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    GRAN CANYON, Stati Uniti




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    Cascate del Niagara
    Da Wikipedia




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    Le cascate del Niagara (in inglese Niagara Falls in Francese Chutes Du Niagara), situate nel nord-est dell'America, a cavallo tra USA e Canada, sono per la loro vastità tra i più famosi salti d'acqua del mondo. Non si tratta di cascate particolarmente alte (solo 52 m di salto) e la loro fama è certamente legata alla spettacolarità dello scenario, dovuto al loro vasto fronte d'acqua e all'imponente portata, indicata erroneamente da alcuni in 200.000 m3 al minuto - il dato riguarda infatti l'intero fiume Niagara e non il salto d'acqua, in quanto parte del flusso viene intercettato dalla centrale elettrica -, ma più realisticamente stimabile in oltre 168.000 m3 al minuto nel regime di piena e circa 110.000 m3 come media. Rappresentano ciononostante la più grande cascata dell'America settentrionale e, probabilmente, la più conosciuta in tutto il mondo.





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    Le cascate del Niagara viste dal lato canadese.


    Dal punto di vista geografico si trovano all'interno della regione denominata Niagara Peninsula poco distanti dalla città canadese di St. Catharines e sono a circa mezz'ora di macchina dalla città statunitense di Buffalo e a circa un'ora e mezza da Toronto.




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    La cascata a ferro di cavallo vista dalla Skylon Tower.




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    La cascata americana (a sinistra) e la più piccola cascata velo nuziale (a destra).




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    La cascata americana vista dal lato statunitense.


    Le tre cascate

    Si tratta precisamente di un complesso di tre cascate distinte anche se originate dal medesimo fiume, il Niagara. Iniziano dal versante canadese con le horseshoe falls (ferro di cavallo, per la forma semicircolare), dette talvolta anche canadian fall, separate dalle american falls, sul lato statunitense, dalla Goat Island (Isola delle Capre), e finiscono sempre nel suolo statunitense con le più piccole Bridal Veil Falls (cascate a velo nuziale). Le cascate si trovano a cavallo tra il Canada e gli Stati Uniti D'America e, precisamente ubicate tra i laghi Ontario e Erie, due dei più importanti tra il sistema idrografico Statunitense.



    Famose nel mondo

    Le cascate del Niagara sono famose per la loro bellezza, oltre che per la produzione di energia elettrica. Grande notorietà fu data a questo luogo dal film "Niagara" girato nel 1953 dal regista Henry Hathaway e con Marilyn Monroe come protagonista: molti degli edifici e luoghi che fecero da scenografia al film sono stati conservati così com'erano per la gioia dei turisti e degli appassionati. Da sempre è meta tradizionale di viaggio di nozze per molti nord americani e da diversi anni anche per gente da oltreoceano. Sito turistico fra i più famosi al mondo da oltre un secolo, divide questa meraviglia della natura fra le città gemelle ed omonime di Niagara Falls nell'Ontario e Niagara Falls nello Stato di New York.



    Formazione delle cascate





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    Il parco canadese lungo le cascate del Niagara.

    Le radici storiche delle cascate del Niagara risiedono nella glaciazione del Wisconsin terminata circa 10.000 anni fa. I Grandi Laghi dell'America del nord ed il fiume Niagara sono l'effetto dello scioglimento di questa enorme massa di ghiaccio. Il ghiacciaio si è mosso in quest'area come un gigantesco bulldozer spostando rocce e terra e trasformando dei fiumi in laghi, creando sbarramenti con i suoi detriti, che a loro volta creavano nuovi canali che poi diventavano dei fiumi.

    Dopo che il ghiaccio si fu sciolto, dal Lago Superiore si formò l'attuale fiume Niagara. Nel tempo il fiume si creò un nuovo alveo passando per il Lago Erie ed il Lago Ontario. Durante questo stravolgimento dell'orografia della zona vennero in superficie delle vecchie rocce marine molto più antiche rispetto alla recente glaciazione. Le tre maggiori tra queste formazioni sono visibili nell'alveo scavato dal fiume Niagara. Quando il fiume incontrò queste rocce più dure, la sua forza di erosione divenne più lenta. Dall'alto si possono notare le rapide che precedono la cascata ed il bordo della cascata stessa. Esso è composto da rocce dense e durissime di tipo dolomitico. Al livello inferiore delle cascate si trovava invece una roccia molto tenera e friabile che si erodeva molto più velocemente; questa differenza ha creato, nei millenni, il salto delle cascate.




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    Acque turbolente in direzione della Cascata Americana.

    Le cascate originariamente erano situate nei pressi di Lewiston (New York) e Queenston (Ontario), ma l'erosione delle acque le ha fatte arretrare fino al sito attuale. Questo ha fatto sì che le cascate si separassero in cascate americane (American Falls) e velo nuziale (Bridal Veil Falls) dalla parte statunitense e ferro di cavallo (Horseshoe Falls) dal lato canadese. Nonostante l'erosione sia rallentata nell'ultimo secolo, a seguito di lavori di ingegneria idraulica, le cascate regrediranno abbastanza da raggiungere il lago Erie il cui bacino è più alto del letto del fiume Niagara: gli ingegneri idraulici sono al lavoro per ridurre la velocità di erosione il più possibile allo scopo di ritardare al massimo questo evento.

    Le cascate hanno un salto di circa 58 m, anche se quelle americane cadono su delle rocce situate ad appena 21 m dal bordo della cascata. Ciò a causa di un massiccio movimento franoso occorso nel 1954. La grande cascata canadese è larga circa 800 m mentre la cascata americana ha un fronte di 323 m.

    Durante i mesi estivi, quando si ha il massimo utilizzo del fiume per la produzione di energia elettrica, soltanto circa 2.800 m3 al secondo precipitano dalle cascate, di cui il 90% attraverso la cascata a ferro di cavallo. Di notte il volume delle cascate diminuisce ulteriormente a causa di un maggior utilizzo delle acque a fini idroelettrici.



    Notizie storiche




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    Le cascate del Niagara viste dal Clifton Hotel nel 1912.

    Il nome Niagara ha origine dal termine in lingua irochese (pellerossa d'America), Onguiaahra, che significa acque tuonanti. Gli antichi abitanti della regione erano gli Ongiara, una tribù irochese chiamata Neutrale da un gruppo di coloni francesi che beneficiarono della loro mediazione per risolvere alcune dispute con altre tribù locali.

    Una leggenda della zona narra di Lelawala, una bella ragazza obbligata dal padre a fidanzarsi con un ragazzo che ella disprezzava. Piuttosto che sposarsi, Lelawala scelse di sacrificare sè stessa al suo vero amore He-No, il Dio Tuono, che dimorava in una caverna dietro la Cascata a Ferro di cavallo. Ella pagaiò sulla sua canoa nelle veloci correnti del fiume Niagara e precipitò dal bordo della cascata. He-No la raccolse mentre precipitava ed i loro spiriti, secondo la leggenda, vivono uniti per l'eternità, nel santuario del Dio Tuono sotto le cascate. La ragazza diventò la dama della nebbia per via del vapore acqueo della cascata.



    Esistono delle versioni differenti circa la data in cui gli europei scoprirono le cascate. La zona venne visitata da Samuel Champlain all'inizio del 1604. Alcuni suoi amici gli avevano raccontato delle spettacolari cascate ed egli le descrisse sulla sua rivista, senza però mai visitarle. Qualche credito ha la versione secondo la quale il naturalista finnico-svedese Pehr Kalm, a seguito di una visita alle cascate, realizzò un disegno delle stesse agli inizi del XVIII secolo.

    Molti storici sono comunque d'accordo sul fatto che padre Louis Hennepin osservò e descrisse le cascate nel 1677 dopo un viaggio nella regione con l'esploratore René Robert Cavelier, signore di la Salle, portando la notizia all'attenzione di tutto il mondo. Lo stesso Hennepin fu il primo a descrivere le cascate di S. Antonio in Minnesota, e da lui prese nome una contea nello stesso stato. Nel corso del XIX secolo, con l'affermarsi del turismo, l'area divenne un'attrazione e fu visitata anche da Gerolamo, fratello di Napoleone Bonaparte, e dalla moglie all'inizio del XIX secolo. Nel 1848 iniziò la costruzione di un ponte sul fiume Niagara per unire la sponda americana del fiume a quella canadese. Dopo la fine della guerra civile americana una ferrovia di New York pubblicizzò le cascate del Niagara come luogo ideale per il viaggio di nozze. Con l'incremento del traffico stradale, nel 1886, venne sostituito il vecchio ponte in pietra e legno con uno in ferro ancora in uso, completato nel 1897; conosciuto come il ponte Whirlpool consente il passaggio di veicoli, treni e pedoni, dal Canada agli Stati Uniti, e si trova a valle delle cascate.




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    Il ponte dell'Arcobaleno (Rainbow Bridge in lingua inglese) visto dalla Skylon Tower.

    Nel 1941 venne poi costruito il ponte dell'arcobaleno, nelle immediate vicinanze della cascata, adibito al passaggio di veicoli e pedoni; da esso si ha una spettacolare visione delle cascate nella loro interezza.

    Dopo la prima guerra mondiale, si ebbe un notevole sviluppo del turismo a seguito dell'incremento del traffico automobilistico che rendeva più facile raggiungere le cascate. La storia delle cascate del Niagara, nel XX secolo, è imperniata sullo sfruttamento del fiume per la produzione di energia elettrica e la necessità di rendere compatibile il mantenimento delle bellezze naturali con lo sviluppo industriale dell'area, sia dalla parte canadese che da quella americana.



    L'impatto dell'industria e del commercio


    L'enorme massa d'acqua delle cascate fu a lungo riconosciuta come potenziale fonte di energia. I primi sforzi tendenti allo sfruttamento della potenza del fiume risalgono al 1759, quando venne creato un piccolo canale per alimentare un mulino ad acqua.

