SICILIA PARTE 7^

PALERMO..CITTA’GRECA X LE ORIGINI,ROMANA X LE LOTTE CON CARTAGINE,ARABA,FRANCESE,TEDESCA,SPAGNOLA

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI


    “... Martedì..partiamo da Trapani e costeggiamo le coste siciliane..terre così belle che si affacciano sul mare da sembrare profili dalle sembianze umane da carezzare col delicato sfiorare della mano..il mare dai lucenti riflessi si adagia su quel profilo come lacrima di gioia che scende da occhi commossi..la mongolfiera dell’isola felice vola verso est..alla volta della città che impersonifica questa regione meravigliosa..Palermo.. Di te amore m'attrista, mia terra, se oscuri profumi perde la sera d'aranci, o d'oleandri sereno, cammina con rose il torrente che quasi n'è tocca la foce. ma se torno a tue rive e dolce voce al canto chiama da strada timorosa non so se inerzia o amore, ansia d'altri cieli mi volse, e mi nascondo nelle perdute cose. (Salvatore Quasimodo)..Poesia per Palermo ..E lo stesso vento che distrugge le case, e impollina i fiori, che strappa le tende e gonfia le vele, è lo stesso vento che addormenta i vecchi e sveglia i bambini, lo stesso vento che mi ruba il ricordo di questa città per ridarmela diversa e sempre più bella (Poesia esposta alla Cala in Via dei Cassari)..Buon risveglio amici, anche oggi vi ho lasciato due poesie che parlano dei luoghi che vedremo oggi..spero vi piacciano..Buon viaggio nella mente e nel cuore..”

    (Claudio)



    PALERMO..CITTA’GRECA PER LE ORIGINI.. ROMANA PER LE LOTTE CON CARTAGINE..ARABA PER LE CUPOLE..FRANCESE..TEDESCA..SPAGNOLA..


    “Posa un fianco sul mare come su un divano di seta….Il sole le splende sul capo, aureola d’oro, frutti belli e saporiti….D’inverno gli alberi hanno il fuoco nelle foglie e l’acqua nelle radici. Palermo, la favorita di Dio!…E Dio qui si fermò nel giorno della creazione! Dio clemente, abbi pietà, nei giorni dello sdegno e della giustizia,di Palermo che alzò cinquecento moschee a lodare la tua magnificenza”
    canto del poeta arabo Jhr Zaffir



    “La leggenda vuole che il più antico nome di Palermo sia stato Tsits (o Ziz), che significa “splendida”, “fiore”; e veramente la città si mostra come un fiore gaio e odoroso, in una ridente spiaggia davanti al mare azzurro….. Visitare Palermo è come visitare una scatola magica: si adatta al tuo stato d’animo e ti fa vedere i suoi tanti e differenti lati. C’è la Palermo della storia, iniziata con la dominazione dei Fenici nel VIII secolo a.C., passata poi in mano ai greci, ai romani, agli arabi. C’è la Palermo delle tradizioni, come il culto di Santa Rosalia, le cui reliquie sono custodite nella cattedrale e la Palermo dei monumenti…. Camminando per le sue strade si possono vedere tutte e quattro le città, e anche la Palermo delle contraddizioni… già dalla piazza del Duomo ci accorgiamo del puzzle architettonico che contraddistingue questa città, dovuto ai tanti anni di differenti dominazioni. Un mosaico di stili, un miscuglio di influenze anche per la Cattedrale che conserva le reliquie della Santuzza, come viene chiamata qui Santa Rosalia. Anche il Palazzo dei Normanni presenta il passaggio di diversi periodi storici e di rimaneggiamenti………..il Mercato Ballarò, vicino alla stazione, è animato da venditori che, con le loro incessanti cantilene in dialetto locale, decantano la qualità della loro merce e vi attirano verso i loro banchi, pieni di prodotti tipici locali di ogni genere….il mercato della Vucciria, che somiglia molto a un suk arabo, vi frastornerà con i suoi colori e i suoi mille profumi. E’ un mercato antico, situato in un intrico di vicoli e piazzette….. il laboratorio della famiglia Cuticchio..da anni si tramandano di padre in figlio l’arte dei pupari: i pupi sono le speciali marionette azionate da due ferri e da fili di corda. Nel loro repertorio ci sono le rappresentazioni classiche della storia dei paladini di Francia…….”



    “Palermo…Il nome della città è di origine greca (‘pàn-ormos’ cioé “tutto porto”) la sua nascita risale al VIII sec. a.C….Uno dei primi popoli ad arrivare e a governare Palermo furono i Fenici a cui seguirono i Cartaginesi e i Romani nel 254 a.C….In seguito, le invasioni barbariche, devastarono la città fino al 535, quando venne occupata dai Bizantini…. Tre secoli dopo, la città, fu conquistata dagli Arabi che la fecero diventare una delle più belle città del tempo…furono loro a portare in queste terre, della Conca d’Oro, i primi agrumeti…. nel XI secolo, i Normanni conquistarono la città e, insieme agli Svevi, svilupparono le attività commerciali della città facendola diventare un nodo importante di collegamento fra Europa e Asia….in questo periodo anche la vita culturale fiorì e risale a questo momento la nascita della “Scuola Siciliana” di poesia che era legata alla corte di Federico II…..Con l’arrivo degli Angioini nel XIII secolo, la sorte di Palermo cambiò. Il declino e il malgoverno finirono con la rivolta del 1282 conosciuta con il nome “i Vespri Siciliani” che spinse gli Aragonesi a conquistare l’isola. Con loro Palermo conobbe un nuovo periodo di crescita….. Nel 1711 finì il dominio spagnolo e, dopo un breve periodo di controllo sabaudo, Palermo fu governata dai Borboni fino l’unità d’Italia”



    “Per chi arriva a Palermo in aereo, riesce ad avvistare…una distesa sconfinata di azzurro delimitata da chilometri di costa frastagliata ricca di insenature, calette e grotte naturali. E’ il mare di Terrasini, piccolo comune del palermitano che si affaccia sul golfo di Castellamare…. un tempo terra sinus, letteralmente vuol dire “terra del golfo” e sorge ad appena 30 metri sul livello del mare. Sulla scogliera in primavera e in autunno non è raro ammirare gabbiani reali, falchi e cappellacce che insieme ad altre specie animali rappresentano l’inestimabile patrimonio faunistico di Terrasini, che da qualche anno ospita anche una riserva naturale gestita dal WWF, la riserva naturale Orientata Capo Rama…..Tale riserva deve il suo nome alla Torre Capo Rama, antica torre di avvistamento risalente al XV secolo ed edificata allo scopo di proteggere l’allora borgo feudale dall’assalto di pirati e corsari…..fa parte, insieme ad altre undici torri difensive del sistema di avvistamento costiero. …….Ma non ci sono solo le spiagge…degni di nota sono lo splendido castello settecentesco dei principi La Grua Talamanca , villa Fassina (un gioiello del liberty frutto del genio creativo di Ernesto Basile), palazzo Castaldi, il castello di Gazzara e la Senia (antico irrigatoio arabo).”



    “Quando in Sicilia dici cannolo, inevitabilmente il pensiero va a Piana degli Albanesi - patria indiscussa della golosa specialità ripiena di ricotta candita …Il cannolo comunque, non è l’unica squisitezza per cui Piana è famosa. Il pane, dalla tipica e riconoscibilissima forma tonda, prodotto con farina di grano duro e cotto nei forni a legna come una volta, l’olio, che di recente si è guadagnato il marchio dop, i formaggi….E quasi fa sorridere il fatto che un paesino medievale, di inusitata bellezza, immerso in una natura rigogliosa fatta di pini e ginestre, così ricco di curiose peculiarità, sia invece balzato agli onori della cronaca per via dei suoi primati culinari! Piana degli Albanesi … il paese ospita la più importante comunità albanese in Sicilia, rappresentando dunque una sorta di isola nell’isola, che fa del viaggio in questo luogo un viaggio nella tradizione e nella cultura di un popolo da secoli trapiantato in terra sicula e perfettamente integrato, ma che ciò non di meno ha conservato pressoché intatti usi e costumi!..Il territorio, infatti, fu occupato 5 secoli fa da un folto gruppo di profughi (Arbëreshë) in fuga dall’invasore turco…L’allora sovrano Giovanni II di Spagna magnanimamente concesse loro la libertà di professare la propria fede e di celebrare il rito ortodosso. Il rito in lingua greca viene celebrato tutt’oggi ….Chi capitasse da quelle parti nel giorno di Pasqua probabilmente avrebbe la sensazione di trovarsi in un paese straniero a partire dall’accoglienza all’ingresso della città da parte di due pianesi (o pianoti ) nel loro costume tipico che omaggiano i visitatori delle classiche uova colorate. La messa viene celebrata nella chiesa madre e il vangelo viene letto in sette lingue, anche in arabo….gli abitanti che indossano gli abiti tradizionali….La lingua albanese viene comunemente utilizzata ed è inoltre presente nei documenti ufficiali e nella segnaletica stradale….gli albanesi si sono da subito inseriti nel tessuto sociale partecipando attivamente alla storia del paese.”



    “Avventurandosi nei boschi che circondano Petralia Sottana - fra querce e castagni - vi è una Sicilia assolutamente diversa perché il viaggio nel cuore delle Madonie non è una vacanza nel senso comune del termine, ma una vera e propria esperienza. Una di quelle che resteranno scolpite nella memoria, per sempre…..Il colore che domina è il verde in tutte le sue tonalità …Già nei primi del novecento il letterato Borgese definì Petralia “la Parigi delle madonne…Lo splendore di cui godette la cittadina montana è senza dubbio da attribuire alle dominazioni illustri che sul suo territorio si avvicendarono dai Ventimiglia agli Aragona, dai Moncada ai Griseo. Fu proprio merito dei baroni di quest’ultimo casato se Petralia dispose di un teatro, uno dei primi delle alte … E’ un posto Petralia dove cultura fa rima con natura e chi vi soggiorna, anche per un breve periodo, non può fare a meno di avvertirlo…..e non è solo per le prelibate olive con la mollica della zì Pina , ma per l’autentica aria da borgo rurale… dal quartiere chiamato San Salvatore, oggi quasi del tutto disabitato, a quello medievale della Provvidenza caratterizzato da stradine strettissime a ridosso della Chiesa Madre intitolata all’Assunta, edificata approssimativamente nel XVII secolo …”


    “Benvenuti a Roccapalumba, il paese delle stelle”…. da questo incantevole comune, situato a circa 60 km da Palermo, è possibile osservare le meraviglie della volta celeste con una precisione notevole grazie ad un potentissimo telescopio newtoniano ospitato all’interno dell’Osservatorio Astronomico di Pizzo Suaro e che fa di Roccapalumba il punto di osservazione ideale per tutti gli astrofili siciliani…Quella per l’astronomia è una passione che la città coltiva da quando, una quindicina d’anni fa, un privato appassionato di stelle decise di creare un osservatorio…Seguendo quella scia, nel 2002, l’amministrazione comunale ha inaugurato un Planetario Astronomico - il solo in Italia provvisto anche di uno speciale elioplanetografo che permette di simulare il movimento dei pianeti attorno al sole - e ha conferito la cittadinanza onoraria ad una delle astrofisiche più importanti del mondo Margherita Hack. … la città rappresenta un luogo ideale per l’osservazione del cielo sia per l’ottima posizione geografica (600 metri sul livello del mare) che per il bassissimo inquinamento luminoso che la caratterizza…A partire dalla Rocca, uno straordinario massiccio dolomitico ai cui piedi sorge il paese…. tombe rupestri scavate nel terreno…e poi un viaggio attraverso la storia che condurrà fino alle origini arabe dell’antico borgo, lì fino agli argini del fiume Torto dove è possibile ammirare l’antico Mulino Fiaccati ad acqua, entrato in funzione oltre un secolo fa (1882), di cui ancora oggi è possibile assistere al funzionamento.”



    “C’è una Sicilia per lo più sconosciuta, fatta di dolci declivi e sconfinati spazi verdi, lontana dal mare ..è quella più interna, collinare…..A questa Sicilia appartiene Contessa Entellina…il piccolo borgo medievale, noto ai suoi abitanti semplicemente come Contissa, deve il suo nome all’unione fra il vecchio toponimo di Comitissa con quello della vicina Entella, un tempo potente città degli elimi.. uno scrigno che racchiude paesaggi mozzafiato, tesori archeologici e naturalistici di rara bellezza…..il monastero medievale di Santa Maria del Bosco sul Monte Genuardo…. circondato da un fitto querceto, in origine rappresentò un eremo per quanti nel silenzio e nella solitudine di queste valli coltivarono la propria fede…nel quattrocento fu trasformata in abbazia … i ruderi del Castello di Calatamauro, che qualcuno fa risalire addirittura ai Saraceni… Castel Calatamauro …le antiche vestigia di tre mulini ad acqua che contribuirono un tempo alla massiccia produzione di grano, che veniva trasformato in loco dai contadini di Contessa…..la vecchia stazione .. un mix di decori in stile liberty, ponti ad arco in pietra e piccole gallerie….Una terra che sembra rubata ai romanzi di Tolkien, una curiosità … a Contessa Entellina si parla ancora l’arbereshe, la lingua degli antichi antenati albanesi. Pochi la sanno leggere né tanto meno scrivere, ma non è così inusuale che venga parlata in famiglia.”



    “A quasi 1000 metri di altitudine sul livello del mare, circondata da una rigogliosa vegetazione di ulivi e noccioli sorge Polizzi Generosa, piccolo angolo di paradiso, dove ancora è possibile immergersi nel silenzio e respirare l’aria pura della montagna. La località fu scelta come residenza anche da numerosi nobili….A volte la coltre di nebbia è talmente fitta che le nubi scendono verso il basso e le montagne sembrano trasformarsi in tante isolette circondate dal mare…..è la maretta, così come lo chiamano gli abitanti del paese: uno dei fenomeni più incantevoli e affascinanti che possiamo osservare dal cuore delle Madonie…… Percorrendo il dedalo di viuzze, scalinate e stradine tortuose poi, abbiamo davvero la sensazione di trovarci in un paese immaginario sospeso tra terra e cielo…Polizzi si guadagnò l’appellativo “generosa” direttamente da Federico II, ammirato dal coraggio col quale la piccola cittadina difese le sue istituzioni di fronte all’invasore straniero…..Questo piccolo comune fra le montagne ha un discreto patrimonio storico-artistico …..l‘Anfiteatro della Quacella, le cui rupi mutano aspetto e colore a seconda della luce e della stagione, passando dal grigio al rosato…. la Flomaria dei Mulini, una vallata ricca di noccioleti dove sorgono 13 mulini ad acqua, alcuni risalenti addirittura al XII secolo…. Piano Battaglia”


    “… passeggiando lungo lussureggianti sentieri boscosi, fitti di querce, castagni, ciliegi e frassini che arriviamo alle pendici del Colle Milocca, lì dove sorge Castelbuono, il paese della manna…. “Attendere la manna dal cielo”, come per dire confidare in una sorta di aiuto provvidenziale è un’espressione ormai di uso comune. La sua origine è biblica, come riferisce il libro dell’Esodo. Gli Ebrei, ormai rassegnati a dover morire di fame nel deserto, si videro piovere dal cielo una enorme quantità di manna di cui si nutrirono a sazietà. Quello che non tutti sanno, però, è che la manna esiste per davvero e si tratta di un dolcificante naturale molto nutriente e dalle numerose proprietà benefiche….ma bensì viene estratta dal tronco dei frassini, mediante un arnese che si chiama “rasulala”o “cutieddu”….i segreti per la sua coltivazione non sono scritti in nessun libro, ma vengono tramandati dalla tradizione contadina e appresi da padre …. nelle sue stradine medievali non sembrerebbe strano imbattersi in dame e cavalieri in abiti ottocenteschi..se li seguissimo ci porterebbero a piazza Castello per rivivere suggestioni di un’epoca ormai conclusa.”



