AMARE gli ANIMALI

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  1. gheagabry
     
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    ... UNA CAREZZA PER RIFLETTERE ...
    … Il sole caldo su una strada assolata, chiazze di acqua sembrano materializzarsi sull’asfalto reso ardente dai raggi solari. Macchine sfrecciano cariche di gioia per i futuri divertimenti che il periodo di vacanza si speri porti con se. Come dardi solcano quelle strade infuocate avendo mete felici, spensierate … bambini, famiglie intere racchiuse in quei piccoli abitacoli trasportano un carico di vera inesauribile, contagiosa allegria. Occhi tristi osservano questo corteo scorrere; contrasto forte tra tanta allegria racchiusa in quelle “scatole” viaggianti e l’enorme tristezza imprigionata nel suo cuore. Occhi grandi che non cancellano il ricordo di quel tranello di quel bastoncino lanciato da una mano che si credeva amica, la lunga gioiosa rincorsa a raccoglierlo avendo nel cuore la certezza di un nuovo gioco appena iniziato. Bastoncino raggiunto, afferrato con la bocca e … volgendosi al suo padrone per mostrare la sua bravura, la delusione più cocente, l’amarezza più inspiegabile … la “scatola” viaggiante con cui era arrivato sta scappando via senza di lui. Corsa sfrenata abbaiando senza respiro, senza pausa … ma quella “scatola” era troppo più veloce delle sue zampe, del suo cuore che sembrava esplodere per lo sforzo profuso nella rincorsa. Quel cagnolino, incapace come la maggior parte degli animali, di comprendere le umane traiettorie, le contraddizioni, la crudeltà anche se involontaria, resta lì in quello stesso posto dove è stato abbandonato; aspetta quel padrone, “distratto” lui pensa, e osserva giorno e notte il passaggio di quelle “scatole” sperando di veder arrivare quella del suo padrone per poter di nuovo riprendere quel gioco così ispiegabilmente interrotto. Gli animali non sono giocattoli che si buttano o si dimenticano; non sono mode che si adottano a piacere, ad umore, ad istinto … chi prende con se un animale accetta come prima e indiscutiblie regola quella del rispetto di esso come essere vivente … Oggi invece della solita poesia a tema ricercata sul web, vi posto un racconto vero accaduto pochi giorni fa ad un nostro amico, mio davvero speciale … Rino (Ringo47) , con la sua innata sensiblità ci racconta un’episodio avente tema quello da me appena raccontato per riflettere, ragionare ed emozionarsi … Grazie Rino per aver voluto condividere con noi questa tua carezza, questo tuo racconto … Vi abbraccio fortissimo … e, ovviamente, Buona Estate a tutti ….
    (Claudio)



    ... ABBANDONO ...

    Domenica scorsa appena uscito da casa e incamminandomi con il mio cane verso l’edicola distante dal paese circa 3 km, mi si avvicinava e quindi mi seguiva un cagnolino nero di piccoli dimensioni a pelo molto lungo ( non so definire la razza). che avevo visto la sera precedente aggirarsi con aria smarrita. Questo, dopo aver fatto conoscenza con Cassius, il mio cane, ha continuato a seguirmi e poi a rincorrersi fa di loro dapprima timidamente e poi con più disinvoltura fino alla completa confidenza. Mi è parso chiaro che quel cagnolino era oggetto di abbandono per cui mi ha pervaso un forte senso di rabbia verso colui o coloro che aveva fatto questo gesto sconsiderato.
    Mentre mi seguiva mi sono fermato cercando di accarezzarlo ma inutilmente poiché fuggiva impaurito con la coda fra le gambe finché alla fine si è fatto avvicinare però con la classica posizione con le zampe per aria nel tipico gesto di sottomissione..
    Ho proseguito il cammino con il cagnolino che mi seguiva e ogni tanto mi precedeva rincorrendo Cassius e così fino a destinazione, un grosso complesso alberghiero. Qui lo perdevo tra le auto in sosta fino a quando lo sentivo piagnucolare dinanzi all’entrata dell’albergo realizzando che il proprietario era stato ivi alloggiato e che con ogni probabilità l’aveva abbandonato di li a poco.
    Comunque dopo aver comprato il giornale e sorbito un caffè, uscivo dal locale sedendomi vicino al mio cane per leggere; in quel momento ritornava il cagnolino in questione sdraiandosi vicino a Cassius. Entravo nuovamente nell’esercizio e chiedevo agli astanti, indicando la bestiola, chi fosse il suo proprietario ma in cambio ricevevo silenzio e indifferenza e solo uno di loro mi comunicava che si aggirava nei paraggi da circa 2 giorni ma non sapeva di chi fosse. Mi sedevo nuovamente e osservavo la bestiola suscitando in me una infinita tenerezza verso questa simpatica creatura..
    Dopo aver letto per qualche minuto il giornale, intraprendevo il cammino verso casa con il cagnolino che mi seguiva con insistenza. Uscito dal complesso, percorro una strada sterrata in mezzo al bosco quella più breve per la destinazione sempre seguito dal cagnolino. Qui lo supplico di allontanarsi e di non seguirmi perché non l’avrei potuto tenere; insomma cerco di fargli capre in tutti i modi che non lo volevo ma con esito infruttuoso anzi quando mi sono seduto all’ombra su una grossa pietra a leggere il giornale mi si è coricato dinanzi fissandomi intensamente come a volermi chiedere di adottarlo. Il mio stato d’animo in quel momento era un miscuglio di risentimento verso chi l’aveva abbandonato e la tenerezza verso un esserino che chiedeva solo essere amato per restituirne il centuplo.
    Mi incammino nuovamente quando mi giro e non lo vedo più sentendomi in quel momento molto sollevato con la speranza che se ne fosse andato; mi giro nuovamente per vedere se fosse nei paraggi quando lo vedo incollato alle mie calcagna.
    Lo supplico nuovamente di andarsene e anche con modi bruschi quando mi viene una considerazione. Quante volte ho letto sui mass media o visto in tv storie di abbandono di cani che avevano suscitato in me molta indignazione verso coloro che facevano tale gesto e ora io che cosa stavo facendo? Semplicemente quello per cui mi ero indignato: ABBANDONO! Anche se con meno veemenza, lo stavo abbandonando una seconda volta. E in quel momento mi sono sentito in uno stato di infinita protrazione non dissimile a chi ha la vigliaccheria di mettere in essere tale atto.
    Lo guardo con tenerezza e proseguo il mio cammino verso casa con lui incollato ai miei piedi. Qui lo rifocillo dandogli da bere e da mangiare con la speranza che qualcuno del paese lo potesse adottare o trovare una soluzione alternativa. In effetti una ragazza, amante degli animali qui in villeggiatura, dopo avergli raccontato l’occorso, prendeva con se la bestiola con la promessa che l’avrebbe fatto visitare e accertare se aveva il microcip per rintracciare l’eventuale proprietario
    Nel tardo mi affaccio alla finestra richiamato dalla stessa ragazza vedendola con il cagnolino in braccio visibilmente ben lavato e curato comunicandomi che stava ripartendo per la città. Mi salutava e mi faceva salutare con la zampetta dal cagnolino e confesso che in quel momento ho sorriso dentro di me con la certezza che quel giorno avevo ricevuto, attraverso una bestiolina pelosa, una lezione d’amore e di amicizia.


