PERCHE'.......

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  1. gheagabry
     
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    I PERCHE'....





    Perchè si dice "avere la coda di paglia"?

    Un'antica favola racconta che una giovane volpe cadde disgraziatamente in una tagliola; riuscì a fuggire ma gran parte della coda rimase impigliata.
    Si sa che la bellezza delle volpi è tutta nella coda, e la poveretta si vergognava di farsi vedere con quel brutto mozzicone. Gli animali che la conoscevano ebbero pietà e le costruirono una coda di paglia. Tutti mantennero il segreto tranne un galletto che disse la cosa in confidenza a qualcuno e, di confidenza in confidenza, la cosa fu saputa dai padroni dei pollai, i quali accesero un pò di fuoco davanti ad ogni stia. La volpe, per paura di bruciarsi la coda, evitò di avvicinarsi alle stie.
    Si dice che uno ha la coda di paglia quando ha commesso qualche birbonata ed ha paura di essere scoperto.



    Perchè si dice "campa cavallo che l'erba cresce"?

    Si racconta che un povero diavolo portava a mano un cavallo vecchio, stanco, sfinito, per una strada sassosa dove si vedeva appena, di quando in quando, un misero filuccio d'erba.
    Il cavallo stava per cadere, sopraffatto dalla fame e il padrone cercava d'incoraggiarlo dicendogli: "Non morire, cavallo mio, tira avanti ancora per un pò; campa finchè crescerà l'erba e potrai sfamarti".




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  2. gheagabry
     
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    I....PERCHE'?



    Perchè si dice a caval donato non si guarda in bocca ?

    Il proverbio significa che dei regali dobbiamo sempre essere grati, anche se di scarso valore; e si dice così perché l'età di un cavallo si giudica guardando lo stato della sua dentatura, già 'lo stato' e non il numero dei denti.
    Non lo sapeva quel ragazzotto di campagna che andò al mercato ad acquistare un cavallo, e poiché il padre gli aveva raccomandato di osservare bene i denti dell'animale, si indignò nei confronti del mercante dicendogli: "Mi volete imbrogliare! Vendermi un cavallo di quarant'anni!".
    Tanti infatti sono i denti del cavallo adulto... e il ragazzotto li aveva contati.


    Perchè si dice avere sale in zucca ?

    Zucca, zucchine, angurie, meloni e affini, fanno parte dell'ampia specie Botanica facente capo alle Cucurbitacee. Tali frutti, e versure, sono notoriamente zeppi d'acqua, difficile rintacciare in essi una qualche sola traccia di Clorurio di Sodio, alias NaCl, ossia il comune sale impiegato in cucina.
    Chi, quindi, dimostra di possedere un pochino di sale in zucca, davvero è un fenomeno, in quanto, pur in mezzo a quella marea d'acqua, dimostra di detenere una cospicua parte di materia grigia, alias cervello.

    Di riflesso, perchè una persona molto idiota viene definita citrullo ?.

    Sempre decodificando l'Ordine Botanico di Limneo, troverai che l'anguria (sì, quella comunissima, formata al 95% cento di acqua) è detta ufficialmente Citrullus vulgaris. Citrullo, è chi ha la testa ricolma d'acqua.

    Perchè si dice il gioco non vale la candela?

    Il gioco non vale la candela è un'espressione idiomatica della lingua italiana. La locuzione è utilizzata quando si vuole esprimere la propria riluttanza a compiere un sacrificio che non farà ottenere un utile proporzionato. Questa espressione è di origine medievale (del XVI secolo secondo altre fonti). A quei tempi era necessario usare candele o lampade ad olio per qualunque attività notturna e il costo delle candele, specialmente per le classi sociali più basse, poteva diventare una spesa considerevole.
    Era quindi consuetudine, per i giocatori di carte, lasciare una piccola somma (o a volte una vera e propria candela) al proprietario della casa che li ospitava o all'oste della locanda. Il modo di dire si diffuse rapidamente tra i giocatori d'azzardo, per indicare partite in cui si era perso molto denaro o nelle quali le vincite erano state così basse da non coprire nemmeno la piccola spesa lasciata per la candela.




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  3. arca1959
     
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    I......PERCHE'

    LUMACA_by_cartafra

    Mangiare la foglia



    In origine l'espressione era "aver mangiato la foglia" con il significato di 'capire al volo'; intendere prontamente il senso del discorso; capire subito le intenzioni altrui. Fra le tante spiegazioni, quella che dà Ugo Enrico Paoli sembra la più convincente. Egli considera la foglia come un collettivo: più foglie che si fanno mangiare agli animali vaccini. Questi si dividono in due gruppi: i lattanti che prendono il nutrimento dalla poppa materna e le bestie adulte che hanno già cominciato a mangiare la ... foglia. Secondo il Paoli, quindi, il senso pratico del mondo contadino ha associato alla locuzione "aver mangiato la foglia" il concetto di saggezza.

    A bizzeffe



    Viene dalla lingua araba, dove bizzaf significa "molto".
    E' anche interessante notare quanto dice il Minucci nelle "Note al Malmantile":
    "Quando il sommo magistrato romano intendeva fare a un supplicante la grazia senza limitazione, faceva il rescritto sotto al memoriale, che diceva 'fiat, fiat' (sia sia) anziché semplicemente 'fiat', che scrivevasi quando la grazia era meno piena, dipoi per brevità costumarono di dimostrare questa pienezza di grazia con due sole 'ff', onde quello che conseguiva tal grazia diceva: Ho avuto la grazia a 'bis effe'".


    Acqua in bocca



    Il lessicografo Giacchi dà questa spiegazione. Si narra che una femminuccia, molto dedita alla maldicenza, ma anche devotissima, pregasse il suo confessore di darle un rimedio contro quel peccato. Il confessore insinuava conforti e preghiere, ma inutilmente. Un bel giorno diede alla donna una boccetta d'acqua del pozzo raccomandandole di tenerla sempre con sé e quando sentiva la voglia di 'sparlare' ne mettesse alcune gocce in bocca e ve le tenesse ben chiuse finché non fosse passata la tentazione. La donna così fece, e negli atti ripetuti trovò tanto vantaggio, che alla fine si liberò dal vizio dominante, e come fosse femmina di poco levatura tenne poi quell'acqua per miracolosa.


    Chi ha fatto trenta può fare trentuno



    Papa Leone X, il 1º luglio 1517 creò trenta nuovi cardinali; poi gli parve che un altro prelato fosse pure degno di quell'onore e nomino cardinale anche lui. A coloro che si meravigliarono del fatto che il papa, che aveva deciso di fare trenta cardinali, ne avesse poi fatto uno di più, Leone X rispose "Chi ha fatto trenta può fare trentuno".


