SICILIA PARTE 1

IL GIGANTE TIFEO..CAPO D’ORLANDO..MILAZZO..SCILLA..TAORMINA..

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI

    “ ... Mercoledì ... la mongolfiera si alza in volo sul mare che con i suoi riflessi luminosi ci indica la rotta verso Sud ... ci attende un viaggio che ci porterà verso una terra ricca di tesori e di storia ... un popolo forte e tenace ricco di tradizioni e di legami a quella terra ... voliamo verso la Sicilia e ci prepariamo a sfogliare questo libro meraviglioso fatto di immagini e racconti bellissimi che descrivono la Sicilia ... Buon risveglio amici miei ... questa mattina vi lascio due poesie che parlano di questa inimitabile terra ...”

    (Claudio)

    ...Tra uliveti e azzurro pélago il cammin serpeggia al lito; scosta Aurora al nevi-candido Etna il vel col roseo dito. Su la via, protende il mandorlo entro al cocchio i rami in fiore, scherza al par di lieta driade da l'amabime rossore. Sovra il ritmo de l'Oceano i suoi miti Grecia nvia; urna immensa, al lido classico versa il mar la melodia, e sussurra il lingua ionica fra il tremor de l'aura etnea, ondi-fresche, eterno-giovani rapsodie de l'Odissea.

    (Carlo Snoilsky)

    ...E la bella Trinacria, che caliga tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo che riceve da Euro maggior briga, non per Tifeo ma per nascente solfo, attesi avrebbe li suoi regi ancora, nati per me di Carlo e di Ridolfo, se mala segnoria, che sempre accora li popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!".

    (Dante)



    IL GIGANTE TIFEO..CAPO D’ORLANDO..MILAZZO..SCILLA..TAORMINA..IN UNA PAROLA..SICILIA!..



    “Sicilia…questa splendida terra, definita dal Goethe “una terra indicibilmente bella”, fu popolata da fenici, romani, arabi, normanni, francesi, spagnoli, austriaci (e non solo) e ciascuno di questi popoli ha lasciato importanti testimonianze, oggi ancora visibili nei monumenti, nei nomi dei luoghi, nelle tradizioni della gente …Interrogarsi sull’essenza di una terra significa proporsi di sciogliere un nodo cruciale che trova il suo valore originario nella storia come culla della memoria di un popolo…Il motivo, della ricognizione del nostro passato va ricercato nella possibilità di riconoscerlo dentro di noi, nei nostri comportamenti, nelle nostre visioni del mondo, nei nostri sentimenti, e fuori di noi, nella società stessa…Ogni uomo è un confine presente-passato, un pezzetto di storia, un limite temporale ed è attraverso le differenze tra questi spazi di tempo che possiamo costruire il nostro puzzle….L’origine del viaggio…. si potrebbe partire dalle grotte dell’Addaura alla ricerca dell’arte rupestre, dalla Trinacria inforcando focosi cavalli o dalla Triquetra armati di bronzo, oppure si potrebbe salpare da una nave visigota alla conquista del nuovo regno…..L’eccezionalità delle vicende storiche contagierà gli appassionati delle Mille e una notte che navigheranno tra i giardini incantati dei califfi arabi, anche se non pochi saranno gli amanti del regnum siciliae normanno-svevo che a ben guardare costituisce il patrimonio storico di più illustre tradizione…Sotto braccio dei conquistadores qualcuno assisterà alla nascita del fico d’India come simbolo dell’isola, mentre chi ancora conserva l’antico sentimento separatista partirà dal 1816 per convertirsi alle “giubbe rosse” decenni dopo….L’alba del XX secolo apparirà troppo recente per iniziare un viaggio nel tempo ma è solo apparenza di un presente che è già passato.”



    “Secondo la leggenda la Sicilia è sorretta da un gigante Tifeo, che osò impadronirsi della sede del cielo e per questo venne condannato a questo supplizio.. Sopra la sua mano destra sta Peloro (Messina), sopra la sinistra Pachino, Lilibeo (Trapani) gli comprime le gambe, e sopra la testa grava l'Etna... Dal fondo supino, Tifeo inferocito proietta sabbia e vomita fiamme dalla bocca. Spesso si sforza di smuovere il peso e di scrollarsi di dosso le città e le grandi montagne: allora la terra trema….. un’altra racconta di Aci figlio di Fauno e di una ninfa del Simeto, si innamorò perdutamente della ninfa Galatea. Galatea poverina, era una ninfa disperata perché amata anche dal Ciclope Polifemo, il quale per amore smise di gettare enormi sassi alle navi che transitavano lungo la sua costa… Un giorno, il Ciclope, preso dalla frenesia di vedere la sua amata Galatea, si mise a cercarla per tutto il bosco che conosceva molto bene…. Quale non fu la sua ira nel vedere da lontano Galatea nelle braccia di Aci. Galatea impaurita si tuffò sott'acqua, nel mare lì vicino, Aci si diede alla fuga ma il Ciclope non esitò a colpirlo con degli enormi massi che lo ferirono a morte…Gli dei impietositi dalle grida e dal lamento di Galatea, trasformarono il sangue che usciva dalle vene di Aci agonizzante, in acqua che successivamente si trasformò in fiume….”



    “Capo d’Orlando si trova sulla costa settentrionale siciliana, circa a metà strada tra Messina e Palermo. E’ adagiata su un lembo di costa che, digradando dalla catena dei Nebrodi, va a delineare una piana di forma triangolare. Il vertice superiore culmina con uno sperone di roccia su cui sorge il Santuario del Monte della Madonna, simbolo della città…. Le spiagge dell’orlandino sono docili lingue di sabbia e ciottoli che si inseguono lungo il perimetro settentrionale dell’abitato…Il versante ad est del promontorio presenta un profilo più frastagliato e meno densamente popolato, dove insenature e golfi echeggiano fino all’antico borgo marinaro di San Gregorio …leggenda vuole che proprio su questo lido il cantautore Gino Paoli trovò l’ispirazione di una delle sue canzoni più note, intonando “Sapore di sale, sapore di mare” …si può ammirare il mare che gioca con i suoi colori più intensi quando il cielo è limpido: dal blu accecante della mattina fino all’imperdibile tramonto, quando il disco solare, avvicinandosi alla linea dell’orizzonte, tinge completamente di arancione la distesa marina, con le Eolie dai contorni infuocati dal controluce. Di sera …: un soffitto di stelle nitido, le lampare che scintillano come lucciole al largo, lo sfavillio di Sant’Agata di Militello sulla sinistra… il faro che sussurra ai piedi del promontorio…La cima si può raggiungere soltanto a piedi su per una lunga scalinata…oltre al Santuario della Madonna ci sono i ruderi del Castello di Orlando, strategicamente posizionato per la difesa dell’entroterra contro le incursioni dei pirati. Fu chiamato così da Carlo Magno, durante una sosta in Sicilia al ritorno dalla Terrasanta ed il cittadini del posto furono pronti ad adottarlo come nome proprio, in sostituzione della vecchia denominazione Agatirso….Su una collina dell’interno si adagia quietamente Villa Piccolo… residenza estiva dei baroni Piccolo di Calanovella, aristocratici siciliani che si ritirarono qui agli inizi del Novecento.. il più noto fu Lucio Piccolo, un letterato cugino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. L’autore del “Gattopardo” scrisse alcune pagine del suo più famoso romanzo proprio qui…..”



    “San Salvatore di Fitalia in Provincia di Messina, è piccolo centro adagiato su una collina che domina l’omonima vallata di Fitalia…. arroccatissimo sui Nebrodi…. di quelli che a stento figurano sulle cartine geografiche….Strade silenziose, quasi deserte, un posto immerso nella calma della montagna…le strade del centro storico sono medievale, si respira un’atmosfera antica, il sapore di cose che furono, complici le case rurali, la splendida chiesa Madre, la chiesa dell’Assunta e quella di San Calogero Eremita, patrono del paese di cui si venera il culto, tra le testimonianze più ricche della storia del paese…..la Rocca di Pietra Giuda… rappresenta il ricordo di un antico insediamento ebraico, prima che il paese fosse conquistato dai Normanni….la Torre del Capitano è la sua data è incerta si pensa risalga all’epoca romana…o al periodo saraceno. E’ posta sulla sommità di un’altura e oggi è ridotta a poco più di un rudere, mentre un tempo serviva ad individuare le possibili incursioni nemiche”



    “…a strapiombo sul mare, sorge Tindari, antica città greco-romana nota ai più per il Santuario della Madonna Nera, meta ogni anno di innumerevoli pellegrinaggi. Domina il golfo di Patti di cui è frazione, abbracciando un paesaggio che si estende dalle Isole Eolie fino ai Monti Peloritani, …. a prescindere dall’aura di misticismo… Tindari ha il sapore del mito e della storia …Per arrivare alla sommità del Capo Tindari bisogna costeggiare la cinta muraria della città antica, quella di Dioniso di Siracusa risalente al 396 a.C….. Tindari è andata distrutta da una calamità naturale, ma vanta un passato glorioso….lo testimoniano i ritrovamenti archeologici: statue, maschere, ceramiche, lucerne e i pregiatissimi marmi dell’Antiquarium .. restituiendoci un’idea di quanto la città dovesse essere stata importante in epoca romana… il Teatro, riadattato dai Romani, che sorge sul pendio della collina… la Basilica ovvero l’antico Ginnasio posto ai bordi dell’Agorà e le Terme con ricchi mosaici….. Sono tante, le leggende che avvolgono quest’amena località, forse è anche questa una delle ragioni che ha ispirato uno dei più riusciti romanzi di Andrea Camilleri, quello che vede protagonisti due anziani misteriosamente scomparsi proprio durante una gita a Tindari, da cui il titolo del libro… La più suggestiva riguarda sicuramente quella di una bambina disgraziatamente precipitata dal colle roccioso dove sorge il santuario e salvata per l’intercessione miracolosa della madonnina bruna. ..fu un marinaio a ritrovarla, intenta a giocare su un arenile circondato da piccoli specchi d’acqua e la restituì alla madre, la quale inizialmente scettica nei confronti della natura miracolosa della statuetta lignea si dovette subitaneamente ricredere…pare che il luogo dove la bambina fu trovata abbia dato origine a Marinello….Qui si trova una grotta, detta “di Donna Villa”.. un luogo è avvolto da un affascinante mistero, quello di una maga che attirava i marinai col suo canto suadente come la Circe omerica e poi li divorava senza pietà!....."