    “A soli 8 chilometri da Palermo, situato alle pendici del monte Caputo La strada che dalla città “sale” si trova sulla piazza Vittorio Emanuele dove è collocata la splendida cattedrale..il Duomo spettacolare, da togliere il fiato, forse ancora più bella vista all’imbrunire, illuminata dalle tipiche luci gialle del paese…..risalente al 1174, fu costruito per volere di Guglielmo II, detto il Buono….Secondo la leggenda, la sua costruzione si deve a un sogno del re Guglielmo, durante il quale ricevette la visita della Madonna che gli indicò il luogo in cui si nascondeva un tesoro da utilizzare per la costruzione di un luogo sacro….Non a caso davanti all’ingresso secondario della chiesa, considerato da molti quello principale perché si affaccia sulla piazza Vittorio Emanuele, si trovano due statue bronzee poste l’una di fronte l’altra che raffigurano Guglielmo II che porge alla Madonna la chiesa che tiene in mano….i mosaici arabo-bizantini, vera attrazione, si estendono per una superficie superiore ai 6000 mq. Stesi sulle pareti seguono un loro ordinato svolgimento, secondo uno schema ideale che va al di là del valore decorativo…. in essi vengono raccontati tutti i fatti biblici..il grande mosaico dell’abside centrale rappresenta il Cristo Pantocratore; la cosa davvero suggestiva nell’ammirarlo è rappresentata dal fatto che, da qualunque punto della chiesa lo si osservi, questo sembra guardarti negli occhi grazie all’effetto dato dai riflessi del mosaico…. all’interno altre opere importanti sono le due tombe di Guglielmo I e Guglielmo II, rispettivamente padre e figlio. Secondo la tradizione popolare queste hanno differente aspetto (quella di Guglielmo II è decorata in marmo di Carrara arricchita da ornamenti vari, mentre quella del padre è in semplice granito scuro, nuda e spoglia) per voler sottolineare la cattiveria e la tirannide di Guglielmo I e la bontà e la magnificenza di Guglielmo II….Percorrendo alcuni passi tra i tipici “chiassi” - le piazzette - vicoli e scalinate si arriva alla chiesa della Collegiata, amatissima dai monrealesi perché ospita il Crocifisso del “Patruzzu amuruso” - il padre amoroso che scacciò la peste dalla città….Sempre dalla chiesa della Collegiata, inoltre, è possibile arrivare in via Antonio Veneziano dove, oltre alla casa dell’omonimo poeta, vi si trova il più antico biscottificio di Monreale che produce ancora secondo le ricette della tradizione i più buoni e tipici biscotti dalla forma di esse ricoperti da gocce di glassa.”



    “…Situata in mezzo al verde tra faggi, frassini e castagni, su Pizzo Sant’Angelo a un’altitudine di circa 1000 metri sul livello del mare, Gibilmanna sorge nel territorio di Cefalù, di cui rappresenta una piccola frazione..caro ai pellegrini di tutto il mondo per il suggestivo santuario mariano che lì vi fu eretto dai frati benedettini nel sesto secolo…….Gibilmanna è un luogo fatto di silenzi: silenzi per pregare, silenzi per meditare, silenzi per ascoltare noi stessi e i piccoli e grandi bisogni della nostra anima, troppo spesso soffocati dal frastuono della vita di ogni giorno.”



    “Dopo un’ora di navigazione in aliscafo la si scorge all’orizzonte: un puntino in mezzo al mar Tirreno…..Non appena sbarcati, la prima cosa che risalta è l’acqua del porto, limpida, dai fondali azzurri. …Ustica …questa piccolissima isola vulcanica di soli 9 kmq circa, parte emersa di un grande vulcano sottomarino, è anche la più antica, affiorata molto prima delle Eolie. La sua origine e il colore nero della lava determinano la scelta del nome, dal latino ustum, che significa bruciato. Qui c’è un forte contrasto ottico tra il nero delle rocce, il bianco e il colore delle case del centro abitato che si aprono ad anfiteatro sul porto Cala Santa Maria….. le piccole vie del paese sono accompagnate dai colori dei muri delle case che, da alcuni anni, sono stati “trasformati” in tele su cui gli artisti hanno dipinto paesaggi, ritratti, nature morte, soggetti fantastici…..I fondali dischiudono un’altra isola, quella sommersa riservata agli “eletti” della subacquea …Ci si immerge nelle sue acque limpide e pulite, tra cernie e saraghi, ammirando murene e polpi annidati tra i numerosi reperti archeologi adagiati sul fondale….la Grotta Azzurra, la Grotta dell’Oro, la Grotta delle Barche, la Grotte Verde….Cala Sidoti, Punta dello Spalmatore, al Faro e le bellissime baie rocciose .. Capo Falconiera, alla cui sommità si trovano i resti di una fortezza borbonica e di un insediamento rupestre risalente al III sec. a.C…Torre di Santa Maria….”



    “Carini ….cosa significa il 4 dicembre per il Castello di Carini?..La leggenda narra dell’assassinio di Donna Laura Lanza, figlia del barone di Carini, uccisa il 4 dicembre 1563 in una delle stanze del castello. Si trattò di un delitto d’onore: la baronessa fu scoperta dal marito, il barone Vincenzo La Grua, e dal padre, insieme all’amante Ludovico Vernagallo….I due furono sorpresi nella camera da letto della donna e lì stesso assassinati…Si narra, che su una delle pareti della stanza vi fosse impressa l’impronta della mano insanguinata della baronessa…..Tutt’ora tra gli abitanti si racconta che il fantasma della baronessa si aggiri per le stanze del castello e che il 4 dicembre compaiano sulle mura le sue impronte insanguinate……Al castello si accede attraverso due maestose porte con archi a sesto acuto… il Salone delle Derrate trasformato in seguito in biblioteca, mentre al piano superiore il bellissimo Salone delle Feste, sormontato da un soffitto ligneo realizzato a cassettoni, tipico dell’arte gotica catalana; da un portale ornato dallo stemma della famiglia La Grua si accede alle stanze del castello arricchite con numerosi affreschi …. una scala interna dà accesso alla torre, il cosiddetto maschio del castello…Alzando gli occhi verso la sommità della torre si nota una scultura raffigurante una mano. Questa è stata realizzata, sempre secondo la leggenda, per ricordare la morte della Baronessa di Carini, ma fonti più attendibili ed esperte hanno dichiarato che tale scultura è precedente all’accaduto, realizzata da qualche maestranza araba…la “Mano di Fatima”, infatti, rappresenta per la cultura islamica un simbolo di fortuna.”



    “Nel corso del suo celebre ”Viaggio in Italia“, Goethe scrisse:“Italien ohne Sizilien macht gar kein Bild in der Seele: hier ist erst der Schlüssel zu allem…(L’Italia senza la Sicilia non lascia immagine nell’animo: qui, solo qui, è la chiave di tutto)….Certo, non bastano le parole per descrivere la Sicilia. Non parlo di quantità di parole, dico che non è possibile, nemmeno per lo scrittore più bravo, o il pittore più esperto, tracciare la linea dell’emozione che dà la Sicilia e concretizzarla su una tela, su un foglio. Perché è impossibile non sentirsi su un differente meraviglioso pianeta. Si dice che al termine della creazione Dio, soddisfatto, baciò la terra. Il punto in cui posò le labbra era la Sicilia……. la Sicilia è fatta di genti, è fatta di sguardi, è fatta di calore. L’immobile voluttà che circonda ogni abitante, la sensuale dolcezza delle donne, il dolce e infinito sapere amare, perso ovunque, e conservato qui come una tradizione, come un monumento.”






     
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    Monreale



    Monreale (Murriali in siciliano) è un comune di 36.895 abitanti della provincia di Palermo e dista 5 km a sud dal capoluogo. È parte dell'Area Metropolitana di Palermo. Con i suoi 529 km² è il sesto comune d'Italia per estensione territoriale, dopo Roma, Ravenna, Cerignola, Noto e Sassari, nonché il secondo comune italiano, dopo Roma, per numero di comuni confinanti (ben 23).

    Le sue origini deriverebbero da un antico villaggio arabo situato alle pendici del Monte Caputo a 310 m sul livello del mare. L'importanza di Monreale comincia ad essere tale con l'avvento della dinastia normanna verso XI secolo. Era in questo luogo che i re normanni, si ritiravano per riposare dalle fatiche della guerra e dal Governo della Sicilia. Fu in una notte del 1171 che re Guglielmo II detto il Buono, ebbe in sogno l'apparizione della Madonna che gli svelava il posto dove era nascosto un immenso tesoro (bottino di guerra di Suo padre), con il quale, voleva che Guglielmo erigesse un Tempio a Lei dedicato.



    Il re non attese tanto e diede inizio alla costruzione del tempio, del Palazzo Arcivescovile e del chiostro. Dispose che cento monaci, con a capo l'abate Teobaldo, da Cava de' Tirreni si trasferissero a Monreale per officiare il tempio. I monaci giunsero a Monreale il 20 marzo 1176. L'abate Teobaldo venne insignito del titolo di "Signore della Città". Il 5 febbraio 1182, Lucio III, su richiesta dello stesso Guglielmo, elevò la chiesa di Monreale a "Cattedrale Metropolitana". Primo arcivescovo della diocesi di Monreale è stato fra' Guglielmo del monastero dei Benedettini. Alla fine del XVII secolo l'Arcivescovo di Monreale possedeva 72 feudi. Dalla elevazione a Cattedrale Metropolitana ad oggi, la sede di Monreale ha avuto 54 arcivescovi, e tra questi, 14 cardinali della Chiesa. Già prima che il Duomo fosse finito, il mondo ne parlava con meraviglia: lo stesso papa Alessandro III, in una bolla del 1174, inviata al sovrano, esprimeva tutta la sua gioia per la solennità del monumento.



    La costruzione più rappresentativa di Monreale è il Duomo costruito, sempre per volontà di Guglielmo II, fra il 1172 e il 1176. Lo stile di questo monumento conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo è composito, poiché si uniscono gusti differenti che rimandano all’architettura dell’Europa del nord e all’arte araba.

    Le due torri massicce e solenni, fiancheggianti il portico d'ingresso costruito nel sec. XVIII)non conservano la forma originale, poiché in seguito ad un fulmine (1807) una è rimasta mutilata.



    Molto importanti sono le porte bronzee in stile romanico: quella principale, eseguita da Bonanno Pisano, è composta da quaranta pannelli con scene tratte dalle narrazioni bibliche.

    L’interno, illuminato dai magnifici mosaici rilucenti d’oro che creano l’illusione di trovarsi in un luogo paradisiaco, è a croce latina, con le navate divise da colonne sormontate da una sequenza ritmica d’archi ogivali. L’intero edificio è rivestito da mosaici risalenti al tempo di Guglielmo II il Buono e forse di Tancredi (1194). La narrazione, che s’estende per ben 7584 m², racconta l’intera storia del cristianesimo nei momenti dell’attesa di Cristo, della sua vicenda terrena e di ciò che è avvenuto dopo la sua morte e risurrezione.



    Pur rimandando alla cultura bizantina, questi mosaici (soprattutto quelli più recenti) risentono del linguaggio romanico di quelli di San Marco a Venezia. Uno dei momenti più alti è costituito dall’immagine del Cristo Pantocratore (nel catino absidale) che sembra dominare l’intera aula sacra.
    Fra i tesori della cattedrale sono da ricordare le cappelle di San Castrense, di San Benedetto e del SS. Crocifisso: quest’ultima splendido esempio di barocco a marmi mischi. La chiesa custodisce anche le tombe reali del primo e del secondo Guglielmo.



    È interessante anche il tesoro, al quale si accede per la Cappella del Crocifisso, realizzata in periodo barocco. Il chiostro, altro luogo di delizie per gli occhi ed il cuore, è un vero capolavoro dell’arte della scultura e dell’intarsio di pietre dure. Le 228 colonnine gemine, ognuna delle quali presenta decori differenti, sono sormontate da elaboratissimi capitelli che sostengono archi d’ispirazione araba.



    Palermo

    (/paˈlɛrmo/), in siciliano Palermu (pronuncia palermitana [paˈlɛɪmmʊ]), è un comune italiano di 656.244 abitanti della provincia di Palermo in Sicilia. Capoluogo dell'omonima provincia regionale e della Regione Siciliana, è sede dell'Assemblea Regionale Siciliana. Quinto comune italiano per popolazione dopo Roma, Milano, Napoli e Torino, e trentunesimo a livello europeo, è il principale centro culturale, storico ed economico-amministrativo della Sicilia. Palermo è una delle 15 città metropolitane italiane. L'agglomerato urbano conta circa 860.000 abitanti e l'area metropolitana, che comprende 27 comuni, conta 1.038.105 abitanti. La sua storia millenaria le ha regalato un notevole patrimonio artistico ed architettonico che spazia dai resti di mura puniche per giungere a ville liberty, passando da residenze in stile arabo normanno, chiese barocche e teatri neoclassici. Per questioni culturali, artistiche ed economiche è stata tra le maggiori città del Mediterraneo ed oggi è fra le prime mete turistiche della regione della nazione e d'Europa. La città, inoltre, attraverso attente opere di riqualificazione si prepara a diventare una delle principali città della zona euromediterranea.