    (Rino - Ringo47 -)





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  2. gheagabry
     
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    Un giorno un ragazzo in autostrada vidi un cane abbandonato,sporco tremava…affamato e assetato,con occhi tristi…quegli occhi sembravano dire perche mi hanno lasciato qui…ho dato solo amore e affetto,dove ho sbagliato…sono sicuro che torneranno, ma quel ragazzo sapeva che chi lo aveva lasciato non sarebbe ritornato,si avvicinò e la prima cosa che fece il cane…fu una dimostrazione d’affetto…non era arrabbiato verso l’essere umano,fu amore da subito…il ragazzo lo prese in braccio lo portò a casa….e dopo tutte le cure necessarie la loro vita era piena d’affetto,gli diede un nome…jak…era un labrador le sue paure erano passate grazie ad anni di amore reciproco…..un giorno jak,si ammalò…dopo alcuni giorni mori…per il ragazzo una perdita immensa…un grande vuoto,dopo alcuni mesi nella notte senti abbaiare era la voce del suo cane,la sentiva in lontananza e non stava sognando,dopo lo stupore si alza scende le scale e sentiva che proveniva dalla cucina…apre la porta e non ce…sente ancora abbaiare,da dietro la porta che da sul giardino…era jak,,,ma apre e in giardino non ce jak….ma il ragazzo e sicuro che e il suo cane…sente ancora abbaiare forte senza fermarsi….dietro una siepe…quando il ragazzo si avvicinò alla siepe ormai lontano da casa in quel minuto arrivò il terremoto in abruzzo…la sua casa andò distrutta…jak..smise di abbaiare…la sua anima e ritornata solo per salvare chi lo aveva salvato….anche gli animali hanno un anima…e la loro e piu grande della nostra….
    (Davide Bianco 74)



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  4. gheagabry
     
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    Hachiko




    Hachiko era una cagnetta bianca di razza Akita Inu. Naque ad Odate nel Novembre 1923 e all'età di due mesi fu adottata dal Professor Ueno Eizaburo del Dipartimento Agricolo dell’università di Tokyo.

    Hachiko prese l'abitudine di accompagnare tutte le mattine Ueno fino alla stazione di Shibuya dove prendeva il treno per recarsi all'università in cui lavorava. Hachiko poi tornava ad aspettare il padrone al suo ritorno alle 3 del pomeriggio.

    Il 12 maggio 1925 accadde che Ueno venne colto da un infarto mentre era all'università e morì. Quella sera Hachiko attese il ritorno del suo padrone alla stazione invano, e così fece nei giorni a seguire.

    I giorni passarono e sempre più furono le persone a notare questa cagnetta che aspettava paziente, sempre nello stesso punto, così ben presto la sua storia si diffuse in tutto il Giappone e gente da ogni parte dell'isola veniva per darle una carezza e qualche leccornia.

    Il 17 marzo 1934 Hachiko morì, proprio lì nello stesso punto dove per quasi dieci anni aveva atteso l'arrivo del suo adorato Ueno. La fedeltà e la determinazione della cagnetta avevano colpito tutto il Giappone non poco, la notizia della sua morte venne riportata sulle testate di tutti i giornali e fu indetto quel giorno lutto nazionale. Vennero raccolte offerte in tutto il Giappone con le quali lo scultore Shou Ando realizzò una statua in suo onore che nell'Aprile del 1934 venne posizionata nel punto dove l'animale soleva aspettare.

    La statua che c'è oggi alla stazione di Shibuya non è però quella che fu realizzata nel 1934. Durante la seconda guerra mondiale l'imperatore del Giappone diede l'ordine di fondere ogni metallo disponibile per forgiarvi armi e nemmeno la statua ad Hachiko fu risparmiata. La statua che è possibile ammirare oggi è stata realizzata da Takushi, il figlio di Ando che la ricostruì nell'Aprile del 1947.

    Oggi la statua è molto famosa ed è punto di ritrovo per i giovani di Tokyo, soprattutto per le coppie, forse per il suo significato di fedeltà e tenacia.

    La statua della stazione di Shibuya non è però l'unico monumento ad Hachiko. Nel cimitero di Aoyama accanto alla tomba di Ueno Eizaburo è stato eretto un memoriale in onore della cagnetta dove alcune sue ossa sono sepolte. Il corpo di Hachiko fu imbalsamato ed ora è esposto al Museo Nazionale delle Scienze a Nord Ovest della stazione di Ueno. Annualmente l'8 Aprile si tiene una cerimonia alla quale partecipano tutti gli amanti dei cani, che portano i loro omaggi alla lealtà e devozione di Hachiko.




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  5. gheagabry
     
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    Anche gli animali vanno in Paradiso,
    storie di cani e di gatti oltre la vita

    Di Stefano Apuzzo e Monica D’Ambrosio –






    Edizioni Mediterranee 2001


    Prefazione
    a cura di Giorgio Celli

    Se il Paradiso esiste è giusto che sia popolato di animali. Ve lo immaginate un Eden senza il canto
    degli uccelli, il garrire delle rondini, il belare delle caprette e l’apparire del buffo e curioso musetto
    di un coniglio? Di sicuro nel mio Paradiso ideale non possono non echeggiare miagolii da ogni
    angolo. Il festoso abbaiare di cani che giocano finalmente sereni.
    Vogliamo negare anche questo ai poveri animali?
    Si può essere credenti e praticanti o assolutamente atei, ma ciò non ci da il diritto di chiudere in
    faccia agli altri abitanti del pianeta le porte del Paradiso, di un sogno, di una speranza di liberazione e riscatto. Sono tante le sofferenze a cui sottoponiamo queste creature innocenti; vogliamo aggiungere alla crudeltà umana anche l’esclusiva dell’amore divino per il nostro genere ? Ma forse la preclusione “zoofobica” teologica di alcune confessioni è connaturata all’uso corrente degli animali nella vita quotidiana: allevati, divorati, cacciati, torturati, sacrificati. Ammettere che gli animali hanno un’anima significherebbe dover rivedere molte delle nostre certezze antropocentriche e rimettere in discussione il nostro rapporto con il Creato. Significherebbe, probabilmente, non comportarsi più da padroni assoluti dell’universo, bensì da padri coscienziosi che difendono i propri figli e, si sa, la responsabilità paterna o materna non è facile da assumere consapevolmente.
    Nella discussione se gli animali hanno un’anima o meno ci vedo la contraddizione tra chi ritiene di
    avere avuto la terra in prestito e in dono e chi ritiene di averla vinta o conquistata. Per questi ultimi, gli animali, la natura, le risorse della Terra, sono beni materiali di immediato consumo e non rappresentano invece un patrimonio inestimabile da proteggere e conservare.
    Bene, io credo che al di là delle convinzioni religiose, mistiche e spirituali di ognuno, il rispetto
    verso gli animali e la natura, madre di tutti noi, debba rappresentare un presupposto, un comune
    denominatore del convivere civile. Se gli uomini si attribuiscono l’anima questa non può essere
    negata a tutti gli altri animali, cugini e fratelli del genere umano, coinquilini nel grembo di “Gaia”
    (la Terra, vista come un unico organismo vivente, nella teoria del filosofo inglese James Lovelock).
    Negare questa possibilità, scindere in maniera così netta e violenta il genere umano dagli altri
    abitanti del pianeta significa una supponenza e presunzione che può avere solo conseguenze
    drammatiche: gli animali sono oggetti, “materia vivente inanimata” senza sentimenti, intelligenza e
    capacità di soffrire ed è quindi lecito abusarne a nostro piacimento. Sono convinto che le nuove
    generazioni rifiutano questa logica distruttiva da generali conquistatori, sadici e violenti. Spesso i
    predatori del mondo hanno bisogno di supporti ideologici e religiosi per compiere le loro
    nefandezze: non offriamoglieli.