    Fare il portoghese



    (Non pagare il biglietto). L'origine dell'espressione risale al secolo XVIII: l'ambasciata del Portogallo a Roma, per festeggiare un avvenimento, aveva indetto una recita al teatro Argentina per la quale non erano stati distribuiti i biglietti d'invito; bastava presentarsi come "portoghesi". (Dal Dizionario Enciclopedico Italiano).

     
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  4. gheagabry
     
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    I....PERCHE'





    Perché martedì e venerdì sono giorni infausti?

    In molte parti dell'Italia c'è la credenza popolare che sia poco auspicabile iniziare qualcosa nei giorni di martedì e venerdì; questo è valido per chi decide di affrontare un viaggio, pianificare un evento, cimentarsi in un'impresa, iniziare un nuovo lavoro e - soprattutto - per coloro i quali decidono di unirsi in matrimonio.
    Superstizione, semplice credenza popolare o leggenda metropolitana?
    ....sembrerebbe che tutto ha origine nell'antica Roma e che quindi abbia delle basi storiche.
    A tal proposito sembra che gli antichi romani non potevano unirsi in matrimonio se sceglievano un martedì o un venerdì in quanto durante tali giorni della settimana non era possibile farlo a causa della chiusura degli uffici preposti alla pianificazione della vita pubblica, chiamati 'magistrature'.
    Questo imponeva agli abitanti dell'antica Roma di non contrarre matrimonio durante il martedì ed il venerdì e ciò è probabilmente alla base dell'idea, diffua peraltro, che sia meglio rimandare qualsiasi cosa piuttosto che iniziarla di martedì e di venerdì!



    Perchè si dice "Non esser della parrocchia"?

    ...Non far parte di un gruppo, di una combriccola; essere, insomma, un "estraneo", in particolare riferito a colui che volontariamente si tiene fuori dalle discussioni e da ambienti che non gli "aggradano".
    L'aneddoto di un autore ignoto tenta di dare una spiegazione circa l'origine del modo di dire: "Si narra che un sacerdote, durante la predica, allo scopo di sollevare il morale un po' depresso dei suoi fedeli si mise a raccontare qualcosa di molto divertente che provocava frequentissimi sorrisi negli astanti. Uno soltanto, in fondo alla navata, ascoltava impassibile, come se fosse 'estraneo' all'ambiente. Un fedele, incuriosito, non poté trattenersi dal chiedergli spiegazioni del suo strano comportamento. 'Mi perdoni l'apostrofò perché mai lei non ride?'. E quest'ultimo, con assoluta cortesia, 'perché non sono della parrocchia'; volendo dire, probabilmente, che non capiva a cosa si riferissero le spiritose battute del sacerdote, non conoscendo né il posto né la gente".



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  5. gheagabry
     
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    " Il paese di BENGODI......"



    Non è facile immaginare l’Italia del 300, molto diversa da quella odierna; miseria, fame, carestie e sequenziali epidemie, limitavano l’esistenza comune e delineavano una qualità della vita penosa, piena di stenti e priva di piaceri, specie dal punto di vista enoculinario.
    Ovviamente, essendo la gente privata di cibo e vino, sognava (quasi fosse un paradiso terreno) il paese di Bengodi dove non mancavano sia il buon mangiare che il buon bere. In quel tempo, oramai così remoto, spesso mitizzato, decantato e narrato da poeti e scrittori, i potenti attorno ai loro sfarzosi manieri, possedevano anche più di una vigna. Il vino ricavato, era appellato come “nobile” mentre il popolo, obtorto collo, doveva accontentarsi di vini dozzinali o succedanei al vino stesso, come l’idromele o altre bevande paragonabili ad immonde misture di acqua ed aceto.
    Boccaccio (XIV sec.) nel suo Decameron precisamente nella III novella dell’ottavo giorno, descrive appunto il meraviglioso paese di Bengodi. Ove le viti eran legate da ghiotte e grasse salsicce e dove, con pochi danari, si poteva comprare un’oca o un papero da cucinare e poi gustare. Nel paese di Bengodi di Boccaccesca descrizione, vi era anche un'enorme collina di parmigiano grattugiato, sulla quale tanti cuochi cucinavano senza sosta alcuna, paste e maccaroni, cotte poi in brodo di cappone e poi "gettate" al popolo sempre "armato" da atavica fame ! Questo era il paese di Bengodi del Decameron.


    Questo paese immaginario fu chiamato “Cuccagna” e venne descritto da molti scrittori.
    In un poemetto francese del XII secolo si dice che in questo paese i campi siano recintati con pezzi di carne arrosto e spalle di maiale; per le strade grosse oche si cucinino da sole; in ogni via si vedono tavole apparecchiate dove ci si può sedere e mangiare e si può portare via qualsiasi cosa si desideri. I muri delle abitazioni sono fatti di pesci, i tetti di prosciutto e salsicce e nel fiume scorre del vino, per metà rosso e per metà bianco. Chissà se qualcuno credeva davvero a queste fantasie!
    Nella letteratura medievale spesso i protagonisti sono delle persone semplici a cui si fa credere che questo paese esista davvero. Una delle più antiche testimonianze del paese di Cuccagna è quella presente nel Decamerone di Boccaccio quando il giovane Maso parla con l’altro personaggio della storia, Calandrino, descrivendo una terra
    “…che si chiama Bengodi,nella quale si legavano le vigne con le salsicce, e avevasi un’oca a denaro e un papero per giunta. Et eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che fare maccheroni e ravioli, e cuocergli in brodo i capponi, e poi li gettavan quind giù, e chi più ne pigliava, più se ne aveva. E ivi presso scorrea un fiumicel di vernaccia, della migliore che si bevve, senza avervi dentro un sol goccio d’acqua…”