    “Milazzo è un incantevole comune…l'antica Mylai, chiamata dai romani Mylae e poi dagli arabi Melaz e quindi Milazzo è ricca di leggende mitologiche e terra di aspre battaglie a causa della sua posizione strategica, ne è testimonianza la sua fortezza che ha visto il succedersi di molti padroni... fu fondata dagli abitanti di Zancle, l'odierna Messina, come una sub-colonia in una penisola e promontorio tutto proteso verso l'arcipelago delle isole eolie che le fanno da corona a poche migliaia di distanza…appare spesso nella storia: dal 260 a.C., quando Caio Duilio vince la prima battaglia navale contro i Cartaginesi, al 1860, quando Garibaldi sconfigge i Borboni…il Castello arabo normanno, considerato monumento nazionale con una superficie di oltre 7 ettari e formato da 7 cinte murarie, svetta sul paesaggio di Milazzo, alla sommità dell’antico borgo. Nel 1608 sorse al suo interno la Cattedrale, il Duomo vecchio.. la cui costruzione fu iniziata nel 1608 su disegni dell'allievo di Michelangelo, Camillo Camilliani….La parte più antica della città è appunto il borgo antico che comprende la cittadella fortificata che domina dall'alto i quartieri medievali che si estendono ai suoi piedi, lungo il pendio della collina. All'interno del borgo vi sono numerosi edifici religiosi, fra cui il Santuario di S. Francesco di Paola, chiesa fondata dal santo in occasione del suo soggiorno in città (1464), dove nel muro di destra vi è incastonata una palla di cannone sparato dalla collina del castello dai borbonici durante la famosa battaglia contro i garibaldini. Poco più avanti tra la secentesca Chiesa del SS. Salvatore e la Chiesa di S. Gaetano si erge il Palazzo del Governatore o dei Viceré, così denominato in quanto ospitò dalla fine del '600 e per oltre un secolo il governatore, la locale autorità militare e i Viceré. Proseguendo si incontra la Chiesa della Madonna del Rosario, sede fino al 1782, del tribunale dell'inquisizione.. sulla lingua di sabbia della costa di ponente, una strada costiera corre parallela al mare che conduce alla grotta di Polifemo, dove si sarebbe svolto il mitico episodio omerico dell’incontro di Ulisse con il ciclope. Di fronte si stende l’ampia e incantevole spiaggia della baia del Tono.”



    “La leggenda di Scilla…Glauco, trasformatosi metà pesce e metà uomo dopo aver mangiato dell'erba in un'isola incantata e divenuto un nuovo dio marino, si innamorò di Scilla, figlia di Crateide, la quale si aggirava per le spiagge di Zancle (Messina) dove abitava presso una caletta. Scilla spaventata da Glauco che cercava di fargli la corte, scappò rifiutandolo…Glauco disperato, si rivolse a Circe raccontandogli tutto. Ma Circe dal canto suo, si era innamorata di lui e invece di aiutarlo iniziò a fargli la corte. Glauco fermo nelle sue intenzioni la respinse…Circe avvilita e infuriata, volle vendicarsi di Scilla trasformandola in un mostro con i fianchi circondati da corpi e musi di cani. Scilla dolente della sua orrenda trasformazione, alla prima occasione sfogò il suo odio per Circe privando Ulisse dei suoi compagni mentre transitava dallo stretto con la sua nave. Più tardi avrebbe inghiottito anche le navi di Enea se prima non fosse stata trasformata in scoglio, in una roccia che sporge ancora sul mare.”


    “Dopo circa 20 minuti di navigazione si raggiunge il porto di Messina, dove un’imponente stele – sulla cui sommità trova collocazione una statua della Madonna della Lettera – con alla base l’eloquente dicitura latina “Vos et Ipsam civitatem benedicimus” (benedico voi e la vostra città) annuncia l’arrivo a quanti provengono dal mare…. Si dice che nell’attraversare lo stretto, nei giorni di maggior calore, molte persone assistono ad uno strano fenomeno, una sorta di miraggio, detto “Fata Morgana” …Messina è una città dall’assetto moderno con pezzi di storia, edifici e chiese incastonati…. Il centro storico con l’incantevole piazza del Duomo. Il maestoso edificio si erge sopra un assolato selciato e domina incontrastato la piana circostante…. allo scoccare del mezzogiorno…lo straordinario spettacolo offerto dal Campanile con il famoso orologio astronomico costruito a Strasburgo… una serie di rappresentazioni allegoriche – impreziosite da melodie ed effetti acustici – vengono messe in scena, attraverso un complesso congegno meccanico che regola il funzionamento dell’orologio.”


    “Taormina… borgo medievale con le sue viuzze strette, l’odore del mare misto a quello delle deliziose paste di mandorle…La città del “dolce far niente”…. una passeggiata attraverso la storia, …“E’ in Sicilia che si scopre l’essenza dell’Italia.”.e ancora “Mai il pubblico di un teatro ebbe avanti a sé una simile visione”…ecco come scriveva Goethe duecento anni fa riferendosi al panorama mozzafiato che si apre dal Teatro di Taormina ed Edmondo de Amicis diceva “Credo poco all’inferno, ma credo al paradiso, perché l’ho visto… ed è questo”.. E cosi possiamo ripetere oggi. Quasi nulla infatti è cambiato: il panorama, gli angoli, le atmosfere, i colori di Taormina continuano ad incantare oggi come allora…La città nacque con il nome di Tauromenium, che significa abitazione sul Tauro, indicando in esso il monte in cui sorse. Lo storico Diodoro attribuisce l’assegnazione del nome sia ai Siculi che ai Greci,….nche se deve il successo al teatro romano,… l’origine della città risale alla metà del IV secolo a.C., quando Andromaco ne decise la fondazione. Taormina raccolse l’eredità della sottostante Naxos, la prima colonia di Sicilia, che era stata distrutta dal tiranno siracusano Dionigi alla fine del V secolo a.C. Successivamente, nel corso del III secolo a.C., sotto il regno del siracusano Gerone II, Taormina visse un periodo di prosperità, e probabilmente a questo periodo risalgono le prime fasi del teatro. Ma la massima fioritura fu sotto il dominio di Roma, periodo nel quale Taormina vivrà il suo periodo più florido…… L’incanto di Taormina ha catturato anche molti divi di Hollywood. Come la divina Greta Garbo che arrivava qui sotto falso nome e come Marlene Dietrich, che definì “un incanto la notte di stelle nello splendido teatro greco”. Mentre la gelosa Elizabeth Taylor, in luna di miele, sfasciò in testa a Richard Burton una chitarra. Cary Grant ci venne per rivedere Sophia Loren, che non aveva voluto sposarlo; insieme Audry Hepburn e Gregory Peck passarono dalle “vacanze romane” a quelle di Taormina e Lana Turner scelse questa sosta siciliana per dimenticare l’uccisione del gangster in camera da letto….. Villa Comunale, che alla fine del XIX secolo era il giardino privato di Miss Florence T. Trevelyan. , particolare per le piante, è anche famoso per alcune costruzioni fantastiche, soprannominate victorian follies.”



    “Letojanni, accogliente paesino di mare, confinante con la fantastica Taormina, in un continuum di fascino ed eleganza!... il centro storico del paese, dominato dalla piazza Francesco Durante, che rievoca il famoso chirurgo, scienziato e senatore del Regno che qui nacque e per volontà del quale fu realizzata una clinica…. Alcuni ragazzi del luogo raccontano che in questa piazza sono state girate alcune scene del film “Johnny Stecchino”, con Roberto Benigni, ispirato alla vita del mafioso Charlie Stecchino, morto per mano di alcuni esponenti di un clan rivale…... la Chiesa Parrocchiale di San Giuseppe, in stile neogotico con i tre ampi portali ed il grande rosone centrale decorato da splendide vetrate… il Palazzo della Cultura, sede del caratteristico museo di arte e cultura siciliana, oltre che il famoso Palazzo Silipigni accanto al quale sorge un’antica chiesetta dedicata a Sant’Antonio.”



    “La città di Francavilla di Sicilia vanta origini antichissime… le sue radici sono rintracciabili dai documenti storici riguardanti le sue numerose successioni, sino ad arrivare alla dominazione francese, dalla quale deriva l’origine del suo nome… “franc-ville”, cioè Città Franca, perché la cittadina era esente dal pagamento delle tasse…… Nello splendido scenario della Valle dell’Alcantara,si ha accesso alle Gole..… questi canyon alti e imponenti, lunghi circa 6 km, si sono formati a seguito di un’eruzione dell‘Etna che riempì letteralmente il letto dell’Alcantara…La stessa lava poi costituì queste suggestive gole, le cui pareti sono state decorate geometricamente dalla natura nel corso dei secoli. Il fiume, in seguito, si insinuò lentamente tra le rocce laviche, creando un percorso tortuoso e affascinante… Tre gli elementi predominanti: la pietra, l’acqua e il cielo che, attraverso il gioco della luce solare, esalta le linee delle rocce a forme di prismi sulle quali si riflettono, come specchi, le cascate…..L’impatto visivo tra luci e ombre è davvero magico”









    Capo d’Orlando

    (Capu d'Orlannu in siciliano) è un comune italiano di 13.089 abitanti della provincia di Messina. Centro a prevalente vocazione turistica e commerciale del comprensorio dei Nebrodi, del quale è uno dei poli, insieme a Sant'Agata di Militello e Patti, è nato come borgo di pescatori. Originariamente frazione di Naso, il paese ha raggiunto l'autonomia il 27 settembre 1925, dopo uno sviluppo legato principalmente all'attività dei pescatori. A Capo d'Orlando visse fino alla sua scomparsa Lucio Piccolo, cugino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (v. "Il Gattopardo"). Altri illustri orlandini sono il regista Vittorio Sindoni e la giornalista del TG3 Giuseppina Paterniti. È sede di attività artistiche (pinacoteca comunale, museo Villa Piccolo), di svago (Tv locale, cinema, teatro, porto, club Blues).

    Storia antica

    Il toponimo Capo d'Orlando risale all'epoca normanna, quando fu battezzata così in onore di una presunta sosta del paladino Orlando durante una crociata in Terra santa. Secondo la leggenda sarebbe stata fondata da Agatirso, figlio di Eolo, re dei venti e delle isole Eolie (da non confondere con Eolo, dio dei venti presso i greci, con il quale viene spesso confuso, a partire nell'Eneide di Virgilio, opera nella quale le due figure mitologiche vengono sovrapposte per la prima volta nel libro I). La fondazione, secondo la leggenda, risalirebbe a tempi non lontani dalla guerra di Troia, intorno al 1183 a.C. e da principio il paese avrebbe conservato il nome di Agatirso, "colui che porta lo splendido tirso": dunque sarebbe stata in origine una città sacra al culto di Dioniso, simboleggiato appunto dal tirso. Nove secoli più tardi, nel 209 a.C., secondo le cronache di Tito Livio, Agatirso o Agatirno, "società di ladri, esuli e malfattori", subì una massiccia deportazione: circa 4.000 persone furono deportate in Calabria dal console Levino, forse proprio per effetto dei culti dionisiaci. È questa l'ultima traccia della storia di Capo d'Orlando prima dei Normanni: la testimonianza successiva è di Goffredo da Viterbo, cappellano di Carlo Magno, che riferisce la decisione dell'imperatore del Sacro Romano Impero di ribattezzarla col nome attuale (probabilmente anche per rimuovere quel nome paganeggiante). Durante il Vespro siciliano il 4 luglio 1299, Capo d'Orlando torna nelle cronache con una battaglia navale tra Giacomo II e Federico III per la reggenza degli Aragonesi in Sicilia, nel contesto della disputa fra Aragonesi e Angioini per il trono siciliano. Quasi un secolo più tardi, nel 1398, Capo d'Orlando è di nuovo citata nelle cronache per l'assedio di Bernardo Cabrera, conte di Modica, che insegue Bartolomeo di Aragona, traditore del re Martino I rifugiatosi nel Castello che si trova sul promontorio dal quale Capo d'Orlando prende il nome. In questa occasione il Castello, utilizzato fino ad allora come roccaforte di guardia contro i pirati, viene distrutto: iniziano così le incursioni dei pirati, due delle quali testimoniate nel 1589 e nel 1594, fino alla realizzazione di una postazione di guardia, nel 1645. Nel 1598 il ritrovamento vicino al Castello di una piccola statua della Madonna, che secondo la leggenda sarebbe stata portata da San Cono Abate, porta la comunità locale a costruire nel 1600 il Santuario di Maria Santissima, tutt 'ora simbolo del paese.