    Introduzione
    Di Stefano Apuzzo


    Questo libro aiuterà ad amare gli animali ancora di più e con maggiore generosità. Le testimonianze e le storie che raccoglie, scritte da famosi medium, da mistici e teologi ma anche da gente comune, saranno di sicuro conforto per chi ha perso il proprio fedele compagno a quattrozampe. Questo libro vi aiuterà a ritrovare il vostro amico, a continuare ad amarlo, a parlargli, perché la vita sulla Terra non è che un passaggio, una scuola, una esperienza che ci prepara alla vera vita, alla vita eterna.
    1.... Nell’ottocento un gruppo di vescovi si interrogava se gli indiani d’America avessero o meno
    l’anima. Molti, troppi, oggi si interrogano sull’eventualità che gli animali abbiano l’anima. Eppure
    anche il Papa (Giovanni Paolo II) ha già detto una parola chiara in proposito: “negli animali c’è
    qualcosa di molto simile al soffio divino vitale”. I nativi d’America, che sulla spiritualità ci hanno
    donato esempi di rara bellezza e lungimiranza non hanno mai avuto dubbi sull’anima degli animali.
    Lo stesso vale per altre nazioni tribali, come i Pigmei, che chiedono scusa all’animale ed alla sua
    anima se sono costretti ad ucciderlo per cibarsene. Lo stesso vale per molte confessioni orientali.
    Ancorata a schemi antropocentrici risulta, invece, la confessione tradizionale della Chiesa romana e,
    troppo spesso, i messaggi chiari ed inequivocabili di San Francesco e dello stesso Gesù vengono
    ignorati. Ma qualcosa anche nella Chiesa cattolica si muove. Sono sempre più i teologi e gli uomini
    di fede disposti a riconoscere senza dubbio che gli animali hanno l’anima.
    Ho voluto raccogliere studi, citazioni ed opinioni di differenti credi religiosi, convinto come sono
    che ogni coscienza mistica e confessione religiosa abbia da offrirci brandelli di verità e barlumi di
    luce utili a vivere con maggior amore e rispetto con tutte le creature.
    Ho la speranza che imparare ad amare ed a rispettare di più gli animali da morti possa contribuire ad amarli ed a rispettarli da vivi, evitando tante sofferenze e crudeltà gratuite. Il libro raccoglie, oltre ai testi di autori noti (da Kardek alla Altea, da Pratesi a don Mario Canciani, fino a Margherita Hack), anche storie di quotidiano amore, che ognuno può sentire più vicine alla propria esperienza vissuta.
    Sono state scritte pagine meravigliose sugli animali, da vivi e da morti, sulla loro sensibilità,
    intelligenza e disarmante altruismo. Alcune delle pagine più belle, di tutti i tempi, le culture e le
    letterature sono qui pubblicate grazie all’impegno di ricerca di Stefano Carnazzi. L’amore per tutte le creature e l’insegnamento unico di San Francesco, il Santo “animalista” per eccellenza, sono distillati negli accattivanti racconti di padre Nazareno Fabbretti. Le esperienze di amore di Gesù verso gli animali sono testimoniate brillantemente sia dal teologo don Mario Canciani, sia
    dall’amica “medium” Dina Lucchini Dell’Orto, che con il suo gruppo delle “Mamme di via Pacini”
    ha restituito amore e serenità a tante madri “orfane dei propri figli”. Una parte dei racconti e delle testimonianze sono tratte da due libri molto preziosi e purtroppo non più in commercio, “Gli
    animali hanno un’anima” di Ernesto Bozzano e “Gli animali sono immortali?” di Bill Schul. Alcune
    storie e racconti mi stanno particolarmente a cuore, perché scritti da una ragazza generosa e
    sensibile, Monica D’Ambrosio, che ha lasciato questa vita a 33 anni e la cui unica colpa “fù
    l’innocenza”, come incise sulla propria immaginaria lapide, prima di suicidarsi a 31 anni, lo svedese
    Stig Dagerman. Tutta la breve vita di Monica è stata testimonianza di altruismo verso uomini ed
    animali. E’ un onore per me, oltre che un gesto di amore senza tempo e senza spazio, averla come autrice di questo libro. Lei che ha sempre scritto in modo fluido, intingendo la penna nel cuore e nel sangue, nella passione e nelle proprie ferite. Il brano “Bu”, una storia realmente vissuta da bambina, è tratto dal libro “Il maiale è scappato, firmato la scimmia, storie di animali e di animalisti” (Stampa Alternativa). Grazie per avermi insegnato tutto quello che so sui cani, grazie per avermi insegnato ad amarli davvero e a capirli.
    Il libro contiene anche il puntuale intervento dell’amico Edgar Meyer, storico dell’ambiente e
    presidente di “GAIA, animali & ambiente”, sui cimiteri per animali. Quelli che ho chiamato i
    “numeri dell’ecatombe” aiutano a renderci conto di quante vittime animali ogni anno nel mondo
    sono causate dalla cupidigia umana. Animali brutalmente uccisi per la caccia, la vivisezione,
    l’industria della pelliccia, della carne, della pesca, dal fenomeno del randagismo e degli abbandoni
    estivi. Ho voluto inserire questi numeri per sottolineare come, pur convinti che gli animali hanno
    una vita ultraterrena, dobbiamo impegnarci perché vivano felicemente i loro giorni su questa Terra.
    E ciò vale, evidentemente, anche per gli esseri umani. Desidero ringraziare tutte le amiche e gli
    amici che mi hanno aiutato nella redazione del libro e le case editrici che, generosamente, hanno
    concesso i diritti di pubblicazione di importanti testimonianze. Tra queste le Edizioni Mediterranee,
    la Sperling & Kupfer, le Edizioni Paoline, l’Agenzia Letteraria Internazionale, il Gruppo GeoArmenia, Stampa Alternativa. L’acquisto del libro contribuirà a finanziare interventi concreti di
    cura ed assistenza di cani e gatti abbandonati in diversi rifugi.