    « Bella ed immensa città, dal massimo e splendido soggiorno [...] Palermo ha edifici di tanta bellezza che i viaggiatori si mettono in cammino attratti dalla fama delle meraviglie che offre qui l'architettura, lo squisito lavoro, l'ornamento di tanti peregrini trovati dall'arte. »


    (Edrisi, viaggiatore berbero)



    Le origini del nome

    La città di Palermo ha cambiato spesso nome nel corso delle epoche:
    * Zyz (la "z" va pronunciata come "s" sonora) (che in fenicio significa il fiore): il nome non è ancora accertato, ma molte monete provenienti da Palermo di periodo punico portavano la dicitura Zyz e visto che Palermo era una delle tre città Puniche della Sicilia (Tucidide, VI, 1-5) molto probabilmente aveva una propria zecca. Il nome sembrerebbe derivare dalla conformazione della città che tagliata da due fiumi ricordava il profilo di un fiore.
    * Panormos (dal Greco παν-όρμος, tutto-porto): i Greci chiamavano Palermo così perché i due fiumi che la circondavano (il Kemonia e il Papireto) creavano un enorme approdo naturale. Questo nome andò diffondendosi grazie al rafforzamento dell'influenza greca sull'isola.
    * Panormus: i Romani mantennero, con una lieve modifica di pronuncia, la denominazione greca con la quale avevano conosciuto la città.
    * Balarm: il nome arabo della città è un semplice cambiamento di pronuncia del nome precedente.
    * Balermus: evoluzione del precedente nome sotto il periodo normanno.
    * Palermo: il nome definitivo della città che viene acquisito in età moderna.



    La città di Palermo, adagiata fra il mare, il promontorio di Monte Pellegrino e gli agrumeti della Conca d’Oro, oltre che capoluogo della Regione Autonoma istituita nel 1947, può essere considerata oggi, a ragione, l’unica vera metropoli della Sicilia, il polo intorno a cui ruota tutta l’attività economica, politica e culturale dell’isola. Un ruolo privilegiato, dunque, che le deriva da una storia secolare, da sempre segnata dalla felice posizione geografica. Se, infatti, sulle pendici di Monte Pellegrino l’uomo comparve fin dal Paleolitico, furono i Fenici, nell’VIII secolo a.C., ad apprezzare per primi i pregi di quell’insenatura naturale che è oggi la Cala e che a quell’epoca, più profonda di quasi 500m, non tardò ad imporsi come scalo fondamentale per i traffici dell’intero Mediterraneo. Da allora il porto non avrebbe mai più abdicato alla sua funzione trainante non per l’economia, ma anche per la stessa storia palermitana: fu da esso che la città prese il nome; fu il porto che le consentì di stabilire contatti, di volta in volta, con tutte le maggiori e più evolute civiltà, acquisendo una fisionomia tipicamente cosmopolita; e fu ancora la sua importanza commerciale e strategica a donare alla città una ininterrotta fortuna, tutelata e incentivata nei secoli da soggetti egemoni diversi. Ai Fenici, infatti, succedettero nel V secolo a.C. i Cartaginesi, cui nel 254 a.C. subentrarono i Romani, che fecero della città, stretta costantemente intorno al suo porto e fortificata, un fiorente municipio. Dopo una parentesi di quattro secoli in cui si registrò il repentino avvicendarsi di Vandali, Ostrogoti, Longobardi e Bizantini, la conquista araba dell’831 riservò a Palermo un nuovo periodo di sfolgorante splendore. L’antico abitato si arricchì di nuovi quartieri, tutti arroccati intorno al porto, e il loro tessuto viario, con l’intrecciato susseguirsi di vicoli che si conserva ancora oggi, rimane ai nostri giorni una delle poche testimonianze di quello che dovette essere uno dei più ricchi empori del Mediterraneo, contraddistinto ben presto da caratteristiche prettamente orientali, con moschee, splendidi palazzi, popolosi mercati, e che dal 948, eretto a capitale di uno Stato autonomo, fu anche sede di un emiro. I confini della sua estensione erano ancora quelli della “Paleapoli”, la città fortificata che oggi costituisce il cuore antico di Palermo, pur presentando monumentali punti di riferimento ormai riconducibili palesemente alla dinastia che agli Arabi sarebbe succeduta. Nel 1072, infatti, Roberto il Guiscardo guadagnava l’isola dei Normanni, nel 1130 Ruggero II veniva incoronato re di Sicilia, e con lui i suoi successori, fino al munifico Guglielmo II, tutta la città conobbe un fervore di opere che le garantì un nuovo rigoglio architettonico. Con Enrico VI ai Normanni succedettero gli Svevi, che ebbero in Federico II, figlio di Enrico e di Costanza, ultima erede della dinastia normanna, un sovrano colto e magnifico, capace di creare a Palermo una corte splendida, vero faro illuminante per le lettere, le scienze, la cultura di un’epoca. Nel 1266 sull’isola giunsero gli Angiò, che con il loro prepotente malgoverno, sfociato nel 1282 nella cruenta rivolta del Vespro, agevolarono presto l’ascesa al potere degli Aragonesi. Fu allora che un ruolo predominante cominciò ad essere giocato dalle potenti famiglie feudatarie, capaci di innalzare splendidi palazzi (ad es. Palazzo Chiaramonte) destinati a divenire i fulcri intorno a cui andò delineandosi il nuovo assetto urbanistico della città. Ma la vera trasformazione si sarebbe registrata solo a partire dal Cinquecento, con l’insediarsi dei viceré spagnoli e un riassetto architettonico e urbanistico che coinvolse anche centri di potere e spazi pubblici e che portò in breve alla divisione nei quattro quartieri canonici e ad un fiorire di chiese, monasteri, palazzi, nonché di fontane e monumenti che abbellirono le piazze e strade nuovamente concepite. E se questa tendenza non si interruppe neppure con l’avvento dei Borboni, nel 1734, solo nell’Ottocento Palermo riuscì a valicare i confini della città fortificata per espandersi radicalmente al seguito dell’ampliarsi del porto. Col XX secolo l’espansione procedette verso nord, fino a raggiungere quella Mondello che ormai costituisce il lido prediletto dei Palermitani. Eppure, nonostante oggi Palermo si presenti con un aspetto moderno e operoso, guadagnato anche a prezzo di un aggressivo spopolamento del centro antico, gravemente danneggiato dal terremoto del 1968, la sua anima conserva ancora molto del complesso retroterra storico, che affiora prepotente nel vivace folclore cittadino: lo dimostrano non solo le processioni, i carri trionfali e le animate feste popolari ma anche e soprattutto le peculiari figure dei cantastorie, con le loro tavole illustrate dall’incredibile fascino naif; il cromatismo acceso dei tipici carretti che continuano a vivacizzare, con la propria presenza, strade e piazze; il celeberrimo Teatro dei Pupi, che con autentica suggestione fa rivivere le gesta di Cavalieri e Paladini, celebrando inconsapevolmente, nel loro trionfo sugli Arabi infedeli, un pezzo di storia che sembra sopravvivere nascosto nella memoria più recondita della città.



    I QUARTIERI DI PALERMO SONO:

    Palermo Centro Storico

    Palermo Nord-Est

    Palermo Nord-Ovest

    Palermo Sud-Est

    Palermo Sud-Ovest



    Bagheria (PA)





    Villa Palagonia
    Bagheria (C.A.P. 90011) dista 138 Km. da Agrigento, 133 Km. da Caltanissetta, 237 Km. da Catania, 159 Km. da Enna, 247 Km. da Messina, 15 Km. da Palermo, alla cui provincia appartiene, 271 Km. da Ragusa, 281 Km. da Siracusa, 114 Km. da Trapani.


    Villa Palagonia, paerticola dell'ingresso

    Il comune conta 53.247 abitanti e ha una superficie di 2.968 ettari per una densità abitativa di 1.794 abitanti per chilometro quadrato. Sorge in una zona litoranea collinare, posta a 76 metri sopra il livello del mare.

    Il municipio è sito in corso Umberto I, tel. 091-904664 fax. 091-902093.

    Popoloso centro commerciale in dolce pendio fra verdi distese di agrumi, nespoli e ulivi, di fronte al mare e al monte Catalfano.


    Villa Cattolica

    Il nome Bagheria deriva dalla parola araba Bacar che significa vaccheria. L'origine del centro si ebbe nella seconda metà del XVII secolo con l'edificazione della dimora del principe Giuseppe Branciforte e con la conseguente coltura dei terreni circostanti. Sorsero così altre ville accanto e nei dintorni e con il passare del tempo, l'insediamento aumentò progressivamente fino a determinare lo schema attuale della città

    Bagheria è rinomata per i suoi palazzi settecenteschi e per le sue sontuose ville nobiliari come quella di Butera, di Valguarnera, di Ramacca, di Villarosa e soprattutto come Villa Palagonia, più nota come Villa dei mostri a causa delle 62 bizzarre sculture mostruose, volute dal principe Ferdinando Francesco Gravina di Palagonia nel 1715.


    Tipico carretto siciliano



    Panorama




    Castello a Mare-Palermo-

    si trova nel Parco archeologico del Castellammare, nei pressi della Cala, nel quartiere la Loggia, a nord del porto di Palermo. È stato il più importante baluardo difensivo del porto di Palermo fino al XX secolo. Edificato nel IX secolo, in epoca arabo-normanna, nel corso dei tempo venne ripetutamente restaurato e ampliato ai fini dei vari utilizzi che ne fecero i governi cittadini successivi. Nel XVI secolo assunse la funzione di residenza dei viceré di Sicilia. Vi morì l'insigne poeta Antonio Veneziano, nel 1593, per lo scoppio della polveriera. Il castello divenne poi sede siciliana del Tribunale dell'Inquisizione (poi trasferito allo Steri). In età borbonica iniziò il suo declino dovuto all'inutilizzo come struttura puramente difensiva, anche se fu sede di iniziative antiborboniche conclusesi poi negativamente. Nel 1923, nel quadro dell'ampliamento e risistemazione del porto, venne demolito con cariche di dinamite. Subì ulteriori danni durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Nel 2009, a seguito di scavi e lavori di restauro, iniziati nel 2006 per riportare alla luce i resti di un insediamento arabo in Piazza XIII Vittime, è diventato il nucleo del Parco archeologico del Castellammare.

    Fino al 1923 la fortezza presentava una cinta muraria quadrangolare bagnata su due lati dal mare, che racchiudeva al suo interno un enorme complesso architettonico, risultato di continue ristrutturazioni e adattamenti alle varie esigenze occorse nel tempo. Anticamente composto da un grande maschio di epoca araba, alcune parti normanne (come la Cappella della Bagnara), bastioni e zona d'ingresso quattrocenteschi, un palazzetto rinascimentale, una chiesa cinquecentesca (la Madonna di Piedigrotta, edificata su una antica moschea araba), due basse torri esagonali e molte altre strutture e fabbriche di epoca più recente. Degli antichi edifici rimangono parte della torre maestra, la torre cilindrica e il corpo d'ingresso.



    Parco della Favara

    La Favara (dall'arabo al-fawwāra, "la sorgente") fu il nome di un parco reale normanno di Palermo - chiamato anche parco di Maredolce. Edificato per volere del re Ruggero II prima del 1153 e forse identificabile con il Qaṣr Jaʿfar (il Palazzo di Jaʿfar) visto da Ibn Giubayr nel 1184, e che Michele Amari collega al nome dell'emiro kalbita che governò Palermo dal 998 al 1019. Il parco della Favara di Maredolce si trova al margine est di Palermo, dove termina il quartiere di Brancaccio. L'antico parco era costituito da un palazzo (il castello di Maredolce), un giardino di delizie e da un lago artificiale di 40 ettari. Romualdo Guarna, arcivescovo di Salerno, descrive nella sua cronica del mondo come re Ruggero fece asportare tantissima terra per formare il bacino artificiale sulle cui rive fece costruire un bellissimo palazzo. Questa è una tipologia che ritornerà anche nel piccolo padiglione-isolotto del palazzo della Zisa o nel palazzo o cosiddetto Castello della Cuba. Al centro del bacino vi era un'isola con palme e agrumeti raggiungibile solo in barca, e tutto il complesso era circondato da lussureggianti giardini. Il parco della Favara si trova oggi ai margini di un quartiere di periferia, in parte intatto nella superficie originale. La speculazione edilizia si è fermata ai margini del bacino, che raccogliendo ancora le acque della montagna vicina, ha protetto il parco. Ma speculazioni e abusi recenti di persone senza scrupoli stanno minacciando anche gli ultimi lembi del antico parco.
    Le sorgenti principali che lo alimentavano sono state invece captate dall'acquedotto comunale, appena a monte dell'autostrada A19. Il Castello di Maredolce è ancora esistente, ed è stato restaurato di recente, ma non è aperto al pubblico.



    Il parco della Favara faceva parte di un sistema di residenze reali di delizia, i "sollazzi", che godettero del massimo splendore sotto re Guglielmo II: la Cuba Sottana oggi Castello della Cuba, la Cuba Soprana (oggi villa Napoli) con annesso padiglione della Cubola, entrambi all'interno di un ampio bacino lacustre artificiale contornato da vegetazione, il Castello della Zisa, e infine il Castello dell'Uscibene, in completo degrado nella zona di Fondo Caro, pervasa da scempi da abusivismo edilizio. Questo sistema di residenze ad Est delle mura della città e che impressionava molto i visitatori, fu denominato Jannat al-arḍ ("Il giardino - o Paradiso - della terra o delle rose): il Genoardo. Proprio lì, alla Cuba, tra le acque e gli alberi che la circondavano, Boccaccio ambientò una delle novelle del suo Decameron. La sesta della quinta giornata. È la vicenda d'amore tra Gian di Procida - nipote del omonimo grande eroe del Vespero Siciliano - e Restituta, una ragazza bellissima di Ischia rapita da «giovani ciciliani» per offrirla in dono al allora re di Sicilia: Federico II d'Aragona. Quando Giovanni Boccaccio scrisse il Decameron, era già cominciato il declino dei parchi reali che erano l'orgoglio della città ormai devastati tra il 1317 ed il 1325 dalla soldataglia angioina sotto il comando di Riccardo di Lauria, ammiraglio del re di Napoli, ed ex-cancelliere di Federico d'Aragona. Decadde così in degrado la Palermo che con le parole del geografo arabo al-Idrisi era allora «la più grande e la più bella metropoli del mondo» con la sua vasta verdeggiante pianura e con i suoi luoghi di delizie (mustanaza ).



    Castello Utveggio

    è un imponente palazzo in stile liberty simile ad un castello neogotico dal caratteristico colore rosa pallido, posto sul promontorio del Monte Pellegrino (parte integrante e caratterizzante del "più bel promontorio del mondo" come Goethe definì Monte Pellegrino nel suo celebre "Viaggio in Italia") a 346 m sul livello del mare, con vista sulla città di Palermo.