    Nel 1853 venne autorizzata la costruzione di una centrale idroelettrica per la produzione di energia. Nel 1881 essa produceva tanta corrente elettrica da poter soddisfare il fabbisogno dell'illuminazione notturna delle cascate e quella di villaggio adiacente alle cascate stesse.

    Quando Nikola Tesla scoprì la corrente alternata trifase divenne possibile il trasferimento della corrente elettrica a grande distanza. Nel 1883 fu dato incarico a George Westinghouse di progettare un sistema per la generazione di corrente alternata.





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    Statua di Nikola Tesla nel parco delle cascate del Niagara.

    Nel 1896 furono costruite delle gigantesche condotte sotterranee che adducevano a delle enormi turbine una quantità d'acqua sufficiente a produrre una potenza di 75 MW. L'energia prodotta era poi destinata all'illuminazione della città di Buffalo, nel nord dello Stato di New York, distante circa 32 km.

    Compagnie private sul lato canadese iniziarono, a loro volta, a produrre energia elettrica. Il Governo della Provincia dell'Ontario pose il sistema di trasporto dell'energia sotto il controllo statale nel 1906, allo scopo di rifornire varie località della contea. Al giorno d'oggi, una quantità che varia fra il 50% ed il 75% delle acque del Niagara viene deviata per la produzione di energia elettrica, sia in territorio americano che canadese, e viene poi reimmessa nel fiume a valle delle cascate.

    Le navi possono evitare le cascate passando per il canale Welland, ristrutturato e inserito nella rete navigabile del fiume San Lorenzo nel 1960. Mentre la via d'acqua spostava traffico verso Buffalo ed i suoi dismessi mulini di grano, altre industrie presero a svilupparsi fino agli anni settanta, data la notevole quantità di energia prodotta dalle centrali idroelettriche; da allora però l'economia della regione è andata declinando.



    Sforzi per la conservazione




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    Le cascate americane in inverno.


    Per due secoli, dopo la scoperta delle cascate da parte degli europei, i terreni sulle due sponde del fiume Niagara rimasero di proprietà privata, fatto che obbligava i turisti a pagare una somma di denaro ai proprietari dei terreni, per vedere questo grande spettacolo della natura attraverso dei fori nella palizzata di legno costruita per impedirne la libera visione.

    Si formò pertanto un movimento promosso da intellettuali e naturalisti, che chiese di rendere libera la fruizione delle cascate: una serie di articoli sui quotidiani di Boston e New York contribuì alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica sull'argomento. Nel 1885, lo Stato di New York comprò le terre sulla sponda americana e diede vita al Parco statale delle cascate del Niagara; nello stesso anno lo stato canadese dell'Ontario costituiva il Parco Regina Vittoria delle cascate del Niagara.




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    La cascata americana in secca durante i lavori del 1969.

    Fino all'era moderna l'erosione delle acque consumava le cascate tra i 60 cm e i 3 m all'anno. Questo fenomeno è stato rallentato mediante la deviazione di notevoli masse d'acqua per la produzione di energia elettrica. Nel 1929 venne stipulato un accordo fra Stati Uniti e Canada, per la promozione di un piano tendente alla preservazione delle cascate; un successivo trattato del 1950 portò alla regolamentazione della massa d'acqua da inviare alle cascate riducendone di molto il volume e quindi la conseguente erosione.

    In aggiunta alle azioni sopra citate, altri provvedimenti sono stati presi per ridurre l'erosione. Sono stati realizzati degli sbarramenti alla base della cascata allo scopo di ridurre le correnti subacquee di ritorno e sono stati eseguiti dei consolidamenti del bordo roccioso.

    Il più mastodontico di questi lavori venne realizzato nel 1969. Nel giugno di quell'anno le acque del Niagara furono completamente deviate dalla Cascata Americana, mediante una diga provvisoria; per alcuni mesi la cascata rimase in secca allo scopo di consentire il consolidamento delle rocce del bordo.

    Allo stesso tempo la Cascata a ferro di cavallo ricevette l'intera portata del fiume; in questo modo fu possibile capire il perché dell'anomala erosione delle cascate americane. A seguito di ciò l'isola Luna, la roccia che separa la cascata americana da quella del velo nuziale, rimase preclusa al pubblico per diversi anni perché ritenuta instabile e passibile di collasso in qualsiasi momento.


    Le cascate nella cultura popolare


    Curiosità


    Nell'ottobre del 1829 Sam Patch, che si autodefiniva il saltatore yankee, saltò dalla Cascata del Ferro di Cavallo e fu così il primo uomo di cui si abbia notizia a sopravvivere al tuffo. Iniziò da allora una lunga tradizione di persone che tentarono di gettarsi dalle cascate sopravvivendo.

    Nel 1901 Annie Edson Taylor fu la prima persona a gettarsi dalla cascata dentro un barile di legno, rimanendo sorprendentemente illesa. Fino all'impresa della Taylor altre 14 persone avevano sfidato le cascate con vari mezzi; alcuni rimasero illesi, altri annegarono o si ferirono in modo più o meno grave. I sopravvissuti a queste imprese, comunque di natura illegale per le autorità di polizia dei due stati, venivano multati dalle autorità competenti rispetto alla riva di approdo del fiume.

    In quello che fu definito miracolo sul Niagara, Roger Woodward, un ragazzino di sei anni, sopravvisse miracolosamente al salto dalle cascate a Ferro di cavallo il 9 luglio del 1960 protetto soltanto da un salvagente, dopo esser caduto in acqua per un'avaria al motore dell'imbarcazione turistica su cui si trovava a bordo, mentre due turisti trassero in salvo sua sorella Deanne di 17 anni a soli 6 m dal bordo della cascata.

    Kirk Jones di Canton, Michigan, fu il primo, nel 2003, a tentare l'impresa senza l'ausilio di alcun mezzo di galleggiamento. Mentre non è ancora noto se Jones volesse suicidarsi, egli se la cavò, al sedicesimo di questi tentativi, con poche abrasioni e qualche costola fratturata.

    Altro rocambolesco tentativo di saltare dalle cascate senza alcuna protezione è stato compiuto il 12 marzo 2009 da un cittadino americano di trent'anni. L'uomo, all'inizio, ha addirittura rifiutato di essere soccorso, continuando a nuotare, ed allora i soccorritori si sono abbassati con un elicottero sopra di lui e, grazie alla corrente generata dalle pale del rotore, lo hanno pian piano condotto a riva, dove è stato ripescato e portato in ospedale. Se l'è cavata con una ferita alla testa ed un principio di assideramento per essere rimasto circa tre quarti d'ora in acqua.

    Nessuno, comunque, è mai sopravvissuto nel tentativo di saltare dalle cascate americane. I soli sopravvissuti hanno tentato il lancio dalle cascate a Ferro di cavallo.



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    Un arcobaleno sulla cascata a ferro di cavallo.


    Cinema e televisione

    Già da tempo attrazione turistica e località obbligatoria per gli sposi in viaggio di nozze, le cascate del Niagara diventarono set cinematografico per il film Niagara interpretato da Marilyn Monroe. Più tardi nel XX secolo sono state utilizzate come sfondo per la realizzazione di alcune scene del film Superman II nel 1980. Anche molti degli episodi di Return of the Technodrome della serie TV Tartarughe Ninja ebbero come sfondo le cascate e le sue centrali idroelettriche.


    Nel 1990 l'illusionista David Copperfield realizzò un trucco nel quale sembrava camminare sulla Cascata a Ferro di cavallo; probabilmente non lo fece realmente ma ciò è difficile da dimostrare.



    Letteratura

    Le cascate del Niagara ispirarono al grande filosofo americano Ralph Waldo Emerson una riflessione sull'inaccessibilità della mente e del suo flusso, che, come quelle cascate, non può essere risalito. Questo, a sua volta, ispirò l'idea del flusso di coscienza di William James.



    Altro

    Nel 2005 il golfista professionista americano John Daly tentò di lanciare la pallina attraverso la Cascata Americana, circa 362 m, non riuscendovi per pochi metri nel corso dei 20 tentativi.



    Vedere le cascate



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    Le cascate di notte viste dalla Skylon tower.

    Il maggior numero di visitatori si riscontra durante l'estate, quando le cascate del Niagara si trasformano in uno spettacolo da godere sia di giorno che di notte. Un'incredibile batteria di lampade, poste sul suolo canadese, illumina tutte le cascate, su entrambi i versanti, dall'imbrunire a mezzanotte.

    Dal lato americano l'omonima cascata può essere ammirata dal lungofiume all'interno del Parco. Altro punto di osservazione privilegiato è la torre di osservazione anch'essa costruita sulle rive del fiume. Vicino alla Grotta dei Venti, un sentiero conduce, dopo la discesa di 300 scalini, alla base della cascata del velo nuziale.




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    Vista delle cascate dal basso.



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    Le cascate del Niagara e il Maid of the Mist.

    Nel lato canadese, lungo il Parco della Regina Vittoria, ornato da giardini fioriti, una piattaforma di osservazione offre la visione di entrambe le cascate. Il punto di osservazione della Skylon Tower offre una panoramica dall'alto sulle intere cascate e dalla parte opposta quella della città di Toronto; assieme alla Minolta Tower, è una delle due torri, in territorio canadese, che consente la miglior visione dell'intera cascata.

    Il battello Maid of the Mist, che prende il nome da una figura mitologica degli indiani Ongiara, trasporta passeggeri, nel bacino alla base delle cascate, sin dal lontano 1846. Lo Spanish Aerocar, progettato dall'ingegnere spagnolo Leonardo Torres y Quevedo e costruito nel 1916, è un tram aereo che porta i passeggeri sul bacino nel lato canadese. Il viaggio sotto le cascate, accessibile a mezzo di un ascensore dal livello stradale, è una piattaforma ed una serie di tunnel vicini alla base della Cascata a Ferro di cavallo sul lato canadese.