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    Spero di aver dato, con questo libro,
    2.. un piccolo contributo alla causa degli animali e della pacifica convivenza sul pianeta, alla presa di coscienza che i nostri “fratelli minori”, come San Francesco definiva gli animali, non sono oggetti
    ma esseri senzienti, che amano e soffrono e che, un giorno, incontreremo nell’aldilà. Qualcuno ci
    chiederà conto, ne sono convinto, di come ci siamo comportati verso questi nostri, indifesi, fratelli.
    Animali e religioni di don Mario Canciani.
    Per Sigmund Freud “il timore proteggeva la vita dell’animale” che veniva considerato sacro come
    fosse un membro della comunità. Era proibito cibarsi della sua carne, salvo che in occasioni solenni
    e con la partecipazione di tutta la tribù. Il mistero della sua morte sacrificale si spiega con il fatto
    che costituiva il legame dei partecipanti tra loro e Dio. L’uccisione e la consumazione periodica del
    “totem” rappresenta l’elemento essenziale della religione totemica, per Freud la più antica.
    A Dakshinkali, a sud-ovest di Katmandù nel Nepal, ho visto praticare sacrifici per placare la dea
    Kalì assetata di sangue, ma di soli animali maschi.
    Per Giambattista Vico le saghe e le leggende che si rifanno a un’ancestrale “età favolosa” del
    mondo rappresentano il “mito” in cui convivono uomini e animali e l’espressione genuina di
    emozioni religiose. Spesso si trattava di riti religiosi segreti, che esigevano una graduale iniziazione.
    I principali misteri erano quelli Eleusini, della dea Cibele, di Iside, di Mitra.
    Il discorso sul rapporto religioni-animali è complesso.
    Il Libro dei morti, che ci riporta la confessione del defunto di fronte ai suoi giudici dell’altro
    mondo, testimonia la cura che gli egiziani avevano per gli animali. Vi si legge, tra l’altro:

    “Non ho maltrattato le bestie.
    Non ho dato la caccia agli animaletti nascosti tra i cespugli.
    Non ho intrappolato gli uccelli degli dei...”.


    L’Inno al Sole del faraone Amenophis IV ha ispirato certamente il Salmo 104 della Bibbia:

    Fai scaturire le sorgenti nelle valli e scorrono tra i monti;
    ne bevono tutte le bestie selvatiche e gli onagri estinguono la loro sete.
    Al di sopra dimorano gli uccelli del cielo, cantano tra le fronde (...).


    Gandhi sosteneva che il rispetto per gli animali era il dono dell’induismo all’umanità. Le religioni
    indiane, da sempre, in verità, li hanno protetti da ogni crudeltà. C’era una casta speciale, quella dei vaisyas, che doveva attendere alla loro cura, in base alle leggi scritte da Manou.
    La legge non scritta del Karma riguarda tutt’oggi anche gli animali, oltre che gli uomini e gli stessi
    dei. Ogni azione viene premiata o punita nella catena della reincarnazione. A questo proposito
    riferisco un episodio che mi è capitato a Srinagar, la capitale del Kashmir. Stavo osservando con
    raccapriccio dei bottegai che uccidevano a bastonate un gattino. Un vecchio, dopo averlo gettato nel fiume, vedendo il mio dispiacere, mi ha detto: “Forse rinascerà persona”. Gli ho risposto: “Intanto non ha vissuto da gatto...”.
    Nella Bhagavad Gità si narra di un eroe che accetta di entrare in paradiso solo se il suo cane potrà seguirlo. Buddha chiede dayà, compassione, anche per gli animali. Come Zarathustra, egli proibisce i sacrifici: “Invece di sacrificare gli animali, lasciateli liberi. Lasciateli cercare l’erba, l’acqua e la carezza del vento. Gli animali che uccidete vi hanno dato il tributo del loro latte e della loro lana. Hanno posto la fiducia fra le vostre mani che ora li sgozzano”.
    Una volta, vide un agnello che, ferito da un sasso, non riusciva a tener dietro al gregge. Lo prese tra le braccia, dicendo: “Povera madre dal vello lanoso, dovunque tu vada porterò il tuo piccolo. È
    3 meglio impedire ad una bestia di soffrire, piuttosto che restare seduto a contemplare i mali
    dell’universo, pregando in compagnia dei sacerdoti”.
    In India furono costruiti dai buddisti, al tempo dell’imperatore Acoka, che visse dal 264 al 227 a.C., i primi ospedali destinati agli animali ammalati o feriti. L’iniziativa fu poi ripresa nel XVIII secolo da Vivekananda.
    In Iran, Zarathustra afferma in una sua Gathà che chi ha cura del bestiame senza nutrirsi della carne “massacrata e fatta a pezzi” avrà lo Spirito Santo e la Verità. Ha sostenuto anche: “Chi uccide un cane uccide la sua anima!”.
    In Grecia, il profeta della Tracia, Orfeo, come tutti i grandi dello spirito, è attorniato dagli animali
    che vengono affascinati dal suo amore, dalla sua voce, dal suono del suo flauto. Il pensiero di
    questo vegetariano, sacerdote di Apollo-Sole, è rimasto nel cuore dei discepoli per un millennio,
    fino a raggiungere Pitagora e Plutarco. E Plutraco, storico greco che teneva a Roma conferenze in
    madrelingua, era stato iniziato in Egitto anche alla religione di Iside e di Osiride. Ripeteva le parole
    di Orfeo sugli animali: ”Come voi hanno un’anima... Astenetevi perciò dal mangiare il cibo a base
    di carne!”.
    Era l’epoca delle catacombe cristiane. I discepoli di Gesù di formazione greco-latina, quando fecero
    scolpire nel IV secolo il Buon Pastore che porta sulle sue spalle l’agnello troppo debole per
    camminare, avevano certamente veduto le statue di Orfeo, che si possono ora ammirare nei musei,
    trovandovi una prefigurazione.

    paradiso


    Plutarco ha espressioni delicatissime:

    “È una cosa barbara vendere i vecchi cavalli quando non sono più utili.
    Significa non avere riconoscenza per i servizi resi. L’uomo veramente buono
    deve tenere con sé i cavalli ed i cani anziani, anche se non sono più utili”.