    Storia moderna e contemporanea

    I secoli successivi, segnatamente il XVIII e l'inizio del XIX, sono anni di lunghe e dannose alluvioni, che spingono i conti d'Amico, antichi proprietari del latifondo, a cederne la proprietà al Comune di Naso. Ma le alluvioni sono un'occasione di nuova fortuna per Capo d'Orlando: per effetto dell'azione del mare nasce una pianura molto fertile, e le filande - attive già dal XV secolo in contrada Malvicino insieme alla coltura della canna da zucchero - vivono una fase di sviluppo. Capo d'Orlando affianca dunque le coltivazioni all'attività dei pescatori, e per proteggere il centro dalle scorribande dei pirati e sfruttare le nuove risorse i baroni di Naso realizzano una torre fortificata e un trappeto per lavorare lo zucchero. Nello stesso periodo, nella zona di San Gregorio nasce una tonnara: è così che Capo d'Orlando - e più nello specifico il borgo marinaro di San Gregorio, vero cuore pulsante del paese fino alla fine del XIX secolo - raggiunge una forte indipendenza economica e inizia a crescere demograficamente, anche per effetto del completamento, nel 1895, della ferrovia che attraversa il centro e delle statali 113 Messina-Palermo e 116 Capo d'Orlando-Randazzo. A cavallo fra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo iniziano così le agitazioni popolari per rivendicare l'autonomia da Naso, che ormai ha la stessa rilevanza economica e demografica della frazione e per tenere l'avamposto a mare concede porzioni di territorio agli orlandini. Ma le agitazioni proseguono, fino a quando, il 25 giugno 1925, Capo d'Orlando ottiene l'autonomia, suggellata il 27 settembre dello stesso anno dall'inaugurazione del municipio.



    San Salvatore di Fitalia

    dista 240 Km. da Agrigento, 194 Km. da Caltanissetta, 144 Km. da Catania, 152 Km. da Enna, 129 Km. da Messina, alla cui provincia appartiene, 165 Km. da Palermo, 249 Km. da Ragusa, 205 Km. da Siracusa, 265 Km. da Trapani. Il comune conta 1.823 abitanti e ha una superficie di 1.489 ettari per una densità abitativa di 122 abitanti per chilometro quadrato.Sorge in una zona litoranea collinare, posta a 600 metri sopra il livello del mare.I prodotti maggiormente coltivati sono le olive, i cereali, l'uva e le nocciole. L'allevamento è prevalentemente ovino.

    Il nome originario del paese era Santissimo Salvatore , modificato nel 1863 in San Salvatore di Fitàlia dal nome del vicino torrente Fitàlia, che in lingua greca significa " piantagioni ". Nato come borgo di origine saracena, fu sempre legato alle chiese di Patti e di Messina; un forte impulso allo sviluppo del paese venne dalla decisione di Ruggero I di fare erigere il Monastero di San Salvatore. Di particolare interesse architettonico è la Chiesa Madre basilicale del SS. Salvatore di origine normanna. Grazie a recenti restauri sono stati riportati alla luce resti del tempio edificato in periodo rinascimentale con reminiscenze di gotico siciliano. Del sec. XV è il Palazzo del Vescovo, del sec. XIX il Palazzo Catalano. Tra i personaggi da citare ricordiamo il "Padre della Patria", Ruggero Settimo, appartenente alla famiglia principesca dei Sèttimo di Fitàlia che fu insignito dell'onoreficenza del "Collare dell'Annunziata" del Regno d'Italia e al quale fu proposta la presidenza del Senato che rifiutò per motivi di salute.



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    STRETTO DI MESSINA...

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    Chiesa Sant'Adriano



    Palme S.Calogero

    San Salvatore di Fitalia - Nevicata -



    TAORMINA.. taormina

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    Taormina - Teatro Greco -
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    Alla scoperta di Taormina...
    La città di Taormina, situata in cima al monte Tauro, si affaccia sulla costa ionica con le sue bellissime e famose spiagge turistiche a est e con lo sfondo dell'Etna a Sud. Il centro topografico della città coincide con Piazza Vittorio Emanuele II dove sorge l'agorà, sebbene il suo sviluppo, nel corso dei secoli, si fosse spinto anche verso sud, ad opera dei romani, che vi costruirono le cosiddette naumachie, una sorta di grandioso terrazzamento con una grande cisterna. Le sue radici storiche affondano nelle varie civiltà che l'hanno conquistata nel corso degli anni.

    Nell'età bizantina, Taormina ricopriva un ruolo guida nella Sicilia orientale e a quest'epoca risale il rafforzamento delle mura esterne di difesa. Il X sec., vede l'avvento degli Arabi che la distruggono parzialmente al fine di creare delle fortezze. Con la conquista normanna la città rivive una fase di floridezza economica e il centro si espande ulteriormente. Dopo le varie dominazioni da parte di Angioni, Aragonesi e Borboni, oggi Taormina è una delle mete turistico-culturali più importanti della Sicilia: milioni di visitatori italiani e stranieri ogni anno. Come dimostrano le numerose testimonianze storiche, essa è sempre stata la meta dei grandi viaggiatori che nel corso del '700 e ancora nell'800, sotto l'influsso del gusto per il "Gran Tour", intraprendevano questo viaggio alla scoperta delle bellezze naturali ed artistiche del Mediterraneo, da sempre culla dell'arte classica per eccellenza che sembrava irrimediabilmente perduta. Per gli amanti dell'arte e dell'architettura sono numerosi i monumenti da visitare.

    La Cattedrale, edificata nella seconda metà del XV sec., ha un aspetto architettonico possente e massiccio, proprio della chiesa fortezza, che le viene conferito dalla merlatura di coronamento. La facciata presenta un portale barocco con timpano spezzato affiancato da colonnine, due monofore quattrocentesche e un piccolo rosone del XVI sec. Ha una pianta a croce latina con tre navate divise da colonne in marmo rosa.

    Davanti al Duomo si può ammirare l'artistica fontana del Tauro, realizzata nel 1635 in stile tardo manieristico. Si erge su un basamento a tre gradini; le vasche sono riccamente ornate di figure mitologiche, soggetti marini, putti e puttini. Il palazzo Municipale risale alla seconda metà del seicento, mentre la Torre dell'Orologio al sec. XII, costruita probabilmente su fondamenta preesistenti dell'età ellenistica. Un'attenzione particolare merita il Teatro antico. Per la sua costruzione si seguirono i classici canoni architettonici greci che prevedevano un'orchestra, una cavea e una scena. La singolarità del monumento risiedeva nel fatto che la sua esposizione fosse stata progettata e realizzata a sud: posizione inconsueta che di solito si evitava per non esporre gli spettatori al caldo del sole cocente. Scelta giustificata da diversi motivi. La terrazza su cui poggiava la città era a sud della collina su cui sorge il teatro; il teatro non doveva volgere il dorso alla città, infine questo orientamento avrebbe smorzato la ripida collina.


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    Sicilia è sempre stata al centro del Mediterraneo e quindi un centro della storia del Mediterraneo. L'isola ha molto da sole, di ghiaia e sabbia, acqua calda e blu, il tappo a picco di neve sull'Etna, foreste e dorate colline.

    una delle splendide città più in Sicilia Taormina , la storia, e l'architettura, e l'ospitalità è noto a lei per . Si trova nella baia di Naxos, prima colonia greca fu la. Inoltre, la città è uno dei famosi teatro più al mondo, l'anno Internazionale di Musica, Danza e Teatro Festival "Taormina Arte" si svolge ogni.

    Oltre a numerosi edifici importanti del passato, offre Taormina una vasta gamma di attività di svago, come visite a Ristoranti, bar e locali o attività sportive.


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    ISOLA BELLA DI TAORMINA..

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    Taormina - Chiesa di san Pancrazio

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    Sant’Agata di Militello

    (Sant'Àita di Militieddu in siciliano) è un comune di 13.060 abitanti della provincia di Messina. È un comune del Parco dei Nebrodi.

    Storia

    Il primo nucleo abitativo nacque in concomitanza con l'edificazione del Castello Gallego costruito sul feudo della "marina". Nel secolo XVII infatti, il borgo di Sant'Agata era compreso fra le terre baronali appartenenti al principe di Militello, il quale nel 1627, assunse anche il titolo di Marchese di Sant'Agata. Nel 1663 Luigi Gallego, appartenente ad una nobile famiglia di origine aragonese, nominato Marchese e poi Principe di Sant'Agata, fece costruire il castello, a presidio della costa, per concessione del re Filippo IV che nel 1657 gli concesse la licenzia populandi per promuovere il futuro insediamento urbano attorno ad esso. Il castello Gallego articolato intorno ad un'alberata corte quadrata, ingloba le torri cilindriche di età medievale. Sull'ampio prospetto ornato da classici finestroni, si apre il fornice d'ingresso, difeso in passato da ponte levatoio. Dal cortile si accede agli ambienti destinati a scuderie, magazzini ed abitazione dei servi. Da una scala a chiocciola si sale al piano nobile, con gli appartamenti del principe, da cui si accede alle torri e ai terrazzi. Il libro di Vincenzo Consolo "Il sorriso dell'ignoto marinaio" si chiude con la descrizione puntigliosa del castello carcere di Sant’Agata di Militello, simbolo architettonico degli inferi narrati, per la sua forma a chiocciola. Decifrando una lapide di tal (COCALI) GALLEGO, scrive: “E siam persuasi che quell’insolito e capriccioso nome chiuso tra le parentesi che vien dopo Girolamo del principe marchese, Còcalo, sicuramente d’accademico versato in cose d’arte o di scienza, sennò sarìa stato eretico per paganità, abbia ispirato l’architetto. Essendo Còcalo il re di Sicilia che accolse Dedalo, il costruttore del Labirinto, dopo la fuga per il cielo da Creta e da Minosse, ed avendo il nome Còcalo dentro la radice l’idea della chiocciola, kokalìas nella lingua greca, còchlea nella latina, enigma soluto, falso labirinto, con inizio e fine, chiara la bocca e scuro il fondo chiuso, la grande entrata da cui si può uscire seguendo la curva sinuosa ma logica, come nella lumaca di Pascal, della sua spirale, l’architetto fece il castello sopra questo nome: approdo dopo il volo fortunoso dal grande labirinto senza scampo della Spagna, segreto sogno di divenire un giorno viceré di Sicilia, sforzo creativo in sfida alla Natura come l’ali di cera dell’inventore greco o solo capricciosa fantasia?”. Attorno al Castello venne a formarsi un abitato di pescatori e contadini. Non manca, come buona regola siciliana, la leggenda sulla fondazione della cittadina a seguito di un fatto prodigioso, che vide alcuni pescatori catanesi scampare ad un terribile naufragio ed edificare, per voto, un centro intitolato alla loro santa patrona. Il possente edificio dalle severe linee architettoniche, sorge su una altura rocciosa, guardando da un lato il centro cittadino e dall'altro un ampio arco di costa. Un consistente incremento demografico si ebbe però soltanto in seguito all'autonomia amministrativa ottenuta nel 1857 e alla costruzione della strada rotabile Palermo-Messina. All'inizio del '900 rivestì un'importanza fondamentale la costruzione della ferrovia e numerosi furono gli interventi che ne favorirono lo sviluppo.