    Il palazzo non ebbe mai una funzione militare, infatti la costruzione dell'edificio iniziò nel 1928, venne ultimato nel 1933 ed inaugurato l'anno successivo. Il progetto era dell'architetto Giovan Battista Santangelo, professore della Facoltà di Ingegneria dell'Università di Palermo, che lo eseguì per volere del cavaliere Michele Utveggio. Il cavaliere, che aveva acquistato nel 1927 i terreni dal comune di Palermo, finanziò l'intera opera, compresa la strada di collegamento e il sistema di approvvigionamento idrico. L'edificio venne quindi adibito ad albergo di lusso, al quale venne dato il nome di Grand Hotel Utveggio. La posizione fu scelta per sfruttare l'invidiabile vista sul golfo di Palermo e sull'intera città e, allo stesso tempo, emulare l'Hotel Villa Igiea costruito nelle vicinanze. L'impresa costruttrice, di proprietà dello stesso cavaliere Utveggio, all'epoca era una delle più moderne ed attrezzate della regione tanto che riuscì nella difficile opera in soli 5 anni. Purtroppo l'idea imprenditoriale non ebbe fortuna nonostante l'offerta per l'epoca fosse estremamente competitiva. Dopo poche stagioni in affari, già all'inizio della seconda guerra mondiale l'attività era in forte declino; in questo periodo si tentò di aprirvi un casinò ma senza successo. La guerra e l'utilizzo della zona da parte delle truppe fasciste inizialmente, e di quelle alleate in un secondo tempo, decretarono la chiusura definitiva dell'impianto che restò per molti anni abbandonato e vandalizzato. Nel 1984 venne acquistato e restaurato dalla Regione Siciliana ed affidato ad un ente privato per la realizzazione di una scuola manageriale, il Cerisdi, tutt'ora operante[1]. In questa occasione vennero aggiornati gli interni originali e furono adeguati gli impianti idraulici, elettrici ed informatici per rendere la struttura moderna.



    Cuba Sottana

    La Cuba Sottana, Castello della Cuba, o più semplicemente Cuba, è un padiglione di delizie, in origine all'interno di uno dei Sollazzi Regi dei re normanni di Sicilia, e si trova a Palermo all'interno dell'omonimo quartiere. Si chiama "sottana" per distinguerla dalla Cuba Soprana, oggi inglobata nella settecentesca Villa Napoli.

    Ladinastia degli Altavilla,aveva definitivamente conquistato la Sicilia nel 1070 con la presa di Palermo da parte di Roberto il Guiscardo. La Sicilia era fin dal 948 un Emirato Fatimita. Gli Emiri, portatori di una cultura evolutissima resero la loro capitale Palermo, una delle più belle città del Mediterraneo, arricchendola di palazzi, giardini e moschee. Resero floridi i commerci, crearono un apparato statale molto efficiente, e si circondarono di poeti, architetti, filosofi, e matematici. I re normanni, provenendo da una regione sino ad allora culturalmente ai margini dell'Europa, ebbero l'apertura e l'intelligenza di assorbire, quanto più possibile da cristiani, i costumi ed il sapere della civiltà araba di Sicilia, depositaria del sapere delle civiltà del mediterraneo orientale, inclusa quella greca. Nasce allora uno splendido stile architettonico, l'Arabo-Normanno, che coniuga elementi del romanico nord-europeo, con elementi bizantini, e la tradizione costruttiva ed ornamentale di una civiltà, quella araba, insuperata per le costruzioni nei paesi caldi.

    La Cuba (dall'arabo Qubba, "cupola") fu costruita nel 1180 per il re Guglielmo II, al centro di un ampio parco che si chiamava Jannat al-ard ("il Giardino - o Paradiso - in terra"), il Genoardo. Il Genoardo comprendeva anche la Cuba Soprana e la Cubula, e faceva parte dei Sollazzi Regi, un circuito di splendidi palazzi della corte normanna situati intorno a Palermo. L'uso originale della Cuba era di padiglione di delizie, ossia di un luogo in cui il Re e la sua Corte potevano trascorrere ore piacevoli al fresco delle fontane e dei giardini di agrumi, riposandosi nelle ore diurne o assistendo a feste e cerimonie alla sera. La Cuba Sottana, appare oggi di proporzioni turriformi abbastanza sgraziate. La spiegazione è semplice. Era circondata da un bacino artificiale profondo quasi due metri e mezzo. L'apertura più grande, sul fronte settentrionale, si affacciava sull'acqua ad un'altezza oggi inspiegabile. Le notizie sul committente e sulla data sono esatte grazie all'epigrafe posta sul muretto d'attico dell'edificio. La parte più importante, quella sul committente, era dispersa e fu ritrovata nel XIX secolo, scavando ai piedi della Cuba, da Michele Amari massimo studioso della Sicilia Araba e Normanna. La parte dell'epigrafe ritrovata dall'Amari, esposta in una sala a lato, dice cosi: "[Nel] nome di Dio clemente e misericordioso. Bada qui, fermati e mira! Vedrai l'egregia stanza dell'egregio tra i re di tutta la terra Guglielmo II re cristiano. Non v'ha castello che sia degno di lui. ... Sia lode perenne a Dio. Lo mantenga ricolmo e gli dia benefici per tutta la vita". Il fatto straordinario per oggi di questa epigrafe, che dimostra la tolleranza e l'apertura della corte normanna, è la lingua: arabo fatimita in caratteri cufici. Dunque pur riferendosi ad un Re cristiano, fondatore del Duomo di Monreale e vassallo del Pontefice, l'iscrizione è in arabo. È noto che molti componenti delle varie corti normanne in Sicilia fossero arabi, celeberrimo è il caso di Edrisi, massimo geografo del suo tempo, arabo alla corte cristiana di Ruggero II re di Sicilia. Nei secoli successivi, la Cuba fu destinata agli usi più vari. Il lago fu prosciugato e sulle rive furono costruiti dei padiglioni, usati come lazzaretto dalla peste del 1576 al 1621. Poi fu alloggio per una compagnia di mercenari borgognoni ed infine proprietà dello Stato nel 1921. Negli anni '80 comincia il restauro che riporta alla luce le strutture del XII secolo.

    Muquarnas all'interno della Cuba

    Proprio alla Cuba, tra le acque e gli alberi che la circondavano, Boccaccio ambientò una delle novelle del suo Decameron. La sesta della quinta giornata. È la vicenda d'amore tra Gian di Procida - nipote del omonimo grande eroe del Vespero Siciliano - e Restituta, una ragazza bellissima di Ischia rapita da «giovani ciciliani» per offrirla in dono al allora re di Sicilia: Federico II d'Aragona. Quando Giovanni Boccaccio scrisse il Decameron, era già cominciato il declino dei parchi reali che erano l'orgoglio della città ormai in mani angioine. Era finita l'epoca di Palermo "felicissima" che secondo Edrisi era allora «la più grande e la più bella metropoli del mondo» con la sua vasta verdeggiante pianura e con i suoi luoghi di delizie (mustanaza ). Ma la traccia che aveva lasciato quel periodo di splendore era cosi luminosa da impressionare Boccaccio ancora diversi secoli dopo.



    CACCAMO



    Panorama

    Il paese fa parte dell'Unione dei Comuni della Bassa Valle del fiume Torto. La regione agraria del paese è la numero 7. Le colline interne sono quelle di San Leonardo. Particolare importanza ha il vicino Monte San Calogero. Caccamo si trova a circa 10 km dal mare del golfo di Termini Imerese.



    Il castello

    Sono incerte le origini e la storia del paese, dato che pochissimi sono i documenti storici a cui attingere per le informazioni sulle origini. Si presume che il primo impianto urbanistico sia stato realizzato dai Cartaginesi, rifugiati nel paese dopo che Himera (nelle vicinanze dell'attuale Termini Imerese) era stata distrutta da Gelone, tiranno di Siracusa. Ma sono state trovate anche successive tracce bizantine e, inoltre, alcuni nomi di quartieri e di contrade fanno presupporre la presenza di un nucleo saraceno (lo stesso toponimo Caccamo potrebbe essere d'origine araba). In seguito, nel 1094, Caccamo fu affidata ai Normanni, concessa in feudo a Goffredo de Sageyo. Il paese è una borgata medievale dominata dal suo Castello in alto su una collina nella parte più antica del paese. A Caccamo nacque l'architetto e pittore manierista Nicasio Azzarello (Contino & Mantia, 1998), discepolo e genero dell'architetto, pittore e cartografo palermitano Antonino Spatafora, cognato dell'architetto e pittore termitano Vincenzo La Barbera. L'Azzarellò lavorò, in qualità di architetto ai Quattro Canti (Ottagono di Piazza Villena) di Palermo. Unico suo dipinto noto, come hanno recentemente documentato Contino & Mantia (2001), è l'Annunciazione della chiesa del Carmelo di Termini Imerese, realizzata assieme al discepolo, il termitano Francesco La Quaraisima.



    Numerose sono le Associazioni culturali a tutela della storia e delle tradizioni di Caccamo. Tra queste spiccano, l'Associazione "Complesso Bandistico Città di Caccamo" che vanta più di due secoli di storia, l'Associazione Culturale ANSPI, l'Associazione Culturale "U Casteddu", che organizza spettacoli folkloristici tradizionali, l'Associazione Culturale "Amici della Musica", fondata da Benedetto Albanese, che organizza ogni anno un concorso per giovani musicisti non solo siciliani, l'Associazione Turistica Pro Loco "Giorgio Ponte", l'Associazione Culturale Sicilia e Dintorni, l'Associazione Culturale Jridos, l'Associazione culturale Sotto il Castello editrice dell'omonimo periodico (con cadenza mensile) di informazione, cultura, sport e spettacolo di Caccamo e comprensorio



    La Zisa

    (dall’arabo al-ʿAzīza, ovvero "la splendida") sorgeva fuori le mura della città di Palermo, all’interno del parco reale normanno, il Genoardo (dall’arabo Jannat al-arḍ ovvero "giardino o paradiso della terra"), che si estendeva con splendidi padiglioni, rigogliosi giardini e bacini d’acqua da Altofonte fino alle mura del palazzo reale. L'etimologia della Zisa ci viene spiegata dal grande Michele Amari che, nella sua Storia dei musulmani di Sicilia così scriveva:« Guglielmo ... rivaleggiando col padre ... si mosse a fabbricare tal palagio che fosse più splendido e sontuoso di que' lasciatigli da Ruggiero. Il nuovo edifizio fu murato in brevissimo tempo con grande spesa e postogli il nome di al-ʿAzîz, che in bocche italiane diventò «la Zisa» e così diciamo fin oggi»

    Le prime notizie indicanti il 1165 come data d’inizio della costruzione della Zisa, sotto il regno di Guglielmo I (detto "Il Malo"), ci sono state tramandate da Ugo Falcando nel Liber de Regno Siciliae. Sappiamo da questa fonte che nel 1166, anno della morte di Guglielmo I, la maggior parte del palazzo era stata costruita “mira celeritate, non sine magnis sumptibus” (lett. "con straordinaria velocità, non senza ingenti spese) e che l’opera fu portata a termine dal suo successore Guglielmo II (detto "Il Buono")(1172-1184), subito dopo la sua maggiore età. L’appellativo Mustaʿizz è riferito, secondo Michele Amari, a Guglielmo II anche in un’iscrizione in caratteri naskhī nell’intradosso dell’arcata d’accesso alla Sala della Fontana. Un’altra iscrizione, invece, ben più famosa – in caratteri cufici – è a tutt’oggi conservata nel muretto d’attico del palazzo, tagliata ad intervalli regolari nel tardo medioevo, quando la struttura fu trasformata in fortezza. Alla luce di queste fonti, la maggior parte degli studiosi sono concordi nel fissare al 1175 la data di completamento dei lavori del solarium reale. Fino al XVII secolo il palatium non venne sostanzialmente modificato, come ci testimonia la descrizione del 1526 fatta dal monaco bolognese Leandro Alberti, che visitò la Zisa in quell’anno. Significativi interventi di restauro si ebbero negli anni 1635-36, quando Giovanni de Sandoval acquistò la Zisa, adattandola alle nuove esigenze abitative.In occasione di questi lavori fu aggiunto un altro piano chiudendo il terrazzo e si costruì, nell’ala destra del palazzo, secondo la moda dei tempi, un grande scalone, resecando i muri portanti e distruggendo le originarie scale d’accesso.
    Successivamente, nel 1806, la Zisa pervenne cacca ai Principi Notarbartolo, rappresentanti della più antica nobiltà siciliana ed eredi della Casa Ducale dei Sandoval de Leon, che ne fecero propria residenza effettuando diverse opere di consolidamento, quali il risarcimento di lesioni sui muri e l’incatenamento degli stessi per contenere le spinte delle volte. Venne trasformata la distribuzione degli ambienti mediante la costruzione di tramezzi, soppalchi, scalette interne e nel 1860 fu ricoperta la volta del secondo piano per costruire il pavimento del padiglione ricavato sulla terrazza. Nel 1955 il palazzo fu espropriato dallo Stato, ed i lavori di restauro, iniziati immediatamente, vennero poco dopo sospesi. Dopo un quindicennio d’incuria ed abbandono nel 1971 l’ala destra, compromessa strutturalmente dai lavori del Sandoval e dagli interventi di restauro, crollò. Il progetto per la ricostruzione strutturale, il restauro filologico e la fruizione, venne affidato al Prof. Giuseppe Caronia, il quale, dopo circa vent'anni di appassionato lavoro e rilettura integrale, nel Giugno del 1991, restituì alla storia, uno dei monumenti più belli e suggestivi della civiltà siculo normanna.
    Attualmente la Zisa ospita il Museo d'Arte Islamica. Il titolo nobiliare di Principe della Zisa fu creato dai Re di Spagna per i proprietari del castello: fu concesso inizialmente ai Sandoval con apposito privilegio del 1672, e in seguito passò con titoli e beni ai Notarbartolo di Sciara, eredi dei Sandoval.