    Tutta la letteratura greca manifesta sentimenti nobili nei riguardi degli animali. Valga per tutti
    l’episodio del cane di Ulisse, Argo, che attende il padrone per morire, come leggiamo nell’Odissea.
    Tra le grandi religioni, l’ebraico-cristiana, se si vuole essere oggettivi, è ambivalente. L’Antico
    Testamento, del quale tratteremo a parte, anche per maldestre interpretazioni, è stato causa di
    indifferenza, ma insieme anche di apprezzamento per gli animali. Il Libro della Genesi, che parla di
    “guida” e non di “dominio” da parte dell’uomo su di essi, annuncia l’alleanza di Dio con gli uomini, gli uccelli, il bestiame e tutti gli animali della terra che “sono con voi”.
    Nimrod, figlio di Kush, fondatore di Ninive, è l’antenato degli Assiri, grandi massacratori di popoli.
    Di lui è detto che “fu un cacciatore, a dispetto dell’Eterno”. Saranno i profeti Amos, Osea, Isaia e Geremia, a condannare i sacrifici, purtroppo senza alcun esito. Geremia ha perfino l’ordine di Dio
    di mettersi sulla porta del Tempio per dissuadere coloro che vi entravano per offrire sacrifici.
    Con il Nuovo Testamento, la venuta del Figlio di Dio libererà finalmente il mondo non umano dalle
    crudeltà del sacrificio rituale. L’Ultima Cena sarà lo spartiacque tra due epoche, la cerniera tra la
    barbarie dei sacrifici antichi, un vero mattatoio biblico, e il sacrificio di Cristo. Il suo sangue
    sostituisce quello degli animali. È lui, ora, l’Agnello di Dio. “È impossibile che il sangue dei tori e
    dei caproni” scrive l’Autore della Lettera agli Ebrei “liberi dai peccati”.
    Purtroppo, come ha dimostrato Robert Smith, il sacrificio sull’altare costituisce parte essenziale del rito delle religioni antiche. L’altare è nato per il sacrificio. Ogni altare ci ricorda perciò
    inevitabilmente le immani sofferenze degli animali.
    La spiegazione delle cosiddette “ecatombi”, che venivano compiute in Grecia e dappertutto, deriva
    dalla funzione “vicaria” che veniva attribuita agli animali, che morivano al posto dell’uomo.
    Nei sacrifici una parte consistente della vittima apparteneva ai sacerdoti. Si può capire, allora, come il monoteismo di Akenaton fallisse, avversato dai sacerdoti degli altri templi che erano stati fatti chiudere dal faraone. Si comprende anche come i sacerdoti del tempio di Gerusalemme avessero, oltre ai dolori reumatici perché dovevano camminare scalzi sui pavimenti marmorei, malattie uricemiche, avendo l’azotemia alta per il continuo uso della carne.
    Oltre a questo carattere “sostitutivo” sacrificale, gli animali nelle antiche religioni hanno sempre
    avuto un valore in sé, fino ad essere creduti dotati di anima immortale. Pitagora e Anassagora, a
    differenza degli Stoici che ritenevano l’animale un’emanazione divina, pensavano che le anime
    4 degli animali, imperiture come quelle degli uomini, scaturissero dall’Anima del Mondo, forza e
    sostanza intermedia tra il cosmo e Dio. Così pensavano anche Platone e gli Alessandrini.
    Aristotele distingue tre anime: vegetativa o nutritiva, sensitiva e razionale. Attribuisce la prima alle piante, la seconda agli animali, la terza agli uomini. Sarà il filosofo inglese Bacone a rifiutare
    l’anima vegetativa. Cartesio, in seguito, dichiarando che gli animali sono automata, “macchine”, li
    priva dell’anima sensitiva.
    I cattolici, facendo propria l’opinione di Cartesio, con l’intento di conciliare fede e scienza, si
    immettono in una via sbagliata. L’oratoriano Malebranche, dando un calcio a una cagna gravida che
    lo importunava con i suoi guaiti, mentre discorreva di filosofia con un amico, si giustificò così:
    “Non si preoccupi! Questa grida, ma non ha sensibilità”.
    Kant e Bentham riproporranno il problema della sofferenza degli animali. La Chiesa uscirà dal buio
    del Medioevo che vedeva sovente in essi delle manifestazioni demoniache, con Giovanni Paolo II, il
    Papa che parlando del “soffio divino” presente anche negli animali e non soltanto nell’uomo, ha
    ridato a queste creature il valore e la dignità che esse meritano.
    L’amore per gli animali è un nuovo segno dei tempi, intuito dai movimenti ecologisti e portato
    avanti dagli etologi, che stanno accumulando sempre più preziose conoscenze a riguardo.
    Giovanni Paolo II, nella Sollecitudo rei socialis ha spronato i teologi a studiare un “nuovo rapporto
    uomo-animale”. Il credente, con rinnovata responsabilità, è chiamato a prendere sul serio la
    Creazione. Ha il compito di custodire e coltivare, di portare a compimento quanto Dio gli ha
    consegnato in “dono”.
    La pace di Dio Creatore è anche pace e salvaguardia di tutto il Creato. Questa “nuova-antica”
    teologia della Creazione deve essere riscoperta e subito tradotta in prassi di fede. L’Universo, come dice il termine “universus”, deve tornare a rivolgersi “verso” l’infinito Iddio se vuol comprendere il mistero di se stesso e di ogni singola creatura.



    animalsclub.it

    Edited by gheagabry - 21/6/2012, 17:21
     
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  6. gheagabry
     
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    UN INCONTRO SPECIALE

    Questa mattina è stato ritrovato un giovane esemplare di megattera (balena) sulla spiaggia di White Rock a sud di Vancouver, in Canada.


    ..... due foto e una forte emozione ..... una balena speciale per poche ore ha fatto incontrare l'uomo e la natura...e l'uomo gli ha ha reso omaggio .... un piccolo rito funebre .... la delicatezza di quella manina ... i fiori ..... sono solo attimi rari, ma bellissimi






    immagini ilpost.it

    Edited by gheagabry - 12/7/2014, 23:14
     
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  7. gheagabry
     
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    Il monumento è davanti al municipio, proprio sotto la lapide che ricorda il "conte Francesco Pecori Giraldi/colonnello della Milizia Toscana". È un cane in bronzo che guarda in alto e sembra annusare l'aria, per riconoscere l'odore del suo padrone. "A Fido, esempio di fedeltà". Passa un bambino - avrà dieci anni - con mamma e fratellino in passeggino. "Ciao Fido", dice. Il bimbo conosce già la storia, presto la racconterà al piccolo che ha ancora il ciuccio. "




    HACHIKŌ E FIDO
    DUE STORIE DI FEDELTÀ E AMORE





    È a Odate, in Giappone, che il 10 novembre 1923 nasce Hachi, un bellissimo cucciolo di razza Akita, il cui nome in giapponese significa 8, simbolo dell’infinito e della ciclicità, di un qualcosa che dall’alto va verso il basso. Hachi, all’età di circa due mesi, viene adottato da Hidesaburō Ueno, un professore universitario del dipartimento agricolo di Tokyo.

    E così, da Odate, il cucciolo trova la sua nuova casa a Shibuya. Essendo il signor Ueno un pendolare, ogni mattina si reca alla stazione della città per andare a lavorare. E con lui viene anche Hachikō (dove Hachi sta per 8, -kō è un vezzeggiativo), che poi torna a prenderlo alle tre del pomeriggio al rientro dal lavoro.

    Purtroppo, il 21 maggio 1925, Ueno muore di ictus mentre si trova all’università, ma il suo fedele amico, come ogni giorno, va ad aspettarlo alla stazione, questa volta invano. E così fece ogni giorno, alle tre in punto, accattivandosi con il tempo l’affetto del capostazione e degli altri pendolari, che se ne presero cura.




    Negli anni, tutto il Giappone conobbe la storia di Hachikō e molte persone iniziarono anche ad andare alla stazione di Shibuya per vederlo e coccolarlo. Nonostante stesse ormai invecchiando, Hachi continuò a presentarsi al solito posto alla solita ora per ben 10 anni (assistendo tra l’altro, nel 1934, all’inaugurazione della statua in bronzo con le sue sembianze, posta proprio davanti alla stazione) fino a quando l’8 marzo 1935 si spense.

    La morte di Hachi commosse tutto il Giappone tanto che non solo i principali giornali del Paese gli dedicarono le prime pagine ma venne anche istituito un giorno di lutto nazionale per ricordare la sua estrema fedeltà verso il padrone. Nonostante, poi, il corpo sia stato conservato tramite tassidermia e sia attualmente esposto al Museo Nazionale di Natura e Scienza, alcune sue ossa sono sepolte nel cimitero di Aoyama, accanto alla tomba del padrone.

    L’8 aprile di ogni anno, in Giappone viene organizzata una cerimonia per ricordare Hachikō: lui non ha dimenticato il suo amico Ueno, e noi non dimenticheremo lui, sembrano voler dire i giapponesi per i quali ormai il cane è diventato un vero e proprio eroe, ricordato sia con il film dell’87 Hachikō Monogatari del regista Seijirô Kôyama che con i manga (una protagonista della serie “Nana”, per esempio, viene soprannominata Hachi, per il suo carattere fedele e affettuoso).

