ne viene fuori è quello di tanti piccoli attimi speciali di vita e quindi ne rappresentano il riassunto più significativo ed importante. Una iniziativa, quella rappresentata nella notizia riportata nella riflessione di oggi, che ha il sapore della genialità, della speciale ricerca di perle da raccogliere per formare una splendida collana; un monile di inestimabile valore come la rappresentazione di un popolo. Le immagini che stavolta prendono il potere della parola, anzi ne prendono il posto divenendo esse stesse verbo … rappresentazione sintetica della realtà … racconto talmente bello e forte da non aver bisogno di parole per affermarlo ...….
    (Claudio)



    Ricostruire la memoria dell’Africa

    Africa through a lens è una collezione di migliaia di immagini tratte da una più ampio archivio di immagini del Foreign and Commonwealth Office, conservate presso i National Archives (gli archivi storici ufficiali del governo britannico).
    Le foto della collezione sono state scattate in diversi stati dell’Africa tra il 1860 e il 1960 circa. Molte delle foto possiedono una didascalia completa, mentre di molte altre non si possiede alcuna informazione, se non quella sul luogo in cui è stata scattata. Nella speranza di ricostruire la storia delle foto attraverso la collaborazione degli utenti che possono riconoscere nelle immagini i loro nonni o i loro genitori, o alcuni luoghi dove possono essere stati, i responsabili dell’archivio hanno deciso di pubblicare la sezione su Flickr:
    "Abbiamo pubblicato un gran numero di immagini su Flickr per darvi la possibilità di vederle e darci qualche informazione in merito.
    Riconoscete qualcuno o qualcosa nelle fotografie? Suscitano qualche ricordo personale? Vi è capitato di vedere delle immagini che assomigliavano a una di queste?
    Se è così, lasciate un commento su Flickr."
    (ilpost.it)

















    FOTOGRAFIA
    Un pezzo d'anima riposto lì,
    nel cielo di un giovedì,
    un battito di cuore è immortalato,
    rimarrà fotografato.

    È la fotografia,
    un attimo di tempo che vola via,
    tra il dopo e il prima,
    tra la fiaba e una tragica anteprima.

    È la fotografia,
    la percezione della magia,
    specchio di un pezzo di vita,
    che rivedendo ti ritrovi tra le dita.

    Guardi i gesti e i volti,
    visi assorti o sconvolti,
    colori e membra diversi,
    sembrano quasi persi.

    È la fotografia,
    il tempo passa ma tu rimani mia,
    certe volte ti riguarderò a stento,
    ma tra tanta ruggine tu rimarrai argento.

    Tu sei ferma mentre il mondo ruota,
    tu sei piena, ma la fantasia è vuota...

    Sei il cassetto delle cose belle,
    il cielo dalle mille stelle,
    mentre i cuori cambiano
    e gli anni passano...

    Sei la fotografia,
    unico pezzo fermo sulla giostra della vita mia.
    (Margherita Golino)



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  13. gheagabry
     
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    ... EVVIVA GLI AMISH ...
    ...Oggi mi sono imbattuto in una notizia che mi ha dato parecchi spunti di riflessione. In america esiste una comunità che vive lontano dal mondo pur restando all’interno di esso. Una civiltà legata ai dettami ed insegnamenti biblici strutturata in una società gerarchica dove gli anziani hanno il compito di insegnare ai più giovani. Le scuole sono formate da un’unica grande stanza dove studiano bambini di età ance diversa tra di loro e le insegnanti più anziane, rimaste nubili e con alto valore morale, insegnano il mestiere alle più giovani. Uno stile di vita semplice ed improntato all’umiltà e valorizzazione degli aspetti morali. Una integrazione non più perfetta quella di questa comunità, gli amish, tolleranti e non tollerati dal mondo estrerno. Mi colpiscono queste storie in un mondo in cui la diversità, è colta come anomalia e vissuta come pericolo e il tentativo di omologazione è presente in ogni respiro della nostra vita. Globalizzazione doveva essere il verbo, la parola nuova ed affascinante che avrebbe dovuto dare un colore diverso alle nostre esistenze. Globalizzazione invece è divenuto il tentativo ed il sinonimo di omologazione, appiattimento e inquadramento in un unico colore grigio presente in ogni piega della nostra avventura in questo mondo. I diversi sono sempre più emarginati e visti come minaccia, mentre dalla tv a tutti i media in coro arriva la spinta a fare scelte che possano classificare ed omologare ogni cosa. Guardatevi intorno, è tutto così uguale, tutto stereotipato; perfino la bellezza esteriore è stata omologata; la chirurgia estetica divenuta status simbol ha creato cloni di esseri umani … labbra grandi come canotti, forme fisiche identiche dove tutti sembrano prodotti dalla stessa fabbrica. Evviva gli Amish e tutti coloro che cercano di colorare questo mondo sempre più monocromatico con i colori della loro storia e della loro civiltà … evviva tutti coloro che cercano di elevarsi al di sopra di questa dorata mediocrità accettando i propri limiti e difetti, orgogliosi di essere diversi dalla massa, non per moda, ma per storia, tradizione e libertà mentale ...….
    (Claudio)