    La descrizione più precisa però di questo mistico reame è presente nella “Historia nuova della città di Cuccagna”, attribuita ad Alessandro e Bartolomeo da Siena e redatta nei primi anni del ‘400.
    Un altro racconto sul paese di Cuccagna è quello di Lope de Rueda in cui due ladroni si prendono gioco di un certo Mendreugo raccontandogli le meraviglie del paese di Cuccagna.
    Questo Mendreugo, affascinato dalle loro parole, continuava ad ascoltarli ma non si era accorto che mentre parlavano, gli avevano vuotato la sua pignatta , mangiandogli il riso, le uova e il formaggio. Alla fine della conversazione quindi i ladroni se la ridevano sotto i baffi ed egli fu costretto al digiuno.
    Un luogo mitico, il Paese di Cuccagna, il borgo ove la fantasia delle persone disagiate si rifugiava alla ricerca di quello che la vita non poteva garantire loro...Infatti il paese di Cuccagna è il mondo magico e leggendario del lontano orizzonte, luoghi da dove provenivano le più importanti e danarose merci, ove l’uomo poteva godere dei frutti della terra senza lavorare, come descritto in un breve poemetto del 1500 “lo aviso et vision venuto alli berberi”, ove si dice
    “…questa è la terra di latte e miele, che gli animali nascondon senza fele, un fiume di tal sorta qui si trova, sei hore acqua scorre, poi se ne renosa, quattro fiate si muta alla giornata, in dolce vin e in latte e poi gioncata…”


    Il più famoso racconto del paese di Bengodi è però la “storia di Cipriano il Contadino”, la tipica narrazione popolare che narrano di un povero che, grazie alla sua astuzia, riesce a trionfare.
    Ebbene ecco che il narratore pone il leggendario luogo dentro un giardino, tema che ritroveremo in seguito, ove le vigne sono legate con salsicce e vi scorre un fiume di vino e alte montagne, del tutto simili a quelle boccaccesce ove “…v’è di cacio grattuggiato, et una donna che fa maccheroni, e favvisi laggiù di gran bocconi…”.
    Ovviamente queste narrazioni si associano agli avventurosi racconti dei pellegrini e dei carovanieri, sempre pronti a raccontare degli immaginifici luoghi ove si recavan in Oriente, e delle loro testimonianze che arricchirono la novellistica locale “…io son stato nel paese di Cuccagna, o quante belle usanze son fra loro! Quello che più dorme più guadagna…Io ci dormì sei mesi, o sette foro, solo per arricchire in quel paese. Pensate io guadagnai un gran tesoro…La non ci parlar di lavorare che subito ti mettono in prigione e un anno dentro ti ci fan stare…”. Ma ecco che anche le punizioni sono più che mitigate, così le stesse prigioni sono fatte in formaggio e lo stesso dicasi per le grate e le inferriate.

    Ancora una volta però è il tema dell’Immortalità a farla da padrone, giardino del paese del Bengodi, che rievoca terre iperboree, si trasforma ad un tratto in “isole della fortuna”, che ripropongono, ancora una volta, leggendari luoghi, già noti nelle antiche mitologie, come ad esempio l’Avalon delle culture nordiche.
    (dal web)




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  6. gheagabry
     
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    Il numero 13 e le leggi del caso



    La superstizione sul numero 13 e' detta "triskaidekafobia" .... Sappiamo che il tredici e' un numero primo, e viene dopo il 12 numero altamente composto e considerato positivo da molte culture.
    I dodici elementi che lo compongono sono divisibili in parti uguali, ecco perche' (probabilmente) il tredicesimo elemento che si e' aggiunto "spiana" questo insieme impedendo qualsiasi suddivisione equa e rendendolo quindi negativo, ostile.
    L'antipatia per il numero 13 (che io non ho...) ha origini antichissime, sin dai tempi del mesopotamico Hammurabi (1680-1700 a.C.) che nella stesura del suo codice di leggi, salto' la tredicesima. Il tredicesimo dio della mitologia norrena era subdolo e malvagio.
    Negli stessi Vangeli Giuda iscariota fu il 13° a sedersi a tavola nell'Ultima cena.
    Lo stesso Satana nel Cristianesimo viene indicato come il 13° angelo. Altro curioso elemento che rende temuto il numero 13 e' la data del venerdì nel quale vennero arrestati in massa i famosi Cavalieri Templari osteggiati dal re francese Filippo il Bello (in realta' interessato alle enormi ricchezze accumulate dall'Ordine).
    La credenza che questo numero sia infausto e negativo prevale maggiormente nel mondo anglosassone arrivando al paradosso che in certi edifici la numerazione passa dal 12 al 14 saltando bellamente il numero 13.
    Tale numero venne rimosso anche nella Formula 1 (ove non c'e' nessuna automobile con il numero tredici) dopo due incidenti mortali nei quali persero la vita due piloti alla guida di auto numerate con il 13.
    Legge del caso o no, e' curioso il fatto storico-religioso che le "apparizioni di Fatima" ai tre bambini avvennero il giorno 13 dei mesi di Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre e Ottobre del 1917.
    E i celebri "Segreti" furono confidati (ed affidati) da suor Lucia (unica sopravvissuta dei 3 bembini) a Papa Giovanni Paolo II, colpito nell'attentato (non mortale) di Piazza San Pietro a Roma il 13 Maggio 1981.
    (dal web)



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  7. gheagabry
     
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    Perchè ROMA si chiama .......ROMA?