    Ciao Lussy a dopo ... buon pomeriggio ... continuo ancora un pò il viaggio prima di andare a lavorare ...



    …Passeggiando a Taormina…

    Taormina - Piazza Duomo




    La Cattedrale fortezza, come venne definito il Duomo di Taormina, fu edificata intono al 1400 sui ruderi di una piccola chiesetta di epoca medievale e dedicata a San Nicola di Bari.
    Ha una struttura a croce latina con tre navate. Nelle due laterali trovano posto i sei altari minori. Sei colonne, tre per lato, di origine monolitica in marmo rosa di Taormina e sormontate da capitelli decorati a foglia e a squama di pesce, sostengono la navata centrale. Quest’ultima si apre sotto un soffitto a travi di legno con mensole intagliate, che riproducono motivi arabi resi in gusto gotico.
    Di notevole interesse il portale principale, ristrutturato nel 1636, con un grande rosone scolpito d’ispirazione rinascimentale.






    Taormina - L'Isolabella icona di Taormina


    L'Isola Bella (Isula Bedda in siciliano) è una piccola isola situata nel comune di Taormina, in provincia di Messina. L'esigua distanza dalla costa a volte, a causa della marea, si annulla, rendendola una penisola. È chiamata anche la perla del Mediterraneo.
    Il nome fu coniato dal barone tedesco, Wilhelm von Gloeden, che diffuse in tutto il mondo il valore artistico dell'isola




    Storia
    Donata nel 1806 da Ferdinando I di Borbone a Pancrazio Ciprioti sindaco di Taormina, fu acquistata nel 1890 da Lady Florence Trevelyan, nipote della Regina Vittoria e moglie del filantropo sindaco di Taormina prof. Salvatore Cacciola che la valorizzò costruendovi una pittoresca casetta e piantumandovi rare essenze pregiate, poi andò in eredità all'unico nipote maschio avv.Cesare Acrosso.[1].
    Nel 1954 fu acquistata dai fratelli Busurgi, che vi realizzarono una splendida residenza con una minuscola piscina camuffata fra rocce e piantagioni.
    Nel 1984, su sollecitazione del Comune di Taormina, l'Assessorato regionale dei Beni Culturali dichiarò l'Isola Bella un monumento d'interesse storico artistico di particolare pregio in quanto: "esempio isolato di unicum come valore naturalistico, storico e culturale", sottoponendola a vincoli di tutela. Il decreto considerava l'isola come un "monumento naturale".
    Nel 1990 l'isola fu messa all'asta e acquistata dall'Assessorato dei Beni Culturali. Nel 1998 fu istituita riserva naturale, gestita dal WWF e di recente passata in gestione alla Provincia di Messina.






    Taormina - Corso Umberto





    Taormina - Scalinata romantica





    Taormina - Villa Comunale


    Giardino pubblico panoramico situato nel centro di Taormina voluto da una nobildonna inglese Lady Florance Trevelyan e donato dagli eredi al Comune.Ricco di piante e fiori particolari,al suo interno sono presenti singolari costruzioni orientaleggianti.
    La Villa comunale, intitolata al duca dì Cesaró, proviene dalla donazione, fatta alla fine degli anni '20, dalla famiglia Cacciola-Trevelyan.


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    All'interno, tra una folta vegetazione tipicamente mediterranea, nel districarsi di siepi e aiuole, i viali in acciottolato collegano in senso longitudinale i quasi tre ettari di parco.
    Tra le essenze pregiate, alcune rare e di eccezionale bellezza, si snoda un viale di ulivi dedicato ai caduti delle varie guerre.




    Caratteristiche sono le torrette istoriate stile pagoda cinese, in mattoni e contornate di pomice lavica, volute dalla nobildonna inglese Florence Trevelyan, convinta ornitologa, la quale in quelle torrette si dilettava a studiare gli uccelli.





    Punta Paradiso – Taormina
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    Tindari

    è una nota località della Sicilia, sul Golfo di Patti. È una frazione del comune di Patti. La città venne fondata da Dionisio di Siracusa nel 396 a.C. come colonia di mercenari che avevano partecipato alla guerra contro Cartagine, nel territorio della città sicula di Abacaenum (Tripi), e prese il nome di Tyndaris. Durante la prima guerra punica, sotto il controllo di Gerone II di Siracusa, fu base navale cartaginese, e nelle sue acque si combatté nel 257 a.C. la battaglia di Tindari, nella quale la flotta romana, guidata dal console Gaio Atilio Calatino, mise in fuga quella cartaginese. Con Siracusa passò in seguito nell'orbita romana e fu base navale di Sesto Pompeo. Presa da Augusto nel 36 a.C., che vi dedusse la colonia romana di Colonia Augusta Tyndaritanorum, una delle cinque della Sicilia, Cicerone la citò come nobilissima civitas. Nel I secolo d.C. subì le conseguenze di una grande frana, mentre nel IV secolo fu soggetta a due distruttivi terremoti. Sede vescovile, venne conquistata dai Bizantini nel 535 e cadde nel 836, nelle mani degli Arabi dai quali venne distrutta. Vi rimase il santuario dedicato alla Madonna Nera di Tindari, progressivamente ingrandito, che ospita una Maria con il Bambino scolpita in legno, considerata apportatrice di grazie e miracolosa.

    I resti della città antica si trovano nella zona archeologica, in discreto stato di conservazione, per lo scarso interesse di un reimpiego dei blocchi di pietra arenaria di cui erano costituiti. I primi scavi si datano al 1838-1839 e furono ripresi tra il 1960 e il 1964 dalla Soprintendenza archeologica di Siracusa e ancora nel 1993, 1996 e 1998 dalla Soprintendenza di Messina, sezione dei beni archeologici. Sono stati rinvenuti mosaici, sculture e ceramiche, conservati in parte presso il museo locale e in parte presso il Museo archeologico regionale di Palermo. L'impianto urbanistico, risalente probabilmente all'epoca della fondazione della città, presentava un tracciato regolare a scacchiera. Si articolava su tre decumani, strade principali (larghezza di 8 m), correvano in direzione sud-est - nord-ovest, ciascuno ad una quota diversa, e si incrociavano ad angolo retto e a distanze regolari con i cardini, strade secondarie e in pendenza (larghezza 3 m). Sotto i cardini correva il sistema fognario della città, a cui si raccordavano le canalizzazioni provenienti dalle singole abitazioni. Gli isolati delimitati dalle vie avevano un'ampiezza di circa 30 m e una lunghezza di 77 o 78 m. Uno dei decumani rinvenuti nello scavo, quello superiore doveva essere la strada principale della città: costeggia ad una estremità il teatro, situato più a monte e scavato nelle pendici dell'altura, e all'altra estremità sfocia nell'agorà, oltre la quale, nella zona più elevata, occupata oggi dal Santuario della Madonna Nera, doveva trovarsi l'acropoli. Il decumano superiore dei due rimessi in luce dagli scavi doveva essere la strada principale; a monte di esso – appoggiato alla collina – era il teatro; all’altra estremità - attraverso un propileo monumentale – esso sboccava nell’agorà porticata, oltre la quale – nella zona più elevata (oggi occupata dal Santuario) doveva trovarsi l'acropoli.

    Un tratto delle mura di cinta

    Le mura cittadine, i cui resti attualmente visibili sono dovuti ad una ricostruzione del III secolo a.C. che ripercorre una cinta precedente, probabilmente coeva alla fondazione, venne completata sul lato verso il mare e rimaneggiata in epoca tardo imperiale e bizantina. La cinta si sviluppava per una lunghezza di circa 3 km ed era della tipologia "a doppia cortina, con due muri paralleli (circa 0,70 m di spessore) in opera quadrata di arenaria con disposizione isodoma, separati da uno spazio, in origine riempito con terra o sassi (2,10 m di spessore), raggiungendo un'altezza di 6,85 m. A distante diseguali si innalzavano torri quadrate: una di queste (spazio interno di 6,5 x 5,15 m e con muri larghi 0,43 m e lunghi 0,87 m) conserva un tratto della scala che portava alla sommità delle mura. La porta principale, sul lato sud-occidentale, era fiancheggiata da due torri e protetta da un'antiporta a tenaglia di forma semicircolare, con l'area interna lastricata con ciottoli. Altri piccoli passaggi si aprivano a fianco delle torri della porta maggiore e venivano utilizzate per le sortite dei difensori.

    Teatro greco di Tindari

    Venne costruito in forme greche alla fine del IV secolo a.C. e in seguito rimaneggiato in epoca romana, con una nuova decorazione e l'adattamento a sede per i giochi dell'anfiteatro. Rimasto a lungo in abbandono e conosciuto solo per le illustrazioni del XIX secolo, era appoggiato alla naturale conformazione a conca della collina, nella quale furono scavate le gradinate dei sedili (0,40 m di altezza e 0,70 m di profondità) della cavea, che doveva raggiungere una capienza di circa 3000 posti. In età romana vi si aggiunse un portico in opera laterizia e la ricostruzione della scena, di cui restano solo le fondazioni e un'arcata, restaurata nel 1939. L'orchestra venne trasformata in un'arena, circondando la cavea con un muro e sopprimendone i quattro gradini inferiori. Dal 1956 vi ha sede un festival artistico che annovera tra le manifestazioni danza, musica, e ovviamente teatro. al 2001 vi ha sede, assieme a Taormina il Festival del Teatro dei due mari

    Isolato romano

    Nell’area urbana è stata scavata, tra il 1949 ed il 1964, un isolato completo (insula IV), delimitato dai tratti dei due decumani scavati e da due strade secondarie. A causa della pendenza del terreno, i diversi edifici che la compongono erano costruiti su terrazze a diversi livelli. Sul decumano inferiore si aprivano sei tabernae, o ambienti per il commercio, tre delle quali erano dotate di retrobottega. Su queste poggiava un'ampia domus (casa B) con peristilio a dodici colonne in pietra con capitelli dorici. Il tablinio, o salone (lunghezza 8 m e larghezza 4,60 m). Al livello più alto una seconda domus, "casa C", con peristilio simile alla precedente, presenta l'accesso al tablinio inquadrato da colonne con capitelli corinzi italici in terracotta e basi realizzate con mattoni di forma rotonda. Le due case vennero costruite nel I secolo a.C., su precedenti fasi abitative e furono soggette a restauri e rimaneggiamenti: in particolare nella parte superiore si impiantarono delle piccole terme e gli originali pavimenti scutulati (scutulata con inserimento di piccole lastre di marmi colorati) o in signino con inserimento di tessere di mosaico bianche, o ancora con mosaici policromi, si sostituirono mosaici in bianco e nero con figure.



    Riprendiamo a parlare di Tindari ...