    Gli amish aggrediti negli Stati Uniti

    Ieri negli Stati Uniti un gruppo di amish appartenenti a una setta interna alla comunità è stato arrestato dall’FBI in relazione ad alcune aggressioni avvenute lo scorso ottobre. Il 7 ottobre alcuni residenti dei villaggi amish delle contee di Carroll, Holmes, Jefferson e Trumbull, nell’Ohio, erano stati aggrediti da altri amish che avevano tagliato loro i capelli, nel caso delle donne, e la barba agli uomini. Capelli e barba sono simboli della cultura e dello stile di vita amish – le donne non si tagliano mai i capelli e gli uomini smettono di radersi dopo il matrimonio – e gli episodi di violenza effettuati da amish su amish sono molto rari. Le indagini sono state rese complicate dalla reticenza da parte degli amish a parlare con la polizia: la comunità vive una vita semplice e isolata, e non gradisce i contatti col resto del mondo. Il Guardian spiega che “gli amish credono profondamente di dover perdonare per poter essere a loro volta perdonati da Dio, e questo spesso si traduce in una gestione della giustizia interna alla comunità che non prevede che i crimini vengano denunciati alle forze dell’ordine”. È stato chiaro da subito che le persone aggredite erano unite da legami di parentela e che gli aggressori provenivano dal villaggio di Bergholz, sempre nell’Ohio. Tra le persone arrestate ieri dall’FBI per crimini d’odio ci sono il leader della setta, Sam Mullet, e tre dei suoi figli. Mullet il mese scorso aveva detto all’Associated Press di non aver ordinato le aggressioni, ma di non aver neanche tentato di fermare i propri figli, aggiungendo che si trattava di una vendetta per come gli altri amish avevano trattato il suo gruppo dopo la scissione avvenuta nel 1995. La moglie di una delle persone aggredite ha spiegato che molti amish avevano criticato l’atteggiamento severo adottato da Mullet verso chi lasciava la comunità e che era stato immediatamente scomunicato, anche senza alcuna ragione spirituale per una simile decisione. Gli amish cercano di vivere distanti da ogni mezzo moderno e tecnologico, e ogni loro gesto è volto a salvaguardare la comunità. Seguono le regole dettate dall’Ordine, un insieme di leggi tratte dagli insegnamenti biblici, e prediligono uno stile di vita semplice e modesto. La loro società è modellata su una gerarchia per anzianità, dove il più vecchio deve insegnare al giovane, e per questa ragione le loro scuole hanno un’unica stanza in cui studiano insieme i bambini di tutte le età: le maestre più anziane (donne ancora nubili scelte in base all’eccellenza della loro condotta morale) insegnano il mestiere alle più giovani e i bambini più grandi aiutano i più piccoli. Raggiunta l’adolescenza i ragazzi amish entrano in un periodo chiamato Rumspringa, durante il quale i genitori allentano il controllo sui propri figli e permettono loro di avere qualsiasi tipo di contatto col resto del mondo, sperimentare nuovi stili di vita, vestire diversamente. Ciò che accade durante il periodo di Rumspringa, che significa letteralmente “saltare in giro”, non è sottoposto in alcun modo al giudizio della comunità: la fase può durare da pochi mesi ad alcuni anni e sono i ragazzi stessi a decidere come vivere quel periodo, se in totale libertà o restando fedeli alle regole della comunità, e quanto farlo durare. Alla fine del Rumspringa i ragazzi possono scegliere se tornare nella comunità e aderire consapevolmente alla confessione, facendosi battezzare e sottomettendosi alle regole dell’Ordine adottando lo stile di vita amish, o se abbandonare tutto e restare nel “mondo esterno”. Si stima che su 100 adolescenti 80 decidano volontariamente di adottare lo stile amish e tornare all’interno della comunità. Chi fa la scelta opposta non viene in alcun modo estromesso dai contatti con la propria famiglia e col resto del villaggio: i legami restano intatti, purché la scelta sia precedente al battesimo.



    LIBERI DI ESSERE SE STESSI
    Non dormo,
    non ho sonno,
    non piango
    ascolto.
    Semplicemente ascolto,
    il silenzio della notte.
    Quel silenzio così penetrante che squarcia in due
    il mondo imperfetto che ti eri da sola forgiata.