    Con il recente maggiore afflusso di turisti provenienti dall'estero, l'affluenza è stata superiore ai 14 milioni di visitatori nel 2003.



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  3. tomiva57
     
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    Lago Huron tra Canada e Usa: Turnip Rock


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    Tra Canada e Stati Uniti si estende il limpido specchio del Lago Huron, uno dei Grandi Laghi dell’America Settentrionale. Ed ecco lo spettacolo di Turnip Rock, un isolotto roccioso che affiora dalle acque.
    Natura a Turnip Rock
    In canoa nel Lago Huron
    Orizzonti sterminati tra Canada e Stati Uniti
    Vacanze nella natura
    Turnip Rock: Eden tra Usa e Canada


    Turnip Rock si erge come un esile ed energico dito puntato verso il cielo, affiorando dalla sabbia chiara del Lago Huron.
    Pensate che la terra attorno a Turnip Rock è di proprietà privata, quindi l’unico modo per visitare questo angolo delizioso è arrivarvi in barca.

    Il Lago Huron è uno dei Grandi Laghi dell’America Settentrionale e si trova al confine tra Stati Uniti e Canada. Tocca a nord, est e sud l’Ontario, mentre il Michigan occheggia ad ovest.

    Qui la natura è florida e l’occasione perfetta per trascorrere una vacanza all’insegna dello sport, tra barca e leggere canoe, nella scoperta di un angolo incontaminato.

    Il Lago Huron sarà un piacevole diversivo nel vostro viaggio alla scoperta degli immensi territori tra Canada e Usa e Turnip Rock una buffa sorpresa visiva in un paesaggio estremamente rilassante.

    E se non siete diretti verso gli States, concedetevi due minuti di distrazione per sognare attraverso le splendide immagini.



    da:google.it

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    M I A M I



    L'origine della parola Miami è incerta. Una delle possibili radici potrebbe essere un'espressione dei nativi americani per indicare l'acqua dolce. La zona è, infatti, ricca d'acqua. Un'altra teoria è che il nome provenga dal lago Mayaimi (ora denominato Lago Okeechobee, che significa l'acqua grande), chiamato così per la tribù Mayaimi, che un tempo abitava sulle sue rive.
    Miami gode di un clima tropicale con estate particolarmente piovosa ed esposta, tra il primo giugno e il 30 novembre, al rischio di uragani. I mesi invernali sono invece caratterizzati da una minore piovosità e da temperature medie massime intorno a 24°C e minime di 16°C. La neve, nei record ufficiali della città, non è mai comparsa ma il 19 Gennaio 1977 cadde solo a poche decine di km.

    Freedom Tower...Questa torre di 17 piani del 1925 è considerata la versione della Statua della Libertà di Miami per il suo ruolo che ha giocato dagli inizi degli anni '60 agli anni '70 come centro di raccolta federale per più di 400 mila rifugiati cubani. Dopo molti anni di abbandono è stata riaperta a maggio del 2002 come museo con una vasta raccolta di testimonianze dell’esilio cubano a Miami. La sua ristrutturazione è costata dai 30 ai 40 milioni di dollari.
    Progettata dai famosi architetti Newyorchesi Schultze and Weaver, i suoi motivi architettonici sono un’ispirazione della Torre Giralda in Seville, Spagna. Nel 1925 fu la sede del primo quotidiano di Miami “Miami News” con il nome di “Miami News Tower” il quale opero’ fino al 1957. Agli stessi architetti vengono accreditati la progettazione del Waldorf Astoria in NY, il Biltimore Hotel in Coral Gables e il Brakers Hotel in Palm Beach. Prima che sorgevano i grattacieli piu’ alti, la torre era di notte un punto di riferimento per le imbarcazioni, grazie al suo campanile illuminato il quale era visibile fino a 80 km dalla costa.


    ...la storia.....



    I nativi americani occuparono la regione di Miami circa 10.000 anni fa e negli anni della colonizzazione europea, con la tribù Tequesta, controllarono la parte più meridionale della Florida. Ponce de León fu tentato inizialmente di occupare la zona intorno al 1500, ma i suoi uomini non poterono difendere il territorio contro i bellicosi nativi, di conseguenza si spostarono a nord in una zona più scarsamente popolata. Per la maggior parte del primo periodo coloniale, la zona di Miami fu visitata soltanto occasionalmente dagli Europei...Nel 1566 Pedro Menendez de Avilés ed i suoi uomini riuscirono a stabilire un insediamento nel territorio dei Tequesta e l'anno successivo costruirono una missione alla foce del fiume Miami. Nel 1743 gli spagnoli costruirono un forte e molti coloni edificarono le loro case e fattorie lungo il corso del Miami e sulla Biscayne Bay.
    Durante gli anni successivi molti avventurieri dalle Bahamas furono attirati nella Florida del sud dalla caccia ai tesori delle navi che affondavano lungo la barriera corallina delle Isole Keys e della costa. Contemporaneamente dal nord arrivarono gli indiani Seminole.
    Nel 1830, Richard Fitzpatrick acquistò la terra sul fiume Miami ed impiantò con successo una piantagione in cui coltivò canna da zucchero, banani, mais e vari tipi di frutta tropicale. Fort Dallas fu costruito nella piantagione di Fitzpatrick nella parte nord del fiume. Miami si trasformò in una zona di guerra durante la Seconda Guerra Seminole e molti dei residenti non indiani erano i soldati di stanza a Fort Dallas. Fu la guerra indiana più devastante nella storia americana e causò la perdita quasi totale della popolazione. Dopo che nel 1842 la Seconda Guerra Seminole si concluse, il nipote di Fitzpatrick, William English, ristabilì la piantagione a Miami, pianificò di costruire il villaggio di Miami sulla riva sud del fiume e riuscì a vendere molti lotti di terreno. La Terza Guerra Seminole (1855-1858) non fu distruttiva quanto la seconda, nondimeno rallentò lo sviluppo della Florida sudorientale. Alla conclusione della guerra, alcuni dei soldati si stabilirono a Miami, mentre i Seminole rimasero nelle Everglades. Nel 1890, soltanto una manciata di famiglie aveva fatto di Miami la propria casa.

    I primi anni del XX secolo vedono ancora Miami intenta a sfruttare una congiuntura economica estremamente favorevole, che raggiunse l'apice durante la prima Guerra Mondiale, allorché l'esercito statunitense vi impiantò un campo di addestramento dell'aviazione militare. Dopo la prima guerra mondiale, il primo boom della maturità economica di Miami (1923-25) fu alimentato non solo dalla presenza di spiagge idilliache e dalle condizioni climatiche perfette della zona, ma anche dal gioco d'azzardo e dall'assenza di un atteggiamento proibizionista: sebbene fossero illegali, i superalcolici continuarono infatti a scorrere a fiumi per tutto il periodo del proibizionismo.
    La crescita economica, tuttavia, fu interrotta da un devastante uragano, a cui fecero immediatamente seguito la grande recessione e la depressione che colpirono tutti gli Stati Uniti. Verso la metà degli anni '30, un mini-boom favorì la costruzione dei famosi edifici in stile art deco di Miami Beach, e questo periodo discretamente prospero continuò fino al 1942, quando un U-Boat tedesco affondò una nave cisterna americana al largo della costa della Florida. La confusione conseguente provocò una trasformazione completa della Florida meridionale, che venne convertita in una sorta di gigantesca base militare completa di campo d'addestramento e zona di raccolta.
    Al termine della seconda Guerra Mondiale, molte delle reclute che erano state addestrate a Miami vi ritornarono e si stabilirono in città, che riuscì a conservare la prosperità del periodo precedente al conflitto. Negli anni '50, Miami Beach conobbe un altro boom, divenendo famosa come la "Cuba d'America": giocatori d'azzardo e gangster vi si trasferirono in massa, attratti dalle sale da gioco della città e dalla vicinanza dei luoghi di divertimento e dal sole della Cuba di Batista. Dopo la salita al potere di Castro a Cuba, nel 1959, la popolazione cubana di Miami aumentò notevolmente.

    Nel 1965 i due "voli della libertà" che giornalmente facevano la spola tra Miami e l'Havana trasportarono oltre 100.000 profughi cubani. Crebbe la tensione tra cubani e afro-americani che già vivevano in città, relegati in un'area a nord del centro cittadino conosciuta come Colored Town. Scoppiarono sommosse e violenti scontri tra gangster. Alla fine degli anni '70, Fidel Castro aprì le frontiere, consentendo l'accesso al porto di Mariel a tutti coloro che volevano lasciare Cuba. La più grande flottiglia mai allestita per scopi non militari vide salpare praticamente qualunque cosa fosse in grado di percorrere i 145 km d'acqua che separano Cuba dalla Florida. Il Mariel Boatlift, come fu soprannominata, portò in Florida 150.000 cubani (fra cui 25.000 detenuti e malati di mente) e le conseguenti tensioni economiche, logistiche e infrastrutturali che ricaddero sulla Florida meridionale si aggiunsero alle tensioni razziali non ancora sopite. La situazione degenerò il 17 maggio 1980, quando quattro poliziotti bianchi, sotto processo con l'accusa di aver picchiato a morte un indiziato di colore in loro custodia, furono assolti da una giuria di soli bianchi. Quando fu reso pubblico il verdetto, in tutta Miami si scatenarono violenti tumulti che si protrassero per tre giorni.