    Il Santuario della Madonna Nera

    Il santuario si trova all'estremità orientale del promontorio, a strapiombo sul mare, in corrispondenza dell'antica acropoli, dove una piccola chiesa era stata costruita sui resti della città abbandonata. La statua della Madonna Nera, scolpita in legno di cedro, vi venne collocata in epoca imprecisata, forse giunta qui dall'Oriente in seguito al fenomeno dell'iconoclastia, nell'VIII-IX secolo. La chiesa, distrutta nel 1544 dai pirati algerini, venne ricostruita tra il 1552 e il 1598 e il santuario venne ampliato con la costruzione di una nuova chiesa più grande nel 1979. La festa del santuario si svolge ogni anno il 7 settembre.


    La Madonna Nera di Tindari

    Le origini della statua della Madonna Nera sono legate ad una leggenda, secondo la quale la scultura, trasportata per mare, impedì alla nave di ripartire dopo che si era rifugiata nella baia di Tindari per sfuggire alla tempesta. I marinai, depositarono a terra via via il carico, pensando che fosse questo ad impedire il trasporto, e solo quando vi portarono anche la statua, la nave poté riprendere il mare. La statua venne quindi portata sul colle soprastante, dentro una piccola chiesa che dovette in seguito essere più volte ampliata per accogliere i pellegrini, attratti dalla fama miracolosa del simulacro.


    Sotto il promontorio di Tindari, da non perdere l'affascinante spettacolo offerto dalla laguna di Oliveri, cantato dal Premio Nobel Quasimodo. La laguna è costituita da alcuni specchi d'acqua più o meno salmastra disseminati in un'ampia lingua sabbiosa che ha un'estensione di circa 150 ha. Si tratta di uno straordinario biotopo sviluppatosi negli ultimi due secoli per una serie di concause naturali e antropiche, di importante interesse scientifico e paesaggistico.


    Le leggende di Marinello

    Alla base del promontorio si trova una zona sabbiosa con una serie di piccoli specchi d'acqua, la cui conformazione si modifica in seguito ai movimenti della sabbia, spinta dalle mareggiate. La spiaggia è conosciuta con il nome di Marinello o "il mare secco" e vi sono legate diverse leggende. Secondo una di esse la spiaggia si sarebbe formata miracolosamente in seguito alla caduta di una bimba dalla terrazza del santuario, ritrovata poi sana e salva sulla spiaggia appena creatasi per il ritiro del mare. La madre della bambina, una pellegrina giunta da lontano, in seguito al miracolo, si sarebbe ricreduta sulla vera natura miracolosa della scultura, della quale aveva dubitato a causa dell'incarnato scuro della Vergine. Un'altra leggenda narra della morte, avvenuta proprio su questa spiaggia di papa Eusebio, il 17 agosto del 310, pochi mesi dopo la sua elezione, avvenuta il 18 aprile, che sarebbe stato esiliato in Sicilia da Massenzio. Sopra la spiaggia, sul costone, si apre inoltre una grotta, che secondo una leggenda locale era abitata da una maga, che si dedicava ad attrarre i naviganti con il suo canto per poi divorarli. Quando qualcuno degli adescati rinunciava per la difficoltà di raggiungere l'ingresso dell'antro, la maga sfogava la rabbia affondando le dita nella parete: a questo sarebbero dovuti i piccoli fori che si aprono numerosi nella roccia.

    Curiosità

    Dà il titolo ad un romanzo giallo di Andrea Camilleri della serie di Montalbano, La gita a Tindari. Inoltre, già Salvatore Quasimodo scrisse la poesia Vento a Tindari. Nelle "Verrine", M.T. Cicerone si sofferma a lungo su Tindari e sulle spoliazioni subite dalla città durante la magistratura di Verre.



    MILAZZO in catolina

    Milazzo - la bella costa di ponente in una giornata piovosa




    Milazzo: sorridente anche in una giornata invernale



    la dominante maestosità dell'Etna vista da Milazzo




    Milazzo - la costa di ponente




    tramonto al Capo di Milazzo in una cornice autunnale




    Il cimitero di Milazzo. - la parte antica- fine 800.
    …Salutata la terra si guarda verso il mare….
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    Milazzo nei suoi momenti più belli - il tramonto
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    Patti

    (in latino Tyndarium et Pactarum urbs nobilissima et magnanima ) è un comune di 13.453 abitanti della provincia di Messina. Ė, per posizione geografica, storia ed indotto economico-turistico uno dei maggiori centri della fascia tirrenica messinese. La città è sede della Diocesi suffraganea di Patti, una delle più antiche di Sicilia, che comprende 45 comuni. Il comune di Patti fa parte del Consorzio Intercomunale Tindari-Nebrodi.

    Origine del nome

    La denominazione della città deriva dal greco Ἐπακτήν (presso le acque- fra le acque- sulla sponda). Alla luce dei recenti scavi e degli studi conseguenti, l'origine della città si può far risalire all'VIII secolo a.C.

    Storia

    Importante e ricco di monumenti il centro storico, che mantiene intatto il tessuto viario medievale. Sono ancora visibili i resti della terza cinta muraria (XIV secolo), una delle sei porte dello stesso periodo ed una porta della seconda cinta (XI secolo). Numerosi i musei, le chiese e i palazzi, che racchiudono opere d'arte del Serpotta, del Gagini, del Catalno, del Novelli etc. Nel territorio di Patti si trovano i resti dell'antica Tyndaris (IV secolo a.C.) con il famoso teatro greco; nel centro cittadino quelli della villa romana (III secolo d.C.); di una vasta necropoli con tombe a grotticelle in contrada Monte (X-VIII secolo a.C.). In contrada San Cosimo sono stati rinvenuti reperti risalenti al XXII/XX secolo a.C. e due necropoli una del IX secolo con tombe a grotticelle ed un'altra con tombe a cappuccino sul limitrofo monte della vigna. Inoltre è interessata da presenze archeologiche tutta la zona a valle del nuovo ospedale (Acquafico). Sui monti Russo e Perrera sono stati rinvenuti reperti archeologici scavati nella roccia, manufatti e pavimenti in coccio pesto, riconducibili all'esistenza di una complessa struttura a guardia di un porto. Le indagini geologiche e le ricostruzioni storiche fanno supporre che in quel sito potrebbe essere localizzato il Nauloco, porto costruito dagli esuli di Troia ed utilizzato fino al XVI secolo, presso il quale, nel 36 a.C. Ottaviano sconfisse definitivamente Pompeo. I recenti restauri nella chiesa di S.Ippolito e nella Cattedrale hanno permesso di portare al luce resti di chiese forse antecedenti al periodo bizantino. Nella Basilica Cattedrale (secolo X), nella cappella barocca in marmo policromo di Santa Febronia, è il sarcofago rinascimentale della regina Adelasia del Monferrato, moglie del Gran Conte Ruggero I d'Altavilla e madre di Ruggero II primo re di Sicilia. La regina, dopo il disastroso matrimonio con Baldovino I di Gerusalemme, volle ritirarsi a Patti dove visse gli ultimi anni della sua vita e morì nel 1118. Rinomata località turistica, ha 12 km di costa interamente balneabili formati da sabbie, faraglioni e grotte. Patti è famosa anche per le ceramiche sia d'arte sia d'uso e per la riserva naturale orientata di Marinello. Dai palazzi del centro storico si gode l'armonioso panorama della riviera di ponente del golfo di Patti, mentre dalla frazione Sorrentini (500 s.m.) lo sguardo spazia su tutto il golfo e sui monti fino all'Etna. Patti è sede vescovile fin dal 1094 con giurisdizione su 45 comuni (da Oliveri A Tusa). Ospita il Tribunale civile e penale, una sede staccata dell'università di Messina della Facoltà di Giurisprudenza e una della facoltà di Magistero di Scienze della formazione, la facoltà di teologia distaccata della Pontificia università; l'Agenzia delle Entrate; la Delegazione dell'ispettorato regionale dell'agricoltura; l'INPS; l'INPDAP; Il Genio Civile; il Servizio Turistico Regionale; vari istituti scolastici medi superiori e numerosi altri uffici pubblici; un attrezzatissimo e moderno ospedale con reparti di alta specializzazione.



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    Aci Trezza (in siciliano Trizza) è una frazione del comune di Aci Castello, in provincia di Catania. Centro peschereccio di antica e notevole tradizione, è famoso per il suo paesaggio.





    Il panorama di Aci Trezza è dominato dai faraglioni dei Ciclopi: otto pittoreschi scogli basaltici che, secondo la leggenda, furono lanciati da Polifemo ad Ulisse durante la sua fuga. Poco distante dalla costa (a circa 400 m. di distanza), è presente l'Isola Lachea, identificata con l'omerica Isola delle Capre e che attualmente ospita la sede di una stazione di studi di biologia dell'Università di Catania.



    MILAZZO





    Quando si dice una ridente cittadina. “Milazzo città del Sole” era lo slogan di una famosa campagna turistica, potremmo dire che furono scelte le parole migliori per diffondere l’immagine di questa città. La sua posizione strategica, il mare cristallino e i palazzi storici fanno di questo comune della provincia di Messina il luogo turistico per eccellenza. Situata nella parte nord-orientale della Sicilia, la città di Milazzo è luogo di arrivo, incontro e partenza per la scoperta di posti fantastici.



    Il centro della città mostra tutto il suo cuore pulsante nel borghetto che si estende ai piedi del Castello di Federico, il monumento storico più importante di Milazzo. Strette stradine, pavimentazione medievale e bellissime scalinate costituiscono la parte antica di Milazzo, punto di ritrovo per molti giovani. Le serate milazzesi sono all’insegna del divertimento, la densità di turisti e di giovani è altissima, molti sono i pub, i ristoranti i chioschetti, le pizzerie e le discoteche che arricchiscono la città e ne fanno un centro di attrazione. Presso il castello di Federico vengono organizzati spettacoli e concerti, l’intera stagione estiva è scandita da un calendario ricco di incontri di musica, teatro e cabaret.



    Altro posto incantevole di questa bellissima cittadina è “il Capo”, recandovi in questo luogo potrete ammirare dall’alto le baie della riviera di ponente e di levante, uno spettacolo paesaggistico che vi lascerà senza fiato.



    La passeggiata lungo “la marina Garibaldi” è d’obbligo, da qui potrete ammirare il porticciolo antico e le suggestive barche dei pescatori.
    Milazzo è una città ricca di negozi e di attività commerciali ragion per cui potrete anche fare dello shopping tra un bagno e l’altro.
    Famosa per la mattanza dei tonni, vi offre la possibilità di visitare diverse tonnare, alcune di queste sono state riutilizzate per realizzare villaggi turistici e beach club.



    Per la sua posizione strategica Milazzo è meta ideale per raggiungere altri luoghi di villeggiatura come il parco dei Nebrodi e le isole Eolie.
    Dal porto di Milazzo ogni giorno partono traghetti e aliscafi diretti alle isole Eolie, in breve tempo potrete raggiungere quest’arcipelago di isole a dir poco meravigliose.



    I traghetti partono a tutte gli orari e raggiungono tutte le isole. Vengono organizzate anche minicrociere, basta recarsi al porto e prendere informazioni, le offerte sono diverse e vengono continuamente aggiornate.