    L'origine del nome di Roma è avvolto nel mistero perchè quando gli storici iniziarono ad interrogarsi sulla sua origine si erano già recisi i fili della memoria. Le interpretazioni, dunque, sono diverse ed ognuna ha quel qualcosa di affascinante e di misterioso che, anche se chiaramente fantastico e leggendario, cattura la nostra curiosità. Senza ombra di dubbio, la più antica interpretazione risale a Servio, vissuto tra il IV e il V secolo d.C., il quale sosteneva che il nome Roma derivasse da un nome arcaico del Tevere, Rumon o Rumen, la cui radice deriva dal verbo ruo, scorrere, sicché Roma avrebbe significato la Città sul Fiume. Gli storici di lingua greca, invece, desiderosi forse di considerare Roma una città di origine ellenica, narravano l'arrivo di profughi troiani sulle coste laziali dove Enea, il loro capo, avrebbe fondato una città dandole il nome di una delle donne, Rome, la quale, stanca di navigare da una terra all'altra, avrebbe convinto le sue compagne a bruciare le navi. In un'altra versione della leggenda Rome diveniva la figlia di Ascanio e nipote di Enea, mentre in un'altra ancora si narrava che Rome, una troiana giunta in Italia con alcuni suoi compagni, sposò Latino ed ebbe due figli, Romos e Romylos (Remo e Romolo), i quali fondarono la città dedicandola alla madre. In questi racconti si riscontra un elemento comune, la derivazione del nome da Rome, di cui è certo perlomeno l'etimo, romé, che in greco significa forza. Sicuramente è nota a molti la leggenda della fondazione della città ad opera di Romolo e Remo, ma è bene ricordarne qui i fatti. Secondo Varrone, era l'anno 753 a.C., il 21 aprile per l'esattezza, o, come dicevano gli antichi, l'undicesimo giorno prima delle calende di maggio. I due gemelli, avendo deciso di costruire una città per porre termine alla loro vita errabonda e non riuscendo ad accordarsi chi dei due dovesse esserne il fondatore, decidono di rimettersi al volo degli uccelli, attraverso i quali parlano gli dei. Dall' Aventino scrutano il cielo: Remo vede fendere il cielo da uno stormo di sei avvoltoi ma Romolo ne vede dodici sul Palatino. A Romolo spetta dunque il diritto di tracciare il solco entro cui dovrà sorgere la città, ma Remo, deluso per non essere stato il prescelto, scavalca il pomerio, la zona sacra e inviolabile, offendendo in tal modo non solo il fratello ma gli dei stessi. Romolo uccide il fratello esclamando le mitiche parole: "Sic deinde, quicumque alius transiliet moenia mea!" (Così muoia chiunque altro oserà scavalcare le mie mura!) e come fondatore della città la battezzò Roma, a memoria del proprio nome. Forse anche gli antichi avevano compreso che questo racconto era un misto di favola e mito, ma ugualmente rimasero legati alla tradizione per una specie di religioso rispetto. Molto probabilmente fu Romolo che prese il nome da Roma e non viceversa. Un'altra importante interpretazione sull'etimologia del termine ricorda che il primo nucleo del Palatino, risalente circa alla fine del 2000 a.C., avesse un altro nome, sostituito durante la dominazione etrusca da Ruma, che i Latini avrebbero poi pronunciato Roma. Ma quale era il significato di questa parola? Il termine ruma, con le varianti rumis e rumen, significava, sia nel latino arcaico che nell'etrusco, da cui derivava, "poppa". Se questa fosse l'origine del nome, potremmo interpretare ruma non solo come mammella che offre il nutrimento e la vita ma anche, in senso traslato, come sede delle forze vitali racchiuse nel petto e dunque "forte", analogo al latino valentia ed al greco romé. Questa ipotesi spiegherebbe anche perchè venne scelta, come simbolo della città, una lupa di fattura etrusca dalle mammelle gonfie di latte.
    (Romasegreta)



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  8. gheagabry
     
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    QUANDO BERTA FILAVA.........



    C'è una versione leggendaria sulle origini del motto, riportata dal grande poeta dialettale Gigi Zanazzo, che lega il personaggio di Berta a Lucio Domizio Enobarbo, imperatore dal 53 dopo Cristo col nome di Nerone Claudio Cesare, incendiario e primo persecutore dei Cristiani. Tra i molti aneddoti fioriti intorno alla figura di Nerone, tra le più discusse dell'antichità, c'è anche questo: Berta era una povera donna che passava la vita a filare per cucire il pranzo con la cena. Un giorno le passa davanti l'imperatore e si sofferma ad osservarla mentre lavora alla spola, forse interessato alla somiglianza tra la donna e l'immagine delle Parche, le divinità filatrici che tessono il filo di ogni vita umana. Nerone, è noto, ritenendosi sommo cantore e poeta, non trascurava alcuna possibile fonte d'ispirazione. Emozionata e intimorita, Berta augura a Nerone lunga vita: "Che gli dei, o Cesare, ti diano mille anni di buona salute!" L'imperatore, che sapeva di non godere del favore del popolo, le chiese stupefatto il perché di quell'augurio. A quel punto la filatrice, in un sussulto di realismo, rispose: "Perché il peggio non è mai morto". Nerone era un tipo imprevedibile: poteva assassinare chiunque per futili motivi, ma sapeva apprezzare il buon senso e il coraggio. E così disse a Berta: "Donna, vieni domani nel mio palazzo e porta tutto il lino che hai filato da adesso a domani mattina. Non te ne pentirai". Berta rimase di ghiaccio: vorrà strangolarmi col lino, pensò. Ma come disubbidire all'imperatore? Il mattino dopo, dunque, bussò alle porte della Domus Aurea e si presentò tremante al cospetto di Nerone, consegnando nelle sue mani tutto il filato. E il Cesare diede prova della magnanimità che amava attribuirsi: chiamò un servitore e gli ordinò di dare alla donna tanti terreni quanti ne poteva contenere il filo di lino. Da quel giorno Berta, divenuta ricca, smise di filare. Per Roma si sparse subito la voce dell'insperata fortuna capitata alla donna. E tutte le filatrici si assieparono davanti al palazzo imperiale, nella speranza di ottenere almeno una parte di quanto ottenuto dall'ex collega. Ma Nerone mandò loro un liberto con la sua risposta: "Tutte a casa! Non è più il tempo che Berta filava...".

    ....una altra epoca ..un'altra leggenda...



    In tempi antichi, molto lontani, quando le cose andavano in un certo modo.
    L'espressione può indicare che è finito un periodo nero, ma anche, in senso più generico,
    che si è chiusa un'epoca e ne è iniziata un'altra completamente diversa.

    Nell’età feudale che va dall’800 al 1100 circa, i territori erano divisi in feudi e contee, ciascuno dominata da un signorotto locale che la governava come un re, con un potere assoluto. Frequenti erano le ingiustizie e le prepotenze subite da contadini ed artigiani e molto pesanti erano le tasse imposte al popolo. Fuori dalle mura delle città c’erano casupole costruite con legno e paglia, in cui vivevano le famiglie di contadini. Fra le molte leggende tramandate da quei secoli oscuri, vi è la leggenda di Berta, che riguarda da vicino la terra di Montegrotto nel padovano, da dove pare fosse originaria la nostra Berta, una povera contadina ed abilissima filatrice, nonché le note vicende storiche legate al re germanico Enrico IV.
    Enrico IV di Franconia, re di Germania ed imperatore dal 1084, salì al trono alla morte del padre Enrico III. Entrato in contrasto con Papa Gregorio VII, lo fece deporre (1076). Il Pontefice reagì scomunicandolo e sciogliendo i sudditi dall’obbligo di fedeltà. Temendo una rivolta generale, Enrico capitolò, recandosi a chiedere perdono al Papa a Canossa, dove questi lo ricevette dopo tre giorni di attesa penitente e lo perdonò (25 gennaio 1077). Enrico fronteggiò allora i ribelli e
    li sconfisse, seppure non in modo definitivo, né si placarono i contrasti con Gregorio che lo scomunicò nuovamente (1080). Enrico creò allora antipapa l’arcivescovo di Ravenna (Clemente III), da cui fu incoronato imperatore nel 1084 dopo la presa di Roma.
    Durante questo viaggio a Roma, la leggenda vuole che Enrico IV, accompagnato dalla moglie, la regina Bertha, abbia fatto sosta a Padova recandosi anche a ricevere gli onori di quei paesi vicini che avevano sempre dimostrato fedeltà alla corona.
    Enrico IV e Bertha furono quindi ospiti dei signori di Montegrotto. Forse non trascurabile è il fatto che la zona era nota fin dall’antichità per le sue calde acque dalle proprietà curative. In onore della venuta del re e della regina, fu preparata con cura una cena al castello. I popolani delle contrade portarono doni alla coppia regale, perché si ricordasse della loro visita.
    Anche Berta una giovane e povera contadina cercò di partecipare al ricevimento. Il suo desiderio era quello di vedere e conferire con la regina, per chiedere la liberazione di Raniero, il suo innamorato, imprigionato perché non aveva potuto dare al suo signore la parte di raccolto spettantegli. Berta, abilissima filatrice, recatasi al castello riuscì a parlare con la regina e a chiedere la grazia per Raniero, offrendo tutto quello che aveva con sé: un gomitolo di filo. La regina, commossa per questo gesto, concesse la grazia a Raniero e dispose di assegnare alla contadina tanta terra quanta ne poteva contenere il filo donatole. Venute le fanciulle delle contrade a conoscenza del nobile gesto, si precipitarono dalla regina con del filo, ma a tutte Bertha di Savoia rispose: “È finito il tempo in cui Berta filava”.
    (dal web)