    Nei ruggenti anni '80 Miami si guadagnò un posto di primo piano nelle cronache quale principale porto d'ingresso della costa orientale per il traffico di droga e per le incredibili somme di denaro che i trafficanti introducevano nel Paese. In tutta Miami sorsero attività commerciali ed edifici e il centro della città fu completamente rimodellato. Tuttavia, tale rinascita stava avvenendo mentre la città si trovava nella morsa dei trafficanti di droga: sparatorie e omicidi tra bande di spacciatori di cocaina erano all'ordine del giorno. La polizia, la guardia costiera, la DEA (Drug Enforcement Agency), le pattuglie di confine e l'FBI non sapevano come fare a tenere tutto sotto controllo. Fu allora che in televisione cominciarono a trasmettere Miami Vice...A metà degli anni '80, la serie televisiva che raccontava le avventure di due detective della narcotici che sfoggiavano costosissimi abiti firmati dalle tinte pastello e sfrecciavano a bordo di Ferrari e barche da milioni di dollari, portò Miami Beach all'attenzione internazionale. Lo stile patinato della serie, la colonna sonora e il montaggio stile video musicale mettevano in risalto la vita sfarzosa della Florida meridionale, e non passò molto tempo prima che la gente iniziasse ad affluire sul posto per verificare personalmente la veridicità del telefilm. Alla fine degli anni '80, Miami Beach era ormai diventata nell'immaginario collettivo un posto da favola. Le celebrità incominciarono a trasferirsi a Miami, i fotografi di tutto il mondo scelsero Miami per realizzare i loro servizi fotografici e il distretto Art Deco fu sottoposto a un restauro che trasformò la città in una vetrina della moda.
    (it.viaggi.yahoo.com)


    ....Julia Tuttle.....



    Julia Tuttle è considerate la mamma pioniera di Miami. Fu l'unica "busineswoman", donna d'affari, degli Stati Uniti a fondare una città.....La vedova Julia si trasferì a Miami dal Clevelander, Ohio, nel novembre del 1891 a seguito della morte di suo padre ereditando 40 acri (0.16km²) di agrumeto lungo il Fiume Miami e acquistandone altri 640 acri (2.6 km²) alla sua venuta con la visione di trasformare quelle terre paludose e infestate da zanzare, in una città.
    Per realizzare questa visione, Julia Tuttle si avvalse dell’aiuto di Henry Flagler, magnate dell'Ohio e socio di John Rockefeller dell’industria petrolifera il quale Flagler, anche lui visionario e imprenditiore, era intento a costruire la Florida East Coast Railway, una ferrovia da Sant’Agostino fino a West Palm Beach. Henry Flagler all'inizio non dimostrò interesse nel progetto in quanto a suo parere quel piccolo centro abitato chiamato all'epoca Biscayne Bay, non era altro che un villaggio di pescatori destinato a rimanere tale.
    Durante l’inverno del 1894-95 una terribile ondata di gelo avvolse gran parte della Florida settentrionale distruggendo gran parte del raccolto di agrumi e mettendo in fuga i villeggianti, lasciando però intatta la Florida meridionale. Julia Tuttle vide questa come una grande opportunità per avvicinare Flagler inviandoli un mazzo di fiori d’arancio e una lettera facendoli notare che questa parte della Florida non avevo subito danno alcuno dal gelo e che quindi offriva tutte le carte vincenti per essere sviluppata come destinazione tropicale per i villeggianti del nord. Flagler e Tuttle giunsero finalmente a un accordo. Tuttle offrì parte delle sue terre a cambio del prolungamento della ferrovia e della costruzione di un albergo, il Royal Palm Hotel che quando fu completato nel 1897 fu la prima costruzione di Miami ad essere illuminato con corrente elettrica.
    Il contratto fu firmato il 24 ottobre 1895, il quale è considerato il certificato di nascita di Miami. Il servizio di treni con i primi passeggeri per Miami ebbe inizio ufficialmente il 22 aprile 1896. Finalmente il 28 luglio 1896 quel villaggio di pescatori fu fondato nella città di Miami ed iniziò il suo sviluppo.

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  5. gheagabry
     
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    Le EVERGLADES


    Nel sud dello Stato della Florida, a circa 2 ore da Miami in automobile, accedendo attraverso la State Road 9336 (che collega Florida City a Flamingo, sulla costa), arriviamo tra la natura incontaminata e la fauna selvatica delle Everglades. Questa regione paludosa subtropicale – estesa in parte nelle Contee di Monroe, Collier, Palm Beach, Miami-Dade, Broward – è formata dall’acqua rilasciata dal Lago Okeechobee (di 1.890 km², profondo 3 metri), nel quale confluisce il Fiume Kissimmee. Le Everglades che sono, quindi, una lenta e poco profonda inondazione annuale dalle acque superficiali che scorrono in direzione sud-sudest su una zona pianeggiante, vengono chiamate ‘Mare d’erba‘, essendo interrotte soltanto da punti appena più elevati coperti da alberi, in genere cipressi.
    La metà dell’area originaria che, nel corso del tempo, non è stata assorbita dall’agricoltura, è oggi protetta da un Parco nazionale (dichiarato tale dal ‘34, ma insignito nel ’47) e da aree di conservazione delle acque, che è anche Riserva della Biosfera degli Stati Uniti dal ‘76.
    L’Everglades National Park, Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO e Palude di Interesse Nazionale dal 1987, copre 6.000 km² e preserva la porzione meridionale delle Everglades (a sud della lunghissima strada Tamiami Trail, che collega Miami a Naples sulla costa ovest della Florida). Questo territorio, impossibile da esplorare per la fitta copertura della tagliente pianta Erba-sega (saw-grass, Cladium jamaicense), fu penetrata a metà ‘800 da diverse spedizioni dell’esercito degli Stati Uniti per scacciare la tribù degli indiani Seminole, unici presenti nell’area. La bonifica della palude iniziò nel ‘900; nel ’47, il presidente Harry S. Truman emanò l’ordine esecutivo di prosciugare la zona e decise di proteggerne oltre 8.000 km² con l’Everglades National Park. Nel 2006 è stata ordinata la riduzione dei livelli di fosforo provocato dai fertilizzanti impiegati nell’agricoltura e nella coltivazione della canna da zucchero.
    Il Parco nazionale delle Everglades è circondato dalla Big Cypress National Preserve a nord, dalle aree urbane e agricole di Miami, Homestead e Florida City ad est, dagli stretti della Florida e delle Florida Keys a sud, dal Golfo del Messico ad ovest.Nel terreno molto fertile del parco, soggetto a frequenti inondazioni poi riassorbite, la vegetazione è lussureggiante per le numerose varietà di alberi (querce, limoni, aranci, alberi della gomma) e di fiori (soprattutto orchidee) indigene selvatiche. Le numerose specie di fauna comprendono cervi, pantere e uccelli (aquile dalla coda corta, nibbi, fenicotteri dei Caraibi, ibis, pellicani). I corsi d’acqua ospitano lontre di fiume nordamericane, coccodrilli, mentre i lamantini e gli alligatori del Mississippi vivono agli estuari della palude.


    Il terreno è costituito da uno strato calcareo formatosi 100000 anni orsono, quando la penisola della Florida prese a emergere dall’Oceano. Gran parte di esso è tuttora ricoperto d’acqua e costituito da paludi, fiumi, laghi, e grandi baie costellate da migliaia di isolette. La superficie del terreno è per lo più una crosta porosa, sottile e fragile, che filtra l’acqua superficiale a mano a mano che questa s’insinua fino a raggiungere la falda sotterranea dove resta immagazzinata, trasformando l’acqua salmastra in acqua dolce, sostentatrice di piante, animali e uomini. Nel parco di Everglades vi è un’ampia varietà di ecosistemi: uno di essi è un fiume paludoso largo circa 25 miglia e profondo in media 7 pollici, che, attraverso macchie di cladii, muove così lentamente verso sud da parer fermo. Fra i sistemi ambientali più importanti vi sono gli acquitrini costieri, le pinete e un labirinto di fiumiciattoli serpeggianti tra foreste di mangrovie. Monticelli, vestigia dell’antico fondale marino, alti non più di un piede, alcuni dei quali arrivano a coprire diverse centinaia di acri, gli hammock. Sostentano alti fusti quali palme reali e gombi, nonché muschi, felci, orchidee ed epifite. Gli hammock sono l’habitat dei cervidi, degli alligatori e del puma della Florida. Più di 300 specie di uccelli sostano durante le migrazioni o vivono permanentemente nel parco, cibandosi di serpenti, gamberetti, piccoli pesci e lucertole.
    L’alterazione del normale flusso d’acqua ha provocato una diversa distribuzione delle risorse alimentari che ha portato ad una diminuzione del numero dei trampolieri, in particolare degli ibis. Alla metà degli anni sessanta, durante le annate buone, il parco aveva circa 1400 coppie di ibis divisi in più colonie, ma la loro popolazione è scesa a 700 coppie nel 1982 e attualmente è ridotta a un’unica colonia di 100 coppie. L’alligatore è in realtà un fattore chiave nella conservazione di gran parte della vita selvatica, in quanto libera dalla vegetazione e pulisce il fango, creando vaste fosse che si riempiono d’acqua e diventano nella stagione asciutta delle oasi per i pesci, le testuggini ed altri animali d’acqua dolce che, a loro volta, diventano cibo per uccelli, mammiferi e gli alligatori stessi. Un tempo minacciati di estinzione in conseguenza alla caccia, gli alligatori hanno avuto un’eccezionale ripresa in tutta la Florida meridionale e costituiscono una delle principali attrazioni del parco. Il loro adoperarsi per mantenere le pozze d’acqua durante i mesi secchi dell’inverno ha dato loro il nome di “conservatori delle radure.” Nel parco vivono oltre 900 specie di piante tipiche dei tropici e delle regioni temperate e fino a 120 specie arboree. Nelle paludi erbose e nelle praterie prevale il cladio, una specie di falasco. Fra le piante più importanti prevalgono la epifite e oltre 25 specie di orchidee. Tre isolotti emergono dalle paludi e vi crescono il pino dei Caraibi, il cipresso di palude e alcuni dei più grandi alberi di mogano degli Stati Uniti. L’habitat salmastro della costa dà vita a foreste d’estuario di mangrovie rosse e nere e a vasti prati di rupie. Durante la stagione delle piogge i fiori merlettati del giglio ragno formano sprazzi di bianco sulla verde distesa della palude. Ninfee galleggianti si vedono in abbondanza nelle lagune d’acqua dolce delle zone paludose. Il fico strangolatore sorge come una pianta aerea. Mentre cresce si avvolge al tronco di un albero, poi si prolunga fino a penetrare nel terreno e prende il posto dell’albero ospite. La mangrovia rossa e la mangrovia nera si trovano nella zone del parco dove l’acqua dolce si mescola all’acqua salata. La mangrovia nera respira le peculiari protuberanze delle sue radici simili a stecchi. Fra i 400 vertebrati, le colonie nidificanti di uccelli acquatici, aironi, garzette, ibis sono le più comuni. La spatola rosa è stata salvata dall’estinzione che la metteva in pericolo 30 anni fa. Fra gli altri animali interessanti troviamo l’alligatore, che prospera in paludi primordiali dove vivono anche coccodrilli e lamantini, animali a rischio di estinzione. Le praterie di cladii e le foreste di pini sono territorio dei 30 puma della Florida, una delle specie di mammiferi nord-americani in via di estinzione. I serpenti sono forse gli abitanti più incompresi del parco di Everglades. Benché vi siano anche serpenti velenosi, quello d’acqua variegato, il serpente acquatico bruno, quello a nastro, si possono vedere frequentemente lungo i viali, ma sono completamente inoffensivi. Altri uccelli sono il trampoliere e l’uccello serpente o acciuga, che nuota sott’acqua e infilza i pesci col suo lungo becco acuminato. Il lamantino, detto anche vacca marina, è un grazioso mammifero, strettamente vegetariano, che nuota lentamente sott’acqua. Questo straordinario ambiente è seriamente minacciato da due fattori: uno è rappresentato dalle coltivazioni dei territori confinanti che gli sottraggono l'acqua, suo indispensabile elemento vitale; l’altro è costituito dai violentissimi uragani che qui si scatenano durante la caldissima estate, facendo volare migliaia di alberi che poi solo a stento e dopo molti anni riusciranno a ricrescere. Per esempio, ancora oggi sono visibili i danni provocati da un uragano che si abbatté sulla zona ben dieci anni fa.