    Per i più intraprendenti e capaci vi suggeriamo di organizzare da voi stessi delle piccole crociere alle isole Eolie. Potete prendere a noleggio un gommone e raggiungere le isole da soli, ricordatevi che per guidare un gommone con il motore superiore a 40 cavalli occorre avere una patente nautica e uno spiccato senso di responsabilità. Consultate sempre le previsioni del tempo, il mare a Milazzo può trarre in inganno.infatti a Milazzo il mare di norma è calmissimo ma se cambia il vento può diventare davvero molto agitato.



    Le onde di Milazzo possono essere un vero spasso per i patiti del windsurf diversamente se non siete dei bravi nuotatori o comunque volete affittare un gommone pur non avendo la patente nautica vi consigliamo di non uscire in mare quando questo è agitato.




    Le spiagge di Milazzo sono una distesa di ciottolini bianchi, il mare è di un azzurro cristallino e l’acqua ha una temperatura piacevole, non è per niente gelida anzi si potrebbe dire che è quasi tiepida, questo anche perchè il sole è una presenza costante per l’intera giornata.



    A Luglio ed Agosto le giornate da passare a mare sono lunghissime, il sole tramonta infatti anche dopo le 20:00.
    Il cielo che si tinge di rosa ed il Sole così caldo e gonfio che si tuffa all’orizzonte nelle acque milazzesi regalano a chi rimane seduto in spiaggia uno spettacolo meraviglioso.
    Milazzo è davvero la città del Sole
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    IL DUOMO DI MESSINA





    Le origini del Duomo di Messina risalgono al periodo normanno e fu Ruggero I di Sicilia a volerne la rifondazione, dopo la profanazione e i guasti apportati dai Saraceni durante la loro dominazione. Fu consacrato il 22 settembre 1197 dall'Arcivescovo Berardo, presenti l'Imperatore Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, e la Regina Costanza d'Altavilla, ultima principessa normanna, che a lui era andata sposa e gli aveva portato in dote il Regno di Sicilia. Le strutture originarie del sacro edificio, lungo il corso dei secoli, sono andate soggette a frequentissime trasformazioni, talora con l'aggiunta di elementi architettonici e decorativi che indulgevano al gusto del tempo. Ciò fu dovuto quasi sempre alle ferite inflitte da disastrosi eventi, soprattutto da terremoti, e alla conseguente necessità di ricostruire in tutto o in parte.




    La prima distruzione venne nel 1254, provocata da un furioso incendio durante i funerali di Corrado IV. Con l'Arcivescovo Guidotto De Abbiate (1304 - 1333) si iniziò un periodo di lento ma continuo arricchimento, che durò sino a tutto il '500. Vennero introdotti elementi decorativi di grande rilievo, quali i mosaici, le decorazioni del soffitto, gli splendidi portali, il rivestimento marmoreo della facciata, l'imponente complesso dell'Apostolato, il cui autore, Giovanni Angelo Montorsoli, discepolo e collaboratore di Michelangelo Buonarroti, costruì contemporaneamente la splendida fontana di Orione che si ammira sulla piazza del Duomo.



    Poi venne il barocco, con la sovrapposizione di elementi che deturparono la nobiltà e semplicità delle linee: stucchi, cornici, putti, festoni, un'infinità di altari; si giunse a trasformare gli archi ogivali in arcate romaniche. Dopo il terremoto del 1783 fu persino modificata la struttura per il gusto di sovrapporre una cupola lignea all'incrocio della navata col transetto. Fu demolito il campanile e furono affiancate due torri neogotiche alle absidi.



    Con il terremoto del 1908 l'edificio crollò quasi completamente. La ricostruzione, operata negli anni Venti, riportò il tempio alle linee originarie. Grazie a pazienti opere di restauro fu possibile recuperare quasi tutte le opere d'arte. Ma una nuova distruzione, e per certi aspetti più grave, causarono gli eventi bellici. La notte del 13 giugno 1943 due spezzoni incendiari sganciati nel corso di un'incursione aerea alleata trasformarono in un rogo la Cattedrale, inaugurata appena 13 anni prima: restarono solo le strutture perimetrali, mentre ciò che era stato recuperato dopo il terremoto fu quasi del tutto ridotto in cenere. Toccò all'Arcivescovo mons. Angelo Paino, che aveva già fatto risorgere il tempio dalle macerie del terremoto, provvedere alla nuova ricostruzione. Nell'agosto del 1947 la Cattedrale veniva riaperta al culto e dal Papa Pio XII veniva insignita del titolo di Basilica. Le statue, i marmi ed i mosaici sono quasi tutti pregevoli copie degli originali perduti.





    Il sacro edificio ha pianta basilicale a tre navate, con transetto e tre absidi. Le dimensioni interne sono: lunghezza m 92; larghezza m 30,50; larghezza al transetto m 39,60; altezza della navata maggiore m 25; altezza del transetto m 30. Le tre navate sono divise da due file di tredici colonne ciascuna, che sorreggono ampi archi a sesto acuto; i capitelli in cemento hanno varietà di stile e di forma e sono copia fedele di quelli che, per la maggior parte, andarono distrutti, mentre alcuni sono conservati nella spianata del Museo Regionale di Messina.



    La facciata ha tre portali in corrispondenza delle tre navate. La parte inferiore è decorata a liste orizzontali di marmi policromi a tarsie, mentre la parte superiore è tutta in pietra, con cinque finestre gotiche e un rosone, arricchiti da eleganti transenne. I fianchi sono scanditi da una doppia fila di finestre a conci bicromi, mentre la merlatura e la leggera cornice, sostenuta da mensolette, conferiscono ritmo e coerenza a tutto l'insieme. Le strutture sono in cemento armato, con tampognamenti in mattoni.



    Anche le 24 colonne dell'interno sono in cemento armato, rivestito di marmo artificiale, e fanno parte del grande sistema di telai che del sacro edificio fanno come una gabbia monolitica. Il tetto è costituito da una soletta di laterizi innervata nelle capriate e ricoperta all'interno da un controsoffitto in legno decorato. Il campanile è alto 48 metri alla torre e 60 metri alla cuspide, mentre il quadrato di base ha il lato di metri 9,60.



    L'esterno del Duomo presenta un portale gotico centrale del XIV-XVI secolo. Il portale è ornato da eleganti colonnine tortili con intrecci di motivi ornamentali e figure di santi. Ai due lati si trovano delle serie di edicole sovrapposte con statue di santi. Nell'architrave possiamo vedere Cristo tra i quattro evangelisti, mentre nel lunettone ogivale c'è una statua della Vergine col Bambino di Giovan Battista Mazzolo. Nella ricca cuspide, si può notare un medaglione raffigurante l'Incoronazione della Vergine. I portali gotici laterali sono formati da fasci di colonnine e tortiglioni. Nelle lunette, si intravedono delle tarsie raffiguranti San Placido e la Vergine.




    Nonostante le distruzioni causate dai ricorrenti terremoti nel corso dei secoli e lo scempio provocato dai bombardamenti del 1943, il Duomo di Messina resta l'edificio monumentale di maggiore interesse della Città e dell'Arcidiocesi e insieme la più importante raccolta di opere d'arte.



    Appena entrati nel Duomo si può ammirare l'Acquasantiera (probabilmente risalente al XIV secolo) con bei fregi alla coppa. La Cappella di San Giovanni Battista racchiude la statua del Santo (scolpita nel 1525 da Antonello Gagini), in cui il volto del beato è di particolare intensità espressiva. Seguono le Cappelle dell'Apostolato, ideate, e in parte eseguite, da Giovanni Angelo Montorsoli. Le attuali statue si devono ad artisi contemporanei. Nell'ordine, sul fianco destro troviamo: San Giuda Taddeo di D. Lazzaro; San Matteo di G. Ciocchetti; S. Giacomo minore di Biagio Poidimani; S. Tommaso di A. Selva; S. Giacomo maggiore di E. Tadolini; S. Paolo di P. Canonica. Sul fianco sinistro ci sono invece: San Simone di E. Martini; San Bartolomeo di E. Assenza; San Filippo di M. Mazzacurati; San Giovanni di G. Ciocchetti; Sant'Andrea di R. Aissanti; San Pietro del messinese A. Bonfiglio.



    Il Pulpito è un rifacimento di quello originale di fine '500. L'opera originale è attribuita ad Andrea Calamech. Vi si trovano ricchi arabeschi alla base ed al pilastro; al capitello, dei volti di eresiarchi; mentre, nel riquadro della coppa, figure a rilievo.

    Anche la Cappella dell'Assunta costituisce un rifacimento. In essa troviamo una Statua della Vergine e un fregio di angeli osannanti di N. Rubino. L'altare, come quello speculare del Risorto, fu costruito nel '600 dalla nobile famiglia Spatafora.

    Diversi sono i monumenti funerari: da quello dell'Arcivescovo mons. Letterio D'Arrigo, opera di Zucchi del 1929 alla lastra tombale dell'Arcivescovo mons. Richard Palmer, scolpita nel 1195 (la cui impostazione iconografica e la tecnica sono di gusto bizantino); dal monumento funerario dell'Arcivescovo mons. Biagio Proto (XVII secolo) a quello dell'Arcivescovo mons. Pietro Bellorado (opera di Giovan Battista Mazzolo del 1513. Questo monumento contiene, nelle tre absidiole, le tre virtù teologali). Ci sono, inoltre, il monumento funerario dell'Arcivescovo Guidotto De Abbiate, insigne opera di Goro di Gregorio, realizzata nel sec. XIV, nella quale risultano di particolare interese i quattro pannelli a rilievo (influssi della scuola pisana, che presentano, da sinistra, l'Annunciazione, la Natività, la Flagelazione e la Crocifissione. Infine ricordiamo il monumento funerario dell'Arcivescovo mons. Angelo Paino (morto nel 1967), opera di M. Lucerna e di A. Indelicato.




    L'organo che si trova nel Duomo è il secondo più grande d'Italia (il primo è quello del Duomo di Milano), terzo in Europa, con 5 tastiere, 170 registri, 16000 canne distribuite nei due lati del transetto, dietro l'altare, sulla porta maggiore e sull'arco trionfale. È opera della ditta Tamburini di Crema del 1948.

    L'abside maggiore (composto da altare, baldacchino e mosaico rifatti) si raggiunge attraverso una bella gradinata marmorea ad intarsio (come è riccamente intarsiato anche l'altare). Il baldacchino in rame dorato (iniziato nel 1628) è particolarmente sontuoso per la ricchezza di elementi ornamentali (festoni, volute, raggiere e nimbi). In una elegante cornice al centro, immagine della Madonna della Lettera (patrona della Città) di Adolfo Romano, ricoperta da una preziosa "manta" argentea, che viene sostituita da quella preziosissima d'oro e pietre preziose nelle ricorrenze festive. Il mosaico (l'originale era del XIV secolo) sia per l'impostazione iconografica che per il cromatismo riporta allo stile bizantino mediato attraverso la lezione senese; bella e solenne la figura di Cristo in trono; ai lati, figure della Vergine, di San Giovanni Battista, dell'Arcivescovo Guidotto De Abbiate e del Re Pietro d'Aragona. Nell'altare coram populo è inglobato un prezioso paliotto d'argento, opera dell'argenteria messinese. Esso raffigura la Madonna nell'atto di consegnare la Lettera agli ambasciatori messinesi; ai due lati, fastose figure simboliche della Fede e della Fortezza.