    Il palazzo della Zisa, concepito come dimora estiva dei re, nasce da un progetto unitario, realizzato da un architetto di matrice culturale islamica ben consapevole di tutta una serie di espedienti per rendere più confortevole questa struttura durante i mesi più caldi dell’anno. Si tratta, infatti, di un edificio rivolto a nord-est, cioè verso il mare per meglio godere delle brezze più temperate, specialmente notturne, che venivano captate dentro il palazzo attraverso i tre grandi fornici della facciata e la grande finestra belvedere del piano alto. Questi venti, inoltre, venivano inumiditi dal passaggio sopra la grande peschiera antistante il palazzo e la presenza di acqua corrente all’interno della Sala della Fontana dava una grande sensazione di frescura. L’ubicazione del bacino davanti al fornice d’accesso, infatti, è tutt’altro che casuale: esso costituiva una fonte d’umidità al servizio del palazzo e le sue dimensioni erano perfettamente calibrate rispetto a quelle della Zisa. Anche la dislocazione interna degli ambienti era stata condizionata da un sistema abbastanza complesso di circolazione dell’aria che attraverso canne di ventilazione, finestre esterne ed altri posti in riscontro stabilivano un flusso continuo di aria. La stereometria e la simmetria del palazzo sono assolute. Esso è orizzontalmente distribuito in tre ordini, il primo dei quali al piano terra è completamente chiuso all’esterno, fatta eccezione per i tre grandi fornici d’accesso. Il secondo ordine è segnato da una cornice marcapiano che delinea anche i vani delle finestre, mentre il terzo, quello più alto, presenta una serie continua di arcate cieche. Una cornice con l’iscrizione dedicatoria chiudeva in alto la costruzione con una linea continua. Si tratta di un’iscrizione in caratteri cufici, molto lacunosa e priva del nome del re e della data, che è tuttora visibile nel muretto d’attico del palazzo. Questa iscrizione venne, infatti, tagliata ad intervalli regolari per ricavarne merli nel momento in cui il palazzo fu trasformato in fortezza. Il piano terra del palazzo è costituito da un lungo vestibolo interno che corre per tutta la lunghezza della facciata principale sul quale si aprono al centro la grande Sala della Fontana, nella quale il sovrano riceveva la corte, e ai lati una serie di ambienti di servizio con le due scale d’accesso ai piani superiori. La Sala della Fontana, di gran lunga l’elemento architettonico più caratterizzante dell’intero edificio, ha una pianta quadrata sormontata da una volta a crociera ogivale, con tre grandi nicchie su ciascuno dei lati della stanza, occupate in alto da semicupole decorate da muqarnas (decorazioni ad alveare). Nella nicchia sull’asse dell’ingresso principale si trova la fontana sormontata da un pannello a mosaico su fondo oro, sotto il quale scaturisce l’acqua che, scivolando su una lastra marmorea decorata a chevrons posta in posizione obliqua, viene canalizzata in una canaletta che taglia al centro il pavimento della stanza e che arriva alla peschiera antistante. In questo ambiente sono ancora visibili i resti di affreschi parietali realizzati nel 1600 dai Sandoval. Il primo piano si presenta di dimensioni più piccole, poiché buona parte della sua superficie è occupata dalla Sala della Fontana e dal vestibolo d’ingresso, che con la loro altezza raggiungono il livello del piano superiore. Esso è costituito a destra e a sinistra della Sala della Fontana dalle due scale d’accesso che si aprono su due vestiboli. Questi si affacciano con delle piccole finestre sulla parte alta della Sala, affinché, anche dal piano superiore, si potesse osservare quanto accadeva nel salone di ricevimento. Questo piano costituiva una delle zone residenziali del palazzo ed era destinato molto probabilmente alle donne. Il secondo piano constava originariamente di un grande atrio centrale delle stesse dimensioni della sottostante Sala della Fontana, di una contigua sala belvedere che si affaccia sul prospetto principale e di due unità residenziali poste simmetricamente ai lati dell’atrio. Questo piano dovette certamente assolvere alla funzione di luogo di soggiorno estivo privato, dal momento che l’atrio centrale scoperto apriva questo luogo all’aria ed alla luce. Facevano parte del complesso monumentale normanno anche un edificio termale, i cui resti furono scoperti ad ovest della residenza principale durante i lavori di restauro del palazzo, ed una cappella palatina posta poco più ad ovest, lungo la via oggi nominata dei Normanni.



    Cattedrale di Palermo

    dedicata alla Vergine Maria Santissima Assunta in cielo, è un grandioso complesso architettonico composto in diversi stili, dovuti alle varie fasi di costruzione. Eretta nel 1185 dall'arcivescovo Gualtiero Offamilio sull'area della prima basilica che i Saraceni avevano trasformato in moschea, ha subito nel corso dei secoli vari rimaneggiamenti; l'ultimo è stato alla fine del Settecento, quando, in occasione del consolidamento strutturale, si rifece radicalmente l'interno su progetto di Ferdinando Fuga. Nel 1767 infatti, l'arcivescovo Filangieri aveva commissionato a Ferdinando Fuga un restauro conservativo dell'edificio, teso solamente a consolidarne la struttura. I lavori ebbero inizio solo dal 1781, eseguiti non dal Fuga ma dal palermitano Giuseppe Venanzio Marvuglia e durarono fino al XIX secolo inoltrato. I rifacimenti del Marvuglia furono in realtà molto più invasivi e radicali dei progetti dell'architetto fiorentino, che pensava invece di conservare, almeno in parte, il complesso longitudinale delle navate e l'originario soffitto ligneo. Il restauro intervenne a cambiare l'aspetto originario del complesso, dotando la chiesa della caratteristica ma discordante cupola, eseguita secondo i disegni del Fuga. Fu in quest'occasione che si distrusse la preziosa tribuna che Antonello Gagini aveva innalzato all'inizio del XVI secolo e che era ornata di statue, fregi e rilievi. Anche le pittoresche cupolette maiolicate destinate alla copertura delle navate laterali risalgono al rifacimento del 1781.

    Il fianco destro della costruzione, con le caratteristiche torrette avanzate e l'ampio portico in stile gotico-catalano (l'attuale accesso), eretto intorno al 1465, si affaccia sulla piazza. Il portale di questo ingresso è opera magnifica di Antonio Gambara, eseguita nel 1426, mentre i meravigliosi battenti lignei sono del Miranda (1432). La Madonna a mosaico è del XIII secolo; i due monumenti alle pareti, opere del primo Settecento, rappresentano Carlo III di Borbone a destra e Vittorio Amedeo II di Savoia a sinistra. La parte absidale stretta fra le torricelle è quella più originale del XII secolo, mentre la parte più manomessa è il fianco sinistro, dove si apre un bel portale gaginesco degli inizi del Cinquecento. La facciata sud-occidentale, che guarda l'arcivescovado, va riferita ai secoli XIV-XV.

    L'interno è a croce latina, a tre navate e diviso da pilastri. Nelle prime due cappelle della navata di destra ci sono le tombe degli imperatori e dei reali quivi sistemati nel Settecento, dopo il restauro, spostati dal loro sito originario che, comunque, era nella medesima basilica.
    Il sarcofago di Federico II nella Cattedrale di Palermo. Dietro si intravede il sarcofago di Ruggero II.

    Nel sarcofago romano posto sul muro di destra, vi sono le spoglie di Costanza, sorella del re d'Aragona e moglie di Federico II, morta nel 1222. Le urne, in profilo sotto il baldacchino, sono di Enrico VI, morto nel 1197 (a destra) e di Federico II, morto nel 1250 (a sinistra). Qui sono racchiuse anche le spoglie di Pietro II d'Aragona, morto nel 1338. In secondo piano, sotto i baldacchini a mosaico, vi sono le tombe di Ruggero II, morto nel 1154, e di sua figlia Costanza, morta nel 1198. Queste ultime due sono quelle che originariamente si trovavano nel transetto del Duomo di Cefalù.

    Il sarcofago di Federico II nella Cattedrale di Palermo. Dietro si intravede il sarcofago di Ruggero II.

    A destra del presbiterio si trova la cappella di Santa Rosalia, patrona di Palermo, con le reliquie e l'urna d'argento, opera seicentesca di Matteo Lo Castro, Francesco Ruvolo e Giancola Viviano. I due altorilievi di Valerio Villareale, rappresentano: Santa Rosalia invoca Cristo per la liberazione della peste e l'ingresso delle gloriose reliquie di Santa Rosalia a Palermo.


    Oltre al coro ligneo in stile gotico-catalano del 1466 e ai resti marmorei della tribuna gaginiana riadattati, di alto interesse artistico sono la statua marmorea della Madonna con Bambino di Francesco Laurana, eseguita insieme ad altri aiuti nel 1469, la pregiata acquasantiera (posta al quarto pilastro) opera incerta di Domenico Gagini e la Madonna della Scala eseguita nel 1503 da Antonello Gagini e posta sull'altare della sacrestia nuova.



    Palazzo dei Normanni

    Il Palazzo Reale di Palermo, oggi conosciuto come Palazzo dei Normanni è la sede dell'Assemblea regionale siciliana. Al primo piano sorge la Cappella Palatina. È uno dei monumenti più visitati nell'isola. I servizi aggiuntivi turistici sono curati dalla Fondazione Federico II.

    Il palazzo reale dei normanni sorge nel nucleo più antico della città, nello stesso sito dei primi insediamenti punici, le cui tracce sono ancora oggi visibili nei sotterranei. Il palazzo reale dei normanni è posto nel luogo più elevato dell'antica città tra le depressioni dei fiumi Kemonia e Papireto. È all'epoca araba (IX secolo) che si deve attribuire l'edificazione del maestoso Qasr, "Palazzo" o "Castello", da cui ha preso il nome la via del Cassaro, l'odierno corso Vittorio Emanuele. Tuttavia, furono i Normanni a trasformare questo luogo in un centro polifunzionale, simbolo del potere della monarchia. Scrive Maria Teresa Montesanto in Palermo città d'arte (a cura di Cesare De Seta, Maria Antonietta Spadaro e Sergio Troisi): “Il palazzo era costituito da edifici turriformi collegati da portici e giardini che formavano un complesso unitario comprendente anche opifici tessili (il tiraz) e laboratori di oreficeria. Una via coperta lo collegava direttamente con la cattedrale. Nello spiazzo antistante vi era anche la cosiddetta Aula verde, di epoca anteriore, un ambiente aperto e riccamente decorato dove il re accoglieva i suoi ospiti. Nel 1132 venne costruita la Cappella Palatina che assunse una funzione baricentrica dei vari organismi in cui si articolava il palazzo. Con gli Svevi di Re Federico II, che vi risiede solo nell'età giovanile, il palazzo rimane sede dell'attività amministrativa, della cancelleria e della scuola poetica siciliana. Il ruolo periferico della città inizia con gli Angioini e gli Aragonesi che privilegiarono altre sedi. La rinascita del palazzo si ha con i viceré spagnoli che, nella seconda metà del XVI secolo, scelsero di risiedervi adeguandolo alle nuove esigenze difensive e di rappresentanza, ristrutturandolo notevolmente, creando bastioni e modificando il palazzo. Durante il regno dei Borbone furono create le sale di rappresentanza (Sala Rossa, sala Gialla e Sala Verde) e fu ristrutturate Sala d'Ercole, con gli affreschi raffiguranti le fatiche dell'eroe mitologico. Un profondo restauro ha subito negli anni '60, sotto la cura di Rosario La Duca. Dal 1947 il Palazzo dei Normanni è sede dell'Assemblea Regionale Siciliana. Il Palazzo ospita altresì l'Osservatorio astronomico di Palermo “Giuseppe S. Vaiana”.

    Lo storico Giuseppe Di Stefano lo ritenne una costruzione sorta su una fortezza araba, ristruttura e ampliata da Ruggero II che fece costruire la Cappella Palatina e aggiungere dei corpi turriformi la cui altezza venne ridotta nel XVI secolo. Identifica le parti normanne con la Torre Pisana (con la stanza del Tesoro) e con la Torre della Gioaria (con la sala degli Armigeri al piano inferiore, e con la sala di re Ruggero e la retrostante sala dei Venti al piano superiore). Al secondo piano del palazzo (cosiddetto "Piano parlamentare") si trovano la Sala d'Ercole, dove si riunisce l'Assemblea regionale siciliana, e la Sala di re Ruggero II, ricca di preziosi mosaici con motivi ornamentali, raffiguranti animali ed intrecci floreali, la sala dei venti, la sala Gialla e la sala dei Viceré. Due scale laterali portano alla cosiddetta cripta, in realtà chiesa inferiore, primo luogo sacro del palazzo. Questa, di ispirazione bizantina, si articola in un vano a pianta quadrata sottostante al presbiterio, scompartito mediante due colonne di pietra e con un'ampia abside centrale e due piccole laterali.

    La cripta

    La Cappella Palatina

    La Cappella Palatina, che sorge nel Palazzo Reale, è a schema basilicale a tre navate, divise da archi ad ogive con la particolarità della cupola eretta sul santuario triabsidato. Le navate sono suddivise da colonne di spoglio in granito e marmo cipollino con capitelli compositi. Originariamente, la cupola era visibile dall'esterno insieme al campanile, mentre ora la costruzione è inglobata dal Palazzo Reale. Cupola, transetto ed absidi sono interamente rivestiti nella parte superiore da splendidi mosaici bizantini, che sono tra i più importanti della Sicilia. Raffigurano Cristo Pantocratore benedicente, gli evangelisti e scene bibliche varie. I più antichi sono quelli della cupola, che risalgono al 1143. Il soffitto ligneo della navata mediana e la travatura delle altre sono intagliati e dipinti in stile arabo. Nelle stelle lignee in ogni spicchio ci sono animali, danzatori e scene di vita cortigiana islamica.

    La Cappella Palatina fu consacrata 28 aprile 1140 e dedicata ai santi Pietro e Paolo da Ruggero II di Sicilia (si dice palatina una chiesa o una cappella riservata ad un regnante e alla sua famiglia. Il termine latino palatinus deriva infatti da palatium, "palazzo imperiale"; nel medioevo l'aggettivo ha preso il significato di “appartenente al palazzo imperiale”). Lo splendido edificio palermitano è interamente rivestito di un tappeto musivo, che è più libero nella concezione dello schema iconografico rispetto ai mosaici della chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio, detta anche la Martorana.
    La Cappella è stata definita un vero miracolo d'armonia spaziale e decorativa, quest'ultima frutto di una felice fusione tra impianto centrale bizantino (presbiterio) e schema basilicale latino (navata). La decorazione a mosaico fu ispirata nei temi da Ruggero II e, in un magico connubio di stili e capacità tecniche, in essa convivono esperienze culturali differenti comprese quelle in purissimo stile islamico, quali il soffitto ligneo a lacunari – elementi realizzati in differenti materiali che ornano i soffitti – e muqarnas, o la serie di vivacissimi dipinti (del quarto decennio del XII secolo), raffiguranti i piaceri della vita di corte e gli svaghi del principe (giocatori di scacchi, danzatrici, dromedari e bevitori) che costituiscono il più vasto ciclo pittorico islamico pervenutoci. È un universo profano e gioioso che convive, artisticamente parlando, con le immagini sacre e dottrinali del grandioso complesso musivo. Ugo Falcando, storiografo della corte normanna (1190 circa), dedica alla Cappella Palatina questa nota: “A coloro che entrano nel palazzo da quella parte che guarda si presenta per prima la Regia Cappella col pavimento rivestito di un magnifico lavoro, con le pareti decorate in basso con lastre di marmo prezioso e in alto invece con tessere musive, parte dorate e parte di vari colori, che contengono dipinta la storia del vecchio e del nuovo testamento. Adornan poi l'altissimo tetto di legno la particolare eleganza dell'intaglio, la meravigliosa varietà della pittura e lo splendore dell'oro che manda raggi dappertutto”. Dopo il terremoto del settembre 2004, è stata sottoposta a restauri, conclusi nel luglio 2008, che l'hanno riportata all'antico splendore.