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  9. gheagabry
     
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    Chi era lo Zio Sam?



    Centosessanta anni fa venne pubblicata la prima raffigurazione di Uncle Sam, “lo zio Sam”, ovvero la personificazione nazionale più famosa degli Stati Uniti d’America. Sebbene lo zio Sam fosse “nato” già nel 1812 durante la guerra contro gli inglesi, il 13 marzo 1852 venne disegnato ufficialmente per la prima volta da un illustratore americano, Frank Henry Temple Bellew, che ne pubblicò la sua versione sul New York Lantern. La vignetta di Bellew contrapponeva Uncle Sam a “John Bull”, la personificazione nazionale della Gran Bretagna e dell’Inghilterra.
    Le ricostruzioni dicono che Uncle Sam sia apparso durante la Guerra anglo-americana del 1812 (durata fino al 1815), causata tra l’altro dal blocco del commercio americano con la Francia imposto dagli inglesi (che all’epoca erano in guerra con la Francia) e dall’obbligo imposto ai marinai statunitensi di arruolarsi nella Royal Navy britannica. Secondo la storia, il nome nacque da un fornitore di carne delle truppe di nome Samuel Wilson. Sulle confezioni di carne che stava consegnando c’era stampato il marchio “US.” e un giorno uno dei lavoratori di Wilson scherzò, pare con un soldato, sostenendo che la sigla U.S. (ossia United States) stesse in realtà per “Uncle Sam”. Da allora, l’immagine dello Zio Sam venne interpretata dagli americani come la figura del Governo e del suo potere e fece concorrenza a un’altra personificazione nazionale, allora in voga e piuttosto simile a Uncle Sam, ossia Brother Jonathan (“fratello Jonathan”). Zio Sam, negli anni, è stato spesso ritratto con capelli e pizzetto bianchi, vestito con capello a cilindro, giacca, camicia e pantaloni a strisce dei colori della bandiera americana (bianco, rosso e blu) in forte somiglianza con lo stesso Samuel Wilson.
    La prima volta che lo Zio Sam comparve nella letteratura americana fu nel 1816, quando venne citato nel libro allegorico The Adventures of Uncle Sam in Search After His Lost Honor (Le avventure dello Zio Sam alla ricerca del suo onore perduto) di Frederick Augustus Fidfaddy. La fama però arrivò solidamente nel 1917, quando lo Zio Sam comparve sul celeberrimo manifesto elettorale “I Want you for U.S. Army” (“Ti voglio nell’esercito degli Stati Uniti”) che chiedeva ai cittadini americani di arruolarsi per combattere la Prima Guerra Mondiale (successivamente sarebbe stato riutilizzato anche per la Seconda Guerra Mondiale).
    Il manifesto del 1917 venne creato dall’artista e illustratore americano James Montgomery Flagg, ma comparve per la prima volta il 6 luglio 1916 sulla copertina della rivista Lesile’s Weekly. “I Want you for U.S. Army” si ispirò a un altro manifesto simile, creato dai britannici nel 1914, in cui si leggeva “Lord Kitchener Wants You”, con il volto e il dito puntato di Lord Horatio Herbert Kitchener sullo sfondo. Kitchener era il Segretario di Stato alla Guerra britannico durante la Prima Guerra Mondiale.
    (ilpost.it)
     
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  10. gheagabry
     
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    PERCHE' SI DICE.......


    PER UN PUNTO MARTIN PERSE LA CAPPA


    L'espressione "Per un punto Martin perse la cappa", che viene usata quando una persona per un'inezia perde qualcosa di importante alla quale tiene molto, ha origine dalla storia di un frate di nome Martino. Fra Martino era molto ambizioso e, da semplice frate, voleva diventare priore. I priori indossavano una loro divisa, chiamata cappa, che era un mantello con il cappuccio. Un giorno a Martino venne dato l'incarico di scrivere sulla porta del convento la seguente iscrizione maiuscola: Porta patens esto. Nulli claudatur honesto, che significa: La porta sia aperta. Non venga chiusa a nessun uomo onesto.
    Martino, che era molto distratto, scrisse: Porta patens esto nulli. Claudatur honesto, la cui traduzione è: La porta non sia aperta a nessuno. Venga chiusa all'uomo onesto. Cambiando la posizione del punto fermo, Martino rovesciò il senso della frase e perse la stima e la considerazione dei suoi superiori, che non lo fecero più priore. Così, "per colpa di un punto", il frate perse la cappa.

    DEUS EX MACHINA


    La frase trae origine dal teatro greco: in tale ambito, quando era necessario far intervenire un dio (o più dèi) sulla scena, l’attore che interpretava il dio si posizionava su una rudimentale gru in legno, mossa da un sistema di funi e argani, chiamata appunto mechanè. In questo modo, l’attore veniva fatto scendere dall’alto, simulando dunque l’intervento di un dio che scende dal cielo. E infatti l’espressione deus ex machina significa proprio “dio che viene dalla macchina”. L’intervento ex machina degli dèi veniva spesso usato, soprattutto dal tragediografo Euripide, per risolvere una situazione intricata e apparentemente senza possibile via di uscita. Il significato di questa espressione si è poi ampliato nel tempo, andando ad indicare qualsiasi soluzione di una storia che non presti il dovuto riguardo alla logica interna della storia stessa e appaia alquanto improbabile, usata solo per permettere all’autore di far finire la storia nel modo voluto.
    L’uso di una sorta di deus ex machina è stato poi recuperato in tempi moderni, ad esempio nella narrativa poliziesca. Nell’uso corrente l’espressione serve ad indicare l’intervento improvviso ed inaspettato di qualcuno che interviene in modo risolutivo su questioni intricate e complesse.

