SICILIA PARTE 5^

LA VALLE DEI TEMPLI..AGRIGENTO..PORTO EMPEDOCLE..LAMPEDUSA..

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI


    “ ... Domenica ... la giornata di festa domenicale coincide con la tappa del nostro viaggio in una città, in un luogo che concentra in esso bellezze che travalicano il tempo ... la nostra mongolfiera riprende il suo volo attraverso le terre sicule spostandosi verso Sud verso il mare alla volta di Agrigento ... da giorni sto scegliendo come chiave del racconto di queste terre, riferimenti poetici che in maniera meravigliosa sanno raccontarle ... anche oggi vi lascio due carezze che raccontano di questa città in due modi diversi ... una la celebrazione, l’altra il racconto che parte dalla storia antica e in dialetto ... spero vi piacciano ... Buon risveglio amici miei ... Agrigento e le sue bellezze ci attendono ... Come la migliore delle dee olimpiche, Arriva lei, poderosa e fiera; Rendendo la valle festosa; Liberi dal giogo, i cavalli riposano dalle fatiche; Anche la nuova estate sembra più vera. Le ancelle accorse, l’acconciano come novella sposa. Averla al proprio fianco è sogno regale, Pluvio Giove, d’Agrigento il re naturale, Estrae dalla faretra, dunque, saetta speciale; Solo la valle immortale Tra festa e danza rituale, Esalterà l’unica dea meritevole del mio madrigale! (Luigi Deluca)...SUPRA RINUSI RUPI RUVINI DI VECCHI MURA IN MANNARI CANGIATI CHIESI INCULTI E PALAZZI CANNIATI BONO PRI STORICI OCEDDI RAPINI ANGUSTI, TORTI E TUTTI CASALINI FATTI A POSTA PRI CAPRI, ALPESTRI STRATI CISTERNI CARSI D 'ACQUA E AVVERMICATI ORTI ANNACQUATI DA IMMUNDI LAVINI.AGRIGENTI,MALEFICI,LAGNUSI BAGGIANI,LITICUSl, IMPERTINENTI,IPOCRITI, FACCIOLI, INVIDIUSl,PRETI, O ADULTERI, O AVARI, O PREPOTENTI,MONACI, O TRADITURE, O RIVULTUSI SCARSA ROBA, AUTI PREZZI,ECCO GIRGENTE (Una poesia dell’800 di Giuseppe Serroy)

    (Claudio)



    LA VALLE DEI TEMPLI..AGRIGENTO..PORTO EMPEDOCLE..LAMPEDUSA..PAGINE DELLA STORIA DI SICILIA..


    “Te invoco città di Persefone, città la più bella fra quante albergo son d’uomini, o amica del fasto che presso Acragante ferace di greggi, ti levi sul clivo turrito;O Signora, gradisci benevola, e teco si accordino gli uomini e i Numi, da Mida le foglie del serto Pito gradisci e lui stesso, che vinse gli Ellèni nell’arte cui Pallade un giorno rinvenne intrecciando la nenia feral delle Gòrgoni”……. nell’esaltare Mida, vincitore alle Olimpiadi, così Pindaro cantava Akràgas, l’odierna Agrigento, nel V secolo a.C..”(Ode Pitia XII)



    "Circa 108 anni dopo la fondazione della loro città i Geloi fondarono Akragas, denominando la città dal fiume; furono scelti come ecisti Aristinoo e Pistilo e alla colonia vennero date le istituzioni che erano proprie di Gela" Tucidide


    “La nascita dell'apoikia akragantina conclude il vasto movimento migratorio dalla Grecia verso occidente, iniziatosi nell'VIII sec.a.C con l'arrivo dei coloni eubei a Naxos. Secondo la tradizione storica la città fu fondata, intorno al 582 a.C., da un gruppo di coloni geloi e da coloni provenienti dalla metropolis Rodi, guidati dagli ecisti Aristinoo e Pistilo…la scelta del luogo, lungo l'antica rotta micenea verso il Nord Africa e l'occidente, fu determinata, probabilmente, dal desiderio dei Rodii e Cretesi di non essere esclusi dai traffici mercantili in questa zona del Mediterraneo…dalla conoscenza del territorio agrigentino, frutto di precedenti frequentazioni di cui sono testimonianza le vicende della saga di Dedalo e Minosse in Sicilia e i recenti ritrovamenti archeologici…. la scelta del momento storico fu dettata dal tentativo di contrastare l'espansione verso oriente dei Megaresi di Selinunte….. La felice posizione geografica, la fertilità dell'entroterra che consentiva di produrre in abbondanza cereali, vino, olio d'olivo e la natura collinare del territorio che permetteva la pastorizia e l'allevamento dei cavalli favorirono lo straordinario sviluppo e la crescita economica della polis akragantina. In meno di due secoli dalla fondazione, Akragas divenne una delle città più popolate del mondo greco e uno dei centri propulsori della cultura ellenica nel Mediterraneo.”



    “In Verrem….Cicerone disse "...Un gran numero di cittadini romani, valenti e onesti uomini, vivevano e operavano in istretta amicizia con gli Agrigentini.... Dopo la dura repressione anticartaginese, Agrigento divenne civitas decumana, cioè tenuta a dare ogni anno a Roma la decima parte dei suo raccolto agricolo, e fu ripopolata con coloni provenienti da altre parti dell'isola. In seguito agli attriti tra i vecchi e i nuovi cittadini il pretore Cornelio Scipione l'Asiatico nel 193 promulgò una legge che stabiliva la prevalenza numerica nel Senato dei primi rispetto ai secondi…La pax romana fece rifiorire la città e anche il territorio agrigentino con la sua produzione cerealicola contribuì a fare della Sicilia "il granaio di Roma, la balia al cui seno si nutre il popolo romano" (Catone)…. "Girgenti, popolosa fra le più nobili città, frequentata molto da stranieri che vanno e vengono. Ha eccelsa e forte rocca e contrade fiorenti...da ogni parte vi accorre la gentee vi si adunano le navi e le carovane" (El Edrisi).. Il 17 giugno dell'anno 827, genti di diversa origine (Arabi, Berberi, Spagnoli, Egizi, Siri, Persiani) ma accomunate dalla religione musulmana, sotto il comando del giurista settantenne Asad ibn al Furat, sbarcano a Mazara del Vallo, intraprendendo una guerra di conquista della Sicilia che si concluderà dopo oltre un settantennio. Dopo il cruento periodo della conquista, la città riassume la fisionomia di fiorente centro agricolo e commerciale. I Musulmani introducono la canna da zucchero "canna meli", il cotone, alcune varietà di agrumi, i datteri, i meloni, il sommacco adatto alla concia delle pelli e il gelso per la produzione della seta. La vicinanza alla costa africana favorì il commercio, il cui sviluppo rese ben presto inadeguato il vecchio porto alla foce del fiume Akragas e necessario il trasferimento dello scalo marittimo in un luogo più adatto dove oggi è Porto Empedocle. La greca Akragas e la romana Agrigentum diviene adesso la Kerkent arabo-musulmana che si concentra all'interno delle sue mura su quella che oggi chiamiamo Collina di Girgenti”


    “La valle dei Templi…..così scrisse in Frammenti ..Empedocle di Akragas.. “O amici, che la grande città lungo il biondo Akragas abitate nell'alto della polis, occupati in opere buone,venerabili porti di stranieri, inesperti di cattiveria ,salve! Io tra voi come un dio imperituro, non più mortale, cammino onorato da tutti, come pare,cinto di nastri e di corone fiorite”. . Uno dei siti archeologici più rappresentativi della civiltà greca classica, inserito nel 1998 dall'UNESCO nell'elenco del Patrimonio Mondiale. Su un crinale roccioso che delimita a sud l'altopiano su cui sorgeva l'abitato classico, ancora emergono i resti dei templi dorici, di incerta attribuzione: da est verso ovest, da quota 127 a quota 70, Hera (Giunone) Lacinia, Concordia, Eracle (Ercole), Zeus (Giove) Olimpico, Castore e Polluce (Dioscuri) e Hephaistos (Vulcano). Più in basso, la piana di San Gregorio attraversata dal corso del fiume Akragas, alla cui foce si trovava il porto e emporion della città antica. Vicino al fiume, il tempio dedicato al dio della medicina, Asclepio.”



    “Il centro storico di Agrigento conserva sostanzialmente l’impianto urbanistico tipico di una cittadina islamica, con una struttura irregolare e un’intricata rete di stradine, vicoli e cortili. Esso comprende ancora oggi edifici - chiese, monasteri, conventi, e palazzi nobiliari – che fecero della città di Girgenti una perla del Medioevo….Entrando in Agrigento dalla Porta di Ponte, si imbocca la tortuosa e caratteristica Via Atenea, che attraversa in senso est-ovest tutta la vecchia Girgenti. Su di essa, o in luoghi ad essa adiacenti, si affacciano tutta una serie di chiese, di buona del '600 e '700.,,Via Atenea è la strada principale della città arriva sino agli antichi Palazzi ed alla chiesa di Santa Maria dei Greci…questa chiesa fu costruita sopra un Tempio Greco del V secolo d.c., le cui colonne sono ancora visibili nella navata centrale e nel tunnel sotterraneo che corre accanto alle fondamenta dell'antico Tempio….La Cattedrale in stile Romano-Gotico è nata nel grande solco della tradizione normanna …la costruzione durò sei anni (1096-1102) ed all'inizio era una "ecclesia munita" cioè luogo di culto e di difesa ad un tempo, facendo parte delle mura di Agrigento…la leggenda dice che nel presbiterio si senta un sinistro effetto acustico, ed è vero, ma è solo l’eco dei passi e delle voci di coloro che si trovano nelle vicinanze dell’entrata della Cattedrale.. Piazza Municipio occupa l'area dove c'era l'orto del convento dei Dominicani e fu realizzata dopo la cacciata dei Borboni….”
    “La Casa natale di Luigi Pirandello è una costruzione rurale della prima metà del XVIII secolo sita in una contrada tra Agrigento e Porto Empedocle, denominata Caos, a quattro km dal centro abitato cittadino….Il 28 giugno del 1867 nella “cascina di Villa Caos” nacque Luigi Pirandello, da Caterina Ricci Gramitto e Stefano Pirandello, e in questa casa lo scrittore trascorse la sua infanzia e l’adolescenza….«Sono caduto, non so di dove né come ne perché, caduto un giorno, caduto in un’arida campagna di secolari olivi saraceni, di mandorli e di viti affacciata sotto l’ondata azzurra del cielo, sul nero mare africano… »…..Nel 1961, nel rispetto delle ultime volontà del grande drammaturgo agrigentino, le sue ceneri, alla presenza delle autorità locali, dei familiari, e di illustri personalità del mondo della cultura, sono state raccolte dentro un’urna e murate, in un masso calcarenitico, posto sotto il famosissimo “pino solitario” …“sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti dove nacqui“…E’ una sepoltura semplice. Un cippo di pietra raccolto dalla Rupe Atenea e ritoccato dallo scultore Marino Mazzacurati.”


    “Porto Empedocle è un'importante porto peschereccio e commerciale della Sicilia sud-occidentale,è situato a due metri sul livello del mare presso la collina che degrada verso il litorale compreso tra Punta Piccola e San Leone…il suo nome originario era Marina di Girgenti, per sottolineare il fatto che in questi luoghi sin dal XV secolo arrivava di tutta la produzione cerearicola dell'entroterra agrigentino e nisseno. In seguito venne chiamato Porto Empedocle in memoria del famoso filosofo agrigentino Empedocle….Verso il XVI secolo l'imperatore Carlo V fece costruire un'imponenete torre per difendere il caricatore dai corsari che depredavono i centri costieri. La torre venne edificata su progetto di Camillo Camillani, architetto e scultore fiorentino, ha una forma a piramide tronca culminante, in alto, con una grande terrazza che serviva per gli avvistamenti. Durante il periodo borbonico la torre divenne una prigione… Nei dintorni di Porto Empedocle si possono visitare i Vulcanetti di Maccalube, dei coni che emettono gas metano e fango salmastro e, nella vicina cittadina di Durrueli, i ruderi di una casa romana del I secolo a.C. con mosaici.”


    “Caltabellotta, la città della pace…è entrata nella storia per la famosa pace che nel 1302 pose fine alla guerra del Vespro, Caltabellotta, fin dall'antichità, è stata teatro di guerre ed eventi sanguinosi. Situata a ridosso di una roccia dolomitica dalla caratteristica sagoma sulla quale si trovano i resti dell'antico castello, questa città-presepe consente di ammirare un panorama vario ed ampio da Agrigento a Marsala verso ovest, e all'Etna verso est…..la Chiesa Madre, fondata dal conte Ruggero dopo la vittoria sui Musulmani, anche se l'edificio è databile intorno al XIII secolo. All'interno, stucchi e affreschi di A.Ferraro da Giuliana e statue dei Gagini…..il centro storico dove si trova la Chiesa del Carmine fino ad arrivare alla Chiesa Santa Maria della Pietà, in parte scavata nella roccia, e all'Eremo di San Pellegrino eretto sui luoghi legati alla figura del leggendario vescovo di Triocala.”


    “Un tempo era conosciuta come Sambuca Zabut, dal nome dell’emiro che sulle sue splendide colline fece erigere un maestoso castello. Dal 1923 è semplicemente Sambuca di Sicilia, ridente località della provincia di Agrigento, che sorge nella valle del lago Arancio tra boschi e verdeggianti colline….Passeggiare per le sue strade significa fare un viaggio attraverso i secoli che la videro prima araba (come arabi sono i resti del Castello dell’emiro, la Matrice e il Calvario), poi nobile e aristocratica sotto l’egida della famiglia Beccadelli…..Poco distante dal centro storico possiamo ammirare la zona archeologica di Monte Adranone. Negli anni settanta alcuni scavi hanno portato alla luce una città greca fondata da coloni selinuntini nella seconda metà del secolo VI a.C. sui resti di un villaggio indigeno protostorico. La città venne probabilmente distrutta nel 250 a.C. durante la prima guerra punica….Una curiosità ..vecchia di tre secoli.. sono giunti fino a noi con l’appellativo popolare di “minni di virgini”, cioè seni della vergine, sono biscotti a base di zuccata inventati da una suora nel 1725 in occasione delle nozze del marchesino Beccadelli. La religiosa dall’estro culinario, così descrisse la propria golosa ispirazione: “guardavo questa mattina dalla finestra della mia stanzetta le colline che si susseguono dalla Valle dell’Anguillara sino alla collina del Castellaccio e alla costa della Minnulazza. La forma delle colline mi ha suggerito che noi dovremmo presentare ai marchesi un dolce che abbia la forma e, in quanto al contenuto porti la dolcezza di questa terra. Insomma un dolce paesano, ma prelibato, fine che susciti nel momento del degusto l’istinto del sentimento, ed elevi al tempo stesso lo spirito.”..Persino Giuseppe Tommasi di Lampedusa, cita questa prelibatezza nel suo Gattopardo”


    “Succede al fiume Sosio, a otto miglia la città di Terme, secondo Diodoro, Pomponio Mela e Plinio. Oggi è detta Sacca (Sciacca). Lì , anch'io Tommaso Fazello ebbi i natali.....Gli antichi la chiamarono Terme da due terme, una adatta ai bagni, l'altra ad essudazioni, che la natura ha prodotte sotto il quale essa si trova” -Tommaso Fazello,De rebus siculis decades duae -Sciacca trae le sue origine dall’antica città di Selinunte… fu fondata, infatti, nel VII secolo a.C. dai suoi abitanti che ne fecero la loro stazione termale, grazie alla ricchezza e alla salubrità delle sue fonti….Monte Cronio …le cui grotte e cavità carsiche, abitate dal periodo neolitico (IV millennio) fino all'insorgenza del fenomeno carsico e del flusso vaporoso (2000 a.c.), furono utilizzate come luogo di culto o di cura dagli indigeni, dai Greci, dai Romani e dal monaco eremita San Calogero (V sec.)…. Castello Nuovo o dei Conti Luna, protagonisti assieme ai Perollo dei casi di Sciacca, il Duomo barocco, dedicato a Santa Maria Maddalena e progettato dall'architetto saccense Michele Blasco, il Palazzo Arona- Perollo, il Convento dei Gesuiti, oggi sede del Palazzo di Città, la Chiesa di San Domenico, fondata nel 1532 da Tommaso Fazello, la Chiesa di Santa Margherita, fatta costruire nel 1342 dall'infanta Eleonora d'Aragona.”



    "Eraclea Minoa situata in cima a Capo Bianco, promontorio che forma una piccola protuberanza della costa tra Sciacca ed Agrigento è un gioiello incastonato tra le sue bianche ed abbaglianti rocce….sono presenti i resti di un’antica colonia fondata da coloni greci di Selinunte sono situati sopra una collina a strapiombo sul mare…. un panorama mozzafiato sulle bianche scogliere di marna (roccia costituita da calcare ed argilla) modellate dal vento che danno il nome allo stesso Capo Bianco. Ma potrà allo stesso tempo abbracciare con uno sguardo la rigogliosa vegetazione che ricopre le zone circostanti, le lunghe spiagge bianche che si sviluppano a perdita d’occhio, nonché il mare turchese e sconfinato."


    “Canicattì….“Si, esiste davvero”…una città nominata da tutti, ma sconosciuta ai molti nonostante sia stata culla di grandi civiltà…Canicattì è davvero un non-luogo lontano nello spazio, ma anche nel tempo! Qui siamo continuamente nell’Altrove, una dimensione di irrealtà…. negli anni Venti, era nata l’Accademia del Parnaso, che si occupava sempre di ribaltare i luoghi comuni…. avevano eletto a loro simbolo l’asina, considerata simbolo di saggezza… I Parnasiani prendevano in giro ogni aspetto della realtà, non per pura satira, ma perché avevano compreso che la verità si apprende più chiaramente attraverso l’ironia e l’umorismo. I Canicattinesi sono diversi da tutti gli altri siciliani e tale diversità è insita nel nome della città, che sembra alludere all’eterna sfida tra cani e gatti, che è, come dire, tra due visioni della vita. Canicattì non è fuori dal mondo, comunque, è un mondo a parte…”



    “Lampedusa…la “nostra” isoletta: undici km appena in lunghezza e circa tre in larghezza, per la più estesa dell’arcipelago delle Pelagie, che con la vicina Linosa costituisce un unico comune in provincia di Agrigento. La cosa bella di Lampedusa è che, date le piccole dimensioni, è possibile visitarla tutta in poco tempo: basta un motorino per muoversi (tra strade a volte asfaltate a volte no) e in pochi attimi il blu intenso del Mediterraneo ci avvolge completamente. A nord, a sud, ovunque attorno a noi, c’è acqua e nient’altro….La maggior parte delle baie della costa sud-orientale, che va dal faro di Capo Grecale fino a Cala Maluk, ha poca spiaggia…. Cala Creta..ci si arriva dopo un giro abbastanza tortuoso tra i dammusi, le tipiche abitazioni in pietra dell’isola.. ciò che si presenta ai nostri occhi è difficile da spiegare: una distesa di roccia affacciata sul golfo, un’oasi di pace immersa in un silenzio quasi irreale….ad Ovest, oltrepassando la costa più alta, ovvero la Baia della Tabaccara, si arriva alla famosa Isola dei Conigli.. in questo lembo di terra, a pochi passi dall’Africa, ammiriamo lo spettacolo naturalistico più importante di Lampedusa: la riproduzione delle tartarughe della specie “Caretta Caretta”, quasi in via di estinzione. L’insenatura è sotto la tutela di Legambiente, che provvede a ripulire la spiaggia e a mantenere l’ordine ed il rispetto per la fauna locale: oltre alle tartarughe, infatti, questo è il regno di cernie, murene, pesci spada e tonni……. Tra le bancarelle e i negozietti di souvenir è facile trovare oggetti con la scritta “O’Scià”….incuriosita, mi informo sul significato della parola e scopro che vuol dire “Mio respiro”: una dolcissima espressione del dialetto siciliano, per indicare la persona che ci sta a cuore…Con il buio la magnificenza di questi luoghi raddoppia e dal porto partono tantissime barche. A bordo, pescatori gentilissimi ci mostrano come tirare una lenza senza far scappare i pesci e ci spiegano quali sono le differenze tra una specie e l’altra….” D’Anna








    Caltabellotta

    (Cataviddotta in siciliano) è un comune italiano di 4.110 abitanti della provincia di Agrigento in Sicilia.