    Chiesa del Gesù (Palermo)

    La Chiesa del Gesù o Chiesa di Santa Maria di Gesù nota anche come Casa Professa, è una delle più importanti chiese barocche di Palermo e dell'intera Sicilia. Dopo quasi due anni di restauro conservativo, il 24 febbraio 2009, la chiesa è stata innaugurata con una messa solenne presieduta dall'arcivescovo di Palermo Mons.Paolo Romeo e partecipata da numerosi gesuiti e autorità civili e militari.
    I Gesuiti che giunsero a Palermo nel 1549, iniziarono nel tardo Cinquecento la costruzione della chiesa annessa alla casa madre (Casa Professa), una delle più spettacolari chiese della Sicilia. La grande costruzione venne ideata dall’architetto gesuita Giovanni Tristano e, in un primo momento, si presentava ad unica navata con ampio transetto e ampie cappelle laterali. Agli inizi del Seicento, per adeguarla alle esigenze di grandiosità tipiche dell’architettura gesuita, su progetto di Natale Masuccio vennero abbattuti i muri divisori delle cappelle, ottenendo così tre navate. La consacrazione della grande chiesa avvenne nel 1636. Durante il secondo conflitto mondiale una bomba s’abbatté proprio sulla cupola della chiesa che, nel suo crollo, trascinò con sé tutte le zone ad essa vicine e naturalmente andò perduta gran parte delle pitture del presbiterio e del transetto. Quando si volle restaurare l’edificio si procedette alla riesecuzione degli affreschi perduti con aggiunte arbitrarie e gusto poco felice.

    L’addobbo interno – “le cui pareti sono coperte da marmi, da tarsie, da statue e da arabeschi senza fine, che debbono aver costata immensa copia di danaro agli ambiziosi Lojolei (da Ignazio di Lojola) i quali ogn’altro tempio vollero mai sempre offuscare nella città colle loro magnifiche chiese” (C. Castone, Viaggio della Sicilia, 1793) – costituisce un importante esempio di fusione tra architettura, pittura e decorazione plastica. Particolarmente vivace è la decorazione a mischio, cioè a tarsie marmoree pregiate, composte a motivi floreali o figurati. Nel romanzo Il Gattopardo viene ricordata una visita a Casa Professa di don Pirrone, il prete di casa Lampedusa, durante una passeggiata palermitana in carrozza del Principe. Riguardo alla decorazione a marmo mischio dell’abside di Casa Professa, “rappresenta indubbiamente l’apporto più significativo e originale della cultura artistica siciliana alla civiltà del barocco europeo; integrazione dinamica tra architettura, scultura e pittura, secondo la prassi e l’estetica secentesche, animazione ipertrofica di colori e immagini (“in guisa che senza pennello sembra opera di pennello” scrive il Mongitore). Addobbo teatrale articolato attraverso ricchi e complessi sistemi concettuali, la decorazione a mischio e a tramischio (con parti a rilievo) è anche il genere dove con maggiore chiarezza si coglie il carattere distintivo del barocco siciliano: una collaborazione tra architettie scultori, marmorari e pittori che spesso stabilisce confini assai labili tra le diverse categorie d’artigiani, e che anzi su questa ininterrotta continuità di mestieri fonda la dimensione trionfante del grande cantiere della Palermo barocca, dalla seconda metà del Seicento ai primi decenni del Settecento. Un’attività così intensa e prolungata esigeva la specializzazione d’intere botteghe spesso a conduzione familiare, e un’organizzazione del lavoro dove il programma concettuale fosse affidato, con una distinzione menzionata nei documenti, a marmorari, a scultori e architetti. Ma aldilà dell’animazione brulicante e della ripetizione a moduli verticali derivata dalle grottesche rinascimentali e manieriste, la decorazione a mischio trovava, proprio nella composizione simbolica e dottrinale, la propria unità e il controllo di una vasta iconografia che recepiva ed elaborava un repertorio a cui l’ordine dei Gesuiti aveva dato, lungo tutto il Seicento, un contributo fondamentale recuperando il valore didascalico di molte figure ed episodi dell’arte medievale ed elaborando i modelli proposti da Ripa nella sua Iconologia. La chiesa dei Gesuiti di Casa Professa rappresenta in questo senso l’esempio più complesso e grandioso, il più unitario nella volontà di sottoporre l’intera decorazione a mischio, gli scultori e gli architetti che negli stessi anni prestavano la loro opera ad altre chiese e cappelle, sono chiamati ad approntare il ripetitivo ma variegato repertorio d’immagini ed ornamenti all’esaltazione dottrinale e a ribadire la potenza dell’ordine”. La parte più spettacolare dell'edificio è forse la tribuna dell'abside, ornata dall'Adorazione dei Pastori (1710-1714) e dall'Adorazione dei Magi (1719-1721), bassorilievi marmorei posti sulla tribuna, di Gioacchino Vitagliano su modelli di Giacomo Serpotta. Di particolare rilievo è l'organo. Costruito nel 1954 dalla ditta Tamburini di Crema; uno splendido strumento da concerto a 4 tastiere e pedaliera a raggiera. Le oltre 4000 canne ne impongono il rilievo nell'ambito degli strumenti da concerto nel panorama cittadino e italiano. Nel 1892 il cavaliere Salvatore Di Pietro sj, già rettore di Casa Professa con decreto del 1888, nonché filantropo, prefetto di studio al seminario, membro del Collegio Teologico e dell'Accademia di scienze, lettere e arti e di quella di storia patria, ottiene tramite il ministro della pubblica istruzione Paolo Boselli che il tempio venga dichiarato monumento nazionale.



    Basilica della Santissima Trinità del Cancelliere

    comunemente conosciuta come Basilica La Magione, è una delle più antiche chiese della città di Palermo, sita nei pressi del quartiere della Kalsa, di fronte l'omonima piazza. Fu fondata nel 1191 dal cancelliere del regno Normanno Mattero d'Aiello ed annessa alla contigua abbazia cistercense. Nel 1197 venne concessa all'ordine dei Cavalieri Teutonici che, in seguito a donazioni, ne aumentarono la proprietà e il prestigio. Divenuta la "Casa dei Cavalieri Teutonici" era così la magione (da qui il nome della chiesa) del precettore generale dell'ordine. In seguito a mutamenti politici, nel 1492 la chiesa passò agli abati Commendatori per poi passare sotto il patronato dei re borbonici nel 1782. Nel corso dei secoli subì varie manomissioni, come l'edificazione di un portale barocco, ancora presente, e l'integrazione di un loggiato in stile neoclassico, poi demolito durante il restauro iniziato nel 1920 da Valenti. Adesso la chiesa, con annesso il chiostro del XII secolo, si presenta come un particolare esempio di arte arabo normanna con le finestre ogivali incassate e il motivo delle arcate intrecciate riprodotto nell'abside tipico del periodo. L'interno, ormai quasi spoglio, conserva un trittico marmoreo del XVI secolo e una "Crocifissione" di ignoto del quattrocento conservata nell'attiguo oratorio.



    Chiesa dello Spirito Santo

    San Giovanni dei Lebbrosi



    Santa Teresa alla Kalsa



    VUCCIRIA!!!

    La Vucciria è un noto mercato storico di Palermo, insieme ad altri denominati Ballarò, Il Capo, Mercato delle Pulci.

    Si estende tra via Roma, la Cala, il Cassaro, lungo le via Cassari, la piazza del Garraffello, la via Argenteria nuova, la piazza Caracciolo e la via Maccheronai, all'interno del mandamento Castellammare.

    La vicinanza al porto cittadino stimolò l'insediamento di mercanti e commercianti genovesi, pisani, veneziani, etc. sin dal XII secolo. La presenza di numerosi artigiani è ancora leggibile dai nomi di alcune strade (via Chiavettieri, via Materassai, via dei Tintori, etc.)

    Il termine Bucceria deriva dal francese boucherie che significa macelleria. Il mercato era infatti inizialmente destinato al macello ed alla vendita delle carni. Successivamente divenne un mercato per la vendita del pesce, della frutta e della verdura. Anticamente era chiamato "la Bucciria grande" per distinguerlo dai mercati minori.

    Venditore di stigghiole al mercato della Vucciria di Palermo"Vuccirìa" in siciliano significa "Confusione". Oggi, la confusione delle voci che si accavallano e delle grida dei venditori (le abbanniati) è uno degli elementi che, maggiormente, caratterizza questo mercato palermitano.

    Nel corso dei secoli la Vucciria subì diverse modifiche. Il viceré Caracciolo nel 1783 decise di cambiarne l'aspetto, in particolare della sua piazza principale che fu chiamata col suo nome in suo onore. Intorno alla piazza si costruirono dei portici che ospitavano i banchi di vendita ed al centro fu sistemata una fontana. È impossibile descrivere tutti gli odori caratteristici che pervadono il posto, anche se il tipico odore di pesce risulta certamente il più intenso.

    All'interno della zona del mercato si trovano palazzi nobiliari ed opere d'arte quali il Palazzo Mazzarino, appartenuto alla famiglia del celebre cardinale, la fontana del Garraffello, palazzo Gravina Filangeri di Rammacca al Garraffello.

    Muovendosi all'interno del fitto intreccio di vicoli e piazzette del mercato della Vucciria si possono ritrovare tutti gli ingredienti della cucina siciliana; le coloratissime bancarelle traboccano di cassette di legno che, grazie ai colori della mercanzia, si trasformano in scrigni ricolmi dell'oro dei limoni, dell'argento delle sarde fresche e salate, del bronzo delle olive e del corallo dei pomodori essiccati.

    Spettacolari le piramidi di cuccuzzedde, di broccoli verdi, di mazzi di tenerumi. In estate la scena di questo grande teatro di strada vede trionfare come assoluti protagonisti i muluni d'acqua e le grandi angurie con il ventre affettato e messo a nudo.

    E cosa dire delle mille erbe aromatiche assolutamente indispensabili per la riuscita dei nostri piatti regionali più gustosi: l'addauro (alloro), il basilico, il prezzemolo, l'origano, il finocchietto selvatico ed i capperi di Pantelleria; esposte come piccoli tappeti orientali da preghiera, le cassette basse e larghe traboccano di uva passolina, ingrediente fondamentale per la pasta con le sarde e il pesce stocco a ghiotta, di mandorle sgusciate, noccioline croccanti, noci dalla buccia ruvida e pistacchi dolci e salati.

    Il variegato mondo dei pesci, poggiato su letti di ghiaccio tritato, è rappresentato da gamberi, orate, scorfani, tonni, pescespada, polpi, seppie e grossi calamari.

    Nelle pentole bollenti vengono tuffati i polipi bolliti, conditi a fine cottura con soltanto una spruzzata di limone. Le sarde salate vengono pulite davanti agli occhi dei clienti. Caratteristiche sono anche le stigghiole cotte alla brace e le panelle.

    Il nome di questo mercato spiccatamente popolare è di origine francese: deriva, infatti, dalla parola francese boucherie ("macelleria"), perché in epoca angioina vi sorgeva un macello, mentre oggi vi abbondano le carnezzerie, ma non solo. Il mercato venne immortalato nel 1974 in un celebre dipinto di Renato Guttuso, la Vucciria di Palermo, oggi conservato a Palazzo Steri. L'allegra baraonda delle bancarelle è stata trasformata dal pittore bagherese Renato Guttuso in una fantasmagorica tappezzeria di odori e di colori: la Vucciria, dipinta nel 1974, nelle sue mani di artista e di poeta è diventata una metafora della terra di Sicilia e di tutti i suoi abitanti.

    Dal 1999 fino al 2007 l'artista austriaco Uwe Jaentsch ha realizzato numerose installazioni ed opere d'arte alla piazza Garraffello. Nel 2006 lui ha creato la Cattedrale dei rifiuti della stessa piazza e il Museo Piazza Garraffello con Costanza Lanza di Scalea.


    CURIOSITÀ

    Da alcuni anni sono attivi nel mercato en plein air, il fotografo Santo Eduardo di Miceli, l'artista Alessandro Bazan, in piazza Garraffello e di recente un secondo atelier del pittore Momò Calascibetta che ha la sua residenza a Milano ma che ha aperto un nuovo "Spazio Momò" proprio in piazzetta della Vucciria accanto alla storica trattoria Shanghai.

    Negli ultimi anni numerosi edifici della Vucciria sono in fase di ristrutturazione, e numerosi banchi del mercato sono attualmente chiusi o trasferiti in altri mercati storici.

    Ancora oggi sono numerosi nel mercato i banchi del pesce, che viene continuamente mantenuto umido. Per questo in città si dice che:

    « i balati ra Vucciria 'un s'asciucanu mai »

    « Il pavimento della Vucciria non si asciuga mai »


    Di una promessa o di un avvenimento che non si realizzerà mai si dice che avverrà "quannu e balati ra Vucciria s'asciucanu" (quando il pavimento della Vucciria s'asciugherà).











    Luna Venere e Giove su Palermo

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    Teatro Politeama Garibaldi

    ....qualche scatto di Palermo

    Palermo - Teatro Politeama…. giorno




    Palermo - Teatro Politeama…. notte




    Il Teatro Massimo progettato da Basile ha aperto la sera del 16 Maggio 1897. Al momento del completamento Massimo è stato il secondo teatro più grande d'Europa dopo l'Opera di Parigi. Palermo in quegli anni era una capitale europea. L'opera Teatro Massimo rimane attivo per 77 anni fino al 1974, quando un incendio della porta accanto e il teatro è stato chiuso "temporaneamente". Il teatro ha riaperto 22 anni dopo.