    Per il grande pubblico, poi, a ricordare la storia di questo cane, nel 2009, ci pensa Hollywood grazie al regista svedese Lasse Hallström che, con attori del calibro di Richard Gere e Joan Allen, riesce a metter su un film commovente ma non melenso e che, pur essendo ambientato in America, non perde la sua forza emotiva. Riassumendo un’intervista dello stesso Gere, possiamo dire che da una storia semplice, di straordinaria (come comune) fedeltà e grande amore tra uomo e cane, si è voluto produrre un film che fosse altrettanto semplice e che raccontasse questa vicenda, quasi senza l’uso della parola, come lo si farebbe davanti a un falò.




    Il “premio fedeltà”, però, non spetta solo ad Hachi, ma anche a un nostrano amico a quattro zampe, vissuto circa 50 anni fa: Fido.

    In una sera d’inverno del 1941, il signor Carlo Soriani di Luco del Mugello (frazione di Borgo San Lorenzo – Firenze - dove questi lavorava nelle Fornaci Brunori), trovò in un fosso un cucciolo di meticcio ferito e decise di adottarlo. Lo chiamò Fido e da allora il cane lo accompagnò tutti i giorni alla fermata della corriera che prendeva per recarsi a lavoro. Tutte le sere, poi, puntuale aspettava il suo ritorno.
    Ma il 30 dicembre 1943 attese invano: le Fornaci Brunori, infatti, vennero bombardate per errore dagli Alleati (l’obiettivo era la ferrovia lì vicino), provocando la morte di molti operai, tra cui il signor Soriani.

    Fido continuò ad aspettare alla fermata della corriera il suo padrone per altri 14 anni fino al 9 giugno 1958, quando morì. L’anno prima il sindaco di Borgo San Lorenzo, colpito dalla sua incredibile fedeltà, gli aveva conferito una medaglia d’oro e poco tempo dopo la sua scomparsa venne fatta realizzare una statua in bronzo con le sue sembianze, ancora oggi posta davanti al palazzo del Comune, che sotto riporta la frase: “A Fido, esempio di fedeltà”. Le sue spoglie invece si trovano fuori dal cimitero di Luco, dove è sepolto il tanto amato (e atteso) padrone.

    Anche in Italia, come in Giappone per Hachi, ci fu una straordinaria attenzione mediatica per la vicenda di Fido (le riviste Gente e Grand Hotel ne pubblicarono la storia, che uscì anche su alcuni cinegiornali dell’Istituto Luce) tanto che La Domenica del Corriere il 22 giugno 1958 commemorò la sua scomparsa con una bellissima copertina, firmata da Walter Molino.



    Quelle di Hachi e di Fido sono due storie semplici e straordinarie insieme, che raccontano di sentimenti al limite dell’umanità fatti propri da musetti pelosi e code canine. Proprio loro, i cani, che spesso sono abbandonati non riescono ad abbandonare i loro padroni nemmeno dopo la morte.

    E chissà se prima di lasciare questo mondo, i due non abbiano rivisto, come in sogno, rispettivamente il signor Ueno e il signor Soriani, per quell’ultima carezza mai arrivata. È un pensiero che consola tutti e che ripagherebbe loro, Hachi e Fido, di tutta quell’estenuante attesa, loro che non hanno mai imparato a chiedere, ma semmai insegnato a donare.

    Tre postille, in conclusione… Una che ringrazia tutti i nostri amici animali (cani, gatti, pesci o iguana che siano) per l’affetto e la gioia che ci donano; un’altra che vuole riportare una frase scritta su un muro vicino casa mia (ecco, magari usate la carta, anziché i muri) che mi ha molto colpita: “Prova ad abbandonare il bastardo che hai dentro”, con accanto disegnata l’impronta di un animale, che da sé penso riassuma il pensiero; e la terza che ricorda a tutti quei bambini o a quegli adulti che adesso, sull’onda della moda, vorrebbero “il cane di Richard Gere” (tra l’altro la Saki, Sezione Akita Italia, ha lanciato un allarme per evitare che si ripetano gli errori del passato; leggasi: “commercio scriteriato”, come fu per i dalmata o per i pastori tedeschi dopo il film La carica dei 101 e la serie tv Rex) che i nostri canili sono pieni zeppi di dolcissimi cani, pronti a dare affetto in egual modo, se non di più, di Hachi.

    E, in generale, mettete bene a mente che un cane, Akita o meticcio che sia, non è un giocattolo: è una vita e in quanto tale va rispettata e amata finché non si spegne naturalmente.
    Grazie.

    Giulia Gabriele








    in storia
     
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    Bambi e Tamburino




    Un cerbiatto e un coniglio che vivono in una fattoria americana sono diventati inseparabili.
    Il piccolo aveva un giorno di vita quando è stato trovato rannicchiato sul ciglio di una strada trafficata, accanto alla mamma priva di vita.


    La signora Svetlana Harper che passava da lì lo ha visto e lo ha salvato, portandoselo a casa e prendendosene cura.
    Bambi, la sua nuova mamma lo ha chiamato proprio così, è stato allattato artificialmente e per le prime settimane ha dormito con Svetlana.

    "Stavo tornando a casa" ha dichiarato la donna "quando ho visto qualcosa sul ciglio della strada, pioveva e c'era scarsissima visibilità.
    Ho rallentato, ho accostato un po' e ho visto il cucciolo. Mi sono fermata immediatamente e sono scesa dalla macchina, avvicinandomi a lui.
    Tremava ma non si muoveva. Poco distante, quasi nascosta dall'erba, c'era la mamma. Ho capito subito che era morta, probabilmente di parto.




    Mi sono tolta il cappotto e ho coperto il piccolo, l'ho preso e l'ho portato a casa.
    Ho riscaldato un po' di latte, c'ho aggiunto un uovo e ho provato ad allattarlo ma senza successo. Allora mi sono distesa sul divano e l'ho fatto accucciare accanto a me.

    Durante la notte, e per tutto il giorno dopo, ho tentato di nutrirlo ma si rifiutava di mangiare. Ero disperata, ho pensato che sarebbe morto.
    Ma verso sera, l'ennesimo tentativo di fargli bere il latte è andato bene. Bambi ha cominciato a succhiare dal biberon e io ho pianto di gioia.
    Adesso mi segue dappertutto, lo so che pensa che io sia sua madre, è naturale".

    Bambi, che sta bene e cresce in fretta, ha fatto amicizia con altri animali della fattoria nel Montana in cui abita la signora Harper.
    Un cane lupo femmina, un gatto ma soprattutto un coniglio.
    Stasha, il pastore tedesco, adora tutti i cuccioli e una volta ha anche allattato dei gattini orfani. Lei lo protegge, lo lava e gli si accuccia sempre accanto.

    Tiger il gatto invece gli si struscia contro, facendo le fusa e leccandogli il musetto. Ma è Ben il coniglio il suo amico del cuore, proprio come Tamburino e Bambi della Walt Disney.
    "Sono diventati inseparabili" ha aggiunto Svetlana "stanno sempre insieme e non vogliono mai separarsi.




    Anche se Bambi si è affezionato moltissimo a Stasha e Tiger, si vede subito che predilige Ben. Non appena si sveglia, esce e lo va a cercare".




    Fonte: Daily Mail




    La beccata della buona notte


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    Tinsel la tacchina e Bramble il cervo, che vivono al Nuneaton e Warwickshire Wildlife Sanctuary in Inghilterra, si sono incontrati nove mesi fa e non si sono più lasciati.