    Per la sua posizione geografica ed i suoi capisaldi territoriali, venne identificata da storici della levatura dell'Inveges, dal Boudrand e da Ottavio Gaetani, con l'antica città Sicana di Camico, sulle cui rovine sorse la greca Triocala. Triocala, deve il suo nome a tre doni di madre natura: la Rocca che la rendeva inespugnabile, l'abbondanza e la dolcezza delle acque e la fruttuosità ubertosa delle sue campagne. Triocala fu una potente città antica, ma la sua potenza massima fu raggiunta all'epoca di Salvio Trifone, che a capo di servi fuggitivi, installò in questa città la sua corte. Eresse un regale palazzo e regnò inespugnato fino al 99 a.C., quando il Console romano Aquilio, in una delle guerre servili, la rase al suolo. "Et mox servili vastata Triocala bello". Riedificata, subì ancora la sorte della devastazione per mano degli Arabi, i quali di eressero il "Castello delle querce, in arabo "Qual-At-Ballut" e, dal quale, come certamente si intuisce, discende l'attuale nome di Caltabellotta. Con il periodo Normanno, venne la fama, conquistata nel 1090 da Ruggero il Normanno, questi inflisse una dura sconfitta agli Arabi ed a perenne ricordo edificò sul monte un tempio in onore di San Giorgio con doppio ordine di colonnati, di cui oggi non rimane traccia. Caltabellotta fu città demaniale, appartenne al Conte Luna e, per atto dotale alla famiglia Moncada. Nel 1713, divenne Signoria di Giuseppe Alvarez Toledo e fino al XIX secolo ai suoi discendenti.

    Nell’agosto del 1302. dopo vent’anni di rivolta contro l’oppressore angioino. Federico III d’Aragona e Carlo II d’Angiò vennero a patti, vi sancirono la fine della Guerra del Vespro e vi firmarono quella che tutti i libri di storia ricordano come la Pace di Caltabellotta. Nel 1337 la con tea di Caltabellotta passò ai Peralta e nel 1400, col matrimonio tra Margherita Peralta ed Artale Luna, a quest’ultima famiglia, che divenne una delle più potenti di tutta la Sicilia, lino a quando il casato non si estinse. Nel 1572 la contea fu dei Moncada e nel 1713 degli Alvarez De Toledo. Nel 1624 Francesco Alliata costruì, proprio sulle rovine dell’antica città di Triocala. la borgata di S.Anna, mentre nello stesso periodo Luigi Moncada ed un gruppo di contadini caltabellottesi diedero vita, al di là del fiume Verdura, ad un borgo dal quale doveva originare in seguito l’attuale città di Ribera, Nel 1815 Caltabellotta, che apparteneva alla Val di Mazzara. passò alla provincia di Agrigento e nel 1848 partecipò alla rivoluzione ottenendo un suo rappresentante al Parlamento.

    Nel 1860 una squadra di “picciotti” caltabellottesi raggiunse Garibaldi a Palermo, partecipando alla liberazione della Sicilia dal giogo borbonico. Alla liberazione, purtroppo, seguì un lungo periodo di depressione economica funestato da miseria, clientelismo, arretratezza delle strutture agricole, carenza di giustizia pubblica e diffidenza verso la stessa, sfiducia verso lo Stato. Nel 1892-93 anche a Caltabellotta ci furono fermenti rivoluzionari di aggregazione ai Fasci dei Lavoratori Siciliani che insorsero contro il latifondismo, ma le agitazioni furono represse nel sangue proprio dal conterraneo di Ribera Francesco Crispi, allora capo del governo centrale. A causa di tutto ciò il territorio caltabellottese fu luogo di battaglia di banditi spesso protetti dalla popolazione locale che in parte li considerava eroi. Nelle grotte e nelle impervie campagne che furono del re-pastore Cocalo e degli Schiavi di Triocala, vissero e si rifugiarono a turno Vincenzo Craparo. verso la fine deI 1800, Paolo Grisafi “Marcuzzu" e la sua banda dal 1904 al 1915, e il famoso bandito Salvatore Giuliano che s i trascorse uno degli ultimi periodi della sua vita, prima di essere trovato ucciso nella vicina città di Castelvetrano.


    Sin dall'alba del cristianesimo Triocala fu la sede vescovile con il protovescovo San Pellegrino, il quale sbarcato a Capo Bianco, nella cosiddetta Piccola Cartagine, proveniente da Lucca di Grecia, quando giunse in questa città, sconfisse un mitologico dragone che dimorava in un antro nutrendosi giornalmente di un giovane pasto umano. Il Pellegrino, fece precipitare la bestia in un burrone e prese a dimora quella stessa grotta, fino alla fine del suo passaggio terreno, vivendo in santità. Con la conquista araba, la sede vescovile fu trasferita a Sciacca ed infine con i normanni ad Agrigento.

    La Guerra dei Vespri Siciliani, ebbe fine sul monte Castello, altrimenti conosciuto come il "Pizzo di Caltabellotta". Il 31 agosto dell'anno 1302, probabilmente nel castello del Pizzo, si firmò il trattato di pace, per il quale Federico III venne riconosciuto Re di Trinacria, con l'impegno a convolare a nozze con Eleonora d'Angiò, sorella diRoberto Re di Napoli, ponendo termine alla guerra del vespro.

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    AGRIGENTO - VALLE DEI TEMPLI La Valle dei Templi è uno dei siti archeologici più importanti al mondo. I templi si trovano ad Agrigento. La città è stata inizialmente fondata come colonia greca nel VI secolo aC e presto divenne un centro culturale importante. I templi in stile dorico nella valle sono stati tutti costruiti all'interno di un secolo. Essendo stato incendiato dai Cartaginesi nel 406 aC, gli edifici sono stati restaurati dai Romani (I secolo aC) nel rispetto della loro originale stile dorico. Il tempio solo per sopravvivere intatto è il Tempio della Concordia, che, nel VI secolo dC, fu trasformato in chiesa cristiana. Durante il Medioevo, in muratura è stato rimosso contribuire a costruire altri edifici, in particolare il Tempio di Zeus, conosciuto localmente come il Giant's Cave, fornito materiale per la chiesa di San Nicola e la parte del XVIII secolo del molo di Porto Empedocle. Tutti gli edifici fronte est, rispettando il criterio classico (greco e romano) che l'ingresso alla cella (Santo dei Santi), dove il dio era ospitata la statua potrebbe essere illuminato dai raggi del sole nascente, fonte e il sangue della vita. Costruito in tufo calcareo, i templi forniscono una impressionante vista particolarmente all'alba e ancora di più al tramonto, quando sono trasformato una calda tonalità di oro.

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    Il Tempio di Hera Lacinia (Giunone) si trova in cima alla collina ed è tradizionalmente dedicato al protettore del matrimonio e del parto. Costruito intorno al V secolo aC, è stato incendiato dai Cartaginesi nel 406 aC (la prova di combustione è ancora visibile sulle pareti della cella ). Il tempio è stato inizialmente costruito con 34 colonne di cui 30 sono ancora in piedi. A est è l'altare del tempio, mentre, sul retro del palazzo (accanto i passi), c'è una cisterna.

    .....


    Tempio della ConcordiaAgrigento%20-%20Tempio%20della%20Concordia Il Tempio della Concordia è uno dei templi meglio conservati dell'antichità e superstiti, di tutti i templi della valle, è l'unico a rimanere relativamente intatto, offrendo così una panoramica della maestosa eleganza e la simmetria degli altri buildings tali. Si ritiene che questo tempio è stato costruito intorno al 430 aC, ma non è chiaro a quale dio questo tempio fu eretto per. Il tempio prende il nome da un'iscrizione latina trovata nei pressi del tempio. Il tempio è un tipico esempio della raffinatezza architettonica nella costruzione del tempio noto come "correzione ottica": le colonne sono rastremate (sempre più stretta nella parte superiore in modo da apparire più alte) e hanno un entasi (una curva convessa molto lieve a circa due terzi della altezza della colonna, che contrasta l'illusione di concavità), ma sono anche leggermente inclinate verso l'asse centrale della facciata del tempio. Questo permette alla posizione di osservatore ad una certa distanza dal tempio di vedere una immagine perfettamente dritto. Il motivo per il tempio era rimasto intatto è dovuta alla sua trasformazione in chiesa nel VI secolo dC.



    Tempio di Eracle (Ercole) Agrigento%20-%20Tempio%20di%20Ercole
    Conforme allo stile dorico arcaico, il Tempio di Eracle (Ercole) è il primo del gruppo. La costruzione di questo tempio è stato completato durante la parte successiva del VI secolo aC. E 'stato costruito con 38 colonne, ma oggi solo l'8 rimanere in piedi. Il tempio era dedicato al leggendario Ercole, che è l'eroe nazionale della Sicilia e in particolare la città di Agrigento.



    Tomba di Terone Agrigento%20-%20Tomba%20di%20Terone
    Inizialmente la Tomba di Terone è stato creduto di essere la tomba del Therone tiranno, ma gli studi sembrano suggerire che questo era in realtà costruita per onorare coloro che coraggiosamente hanno combattuto e hanno perso la vita durante la seconda guerra punica. Realizzata in tufo, è leggermente piramidale in forma e probabilmente una volta era un tetto a punta. L'alto basamento sostiene un secondo ordine con false porte e colonne ioniche agli angoli.



    Tempio di Castore e Polluce (Dioscuri) Agrigento%20-%20Tempio%20dei%20Dioscuri
    Il Tempio di Castore e Polluce o dei Dioscuri è il vero simbolo di Agrigento. Questo tempio è stato costruito nel V secolo aC e fu dedicata a Leda e Zeus 'gemelli. Delle 34 colonne usato per fare questo tempio solo 4 rimanere in piedi.


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    Sambuca di Sicilia

    Zabut o il neologismo Sammuca in siciliano) è un comune italiano di 6.307 abitanti della provincia di Agrigento in Sicilia. Dista 89 km da Agrigento e 78 km da Palermo.

    Le origini del nome sono ancora incerte. Le principali storie: Sambuca come lo strumento musicale greco a forma di Arpa o l'impianto del centro storico del paese. Sambuca dalle piante di sambuco, diffuse in antichità nella valle del lago Arancio. Le origine della moderna Sambuca risalgono allo sbarco dei musulmani in Sicilia nel 827 e all'arrivo dell'Emiro Al Zabuth lo Splendido nel territorio. In tempi più remoti, l'area era abitata dagli Elimi e dai Sicani. Questi edificarono una città nell'altopiano di Adranon già nel IV secolo a.C. del quale rimane un sito archeologico e numerosi reperti di particolare valore. Nel 1863, al nome Sambuca venne aggiunto "Zabut" in onore del suo millenario fondatore. Di questo periodo rimane il Castello Zabuth ceduto prima alla famiglia Barberini di Monreale (1185) e poi alla famiglia Beccadelli di Camporeale (1570); solo nel 1666 il Casale assunse piena indipendenza. Intorno al 1800 a Sambuca si forma un simpatico gruppo di intellettuali, tra cui Emanuele Navarro della Miraglia. Il salotto letterario di questo piccolo centro da origini a discussioni sull'arte e la letteratura: sembra dal carteggio tra Navarro e Capuana che qui sia nato il verismo. Oggi a testimonianza della fervente e vivace borghesia del tempo rimane il teatro dell'800: gioiello in miniatura ancora attivo e funzionante. Il nome Sambuca Zabut fu cambiato in Sambuca di Sicilia nel 1923 in epoca fascista e con questo nome oggi è conosciuta.

    Lago Arancio in blue



    Sciacca

    è un comune italiano di 40.926 abitanti della provincia di Agrigento in Sicilia. La cittadina di Sciacca si trova sulla costa del Canale di Sicilia tra le foci del fiume Platani e Belice, a circa 65 metri sul livello del mare: ad est s’innalza il monte San Calogero alto 386 metri, alle cui falde scaturiscono, per un percorso di circa sei chilometri, le famose acque termali. È situata a forma di anfiteatro sul mare a mezzogiorno della Sicilia, di fronte all'isola di Pantelleria e Tunisi, a metà strada tra le rovine di Selinunte, Eraclea Minoa, ed Agrigento.

    LA STORIA DI UN PAESE INCANTATO

    Sciacca è una delle città di nota importanza tra le più rilevanti della Sicilia. La sua fama la deve ai suoi incantevoli monumenti, alle sue affascinanti storie, al buon popolo, alla sua antichità, il suo clima magnifico e la sua buona posizione presso il mar mediterraneo. Furono le terme selinuntine e l'Acquae Labados che hanno dato la qualità di far conoscere Sciacca come la città delle terme. Sciacca ha origini molto antiche e per insufficienza di scoperte è difficile porre una data precisa di fondazione. Per quanto riguarda il suo nome, i primi furono i greci che scoprendo le acque calde per impiego termale la nominarono "therma" poi a causa della varietà dei popoli giunti e di pronunzia fu detta Xacca poi Sacca ed in dialetto Sciacca, che è il suo nome attuale. Facendo presente, inoltre, che ci sono state delle attività per mutare il nome Sciacca in "Sciacca terme". Furono i Greci che per primi usufruirono delle acque termali e delle stufe vaporose di monte Kronio formando la prima cittadina.Distrutta Selinunte (409 a.C.) da parte dei cartaginesi i superstiti cercano rifugio ad Agrigento e a Sciacca portando quindi l'incremento della popolazione e delle attività commerciali. Dopo la prima guerra punica (264-241 a.C.) la Sicilia passò sotto il dominio di Roma, in quel periodo a Sciacca si formò la più importante stazione postale dell' isola e dal porto partivano continuamente navi cariche di grano per munire tutto l'impero. Sciacca subì anche gli attacchi barbariche, che successivamente sconfitti dai generali Giustiniano la Sicilia, ormai libera, passa sotto il dominio Bizantino. Nel periodo del dominio di Bisanzio vi fu una presenza di monaci eremiti fra cui San Calogero che, dopo aver cristianizzato in diversi paesi della Sicilia, si fermò a Sciacca in vita eremitica in una grotta di monte Kronio (detta anche S.Calogero) ancora oggi venerata.Dopo tre secoli di dominio bizantino la Sicilia passa, dopo una lunga guerra tra musulmani e bizantini, sotto il dominio arabo e seguì quello normanno.In questi due periodi Sciacca vede crescere un grande livello commerciale e la costruzione di palazzi, monumenti, piazze, chiese e le prime mura che racchiudevano tutta la città contro gli attacchi esterni. Seguì un periodo Svevo; poi scoppiata la guerra del Vespro seguì un periodo Angioino, un periodo Aragonese e poi la dominazione Spagnola che in questo periodo avveniva il "caso di Sciacca". Il "caso di Sciacca" fu una, secolare, lotta sanguinosa che vedeva in contrasto la famiglia dei Luna (Catalana) e quella dei Perollo (Normanna) in conflitto per un amore segreto di Giovanni Perollo per Margherita (potente Fam. Peralta) sposata con Don Artale Luna ma, anche per interessi politici ed economici. La fine del "caso di Sciacca" giunse con un violente attacco da parte di Sigismondo Luna uccidendo Giacomo Perollo e gran parte dei suoi fedeli. Dopo la dominazione spagnola vi fu la volta del regno dei borboni.Il' 13 maggio del 1860 a Sciacca arrivò la notizia dello sbarco dei Mille da parte di Garibaldi a Marsala, vi fu una grande manifestazione in tutta la città e molti giovani saccensi partivano in aiuto a Garibaldi, cadeva così il regno dei borboni e si ebbe la proclamazione del Regno D'Italia.Nel 1875 grazie alla scoperta di banchi di corallo Sciacca vedeva potenziare l' economia.Si risentirono molto le guerre mondiali come daltronde tutte le città italiane, poi migliorò di passo fino ad oggi, mettendosi sempre in avanguardia in campo socio-economico-culturale.

    CASTELLO LUNA

    Il castello dei Luna fù costruito nel 1380 da Guglielmo Peralta. Passò in mano dei Luna quando Margherita, una delle tre figlie di Nicolò Peralta (figlio di Guglielmo), sposò il conte Artale di Luna. Sorge imponente dentro le vecchie mura nella parte orientale della città. Il castello era protetto da una cinta di mura alte e massicce. All'interno delle cinta si alzava il mastio, una torre quadrangolare con la funzione di sorvegliare il territorio sia esterno che interno del castello.Sempre all' interno del perimetro delle cinta c'è una torre cilindrica e il palazzo del conte per l'abitazione del conte con la sua famiglia e la servitù. L'ingresso era situato a nord e munito di ponte levatoio,si accedeva nel cortile dove erano poste le scuderie i locali degli uomini d'arme e una cappella dedicata a S. Gregorio. Questo castello è rimasto integro fino al 1740 anno in cui una violenta scossa di terremoto lo danneggiò gravemente. Al castello Luna è legato il Caso di Sciacca scontro sanguinoso fra due famiglie nobili Luna e Perollo.

    CASTELLO PEROLLO

    Il Castello dei Perollo fù costruito intorno al 1067 dal Conte Ruggero. Passò ai Perollo nel sec. XII quando la contessa Giulietta, figlia del conte Ruggero, sposò Gilberto Perollo. Il castello era nella parte orientale della città compreso dentro le antiche mura difensive. Era un' imponente costruzione merlata ed era sorvegliata da quattro torri angolari. Il castello aveva tre entrate due dentro le mura difensive della città e una fuori rivolta ad oriente. Si pensa che il castello disponeva anche di passaggi sotteranei che sarebbero serviti ad eventuali evaquazioni. Il castello dei Perollo è legato al famoso caso di Sciacca che, nel 1529, ne comporto la distruzione della struttura da parte di Sigismondo Luna rivale di Perollo. Di questa struttura attualmente non rimane altro che una porta ad arco che riporta lo stemma dei Perollo.

    CASTELLO INCANTATO

    Il "Castello Incantato" sorge nella parte occidentale della città a pochi chilometri dal centro.E' una vasta area di campagna dove lo scultore Filippo Bentivegna detto "Filippu testi" ha cosparso tra alberi di ulivi e mandorli sculture di teste scolpiti nella roccia o sui tronchi d'albero.Nella parte alta del podere Bentivegna ha scavato profonde cunicoli che danno l'apparenza di labirinti. Al centro del podere sorge la piccola casa dove viveva Bentivegna, nelle pareti vi sono alcuni dipinti che raffigurano grattacieli e pesci. Questo posto così incantato con aria misteriosa è sempre stato, negli anni, una meta obbligatoria per i turisti che soggiornano a Sciacca.





    LAMPEDUSA

    lampedusa

    La Riserva Naturale Isola di Lampedusa (Comune di Lampedusa) si estende per circa 320 ettari lungo un tratto incontaminato di costa nella parte meridionale dell'omonima isola Arcipelago delle Pelagie). La riserva è stata individuata come Zona di Protezione Speciale (ZPS) e come Sito d'Importanza Comunitaria (SIC) per la presenza di specie animali e vegetali ed habitat rari minacciati di estinzione. Nel 2002 è stata istituita l'Area Marina Protetta Isole Pelagie >>>

    ... L'isola di Lampedusa dista 138 chilometri dalle coste della Tunisia e 215 km dalla Sicilia. Costituisce un tratto affiorante della piattaforma africana ed è costituita da strati calcarei di rocce sedimentarie che si sono formate durante il Miocene medio-superiore. Lampedusa è la più estesa delle tre isole Pelagie, ha un'estensione di quasi 20 chilometri quadrati, un perimetro di 26 chilometri ed una popolazione di circa 5.000 abitanti.
    E' un gioiello naturale dove la vita marina si intreccia con quella terrestre, grazie allo straordinario fenomeno della riproduzione delle tartarughe marine. Sulla fine Spiaggia dei Conigli questi rettili marini depongono, silenziosi nelle notti di inizio estate, centinaia di uova, che si schiudono solo dopo alcuni mesi. Quest'isola ospita altri rettili preziosi come il congilo e il rarissimo Psammodromus algirus, una piccola lucertola ritrovata soltanto nella minuscola Isola dei Conigli. Questa minuscola isoletta, separata da Lampedusa da un breve braccio di mare, ospita anche una ricca colonia di gabbiani.
    Ma Lampedusa - la Lapadusa dei latini - è anche terra calcarea di piante rare ed endemiche, spesso nascoste tra le rocce dei profondi valloni che si aprono lungo le coste, e di passo per migliaia di uccelli in migrazione. E' terra di pescatori e di case dai colori tenui, ma a volte accesi, che regolano con intelligenza l'assorbimento del calore del sole cocente.


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    Lampedusa Informazioni su Lampedusa.
    Sull'Isola di Lampedusa si ha la sensazione di essere fuori dal mondo ed allo stesso tempo di stare nel suo baricentro.
    Qui il tempo e la vita acquistano un significato diverso: lo stress, la frenesia della civiltà, lasciano il posto all’immersione in una società dove la natura ed i rapporti umani non sono stati corrotti dalla modernità. La tecnologia dei nostri tempi ha tuttavia distrutto le distanze, aerei, aliscafi, telefoni ed internet tengono il mondo a portata di mano.
    Caratteristiche sono le case, i cosiddetti "dammusi", in pietra locale, che si ispirano alla cultura architettonica araba.
    La costa offre sia spiagge di finissima sabbia bianca, che cale rocciose e ripide falesie inaccessibili dal mare., vero paradiso per gabbiani, falchi e cormorani, offrono uno spettacolo mozzafiato per la loro bellezza selvaggia. Il calcare e la dolomite sono le rocce che connotano il terreno


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    .... Le tartarughe di Lampedusa ..... Lampedusa è un’isola che amo moltissimo. C’è tutto ciò che cerco nello sguardo di una donna. Bellezza è una parola talmente piena che non significa nulla, una parola dal contenuto talmente vasto che se gli occhi non vedono le parole non possono.