    Il consiglio di un amico,
    il sorriso di una persona cara,
    una parola detta per caso,
    una musica che si diffonde nello spazio,
    dove aleggiano parole prive di senso per qualcuno
    ma colme di significato per te
    un proliferare di voci che accrescono in te la consapevolezza
    che tutto nella vita può cambiare.

    E ti ritrovi a dover attraversare una strada che non conoscevi,
    una strada diversa dai tuoi pensieri,
    forse un po’ cambiata nell’animo,
    ma non nel cuore.
    La consapevolezza di essere unica,
    forse anche un po’ bizzarra,
    ma di certo te stessa.
    E inizi a pronunciare parole che prima tenevi solo per te,
    a parlare della tua vita nella maniera più spontanea,
    così… come per gioco.

    Cadono le frontiere,
    si abbattono i muri dell’indifferenza,
    un senso di profonda crescita interiore
    ti fa comprendere che è meglio esternare ciò
    che fino ad ora era rinchiuso in un pozzo da troppo tempo dimenticato.

    Apri le finestre,
    guardi il cielo,
    e in un tentennare di emozioni
    che ti fanno sentir viva più oggi di quanto lo credevi in passato,
    riscopri che
    L’acqua sgorga,
    le stelle brillano
    e la libertà di essere se stessi…
    è il dono più bello che ci è concesso.
    (Valentina Pellegrino)

     
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  14. gheagabry
     
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    Ellis Island, lo sbarco negli Stati Uniti


    Vi giungevano in particolare dall’Europa. Italiani, irlandesi. Ma non solo. Tanta gente che fuggiva dalla povertà alla ricerca della propria El Dorado. Un viaggio estenuante via nave, e poi l’arrivo in un continente dagli spazi immensi. Ma prima di poter sbarcare, c’erano i controlli di frontiera. A Ellis Island. Situato alla foce del fiume Hudson, nella baia di New York (città simbolo degli Stati Uniti), un tempo utilizzato come deposito militare, dal 1892 al 1954 quest’isolotto venne utilizzato come frontiera per gli immigranti che arrivavano negli Stati Uniti. I primi controlli venivano fatti qui. In un secondo momento, superati gli accertamenti medici e valutata la regolarità dei documenti di viaggio, bisognava recarsi nella Sala dei Registri per le generalità: luogo di nascita, stato civile, luogo di destinazione, disponibilità di denaro, professione e precedenti penali. A quel punto, non restava che prendere il traghetto per Manhattan, ed ecco gli Stati Uniti.
    Andando a spulciare nel proprio albero genealogico, credo siano una minoranza quegli italiani che non hanno avuto almeno un parente che non abbia attraversato l’Oceano Atlantico. Non faccio eccezione. Ma il mio viaggio, a differenza di qualche lontano consaguineo, è durato solo poche ore, e per di più in un comodo aereo. L’aria è fredda. Prendo il traghetto stringendomi nel giaccone non tropo pesante. Guardo i visi divertiti dei tanti turisti attorno a me. Non so. Non riesco a essere entusiasta come se stessi andando allo Yellostone Park. Mi sto avvicinando a un posto che raccolse tante storie. Vite. E poi mica tutti sbarcavano. A più di qualcuno toccò farsi subito il viaggio di ritorno. Col tempo, per entrare negli States venne introdotto il test dell’alfabetismo, e in seguito, una tassa di sbarco. Divenuto in tempi di guerra mondiale (la Seconda) una sorta di campo di detenzione per tedeschi, italiani e giapponesi, a metà anni ’50 venne chiuso, e dal 1990 ospita il Museo dell’Immigrazione.
    Guardo i tanti volti nelle foto appassite. Chissà se i loro bis-nipoti sono ancora qui o se hanno fatto ritorno nella terra d’origine. Nei bagagli accatastati, forse è la mia immaginazione, vedo un gattino bianco di peluche. Riesco solo a pensare al dispiacere lacrimato di una bambina per averlo perduto.
    Esco dal museo, e affacciandomi sulla baia, vedo la Statua della Libertà. Guardo la bandiera a stelle e strisce strapazzata dal vento. Non cerco parole che rovinerebbero questa piena di sensazioni.
    (Luca Ferrari, ilreporter)