    ....la storia....


    Quando nel 1947, fu costituito il Parco Nazionale di Everglades, molti americani restarono sorpresi. Questa regione non ha cime maestose, alberi giganti, eruzioni di geyser, quelle caratteristiche, insomma, che ci si aspetta da un parco nazionale. La zona sembrava essere soltanto una palude infestata da zanzare, alta, al massimo, 5 m. sopra il livello del mare. Ma successivamente ci si è resi conto che il parco nazionale di Everglades era uno dei grandi tesori del nostro pianeta, luogo unico, da conservare per le generazioni future. Vi sono in esso gli ultimi spazi vergini subtropicali degli Stati Uniti ed è il solo parco che goda della triplice denominazione di World Heritage Site, International Biosphere Reserve e Wetland of Internacional Importance. Ha il compito di proteggere 13 specie fra quelle in pericolo o in via di estinzione, fra cui il puma della Florida, la tartaruga verde e quella embricata, l’aquila dalla testa bianca e il coccodrillo americano. Lo spagnolo Ponce de Leon esplorò la regione nel 1513 e vi trovò delle tribù indiane che vivevano in isolamento, circondate da terreni paludosi. I loro discendenti, i Seminole, vivono ancora nella regione ed hanno il diritto di caccia nella riserva di Big Cypress. A sud del Parco c’è Fort Jefferson, parco nazionale dal 1846, che un tempo fu usato come prigione per gli assassini del presidente Lincoln. Le prime misure per proteggere l’area sono state prese all’inizio del secolo, quando la National Association of Audubon Societies tentò di porre fine alle stragi di uccelli compiute per adornare di piume preziose i cappellini delle signore. Dopo anni di insistenze da parte di gruppi di cittadini, il congresso nel 1934 varò una legge che costituiva l’Everglades National Park, anche se l’acquisto dei terreni inizio solo tredici anni dopo, quando lo stato della Florida trasferì i 4000 acri del Royal Palm State Park e il governo federale iniziò ad acquistare i territori necessari a formare il parco.
    (dal web)


    Le Everglades della Florida sono uno degli ecosistemi più affascinanti dell'intero pianeta, e probabilmente tra i meno considerati dai non americani. Si tratta essenzialmente di un'enorme ragione paludosa che viene a formarsi dall'acqua del Lago Okeechobee, un lago profondo solo 3 metri, ma esteso per quasi 1900 chilometri quadrati.
    Ogni anno, durante la stagione umida, le acque del lago inondano lentamente la regione delle Everglades, creando una vasta palude che può raggiungere la larghezza di 65 km e una lunghezza di oltre 150. Le Everglades, una volta sommerse, sono costellate da migliaia di isolette, alcune davvero minuscole, altre invece in grado di ospitare un minuscolo insediamento umano. Sono chiamate "isole di alberi", e si ergono di neanche un metro sopra al livello dell'acqua, completamente ricoperte da vegetazione. Queste isole sono diventate un vero paradiso per la vita: alberi di diverse specie, alligatori, uccelli e altra flora e fauna trovano ospitalità su questi piccoli pezzi di terra all'asciutto dalle acque stagnanti della palude. La teoria comunemente accettata sull'origine delle isole di alberi dice che si siano formate da protuberanze dello strato di roccia che si trova sotto la palude. Ma alcune di esse, se non addirittura la maggior parte delle isole più grosse, potrebbero essersi formate da cumuli di "spazzatura" umana lasciata dagli antichi abitanti della Florida circa 5.000 anni fa. Questi mucchi di spazzatura sono un mix di ossa, carbone, scarti di cibo e manufatti in argilla e conchiglie, e potrebbero aver fornito un supporto asciutto per la vegetazione, che nel corso dei millenni ha avuto modo di conquistare queste isole semi-artificiali. Le ossa avrebbero inoltre fornito il fosforo, elemento estremamente scarso nelle Everglades ma necessario alla crescita di molte piante. "Questo dimostra che l'attività di disturbo dell'ambiente operata dall'essere umano non ha sempre conseguenze negative" dice Gail Chmura, paleoecologo della McGill University. "Centinaia di migliaia di anni fa, alcune delle cose che gli esseri umani realizzarono sono diventate ecosistemi di valore". In un precedente studio sulle isole di alberi, l'archeologa Margo Schwadron scavò fino al substrato carbonatico di due isole, scoprendo terra e un cumulo di rifiuti di origine umana. Le analisi chimiche suggerirono la presenza di altri substrati composti da carbonati provenienti dallo strato di roccia sottostante, e da fosfati, provenienti dal dissolvimento delle ossa. Gli insediamenti che hanno generato questi mucchi di rifiuti sono ormai scomparsi da molto tempo. Una delle ipotesi è che le malattie portate in America dagli europei possano aver contribuito in maniera significativa allo sterminio delle popolazioni locali. Il meccanismo secondo cui le piante siano riuscite a "spostarsi" su queste isole non è ancora stato chiarito. Chmura indagherà sulle relazioni ecologiche tra la vegetazione e le isole di alberi, isole che sembrano costituire un ecosistema perfetto per alcune specie animali e vegetali anche grazie ai residui dell'attività umana prodotti dagli antichi abitanti della Florida.
    (ditadifulmine.com)


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  6. gheagabry
     
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    "..come i colori dell’autunno…
    si colorano i miei sogni…
    l’autunno della mia esistenza…
    il tramonto di un’illusione…
    nel sospiro di un’attimo..
    l’addormentarsi di un giorno…come tanti
    e.. la fatica…la noia del vivere…
    ma…i miei occhi guardano lontano, là, in alto..
    nel cielo e oltre…"
    (dal web)