    Andateci a Lampedusa. Ho fatto il giro dell’intera isola in motorino e ci ho messo 25 minuti: qui tutto è breve, rilassante e i suoi quattro mila abitanti vivono al ritmo tipico di chi non ha da andare da nessuna parte perché ha già tutto a portata di mano.

    I ristoranti sono rinomati per il cous cous di cernia. Il cous cous, tipico delle regioni nord africane, è un piatto che da solo non ci sa e non ci vuole stare, solitamente fa da accompagnamento a qualcosa di forte, di speziato, qualcosa che se il palato potesse parlare definirebbe “duro come il sole”. E che questi isolani han deciso di accompagnare ad un pesce invece delicatissimo. Una rivoluzione culinaria decisamente riuscita.

    Andateci a Lampedusa. L’isola dei conigli, gestita in modo encomiabile da Lega Ambiente, che proprio su quelle sabbie fan deporre le uova alle famose tartarughe “Carretta Carretta”, merita di essere vista. Poi tante cale e calette. Bellissima è quella chiamata “Pulcino”, raggiungibile solo al termine di una mozzafiato discesa da ripidi scogli.

    A Cala Madonna, invece, i ragazzi della Lega liberano le tartarughe che loro stessi hanno preso in cura per qualche tempo. La maggior parte delle volte perché son rimaste impigliate in qualche rete o hanno inghiottito qualcosa di strano.

    A proposito: ci vuol poco a non lasciare i mozziconi delle sigarette sulla spiaggia. Mozziconi che, trascinati poi dalle correnti marine, finiscono per esser mangiati dalle inconsapevoli creature. Che spesso terminano così la loro esistenza: soffocate dalla nostra incuria.

    Quelle che si salvano sono poi liberate a Cala Madonna. E l’avvenimento viene lungamente pubblicizzato giorni prima su tutta l’isola.

    Le tartarughe vengono tolte dal buio delle ceste che le hanno “custodite” nel breve tragitto dal ricovero alla spiaggia. E i loro protettori spesso fanno sì che gli animali, appena mettono fuori il muso, il mare non lo vedano. Per dimostrare che, pur non vedendolo, lo sanno raggiungere.

    Quella volta ce n’erano quattro e presero tutte la direzione del mare nello stesso momento. Lentissimamente zampettando, con quel buffo e dolce ondeggiare di testa rugosa.

    E quando lo raggiunsero, il loro portamento flemmatico, quasi indolente, si trasformò in un’immersione fulminea. Le vidi sparire tra le onde, per riemergere a qualche metro di distanza quasi contemporaneamente, a prendere una sana boccata di ossigeno, per poi nuovamente sparire.

    La gente, abbarbicata sugli scogli, applaudiva e io, a dire il vero, un po’ mi son commosso. Per loro, le tartarughe, che si son salvate, ma anche per le persone, meravigliose, che hanno preso a cuore i loro destini e per la gente che, felice, applaudiva. E perché ho scoperto di sapermi commuovere.


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    Sbarcati a Lampedusa”: l’avventura continua
    Il mare intorno a Lampedusa è l’affascinante dimora di delfini, tursiopi e balene. In questi giorni stiamo conoscendo sempre più questi animali. Gli incontri ravvicinati con alcuni esemplari e le lezioni del dottor Celona e della dottoressa Comparetto, di giorno in giorno, fanno crescere in noi la meraviglia verso gli abitanti delle acque e, allo stesso tempo, l’amarezza verso l’uomo che continua a distruggere i loro ecosistem


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    GROTTE A CALA PISANA

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    RIFLESSI DI TRAMONTO

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    VEDUTA DELL'ISOLA DEI CONIGLI

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    GROTTA PARADISE

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    GROTTA CALA PULCINO

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    GROTTA DELL'ELEFANTE

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    Cala Francese

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    Veduta di Cala Croce

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    Mare Morto (ma non troppo)

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    Cala Madonna e le tartarughe

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    Madonna sott' acqua

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    Porticciolo turistico

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    Capo Ponente (Scoglio Vela)

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    Veduta in lontananza di Punta Sottile

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    LAMPEDUSA Veduta della Tabaccara

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    Scogliera Nord

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    Capo grecale ( Il faro )

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    LAMPEDUSA.Tramonto a ponente

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    Natura incontaminata

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    LINOSA





    Linosa (AG) è la seconda isola per dimensione delle tre che compongono l'arcipelago delle Pelagie (Lampedusa,Linosa,Lampione). Ha, infatti, una superficie di poco più di 5 kmq, lunga 3,4 km e larga 2,7 km. Forma con Lampedusa, la maggiore delle tre isole dell'arcipelago, un'unico Comune (5.626 ab.) della provincia di Agrigento , di cui ne è anche una frazione.




    Linosa è ubicata a 42 km a NE di Lampedusa. D'origine vulcanica, Linosa, era già nota ai tempi del greco Strabone. Plinio il Vecchio la cita nella Naturalis Historia come Aethusa, Αιθουσσα e Algusa, Αλγουσσα in greco. Il nome Lenusa appare nel XVI secolo ad opera del domenicano Tommaso Fazzello. Tuttavia anche se fino al 1839 si hanno notizie frammentarie sulla storia dell'isola è certo che trovandosi al centro del Mediterraneo era rifugio e punto di riferimento per le navi Fenici, dei Saraceni, dei Romani e dei Greci che navigavano nel "Mare Nostrum".



    Il ritrovamento di numerose cisterne scavate nella superficie lavica di tipica derivazone romana, così come numerose monete ritrovate durante recenti scavi, fanno ritenere che i Romani avessero creato un insediamento stabile e che durante le guerre puniche l'isola fosse punto di approdo e rifornimento per l'esercito di Roma. Nei secoli seguenti, verosimilmente, divenne punto di riferimento anche per le scorribande degli arabi e dei feroci saraceni. Attorno a Linosa vi furono anche numerosi scontri navali e tanti sono i relitti che giacciono sui fondali. Benchè saccheggiati per anni dai subacquei, capita ancora oggi che nelle reti dei pescatori, vengano recuperate ancora intatte anfore, scodelle, ancore, o quant'altro materiale fosse stivato a bordo delle navi.



    Nella metà del XIV sec., mentre in tutta la costa della Sicilia si eregevano torri di avvistamento per contrastare le continue scorribande dei pirati, Linosa divenne un vero punto strategico nelle rotte dei pirati in quanto diviene non solo deposito dei tesori e dei bottini razziati, ma punto di smistamento dei prigionieri deportati.



    La flotta dei pirati era composta dagli sciabecchi, navi di ottima manovrabilità e particolarmente adatte al combattimento, che consentiva loro di arrivare velocemente nel luogo prescelto per l'assalto. Lo scopo era quello di raccogliere quanto più oro possibile e deportare uomini, donne, bambini, da vendere come schiavi nei mercati del Nordafrica.



    Successivamente alla sconfitta dei turchi, l'isola rimase disabitata per quasi due secoli, anche se nel 1630 Giulio Tomasi avo di Giuseppe Tomasi, autore del "Gattopardo", venne insignito da Carlo II di Spagna del titolo di principe di Lampedusa. Le notevoli risorse economiche necessarie al recupero delle due isole di Lampedusa e Linosa, costrinsero i Tomasi a chiedere un congruo finanziamento ai Borbone minacciando in caso contrario di vendere l'isola agli Inglesi interessati all'acquisto per ovvie ragioni strategiche finalizzate a farne una base militare. La richiesta di vendita venne ufficializzata a Ferdinando II - re delle due Sicilie, che negò fermamente l'autorizzazione, ma anzi per un prezzo di 12.000 ducati, nel 1839 le riacquistò intenzionato a trasformarle in colonie agricole.



    Il nome Linosa invece nasce nel 1845 in quanto usato dal cavaliere Bernardo Maria Sanvinsente. In quell'anno il governo borbonico decise di colonizzare Lampedusa e Linosa emanando un bando tra i sudditi del Regno delle due Sicilie con il quale si cercavano volontari disposti a trasferirsi nelle due isole promettendo loro l'utilizzo di tutto il terreno coltivabile e una rendita per cinquanta anni di 3 tarì al giorno. Vi aderirono alcune famiglie provenienti da Ustica, Agrigento e Pantelleria accompagnati dal capitano di fregata Bernardo Maria Sanvisente (Bernardo Maria Sanvisente prende possesso delle isole di Lampedusa e di Linosa con la carica di «governatore di S.M. Ferdinando Il di Borbone, re del regno delle Due Sicilie, gran principe ereditario di Toscana, duca di Parma, Piacenza,Castro” ecc. ecc. (1810-1859). Come primo atto conferma agli enfiteuti, Gatt di Malta Fernandez, le sentenze di revoca già notificate nel 1839. Sanvisente si era imbarcato a Palermo il 18 settembre a bordo del Piroscafo Rondine con le istruzioni del re di costituire Lampedusa e Linosa in «colonia della real Casa di Borbone e di “costituirvi la novella ne con lo incivilimento del nuovo paese da edificarsi (cfr. Sanvisente, 1849). Giunto a Girgenti (Agrigento) il 19 settembre, prosegue per Lampedusa il 21 settembre insieme con il vapore L'Antilope recando con sé autorità ecclesiastiche e amministrative, gente di varie arti e mestieri con autorità di guardie urbane e sanitarie, un distaccamento militare al comando di un ufficiale. Le navi arrivano a Lampedusa alle ore 13 dei giorno seguente e colte da 24 maltesi, capeggiati da un certo Fortunato Frenda «che sposato una figlia di Salvatore Gatt. Pochi giorni dopo i maltesi, a eccezione di qualcuno, lasciano l'isola per tornare a Malta e Fortunato Frenda si trasferisce con la famiglia sulla costa tunisina, il 6 marzo 1844. Inizia cosi la felice colonizzazione borbonica delle due isole).



    Il 25 maggio 1845 le famiglie volontarie che aderirono all'editto ed il capitano B.M. Sanvisente sbarcarono sull'isola di Linosa cominciando ad abitarla ed effettuando i primi lavori edili come la costruzione di una Chiesa, eretta subito dopo lo sbarco e l'inizio delle nuove abitazioni.



    L'ambiente che li circondava si rivelò più ostile del previsto. Alla mancanza di abitazioni si supplì con dei ripari scavati nelle rocce in tufo, pur essendo costantemente minacciati dalla presenza di innumerevoli topi.

    L'esistenza delle antiche cisterne romane che vennero immediatamente ripristinate togliendo tutta la terra accumulatasi, favorì la raccolta e la riserva di acqua piovana. Inoltre, le forti ed abbondanti piogge di quell'anno provocarono diversi smottamenti del terreno che fortunatamente riuscirono a debellare anche l'infausta presenza dei tanti roditori presenti nell'isola.



    Con l'unità d'Italia del 1861 anche i Savoia purtroppo non mantennero le promesse di aiuti fatte dai Borbone. Ma i linosani lasciati ancora più soli a fronteggiare una situazione prossima alla tragedia, reagirono con una forma di eroismo primitivo. Dal primo nucleo di poche decine di persone, grazie ai matrimoni tra gli stessi membri e con individui provenienti dalla terraferma la popolazione pian piano si è ingrandita, fino a raggiungere l'attuale numero che si aggira intorno ai 500 abitanti.



    Nei primi del '900 i Linosani vennero ricordati solo in occasione delle due grandi guerre con la chiamata alle armi. Negli anni sessanta Linosa comincia a cambiare volto. Arrivano le prime innovazioni tecniche accompagnate da uno sviluppo turistico. La SIP (oggi Telecom) installa nel 1963 la prima centrale telefonica. Nel 1967 entra in funzione una centrale elettrica. Nel 1968 viene realizzato l'asilo infantile, con le scuole elementari e medie. Nel 1973 viene costruito il primo dissalatore e nel 1976 approda sull'isola la RAI che installa un ripetitore e quattro anni dopo anche Mediaset.



    Nel 1984, dopo tanti anni di trasbordi effettuati con non poco disagio mediante l'uso di barche in un mare non sempre calmo, la nave traghetto Paolo Veronese effettua il primo attracco in banchina allo Scalo Vecchio. Vengono realizzati altri due moli di attracco: Mannarazza e Pozzolana di Ponente che consentono lo scalo dei passeggeri e lo scarico delle merci quando il vento investe l'approdo principale. Nel 1986 iniziano i lavori per il nuovo dissalatore che fornirà acqua potabile e nel 2002 entra in servizio l'aliscafo sulla tratta Porto Empedocle, Linosa, Lampedusa.

    Linosa, é incantevole e capace di farsi amare da chi é amante della natura, dell'ambiente e soprattutto del mare.



    Selvaggia é la sua bellezza. Linosa, non colpisce solo per i suoi meravigliosi fondali, sicuramente tra i più belli d'Italia se non del mondo, ma anche per i colori del suo paesaggio tutto da ammirare. L'isola anche per le sue dimensioni, è a portata d'uomo e da un gran senso di libertà. La sensazione principale che potrete provare è quella di essere fuori dal mondo. Infatti, bastano solo pochi giorni per farvi dimenticare anche in che giorno vi trovate.



    Linosa, ospita una grande comunità di uccelli "Berta Maggiore" nonché la tartaruga "Caretta Caretta" entrambe a rischio estinzione. Il 21 ottobre 2002, con decreto del Ministro dell'Ambiente, è stata istituita l'Area Marina Protetta "Isole Pelagie".
    Linosa, ancora oggi é rimasta in perfetta armonia con l'ambiente ed un territorio da esplorare.




    Cala Croce (la spiaggia)

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    MANDORLO IN FIORE





    La candida fioritura dei mandorli annuncia nella Valle dei Templi il ritorno della primavera. Agrigento centro geografico e storico del mediterraneo, diventa anche il fulcro della concordia e della cultura dei popoli. Lo spirito di gioia, pace e fratellanza che aleggia nell'antica Akragas durante la Sagra del mandorlo in fiore supera ogni barriera ideologica o razziale.



    Un appuntamento che si ripete da oltre mezzo secolo e che è diventato un punto di ritrovo tra i popoli della terra. Storia, folklore ed arte, si fondono armoniosamente durante una delle feste folkloristiche più famose del mondo. La Sagra del Mandorlo in Fiore nasce nel 1934 a Naro da un'idea del Conte Dott. Alfonso Gaetani, lo scopo era quello di esaltare la primavera agrigentina regalando una giornata di festa e spensieratezza a tutti i contadini della Valle del paradiso.



    Durante la giornata dedicata alla festa tutto si fermava e sembrava che la "valle del Paradiso" (la valle sottostante il paese di Naro) fosse incantata dalla nube bianca dei fiori di mandorlo, una magia che si ripeteva ogni anno in primavera. In seguito la festa si trasferì ad Agrigento, dove avrebbe potuto avere una maggiore risonanza, e mostrare questo splendido spettacolo a tutta l'intera provincia agrigentina. La città di Agrigento adottò molto volentieri la Sagra del Mandorlo in Fiore.

    Durante il trascorrere degli anni la Sagra allargò i suoi orizzonti raccogliendo sotto lo splendido scenario della Valle dei Templi i popoli di tutte le razze e culture. L'inizio della Sagra è molto suggestivo e riguarda la cerimonia della Fiaccola dell'amicizia che consiste nell'accensione del tripode dell'amicizia, posto dinnanzi il tempio della Concordia, alla presenza dei rappresentanti di tutti i popoli partecipanti alla Sagra.








    Il centro storico di Agrigento è formato da tante piccole viuzze e cortili che somigliano molto a quelli che si possono ammirare nelle città del nord Africa. Lungo il percorso si possono visitare le numerose e caratteristiche edicole sacre e decine di chiese.

    Quest’ultime frutto di stili di costruzione a volte totalmente diversi contengono all’interno dei veri e propri tesori di arte sacra molto speso sconosciuti al grande pubblico. Tra questi all’interno delle chiese si possono visionare numerose opere del Serpotta e del Gagini. Caratteristiche e pregevoli le chiese dell’Addolorata e di San Francesco di Paola, ubicate nel popolare quartiere Rabato, di San Giuseppe, San Domenico, Dell’Itria o San’Alfonso, dell’Immacolata e della Madonna degli Angeli costruita sui resti di un tempio.

    Nel cuore vecchio della città esistono ancora piccole osterie dove si mesce il vino e si servono sarde salate ed olive schiacciate. Particolare è conosciuta e quella dei Carapezza nella via Zuppardo, traversa di via Garibaldi, nel centro del Rabato.


    ERACLEA




    Eraclea Minoa, zona balneare del comune di Cattolica Eraclea da cui dista 3 Km circa, situata nell’omonimo golfo Tra Capo Bianco e Torre Salsa.
    Il bianco accecante della montagna, il verde di una bellissima pineta, l'azzurro del mare che bagna una spiaggia di sabbia finissima, sono la cornice di incomparabile bellezza in cui si è immersi ad Eraclea Minoa.
    La zona archeologica si trova su Capo Bianco, i resti della città greca di Eraclea Minoa occupano un luogo magnifico sul bordo di una collina solitaria sul mare.
    Ai suoi piedi, la costa apre nella lunga e bianchissima spiaggia di Capo Bianco, coronata da una bella pineta. Prima di giungere agli scavi, sulla destra, le bianche "dune" di roccia (la marna, una miscela di argilla e calcare "pulita" dai fenomeni di erosione) modellata dal vento richiamano la parete che chiude il Capo ad est.
    Se amate la natura, il mare e l'archeologia, Eraclea rappresenta un tesoro tutto da scoprire.





    SCALA DEI TURCHI





    "Sono rimasta senza parole dinanzi al paesaggio che domenica mi si è presentato dinanzi: questo scorcio che si può ammirare dalla foto qui in basso non rende adeguatamente ma è lo stesso un assaggio di un angolo della mia terra. Uno dei tanti posti che ancora nemmeno io conosco e che piano piano scopro con entusiasmo. Si tratta della Scalata dei turchi in provincia di Agrigento, una scogliera candida, come panna montata che degrada verso lacqua azzurrissima del canale di Sicilia.



    Tanti gradini che raccontano una storia, candore accecante, luce e leggenda, secondo cui i corsari saraceni, dopo aver ormeggiato le loro navi nelle acque protette dalla Scala, si arrampicarono tra le insenature raggiungendo la cima della scogliera. Poi razziarano beni di ogni sorta dai villaggi del luogo.



    Non sarà vero ma è comune pensare che fu così. Io non lo so, ma so che val la pena affacciarsi dalla cima di queste terrazze e sentire un profumo intenso di vento, ammirare lo spazio immenso del blu confuso tra cielo e mare, sembra che allimprovviso si possa spiccare il volo e unirsi al battito dali dei gabbiani. Lo dico io che in genere di fronte ai grandi spazi avverto un senso di smarrimento, ma non è stato così, non questa volta, sarei rimasta ore dinanzi allo spettacolo, forte io, forte e muta dinanzi un paesaggio per il quale vale più il silenzio che mille parole.." Anonimo














    PORTO EMPEDOCLE

    porto-empedocle





    L’aria sapi di zagara e di gelsumini ‘nciuri..
    Unni sugnu natu iù..ancora la genti canta…
    Ammenzu a milli prublemi.. non perdi mai la spiranza..
    Unni sugnu natu iù c’è tantu ‘ca non và..
    Ma c’e’ genti chiù cuscienti di canciari a società..

    Poi abbasta lu cori ranni di ‘nsulu c...ristianu…
    Pì diri a lu munnu ‘nteru chistu è lu Sicilianu…

    Unni sugnu natu iù.. t’arrusbigghiunu l’aceddi..
    e la sira poi co scuru ancora si vidunu li stiddi..
    c’e na luna ca t’arridi.. ranni e china di lustrura..
    dà sugnu natu iù.. na la Sicilia.. la mo terra…”

    "Unni sognu natu iù.." Dal fan Fabrizio Ragonesi


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    S. Stefano Quisquina


    Il Paese si trova nella maestosa e amena valle del Magazzolo. Sorge a 732 metri sul livello del mare e dista 73 chilometri da Agrigento. Il territorio ricco di acque e di terre fertili ha subito diverse dominazioni e civiltà (sicane, musulmane, normanne, austriache e spagnole), ma i primi dati certi risalgono al 1729 quando il paese venne dedicato a S. Stefano, probabilmente perché l’area è coronata da monti, dal greco “STEFANOS” che vuol dire corona.