    SALVARE CAPRA E CAVOLI


    Il detto nasce da un gioco di logica, il cui obiettivo è trasportare da una riva all’altra di un fiume un lupo, una capra e dei cavoli su una barchetta. Dato che la barca non può trasportare più di una cosa contemporaneamente, il giocatore deve trovare l’esatto ordine di azioni affinché il lupo non mangi la capra o la capra non mangi i cavoli (si assume che il lupo, in quanto carnivoro, non mangi i cavoli). È un modo di dire con cui si intende salvaguardare con una decisione gli interessi di due soggetti.

    DULCIS IN FUNDO

    È un’espressione latina che in italiano si potrebbe tradurre “il dolce giunge alla fine del pranzo”. Con tale espressione si esprime la volontà di riservare la posizione di “coda” a ciò (ma anche ad una persona) che ci è particolarmente gradita, presumendo che il dessert alla fine di un pasto costituisca una nota dolce che dà gioia.

    FARE LA PARTE DEL LEONE

    Il detto deriva da una favola di Fedro. Un giorno un leone va a caccia con una vacca, una capretta e una pecora. Dopo aver catturato un cervo, spartendo la preda, il leone dice: “Io prendo la prima poiché mi chiamo leone; mi assegnerete la seconda poiché sono un vostro alleato; la terza mi spetterà di diritto perché chi la toccherà, finirà male.”. Così il solo prepotente si porta via l’intera preda. Il detto significa, quindi, riservarsi, in una spartizione, la parte migliore e più cospicua.

    LA SPERANZA È L’ULTIMA A MORIRE


    L’espressione deriva dal detto latino Spes ultima dea con riferimento al fatto che la Speranza era l’ultima dea a cui rivolgersi nei momenti difficili. L’origine del detto è antichissima e risale al mito greco di Pandora. Secondo il poeta Esiodo, Zeus aveva affidato a Pandora, la prima donna forgiata da Vulcano, un otre che non doveva essere aperto perché conteneva tutti i mali. Ma Pandora, per troppa curiosità, lo scoperchiò e i mali si diffusero sulla terra. Solo la Speranza rimase nel vaso e quindi tra gli uomini.

    PORTARE I VASI A SAMO

    La frase vuol dire portare qualche cosa là dove ce n’è già in abbondanza; significa quindi fare una cosa inutile. L’isola di Samo, situata nel mare Egeo a soli tre chilometri dalle coste dell’Asia Minore (oggi Turchia), nell’antichità era molto famosa per i vasi che produceva, perchè l’argilla del suolo era finissima e si prestava in modo particolare a questa lavorazione.

    FARE IL DIAVOLO A QUATTRO

    L’espressione significa “fare grande baccano o confusione”, oppure “lasciarsi andare a violente scenate di rabbia”, o “agitarsi moltissimo per ottenere qualcosa”.
    Il detto si riallaccia alle Sacre Rappresentazioni medievali, di cui il Diavolo era un personaggio importante insieme alla Madonna, a Dio, all’Anima e a Santi diversi in relazione alle circostanze. Il popolo divideva queste rappresentazioni in “grandi diavolerie” e “piccole diavolerie”, a seconda che vi comparissero più o meno di quattro diavoli.
     
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  11. gheagabry
     
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    In aereo si perde l’abbronzatura?

    È una credenza diffusa quella che porta a pensare che dopo una bella vacanza, magari al sole dei tropici, "l'aria dell'aereo" acceleri la perdita dell'abbronzatura. In realtà, si tratta di un mito da sfatare, perché nel corso di un viaggio aereo di qualche ora il microclima interno del velivolo non può incidere sulla tintarella. Il tempo di permanenza a bordo è infatti molto limitato e comunque non vengono riscontrati particolari effetti sui meccanismi che mantengano la pelle "scura" dopo una vacanza. La pressione nel velivolo è equivalente a quella che si ha tra i 1.500 e i 2.500 metri di altitudine, con variazioni legate al tipo dì aereo e alle condizioni atmosferiche. In queste condizioni si registra un calo di circa il 4% dell'ossigeno presente nel sangue, fenomeno sopportato senza problemi da chi è in salute. E senza effetti sulla tintarella.

    Perché dopo un botta in testa si vedono le stelle?

    L’unico modo che la retina dell'occhio ha di "comunicare" con il cervello è quello di inviargli segnali elettrici attraverso il nervo ottico. E il cervello li interpreta come luce. Di solito, l'invio di segnali avviene quando la retina è effettivamente colpita dalla luce, ma può verificarsi anche in concomitanza di altri stimoli. Quando si viene colpiti alla testa, per esempio, si subisce un forte aumento della pressione intraoculare, esercitata sulla retina dall'umor vitreo, il liquido che occupa la cavità posteriore del globo oculare. Lo stimolo inganna il cervello, facendogli credere che abbiamo visto una qualche luce, che tradizionalmente associamo alle "stelle". Lo stesso avviene se esercitiamo una lieve pressione sui bulbi oculari in una stanza buia: sembra di vedere un debole bagliore.

     
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  12. gheagabry
     
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    Perché OK vuol dire che tutto va bene?



    <b>L'origine di questa popolare forma verbale risale probabilmente alle truppe statunitensi, durante la seconda querra mondiale. Quando un reparto andava in missione, al suo ritorno doveva segnalare le eventuali perdite umane. Nel caso in cui tutti i militari fossero rientrati alla base, il comandante faceva rapporto ai suoi superiori usando l'acronimo O.K. come abbreviazione di zero killed, ovvero "nessun (militare) ucciso". La sigla ha quindi incominciato ad assumere il significato di conferma positiva, equivalente al modo di dire "tutto va bene". Al contrario, la sigla K.O. è nata nel mondo del pugilato ed è l'abbreviazione della forma inglese knock out, che significa "fuori combattimento".
     
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  13. gheagabry
     
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    PERCHE' DI DICE.......

    Calma e gesso!