    VERMONT


    Il Vermont è un piccolo stato situato nel nord-est degli Stati Uniti, proprio a confine con il Canada (stato del Quebec). Il nome è di origine francese e significa "monte verde", lo stato del Vermont vanta infatti paesaggi stupendi che raggiungono il top della bellezza durante la stagione autunnale quando tutto si tinge dei colori tipici della stagione, con tonalità però molto più accese rispetto alle nostre zone. Non è possibile scrivere precise guide turistiche su questo stato, non ci sono attrazioni particolari ma sarà tutto a colpirvi: la natura più incontaminata e tante piccole cittadine ancora fortemente legate alle vecchie tradizioni dei tempi della colonizzazione.
    L’anima indipendentista di questo stato è intensa e profonda come una vena del pregiato marmo locale, ed è indubbiamente una delle caratteristiche per il quale il Vermont è ancora uno stato prevalentemente rurale, molto legato alle proprie tradizioni. La campagna presenta un interminabile susseguirsi di morbide distese verdi, tanto che ben l’80% della superficie complessiva dello stato è ammantata da boschi e foreste, e quel che resta è occupato da alcune delle più belle fattorie che vi sarà mai capitato di vedere. Se a tutto questo si aggiungono alcuni villaggi molto pittoreschi, decine di ponti coperti ed il calore tipico della gente del Vermont, ce n’è abbastanza per innamorarsene.
    La capitale è Montpelier, la più piccola e la meno è popolosa degli USA essendo abitata da appena 8.000 persone. La cittadina è però indiscutibilmente gradevole, ricca di edifici di notevole interesse storico e circondata da moltissime colline verdeggianti. Il tempo sembra essersi fermato, risparmiando Montpellier dall’ondata di consumismo sfrenato che ha colpito gli Stati Uniti negli ultimi anni, tanto che quella del Vermont è l’unica capitale finora sopravvissuta al diffondersi dei Mc Donald’s, vero e proprio simbolo della globalizzazione.
    La città più popolosa è invece Burlington, un esuberante insediamento di 38.500 abitanti situato nella parte centro-occidentale dello stato. L’università è uno dei più grandi vanti della cittadina, fiancheggiata dal bellissimo Lake Champlain.
    Altre cittadine interessanti, generalmente contraddistinte dai medesimi tratti delle due sopracitate, sono: Brattleboro, una cittadina del Vermont meridionale dimora del movimento della controcultura, molto in voga negli anni ’60, oltre che sede di moltissimi negozi di antiquariato; Bennington, appena 15.000 abitanti, circondata da una meravigliosa area collinare nota come Old Bennington dove sono sorte antiche dimore coloniali e tre spettacolari ponti coperti, tutti dominati dall’imponente obelisco in granito che commemora la battaglia di Bennington; Wilmington, la porta d’accesso al Mount Snow, una nota stazione sciistica adatta al turismo familiare, ma molto frequentata anche in estate da amanti del golf e della mountain bike; Manchester, adagiata all’ombra del Mount Equinox, caratterizzata da un attraente paesaggio montagnoso e da un clima particolarmente gradevole, caratteristiche che l’hanno resa un’apprezzata meta di villeggiatura estiva; Woodstock, contraddistinta da un’anima storica suggestiva nella quale spiccano strade belle e curate fiancheggiate da dimore in stile federale e georgiano, oltre che un ponte coperto sul fiume che scorre proprio nel centro della città; e Killington, la più rinomata località sciistica del Vermont, dotata di oltre duecento piste distribuite sulle pendici di sette montagne con un dislivello di novecento metri e ben trentatre impianti di risalita.

    ...la storia....


    Secondo i reperti archeologici rinvenuti nella valle del fiume Otter, la regione che oggi occupa lo stato del Vermont era abitata da almeno 12000 anni. Tribù del gruppo algonquino, (Abenaki, Mahican e Penacook), native di questa zona, furono scacciate dagli Irochesi verso il secolo XIII, che abitarono nel territorio fino all'arrivo degli europei nel secolo XVII.
    I primi europei che esplorarono questa regione furono i francesi. Nel 1609, Samuel di Champlain percorse il nord-ovest del Vermont e reclamò questo territorio in nome del re della Francia. I francesi fondarono alcuni insediamenti vicino al lago Champlain, ma nessuno ebbe carattere permanente fin quasi la fine de secolo XVIII. Anche se marginale, come via di transito commerciale tra Montreal e la colonia del Massachusetts, il Vermont fu esplorato e percorso da inglesi, francesi ed olandesi. Nel 1724, coloni inglesi del Massachusetts costruirono Fort Drummer, vicino a Brattleboro, con l'intenzione di proteggersi dall'attacco degli indiani, alleati dei francesi in questa zona. Le dispute per il controllo delle colonie in America tra inglesi e francesi sfociarono nella Guerra dei 7 anni (1756-1763) la cui conclusione ha avuto conseguenze gravi per la Francia, che perse con il Trattato di Parigi (1763), il controllo del Vermont (ceduto alla Gran Bretagna) e della Louisiana, che passò nelle mani della Spagna. Dopo il Trattato di Parigi, il Vermont rimase incorporato nella colonia di New York, benché precedentemente la colonia del New Hampshire avesse reclamato il territorio come proprio ed aveva ottenuto concessioni di terre per i suoi coloni. Il conflitto esplose quando ai coloni del New Hampshire furono obbligati nel 1770 a pagare a New York per le terre che avevano occupato dal 1764. La rivolta fu guidata da Ethan Allen.
    Nel 1791, il Vermont fu ammesso nell'Unione, il primo a farlo fuori dalle tredici colonie originali. Per poter compiere questo passo, il Vermont chiese che New York rinunciasse all'antica pretesa sul territorio. Il Vermont partecipò attivamente alla Guerra del 1812 contro la Gran Bretagna, malgrado l'embargo dettato da Jefferson contro le merci britanniche pregiudicasse l'economia di questo stato, fortemente dipendente dalle relazioni commerciali col Canada, in mano ai britannici. Una volta consolidata l'indipendenza degli Stati Uniti, lo stato del Vermont continuò lentamente con la colonizzazione di queste terre, e allo stesso tempo miglioravano le comunicazioni, attraverso la costruzione di un canale tra il lago Champlain ed il fiume Hudson, che permise lo sfruttamento delle risorse del Vermont per la città di New York ed ad altre città della costa. L'economia del Vermont durante questi anni era legata all'industria della lana, grazie all'allevamento di pecore di razza merina, ma con l'avanzare del secolo, l'importazione di questa materia a prezzi più bassi ha causato il graduale il declino di questo settore tradizionale. Quindi, gli agricoltori del Vermont cominciarono a specializzarsi in prodotti agricoli, principalmente latticini.
    Durante la Guerra Civile (1860-1865), i soldati del Vermont lottarono nell'Unione, ma non si ebbe nessuna battaglia sul suo territorio. L'unica azione legata alla guerra fu il furto di una banca in St. Albans, nel 1864, ad opera dei soldati confederati che riuscirono a fuggire in Canada. Dopo la guerra, l'economia del Vermont continuò la trasformazione, e si diede maggiore enfasi allo sfruttamento delle risorse forestali. Per esempio, la città di Burlington si specializzò nella lavorazione del legno importato in parte dal Canada, che dalle sue fabbriche veniva trasferito attraverso il canale di Champlain-Hudson a New York ed in altre città dove la domanda per via delle costruzioni sembrava illimitata. Accanto al legno, che era legato all'edilizia , il Vermont cominciò a sfruttare le sue miniere di marmo e granito. L'industria tradizionale del Vermont, il tessile, ha avuto sempre meno importanza nella produzione statale, poiché dopo la Guerra Mondiale venne avviato un processo di riconversione industriale, che riuscì ad attrarre piccole industrie, mentre si scommetteva sul turismo come pilastro fondamentale per l'economia di questo piccolo stato.

     
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  7. gheagabry
     
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    LOS ANGELES


    Los Angeles, deve il suo attuale nome dal nome originario: Ciudad de la Iglesia de Nuestra Senora de Los Angeles sobra la Porziuncola de Asis, ovvero Città della Chiesa della Nostra Signora degli Angeli della Porziuncola di Assisi (la Porziuncola è una chiesa situata subito fuori dalla Città di Assisi - Italia, in località Santa Maria degli Angeli).
    Los Angeles oggi è la più grande e popolosa città della California e la seconda di tutti gli Stati Uniti d'America. Insieme a New York e Chicago, Los Angeles (o L.A. come comunemente la chiamano i suoi abitanti), è una delle tre metropoli più importanti degli USA ed è un centro economico, culturale e scientifico di assoluta rilevanza mondiale.
    Los Angeles vive di attrazioni create ad arte nelle menti degli occidentali, come Hollywood, Rodeo Drive, Melrose Place, Malibù e Bel Air. Quartieri che in realtà non hanno granchè da offrire se non la loro stessa mistica. Ovvero, attrazioni che devono essere visitate perchè altri le hanno visitate e hanno riportato che le hanno visitate.
    Molto più oneste risultano essere le attrazioni costruite per essere tali, valvole di sfogo dei turisti assetati di divertimento: Disneyland, gli Universal Studios, il Grauman's Chinese Theater e il luna park sul molo di Santa Monica.