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    Prima della sua fondazione, alcuni documenti attestano l’esistenza di un casale Sancti Stephani appartenuto, già nel X secolo alla famiglia Sinibaldi. Il primo signore di Santo Stefano, di cui sappiamo il nome, fu Giovanni di Caltagirone, che visse ai tempi del regno di Federico II di Aragona (1296-1337). A Giovanni successe il figlio Nicola, che viene ricordato per avere edificato un fortilizio a protezione del nuovo casale. Ad Antonio Caltagirone seguirono Giovanni e Ruggero Sinibaldi. Quest’ultimo si ribellò al re Martino d’Aragona ed i suoi beni furono confiscati e devoluti alla Reale Corona. Ruggero Sinibaldi era sposo di Maria Guiscarda, parente di Ruggero II, re dei Normanni. Dal loro matrimonio nacque Rosalia, proclamata santa e patrona del paese. Nel 1396 divenne signore del paese Guiscardo de Agljs. Questa famiglia mantenne il potere in città sino al 1504 quando l’ultima erede, Giovanna, andò in sposa a Giovanni Larcan e i Larcan divennero i nuovi baroni del territorio. Nel 1549 Vincenzo Larcan vendette la baronia e gran parte dei suoi beni al Protonotaro del Regno di Sicilia, Alfonso Ruiz, che fece dono della baronia alla madre Elisabetta nel 1574. Essendo, questa, moglie di Carlo Ventimiglia, nel 1599 ogni diritto transitò alla famiglia Ventimiglia e Pietro Ventimiglia (figlio di Elisabetta e Carlo) fu investito della baronia il 16 settembre 1599. Intanto il casale andava trasformandosi in un vero paese. I Ventimiglia dominarono a lungo, sopravvissero anche ad eventi luttuosi. Il paese ebbe un particolare sviluppo sotto Giuseppe Emanuele Ventimiglia.

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    Assunse definitivamente la denominazione di S. Stefano Quisquina il 4 gennaio 1863. Sono da visitare le belle costruzioni del Settecento e in particolare e la Chiesa Madre del XVI secolo dedicata a S. Nicola di Bari che conserva un Crocifisso ligneo intagliato, la Chiesa del Santuario di Santa Rosalia, posto in luogo ameno, ricco di vegetazione e situato tra i monti Cammarata e delle Rose. Insigni sono le architetture urbane come il Palazzo Baronale dei Ventimiglia del 1745

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    e la splendida Fontana del XVIII secolo sita in piazza Castello.
    Il territorio è, in gran parte, adibito a pascolo. Non manca l’attività artigianale.

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    Festa di San Calogero


    San Calogero a S. Stefano Quisquina si festeggia la sera del 17 e il 18 giugno. Dopo il Vespro il simulacro del Santo è portato a spalla dai fedeli dalla Chiesa Madre fino alla caratteristica chiesetta in cima al monte omonimo distante 3 km dal paese, preceduta da una lunga schiera di ragazzi che recano delle improvvisate fiaccole di disa (ampelodesma). All’arrivo in cima ai pellegrini viene offerto del pane benedetto di svariate forme, ricotta, patate bollite, uova sode e vino. I devoti pernottano sul pizzo ed al mattino seguente la processione ritorna in paese, dove continuano i festeggiamenti.

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    ll termine Calogero, di origine greca, significa “bel vecchio”. L’uso di questo termine venne applicato in Oriente e nel Sud Italia ai monaci eremiti, che vennero chiamati così ‘calogeri’, pertanto alcuni studiosi pensano che il nome del santo eremita Calogero non fosse questo, ma bensì l’appellativo con cui veniva riconosciuto; altri studiosi comunque sono convinti che fosse proprio il suo nome. Secondo la tradizione, giacché mancano documentazioni certe, Calogero nacque verso il 466 a Calcedonia sul Bosforo, una cittadina dell’antica Tracia, che nel 46 d.C. divenne provincia romana e che poi seguì le sorti dell’impero bizantino; fin da bambino digiunava, pregava e studiava la Sacra Scrittura e secondo gli ‘Atti’ presi dall’antico Breviario siculo-gallicano, in uso in Sicilia dal IX secolo fino al XVI, egli giunse a Roma in pellegrinaggio, ricevendo dal papa Felice III (483-492), il permesso di vivere in solitudine in un luogo imprecisato. Qui egli ebbe una visione angelica o un’ispirazione celeste, che gli indicava di evangelizzare la Sicilia; tornato dal papa ottenne l’autorizzazione di recarsi nell’isola, con i compagni Filippo, Onofrio e Archileone, per liberare quel popolo dai demoni e dall’adorazione degli dei pagani. Calogero si fermò durante il viaggio a Lipari, nelle Isole Eolie, dove su invito degli abitanti si trattenne per qualche anno, predicando il Vangelo ed insegnando loro come ricevere i benefici per i loro malanni. In seguito ad altra visione, Calogero lasciò Lipari per sbarcare in Sicilia a Syac (Sciacca), chiamata dai romani ‘Thermae’ per i bagni termali; convertì gli abitanti e poi decise di cacciare per sempre “le potenze infernali” che regnavano sul vicino monte Kronios, consacrato al dio greco Kronos, che per i romani era il dio Saturno. Sul monte Giummariaro, altro nome derivante dagli arabi che lo chiamarono monte “delle Giummare”, dalle palme nane che crescevano sui suoi fianchi e che poi prese il nome di Monte San Calogero, come oggi è conosciuto insieme al nome Cronio, il santo eremita prese ad abitare in grotte e spelonche e intimò ai demoni di lasciare quei luoghi. Gli ‘Atti’ dicono che il monte sussultò fra il fragore di urla e poi tutto si quietò in una pace di paradiso; Calogero si sistemò in una grotta adiacente a quelle vaporose, che come a Lipari. In detta grotta vi è murata sulla roccia, l’immagine in maiolica di s. Calogero, posta sopra un rustico altare, che si dice costruito da lui stesso; l’immagine è del 1545 e rappresenta l’eremita con la barba che tiene nella mano destra un libro e un ramo-bastone, ai suoi piedi vi è un fedele inginocchiato e una cerbiatta accasciata e ferita da una freccia. L’immagine si rifà ad un episodio degli ultimi suoi giorni, essendo ormai ultranovantenne, egli non riusciva più a cibarsi, per cui Dio gli mandò una cerva, che con il suo delicato latte lo alimentava; un giorno un cacciatore di nome Siero, scorgendo l’animale, prese l’arco e trafisse con una freccia la cerva, la quale riuscì a trascinarsi all’interno della grotta di Calogero, morendo fra le sue braccia. Il cacciatore pentito e piangente, riconobbe nel vegliardo colui che l’aveva battezzato anni prima, chiese perdono e Calogero lo portò nella vicina grotta vaporosa, dandogli istruzioni per le proprietà curative di quel vapore e delle acque che sgorgavano da quel monte. Il cacciatore Siero, divenuto suo discepolo, salì spesso sul monte a visitarlo, ma 40 giorni dopo l’uccisione della cerva, trovò il vecchio eremita morto, ancora in ginocchio davanti all’altare; secondo la tradizione era morto nella grotta fra il 17 e il 18 giugno 561 ed era vissuto in quel luogo per 35 anni. Diffusasi la notizia accorsero gli abitanti delle cittadine vicine, che lo seppellirono nella grotta stessa, poi trasferito in altra caverna di cui si è persa la memoria lungo i secoli. C’è da aggiungere che le reliquie del santo, secondo una tradizione, erano state successivamente trasferite in un monastero a tre km dalla grotta, nel 1490 furono traslate a Fragalà (Messina) dal monaco basiliano Urbano da Naso e poi nell’800 a Frazzanò (Messina), nella chiesa parrocchiale; qualche sua reliquia è custodita anche nel santuario di San Calogero, sorto vicino alla sua grotta sull’omonimo monte di Sciacca nel XVII secolo e che è meta di pellegrinaggi. Ad ogni modo S. Calogero è veneratissimo in tutta la Sicilia ed è onorato con suggestive processioni e celebrazioni, tipiche della religiosità intensa dei siciliani, quasi tutte si svolgono nel giorno della sua festa il 18 giugno.





    fonte:comune.santostefanoquisquina.ag.it
    foto:mylacucinaitaliana.com
    - rete.comuni-italiani.it
    - comune.santostefanoquisquina.ag.it
    - consorziodeitempli.ag.it
    - quisquina.com
     
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    bivona

    Bivona

    Bivona (C.A.P. 92010) dista 69 Km. da Agrigento, alla cui provincia appartiene, 103 Km. da Caltanissetta, 220 Km. da Catania, 123 Km. da Enna, 306 Km. da Messina, 103 Km. da Palermo, 205 Km. da Ragusa, 286 Km. da Siracusa, 146 Km. da Trapani.


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    Foto © Comune di Bivona - Particolare della Piazza San Paolo

    Il comune conta 4.449 abitanti e ha una superficie di 8.860 ettari per una densità abitativa di 50 abitanti per chilometro quadrato. Sorge in una zona montana interna, posta a 510 metri sopra il livello del mare.


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    Il municipio è sito in piazza Ducale

    Piccolo paese montano, Bivona vanta una copiosa produzione agricola di agrumi, grano, olive, mandorle, ortaggi e ottime pesche. Tale frutta viene esposta nella annuale Sagra della Pescabivona che si tiene nel mese di agosto.

    Sviluppato è l'allevamento di bovini, ovini e suini. Nel settore dell'artigianato spicca la produzione di sedie in legno, di ricami e merletti e di piatti in terracotta.

    Il nome Bivona forse deriva da Ippona che era l'originaria cittadina sorta in quel posto. Verso la fine del 1200 essa fu feudo prima della famiglia Chiaramonte ma e dopo dei Peralta.

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    Foto © Affinità Elettive - Ruderi del Castello

    Nel 1400 circa passò alla dinastia dei Luna, quindi dopo sanguinose lotte interne il borgo fu in possesso dei Perollo.

    Nel 1812 venne abolito il regime feudale e Bivona divenne capoluogo del Distretto agrigentino.

    Dal 1818 al 1927 Bivona fu elevata a Sottintendenza successivamente anche a Sottoprefettura a cui facevano riferimento ben 12 comuni di Agrigento.


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    Singolare è il Portale dei Chiaramonte di stile gotico costruito nel XIV secolo.


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    Rilevante è il Palazzo Marchese Greco simbolo del barocco siciliano.


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    Notevoli sono anche la Chiesa Madre eretta nel XVII secolo che conserva un esemplare Crocifisso Nero e la


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    Chiesa di Santa Rosalia con all'interno la statua dell'omonima Santa.


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    Torre dell'orologio

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    fonte. sicilia.indettaglio.it
    foto:sicilia.indettaglio.it
    - provincia.agrigento.it/
    - bivonaonline.it
    - wikimedia.org
    - comune-italia.it
     
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    Alessandria della Rocca



    Alessandria della Rocca (IPA: [aleˈsːandrja ˈdelːa ˈrɔkːa], Lisciànnira in siciliano) è un comune italiano di 3 051 abitanti della provincia di Agrigento in Sicilia.

    Inizialmente il paese fu chiamato Alessandria della Pietra; dal 1713 al 1862 il nome fu Alessandria di Sicilia; il 7 novembre 1862 assunse l'attuale denominazione.

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    Le origini del nome

    Il nome Alessandria della Rocca venne assegnato al paese con decreto reale del 7 novembre 1862: in precedenza, infatti, il Comune ebbe altri nomi. Il primo fu Alessandria della Pietra, nome dovuto all'antico proprietario del feudo, Alessandro Presti, e al vicino Castello della Pietra D'Amico, risalente al periodo saraceno. Nel 1713, nominato Re di Sicilia Vittorio Amedeo II, vennero istituiti i Municipi: il comune agrigentino assunse il nome di Alessandria di Sicilia, per essere distinta dai comuni omonimi presenti nei vari stati d'Italia. Infine nel 1862 assunse il nome che possiede tuttora: Alessandria della Rocca, in onore della Madonna della Rocca, patrona del paese.


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    Storia

    Età moderna

    Alessandria della Rocca venne fondata nel 1570, quando il feudo Presti Alessandro venne elevato a dignità di Comune sotto il titolo di Alessandria della Pietra: il primo signore fu Carlo Barresi, investitosi della baronia di Pietra D'Amico il 20 giugno 1568.






    Chiese del passato

    Chiesa della Pietà
    Chiesa delle Alme Santa del Purgatorio
    Chiesa di Santa Rosalia
    Chiesa di San Marco
    Chiesa di Sant'Anna

    Chiese ancora presenti


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    Chiesa del Carmine (XVI-XVII secolo); la Chiesa del Carmine è l'esempio più fine e più classico dell'arte barocca in Alessandria; particolare menzione deve essere fatta per il singolare e colto inserto che ne nobilita il prospetto, caratterizzato dal maestoso portale, sovrastato da una edicola, che ospita la statua dedicatoria, la Madonna del Monte Carmelo col Bambino e San Domenico genuflesso, sormontata dallo stemma della famiglia Barresi, che fece erigere la chiesa nel 1596. Spaziosa e solenne, presenta una sola navata con abside, rivestita di stucchi ; due altari, quello del Crocifisso e quello della Madonna, presentano degli stucchi, attribuiti a Giacomo Serpotta ed alla sua scuola. L'altare maggiore ha ospitato la tela dell'Annunciazione (chiesa di S. Maria Annunziata o del Carmine), attribuita a Guido Reni, raffigurante l'annunzio dell'arcangelo Gabriele a Maria.

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    Chiesa Madre (XVII secolo);

    La Chiesa Madre fu costruita sulla struttura della prima chiesa madre.JPG (72902 byte)e piccola chiesetta alessandrina, secentesca, dedicata a san Nicolò di Bari; il prospetto, che si richiama modelli post-rinascimentali, presenta, ai lati del portone principale, due nicchie ad edicola ed una terza, più grande, sopra il portale. Si presenta a tre navate, con transetto e cupola sulla crociera, con la cantoria sopra l'ingresso, sorretta da due colonne con capitello "tuscanico". Sulle pareti bianche, scansioni e partiture architettoniche, settecentesche, vengono visualizzate dalle cornici. Due pilastroni dividono le navate ed il coro, che ospita due file di stalli in legno e due tele del Panepinto, raffiguranti il ritrovamento del simulacro della Madonna della Rocca. Sopra l'ogiva orchestrale, una grande tela, della fine dei '600 raffigura l'Arcangelo Michele in lotta con Lucifero.


    Chiesa dell'Immacolata Concezione (XVII secolo);

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    Chiesa del Crocifisso (XVII secolo);presenta anch'essa al suo interno delle decorazioni di stile barocco ed ospita la tela dell'alessandrino Carmelo De Simone, dipinta nel 1838, raffigurante il Purgatorio, che, un tempo, andava ad ornare l'altare maggiore della chiesa delle Alme Sante del Purgatorio.

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    Chiesa di San Giovanni Battista (XVII secolo); costruita agli inizi del Seicento nell'omonimo rione, è ad una sola navata e presenta nelle pareti laterali dei festoni in gesso che si richiamano all'arte barocca; ospita la statua lignea di San Giovanni Battista, risalente alla fine del '700- primi '800 che raffigura il santo, avvolto di un manto rosso bordato oro, e con la mano sinistra reggere un agnellino.


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    Chiesa del Convento dei Frati Minori Osservanti Riformati (XVII secolo);


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    Santuario della Madonna della Rocca (XVII secolo), con la facciata in pietra tagliata, costruita sulla struttura di quella originaria, secentesca, si affaccia su di un'ampia scalinata; al suo interno alcuni affreschi raffigurano le scene del ritrovamento della statua della Madonna della Rocca, avvenuto negli anni 1620/25, il suo trasporto ai Colli di Palermo ad opera del Principe di Resuttana ed il ritorno in Alessandria nel 1883. Tutti gli affreschi, compresi quelli della volta che raffigurano la Vergine Maria, sono opera del pittore Panepinto da S. Stefano Quisquina, i cui colori, nitidi e vivaci si richiamano alla pittura tipica della scuola preraffaellita dell'800. L'altare maggiore ospita il simulacro della Madonna della Rocca, ritrovato prodigiosamente a mezzo di una cieca, intorno agli anni 1620/25: la piccola statua, in marmo pario, risalente al sec. V-VI, raffigura la Vergine Maria avvolta da un manto fregiato e panneggiato, con in braccio Gesù Bambino.



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    Il convento dei Carmelitani, annesso alla Chiesa del Carmine, è stato restaurato grazie all'intervento dell'amministrazione comunale presieduta dal sindaco Salvatore Mangione (2000). Oggi, all'interno del chiostro del convento, nel periodo estivo, si svolgono varie attività di interesse culturale.



    Palazzo Genuardi-Inglese (XVI secolo)
    Palazzo Guggino (XVII-XVIII secolo)
    Palazzo Cordova
    Palazzo Genuardi
    Palazzo Inglese-Spoto
    Palazzo Coniglio


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    Necropoli Sicana "Gruttiddri", in contrada Chinesi: si tratta di una piccola necropoli del tipo a "forno" o a "grotticelle" scavata ai fianchi di una montagna, chiamata tuttora montagna "di li gruttiddri". La necropoli presenta numerose camerette sepolcrali di forma circolare, perlopiù con volta tondeggiante, scavate nella roccia. Le grotte presentano resti di sepolture, tuttavia l'assenza di elementi figurati all'interno di esse, non ci permette di stabilire con esattezza date ben precise ma il materiale rinvenuto all'interno delle grotte, rappresentato da ceramica grossolana impressa, ci parla di una società agricolo-pastorale con insediamenti fissi dal II millennio a.C. Nei dintorni di questa necropoli sono stati rinvenuti frammenti di anfore e utensileria varia, rapportabile a varie epoche, quali la tardo-romanica e la paleo-cristiana. Pezzi molto comuni sono costituiti da tegole, caratterizzate da un impasto che va dal giallo, al rossastro, al grigio, sparsi tra gli alberi, a valle della necropoli Gruttiddri, resti, questi, delle piccole abitazioni pastorali che assieme ai numerosi cocci di vasellame grezzo, segno di una probabile industria litica nella zona, sono rapportabili ai sec. XI, XII e XIII. Unici pezzi di grande valore, oltre che storico e artistico, sono costituiti da lucerne romane e frammenti di esse, e dalle statuette fittili, raffiguranti divinità femminili, testimonianza di una probabile esistenza di spazi religiosi nel settore dell'abitato. Che si tratti di una necropoli sicana lo ha messo bene in luce Cesare Sermenghi, nel suo interessante e stimolante lavoro "Mondi minori scomparsi".


    Necropoli Sicana "Lurdicheddra": Vestigia di insediamenti, che vanno dalla preistoria ai vari periodi della storia antica e medievale, sono state rinvenute anche in un altro luogo, poco distante dalla necropoli Gruttiddri e precisamente in contrada Lurdicheddra, dove è stata scoperta un'altra necropoli, più piccola di quella in zona Gruttiddri, ma dalle stesse caratteristiche, ovvero tombe, a forma di grotta, di dimensioni analoghe alle tombe della necropoli Gruttiddri. Il sito presenta testimonianze di antichi insediamenti, anche qui non compare nessun dipinto all'interno delle grotte, ma soltanto pochi cocci di vasellame, nella zona circostante, qualcuno di grosse dimensioni, precisamente qualche fondo di anfora o di contenitori per derrate alimentari, ricorrenti nella produzione indigena dei sec.VII e VI a.C.
    Un'indagine effettuata da un team dell'istituto archeologico dell'Università Georg-August di Gottinga nel biennio 2009-2010 ha messo in luce circa 200 siti archeologici rinvenuti nei territori di Alessandria della Rocca e di alcuni comuni limitrofi



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    Castello della Pietra d'Amico

    Il castello della Pietra d'Amico è un castello, ridotto a rudere, della Sicilia, nel comune di Alessandria della Rocca.

    Situato in prossimità della diga Castello, al confine con il territorio di Bivona, il castello fu eretto su di un masso e assunse in poco tempo un ruolo fondamentale anche per i paesi limitrofi. Ne fu signore Pietro D'Amico, che dette il nome alla costruzione. Solitamente il termine feudale Petra in Sicilia designava una fortificazione isolata: unica eccezione fu la Petra D'Amico, che si trattava inizialmente di un casale, in seguito di una baronia. Nel XVI secolo il feudo della Pietra D'Amico, di proprietà dei nobili Abbatellis, fu avocato dallo stato. Nel 1542 fu venduto a don Nicolò Barresi, fondatore della vicina Alessandria della Rocca. Oggi del castello rimane ben poco: solamente qualche pezzo di muro, parte della scalinata e il masso su cui venne edificato. Le acque dell'Invaso Castello sommergono i ruderi del Mulino della Pietra; durante i lavori di costruzione della diga, negli anni ottanta, intorno al castello vennero trovati altri ruderi, cocci, vasellame e utensili che testimoniano la presenza di un insediamento che, probabilmente, veniva difeso proprio dal Castello


    fonte: wikipedia.org
    .alemondo.it
    foto. distanzechilometriche.it
    - sicilia.indettaglio.it
    - .alemondo.it
     
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    Raffadali


    Raffadali (13.952 abitanti) è un comune del retroterra agrigentino, situato in cima a una collina, su un declivio che si affaccia sul mare.
    Il territorio del suo comune presenta una forma esagonale piuttosto irregolare e si estende per 2.219 ha.