    Circa cento milioni di americani possono far risalire la loro cittadinanza a stelle e strisce ad un parente che dal 1892 al 29 novembre del 1954, 57 anni fa, è passato per Ellis Island, la porta della speranza, la porta delle lacrime. Solo dal 1892 al 1922 furono circa 22 milioni gli emigranti che cercavano nel Nuovo Mondo un futuro diverso da quello che il loro paese d’origine gli riservava, sono stati costretti a fare la prima tappa in questo isolotto alla foce del fiume Hudson nella baia di New York. Solo il 2 per cento di coloro che hanno cercato di entrare negli States in quel periodo da Ellis Island sono stati rimandati indietro: l’America cominciava a correre, la sua economia aveva bisogno di manodopera fresca e disponibile a qualunque sacrificio per costruire e dare senso alla rivoluzione industriale che nei paesi da dove arrivavano gli emigranti, non c’era ancora oppure era fallita o aveva prodotto solo miseria da cui scappare. I passeggeri di prima e seconda classe delle navi che arrivavano a New York venivano visitati da soli nelle loro cabine e poi accompagnati a terra dai funzionari dell’immigrazione, quelli di terza classe, venivano ammassati nei saloni di Ellis Island, Che prima di essere utilizzata come la porta verso il Nuovo Mondo, era stata adibita dagli inglesi, che la chiamavano Gibbet Island, a luogo di confino per i pirati colti in flagranza di reato.

     
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  15. gheagabry
     
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    Storie di ...uomini

    Franz Reichelt..un pioniere del paracadute


    Il 4 febbraio 1912 un sarto viennese trasferitosi da molti anni a Parigi, Franz Reichelt, si lanciò dalla prima piattaforma della torre Eiffel e si schiantò al suolo, mentre provava un paracadute di sua invenzione cui aveva lavorato per mesi. Reichelt, che al momento della sua morte aveva 33 anni, abitava al numero 8 di rue Gaillon, vicino all’Avenue de Opera, ed era un sarto che aveva un certo successo tra gli austriaci che venivano in visita a Parigi. Dall’estate del 1910 cominciò a lavorare a un paracadute: l’aviazione era agli inizi e non era ancora stato trovato un sistema per permettere a un pilota di raggiungere il suolo sano e salvo nel caso avesse dovuto abbandonare l’aereo in volo. Esistevano premi e riconoscimenti per chi avesse trovato l’espediente tecnico adatto, una struttura non rigida e non troppo ingombrante che si sarebbe potuta aprire in volo a basse altitudini.
    Uno dei primi prototipi progettati da Reichelt pesava oltre 70 chili e usava più di sei metri quadrati di stoffa. Il sarto fece diverse prove utilizzando manichini, dal quinto piano della casa dove abitava in rue Gaillon, e in diverse occasioni fu lui stesso a lanciarsi con i suoi prototipi da pochi metri, a cui lavorava eliminando parti pesanti e aumentando l’ampiezza del tessuto utilizzato. Nessun tentativo ebbe successo (mentre pare che alcune delle prime prove di lancio di un manichino con “ali” fisse fossero riuscite). Reichelt si convinse che uno dei problemi stesse nell’altezza ridotta da cui era solito effettuare i suoi lanci di prova, e iniziò a chiedere l’autorizzazione per l’utilizzo della prima piattaforma della torre Eiffel, posta a circa 70 metri di altezza e altre volte usata per esperimenti simili. Dopo molti tentativi, il permesso gli venne accordato all’inizio del 1912.
    La mattina di domenica 4 febbraio, verso le sette, Franz Reichelt arrivò sul posto in automobile accompagnato da due amici. Giunto nei pressi della torre, Reichelt disse che si sarebbe buttato di persona, fatto di cui i suoi accompagnatori si dichiararono in seguito sorpresi. Dissero di aver provato a fargli cambiare idea o almeno a fargli indossare una corda di sicurezza, ma che Reichelt aveva rifiutato ostinatamente, dicendo che aveva completa fiducia nel suo prototipo, che i giornali dell’epoca descrivevano come “una sorta di mantello, con un grande cappuccio di stoffa”. Intorno alle 8.20 del mattino si preparò al salto, in piedi su uno sgabello posto su un tavolo di un ristorante del primo piano, esitò una quarantina di secondi e poi si buttò di sotto. Nel video, la stoffa lo avvolge quasi subito, e il dispositivo sembra aprirsi solo un momento prima dell’impatto con il suolo. Reichelt morì sul colpo.
    La prefettura di Parigi chiarì dopo la morte di Reichelt, a cui avevano assistito molti corrispondenti della stampa parigina e che era stata filmata da due cineprese, che il permesso era stato accordato nella convinzione che, come nei casi precedenti di esperimenti dalla torre, Reichelt avrebbe usato dei manichini e non si sarebbe buttato di persona. Al momento della morte di Reichelt diversi inventori, negli Stati Uniti e in Francia, avevano sviluppato soluzioni funzionanti.
    (il post)
     
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35 replies since 28/8/2011, 12:40   4301 views
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