    Ad una prima impressione Los Angeles non sembra un granché, perché tanto diversa dalle nostre città: un rettangolo che si estende per circa cento chilometri lungo la costa del Pacifico e per 40, con varie diramazioni, all’interno. Non vi è un centro, una piazza, un monumento particolare come punto di riferimento: si tratta di una distesa di case moderne di varie tipologie, interrotte da qualche edificio storico e da palazzi relativamente vecchi e belli, come quelli di Wilshire boulevard, con le sue palazzine tipiche ed i negozietti. I grattacieli svettano solo nella zona degli affari, a Downtown. Per il resto si susseguono edifici bassi, in aree a più o meno alta densità abitativa, intervallate da autostrade, aree commerciali con negozi e fast food, zone industriali, immensi canali di cemento (immortalati nella scena dell’inseguimento in Terminator 2 n.d.r.) che fungono da cloaca a cielo aperto. Le avenue (da nord a sud) e i boulevard (da est a ovest) sono lunghissimi e costituiscono un reticolo abbastanza intricato. Eppure il fascino di Los Angeles permane intatto da quando fu fondata nel 1781, proprio per il suo disordinato insieme di quartieri e contee molto diverse tra loro: una città cosmopolita abitata da gente di tutti i tipi, dalle notevoli differenze economiche, che in più incarna, con Hollywood, il mito e la storia del cinema. Qui vale il principio che tutto è molto più lontano di quel che sembra: due fermate di metro sono 5 chilometri, 4 isolati mezz’ora a piedi; mentre le autostrade, una ventina, arrivano pure ad avere 9 corsie!
    Impossibile muoversi a piedi ed anche la metropolitana, che ha solo tre linee, serve poco. Partendo da Hollywood, che si raggiunge lungo la Fwy 405 North dopo essere usciti a Santa Monica boulevard oppure lungo il Sunset boulevard (il cinematografico Viale del tramonto). Si percorre così la celebre Walk of fame, che nei marciapiedi presenta circa 2000 mattonelle segnate da una stella con il nome delle glorie del cinema, della musica e della televisione; si arriva poi al Mann’s Chinese Theatre, il vero emblema di Hollywood, nel cui spiazzo vi sono le impronte delle più grandi star, comprese quelle di Sofia Loren e Marcello Mastroianni. Numerosi i negozi di souvenir e gli esercizi specializzati in oggetti realmente appartenuti ai divi. Tolto il tratto più turistico, però, la strada è degradata, piena di bottiglie e rifiuti, di locali a luci rose, sexy shop e frequentata da barboni. Nella zona dietro Hollywood boulevard si risale sino alla famosa scritta in bianco “Hollywood” (per gli americani “the sign”) dalla quale si può godere il panorama della città. Sempre nelle colline d’intorno è possibile visitare altri due posti molto famosi di Los Angeles: Beverly Hills con Rodeo Drive e Melrose avenue. Qui le parole d’ordine sono lusso e ricchezza: immense ville miliardarie si trovano in particolare lungo Mullholland Drive, Bel Air e Malibù Hills; mentre Rodeo Drive si rivela la strada più cara al mondo, con i negozi dei più grandi stilisti, in gran parte italiani, gioiellerie sfavillanti e costose macchine parcheggiate. Altra via di lusso è Melrose avenue, specie nel tratto che va da Alta Vista a Spaulding av. Essa è caratteristica per i suoi negozi alla moda, i designer, i ristoranti ed è una delle zone più vivaci di Los Angeles; è sicura giorno e notte ed abitata da borghesi, bohémiene punk senza che vi siano grossi contrasti. Altro punto nevralgico per la vita notturna è il recente complesso di Sunset Plaza, a qualche isolato più a nord di Beverly Hills.
    Tra le sue costruzioni postmoderne possiamo annoverare il Westin Bonaventure Hotel, complesso alberghiero con circa 4500 stanze, centri commerciali e perfino una cascata con laghetto; lo Staples Center, sede dei fortissimi Los Angeles Lakers, nonché Olivera street e dintorni, il MOCA (Museum of contemporary Art) realizzato dal giapponese Arata Isozaki. Cambiando quartiere, si può vedere il Memorial Coliseum, lo stadio dove si svolsero le Olimpiadi del 1984, con l’accortezza di non soffermarsi lungo Exposition Blvd a nord di Inglewood, zona da evitare in quanto pericolosa a causa dei suoi edifici abbandonati.Los Angeles è anche apprezzata per le sue lunghe e sabbiose spiagge, lambite da un Oceano impetuoso, puntellate di torrette di controllo e di alti palmizi; tra queste, notevoli Venice beach, quella di Santa Monica e, a maggiore distanza, Malibù. Venice beach si chiama così perché presenta una serie di canali lungo i quali si trovano pittoresche casette e sentieri per jogging. A poca distanza dai quali si snoda l’Ocean Front Walk, la passeggiata lungomare ciclabile con negozi e ristorantini. Essa ha un’anima hippie: meta preferita dei figli dei fiori negli anni ’70, abbonda di bancarelle con oggetti stravaganti e di negozi per tatuaggi; meta di barboni e nostalgici del punk, è animata da artisti di strada. Con Muscle beach, dove si esibiscono uomini e donne muscolose con i corpi cosparsi di olio, ed il Palazzo di Chiat-Day-Mojo che nella sua struttura presenta un binocolo alto 15 metri, essa è anche il regno del kitsch.
    Santa Monica simboleggia per noi italiani la tipica spiaggia della California: chilometri e chilometri di sabbia, i pontili di legno, le alte onde dell’Oceano, i surfisti, le torrette dei bagnini rese famose dalla serie televisiva Baywatch. Ha il pontile più famoso d’America, il molo Pier, a ridosso del quale vi sono una ruota panoramica e le montagne russe, da cui si può raggiungere l’arenile: amanti della ginnastica che corrono o eseguono esercizi ginnici, villeggianti in bicicletta o in roller-blade, giovani e vecchi intenti a trascorrere ore liete in riva al mare. Sulle colline di Santa Monica si erge maestoso il Getty Museum di Brentwood. Realizzato in vetro, pannelli bianchi e travertino italiano da Richard Meir, consta di cinque padiglioni collegati tra loro da vialetti e passerelle; ospita anche un auditurium ed un istituto di ricerche artistiche.
    Malibù, le cui colline e il lungomare sono disseminate di ville lussuose, tra le quali quelle di Sharon Stone e Mel Gibson, circondate da parchi inaccessibili. Malibù non è una città vera e propria; è un insieme di case senza centro, ove la calma regna sovrana. Il mare, invaso da surfisti, presenta una costa più frastagliata e rocciosa, simile a quella mediterranea. Chi ama la tranquillità ed un’atmosfera meno artefatta e di lusso può visitare Morro Bay, un’amena località di pescatori, piccola e lontana dal caos di Los Angeles. È nota per il “Morro Rock”, un monolite di origine vulcanica che spunta dal mare e si erge sulla baia dalle dune alte e sabbiose.
    Siamo, non bisogna dimenticarlo, nella mecca del cinema. Pertanto è d’obbligo la visita agli studi cinematografici che hanno reso famosa la città, in primis i mitici Universal Studios che si trovano nella parte Nord di Los Angeles in quella che è stata chiamata Universal City.
    Tutto questo è Los Angeles, la città degli angeli!
    ( Daniela Sequi Media. Stefano Abbadessa Mercanti)

    ...la storia....


    La regione desertica della California che oggi corrisponde pressapoco a Los Angeles era abitata già tra i 5.000 ed i 6.000 anni Avanti Cristo dalle popolazioni indiane dei Tongva (anche detti Gabrielenos), dei Chumash. Va ricordato però che nella California sono stati trovati i resti umani più antichi di tutto il continente americano (datati tra i 10.000 ed i 13.000 AC) ed è quindi verosibile supporre che l'uomo abbia messo piede in queste zone ben prima dei Tongva.
    Data la sua posizione geografica, all'estremo ovest del continente americano, gli europei miserò piede in queste zone solamente nel 1542, ad opera diello spagnolo Juan Cabrillo che esplorò la zona. In circa due secoli l'intera California cade sotto il predominio spagnolo ma solo nel 1769l'allora governatore Gaspar de Portola organizza una spedizione, assieme ai francescani Junipero Serra e Juan Crespi, con il fine di colonizzare l'attuale zona di Los Angeles con delle missioni francescane. Nel 1771 fratel Crespi notò una zona particolarmente adatta alla creazione di una nuova missione ma fratel Serra fu più veloce e ne fondò una nei pressi di Whittier Narrows. Il 4 settembre 1781 44 coloni messicani fuoriuscirono dalla missione per fondare un nuovo insediamento colonico proprio nella zona indicata dieci anni prima da fratello Crespi. L'insediamento prese il nome di El Pueblo de Nuestra Senora la Reina de los Angeles sobre El Rio Porciuncula, destinato a divenire l'attuale Los Angeles.
    A lungo la cittadina di Los Angeles rimane estremamente piccola. Nel 1822, ad esempio, anno in cui il Messico conquista l'indipendenza dalla Spagna ed annette l'intera California, in tutta la zona di Los Angeles non ci sono che fattorie con allevamenti di cavalli e di buoi. La terra, distribuita dai diversi governatori che si susseguirono, permise la nascita di numerosi Ranch. Nulla che assomigli, nenanche lontanamente ad un nucleo urbano vero e prorpio. Anche nel 1846, anno in cui, a seguito della guerra tra il Messico e gli Stati Uniti d'America, la California viene annessa a questi ultimi, la situazione non era molto diversa. Solo nel 1850 Los Angeles divenne ufficialmente una città, anche se con solo 1610 anime. Anche se la corsa all'oro (soprattutto quella di San Francisco) contribuì di riflesso alla crescita di Los Angeles, il primo boom demografico avvenne nel 1892, anno in cui venne scoperto il petrolio ed il secondo avvenne nel 1913, ano in cui venne terminato l'acquedotto che sarebbe stato in grado di fornire l'acqua potabile ad una zona altrimenti desertica. A partire dal 1915 quindi molti piccoli centri limitrofi cominciarono ad entrare a far parte della municipalità di Los Angeles. Negli anni successivi la prima guerra mondiale (che diede enorme impulso all'industria aeronautica) ed il boom dell'industria del cinema diede ulteriore impulso alla città che ben presto si trasformò nella odierna metropoli tentacolare


    “Nothing’s gonna stop me now/ California here we come” – Nulla può fermarmi, California sto arrivando. Continua a rimbalzarmi nella mente la hit dei Phantom Planet, colonna sonora del serial americano The O.C. In ordine temporale è la canzone che più mi attira verso l’ovest statunitense. Tralasciata la costa orientale e le indescrivibili bellezze dei giganteschi parchi nazionali, la meta è la megalopoli Los Angeles.
    Ciascuno di noi, seppur da lontano, nel corso della propria vita costruisce relazioni personali con luoghi. All’inizio magari senza esserci fisicamente. Questione di affinità. La sua storia. Le sue strade. Il suo dialetto, perfino. Questione di ricordi o di un futuro. Los Angeles e i suoi artisti musicali hanno scolpito (e continuano farlo) molte pagine della mia vita.
    La storia di questa città inizia molto da lontano. Prima della colonizzazione europea l’area fu abitata per secoli dai Tongva (o Gabrieleños), i Chumash e altri gruppi etnici. Come spesso accadde in età moderna, la città crebbe in maniera esponenziale nel giro di pochi decenni, fino a diventare una delle più grandi realtà metropolitane del Pianeta. Volano della sua incredibile crescita, petrolio e acqua.
    È un altro tipo di acqua però quella che mi attira di più. Un po’ più salata. Quella dell’Oceano Pacifico, la cui aria mescolata a quella decisamente più calda del deserto dà luogo a fenomeni di nebbia. Il fascino del mare, e forse di qualche Baywatchiana memoria, m’impongono una fondamentale visita sulle spiagge, subito sostituita da una corsa sulla sabbia a tutta adrenalina. Los Angeles, perfetta metafora degli Stati Uniti. Luci e ombre cercano una strada percorribile. Quella che il neo-presidente Barack Obama in qualche modo sta cercando di costruire. Anzi, migliorare. Nella tanto sognata California arrivano da tutto il mondo alla ricerca di un posto davanti alle cineprese, mentre poco lontano, sul vicine confine messicano, il sogno di tanta gente alla disperata ricerca di una nuova vita s’infrange spesso con i rigidi controlli doganali. Los Angeles, città cosmopolita. Basta dare uno sguardo alle colleghe con cui è gemellata in tutti i cinque continenti, per capire la sua vocazione babelica. Mumbai (India), Ischia (Italia), Tehran (Iran), San Pietroburgo (Russia), Giza (Egitto), Lusaka (Zambia), Spalato (Croazia), Giacarta (Indonesia), Salvador de Bahia (Brasile), solo per citarne alcune.
    (Luca Ferrari)
     