    Un confine naturale, delineato dai valloni Safo e Mendolazza, lo separa dai comuni limitrofi di Agrigento, S. Elisabetta, e Joppolo Giancaxio.
    Confina a nord con il territorio di S. Elisabetta e, per un brevissimo tratto, di S. Angelo Muxaro. Ad est con Joppolo Giancaxio, mentre a sud e ad occidente con Agrigento.
    Raffadali dista 14 Km. da Agrigento, 5 da S. Elisabetta, 6 da Joppolo Giancaxio, 20 da Cattolica Eraclea, 29 da Cianciana, 13 da Aragona e 22 da Porto Empedocle.
    Sotto il profilo altimetrico, l’area territoriale presenta rilievi che vanno da un massimo di 652 m. ad un minimo di 250 m. s.l.m., mentre il centro abitato si eleva a 420 m. s.l.m.

    Il clima è mite e con bassa escursione termica stagionale. La temperatura media oscilla sui 18 gradi C. ed i massimi assoluti raggiungono i 42°, soprattutto durante l’imperversare dei venti di scirocco.
    Il suo territorio presenta siti archeologici e preistorici di grande interesse, testimoniati dalla presenza di alcune comunità datate all'inizio dell'età neolitica (4000 a. C.).
    Alcuni studiosi ritengono che in questo territorio sorgesse anche l'antica 'Erbesso', mitico granaio dei Romani.

    Gli Arabi, durante la loro dominazione che si ebbe in Sicilia nel IX secolo, chiamarono il casale da loro fondato 'Rahl-Afdal' (Villaggio eccellentissimo), facendogli acquisire grande floridezza economica e commerciale.


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    Verso la fine dell’XI secolo il casale sotto la signoria di un principe saraceno Alì e le terre dette Raffa (qualche studioso fa derivare da ciò il toponimo 'Raffadali', credenza poco attendibile visto che nelle antiche scritture figura già il nome 'Rahalfadale') passarono sotto il dominio dei conquistatori normanni; nel 1095 il territorio fu concesso in feudo al normanno Girolamo Montaperto e poi rimase per secoli, a questa famiglia.
    Nel 1507 Pietro Montaperto Valguarnera ottenne dal Re Ferdinando lo 'Jus Populandi' (diritto di popolare); nel 1523, fece edificare il borgo (alcuni studiosi sostengono che si tratti di una riedificazione) e fece costruire il castello, che ancora oggi, nelle sue strutture essenziali è ubicato nel centro storico di Raffadali.
    Originariamente il castello era una fortezza e ciò si può desumere dalla torre di base, nel lato Sud – Ovest, che si presenta ancora oggi nella sua interezza; successivamente venne trasformato, durante il rinascimento, in casa signorile.
    Nel 1649 Giuseppe Nicolò Montaperto, con i suoi vassalli, riportò l'ordine in Agrigento, che si era ribellata per fame al Vescovo Traina. Per premiare il coraggio e la fedeltà dei Montaperto, Filippo IV insignì del titolo di principe di Raffadali Giuseppe Nicolò Montaperto, elevando il feudo a principato.



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    Il territorio di Raffadali, come quello dei comuni circonvicini, ha fornito testimonianze preistoriche di estremo interesse.
    A pochi chilometri da Raffadali vicino la S.S. 118, detta Corleonese - Agrigentina, la montagna di Busoné, presenta molte tombe a forno e due grandi tombe a camera.
    Da sempre a questa montagna è legata l'unica leggenda che si tramanda oralmente: ogni sette anni, a mezza notte, la montagna si apre mostrando al suo interno ricchezze di ogni genere e monete d'oro.
    Nel 1967, in seguito alla distruzione di una metà della montagna, venduta dai proprietari alla Italcementi, una fruttuosa campagna di scavi condotta da G. Bianchini, portò alla luce dentro pozzetti scavati nei pressi delle sepolture a grotticella, due piccoli idoli insieme a materiale pertinente alla facies di S. Cono Piano Notaro, databili all'eneolitico antico.
    Questi idoli, ottenuti da ciotoli fluviali, sono stati opportunamente lavorati con incisioni e pigmentazione ocracea, in corrispondenza delle linee anatomiche interne.
    Le due 'Veneri di Busoné' dovrebbero rappresentare la Gran Dea Madre della fecondità e e della terra, e dimostrano il loro culto in Sicilia fin nella inoltrata età dei metalli.
    Anche la Montagna di Pietra Rossa, presenta una necropoli, precisamente dell'inizio dell'età eneolitica (4000 a. C.), come il vicino Cozzo Tahari ora quasi del tutto divorato dalle ruspe.
    Pochi anni fa, all'interno del colle Palombara, a tre chilometri ad ovest da Raffadali, un gruppetto di speleologi, entrati attraverso una ristretta imboccatura, hanno trovato, alla fine di un lungo cunicolo, uno slargo con stalattiti, e, saldate al suolo, ossa calcificate e cocci fittili della Facies Castellucciana.
    Fino agli anni cinquanta, come testimonia Lo Mascolo a qualche centinaio di metri dall'abitato di Raffadali esistevano ancora grotte più ampie, ora del tutto scomparse, vere e proprie stanze scavate nella roccia: una vastissima, nel poggio di Terranova , un'altra semideruta verso nord - ovest scavata sul piccolo masso roccioso, su cui si levava la cappella della Madonna delle Grazie di cui prende il nome la contrada.
    Ancora altre grotte sul cozzo dove si eleva la chiesa di S. Antonio Abate presso la quale nel secolo scorso c'è n'erano altre.
    La contrada Terravecchia, a nord da Raffadali al Km. 10 della S.S. 118, presenta moltissime tracce di un antico abitato.
    Da sempre il terreno ha restituito oltre a cocciame vario, macine, lucerne, monete, monili.
    Nel 1973 fu effettuata una campagna di scavi durata dieci giorni dalla quale emersero fondamenta di abitazioni, frammenti di colonne, lastroni fittili, ecc…., tutto materiale del tardo periodo romano, attualmente conservati presso la Biblioteca comunale di Raffadali.
    Da alcuni studiosi come il Lapie, il Calderone, il Raccuglia e ai giorni nostri il Lo Mascolo si è voluto vedere in Terravecchia, alla luce dell'Itinerarium Antonini, la Statione Pitiniana, che serviva ai romani per rifornirsi di viveri durante le imprese belliche e che sorgeva a nove miglia da Agrigento.

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    Inoltre Grotticelle, che prende il nome dalle numerosissime tombe ad arcosolio e a loculo scavate nella parete verticale, presenta una grandissima necropoli del periodo tardo romano-bizantino (III - IV sec. d. C.).
    Nelle vicinanze del centro abitato troviamo la contrada di Buagimi, già attestato come casale in un documento del 1271, che sembra ricollegarsi alla piazzaforte saracena di Bugamo descritta dal Malaterra. Nella sua storia racconta infatti che nel 1064 Roberto il Guiscardo, poiché l'assedio di Palermo andava per le lunghe, tolto il campo si diede a scorazzare per l'isola. Fu così che devastò i dintorni di Agrigento ed espugnò Bugamo a circa nove miglia da Agrigento e deportò a Scribla, nell'alta Calabria, tutti gli abitanti.
    Ma la testimonianza araba più rilevante è quella della rocca di Guastanella. Fortezza montana di sito accidentato e di difficile accesso alla qila nel senso autentico della parola araba.
    J. Johns lo ha definito 'un esempio splendido di insediamento musulmano'.
    Esso consiste in un gran villaggio che si estende per una cresta ad est della sommità e sulla cima stessa, di una roccaforte straordinaria, in parte costruita in muratura, in parte scavata nella roccia, una fortezza rupestre di grandezza impressionante.
    Monte Guastanella appare due volte nella storia della Sicilia arabo-normanna, in entrambi i casi, è registrata come centro della resistenza musulmana contro i cristiani: la prima volta, durante la conquistadell'isola da parte del conte Ruggero, e precisamente dopo la sconfitta di Benavet a Siracusa bel 1085, mentre i normanni si rivoltavano contro Chamut di Castrogiovanni, ed Agrigento era la prima a cadere.
    Una volta che Ruggero ebbe assicurato la sua resa, si dedicò alle roccheforti musulmane della zona montagnosa tra Castrogiovanni e la costa, in poco tempo egli conquistò dieci di queste: Platanum, Missar, Guastanella, Sutera, Raselbifar, Mochuse, Naru, Calatanixset…., Licata, Remunisse.
    La maggior parte di queste località sono state identificate: Platanum, monte della Giudecca presso Cattolica Eraclea; Missar, presso S. Angelo Muxaro; Sutera, Sutera; Naru, Naro; ecc….Guastanella, variante di Guastail e Guastil, è Monte Guastanella.
    Dopo il 1086, non si ha notizia di Guastanella fino alla metà del XIII sec., quando appare per la seconda volta nelle fonti: 'si trovava dentro i confini della diocesi di Agrigento ma, la maggior parte delle roccaforti siciliane, non fu infeudata e apparteneva al demanio reale'. Poi, durante la grande ribellione musulmana che cambiò profondamente l'aspetto della Sicilia, Gustanella appare come centro dei ribelli saraceni del val di Agrigento.
    Nella cronologia del vescovato di Agrigento nel Libellus de Successione pontificum, compilata dopo la metà del XIII sec. si legge che Urso vescovo dal 1191 fu 'preso dai saraceni e incarcerato nel castello di Guastanella e fu riscattato per 5000, tarì'.
    E' probabile che il castello e l'insediamento furono ambedue abbandonati nel 1250 circa, al tempo della soppressione definitiva della ribellione musulmana.

    Tratto dalla tesi di laurea del Prof. Giuseppe Vella




    fonte: comune.raffadali.ag.it
    foto:agrigentoflash.it
    - comune.raffadali.ag.it
    - 2.citynews-agrigentonotizie.stgy.it
     
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    Lercara Friddi



    Lercara Friddi (C.A.P. 90025) dista 72 Km. da Agrigento, 89 Km. da Caltanissetta, 200 Km. da Catania, 108 Km. da Enna, 261 Km. da Messina, 67 Km. da Palermo, alla cui provincia appartiene, 208 Km. da Ragusa, 280 Km. da Siracusa, 166 Km. da Trapani.


    Il comune conta 7.794 abitanti e ha una superficie di 3.727 ettari per una densità abitativa di 209 abitanti per chilometro quadrato. Sorge in una zona collinare interna, posta a 673 metri sopra il livello del mare.

    Il municipio è sito in piazza Abate Romano, tel. 091-8252643 fax. 091-8213796, numero verde 800654133.

    I principali prodotti agricoli del paese sono i cereali e gli ortaggi. Sono presenti anche allevamenti di ovini; particolare è la lavorazione del legno e del ferro nel settore artigianale. Un tempo erano importanti nell'economia locale le attività estrattive legate alle miniere di zolfo presenti sul territorio. Tale attività non viene più esercitata.

    Il nome Lercara Friddi deriva in parte dall'arabo Al Kara che significa quartiere, e in parte dal siciliano li friddi cioè i freddi.

    Il paesino ha forse origini elime, testimoniate dai numerosi ritrovamenti dell'VIII-VI secolo a. C. Il centro attuale fu fondato nel 1605 nel feudo Friddi dal nobile spagnolo Baldassare Gomez de Amescua.

    Per tutto il XVII secolo il borgo fu di proprietà della famiglia Scamacca, quindi entrò in possesso della famiglia Gravina.


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    I principali monumenti da visitare sono la Chiesa di S. Giuseppe con il vicino Collegio di Maria risalenti al XVIII secolo


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    e la Chiesa di S. Matteo o del Purgatorio sempre dello stesso secolo.

    Illustre giurista e politico lercarese fu Andrea Finocchiaro Aprile (1878-1964) il quale fu sottosegretario di Stato nel 1920 e nel 1921 insieme a Nitti e Giolitti.
    Dichiaratamente antifascista, nel 1943 fondava a Palermo il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia (MIS), di cui fu il leader.




    fonte:/sicilia.indettaglio.it
    foto: sicilyweb.com
    - comune.lercarafriddi.pa.it



    piazzaduomo

    Chiesa Madre e Piazza Duomo
    . Sulla Piazza Duomo, si affaccia la Chiesa di Maria SS. Della Neve. Ricca di marmi preziosi custodisce al suo interno due grandi tele e un Crocifisso ligneo del 1600. Nel piano inferiore è interessante la Cripta, dove è conservato l’antico orologio della Torre Campanaria, i cui ingranaggi funzionavano grazie a pesi di pietra. Di pregio notevole è anche l’antico coro ligneo con quattro medaglioni che riproducono i santi Pietro e Paolo, il Cuore di Gesù e l’Agnello Pasquale.





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    Chiesa San Alfonso. La costruzione della Chiesa dedicata a S. Alfonso de Liguori venne iniziata nella prima metà del sec XIX dai Redentoristi e, dopo alterne vicende, fu aperta al culto nel 1932.


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    Villa Lisette, detta Villa Rose. Edificio signorile, sorto alla fine della prima metà dell'ottocento, sotto richiesta della famiglia Rose; il capostipite di questa famiglia fu a capo dell'équipe tecnico-mineraria delle zolfare. Costruita con i criteri di una country house inglese e recentemente restaurata, oggi sede dell'attuale Parco archeologico-industriale, si appresta a diventare una delle antenne del Parco regionale geominerario. Inoltre, all’interno della struttura è stata allestita una mostra permanente per esporre i materiali ei documenti che testimoniano la vita degli zolfari lercaresi, la storia e la realtà delle miniere a Lercara.



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    Palazzo Palagonia, Sede della Municipalità, venne edificato nel 1922 sulle propaggini del palazzo Scammacca, che appartenne a Francesco Paolo Gravina. E' situato in una vasta area che conteneva, fra l'altro la Chiesa Madre e il palazzo Sartorio. All'interno vi è un bassorilievo in onore del concittadino Gioacchino Furitano. Si prospetta su un'ampia piazza digradante in fondo alla quale si trova il Monumento ai Caduti.



    Gastronomia

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    "NFRIULATA" (Focaccia Condita) Ingredienti: Pasta per pane casereccio già lievitata, bietole, patate e salsiccia, olio extra vergine d'oliva.

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    "LA PANTOFOLA"..non si calza.. ma si mangia! Dolce Tipico Lercarese a base di mandorla trita ed altre...A Lercara ogni anno si organizza una Sagra della Pantofola per dare a tutti la posssibilità di assaggiare questo gustosissimo dolce.


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    "MUFFULETTA" Per tradizione l'8 dicembre per la festività dell'Immacolata, si degusta a Muffuletta, focaccia condita con ricotta, strutto, caciocavallo, pepe nero, olio d'oliva.




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    Il Sito Sikano Sul Colle Madore - Prospettiva dall'alto del Colle

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    Il sito rappresenta un’eccezionale fonte di risorse. Il processo di sviluppo e urbanizzazione è stato laborioso e graduale per la povertà intrinseca del territorio. Nel 1828 il ritrovamento di una ricca vena zolfifera, l’ha caratterizzato, come centro industriale sino alla chiusura delle miniere nel 1969. Per oltre 140 anni la civiltà mineraria ha provocato nella città, sviluppo economico, culturale, ma anche sfruttamento e tragedie. Al fine di salvaguardare e custodire, come memoria storia delle nostre radici, le ultime testimonianze di tale civiltà, nel 1993 è stato istituito, con legge regionale, il Museo ed il Parco Archeologico Industriale della Zolfara di Lercara Friddi.
    La recente scoperta di un sito Sicano sulla sommità del colle Madore, all'interno del Parco Minerario, ha aperto nuove prospettive sullo studio di origini ben più antiche della cittadina. Le indagini in tale sito stanno fornendo utili elementi anche per la comprensione del delicato momento di trasformazione dei centri indigeni della Sicilia centro-settentrionale. La scoperta di tale sito ha stimolato di conseguenza tante iniziative turistico culturali.

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    Reperti rinvebuti nel sito Sicano sulla sommità del colle Madore, custodito presso il Museo Civico - Bibblioteca Comunale.



    Michele Garofalo
    foto-sicilia.it
    - sicilyweb.com
    - guideturistichepalermo.it
    fonte:guideturistichepalermo.it
     
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    chiusasclafani
    Foto © 2000 Il Sole Editrice



    Chiusa Sclafani


    Chiusa Sclafani (C.A.P. 90033) dista 77 Km. da Agrigento, 141 Km. da Caltanissetta, 255 Km. da Catania, 158 Km. da Enna, 310 Km. da Messina, 79 Km. da Palermo, alla cui provincia appartiene, 213 Km. da Ragusa, 294 Km. da Siracusa, 178 Km. da Trapani.


    chiesasantacaterina
    Foto © Edizioni Leopardi La chiesa di Santa Caterina

    Il comune conta 3.514 abitanti e ha una superficie di 5.740 ettari per una densità abitativa di 61 abitanti per chilometro quadrato.

    Sorge in una zona collinare interna, posta a 614 metri sopra il livello del mare.

    Il municipo è sito in piazza Castello.


    Paesino adagiato su un pendio, piccolo centro agricolo, nella sua produzione di prodotti si distinguono cereali, olive, mandorle, uva, ciliegie e pesche.

    La produzione artigianale è attiva, soprattutto quella legata alla lavorazione del legno e quella dei tessuti.

    Il centro venne chiamato solamente Chiusa fino al 1862, successivamente gli si aggiunse Sclafani, in onore e ricordo del suo fondatore Matteo Sclafani, conte di Adernò.

    Paese di origine medievale venne fondato nel 1320 sui resti di un casale già esistente, fu per lungo tempo sotto il dominio della famiglia Sclafani, successivamente passò nelle mani della famiglia Colonna e vi permase sino al 1812, periodo in cui vennero aboliti i diritti feudali.

    Il territorio è ricco di monumenti, soprattutto numerose sono le chiese ivi presenti come quella di S. Caterina del XVI secolo, nel cui interno è presente un trittico raffigurante la Madonna col Bambino e i santi, la Chiesa Madre,


    chiusa-sclafani-smS. Nicolò di Bari, eretta nel XIV secolo e rifatta intorno al 1800,

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    la chiesa S.Maria Assunta che conserva un pregevole arazzo in seta della deposizione della Croce.

    Da non dimenticare inoltre sono l'Oratorio di S.Sebastiano,


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    foto:www.sicilyweb.com

    la chiesa di S.Leonardo e il monumentale complesso della Badia con la chiesa della SS. Annunziata.




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    foto:/image.3bmeteo.com

    La Chiesa Madre
    Consacrata a San Nicola di Bari, la Chiesa venne fondata nel quattordicesimo secolo e riedificata tra il 1772 e il 1813: appartenente ad epoca ancora più tarda è la facciata principale.

    L'interno si presenta molto grande e sovrastato da un'elegante cupola.

    Di notevole interesse artistico sono le opere ivi contenute, su tutte un trittico costituito da tre dipinti appartenenti al diciassettesimo secolo e raffiguranti l'Annunciazione, l'Adorazione dei Magi e la Trasfigurazione.

    Degno di particolare attenzione è poi un dipinto del 1617 posto nella cripta ritraente il Volto Santo, donato alla Chiesa da Gregorio XV.

    In un ambiente adiacente all'edificio, a cui si accede tramite il transetto sinistro, è infine situata una pregiata statua in marmo riconducibile alla scuola gaginesca e ritraente la Madonna col Bambino.



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    Minestra di fagioli freschi

    Ingredienti:

    Fagioli freschi kg. 1,500
    pomodoro maturo gr. 500
    una cipolla piccola
    un mazzetto di basilico
    ditalini gr. 300
    olio
    sale e pepe.
    Minestra di fagioli freschi

    Preparazione:

    Sgusciate i fagioli e lessateli in acqua e sale per circa un'ora, finché non siano ben teneri.

    Preparate a parte un pomodoro a picchio pacchio come di consueto, con la cipolla soffritta e il basilico.

    Versate la pasta nel tegame dei fagioli e a metà cottura togliete l'acqua in più e aggiungete il pomodoro.

    Lasciate insaporire, correggete di sale, olio e pepe, versate nei piatti e, come tutte le minestre estive, lasciatela raffreddare prima di andare a tavola.


    fonte:http://sicilia.indettaglio.it/ita/comuni/pa/chiusasclafani/chiusasclafani.html
     
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    casteltermini
    foto:sicilia.indettaglio.it


    Casteltermini



    Paese dell’agrigentino con circa 9.000 abitanti, sorge in collina a 564 m. sul livello del mare. Dista circa 40 Km da Agrigento e 8 Km dallo scorrimento veloce Palermo-Agrigento. Lo scalo ferroviario è denominato Acquaviva-Casteltermini e dista circa 7 Km dal centro abitato.

    La fondazione di Casteltermini risale al 1629 ad opera del barone Gian Vincenzo Maria Termini e Ferreri, discendente da una nobile famiglia Catalana trasferitasi in Sicilia nel 1209 al seguito della regina Costanza che veniva nell’isola per sposare Federico II. A lui furono affidate le terre del feudo di Chiuddia, dove già da tempo alcuni contadini abitavano nell’antico casale arabo.