    L'abside minore di destra (altare e ciborio rifatti) presenta dei putti bronzei, opera del fiorentino Innocenzo Mangani (XVII sec.) Nel catino si trova il mosaico restaurato raffigurante San Giovanni Battista con il Re Ludovico D'Aragona ed il suo tutore Duca di Randazzo. Nell'abside minore di sinistra (altare e ciborio rifatti) si trova la Cappella del Santissimo Sacramento e delle reliquie. Nel fondo c'è una ricca ornamentazione a stucchi e marmi. Nel catino si trova un mosaico originale del XII secolo; palese anche qui il gusto bizantino-senese, specie nelle figure della Vergine, dei santi e delle regine. È l'unico mosaico del Duomo sopravvissuto alle varie distruzioni. Dietro l'altare si trova la cella delle sante reliquie.

    Altri elementi di notevole interesse sono costituiti dalla Cappella di Cristo Risorto (eretta nel 1593 dalla famiglia Spatafora; rifacimento), opera notevole per l'impostazione architettonica di gusto rinascimentale e per le decorazioni di arabeschi e festoni; dal bassorilievo di San Gerolamo penitente (XV secolo), in cui si nota una particolare intesità espressiva nel santo e un misurato realismo nell'ambiente; la Sacrestia, opera in legno del cappuccino fra' Gregorio e di maestranze locali su disegno di Adolfo Romano; la Cappella dei Canonici, un bassorilievo marmoreo del 1593 (attribuito a Giovan Battista Mazzolo), che, sulla parete destra, vede ritratto fra' Gregorio, opera di Adolfo Romano; il Battistero contiene la fonte battesimale (probabilmente del XIV secolo; rifacimento), con riquadri marmorei a tarsia ed eleganti colonnine angolari, un crocifisso settecentesco e un portale rinascimentale, pregevole per impostazione architettonica e fini motivi ornamentali. Infine, sono da nominare la Cappella e la statua del martire messinese San Vittore, opera di G. Gozzo.



    Varie calamità, e in particolare i sismi, hanno colpito più volte nei secoli la città, danneggiando o distruggendone i monumenti. Non sfugge alla regola il campanile del Duomo, costruito all'inizio del XVI secolo e qualche decennio dopo parzialmente rifatto a seguito dell'impatto di un fulmine. Il terremoto del 1783 lo danneggiò gravemente; in seguito si procedette ad operarne la demolizione, anche per adeguare la struttura del tempio al cambiamento di gusto dell'epoca.

    Il campanile attuale risale al 1908 e fu progettato sui disegni di quello vecchio. Alto circa 90 metri, a forma di torre con tetto a cuspide, alleggerito su tutti i lati da coppie di bifore con arco a sesto tondo, contiene un magnifico orologio animato, vero gioiello meccanico, commissionato dall'Arcivescovo Angelo Paino alla ditta Ungerer di Strasburgo nel 1933. Tale sistema è considerato il più grande ed il più complesso orologio meccanico ed astronomico del mondo.




    L'orologio non è composto soltanto di elementi misuratori del tempo (quadrante delle ore, indicatore delle fasi lunari, calendario astronomico con i segni zodiacali), ma mette in scena delle rappresentazioni allegoriche, quali le statue di Dina e Clarenza (storia civile di Messina) che suonano le campane; la sequenza che porta alla costruzione della Chiesa di Montalto (storia religiosa della città); i momenti principali della liturgia cristiana (Natale, Epifania, Resurrezione e Pentecoste). Sono presenti anche simbolismi relativi alla vita dell'uomo, che passa sotto la falce della Morte, e alla simbologia animale: il gallo e il leone fanno parte della sequenza animata che, arricchita da effetti sonori, intrattiene ogni giorno turisti e Messinesi allo scoccare del mezzogiorno.


    Il Tesoro del Duomo di Messina, custodito ed esposto nel corpo aggiunto sulla fiancata Sud del tempio, è una ricchissima raccolta di preziosi oggetti di culto appartenuti alla Cattedrale sin dal Medioevo, in massima parte argenteria opera della rinomata scuola orafa messinese.



    Il pezzo più prezioso del Tesoro è la cosiddetta Manta d'oro. Essa si richiama all'uso molto comune in Oriente e in Russia di coprire le immagini sacre con vesti di argento e d'oro, in modo da lasciare scoperti soltanto il viso e le mani. La Manta d'oro, adoperata soltanto nelle grandi feste, è opera dell'orafo fiorentino Innocenzo Mangani, che la eseguì per incarico del Senato messinese completandola nel 1668. È tutta d'oro finemente cesellato con motivi floreali e geometrici. Alla preziosità della materia e del lavoro si sono aggiunti nei secoli numerosi doni di diamanti, rubini, zaffiri e altre pietre preziose, offerti come ex voto da parte di sovrani, vescovi, gentildonne e umili popolani.

    Altri pezzi preziosi sono: il Braccio reliquiario di San Marciano, primo vescovo di Siracusa, donato dal vescovo Richard Palmer nel XII secolo; il Reliquiario del Sacro Capello di Maria del XIV secolo, contenente il capello con il quale, secondo la tradizione, la Madonna legò il rotolo della Lettera inviata ai messinesi; il Reliquiario di San Nicola, in argento a forma di braccio benedicente, del XV secolo; il Reliquiario di San Paolo, in argento, anch'esso a forma di braccio, risalente al XVII secolo; il Calice d'argento dorato del XIV secolo; il Calice d'argento dorato, dono dell'Arcivescovo mons. Filippo Crispo (morto nel 1402); la Pigna in cristallo di rocca, lampada d'epoca araba, che serviva per contenere le reliquie della Madonna nelle processioni.

     
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  2. tomiva57
     
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    Barcellona Pozzo di Gotto è un comune italiano di 41.797 abitanti della provincia di Messina in Sicilia.

    È il più popoloso comune della provincia dopo il capoluogo.


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    monumennto alla medaglia d'oro al valore civile Pasquale Simone Neri




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    Grotta di Santa Venera, Tempio rupestre a pianta quadrata, su cui è impostata una cupola ottagonale. Recenti studi hanno messo in luce gli elementi di derivazione armena della sua architettura (con probabile retrodatazione ai secoli VII – VIII).




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    la fontana nella piazza



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    Basilica minore di San Sebastiano, inaugurata il 25 marzo 1936 da S. E. Mons. Pajno.



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    chiesa dell'Immacolata

    Chiesa dell’Immacolata, costruita nel 1702 per volontà di una confraternita, ancora oggi esistente.
    La facciata si distingue per la chiara semplicità di impostazione, mentre al suo interno troviamo fastose decorazioni a stucco e finto marmo. Notevoli sono il coro ligneo sull’altare, di provenienza basiliana e le sei tele con episodi della vita di Maria e Gesù, primo settecentesche




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    Dall'Arena Montecroci è possibile ammirare l'intero golfo antistante Barcellona Pozzo di Gotto.





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    - Il monumento all'eroina Giuseppa -seme d'arancia


    Monumento al Seme d'arancia realizzato dal maestro Emilio Isgrò e collocato nella piazza antistante la vecchia stazione ferroviaria. Inaugurato il 21/03/1998, venne concepito dal famoso autore dell'Orestea di Gibellina quale simbolo di rinascita civile della città. "Barcellona ha voluto fortemente quel monumento, scegliendo di affidarsi all'arte e alla cultura per liberarsi del degrado sociale e morale [...] che il seme d'arancia di Emilio Isgrò assurga, per tutti noi, a simbolo di quella cultura della vita che, sola, è in grado si sconfiggere la cultura della morte." Così si espressero i Sindaci di Sicilia in occasione dell'inaugurazione del "Seme del riscatto e della speranza".

    (Foto M.P.Rossitto - Testo M.R.Naselli)


    Museo etnostorico Nello Cassata


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    Il Museo Etnostorico "Nello Cassata" è un museo di Barcellona Pozzo di Gotto.

    Sorge su un’area di 1500 metri, che comprende una casa padronale (la Casa di Manno, residenza di campagna della famiglia Cassata) a due elevazioni di fine Ottocento, anche sede del primo nucleo storico del museo

    L'edificio conserva al piano basso l’antico palmento dai tetti a botte, la porta d’ingresso decorata a rilievo con scene di vita agreste, l’atrio lastricato in pietra viva locale, le luminarie ottocentesche, immerso nel verde di un giardino tipico siciliano tra piante ed alberi di fiori variopinti e frutti.

    Il museo è gestito dall’Istituto Europeo d'Etnologia "Oikos", ente no-profit, e dà lavoro a circa trenta collaboratori.



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    triciclo





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    Juke-box di inizio xx secolo

     
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  3. tomiva57
     
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    I monumenti della greca Himera