    La pennuta segue il suo compagno dappertutto, strilla minacciosa se qualcuno gli si avvicna troppo e gli dà dolci beccate tutte le sere prima di dormire.
    Tinsel era un pulcino in fin di vita quando è arrivata alla riserva e nessuno pensava che sarebbe sopravvissuta.
    E' stata ritrovata sulla corsia di emergenza di un'autostrada vicina a Manchester, molto probabilmente qualcuno l'aveva gettata fuori dal finestrino di un autoveicolo in corsa.

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    Ma quando ha incontrato Brambe, che viveva al santuario da due anni, è come rinata. Geoff Grewcock, il proprietario del Centro, ha dichiarato: "Sono inseparabili, quasi dipendenti l'uno dall'altra.
    Dormono insieme e Tinsel dà sempre una beccatina sulla guancia di Bramble prima di addormentarsi. Sono molto dolci".

    La tacchina è stata portata al santuario da un automobilista che l'ha trovata sul ciglio dell'autostrada e l'ha salvata.
    Era ferita gravemente e magrissima ma il personale del Centro l'ha curata e nutrita, riuscendo a mantenerla in vita.


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    "Quando ha visto Bramble è rimasta folgorata, ma sul serio, è stato un colpo di fulmine. Ha cominciato a seguirlo dappertutto e lui sembrava gradire quelle attenzioni.
    E' cresciuta insieme a lui e adesso non si separano mai, passeggiano, mangiano insieme, vanno a dormire alla stessa ora e qualche volta litigano.
    Lei è molto protettiva nei suoi confronti, grida e agita le ali se qualche estraneo gli si avvicina troppo" ha aggiunto Geoff.


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    Il cervo aveva appena due settimane quando è stato portato al Centro da alcuni podisti che l'avevano trovato privo di sensi in un campo.
    "Era debolissimo e rischiava di morire di fame ma adesso, dopo tre anni da quel giorno, sta benissimo.
    E il suo legame con Tinsel ha certamente accelerato la sua ripresa" ha concluso l'uomo.





    Fonte: Daily Mail
     
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    Dylan Maras, My Shot



    Mentre camminavo lungo la spiaggia Bondi, in Australia, mi sono imbattuto in questa donna in rosso. La guardavo mentre dava da mangiare ai gabbiani e ne ho apprezzato la tranquillità. Quando finalmente ho parlato con lei mi ha detto che era inglese e viveva in Australia da due anni. Mi ha detto che ogni giorno andava al mercato e cercava cibo avanzato per i gabbiani. Quando le ho chiesto perché lo faceva, mi ha detto che i gabbiani non possono farlo.





    national geographic
     
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    Beauty, l'aquila con il becco (artificiale) in 3D



    Sette anni fa Beauty, esemplare femmina di aquila di mare dalla testa bianca, emblema d’America tanto da esserne il simbolo dal lontano 1782, fu salvata in Alaska dall’attacco di un bracconiere che le dava la caccia. Nello scontro però, Beauty perse il suo becco aguzzo e ricurvo, tanto che per molto tempo lottò tra la vita e la morte, e fu nutrita esclusivamente a base di liquidi con flebo e cannucce. Oggi Beauty può mangiare di nuovo, grazie a un becco artificiale, creato usando la tecnica di stampa 3D. Uno dei primi tentativi riusciti al mondo di uso di questa tecnologia anche per la chirurgia sugli animali.
    AQUILE DI MARE – Era una mattina del 2005 e Beauty si aggirava a caccia di cibo in una discarica in Alaska quando un cacciatore l’ha abbattuta sparandole proprio al becco. Beauty è uno degli 80mila circa esemplari di aquila di mare dalla testa bianca, bald eagle, che ancora sopravvivono nel nord America e Canada (se ne trova qualche esemplare anche in Irlanda) e la loro caccia è vietata per legge. Dalle piume nere (esclusa, appunto, la testa bianca) è la più grande della famiglia dei rapaci e le femmine sono più grandi dei maschi. Supera anche il metro di lunghezza e ad ali dispiegate misura fino a tre metri. Un colosso del cielo, che si nutre catturando pesce e carne, a seconda dell’area in cui vive. Ma per Beauty, dopo l’incidente di 7 anni fa, l’istinto predatore si è annullato, giacché senza parte del becco non poteva più nutrirsi.

    LE CURE – Dall’Alaska l’aquila è stata trasferita in Idaho, dove si trova un centro che protegge e si prende cura dei rapaci, il Birds of Prey Northwest. Qui i volontari, assodato che all’aquila mancavano quasi interamente la parte di becco superiore (esclusa una piccola zona a destra), hanno iniziato a nutrirla con liquidi, per passare poi ai primi cibi solidi attraverso l’uso di un forcipe. La speranza, mentre piano piano riprendeva le forze, era che il becco potesse ricrescere, ma ciò non è mai avvenuto. E così, mentre l’opinione unanime degli esperti e degli studiosi era quella di condannare il rapace all’eutanasia, una squadra formata da ingegneri, tecnici, dentisti e medici ha trovato una soluzione alternativa per far crescere il becco aguzzo al volatile: fabbricarne uno da impiantarle artificialmente.

    BECCO 3D – Ora Beauty è la prima nel regno animale a indossare un becco bionico creato con un polimero di nylon, nato grazie ai disegni di un ingegnere meccanico che ha studiato la dinamica perfetta affinché il becco potesse combaciare esattamente con la forma del suo cranio per oltre 18 mesi, prima di produrre l’esemplare adatto. Per produrlo, l’ingegnere ha usufruito di una stampante tridimensionale, già usata in molti settori per costruire modelli, solitamente a strati, di oggetti di varia natura. Il risultato, è spaventosamente vicino alla perfezione, come si vede nel video che riassume la sua storia. Ma per Beauty questo non è ancora abbastanza per tornare alla vita selvaggia del predatore: il becco non è comunque abbastanza forte per permetterle di cacciare tra la montagne, mentre è abbastanza solido per nutrirsi e spiumarsi nel centro dell’Idaho dove continua a vivere in cattività.

    Eva Perasso




    corriere.it
     
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    Povero Bob

    1936. Bambini di Brentwood (Regno Unito) con il cane Bob. Il gruppo aveva organizzato una colletta per aiutare il cane a sopravvivere dopo che il padrone era morto
    (Photo by Derek Berwin/Fox Photos/Getty Images)

     
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    La leonessa Little Tyke




    La madre di Little Tyke, una leonessa prigioniera di uno zoo americano, aveva precendentemente ucciso tutti i cuccioli che aveva dato alla luce.
    Little Tyke si salvò per miracolo perchè la madre, dopo averla ferita a una zampa coi denti, la lanciò in direzione delle sbarre della gabbia, dove venne afferrata dal direttore dello zoo che osservava la scena.
    La piccola venne affidata alle cure di Georges e Margaret Westbeau, due amanti degli animali amici del direttore, che gestivano un vasto ranch pieno di ogni sorta di creature, spesso salvate da un destino infausto.