    Il 5 Aprile del 1629 il barone ottenne dal viceré di Filippo IV di Spagna la “Licentia Populandi” cioè il permesso di poter popolare e costruire il paese, con tale concessione fu insignito dal titolo di Principe di Casteltermini. Le vantaggiose condizioni promesse dal principe fecero si che molte famiglie, allettate anche dalla fertilità della terra, giungessero dai vicini paesi di Mussomeli, Campofranco e Sutera. Così in breve tempo affluirono a Casteltermini più di duemila coloni, ed il paese vide in un breve arco di tempo la costruzione di numerose abitazioni e delle prime grandi opere. Il paese ebbe quindi un rapido sviluppo demografico contemporaneamente ad un intenso sviluppo economico che ne fece ben presto uno dei centri più importanti. La sua economia inizialmente poggiante in gran parte sull’agricoltura assunse un aspetto più industriale grazie alla miniera di zolfo, “Cozzo-Disi” una fra le più grandi miniere di zolfo d’Europa presso la quale lavoravano circa un migliaio tra operai e impiegati. Le condizioni di lavoro degli zolfatai erano molto dure, si sfruttavano i carusi non c’era alcuna tutela e sicurezza, lavoravano in condizioni quasi disumane e ricevevano una paga che a malapena permetteva loro di sopravvivere. La storia della Cozzo-Disi è purtroppo costellata da diversi gravi disastri che hanno provocato tante vittime ed invalidi. Pochi anni di lavoro nelle miniere minavano irrimediabilmente la salute dei giovani zolfatai. Nel 1884 i giovani zolfatai che si presentarono in Sicilia alla visita di leva militare furono 3672, ma di essi soltanto 203 furono dichiarati abili.
    Un’altra industria sulla quale si fondava l’economia di Casteltermini fu quella della Montedison, poi Italkali,per la lavorazione dei sali potassici, che dava lavoro a circa duecento operai.

    Per tanti anni vanto di Casteltermini fu la pasta prodotta dal Pastificio San Giuseppe che veniva esportata in varie parti della Sicilia. La chiusura purtroppo della Miniera, dell’Italkali e del Pastificio hanno determinato la grave crisi economica che ha riaperto la via dell’emigrazione a tantissime famiglie di Casteltermini.

    Anche se attualmente la sola realtà aziendale presente nel territorio è la Joeplast Srl che è una delle Aziende tecnologicamente più avanzate a livello europeo nella produzione di imballaggi flessibili in plastica, ultimamente sembra registrarsi qualche piccolo segnale di un timido risveglio economico: La miniera Cozzo Disi dovrebbechiesa-di-san-giuseppe diventare il primo museo minerario della Sicilia, il settore alberghiero, del tutto assente negli anni passati, registra tre nuove iniziative di cui un agriturismo che può costituire elemento di sinergia per altri settori economici.

    Chi visita Casteltermini viene subito colpitodalla bellezza della grande Piazza Duomo dove si trova la maestosa Chiesa Madre, costruita nella prima metà del ‘600 che custodisce pregevoli opere come: le incantevoli statue dello scultore Michele Caltagirone detto “il Quarantino”, due tele della scuola del Velasqueze due dipinti di padre Fedele Tirrito di San Biagio, veri gioielli del ‘700 siciliano.

    Alla fine di Corso Umberto si trova la chiesa di San Giuseppe posta su un basamento roccioso, vi si accede attraverso una grande scalinata. La sua facciata semicircolare è una splendida testimonianza del Barocco Siciliano. Il suo prospetto è da anni riprodotto in quasi tutte le scenografie delle trasmissioni televisive RAI del regista Michele Guardì nostro illustre concittadino.

    A circa tre chilometri dal centro abitato si trova l’Eremo di Santa Croce unica chiesa a non avere una precisa data di nascita, vi si custodisce una grande croce lignea che recenti esami al C14, eseguiti dall’Istituto Internazionale di Ricerche Geotermiche di Pisa, ne fanno risalire la costruzione all’anno 12 D.C. conferendole il titolo di Croce Paleocristiana e di croce lignea più antica del mondo. Da secoli, per festeggiare il ritrovamento di questa Croce, si organizza ogni anno a Casteltermini (la IV domenica di maggio) la “Sagra del Tataratà” o “Festa di Santa Croce”. La festa è caratterizzata da lunghe processioni a cavallo effettuate dai quattro principali Ceti e dalla partecipazione del gruppo folkloristico del Tataratà: storicizzazione sotto forma di moresca, di un primitivo rito propiziatorio di primavera eseguito dalle antiche tribù di arabi abitanti nei territori circostanti e giunto sino a noi con la sua caratteristica danza armata eseguita al ritmo scandito da un grosso SCroce2tamburo.

    Alla periferia est del paese si trova la splendida “Villa Maria” che fu dimora dei Conti Lo Bue di Lemos. Costruita alla fine del XIX secolo come dimora di caccia. Fu poi ripresa dagli architetti Ernesto Basile e Gino Coppodè. Nei due ettari di parco che circonda la costruzione in stile liberty, i proprietari fecero trapiantare rarissime piante provenienti dal continente europeo e da quello africano. La preziosa rarità delle piante è confermato dall’interesse e dagli studi effettuati dai docenti di Botanica Sistematica presso l’Università di Palermo. Il Mausoleo, all’interno della villa, alto 33 metri, conserva le spoglie mortali della contessa Maria Lo Bue di Lemos, a cui la Villa è dedicata.

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    foto:.ilturista.info





    chiesasangiuseppe
    foto:sicilia.indettaglio.it


    Vale certo la pena di trascorrere un giorno a Casteltermini. Per visitare le sue Chiese, ammirare la maestosa Croce Paleocristiana, visitare la miniera di Cozzo-Disi, fare due passi nelle vie principali per un piacevole shopping nei raffinati ed assortiti negozi di abbigliamento, andare a vedere qualche Film di Prima Visione o Rappresentazione Teatrale nell’elegante Cine – Teatro “Enzo Di Pisa” e concludere la serata in qualche pizzeria o ristorante per gustare una saporita cena con gli svariati prodotti della tradizione culinaria locale.


    fonte:comune.casteltermini.ag.it

    chiesa-madre
    foto:prolococasteltermini.it


    Chiesa Madre

    La Chiesa Madre fu la prima grande opera di uso pubblico costruita a Casteltermini.La costruzione della prima parte della Chiesa risale al 1629 lo stesso anno in cui fu fondato il paese. Essa doveva essere edificata a cura e spese interamente a carico del Barone Gian Vincenzo Maria Termini e Ferreri, fondatore di Casteltermini, e ciò per un preciso obbligo assunto con i “ Capitoli della Terra”. Senonchè il Comune e gli abitanti del nascente comune furono costretti dalla prepotente volontà del barone, allora signore assoluto sugli abitanti considerati ancora come “vassalli” a costruire loro la Chiesa, mentre il Barone avrebbe provveduto a costruirsi la sua casa castello. All’ inizio fu soltanto costruita la navata centrale, ma su un basamento di una grandiosa costruzione. Fu nel 1883 che l’Architetto Pietro Burgio potè finalmente eseguire il collaudo dell’intera opera con cui si era realizzata la costruzione della Chiesa Madre, grande e bella come l’avevano sognato e desiderato i primi abitanti del paese.


    carmelo
    foto:comune.casteltermini.ag.it

    Chiesa di Maria SS. Del Monte Carmelo

    La chiesa “Del Carmelo” edificata nel 1688 è stata interamente restaurata nel 1954 sia all’interno che all’esterno, rivestita in buona parte in marmo arricchita di statue e di arredi sacri, abbellita di un pregevole e armonico prospetto. Essa viene ampliata due secoli dopo grazie a Don Antonio Faldetta. Nell’arcata destra, vicino l’ingresso centrale, è esposto un bellissimo Crocifisso in legno, opera dello scultore Quarantino. Nella parte sinistra vicino l’ingresso principale, vi è il fonte battesimale in marmo cipollino scolpito a pietrasanta (Lucca) nel 1966.

    Al centro del Coro e sopra l’altare maggiore è collocata una bella statua della Madonna del Carmelo scolpita in legno dallo scultore Giuseppe Ortisei 1956.
    Successivamente nel 1960 nelle mura delle sue navate laterali, per dare luce a maggior decoro alla chiesa, vennero fatti ricavare due grandi vani luce e collocate due bellissime e preziose vetrate con delle figurazioni eseguite a mosaico di cristallo colorato.



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    foto:.comune.casteltermini.ag.it


    Chiesa di Gesù e Maria

    La chiesa di Gesù e Maria venne costruita in tempi molto lontani, e precisamente nell’anno 1690, ad iniziativa di alcuni benefattori e degli abitanti che andavano popolando quella zona sub-urbana.. Essa ha una sola piccola navata ed il solo altare maggiore.
    Il SS. Salvatore, una stupenda statua in legno scolpita dallo scultore palermitano Vincenzo Genovese, Il volto radioso e sublime, tutti i rilievi anatomici del corpo nudo, che traspaiono dalel carni ricolme di vitalità, la raffinata modellatura della barba e dei capelli di Gesù, denotano la maestria e la sensibilità dell’artista.


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    foto:prolococasteltermini.it

    Chiesa della Madonna delle Grazie

    La chiesa Madonna delle Grazie, è la più piccola ma certamente una delle più belle e originali Chiese, di Casteltermini, per la sua semplicità ma soprattutto per la ricchezza delle statue di Michele Caltagirone inteso Quarantino (artista castelterminese scultore di molte statue e immagini sacre, di questa Chiesa e di tutte le altre Chiese di Casteltermini, e anche nei paesi limitrofi). La chiesetta fu costruita nell’anno 1680 dal Sacerdote Luigi Bellavia. Per i primi 120 anni, non sappiamo nulla sui sacerdoti che certamente si presero cura di questa Chiesa, conosciamo però il nome dell’ultimo curato, il Sac. Don Paolino Catalano, un ex Cappuccino castelterminese. Nell’anno 1883, la chiesa fu interamente restaurata a spese dei fedeli. Nel 1885 – 1886, fu decorata e adornata da diversi gruppi statuari in terra cotta colorata, dello scultore “Quarantino”, che fanno di questo piccolo tempio una bellissima galleria d’arte. Sono ancora in ottime condizioni di conservazione e fortunatamente non ha osato nessuno staccarli dalle loro nicchie e trafugarli, com’è avvenuto d’alcune opere artistiche, in altre chiese di Casteltermini


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    foto:salvatore di piazza

    Chiesa di S. Antonino

    La chiesa di S Antonino di Padova (oggi sconsacrata) venne edificata nel 1645. Lo stile adottato era di tipo ionico, sul lato destro si erge il bellissimo campanile, che è di stile toscano in basso e Corinzio in alto. La parte superiore del campanile, sormontato da un pinnacolo piramidale, si erge nella piazza principale di Casteltermini.


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    foto:comune.casteltermini.ag.it

    Chiesa di S. Francesco

    Nella chiesa parrocchiale di San Francesco D’Assisi vi sono due cappelle: la prima è dedicata alla “Madonna del Silenzio”, la seconda, adiacente alla prima, è dedicata ad un grande Crocifisso, posto dentro una custodia in legno e cristallo, al di sopra dell’altare, con ai due lati una statua dell’Addolorata ed un’altra della Veronica. In questa cappella si conservano da quasi due secoli, il teschio e alcune ossa del martire S.Fedele



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    foto:prolococasteltermini.it


    Chiesa di S. Giuseppe


    Per favorire una migliore assistenza religiosa anche agli abitanti della zona suburbana del nascente paese nell’anno 1641 venne costruita una chiesetta che nel tempo venne migliorata ed ingrandita fino a diventare quella che oggi è la Chiesa di San Giuseppe.
    L’unica Chiesa di Casteltermini rivolta ad occidente, anziché ad oriente, così come voluto dalla simbologia del periodo paleocristiano.
    Costruita su di un poggio roccioso, vista dalla piazza Duomo mostra tutta la sua bellezza architettonica nello splendido stile Barocco siciliano.


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    foto:prolococasteltermini.it

    Interessante è pure l'Eremo di Santa Croce che racchiude una delle croci lignee più antiche del mondo.
    Secondo la leggenda il rinvenimento dell’ antica croce lignea avvenne perché una mucca, pascolante con l’armento in una campagna di “Chiuddìa”, si era inginocchiata nello stesso posto per diversi giorni di seguito, attirando l’attenzione dei pastori. Incuriositi dallo strano comportamento dell’animale, essi scavarono e trovarono la Croce. Da più di 300 anni, questa miracolosa ricorrenza viene festeggiata ed è all’origine di una delle più importanti manifestazioni di folclore religioso della Sicilia: la Sagra del Tataratà e Festa della Santa Croce .

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    foto:consorziodeitempli.ag.it


    Cosa gustare: cucina locale, cosciotto di agnello farcito; formaggi tipici dei Monti Sicani; pasticceria a base di ricotta, pasticcini di pistacchio e di mandorla.





    fonte: comune.casteltermini.ag.it
    - prolococasteltermini.it
     
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    Mussomeli---Caltanissetta
    foto:esplorasicilia.com



    Mussomeli


    Mussomeli, paesino della provincia di Caltanissetta, sorge in una zona interna e collinare.
    Questo paese è noto per l’abbondante produzione di grano, olio, vino e fichi e per l’allevamento di bovini e ovini.
    Il nome Mussomeli deriva dall’arabo Manzil che significa “dimora casale” e Mel che vuole dire “bene”.
    Per queste terre passarono Normanni, Svevi ed Angioini, sotto il dominio dei quali conobbe un cospicuo sviluppo urbanistico e architettonico che gli valse la definizione di “Presepe d’Europa”.
    L’attuale centro urbano fu fondato dal principe Manfredi III di Chiaramonte nel secolo XIV con il nome di Manfreda.

    Mussomeli è arroccata su una collina, in posizione panoramica con le case serrate l'una all'altra tanto da lasciare spazio solo a strette stradine lastricate. Alle spalle del paese si erge imponente il Castello Manfredonico, che è tra i migliori conservati della Sicilia.


    Storia di Mussomeli


    Presumibilmente il territorio di Mussomeli fu abitato si da epoca preellenica dai Sicani e di Siculi. Queste antiche popolazioni scelsero questi territori per la sicurezza che garantivano e per la loro fertilità. La presenza di questi antichi popoli è testimoniata da numerose zone archeologiche.
    Passati migliaia di anni i romani vi si stabilirono perché era un ottimo punto di accordo tra il centro della Sicilia e le coste.
    Nel 1370 Manfredi di Chiaramonte inaugurò il Castello Manfredonico Chiaramontano in stile gotico – normanno.


    Il Castello Manfredonico


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    foto:castelli-sicilia.com

    Il Castello di Mussomeli fu costruito nella seconda metà del XIV secolo da Manfredi III Chiaramonte. Questa costruzione si trova in un punto strategico dal quale domina il territorio circostante. Molto interessanti dal punto di vista architettonico sono le opere murarie in stile militare che introducono un’originale fusione della struttura nella roccia. La facciata del Castello è ricca di decorazioni mentre all’interno si trovano la Cappelle, la Sala dei baroni e la Cammara di li tri Donni. Molto belle ed interessanti sono anche le Sale dalle volte a crociera, la Sala dagli archi ogivali e i sotterranei nei quali, secondo leggende popolari, erano custoditi meravigliosi tesori e dove accadevano misteriose vicende.

    Il Castello Manfredonico è circondato da una doppia fascia di mura e un arco acuto introduce all’interno della prima cinta mentre due stemmi, ormai consumati, sono scolpiti nei punti d'imposta dell'arco mostrando le armi dei Chiaromonte. Salendo un po’ si incontra la seconda cinta muraria, del ‘300, alla quale si accede attraverso un atrio più interno scolpito con le due torri merlate. Poco dopo la sua costruzione questo castello fu abbandonato e forse proprio per tale motivo ha conservato quasi intatta la struttura trecentesca. Il castello ha una pianta poligonale con forma a tenaglia e il corpo principale si affaccia sullo strapiombo, dove erano eseguite anticamente le condanne a morte.

    Archeologia di Mussomeli


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    foto:terredelnisseno.it

    Archeologicamente la zona di Mussomeli è molto interessante data la presenza di tombe scavate nella roccia, che è possibile vedere in alcune zone intorno al paese. Nella località di Polizzello si possono ammirare diverse grotte che, per la loro forma e dimensione, sono dette a forno, mentre in contrada Raffè si trova ricco materiale archeologico risalente all’età dei greci. Purtroppo questa ricchezza storica non è mai arrivata all’interno di musei ma è stata più volte oggetto di speculazione per tombaroli. La montagna Raffè ha donato nel corso dei secoli molti importanti reperti e non è improbabile che le grandi cisterne che si trovano in questo territorio risalgano all’epoca dei romani, utilizzate come condotti d'acqua, bagni, o piscine. Inoltre le diverse lucerne trovate in questa località accennerebbero al primo periodo dell'età cristiana, essendo uso a quei tempi di porre nelle tombe, accanto al cadavere, una lucerna fittile.

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    foto:mussomelilive.altervista.org

    Chiese di Mussomeli

    Sono tante le chiese che si lasciano ammirare nel territorio di Mussomeli e che renderanno il vostro soggiorno più ricco.


    Chiesa Madre

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    foto:aterranostra.org

    L’itinerario che consigliamo noi di Esplora Sicilia inizia dalla Chiesa di San Ludovico (Chiesa Madre) edificata nella seconda metà del XIV secolo.
    Questa chiesa si trova all’interno del paese, dove spicca tra le case del centro storico rendendo il paesaggio ancora più affascinante. Fu costruita per volere di Manfredi III che la dedicò a San Giorgio e fu solo con l’ascesa dei Castellar che la chiesa fu dedicata a San Ludovico da Tolosa, molto venerato a Valenza. Nel secolo XVI, sotto i Lanza, iniziarono i lavori per la costruzione delle due navate laterali, della facciata in pietra calcarea squadrata e del campanile a vela. All'interno della Chiesa Madre sono conservate opere di un certo valore quale il S. Ludovico del XV sec., San Pietro Martire del XVI sec, la statua lignea della Madonna del Soccorso del XVIII collocata nella nicchia dell'abside sopra l'altare maggiore.

    Chiesa della Madonna dei Miracoli

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    foto:viaggispirituali.it

    Dopo la Chiesa Madre è la volta della Chiesa di San Domenico, attuale chiesa della Madonna dei Miracoli, costruzione barocca della metà del ‘700. All’interno questa chiesa conserva una Madonna con bambino disegnata su pietra, un grande affresco, due pale d’altare e il ritratto di padre Biondolillo. Due sole chiese non bastano a soddisfare la fame di chi è sempre alla ricerca di esemplari forme di arte e per questo che il nostro tour virtuale continua con l’Oratorio SS. Sacramento, che si trova accanto alla Chiesa Madre. Questo oratorio appartiene all’Arciconfraternita del SS. Sacramento e risale al XVII secolo. All'interno si possono contemplare gli antichi paramenti della Confraternita, l'urna lignea (1946), che per il Venerdì Santo, trasporta il Cristo deposto, un ritratto di Francesco Tomasino di Bartolo fondatore della Confraternita, un busto ligneo dell'Ecce Homo del XVI secolo, una tela dell'Addolorata del XVIII secolo ed un crocifisso del XVI secolo.


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    foto:mussomelilive.altervista.org

    Dopo l’oratorio è la volta della Chiesa di Santa Margherita, del XIV secolo, una delle più antiche del paese. Molto probabilmente il nome di questa chiesa di deve alla prima moglie di Manfredi Chiaramonte. All’interno della chiesa si trovano splendidi stucchi baroccheggianti. Purtroppo oggi è proibito l’ingresso per motivi di sicurezza ma dall’esterno è possibile ammirare la rinascimentale semplicità della facciata e dello splendido campanile quadrato.

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    foto:castelloincantato.it

    La chiesa di San Francesco d’Assisi, del 1524, ha subito nel corso degli anni diversi restauri e nel 1905 è stata completata con il Convento che oggi ospita i frati francescani. All'interno è possibile ammirare il veneratissimo simulacro dell'Immacolata, opera dello scultore Francesco Biancardi, e diversi quadri del Provenzano del 1695.

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    foto:aterranostra.org
    Intorno al 1560 sorse a Mussomeli la Chiesa di Santa Maria dei Monti, come chiesa per la Confraternita del Monte, per essere poi affidata ai francescani. Nel 1682 fu edificata la Batia, edificio che ospita oggi il Collegio di Maria delle monache Benedettine dell'Annunziata. È all’interno di questo palazzo che si conservano il gruppo scultoreo dell'Annunciazione, i quadri dell'Annunciazione, della Natività, dell'Incoronazione della Vergine, della Madonna del Rosario, di San Benedetto e di San Michele e il quadro della Madonna del Lume.