    di Mariagloria Chiara


    La città di Himera sorge su un ridente pianoro di forma triangolare, bagnato dalle sacre e vitali acque di un fiume, dal quale ha preso il nome. Colonia greca di notevole importanza, svolge il ruolo di avamposto ellenico verso il cartaginese occidente siciliano. Com’è noto, infatti, ad oriente di Himera sorgevano le colonie della ricca Grecia siceliota, di cui tra le più importanti ricordiamo Zancle (che in seguito mutò il suo nome in Messina), Siracusa, Myles (oggi Milazzo), mentre ad est era dominante l’egemonia di Cartagine. La sua fondazione, secondo Tucidide, si deve a un gruppo di Calcidesi di Zancle sotto la guida di Euclide, Simo e Saccone, e ad una gens siracusana in esilio a causa della guerra civile scoppiata in quel periodo nella città aretusea.
    Secondo alcuni studiosi sembra, però, inverosimile che un luogo così rigoglioso e accogliente non sia stato precedentemente abitato da popolazioni indigene. Si fa strada allora l’ipotesi che i nuovi coloni abbiano ampliato un sito preesistente che lo stesso Cicerone definisce “oppidum quoddam in primis Siciliae clarum et ornatum”. Le diverse origini degli abitanti di Himera hanno reso gli usi e i costumi della città diversi da quelli della tradizione greca: oltre agli dei dell’Olimpo, si tendevano a divinizzare corsi e fonti d’acqua, come nella religione sicana, mentre dal punto di vista linguistico sono chiare le influenze del dialetto dorico e corinzio apportate dai Siracusani.
    La sua rilevanza, oltre che strategico-militare di avamposto greco, si deve allo sbocco che essa aveva nel Tirreno e alla conseguente possibilità di commercio con l’Etruria e la Spagna dalla quale provenivano le copiose quantità di argento usate per coniare moneta, peculiarità questa che la distingueva dalle altre colonie greche.
    Fu proprio la vicinanza al mare a segnare il suo destino. Nel 480 a.C. Terone, tiranno di Akragas, invase Himera, per appropriarsi di una città che poteva garantirgli l’accesso ad un porto della costa settentrionale della Sicilia, con tutti i vantaggi commerciali che ne conseguivano, mettendo in fuga Terillo, despota di Himera. Quest’ultimo, allora, chiamò in suo soccorso i Cartaginesi che giunsero in Sicilia con un notevole spiegamento di forze militari. L’esercito punico, sotto la guida di Annibale, era costituito di circa trecentomila uomini e più di duecento galere e altre navi.
    Terone, preoccupato dal massiccio contrattacco cartaginese, chiese aiuto a Gelone di Siracusa. Grazie al suo intervento i Greci inflissero una pesante sconfitta ai Cartaginesi e, come scrive Diodoro, soltanto pochi di essi tornarono in patria, annunciando che i loro compagni erano tutti morti. Furono costruiti templi e coniate speciali monete per celebrare la vittoria che la tradizione vuole sia avvenuta lo stesso giorno della celeberrima battaglia di Salamina. Il successo militare portò inoltre un periodo di pace e prosperità durante il quale la città poté svilupparsi anche artisticamente e culturalmente.
    Questa fase fu bruscamente interrotta nel 408 a.C. quando Annibale, nipote di Amilcare, decise di vendicare la sconfitta subita dai suoi avi. Dopo aver saccheggiato Selinunte, si diresse infatti verso Himera, non più protetta dall’esercito siracusano. Questa volta i Cartaginesi ebbero la meglio: Himera fu completamente distrutta ed i suoi abitanti trucidati o deportati a Cartagine. Il colpo sferrato dai Punici segnò definitivamente la rovina della città. Qualche anno più tardi, dietro compenso, venne concesso ai deportati di tornare in Sicilia per popolare la Thermae, fondata dai Cartaginesi nel 407 a.C., insieme con altri coloni di origine africana.
    Purtroppo la sanguinosa disfatta di Himera, i secoli e l’incuria moderna (ricordiamo che gli scavi sono iniziati solo in tempi relativamente recenti) ci hanno negato un patrimonio artistico di grandissimo valore. Tuttavia, grazie anche agli studi compiuti dal dipartimento di archeologia dell’università di Palermo, è riemerso il tracciato urbanistico della città.
    Himera constava di tre rioni. I quartieri sud e nord sorgevano sul pianoro triangolare, dove la parte più settentrionale ospitava l’area sacra (che non comprende, però, il Tempio della Vittoria). A nord-est troviamo le abitazioni del quartiere est e sul lato occidentale della città la necropoli.
    Come in altri centri ellenici il canone dell’ortogonalità era strettamente rispettato. La planimetria del reticolato stradale è costituita da una scansione ritmica degli isolati e delle vie, rigorosamente parallele ed equidistanti (circa 32 m.). La mancanza di un incrocio centrale ci fa supporre che piazze ed edifici pubblici si trovassero in zone destinate ad abitazione, senza che però venisse intaccato lo schema del tessuto urbano.
    Dell’area sacra, che risultava isolata dalla struttura abitativa della città, gli elementi principali sono quattro templi e un altare.
    La parte più consistente dei ritrovamenti è costituita dal tempio della Vittoria che presenta caratteristiche simili a quella dei templi agrigentini, facendo supporre che le maestranze che si occuparono della sua costruzione provenissero da Akragas. Di esso si dice che sia stato costruito nel 480 a.C., proprio sul terreno in cui fu combattuta la battaglia, e che per ciò venne detto anche tempio della Vittoria.
    Si tratta di un tempio in stile dorico probabilmente dedicato a Zeus che precede la cella e di un pronao sul retro della cella uguale per forma e dimensione a quello anteriore. Durante gli scavi prospicienti al tempio sono state ritrovate cinquantasei grondaie a forma di testa di leone, probabilmente opera di diversi scultori; altri scavi nel themenos (l’area sacra) hanno fatto emergere un paio di schinieri di bronzo assieme a frammenti di armi ora custoditi presso il Museo Archeologico Regionale di Palermo.
    Chi si reca a visitare gli scavi trova un Antiquarium dove sono conservati alcuni dei reperti ritrovati.


    fonte: arkeomania.com

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    Imera (Himera o anche Hymera) fu una colonia greca di Sicilia. Fu fondata nel 648 a.C. da Calcidesi provenienti da Zancle (l'odierna Messina) e da esuli siracusani.

    Storia

    Nel 480 a.C. gli eserciti di Siracusa e di Akragas vi sconfissero quello cartaginese nella Battaglia di Imera avvenuta nella pianura prospiciente la città. Per celebrare la vittoria venne costruito un tempio il cui basamento è tutt'oggi visibile.


    Tempio della vittoria


    Parte dei fregi ed alcune teste leonine che fungevano da grondaie si trovano al Museo Archeologico Regionale di Palermo. Di grande interesse la "Tomba degli Amanti" conservata nell'Antiquarium.
    I diecimila soldati di Himera Sembra di vederli quei cavalieri di duemilacinquecento anni fa, armati di scudi e lance, urlare di soddisfazione per la vittoria insperata o fuggire sanguinanti o, peggio, restare esanimi a terra calpestati dai cavalli dei vincitori. Solo loro, in quella spianata con vista sul mar Tirreno e protetta dalle montagne madoniti, ideale per scontri in campo aperto, poco distante dalle mura della ambita città greca di Himera, proprio come narra Diodoro Siculo. Basta guardare quelle diecimila tombe, quei reperti, quei segreti che la terra ha conservato per la gioia di chi sarebbe riuscito a ritrovarli, per cancellare in un colpo autostrada e svincoli, capannoni industriali e centrali elettriche del palermitano, e rivedere la piana di Buonfornello nella sua verginale bellezza.
    Proprio lì, a poche centinaia di metri dallo stabilimento Fiat di Termini Imerese che si avvia verso la drammatica chiusura, in oltre due anni di scavi archeologici è stata riscoperta la necropoli occidentale di Himera, ritenuta la più grande venuta alla luce in tutta la Sicilia. Un ritrovamento reso possibile dallo straordinario lavoro della Soprintendenza ai beni culturali di Palermo, in piena collaborazione con le Ferrovie dello Stato (Rfi, Italferr e il general contractor Cefalù 20), impegnate sulla costa palermitana per la realizzazione del raddoppio ferroviario Palermo-Messina nel tratto di circa 20 chilometri Fiumetorto-Ogliastrillo (responsabile dei lavori Roberto Galiano, amministratore della C&Emme Group), che hanno interamente finanziato le indagini.
    Dal settembre 2008 sono state esplorate complessivamente 9.150 tombe, databili lungo tutto il periodo di vita della colonia greca, con risultati straordinari riguardo alla conoscenza dei riti e dei costumi funerari, ma anche commerciali e di vita quotidiana, di Himera. La città, fondata nel 648 a.C. da un gruppo di coloni misti, clacidesi provenienti da Zankle (Messina) e dall’isola Eubea, e dorici originari di Siracusa, rimase in vita per circa 240 anni, fino alla distruzione definitiva per mano dei Cartaginesi nel 409 a.C. E sono proprio i lunghissimi e ripetuti scontri con gli eserciti fenici ad essere testimoniati direttamente, osservando le sepolture a tre metri e mezzo di profondità lungo l’autostrada.
    Sotto la coltre di argilla, infatti, un centinaio tra operai, archeologi, disegnatori, antropologi e restauratori, coordinati dall’archeologo Matteo Valentino, hanno rinvenuto nove fosse comuni, identificate con le sepolture collettive di soldati morti nelle grandi battaglie combattute davanti alle mura di Himera nel 480 a.C., quando i Greci sconfissero l’esercito cartaginese, e nel 409 a.C., quando i Cartaginesi attaccarono e distrussero definitivamente la città. Nelle fosse i cadaveri vennero deposti allineati, uno di fianco all’altro, da un minimo di due a un massimo di 59 individui, tutti di sesso maschile. Molti scheletri presentano tracce di violenti traumi causati da armi da taglio (spade, pugnali) o da lancio (frecce e lance).
    E poi ci sono i cavalli, seppelliti in 25 tombe, proprio come gli uomini, per onorare il loro sacrificio decisivo per l’affermazione dell’esercito greco nella battaglia del 480. «Questi scavi hanno consegnato dati scientifici eccezionali, a partire dalle moltissime informazioni sulla cultura materiale - spiega Stefano Vassallo, direttore dell’unità operativa per i Beni archeologici della Soprintendenza di Palermo -. Dalla conservazione e dallo studio dei reperti verrà fuori la vita della città, gli usi, i costumi. In questo momento stiamo studiando un percorso di valorizzazione, che potrebbe diventare un’importante attrattiva turistica per il territorio».
    Perché nei venti container pieni di oltre 8.400 reperti c’è veramente di tutto. Nei 12.500 metri quadrati scandagliati dagli scavi sono testimoniante tutte le tipologie di sepoltura ricorrenti nel mondo greco in età arcaica e classica. Ci sono due tesoretti di monete d’argento, in tombe femminili della seconda metà del V secolo a.C.; ci sono contenitori di terracotta utilizzati per accogliere i corpicini dei neonati nelle tombe di tipo enchytrismos, perfettamente conservate; si individua una precoce manifestazione dell’uso di deporre monete nelle sepolture, il cosiddetto "obolo di Caronte". Ci sono monete provenienti dalle varie colonie, così come anfore greco-orientali ed etrusche, a testimoniare le relazioni di Himera col mondo antico. È perfino tramandata una scenetta nella bottega di un vasaio: le impronte di un cane impresse in una tegola raccontano come l’artigiano abbia scacciato dal laboratorio l’animale venuto a pestare l’argilla ancora fresca.
    Assolutamente entusiasta Francesca Spatafora, direttore del neonato Parco archeologico di Himera, che può già contare su un Antiquarium ricchissimo che adesso ospita la Phiale aurea, ma non ancora entrato a pieno titolo nel circuito turistico, se in tre anni è riuscito a fare appena 35 000 visitatori. «Entro tre anni, con i fondi europei, realizzeremo un nuovo museo con il patrimonio ritrovato nella necropoli occidentale - afferma -. Stiamo portando avanti un accordo con le Ferrovie per potere avere alcuni manufatti ferroviari ormai in disuso. Questa è un’occasione unica per un territorio di cui, in passato, non è stata rispettata la naturale vocazione e che adesso, divenuto vulnerabile anche sotto il profilo sociale ed economico, richiede interventi adeguati a ritrovare i più autentici valori tradizionali che ancora esprime».
    Un riferimento chiaro alla rinuncia di Fiat di investire sullo stabilimento storico di Termini Imerese, che chiuderà nel 2012. «Nel momento in cui l’industria indietreggia - osserva il sindaco di Termini, Salvatore Burrafato -, bisogna cambiare passo. Dobbiamo puntare con convinzione ad altre iniziative che possano cambiare il volto della nostra città e credo che la valorizzazione di Himera possa essere decisiva».
    L'antica città di Himera, vicina all'odierna Termini Imerese, è facilmente raggiungibile dall'autostrada Palermo - Catania.

    da: wikipedia.
     
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    “Mi sono girato ed era lì”. La descrive come la più bella luna nel più luminoso dei cieli stellati. Si dice “incredulo” e “colto di sorpresa”, Luca Parmitano. L’astronauta catanese non ci ha pensato due volte, prima di far click e dar vita a quello scatto mozzafiato.

    Quella è la “sua” Sicilia, vista da centinaia di chilometri di distanza, a bordo della stazione spaziale internazionale.

    L’immagine è dello scorso 28 maggio



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