    Nonostante le ferite e l'assenza di una madre, Little Tyke crebbe sana a forza di biberon, e quando venne il momento di svezzarla, tutti si aspettavano che iniziasse a mangiare carne.
    A tre mesi, Georges e Margaret le tolsero i suoi giocattoli di gomma e le offrirono ossa di manzo da masticare. Inaspettatamente, al solo odore delle ossa, la piccola vomitò.
    Gli esperti dicevano che la leonessa non avrebbe potuto sopravvivere senza carne, così i Westbeau tentarono in ogni modo di convincerla.
    La leonessa rifiutava qualsiasi tipo di carne offerta palesemente, così provarono un cambiamento più graduale: inserirono alcune gocce di sangue nel latte del biberon, ma Little Tyke rifiutò di mangiare.
    Ridussero il numero delle gocce di sangue, fino addittura a una sola goccia, ma Little Tyke sempre rifiutò di mangiare.
    Tentarono anche piccoli trucchi come mettere un po' di latte su una mano e un po' di latte mescolato a carne sull'altra, cambiando rapidamente mano mentre Little Tyke leccava.



    Ma quando le veniva proposta la mano con la carne, Little Tyke si voltava disgustata e impaurita.
    Finché un giorno un uomo che era venuto a conoscere Little Tyke convinse i coniugi a rinunciare a ogni ulteriore tentativo dicendo:
    "Non leggete la Bibbia? Leggete Genesi 1:30 e troverete la vostra risposta".
    Georges andò a leggersi quel passo della Bibbia:
    «"E a ogni animale della terra, a ogni uccello dei cieli e a tutto ciò che si muove sulla terra e ha in sé un soffio di vita, io do ogni erba verde per nutrimento. E così fu».



    I pasti di Little Tyke consistevano di cereali misti, latte e uova, ma si rifiutava di mangiare se il pasto non le veniva servito insieme alla sua bambola di gomma preferita.
    Little Tyke si affezionò in particolare ad alcuni animali della fattoria: Pinky e Imp, due gatti, Becky, un agnello, e Baby, una cerbiatta.
    Date le sue peculiarità, Little Tyke divenne una celebrità.
    Comparve più volte in pubblico e una volta partecipò a uno spettacolo televisivo nazionale, per il quale vennero girate diverse scene in cui Little Tyke interagiva con una bambina, un gattino, e dei minuscoli pulcini, che leccò amorevolmente con la sua enorme lingua.




    Con la sua dolcezza Little Tyke rammentò a molti le profezie bibliche che prevedono che un giorno non vi saranno più ostilità sulla Terra, neanche fra gli animali.
    Molti di coloro che l'hanno conosciuta hanno dichiarato che essa stranamente non incuteva paura, ma anzi, ispirava fiducia e tenerezza.
    Little Tyke tirò fuori il meglio da molte persone e i Westbeau, ogni volta che apparivano in pubblico, ricevevano centinaia di lettere commoventi.
    Le numerose foto contenute nel libro che scrissero su di lei, mostrano Little Tyke accanto a pecore, cani, gatti, galline e cervi, in una felice convivenza.
    (improntediluce.it)



    “Per coloro che non hanno mai vissuto con un leone, dev'essere difficile concepire che queste enormi creature siano in grado di fare qualcosa di più che ruggire, ringhiare e uccidere. Ma queste creature, di cui si dice tanto male, sanno emettere un'infinità di piccoli suoni con i quali sono in grado di farsi capire da coloro che li conoscono.
    Nutro grande stima per gli animali selvatici. Essi possiedono un settimo senso che va ben oltre le capacità degli animali domestici e persino dell'uomo; e, contrariamente a quanto molti credono, non nutrono una naturale avversione per l'essere umano. Nel corso dei diversi secoli lungo i quali abbiamo dominato gli animali che oggi chiamiamo “domestici”, le inibizioni che abbiamo imposto loro hanno completamente bloccato la loro iniziativa, finchè si son trasformati in apatiche bestie da soma o in docili prigionieri dei nostri balzani capricci e desideri. Non esiste animale o uccello che non fraternizzerebbe amorevolmente con l'uomo. Voi abitanti delle città non dovete fare altro che raggiungere il lago più vicino per nutrire le anatre selvatiche o la selva più vicina per nutrire l'amabile cervo, per accertarvi direttamente di questa verità. Gli animali selvatici non sono selvaggi, sono solo spaventati dall'uomo e da ciò che l'uomo ha fatto loro”.
    da: Little Tyke, ed Impronte di Luce


     
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    Due cucciole di gorilla
    salvate dai bracconieri


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    Due baby gorilla, salvate dai bracconieri in due diverse operazioni, sono ora al sicuro nel rifugio per animali orfani del Virunga National Park, nella Repubblica Democratica del Congo (DRC), dove resteranno per una quarantena di almeno tre mesi.

    Le due cucciole, di circa nove e cinque mesi, sono gorilla di Grauer, anche noti come gorilla di pianura orientali, una specie che vive solo nella zona est del paese, dove i conflitti armati hanno reso vani i tentativi di tutela ambientale; questi primati sono considerati a rischio di estinzione dalla International Union for Conservation of Nature. Negli ultimi anni, la loro popolazione è calata drasticamente: in natura potrebbero essere rimasti meno di 4.000 individui.


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    La specie è strettamente imparentata con i celebri gorilla di montagna di Dian Fossey, che vivono anch'essi nel Virunga National Park. Entrambe le specie sono gravemente minacciate dal traffico illegale e dalla perdita di habitat.

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    "Le madri gorilla sono molto premurose nei confronti dei loro cuccioli", spiega Eddy Kambale. "Li nutrono, dormono accanto a loro, li trasportano sulla schiena o sul petto, li puliscono e li proteggono dai predatori ma anche dalla pioggia, sempre".

    I piccoli orfani trascorrono del tempo in un pezzo di foresta che fa parte del rifugio, ma perlopiù stanno in braccio alle persone che li accudiscono, come farebbero con la madre.




    Fotografia per gentile concessione di LuAnne Cadd, Virunga National Park
    national geographic
     
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    (AP Photo/Anupam Nath)

     
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    La storia di Tago



    Era il 1777.
    I Marchesi Bovi erano dei grandi proprietari terrieri che spesso si assentavano per lunghi periodi dal palazzo di città per recarsi in campagna a seguire i loro interessi.
    Avevano un cagnolino che si chiamava Tago, il quale stava sempre con loro come un compagno inseparabile e li seguiva in ogni spostamento.
    Ma quell’anno invece, non si sa per quale motivo, i Marchesi partirono lasciando Tago a Bologna, affidato alla cura della servitù.
    Il cane diventò tristissimo; non voleva più mangiare, uggiolava, trascorreva ore e ore affacciato a una piccola finestra dell’ultimo piano del palazzo, proprio al sottotetto, sperando di veder arrivare da un momento all’altro nel cortile la carrozza degli adorati padroni.
    Il tempo passava, e l’assenza dei Marchesi Bovi si prolungava.



    Finalmente un giorno ecco che Tago sente il rumore della carrozza; pazzo di felicità, abbaiando e latrando gioiosamente s’avventa contro la finestrina per guardare nel cortile; ma nell’eccessivo slancio ci passa attraverso e precipita, andando a sfracellarsi proprio ai piedi dei padroni appena arrivati.
    Quando passate per Bologna, andate in via Oberdan; al numero 24 vi è un bel palazzo, che ha il portone sempre aperto.
    Entrate in quel cortile, e alzate lo sguardo.
    Vedrete, sul davanzale di una finestrina dell’ultimo piano, proprio sottotetto, una statua opera dello scultore Luigi Acquisti (Forlì 1745-Bologna 1823) che ritrae Tago seduto su un cuscino: guarda ancora in cortile, attendendo triste l’arrivo dei suoi adorati padroni.
    (adottauncanenotizie)

     
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