    La chiesa di Sant’Antonio fu costruita nella seconda metà del XVI secolo per volere della Confraternita di Sant’Antonio. L’edificio fu costruito con pietra informe, ha un’unica navata e conserva al suo interno opere di un certo pregio quali il quadro di Sant'Anna del pittore termitano Vincenzo La Barbera, che rappresentante Sant'Antonio, la statua di San Francesco di Paola opera di Girolamo Bagnasco, la Madonna del Suffragio, Sant' Isidoro protettore degli agricoltori e Sant'Eligio protettore degli orafi. La chiesa di Santa Maria del Carmelo, sorta nella metà del XVI secolo, ha subito nel corso della sua storia diversi interventi e ricostruzioni: nel 1574, quando venne ceduta ai frati Carmelitani, e verso la fine del XVIII secolo quando si sentì il bisogno di ingrandire il tempio.

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    foto:aterranostra.org

    Ai primi anni del ‘500 risale la Chiesa di San Giovanni Battista e al 1649 la piccola e bellissima chiesa di S. Maria di Gesù, sede locale dell'ordine agostiniano.

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    foto:comunedimussomeli.it

    Tra le opere custodite si possono ammirare: la tela settecentesca di Guglielmo Borremans raffigurante l'Assunzione e la statua in legno di San Giuseppe, opera di fine '700, dello scultore palermitano Girolamo Bagnasco.

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    foto:storiadeisordi.it

    Ad unire storia e leggenda è la Chiesa di Santa Maria delle Vannelle. Secondo la tradizione questa chiesa fu costruita nel punto in cui fu ritrovata una lastra di pietra raffigurante la Madonna con San Michele. La storia, invece, parla del principe di Cattolica Eraclea che dopo essersi salvato dall'annegamento in un vicino torrente promosse la costruzione dell'edificio. La chiesa fu aperta al culto nel settembre del 1935 e conserva ancora oggi la statua in legno che riproduce l'immagine ritrovata risalente al 1664, nonché alcuni dipinti del pittore di Mussomeli Salvatore Frangiamore (1853-1915).

    Nel 1631 Don Vincenzo Sorge Malaspina fece costruire la cappella della Madonna del Riparo, per utilizzare la cripta come sepoltura di famiglia. Nel corso del tempo questa cappella è divenuta il punto preferito di turisti e non per i loro scatti al panorama di Mussomeli, da qui infatti si gode una vista incantevole.




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    foto:aterranostra.org

    Dopo le chiese è la volta di palazzi, torri e fontane che si trovano nella città di Mussomeli. Il nostro tour inizia da Palazzo Trabia che fu edificato nel 1600 per volere di Don Ottavio Lanza. Nel cortile di questo palazzo si trovava, fino al 1938, la fontana di Nettuno. Nel 1700 fu abbellito ed ampliato con numerose sale, magazzini, alloggi destinati alla servitù e ai militari. La facciata del palazzo presenta elementi decorativi in pietra da taglio ed è tuttora visibile la coreografica scalinata. Il piano terra dal 1892 è sede del circolo “Trabia Paolo Emiliani Giudici”. Al piano nobile si trova un grande salone, un tempo pieno di pregiati suppellettili e mobili. Il palazzo custodiva, fino alla prima metà del secolo scorso, una notevole pinacoteca.

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    foto:virtualsicily.it

    A seguire c’è Palazzo Minneci costruito nella metà del XVIII secolo dal sacerdote Don Baldassarre Minneci. In stile tardo barocco questo il prospetto di questo palazzo presenta cornici, portali e mensole in pietra intagliata. I balconi, con ringhiere a petto d'oca, poggiano su mensole di pietre scolpite. All’interno troviamo un cortile.


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    foto:virtualsicily.it

    Palazzo Mistretta fu edificato nel XIX secolo dal Barone di Mistretta ed è suddiviso in tre piani, il pianoterra, destinato ai magazzini, il piano nobile e l’attico, destinato alla servitù. La facciata è decorata da lesene e fregi fitomorfi, in pietra scolpita.

    Continuiamo il nostro itinerario e arriviamo a Palazzo Sgadari, edificato nell’800. La funzione iniziale era quella di carcere e solo in seguito divenne sede del municipio. L’aspetto attuale è il risultato delle diverse ristrutturazioni effettuate negli anni ’20 del secolo scorso. Il palazzo presenta paraste, parapetti dei balconi, cornici e mensole in pietra intagliata. Nella parte superiore campeggia lo stemma dei Castellar.
    L’edificio è stato recentemente ristrutturato e ospiterà il museo archeologico di Mussomeli.

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    foto:.lasiciliainrete.it

    Palazzo la Rizza fu edificato nella prima metà del XVIII con pietra da taglio. La porta d’ingresso, con lo stemma della famiglia, conduce a un cortile interno. Il salone ha volte affrescate dal pittore Giovanni Meli.


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    foto:ilfattonisseno.it

    Terminati i palazzi più importanti è la volta della Torre Civica, eretta nel 1500 da Don Cesare Lanza. Agli inizi del ‘900 è stata restaurata integralmente e in cima è installato un ottocentesco orologio a tre quadranti al fine di consentire la lettura dell’ora da tutti i luoghi del paese. La torre, con merlature ghibelline in pietra, ha pianta quadrangolare e su un lato è presente una finestra con bifora che richiama quelle presenti nel castello Chiaramontano. In cima è si trova una campana del 1555. Alla fine del nostro giro tra le bellezze di Mussomeli troviamo la Fontana Indovina. Le prime notizie certe di questa fontana risalgono al 1700. Nel 1872 fu eliminata per costruire un lavatoio pubblico che fu a sua volta rimosso nei primi anni del ‘900 per ricollocare la fontana. Degne di nota sono le decorazioni in pietra scolpita che rappresentano due serpenti con testa di drago, lo stemma di Mussomeli, una conchiglia e motivi fitoformi.

    Questa è Mussomeli, un paese circondato dal verde e dalla pace, capace di accoglierti e deliziarti con le sue bellezze.
    Noi di Esplora Sicilia lo consigliamo a tutti coloro vogliono scoprire la Sicilia dell’entroterra e lasciarsi affascinare da immense vallate.



    fonte:esplorasicilia.com
     
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    foto:footage.framepool.com



    Aragona


    Aragona (Raona in siciliano) è un comune italiano di 9 548 abitanti della provincia di Agrigento in Sicilia.

    Nota soprattutto per le maccalube, il suo territorio comunale registra il più alto tasso di emigrazione d'Italia.

    Aragona si trova sulle pendici orientali del monte Belvedere, a 428 m s.l.m.. La sua fondazione risale al 6 gennaio 1606.


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    foto:teleacras.com


    Storia


    Il 2 agosto del 1604, si aprì a Messina il 49° Parlamento Generale Straordinario, presieduto dall'eccellentissimo viceré spagnolo Don Lorenzo Suarez de Figueroa e Cordoba. In occasione di questo Parlamento, il giovane conte del Comiso, don Baldassare III Naselli, presentò la domanda di fondazione di un nuovo villaggio da fabbricarsi nel suo feudo di Diesi. Il 6 settembre dello stesso anno la domanda del conte Naselli finiva sul tavolo del viceré Lorenzo Suarez, il quale ordinava che si facessero accertamenti sul merito. Fu come porre la prima pietra della fondazione del nuovo villaggio, che sarà chiamato come la madre del fondatore donna Beatrice Aragona Branciforti. Così con la "licentia populandi" il 6 gennaio 1606 grazie a Baldassare III Naselli nasceva Aragona.

    I Naselli governarono il paese di Aragona sino al 1812, anno in cui fu abolito il feudalisimo. Di seguito si indicano i membri della famiglia che ressero il feudo di Diesi e poi la terra d'Aragona:

    Baldassare I Naselli: conte di Comiso, fu lui ad acquisire il feudo di Diesi. Dimorò a lungo ad Agrigento e trascorse gli ultimi anni a Comiso.
    Gaspare I Naselli: figlio primogenito di Baldassare I, si trovò impigliato nelle avventure paterne fino al collo, tanto da espatriare addirittura fuori d'Italia per sfuggire alla vendetta di alcuni nemici. Finì i suoi giorni a Comiso.
    Gaspare II Naselli detto "Il Conte Rosso": figlio di Baldassare II sposò Beatrice Aragona Branciforti di Castelvetrano.
    Baldassare III Naselli: figlio di Gaspare, fu lui ad avviare la costruzione di un nuovo borgo nel feudo di Diesi chiamandolo Aragona in onore della madre e della prestigiosa casata reale. Morì in giovane età di malaria insieme a due dei suoi figli maschi lasciando come unico erede il figlio Luigi.
    Luigi I Naselli: visse quasi tutta la sua esistenza a Palermo dove riuscì ad ottenere il titolo di Principe di Aragona. Ammalato, vedovo e anziano si stabilì a Sciacca dove morì.
    Baldassare IV Naselli: figlio di Luigi, dopo aver ricoperto importanti cariche civili e militari ed essersi distinto nella difesa dell'Isola dalle incursioni saracene e francesi, decise di trasferirsi ad Aragona dove visse fino alla morte. Qui avviò la costruzione del grande palazzo feudale e del reticolo di collegamenti sotterranei ancora da disvelare. Favorì inoltre l'arrivo in paese dei padri Mercedari e dei Cappuccini, finanziando la costruzione dei rispettivi conventi e delle chiese. Dopo aver ceduto la signoria su tutti i possessi della famiglia al figlio Luigi (1702), prese i voti religiosi e si ritirò a vivere presso il convento dei Frati Cappuccini dove morì nel 1710. Ricordato come "il padre dei poveri", il principe è stato sepolto ai piedi dell'altare maggiore della Chiesa cappuccina di San Giuseppe (oggi parrocchia di San Francesco d'Assisi). I suoi resti si trovano attualmente presso il cimitero comunale di Aragona dove sono stati provvisoriamente traslati durante i lavori di ricostruzione dell'antica Chiesa in attesa di essere ritumulati nel luogo originario.

    Baldassare V Naselli: nato nel palazzo locale, fu il personaggio più prestigioso della famiglia. Dopo essere stato nominato Presidente del Consiglio di Sicilia si trasferì prima alla corte di Napoli e poi a Parigi, dove visse ospite del re di Francia.
    Baldassare VII Naselli è stato l'ultimo membro della famiglia ad essere titolare di poteri civili sulla comunità aragonese in ragione dell'abolizione della feudalità nel 1812. Alla sua morte, avvenuta senza eredi diretti ad Aragona nel 1863, il titolo di principe passò alla sorella Marianna Naselli, sposa di Nicolò Burgio, e da questa al figlio Luigi.
    Luigi Burgio Naselli: sacerdote, fu l'ultimo erede diretto della famiglia Naselli con i titoli di duca di Villafiorita, principe di Aragona e di Poggioreale, conte di Comiso e marchese di Gibellina. Dopo aver passato i primi anni a Palermo, si trasferì poi ad Aragona dove chiamò intorno a sé le Figlie della Carità di San Vincenzo de'Paoli che presero ad occuparsi dei numerosi poveri e orfani presenti in paese. Alla sua morte, avvenuta ad Aragona il 28 settembre del 1889, il Palazzo di famiglia confluì nel patrimonio dell'Istituto Principe di Aragona, che per oltre un secolo, sotto la guida delle Figlie della Carità, si occuperà della cura dei minori. A lui si deve con ogni probabilità l'incarico all'architetto palermitano Giovan Battista Palazzotto per la creazione dell'attuale cappella (1874). Lo spazio sacro è composto da due ambienti adiacenti entrambi neoclassici, entrambi sono dotati di mensa eucaristica. Un monumento funebre neoclassico dedicatogli dall'erede si trova nel vano di ingresso alle cappelle, dedicatogli dall'erede Antonio Burgio Brancaccio.




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    foto:palazzoprincipe.it

    Da visitare il Palazzo Baronale, del settecento, attuale sede del Municipio che affaccia nella centrale piazza Umberto I. Il piano superiore, alleggerito da eleganti e panoramiche logge, conserva, in alcuni vani originali, affreschi attribuiti alla cerchia del pittore fiammingo Guglielmo Borremans (1670 –1744).

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    foto:consorziodeitempli.ag.it

    Chiesa del Carmine, sempre del settecento, si conserva una statua lignea di Salvatore Bagnasco raffigurante S.Giuseppe.



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    foto:consorziodeitempli.ag.it

    la Chiesa del Rosario, di questa sono stati recentemente riportati alla luce i dipinti originali del soffitto ligneo; nella sottostante cripta della Chiesa del Rosario sono esposti corredi liturgici e, in un reliquiario, un frammento della Sacra Sindone.


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    foto:.trs98.it

    la Chiesa Madre (o Chiesa dei Santi Tre Re) che conserva al suo interno delle opere pregevoli come un bel presepio in carta pesta del seicento, delle decorazioni di stucchi del Serpotta, delle tele del Bagnasco ed una Madonna, opera del Gagini.




    aragona
    foto:sicilia.indettaglio.it



    Gennaio: si festeggia Sant'Antonio Abate, con riscoperta alle antiche tradizioni, benedizione degli animali, degustazioni di prodotti tipici nel quartiere della "Furca Vò", e la conclusiva cavalcata.

    Febbraio: Carnevale Aragonese, con sfilata di carri allegorici.

    Marzo: si festeggia San Giuseppe Artigiano, con la processione del Santo per le vie del paese, i giochi pirotecnici e la tradizionale Tavulata.

    Marzo/Aprile: Settimana Santa Aragonese. Le celebrazioni iniziano la domenica delle palme con la benedizione e il corteo nelle parrocchie. Il giovedì nella Chiesa del Carmine ha luogo la "deposizione del Cristo dalla Croce" e poi per tutta la notte la veglia e visita ai sepolcri. Il venerdì santo le celebrazioni iniziano la mattina con la processione del Nazareno e dell'Addolorata verso il Calvario dove, alle ore 12,00 in punto, avviene la Crocifissione del Cristo. Intorno alle ore 20,00 un'urna adornata da 4 angeli e da una palma intrecciata con all'interno il Cristo morto, muove in processione per le vie del centro storico, accompagnata dalle statue dell'Addolorata, di San Giovanni e di Maria Maddalena, dalla banda musicale e da centinaia di fedeli. La processione termina intorno alla mezzanotte con la sepoltura che ha luogo sulla piazza antistante la Chiesa della Madonna del Carmine. Momento centrale delle manifestazioni pasquali è però la domenica di Pasqua quando a mezzogiorno ha luogo il cosiddetto "Incontro dei Giganti", rappresentazione che avviene utilizzando le statue del Risorto e della Vergine nonché quelle spagnoleggianti di San Pietro e San Paolo. Le manifestazioni proseguono poi nelle due domeniche successive quando la statua della Madonna del Rosario viene portata in processione per le vie del paese accompagnata sempre dai Santi Pietro e Paolo. La seconda domenica di Pasqua avviene la Sagra del Tagano.

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    foto:tvsicilia24.it

    Maggio: si festeggia la Madonna di Fatima, incoronata Regina di Aragona il 13 maggio 1950 dal cardinal Ruffini. La Madonna viene venerata per tutto il mese di maggio all'interno della Chiesa Madre dove i fedeli si recano a portare fiori e a sostare in preghiera. Il 13 maggio avviene la processione del venerato simulacro della Madonna di Fatima per le vie della città, e al rientro vengono esplosi i giochi pirotecnici. Legati ai festeggiamenti vi sono il "Meeting del Folklore dei bambini" e la "Rassegna corale Mariana".

    Maggio/Giugno: si festeggia il Corpus Domini, con la processione Eucaristica per le vie della città.

    Luglio/Agosto: Estate Aragonese, con arte, musica, teatro e le suggestive "Notti Bianche"

    Agosto: la prima domenica viene festeggiata la Madonna della Mercede anticipata da una novena con la recita del SS. Rosario in dialetto strettamente aragonese e il canto "Salve Regina". La domenica conclusiva intorno alle ore 18,00 viene celebrata la Santa Messa con la benedizione degli emigranti, al termine si svolge la Processione della Madonna della Mercede per le vie della città, e al rientro vengono esplosi i giochi pirotecnici. La terza domenica viene invece festeggiato San Giovanni Bosco, con la processione Eucaristica per le vie della contrada "Serre" e i giochi pirotecnici.

    Settembre: la prima domenica viene festeggiata Santa Rosalia con la processione della statua per le vie dell'omonima contrada e i giochi pirotecnici. Il secondo sabato avviene la tradizionale Sagra della salsiccia, tramandata di anno in anno; dal 2007 la Sagra viene svolta presso le vie del centro storico del Paese, rievocando la vecchia tradizione. La salsiccia viene arrostita dai macellai aragonesi presso dei caratteristici stand dislocati lungo le vie. La seconda domenica viene invece festeggiato "San Vincenzo Ferreri" che è la festa più importante del paese,spettacoli canori e di cabaret, la fiera del bestiame, la processione del Santo e i giochi pirotecnici che concludono l'Estate Aragonese.

    Ottobre: giorno 4 viene festeggiato San Francesco d'Assisi, con la novena, la benedizione degli animali, e la processione della statua per le vie della città. La seconda domenica si festeggia invece la Madonna del Rosario che dal 1875 è la Patrona di Aragona. In suo onore si svolge la degustazione del "Pani cunzatu", momenti religiosi e di fraternità, la Processione della statua per le vie della città, la "Sagra del cuddiruni aragonese" e i giochi pirotecnici.

    Novembre: il 2 vengono ricordati i fedeli defunti, i caduti nelle guerre, i caduti di Nassirya e i caduti in miniera con un corteo fino al cimitero.

    Dicembre: giorno 8 si festeggia l'Immacolata con la processione per le vie del paese. Dal 16 al 24 hanno invece luogo le Nannaredde (novene di Natale).

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    foto:.noidelplatani.it

    La prima domenica dopo Pasqua ad Aragona si svolge la sagra del tagano. Il piatto che ad Aragona simboleggia la Pasqua è u taganu una pietanza a base di pasta, uova, tuma. Il nome deriva dal tegame in cui viene cucinato nel pomeriggio del Sabato Santo per poi essere consumato il Lunedì dell'Angelo. Cotto in forno almeno per due ore si può mangiare freddo o caldo. Il piatto si può gustare accompagnato da vino novello bianco.


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    foto:siciliafan.it

    Un altro piatto tipico della cucina aragonese è la 'mbriulata o imbriulata, che consiste in un impasto di pasta di pane salato arrotolato, farcito al suo interno da vari ingredienti: olive, cipolla e tritato di maiale condito con olio d'oliva, sale e pepe.


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    foto:blogsicilia.eu

    La Riserva naturale integrale Macalube di Aragona è una riserva naturale regionale della Sicilia, situata 4 km a SO di Aragona e 15 km a N di Agrigento, che comprende una vasto territorio argilloso caratterizzato dalla presenza di fenomeni eruttivi.

    Il nome Macalube (o, secondo alcune versioni, Maccalube) deriva dall'arabo Maqlùb che significa letteralmente "ribaltamento".


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    foto:siciliaisoladaamare.wordpress.com

    L'Occhiu di Macalubi (appellativo locale della zona) ha da sempre esercitato un grosso fascino sulla popolazione locale e sui viaggiatori stranieri.

    Le più antiche descrizioni dell'area si debbono a Platone[senza fonte], Aristotele[senza fonte], Diodoro Siculo e Plinio il Vecchio. In epoca romana il fango sgorgante dal terreno veniva utilizzato per cure reumatiche e trattamenti di bellezza[senza fonte].

    Nel corso dei secoli il luogo ha ispirato numerose leggende: secondo una di queste, i fenomeni eruttivi dell'area sarebbero iniziati nel 1087, a seguito di una sanguinosa battaglia tra Arabi e Normanni: il liquido grigiastro sospinto dall'attività eruttiva fu così ribattezzato sangu di li Saracini (sangue dei Saraceni).

    Un'altra leggenda vuole che un tempo nell'area sorgesse una città, e che un giorno, a causa di un'offesa fatta alla divinità locale, la città fosse stata sprofondata nelle viscere della terra[senza fonte].

    Guy De Maupassant, giunto nel sito nel 1885 durante una tappa di uno dei suoi viaggi, descrisse i vulcanelli di fango come "pustole di una terribile malattia della natura".

    L'area della Riserva è caratterizzata da terreni prevalentemente argillosi, solcati da corsi d'acqua effimeri, alimentati da precipitazioni stagionali. L'area di maggiore interesse è la collina dei Vulcanelli, un'area brulla, di colore dal biancastro al grigio scuro, popolata da una serie di vulcanelli di fango, alti intorno al metro.