    Questo non è propriamente un modo di dire ma un'esclamazione con la quale si invita una persona a non prendere delle decisioni affrettate delle quali, in futuro, potrebbe pentirsi; ma, al contrario, valutare con la massima attenzione una determinata situazione per affrontarla nel modo migliore e "goderne", eventualmente, i benefici.
    Gli appassionati del gioco del biliardo dovrebbero conoscerla bene. Prima di un tiro particolarmente difficile, i giocatori esperti valutano con la massima calma la posizione delle biglie e strofinano con il gesso la punta della stecca al fine di renderla "uniforme" ed essere sicuri, quindi, di riuscire ad effettuare al meglio il tiro studiato attentamente.






    Il pomo della discordia

    Gli antichi credevano che ci fosse una dea, figlia della Notte, sorella di Nèmesi (vendetta) e delle Parche (brutte vecchie dalle mani artigliate). Questa dea, amica di Marte, si chiamava Discordia e faceva onore al suo nome aizzando continuamente litigi, pettegolezzi e malignità. Giove, sereno e tollerante come tutti i grandi, la sopportò per un bel po' ma alla fine perse la pazienza e scacciò Discordia dal cielo. Rabbiosa per questo smacco, Discordia cercò ogni occasione per vendicarsi. Quando ci fu il matrimonio di Teti (dea del mare) e Peleo (semplice mortale) furono invitati dee e dei, uomini e donne, ma certo non fu invitata madama Discordia. Al culmine della festa, lei getto sulla tavola una mela d'oro su cui era scritto: "alla più bella". Le dee più belle presenti al banchetto erano tre: Giunone, Minerva e Venere. Ciascuna pretese la mela per sé e nacque un putiferio, la pace della festa fu turbata e l'allegria finì. Le tre dee si rivolsero ad un pastorello, Paride, perché decidesse quale fra loro fosse la più bella e Paride scelse Venere. Le altre due non si rassegnarono e da ciò derivò un mondo di guai.





    lo sapevi che...

    Le persone intelligenti hanno più zinco e rame nei capelli.

    I genitori più giovani di tutti i tempi, età 8 e 9 anni, vissero in Cina nel 1910.

    Il Papa più giovane di tutti i tempi aveva solo 11 anni.

    Il primo libro scritto con la macchina da scrivere fu "Tom Sawyer".

    Ciascun Re delle carte da gioco rappresenta un grande Re della storia:
    - Picche: Davide
    - Cuori: Carlo Magno
    - Fiori: Alessandro il Grande
    - Denari: Giulio Cesare

     
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  14. gheagabry
     
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    Norme assurde del mondo

    Roma, 9 mag. (Adnkronos) - Ha destato scalpore la notizia che in Francia per una donna è ancora vietato portare i pantaloni. E tutti sanno che in Cina le coppie non possono avere più di un figlio. Ma i retaggi del passato e le bizzarrie sono comuni nelle legislazioni di tutto il mondo, con norme ancora in vigore che oggi appaiono quantomeno insolite e sono raccolte nel gruppo di Facebook 'Leggi assurde nel mondo'. La sintesi suprema del 'vietato' viene raggiunta a New York dove ''è illegale per tutti fare qualunque cosa contro la legge''. E' bene però sapere che in Florida è illegale avere rapporti sessuali con un porcospino mentre nell'Illinois non si può mangiare in un locale che sta andando a fuoco. In Tennessee, invece, otto donne non possono convivere perché ciò rientra nella definizione di 'bordello'. In Massachussets non si possono portare gorilla sul sedile posteriore dell'auto. A Baltimora (Maryland) non si possono vendere pulcini o anatroccoli a minori nella settimana precedente la Pasqua. Invece a Rehoboth (Delaware) per legge non si può fingere di dormire sulle panchine del lungomare e in Minnesota è vietato sostare di fronte a un edificio senza un buon motivo per essere lì, mentre in Mississippi è vietato insegnare il significato della parola 'poligamia'. In Arkansas un uomo può picchiare la moglie ma solo una volta al mese. In Kentucky è proibito pescare con arco e frecce. Al contrario, in Utah si può, ma è contro la legge pescare in sella a un cavallo. E nello stesso stato è possibile tenere armi nucleari in casa ma è vietatissimo farle esplodere. In Montana un incontro di più di sette indiani è considerato 'raid di guerra' ed è legale sparargli. In Alabama è vietato entrare in chiesa con baffi finti che potrebbero causare ilarità. Chi invece in Florida vuole lasciare un elefante in un parcheggio ricordi di pagare la tariffa come per un autoveicolo o sarà multato. Alle Hawaii due gemelli non possono lavorare per la stessa azienda. Solo stranezze made in Usa? Facendo il giro del mondo si tenga bene a mente che in Giappone è severamente vietato importare foto che ritraggono genitali maschili e in Korea si incorre in sanzioni se si mangiano gatti randagi. In Turchia chi ruba olive non mature rischia due anni di carcere. Né si può amoreggiare con la moglie dei vicini, con i suoi figli, la sua servitù e i suoi animali domestici. In Israele è proibito allevare maiali. Se ti scoprono sarai costretto ad uccidere tu stesso l'animale. In Arabia Saudita se trovi petrolio nel tuo giardino devi riferirlo allo stato prima di scavare una buca più profonda di 1500 metri. In Paraguay è legale duellare, a patto che entrambe le parti siano registrate come donatori di sangue. C'è da dire che la vecchia Europa non è da meno in quanto ad assurdità. Basti pensare che per la Grecia la guerra di Troia non è ancora ufficialmente terminata. In Norvegia è proibito sterilizzare cani e gatti di sesso femminile mentre in Olanda nei coffee shop si possono fumare erba e hashish ma è severamente proibito fumare tabacco. In Irlanda, per legge, se un Leprechaun, folletto locale, bussa alla tua porta devi condividere con lui la tua cena e in Russia è illegale pronunciare qualsiasi frase che contenga più di quattro parole in inglese. In Belgio è perfettamente legale lanciare cavoletti di Bruxelles contro i turisti. In Svezia è legale essere una prostituta a patto di non provocare godimento ai clienti. Poi, si sappia che ogni bambino nato nel villaggio gallese di Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch (significa letteralmente chiesa di santa Maria nella valletta del nocciolo bianco, vicino alle rapide e alla chiesa di San Tysilio nei pressi della caverna rossa e per motivi di praticità il nome viene abbreviato in Llanfair Pg) deve sapere compitare il nome entro i 6 anni e saperlo scrivere entro i 34 anni. Poco segnalate invece le stranezze d'Italia. Però, si sappia che la professione di ciarlatano è vietata e che se un uomo indossa una gonna può essere arrestato. E infine: chiunque pubblicamente bestemmia contro Divinità o oltraggia pubblicamente i defunti è punibile con una multa.