    Palermo – Cattedrale







    Palermo - Duomo di San Giuseppe dei Teatini




    Un vicolo di Palermo…





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    Palermo è una città affascinante, nel sud d'Italia, la capitale della regione autonoma Sicilia. Se vai a Palermo in aereo, si sarà certamente colpito dalla splendida vista: il blu del Mediterraneo, foreste lussureggianti, verdi vigneti e oliveti, maestose montagne e la più grande meraviglia naturale d'Europa, l'Etna diventerà un grande introduzione bella Sicilia . Palermo, la città più grande e cosmopolita in Sicilia, ha una storia lunga e movimentata. Arabi, normanni, francesi, spagnoli e Bizantini hanno lasciato un segno permanente su questo luogo. Gli arabi hanno contribuito molto allo sviluppo della città. Hanno costruito moschee, palazzios di lusso e splendidi giardini. Secondo la loro regola, Palermo vive un periodo di crescita e prosperità. Secoli dopo, i Normanni in Palermo, la capitale della Sicilia. In questo momento in cui i simboli della città come il Duomo e la Cappella Palatina (Cappella Palatina) sono stati costruiti.

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    Questa è particolare, è stata fatta in uno dei mercati di strada di Palermo ...



    ..come miste sono le passioni del genere umano....



    CACCAMO





    Panorama





    La cattedrale





    Il castello di giorno





    ....di notte



    Palermo – la fontana della vergogna (Piazza Pretoria)




    Prima del municipio (Palazzo Pretorio), il centro della piazza, troneggia la fontana Pretoria. La fontana originariamente era destinata a decorare una villa toscana. Le sue statue di ninfe e divinità marine la cui nudità scioccavano i parrocchiani della chiesa di fronte , San Giuseppe dei Teatini, la chiamarono "fontana della vergogna". E 'stata completata nel 1573.
    La piazza è dominata dalla cupola di Santa Caterina, la chiesa barocca più bella della città.



    La fontana della vergogna.... in particolare





    ISOLA DELLE FEMMINE





    Isola delle Femmine (Isula in siciliano) è un comune di 7.296 abitanti della provincia di Palermo, facente parte dell'Area Metropolitana di Palermo



    Il comune deve il nome all'isolotto che gli sta di fronte chiamato appunto Isola delle femmine. L'origine del nome non è certa: la leggenda vuole che sull'isolotto sorgesse in tempi remoti un carcere femminile ma gli archeologi non hanno trovato resti di carceri. Un'altra leggenda narra che il conte di Capaci s'invaghì di una donna del luogo e la fece imprigionare sull'isolotto di Isola delle femmine perché nessun altro uomo la toccasse. Ma lei non lo ricambiava e in una notte di maestrale, mentre il mare era in tempesta, si gettò tra gli scogli, morendo. Da allora, ogni anniversario della sua morte, si sentono le sue grida provenienti dall'isolotto. Diverse leggende hanno subito il fascino esercitato dalla torre ormai in gran parte diroccata che sovrasta l'isolotto. Quella più conosciuta considera la torre come prigione per sole donne.

    In realtà sia la torre sulla terraferma ( detta Torre di "dentro", sia quella sull'isolotto, detta Torre di "fuori", facevano parte del sistema di avviso delle Torri costiere della Sicilia. Quella sulla terraferma è sicuramentela la più antica, di forma circolare, e la tipologia del manufatto la fa risalire a quelle coeve di Capo Mongerbino e di Capo Rama, probabilmente costruite nel '400 al tempo del re Aragonese Martino il giovane. Quella sull'isolotto è invece di tipologia riconducibile all'architetto fiorentino Camillo Camilliani, molto più noto per essere stato l'artefice della Fontana Pretoria a Palermo.

    Si narra che il bellissimo isolotto denominato "Isola delle Femmine" fosse stato un tempo una prigione occupata solo ed esclusivamente da donne. Tredici fanciulle turche, essendosi macchiate di gravi colpe, furono dai loro congiunti imbarcate su una nave priva di nocchiero e lasciate alla deriva. Vagarono per giorni e giorni in balìa dei venti e delle onde finché una tempesta scaraventò l'imbarcazione su un isolotto nella baia di Carini. Qui vissero sole per sette lunghi anni fin quando i parenti, pentitisi della loro azione, le ritrovarono dopo molte ricerche. Le famiglie così riunite decisero di non fare più ritorno in patria e di stabilirsi sulla terraferma. Fondarono quindi una cittadina che in ricordo della pace fatta, chiamarono Capaci (da "CCa-paci" ovvero: qui la pace) e battezzarono l' isolotto sul quale avevano dimorato le donne "Isola delle Femmine". Una testimonianza di Plinio il Giovane in una lettera indirizzata a Traiano, considera l'isola residenza di fanciulle bellissime che si offrivano in premio al vincitore della battaglia. Altra presunta origine trova nel nome latino "Fimis" la traduzione dell'arabo "fim" che indicherebbe la bocca, il canale che separa l'isola dalla costa. Secondo altri autori il nome dell'isola deriverebbe da "Insula Fimi" in riferimento ad Eufemio, governatore bizantino della Sicilia.



     
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    Chiusa Sclafani


    Chiusa Sclafani è un comune italiano di 2.994 abitanti della provincia di Palermo in Sicilia

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    Situato a 658 metri sul livello del mare su di un pendio delimitato in parte dalla Serra dell'Omo Morto, dista 77 km da Palermo e 80 km da Agrigento. Posto al margine sud-occidentale dei cosiddetti "Monti Sicani", nella regione del corleonese, il territorio di Chiusa si estende nello spartiacque tra la Valle del fiume Belice e quella del fiume Sosio. L'orografia è prevalentemente collinare, tuttavia presenta, in alcune contrade, terreni fortemente accidentati e impervi che non consentono coltivazioni di alcun genere. Nella parte orientale ed in quella meridionale il territorio è delimitato dal corso del Sosio, che scorre qui tra profonde gole boscose, per aprirsi, oltre lo stretto di Chiusa e il Castello Gristia verso la pianura di San Carlo; al limite occidentale scorre il torrente Maltempo; nella parte settentrionale, il Monte Triona e il Monte Colomba separano il territorio di Chiusa Sclafani da quelli di Bisacquino, di Campofiorito e Prizzi.

    Il territorio chiusese comprende la frazione di San Carlo


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    Castello di Gristia


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    Storia

    La cittadina fu fondata agli inizi del Trecento dal conte Matteo Sclafani, che ampliò il casale preesistente del periodo medievale, "Chiusa la vecchia", a circa due chilometri dall'attuale centro abitato. La scoperta di una necropoli, avvenuta nel 1877, lascerebbe pensare che sia esistito davvero un agglomerato urbano più antico, in un sito poco distante dall'attuale paese. Comunque, la storia di Chiusa (Sclafani, il cognome del conte venne aggiunto nel 1860) è legata all'avvicendarsi delle famiglie feudali che l'hanno posseduta: dagli Sclafani ai Peralta, dai Cordona, ai Gioeni e ai Colonna. Appartiene al comune di Chiusa Sclafani la frazione di S. Carlo, fondata da Ido Lercari con "licentia populandi" del 15 luglio 1628. Fino a 50 anni fa era un'importante stazione ferroviaria, punto di snodo della linea Palermo-Corleone-Sciacca-Ribera.

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    Il massimo dello splendore economico artistico e religioso si ebbe nel 500, con la presenza di molte botteghe, conventi e monasteri, che ancora oggi testimoniano un passato ricco e florido;

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    chiesa di San Sebastiano
    Costruita tra il 1623 e il 1627, ha una facciata quasi anonima, ma l’interno, ad unica navata, è un intreccio continuo di stucchi, medaglioni, cornici, decorazioni e affreschi, tutti datati tra il XVII e il XVIII secolo. Vi si raccoglieva in preghiera donna Isabella Gioeni-Cardona, moglie del principe Marco Antonio Colonna, che qui riposa. Tanta ricchezza la si deve proprio alla generosità della potente famiglia che tra il 1685 e il 1719 chiamò a raccolta gli artisti e gli artigiani locali per dar forma allo spirito dell’horror vacui settecentesco di cui la chiesa è perfetto esempio: pareti e altari sono intrecciati da stucchi, bassorilievi, statue e putti, mentre la volta riporta gli affreschi – più “semplici”, ma artisticamente preziosi – di Francesco Lo Cascio e di Giuseppe Farina. Bella la statua lignea del santo titolare, reliquiario realizzato nel Settecento probabilmente dagli artisti della famiglia Lo Cascio.



    La chiesa di San Antonio Abate ad unica navata, che conserva stucchi e pitture di fine 700 ad essa vi era l'ex convento dei pp. conventuali.


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    La Chiesa Madre, dedicata San Nicola di Bari, fondata nel Trecento ma riedificata tra il 1772 e il 1813 a tre navate divise con pilastri ad archi a tutto centro, custodisce alcune delle opere d’arte più belle. Vanta il dipinto firmato da Paolo Ruzzolone nel 1525 raffigurante il santo titolare. Accanto a quest’opera, sono da ammirare la “Annunciazione” di Andrea Carreca, del XVII secolo; la “Adorazione dei Magi”, di Giuseppe Salerno, della prima metà del XVII secolo; la “Trasfigurazione” - di ignoto - del XVII secolo e, coeva, la “Visione di San Benedetto”, anch’essa di ignoto. C’è il Crocifisso ligneo di Fra’ Umile di Petralia, della prima metà del XVII secolo, e la cinquecentesca statua marmorea della Madonna col Bambino di scuola gaginiana. Oggetto di devozione, il quadro della Madonna che nel 1835 fece registrare il miracolo della lacrimazione.


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    Nella chiesa dì Santa Caterina v.m., sono conservati dipinti settecenteschi: la Madonna del Rosario, un'acquasantiera del 1500 decorata con un rilievo di Santa Caterina (del Gagini) e due altari in alabastro del XVII secolo.


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    La chiesa di Santa Maria Assunta con la facciata barocca.



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    Chiesa di San Leonardo

    Annessa al convento dei padri Olivetani, sulla collina che domina il paese, originaria del Quattrocento, è stata fortemente ristrutturata nel Settecento. La facciata è degna di nota soprattutto perché sulla trabeazione si erge una balconata cieca a due campi con colonnine a rocchetti semipoligonali, sormontata da un fastigio a due spioventi parabolici, pinnacoli laterali e stemma su una mensola del centro. Al suo interno sono custodite la “Apparizione della Vergine a San Leonardo e al Beato Bernardo”, di Vito D’Anna e Antonio Manno, datata alla fine del XVIII secolo, e la bella copia di autore ignoto secentesco raffigurante la tela “Giuditta con la testa di Oloferne”.


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    fonte: wikipedia.org - altobelicecorleonese.com
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    La ranza e sciura di Chiusa Sclafani

    A Chiusa Sclafani, paese nella provincia di Palermo famoso anche per le sue deliziose ciliege, la ranza e sciura è il piatto tradizionale per eccellenza.

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    Si tratta di un prodotto da forno, decisamente simile allo sfincione, che anticamente a Chiusa Sclafani veniva preparato con la ranza (cruschello) e la sciura (fiore della farina) in occasione della molitura del grano, due strati di pane arricchiti di olio extravergine d’oliva, maggiorana, sarde salate e caciocavallo. Un alimento tutto sommato povero, appartenente alla tradizione contadina, ma non per questo meno buono.
    Al giorno d’oggi la ranza e sciura, a Chiusa Sclafani, viene realizzata con lo stesso impasto del pane al quale viene aggiunto un pò di olio d’oliva o di strutto. L’impasto viene steso in tre strati dentro una teglia e condito con maggiorana, cipolle e sarde salate (a volte, come nella ricetta che pubblichiamo, anche con pepe, origano, salsiccia sbriciolata, prosciutto cotto e pancetta), poi spolverato in superficie con formaggio pecorino grattugiato e cotto al forno per circa mezzora. A Chiusa Sclafani, il ridente borgo della provincia di Palermo, si celebra annualmente nel mese di settembre una sagra dedicata alla ranza e sciura.


    Chiusa Sclafani: Cruschello di fiori di farina (Ranza e sciura)

    RESA: 4 Persone servite

    PREPARAZIONE: 20 minuti COTTURA: 30 minuti PRONTA IN: 50 minuti

    INGREDIENTI

    1 Kg Farina di grano duro
    25 g Lievito di birra
    200 g Salsiccia
    50 g Prosciutto cotto
    50 g Pancetta
    50 g Pecorino siciliano grattuggiato
    10 g Maggiorana
    4 Acciughe sott'olio
    Olio extravergine di oliva
    Sale marino di Trapani
    Pepe nero macinato al momento

    ISTRUZIONI

    Per preparare la ranza e sciura occorre innanzitutto impastare la farina con il lievito sciolto in poca acqua tiepida e il sale.
    Formare tre pagnotte e farle lievitare.
    Stendere le pagnotte e mettere su ciascuna di esse la salsiccia a pezzetti, il prosciutto, la pancetta, il pecorino, la maggiorana, le acciughe diliscate, sale e pepe.
    Mettere le tre pagnotte una sopra l'altra, irrorando di olio extravergine di oliva ogni suolo.
    Formare un rotolo di tutto, allungarlo un po', tagliarne cinque pezzi e metterli uno sopra l'altro.
    Allargarli in una teglia unta d'olio.
    Infornare per 30 minuti circa.


    fonte:ricettedisicilia.blogspot.com



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    Sagra delle Ciliegie” a Chiusa Sclafani


    Il territorio chiusese, grazie ad un suo particolare microclima, costituisce uno degli areali preferiti da questa coltura. Con una produzione che si attesta suoi 3800 q.li circa, la ciliegia costituisce, per la comunità chiusese, un prodotto di pregio, grazie anche alle sue caratteristiche peculiari ad alta individuazione. Tre le cultivar locali: la moscatella, la cappuccia e la caddusa.
    La Ciliegia di Chiusa Sclafani viene prodotta nell’omonimo comune in provincia di Palermo da un ecotipo locale denominato varietà “Cappuccia“, che conferiscono al paese di Chiusa Sclafani l’appellativo di “paese delle ciliegie”. La Giornata è dedicata alla degustazione di ciliegie e di altri prodotti caratteristici, si potranno anche visitare gli stand allestiti in piazza con l´esposizione dei altri prodotti tipici del luogo.

    L’evento ogni anno richiama una folta presenza di visitatori, (circa 5.000) provenienti da diverse parti della Sicilia, che animano la cittadina della Riserva Naturale Orientata di “Monti di Palazzo Adriano e Valle del Sosio”. Presenti da sempre nella vegetazione europea allo stato selvatico, la coltivazione degli alberi da ciliegie ha avuto origine in Asia Minore e specificatamente a Cerasunte, città sul mar Nero, da cui il nome latino, specifico dell’albero da frutto: Cerasus.


    fonte:numerodedicato.altervista.org
    foto:siciliainfesta.com
     
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    Bolognetta


    Bolognetta (Agghiastru in siciliano) è un comune di 4.174 abitanti della provincia di Palermo.