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    foto:vacanzesiciliane.net



    fonte: wikipedia.org
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    canicatti
    foto:tfnweb.it


    Canicattì


    Canicattì (Caniattì in siciliano) è un comune italiano di 35.393 abitanti della provincia di Agrigento in Sicilia.
    Il territorio di Canicattì si trova al confine fra le province di Agrigento e quella di Caltanissetta, in una conca naturale (l'alta valle del fiume Naro) circondata da basse colline, assai fertile e tradizionalmente vocata alle colture frutticole (un tempo il mandorlo, oggi l'Uva Italia, l'uva da mosto, la pesca e l'albicocca). L'area si differenzia notevolmente dal territorio circostante; tale differenza ha favorito sia il paesaggio agricolo che il centro urbano. Più verde e florido il primo, maggiormente ricco di attività commerciali, anche all'avanguardia, e di animazione cittadina il secondo, rispetto ai centri vicini di entrambe le province.

    Con Regio Decreto firmato da re Vittorio Emanuele III dal 19 febbraio 1934 si fregia del titolo di città.
    I resti archeologici ritrovati nella città e nelle zone adiacenti testimoniano l'estistenza di un abitato già in epoca pre-romana. Il nome di Canicattì è probabilmente di origine araba: deriverebbe dalla forma latina Candicattinum, a sua volta con radice nell'arabo Handaq at-tin, ossia "fossato di fango" o "fossato di argilla"; tale toponimo è stato ritrovato in una carta geografica della Sicilia del periodo di dominazione Saracena.

    Dopo la conquista della Sicilia da parte dei Normanni, il signore del luogo, probabilmente l'Emiro Melciabile Mulè, fu assediato e sconfitto dal barone Salvatore Palmeri (1087), che era al seguito del conte Ruggero e questi per ricompensa gli offrì la spada e il dominio del feudo. Sotto la signoria dei Palmeri, la fortezza araba venne ampliata e prese l'aspetto di un vero e proprio castello con una torre.

    Ai normanni successero i Francesi, cacciati poi dagli Aragonesi. Nel 1448 il feudo di Canicattì venne ceduto da Antonio Palmeri, che non aveva figli, al nipote Andrea De Crescenzio. Questi ottenne dal re Giovanni d'Aragona la "Licentia populandi", cioè la facoltà di ampliare i confini del feudo, di incrementare gli abitanti e di amministrare la giustizia. Sotto il De Crescenzio, Canicattì era una comunità rurale che contava da mille a millecinquecento abitanti, insediati nella parte alta della città. Ad Andrea succedette il figlio Giovanni, che non avendo figli maschi, lasciò la baronia al genero Francesco Calogero Bonanno, nel 1507.

    Con il casato Bonanno la città conobbe un considerevole incremento demografico; i feudatari, prima baroni, poi duchi e infine principi della Cattolica, fecero costruire splendidi edifici e fontane. La signoria dei Bonanno durò fino a tutto il Settecento, ma verso la fine del secolo iniziò il suo declino; la società feudale si avviava a scomparire. L'ultimo dei Bonanno, nel 1819, cedette la signoria di Canicattì al barone Gabriele Chiaramonte Bordonaro.
    Dopo le sommosse e rivoluzioni del 1848 e 1859/61, raggiunta l'unità d'Italia a Canicattì sorsero banche, mulini e stabilimenti che incrementarono il commercio. Per tutto il corso del Novecento l'economia della città si è basata fondamentalmente sull'agricoltura (uva da tavola soprattutto), commercio e settore terziario.

    Per la sua prosperità agricola, fondata soprattutto sulla coltura dei vigneti di uva da tavola, Canicattì è stata annoverata nel 1987 tra i Cento Comuni della Piccola-Grande Italia.

    È stata centro (seppur minore rispetto alle grandi città dell'isola) di laboratori politici sia di centro-destra che di sinistra ed è stata vittima, a volte, di gravi episodi, come le stragi naziste e americane del 1943 e quella del 1947. La città è da secoli il centro più importante lungo la direttrice di comunicazioni - oggi stradali e ferroviarie - fra Agrigento e Caltanissetta (e da qui verso Catania e Palermo).

    Alla fine degli anni sessanta la coltivazione dell'Uva Italia assunse un ruolo fondamentale per l'economia del territorio, e quasi tutti i canicattinesi negli anni settanta possedevano una vigna. Veniva a Canicattì gente di Gela, San Cataldo, Delia e altri comuni del circondario per lavorare; il boom economico portò Canicattì tra i 100 comuni italiani col maggior reddito pro capite; i mercati erano sempre affollati e concitati. Poi, a causa dell'eccessivo numero di vigne (molte delle quali piantate in terreni inadatte), alla disorganizzazione e all'improvvisazione del territorio, l'industria dell'Uva Italia decadde anche a causa della concorrenza pugliese e di quella di Mazzarrone, agli inizi degli anni novanta.

    Nel 2004 il Comune di Canicattì è stato sciolto per infiltrazioni mafiose ed è stato retto, fino al 2006, da una Commissione straordinaria di nomina governativa, che ha ripristinato la legalità e l'efficienza della macchina amministrativa, realizzando anche importanti opere pubbliche: restauro del Teatro Sociale, Palasport "Saetta e Livatino", Piscina comunale, rifacimento di Largo Aosta, realizzazione della nuova Via Giglia.

    Il dialetto di Canicattì, essendo la città tra le province di Agrigento e Caltanissetta, ha sue peculiarità che non si trovano in altre parti dell'isola (ad esempio buenu al posto di bonu) e che influenzano il circondario. Degni di nota sono gli studi sulla parlata, sulla sintassi e sulla grammatica canicattinese del salesiano don Fausto Curto D'Andrea.


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    foto:comune.canicatti.ag.it
    Chiesa Madre San Pancrazio, edificata grazie alle offerte dei baroni Adamo e della popolazione, nel 1760. Conserva una tela del "Monocolo" Pietro D'Asaro, rappresentante la Sacra Famiglia, sant'Anna, san Gioacchino e un donatore con un cesto di frutta, la statua marmorea della Madonna delle Grazie di epoca bizantina, un reliquiario del settecento, il coro ligneo del settecento in stile Luigi XVI, un dipinto ad olio raffigurante la Vergine Addolorata del pittore Francesco Sozzi, una statuetta marmorea rappresentante l'"Ecce Homo" di buona fattura e di autore ignoto, un fonte battesimale del seicento e altre opere di minor valore. All'interno del Duomo di Canicattì riposa in un sarcofago marmoreo, l'arcivescovo Angelo Ficarra. Il vecchio duomo sorgeva nei pressi della Rocca Baronale e risaliva all'epoca della conquista normanna, ma fu poi abbandonato perché fatiscente già verso la fine del Seicento.

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    foto:consorziodeitempli.ag.it

    Chiesa del Santo Spirito con annesso convento e chiostro dei frati minori osservanti, del seicento. Il convento fu edificato per volere di donna Antonia Balsamo Bonanno e del frate Antonio Nocera, sui resti di un vecchio oratorio. La chiesa, a tre navate, conserva una statua marmorea, degli inizi del Seicento, rappresentante la Madonna col bambino, di scuola gaginesca e un Crocifisso, di ignoto autore, festeggiato ogni anno il 3 maggio.

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    foto:canicatti.altervista.org

    Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo del 1662. Annesso alla chiesa fu edificato il Monastero delle benedettine, oggi restaurato e trasformato in museo etno-antropologico. La chiesa, tra le più belle di Canicattì, è oggi in attesa di ricostruzione e restauro. All'interno si conservavano oggetti sacri di grande valore e numerosi stucchi di scuola serpottiana.


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    foto: solfano.it


    Chiesa di San Diego d'Alcalà
    , protettore della città, sede della Confraternita dei Santi Sebastiano e Diego. Nella parrocchia si organizza la tradizionale processione del venerdì Santo, risalente al Settecento e tuttora molto sentita dalla popolazione. La via Crucis con le statue del Cristo, della Madonna Addolorata, di Santa Maria Maddalena e di San Giovanni, vede la partecipazione delle autorità religiose, politiche, civili e militari della città.

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    foto:scuoladelia.it

    Chiesa di Santa Maria del Carmelo, edificata alla fine del Cinquecento assieme al convento dei frati carmelitani. Agli inizi dell'Ottocento la chiesa fu ricostruita a spese degli zolfatai. Dopo la soppressione degli ordini religiosi, il convento fu abbattuto e al suo posto furono edificati la Casa del Fascio (oggi palazzo della Guardia di Finanza) e il Teatro Comunale Sociale.


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    foto:comune.canicatti.ag.it

    Chiesa di Santa Maria degli Agonizzanti, edificata dai baroni Adamo e un tempo sede della Confraternita che assisteva i condannati a morte. All'interno si conserva una tela settecentesca del pittore Guadagnino raffigurante la Madonna che assiste un morente.


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    foto:comune.canicatti.ag.it

    Chiesa di San Giuseppe, edificata nel seicento e rimaneggiata nei secoli successivi, accanto a quello che fu l'Ospedale dei Poveri e oggi è il Collegio di Maria. L'interno conserva una statua lignea di San Giuseppe, opera del Bagnasco e un soffitto ligneo a cassettoni di pregevole fattura.

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    foto:comune.canicatti.ag.it

    Chiesa di San Biagio, esistente già alla fine del Cinquecento e nell'Ottocento affidata ai padri agostiniani. L'interno conserva tele settecentesche di buona fattura, un'antica statua di San Biagio e una pregevole statua lignea dell'Addolorata.


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    foto:canicatti.altervista.org


    Chiesa di San Francesco,
    della fine del Cinquecento, un tempo dei frati conventuali. La chiesa, conserva una statua dell'Immacolata, ritenuta miracolosa dalla popolazione, incoronata nel 1954 dall'arcivescovo di Palermo Ernesto Ruffini, Regina della città. La chiesa conserva una cripta del Cinquecento, scoperta negli anni cinquanta del secolo scorso.

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    foto:comune.canicatti.ag.it

    Chiesa di San Domenico, del 1612, con annesso convento, un tempo dei domenicani. La chiesa conserva due antiche statue, San Domenico e San Tommaso, ritrovate durante alcuni lavoro di restauro. Il convento è stato, di recente, restaurato su progetto dell'architetto Paolo Portoghesi e rimane, tutt'oggi, così come per il Monastero delle benedettine, in attesa di un adeguato utilizzo. Il Comune tarda a prendere decisioni affinché ciò che viene recuperato non di disperda nuovamente.
    Resti della secentesca fontana del Nettuno situati nel prospetto della torre campanaria della Chiesa del Purgatorio.

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    Fontana dell'Acquanova, abbeveratoio, poi demolito, il cui nome sopravvive in quello dell'omonimo quartiere, ora recuperata

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    foto:canicattinotizie.net

    Teatro Sociale
    , opera dell'architetto Ernesto Basile. Nel 1927 ospitò Luigi Pirandello con la sua Compagnia teatrale.


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    foto:solfano.it

    Villa Firriato, sempre del Basile, edificata alla fine dell'Ottocento per volere del nobiluomo Francesco Lombardo Gangitano.

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    foto: solfano.it

    Palazzo La Lomia del XVII secolo, sito in via Cattaneo. In pietra arenaria presenta dei balconi barocchi. Le 35 stanze del palazzo e il fascino che ruota attorno all'edificio hanno fatto sì che lo storico Santi Correnti lo definisse "uno dei più bei palazzi storici di Sicilia". È stato abitato dal famoso barone Agostino La Lomia



    Palazzo La Lomia
    si trova in via Mariano Stabile su di un poggetto e circondato da giardini. Edificato a partire dalla fine del Cinquecento è uno dei palazzi più grandi e più interessanti, a livello storico e architettonico della città. È stato abitato dal Ministro di Grazia e Giustizia del Regno Borbonico Gioacchino La Lomia


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    foto: tripadvisor.it

    Palazzo Chiaramonte Bordonaro, sito in Piazza Roma, in stile barocco con ricco giardino. Appartenuto all'ultimo feudatario della città, il barone Gabriele Chiaramonte Bordonaro


    pal_pretura
    foto: solfano.it

    Palazzo Gangitano, sito in via Poerio. Fu abitato dal Senatore del Regno d'Italia Salvatore Gangitano


    pal_adamo
    foto:solfano.it

    Palazzo Adamo, sito nel corso Umberto, il Palazzo è stato fatto edificare dalla famiglia Adamo nella seconda metà del XVIII secolo.
    Composto da due elevazioni fuori terra, presenta una fila di balconi sostenuti da mensole in ghisa e con ringhiere in ferro battuto. Attualmente si presenta abbandonalo al degrado e all'incuria del tempo.

    pal_gangitano
    foto: solfano.it

    Palazzo Gangitano di via don Minzoni, vicino il Duomo è stato costruito nella seconda metà del Settecento. Una delle finestre del palazzo dà proprio sulla chiesa, per cui la famiglia poteva assistere alla Messa senza uscire dalla dimora
    E' composto da due elevazioni fuori terra.
    Si presenta a noi in tutta la sua bellezza mostrando il carattere barocco della facciata.
    All'interno, purtroppo, tutto è stato stravolto. La nuova destinazione d'uso, soprattutto al piano terra ad attività commerciale (abbigliamento e abiti da sposa), non ci consente di descrivere gli ambienti originari.



    pal_gangitano
    foto:solfano.it

    Palazzo Gangitano di via Calatafimi, in stile barocco. Vi ebbe sede la Pretura di Canicattì
    è costituito da due corpi di fabbrica distinti; il corpo principale realizzato nei primi del Novecento presenta il prospetto principale a schema rettangolare; è composto da piano terra più due livelli scanditi da quattro aperture per piano; la muratura e del tipo continua con conci squadrati legati con malta.
    Al corpo di fabbrica principale si addossa, nel lato est, un corpo di fabbrica di epoca precedente, settecentesco, con prospetto principale a schema rettangolare.
    Si compone di due livelli. I balconcini sono caratterizzati da ringhiere a petto d'oca.
    E' realizzato in muratura continua intonacata di pietrame informe legato con malta; la copertura è a tetto con manto in tegole.
    Il palazzo si trova in condizione di degrado.


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    foto:canicattinotizie.net


    Palazzo La Lomia, sito tra Via Cattaneo e Piazza Dante, appartenuto a don Marco La Lomia, interessante esempio di architettura tardo barocca siciliana, venne fatto costruire nel 1750-70 dal Barone Marco La Lomia.
    Il tipo di edilizia adottato è quello bloccato con atrio interno; presenta negli angoli una caratteristica soluzione con balconi d'angolo continui (unica nella città di Canicattì).
    I balconi poggiano su mensole artisticamente scolpite con ringhiere a "petto d'oca" e vasetti sul coronamento.
    Il prospetto principale, rettangolare a due livelli ha un portale delimitato da paraste risaltate raccordate alla parete da un quarto di colonna.
    Inoltre si presenta sovrastato dal balcone che forma col portale la tipica tribuna sulla quale si posa lo stemma familiare.
    Il palazzo costruito in pietra di Donato si trova in ottime condizioni grazie al restauro effettuato dall'attuale famiglia proprietaria Giardina.


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    foto:solfano.it

    Palazzo Bartoccelli, già Adamo, in pietra arenaria e in stile barocco. All'interno fu ospitato il re Ferdinando II di Borbone nella sua visita a Canicattì.
    Il prospetto principale a schema rettangolare presenta balconcini con ringhiere a "petto d'oca" sorretti da mensole in ferro.
    Il portale presenta il fornice inquadrato da un ordine di semicolonne concluso da cornice retta.
    Il portone intagliato è di disegno neoclassico. La parasta angolare è composta da conci squadrati di pietra di Donato legali con malta.
    La copertura è a tetto con manto in tegole. L'interno è stato rifatto in stile Impero (ultimo decennio del Settecento, primo ventennio dell'Ottocento), con decorazione del salone a "greca".
    Il palazzo è stato recentemente restauralo dalla famiglia proprietaria Cucurullo.

    pal_caramazza
    foto: solfano.it

    Palazzo Caramazza
    Sito in Piazza Roma, meglio conosciuta come Piazza Borgalino, è uno splendido esempio di architettura barocca fatto edificare dalla famiglia Caramazza nella seconda Metà del XVIII secolo.
    Nonostante le numerose manomissioni subite nel tempo, l'aspetto esterno si presenta ancora in tutta la sua originaria bellezza.
    È composto di due elevazioni fuori terra. Il piano terra, adibito ad esercizi commerciali di vario genere, con la sostituzione di alcune aperture per esigenze pratiche, che ne hanno modificato l'aspetto originario, si presenta leggermente deturpato.
    Il prospetto principale è scandito da quattro balconi, sorretti da mensole in pietra di Donato, con ringhiere in ferro battuto a "petto d'oca".
    Le aperture sono circondale da mostre in pietra e da conclusioni del tipo a frontone. Le paraste angolari sono composte da conci squadrati,il cornicione rispecchia i canoni dell'architettura barocca: grande e sporgente ma in armonia con le dimensioni del Palazzo.


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    foto:anicattiweb.com
    Palazzo Stella, sede della biblioteca comunale, ha ospitato la Coppa del Mondo il 2 e 3 marzo 2008


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    foto:comune.canicatti.ag.it

    Ponte di ferro, situato vicino alla stazione ferroviaria e ricoperto di murales e dipinti


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    foto:case-sicilia.it

    Villa Giacchetto, già residenza estiva delle monache benedettine di Naro


    vito-soldano
    foto:agrigentoierieoggi.it

    Resti romano-bizantini
    A sei chilometri da Canicattì, tra la strada statale n. 122, che collega Agrigento con Caltanissetta, e la regia trazzera Canicattì-Castrofilippo, si sviluppa per ben 40 ettari il sito di Vito Soldano, uno dei pochi centri romano-bizantini individuati, ove sono affiorati nel tempo resti di città antiche e sono stati ritrovati reperti ed in particolare monete appartenenti a diversi periodi storici.
    Tutto ciò nell’immaginario collettivo canicattinese ha sviluppato numerose leggende plutoniche, legate appunto alla presunta presenza di un tesoro sotterraneo la cui scoperta dovrebbe portare al riscatto dell’intera Sicilia. Molte di queste leggende sono altresì collegate alla saga di Carlo Magno e dei suoi paladini, così come avvenuto, con analogie a volte davvero sorprendenti, anche in altri comuni del territorio nazionale.
    Vito Soldano coincideva, fino ai primi decenni del Novecento, quasi con l’intero territorio di Canicattì, comune allora primo per popolazione dell’intera provincia di Girgenti, ma con un territorio assai piccolo e circondato da quello ben più esteso di Caltanissetta, Girgenti e soprattutto della vicina Naro, già città demaniale e sede di una importante Comarca. Solo nel 1923, con Regio Decreto del 25 marzo, Canicattì, “città opulenta” secondo Vito Amico e “città laboriosa e industre” per Francesco Nicotra, vide riparato, ma solo in parte, il torto subito ed ebbe riconosciuta l’estensione della sua giurisdizione sugli attuali 9142 ettari di territorio. L’allora capo dell’ufficio tecnico comunale, ingegnere Luigi Portalone, completò nel 1934 i necessari sopralluoghi.
    La zona di Vito Soldano, delimitata idealmente dal Castello di Naro, dal Monte Castelluccio di Racalmuto, dalla Serra Puleri e da Monte Bardaro sulla direttrice per Caltanissetta, era da tutti considerata fonte di benessere per la fertilità e per la ricchezza di acque: il fiume Naro, le sorgenti Giarra, Balata dei Russi, Gulfi di Trabia, Calice di San Francesco, Granci e le acque piovane di Grotticelle, Aquilata, Andolina e Cazzola.
    Le vicende legate al sito di Vito Soldano ed il suo stesso nome sono stati oggetto in passato, e lo sono ancora oggi, di accese discussioni tra gli storici e gli archeologi.


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    foto:siciliafan.it

    Resti della Rocca Baronale, nel Largo Castello, edificata dagli arabi come fortilizio, trasformata in castello dai normanni e in palazzo baronale dai feudatari della Città. All'interno si conservava una preziosa Armeria, famosa in tutta la Sicilia, e ora esposta al Museo nazionale di Capodimonte, dove lo storico Umberto Bile, vicedirettore del museo, ha organizzato una mostra dal titolo "Mostra delle armi del Cavaliere Giostrante".


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    foto:canicattimia.it

    Masseria di contrada Cazzola, edificata parte nel seicento e parte nel settecento, oggi abbandonata e quasi distrutta, fu un esempio mirabile di borgo agricolo con tutte le attività e le strutture legate alla coltivazione e produzione di prodotti della terra, in particolare frumento, olive ed olio, uva e vino. Appartenuta alla nobile famiglia La Lomia fu famosa per le sue cantine, per le battute di caccia che vi si tenevano, per la chiesetta barocca e per i sontuosi saloni nobili

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    foto:solfano.it

    Chiesa Madonna della Rocca, edificata nel settecento e ristrutturata negli anni settanta del novecento. Nella chiesa, riposano le spoglie mortali del venerabile Gioacchino La Lomia, che nel 1881 fondò il convento dei cappuccini, annesso alla chiesa


    odeon
    foto:solfano.it

    Cine-Teatro Odeon, inaugurato nel 1952




    fonte: wikipedia.org
    & solfano.it
    & agrigentoierieoggi.it
     
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