    Da dove deriva l'usanza di applaudire per dimostrare il proprio apprezzamento?

    L'applauso, nella cultura moderna, è un modo per dimostrare apprezzamento. Le persone applaudono per far capire che sono d’accordo durante o dopo una conferenza, un concerto, una intervista, talvolta per esprimere la propria compartecipazione (ad esempio a un funerale); si applaude anche per esprimere gioia. Circa l’origine dell’applauso, si dice che sia un uso esclusivamente romano... Il costume di applaudire è vecchio quanto l’umanità, da quello che ci risulta. Sappiamo che i romani avevano diverse tipologie di applauso che servivano a stabilire il grado di apprezzamento di un certo spettacolo, ma questo rappresentava un adattamento alle loro esigenze di una usanza diffusa fra tutti i popoli. Credo comunque che sia stata una reazione quasi spontanea, che serviva per esprimere la proprio opinione o la propria reazione ad un avvenimento. Applaudire dal lat. APPLÀUDERE, composto dalla partic. AD a, verso e PLÀUDERE. Battere le mani in segno di approvazione.

     
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  15. gheagabry
     
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    Chiamate il 999!

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    Il 30 giugno 1937, esattamente 75 anni fa, fu inaugurato a Londra il primo servizio telefonico dedicato esclusivamente alle emergenze. Bastava digitare il 999 e, senza pagare, si poteva denunciare un crimine o chiedere l’aiuto di un’ambulanza o dei pompieri. Fu il primo numero emergenza della storia, e oggi, per celebrare l’anniversario, il giornalista della BBC Keith Moore ha raccontato che cosa successe nei primi giorni di attività del servizio.
    Perché proprio il 999?
    Pare che l’idea di creare un numero unico per le emergenze, gratuito dai telefoni a pagamento, sia venuta alle autorità londinesi dopo che non si riuscirono a trovare in tempo operatori telefonici liberi, nei centralini telefonici dove si gestivano manualmente le chiamate, per chiamare i pompieri durante un incendio che uccise cinque donne a Wimpole Street, Londra, nel 1935.
    All’epoca i telefoni non funzionavano con la tastiera, ma con una ruota forata, da girare in corrispondenza di ogni numero. Proprio per questo fu scelto il 999, una combinazione che permetteva anche in casi di estrema emergenza, nel buio o nel fumo più denso, di comporre velocemente il numero tenendo aperta la conversazione con un dito e girando tre volte la rotella senza bisogno di togliere il dito dal foro che corrispondeva al 9.
    Con l’arrivo dei telefoni a tastiera e, soprattutto, dei telefoni portatili, ci si rese conto che il 999 rischiava di essere composto per errore, anche solo lasciando il telefonino sbloccato in tasca. Per questo motivo, al 999 fu aggiunto il numero 112, che vale in tutta Europa e che, dal dicembre 1992, nel Regno Unito affianca il 999.
    La prima settimana del 999
    Nel 1937, un servizio simile era completamente nuovo, e l’Evening News, un quotidiano serale londinese, pubblicò la notizia del lancio del servizio telefonico per la cittadinanza, spiegando ai lettori come usarlo.
    «Chiamate il 999… soltanto se si tratta di una vera emergenza; se, per caso, il vostro vicino sta uccidendo la moglie, o se vedete un rapinatore mascherato che osserva le tubature vicino alla vostra banca. Se invece non si tratta di un’emergenza, se quindi avete semplicemente perso il piccolo Towser o un camion è arrivato a parcheggiarsi di fronte al vostro giardino, limitatevi a chiamare la polizia locale.»
    Una settimana dopo, esattamente il 7 luglio, la polizia arrestò per la prima volta qualcuno in seguito a una chiamata al 999. Racconta Moore che in quel caso si trattò di un uomo che, nelle prime ore del mattino, si aggirava con fare sospetto nel giardino della casa di John Stanley Beard, un architetto che viveva nella ricca zona di Hampstead, nel nord di Londra. La moglie di Beard, che si era svegliato a causa di un rumore sotto la finestra della sua camera da letto, chiamò il 999. Il 24enne Thomas Duffy, che fu poi accusato di tentato furto, venne arrestato nelle vicinanze della casa meno di cinque minuti dopo.
    Ma, scrive Moore, tra le oltre mille chiamate al 999 di quella prima settimana (precisamente 1.336), non tutte furono esattamente delle emergenze. Una parte furono situazioni sopravvalutate dai cittadini, e alcune – circa un centinaio – furono dei veri e propri scherzi. Malgrado l’utilizzo a volte improprio, il servizio si rivelò un successo, e nel giro di una decina d’anni si diffuse in tutto il Regno Unito, cominciando dalle grandi città (per prima Glasgow, nel 1938) fino ad arrivare alla completa copertura del territorio nazionale, completata definitivamente nel 1976 con l’automatizzazione delle linee telefoniche.
    L’aumento delle chiamate nel corso degli anni
    Durante i primi anni di attività del servizio, le chiamate erano gestite dal Post Office. Gli operatori gestivano e smistavano manualmente le chiamate di emergenza, segnalate da una spia rossa e da un clacson. Dopo aver ascoltato la denuncia, decidevano a che servizio indirizzare la richiesta di aiuto. Nel corso degli anni però, spiega Moore, la tecnologia ha reso le operazioni di smistamento molto più veloci.
    Proprio la tecnologia ha rappresentato un fattore decisivo per il funzionamento del servizio, soprattutto negli ultimi trent’anni e da quando la telefonia mobile si è diffusa massicciamente. Infatti, è stato proprio l’avvento dei cellulari il momento di svolta del 999, che, dalle 1336 chiamate di quella prima settimana nel luglio del 1937 è arrivato ora a riceverne circa mezzo milione.
    Nel resto del mondo, i numeri unici per le emergenze arrivarono con un certo ritardo. Gli Stati Uniti istituirono il 911 (che vale anche in Canada) nel 1968. Nello stesso anno, la Polizia di Stato italiana decise di unificare tutti i numeri locali per le emergenze (a Milano era il 777 e a Roma il 555.555, per esempio) nel solo 113, che per diversi anni rimase l’unico numero di sole tre cifre per le emergenze. Il 112 dei Carabinieri arrivò nel 1981, sostituendo il 212121 che esisteva da qualche anno ma non aveva lo stesso successo, e il 118 per le emergenze sanitarie è attivo in Italia solo dal 1992.



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