    Storia

    Le prime notizie storiche che si riferiscono al territorio di Bolognetta, le troviamo nella storia dell'ex-feudo di Marineo dei Beccadelli.

    Il Calderone e l'Amari indicano spesso doviziosamente i territori di Bolognetta fra quelli che videro le storiche gesta della presenza dei Musulmani in Sicilia.

    Il Calderone narra di eroiche battaglie svoltesi ivi fra i musulmani e le falangi greco-sicule attorno all'850. Secondo l'autore i nomi di alcune contrade, allora campi di battaglia, conservano ancor oggi il ricordo di quei fatti, così si fa risalire l'origine del nome Casaca al termine latino Casatum, che significa caduto, e da ciò la selva dei caduti o della disfatta; Casachella risulta invece composta da due termini greci che si traducono il primo con < che si lascia vincere>, il secondo con < testuggine >,dalla forma presa dalle schiere greche in battaglia, donde Casachella = luogo dove soccombettero le schiere.

    Nel basso medioevo, il bosco di Casaca viene citato in diversi documenti con il nome di Chasum e Chasace.

    Nel 1306, dopo la cacciata degli angiomi avvenuta nel 1282 con la guerra del Vespro, un documento riporta che il re aragonese Federico III “concesse agli abitanti di Palermo il diritto di raccogliere legna (lignaficum) e carbone nei boschi di Godrano e Casaca".

    In questa concessione il bosco di Casaca è considerato parte integrante del feudo di Cefalà, del quale seguì per alcuni secoli le vicende.

    "Quando l'abitato sorse con il nome di Ogliastro nella Sicilia regnava ancora la pax hispanica, sebbene trent'anni di guerra avessero non poco offuscato lo splendore dell'Impero spagnolo, trascinandolo sull'orlo di un collasso economico. Per questo motivo al viceré e ai nobili più fedeli fu impartito l'ordine di vendere i loro possedimenti, per inviare il ricavato in Spagna: Ogliastro fu proprio l'oggetto d'una di queste cessioni" (Santi Correnti, Sicilia da conoscere e da amare, 1999).

    Il primo documento scritto che riguarda l'ex-feudo di Casaca, dove oggi sorge Bolognetta, risale al 25 febbraio 1570, anno in cui fu concesso a Don Luigi di Bologna, Marchese di Marineo, la licenza di popolare quelle terre.

    Tracce storiche che si riferiscono all'odierno territorio di Bolognetta le troviamo nella storia dell'ex feudo (o Stato) di Marineo dei Beccadelli.

    Il 12 settembre 1600 Vincenzo Bologna Beccadelli, marchese di Marineo, vende un fondaco composto dalle contrade Casaca, Casachella, Coda di Volpe, Bosco, Piraynazzo, Roccabianca, sotto unico nome di Casaca, a Marco Mancino, ricco mercante genovese, con un contratto stipulato dal notaio Arcangelo Castania di Palermo. Marco Mancino in tale atto si riserbò il diritto di <congregar gente>, ed il marchese Bologna pose la condizione che, venendosi a formare un paese, questi avrebbe dovuto chiamarsi <nomare>: Bolognetta.

    Tale condizione non fu rispettata. Infatti il paese che a poco a poco si venne a formare prese il nome di S.Maria dell'Ogliastro, per un'immagine della Madonna posta dinanzi un olivo selvatico,vicino al fondaco, e lo mantenne fino al 1882.

    La condizione posta dal Bologna venne quindi dimenticata e soltanto l'8 ottobre 1882 il paese ha assunto il nome di Bolognetta. Il Garufi inserisce nell'elenco dei comuni feudali fondati nei secoli XV-XVI, ma occorre precisare che la data di concessione della licentia non corrisponde con quella citata dal De Spucches.

    Questo feudo venne aggregato da Marco Mancino a quello di Tumminia, precedentemente acquistato dall'illustre Francesco del Bosco, conte di Vicari, agli atti del notaio Antonino Lazzara di Palermo, il 17 settembre 1593.

    Con il testamento di Marco Mancino, redatto dal notaio Paolo Mulè di Palermo e aperto il 10 aprile 1627 viene nominato come erede universale Trajano Parisi, con obbligo, per lui e per i suoi eredi, di assumere nome e cognome del testatore.

    Il casato dei Mancino si esaurisce con Marco Mancino VIII, che il 12 luglio 1812 si investe dei feudi di Tumminia e di Casaca.

    Certamente il fondaco costituiva un importante luogo di traffico; perciò riesce comprensibile il suo ruolo come uno degli elementi propulsori della nuova fondazione.

    Nella <pianta del cammino dei Corrieri ordinari per S.M> del 1714, il fondaco di Ogliastro viene menzionato per la prima volta tra le stazioni di posta comprese nell'itinerario da Palermo a Noto, e ciò dimostra la crescita della sua importanza.

    Del fondaco non esiste più alcuna traccia, si può soltanto individuare il luogo ove sorgeva, lungo l’attuale via Roma (ex trazzera regia) nella piazza Madrice. Si può verosimilmente ipotizzare che l'edificio non fosse dissimile nella distribuzione dalla tipologia tradizionale molto in uso nella Sicilia del XVII secolo, essendo un elemento indispensabile lungo tutti gli itinerari di collegamento fra le principali città dell'Isola.

    Nel 1603 risale la costruzione della Chiesa Madre, realizzata vicino al fondaco su uno slargo ai margini della trazzera; nel 1605 fu eretta a parrocchia per volere di Marco Mancino, che richiese espressamente all'arcivescovado di Palermo un arciprete e stabilì di quale entità dovessero essere le offerte per la chiesa da parte della popolazione.

    Per tutto il periodo feudale la dinastia dei Mancino fa della cittadina il proprio giardino e la propria residenza. A metà dell'Ottocento giungono gli anni della lotta contro i Borboni.

    Marco Mancino VIII sperpera le sue ricchezze in difesa della dinastia borbonica, mentre la popolazione si schiera per l'indipendenza dando vita a più di un tumulto. Si forma anche un comitato rivoluzionario in appoggio a Garibaldi, e nel 1866, allorché i paesi di mezza Sicilia insorsero, Ogliastro è tra questi. Comincia qui la storia moderna del piccolo centro, che conosce stenti e sofferenze, segnata dal calvario dell'emigrazione. Agli inizi del ‘900 la mèta è l'America: ancora oggi nel New Jersey è presente una numerosa comunità di bolognettesi.

    Dopo la seconda guerra mondiale sedi privilegiate di emigrazione sono l'Italia del Nord, la Svizzera, la Francia e la Germania.


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    Geografia, flora e fauna


    II comune di Bolognetta ha una superficie di 2.758 ettari, per una densità abitativa di 126 abitanti per chilometro quadrato. Sorge in una zona collinare interna, posta a 300 metri sopra il livello del mare.

    Le sue coordinate geografiche, riferite all'ellissoide internazionale riferito a Roma, sono: latitudine 37”57”00" e longitudine 1” 00”04".

    Il territorio confina a Sud con il territorio di Villafrati, a Sud-Ovest con quello di Marineo; a Nord e a Ovest con quello di Misilmeri, a Nord-Est con quello di Casteldaccia, a Est con quelli di Ventimiglia e Baucina. ed è composto dalle contrade Bosco,Casaca, Casachella, Cipolluzzi, Coda di Volpe, Dagariato, Filaccina, Grassorelli, Lordica, Piraynazzo, Risieli, Roccabianca, Testa Montata, Torretta, Tumminia.
    I suoi confini, prevalentemente artificiali, sono delimitati a Est e Nord-Est dal torrente Sercia, a Nord dalla Regia trazzera per Pizzo di Cicero (che conduce a Bagheria), mentre ad Ovest dalla Regia trazzera per la Ficuzza e dal vallone Giampaolo.

    I suoi confini, prevalentemente artificiali, sono delimitati a Est e Nord-Est dal torrente Sercia, a Nord dalla Regia trazzera per Pizzo di Cicero (che conduce a Bagheria), mentre ad Ovest dalla Regia trazzera per la Ficuzza e dal vallone Giampaolo.

    Il territorio è attraversato dal fiume Milicia, che nasce nel Bosco di Ficuzza e sfocia nel Mar Tirreno, nei pressi di Altavilla Milicia . La flora è composta prevalentemente da alberi di ulivo, agrumi e frumento. Dalle olive prodotte viene estratto un buon olio con medio grado di acidità e quindi dalle discrete caratteristiche organolettiche. Presenti anche diversi vigneti che permettono la produzione di un amabile vino rosato. Tra gli ortaggi prevalgono le coltivazioni di pomodori, finocchi, carciofi e cipolle, che vanno ben oltre il fabbisogno della zona, così da trovare nei mercati vicini, e soprattutto in quello di Villabate, il proprio sbocco commerciale. Gli agrumi sono coltivati sulle rive del torrente Milicia.

    In contrada Bosco, nei pressi di Pizzo Mangiatorello, si ha la presenza di " U Pignu ", un albero secolare punto di riferimento per gli abitanti bolognettesi. La fauna è rappresentata dal coniglio selvatico, dalla volpe, dalla gazza ladra e dalla tortora.


    Monumenti

    Bolognetta pur essendo relativamente giovane, sorse nel 1600, ha una discreta presenza di monumenti che rendono piacevole una visita al paese.


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    Chiesa della Madonna del Carmelo

    La chiesa della Madonna del Carmelo è un edificio religioso seicentesco che si trova in Piazza Giovanni Paolo II a Bolognetta.
    La chiesa fu iniziata nel 1603 e completata nel 1605. È stata più volte ampliata nel 1785, nell'800 e nel 1951
    La Chiesa sorge sull'adiacente piazza oggi intitolata a Giovanni Paolo II.

    La facciata color giallo paglierino è composta da un rosone centrale e da un portone in bronzo realizzato intorno al 1990 e che ne sostituì l'originale.

    Alle spalle della navata è presente una torre campanaria con orologio che domina il paesaggio di Bolognetta.

    L'interno è a navata unica, con un abside in marmo e una cappella con tabernacolo in oro. Nella cappella è presente la Statua della Madonna del Carmelo ed attribuibile alla scuola del Bagnasco.

    Due opere sono presenti in onore di Sant'Antonio da Padova, protettore di Bolognetta, un quadro in olio su tela raffigurante il santo in abito di frate minore e con in braccio il bambin Gesù e una statua lignea con il Santo con la stola di seta ricamata in oro simbolo del sacerdozio.

    Alla prima metà del seicento appartiene un quadro di Gesù che porta la croce attribuito allo Zoppo di Gangi.

    È attribuibile a fra Umile da Petralia la settecentesca statua lignea che raffigura il Cristo Crocifisso.
    Di pregevole fattura è la Statua dell'Immacolata, commissionata dalla famiglia Monachelli tra la fine del '700 e i primi dell'800 e opera di Girolamo Bagnasco. È stata restaurata nel 1998.





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    Casa Museo della Vita Contadina


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    Biblioteca comunale "Tommaso Bordonaro", istituita nel 1978.


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    Piazza Palma de Gandía, inaugurata nel 1989.



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    Piazza dei Caduti in Guerra, risalente alla fine del '700 a forma quadrangolare. Ex Piazza Fontana e Giolitti. Al centro si trova una fontana moderna che ha sostituito l'antico abbeveratoio. Nel 2013 è stato inaugurato il Muro dell'Antimafia, raffigurante le immagini di Placido Rizzotto, Padre Pino Puglisi, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e Peppino Impastato.



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    Piazza Giovanni Paolo II


    Piazza dei Mille in cui è presente una statua in bronzo, il Monumento all' Emigrante, del 1987.
    Piazza Garfield (New Jersey) - Lodi (New Jersey)
    Piazza Giuseppe Castelbuono
    Parco Robinson (oggi Parco Unità d'Italia)
    Palazzo Mancino
    U' Malasenu , magazzino della famiglia Monachelli
    Palazzo Monachelli



    L'economia si basa prevalentemente sul settore terziario e dei servizi. La ricezione turistica è uno dei punti di forza dell'economia bolognettese. Nel proprio territorio, si trovano 2 hotel, 2 bed&breakfast. Numerosa è la presenza di agriturismi, ristoranti e pub/bar, che fanno di Bolognetta uno dei centri più rinomati della provincia di Palermo per la degustazione di prodotti tipici durante le festività pasquali e natalizie.

    Bolognetta è anche conosciuta per trascorrere le gite fuoriporta nei giorni di Pasquetta, 1º maggio, 25 aprile e 2 giugno. In queste date infatti la popolazione presente aumenta notevolmente, in quanto molti turisti si recano nei propri "Villini", così chiamati dagli abitanti di Bolognetta le case costruite nelle contrade.

    Il santo patrono Sant'Antonio da Padova viene festeggiato il 13 Giugno, con la processione che percorre: C.so Vittorio Emanuele, Via Romano, Via Diaz e Via Roma. Il santo viene festeggiato anche la 2ª domenica di Agosto con i festeggiamenti dell'"Estate Bolognettese", in questa occasione durante la processione al Santo, si compie la "Vulata di L'Ancili", in cui due bambine di circa 9 anni, cantano l'inno al Santo Patrono, appese su due fili che vengono fatti scorrere da due balconi frontali in Via Roma.

    Altre ricorrenze molto sentite sono la festa di San Giuseppe il 19 marzo, con la caratteristica Tavolata di San Giuseppe, il Corpus Domini, il Venerdì santo e la festa dell'Immacolata.

    L'Epifania nella casa contadina (Presepe vivente) si svolge il 6 gennaio, e rievoca l'arrivo dei Re Magi in un contesto di vita contadina di inizio '900. Il tutto è accompagnato con degustazione di prodotti tipici locali come la salsiccia, la ricotta, il vino rosso, formaggio caciocavallo e pane caldo fatto a legna.

    Un importante momento di aggregazione sociale è l'OPEN TRIP FEST. Evento pensato e realizzato dall'associazione "Open Trip", con concerti dal vivo, dj set e performance artistiche, che si svolge il 1 Maggio presso il Parco Robinson. Esso vede coinvolti nell'organizzazione decine di giovani bolognettesi e mira a promuovere realtà artistiche emergenti e affermate del circondario e non solo. Nell'ultima edizione del 2013 gli spettatori presenti sono stati alcune migliaia. Caratteristica peculiare dell' Open Trip Fest è quella di essere realizzata in base a principi di ecosostenibilità, attraverso il riuso e il riciclo.





    fonte: wikipedia.org
    foto: sicilia.indettaglio.it
    - siciliaviaggi.com
    - upload.wikimedia.org
    - palermoweb.com/
    - comune-italia.it
    - .minube.it


     
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