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  8. gheagabry
     
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    Vegas, apre il museo dedicato alla mafia
    Un museo della storia della mafia. Con tanto di parete originale del garage di Chicago dove la gang di Al Capone cancellò la banda rivale del nord della città in quello che il mondo conosce come il Massacro di San Valentino.
    E tanti altri "cimeli" dal fascino macabro, come la sedia elettrica utilizzata in una storica esecuzione, o quella del barbiere dove venne ucciso il boss Albert Anastasia, e altri meno truculenti, ma comunque descrittivi del modus operandi della criminalità organizzata. Il tutto non poteva che nascere a Las Vegas, la metropoli dei lustrini e delle attrazioni kitsch, ma anche il terreno dove la mafia, o meglio il Mob, ovvero le varie criminalità organizzate degli Usa, attecchirono, emigrando dal Nord-est del Paese, trovando nelle sale da giochi della capitale del deserto del Nevada l'humus ideale per riciclare il denaro sporco o per prelevare quello pulito prima che venisse conteggiato, con i meccanismi che lo straordinario Casino di Scorsese ha raccontato con grande efficacia. La data di nascita e l'ubicazione del Mob Museum (ufficialmente National Museum of Organized Crime and Law Enforcement) sono a loro volta citazioni che non passano inosservate. L'inaugurazione è stata programmata per oggi, 14 febbraio, giorno in cui cade l'83mo "anniversario" della sanguinosa sparatoria, mentre la sede stessa dell'istituto è il Las Vegas Post Office and Courtroom, edificio che negli anni '50 ospitò una delle audizioni del Kefauver Comitée, la speciale commissione del Senato Usa contro la criminalità organizzata. E proprio la sala dove parlò il senatore Kefauver, perfettamente restaurata, è uno dei cardini della struttura. L'idea di allestire un museo del crimine a Vegas ha una decina d'anni. L'edificio pubblico, ormai in rovina fu (s)venduto per un milione di dollari dal Governo Usa al Comune nel 2000. Due anni dopo, l'ex sindaco di Vegas (un avvocato che ha al suo attivo le difese di criminali illustri e che ora, costretto al ritiro per limiti di età, è riuscito a insediare al suo posto la moglie, Carolyn) ebbe l'idea. La proposta si scontrò con la forte opposizione della comunità italoamericana, ma trovò il sostegno dell'Fbi, che ne vedeva la finalità educativa. Alla fine, dopo 10 anni e 42 milioni di dollari (30 milioni di euro) spesi, il museo del Mob si mostra in tutti i suoi 4mila metri quadrati, 1.700 dei quali di esposizione, e punta ad attirare 300mila ospiti l'anno. E un'ex federale, Ellen B. Knowlton, agente speciale a Vegas per 24 anni, come presidente del Board del museo.Il messaggio, controverso, che esce dal Mob Museum, è quello di una "Las Vegas città aperta", dove negli alberghi gestiti dalle mafie (che lì al contrario che altrove convivevano) potevi trovare Elvis o Marlene Dietrich, Louis Armstrong e Liberace.
    (repubblica)[/color]
     
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  9. gheagabry
     
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    New York, Philadelphia, Pittsburg


    (Scatto della NASA)


    Un membro della Expedition 30 a bordo della Stazione Spaziale Internazionale ha scattato questa foto della costa atlantica degli Stati Uniti. Nell’immagine sono visibili e riconoscibili alcune delle più vaste aree metropolitane della zona che comprende Virginia/Maryland/Washington, D.C. Boston è all’esterno dell’immagine, a destra. Long Island e l’area urbana di New York City sono sulla destra. Philadelphia e Pittsburgh sono al centro dell’immagine.

     
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  10. gheagabry
     
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    Las Vegas è diventata l'interpretazione onirica di una città uscita da un libro di fiabe: qui un castello tratto da un racconto per bambini, lì una piramide nera con la sfinge e le luci bianche che fendono l'oscurità come il raggio di un Ufo in manovra d'atterraggio, e dappertutto oracoli al neon e schermi rotanti su cui scorrono messaggi di felicità e fortuna, annunci di cantanti, attori e maghi che si esibiscono stabilmente o in tournée, e luci che scintillano invitanti. Ogni ora un vulcano ha un'eruzione di luci e fiamme. Ogni ora una nave pirata affonda una nave da guerra. (Neil Gaiman)


    LAS VEGAS


    Si può considerare Las Vegas come un enorme parco divertimenti a tema, dove le attrazioni sono collocate all'interno di enormi alberghi paragonabili ad altrettante aree tematiche. Un tempo ricca di saloon per minatori, nell'arco degli ultimi venti anni, la città ha completamente cambiato volto e si è rapidamente adeguata al nuovo corso: non solo gioco d'azzardo ma divertimento per tutti.. Gli alberghi si sono trasformati in giganteschi "resort tematici" e ogni anno sorgono nuove e sempre più imponenti strutture all'insegna del "kitsch" più sfrenato. Visitare Las Vegas significa entrare ed esplorare tutti gli alberghi, ognuno dei quali nasconde sorprese e meraviglie. Partendo dal fondo della "Strip", la strada principale, si incontrano il recente Mandalay Bay e il Luxor: un'enorme piramide nera con tanto di Sfinge all'ingresso ed ambientazione egiziana all'interno; c'è anche il viaggio in barca sul fiume Nilo! Proseguendo si incontrano l'hotel Excalibur, caratterizzato da un'ambientazione medievale che sembra creata dalla matita di Walt Disney, volutamente esagerata ma che piace molto ai turisti.
    Poi ecco il New York New York che riproduce lo skyline della Grande Mela con l'Empire State Building, il Chrysler Building, la Statua della Libertà ed il ponte di Brooklyn, tutti intersecati da un bel roller coaster da brivido. Gli interni invece si ispirano alla celebre Wall Street. Di fronte al New York New York c'è l'MGM, l'hotel più grande del mondo che conta più di 6000 camere; ispirato al cinema di Hollywood ospita spesso concerti evento, incontri di boxe di rilevanza mondiale, l'illusionista David Copperfield e lo spettacolo "Kà" del Cirque du Soleil. In zona si trovano anche l'Hotel Tropicana, il nuovo Aladdin, l'Hotel Montecarlo e il Paris Las Vegas Hotel che riproduce alcuni monumenti famosi di Parigi. Proseguendo lungo il Las Vegas Boulevard si arriva nella parte più spettacolare della "Strip". Si comincia dall'Hotel Bellagio con la ricostruzione di un paese sul lago di Como, bellissimi gli interni e con uno stupendo spettacolo di giochi d'acqua che si svolge nel lago adiacente. Di fianco al Bellagio c'è il Ceasar Palace, costruito rievocando i fasti dell’antica Roma... con una ricostruzione delle vie di Roma con statue, fontane e cielo azzurro che simula: l'alba, il giorno, il tramonto e la notte in un ciclo di tre ore. Altre attrazioni del Ceasar Palace: lo show della fontana di Atlantis con fuoco e fiamme, l'Imax 3D e la sala Omnimax. Dal Ceasar Hotel si passa al Mirage Hotel (3000 camere circa), con un ingresso principale lussureggiante e con le tigri bianche di Siegfried & Roy; da non perdere l'eruzione del vulcano antistante l'hotel ripetuta ogni sera ad intervalli di 15 minuti. Proseguendo troviamo: il Treasure Island Hotel, molto simile alle attrazioni dei Pirati di Disneyland o Gardaland; ogni sera, nel lago adiacente, si svolge uno spettacolo di battaglie navali; e il Venetian Hotel che riproduce una Venezia quasi perfetta con tanto di Canal Grande e gondolieri. Chiude la "Strip" lo Stratosphere Hotel: una torre alta oltre 1100 piedi con alla sommità un piccolo roller coaster e un'attrazione chiamata Big Shot che spara i più coraggiosi a un'altezza incredibile. Nella zona settentrionale della Strip, denominata Downtown, troviamo la parte vecchia della città con i suoi alberghi storici tutti rinnovati. La via principale di questa zona è Freemont Street, che grazie allo strabiliante spettacolo delle luci diventa ogni sera la strada più interessante di Las Vegas: l’atmosfera è molto suggestiva, ed inoltre si può visitare il Golden Nugget Hotel, nel quale è esposta la pepita d'oro più grande del mondo. Las Vegas ha avuto l’appellativo di “Città del Peccato” in quanto in essa tutto è legale: il gioco d’azzardo, la vendita di alcolici in qualsiasi ora del giorno e della notte, programmazione di spettacoli di ogni genere.
    (parchionline)

    ....la storia....


    Il nome Las Vegas deriva da un termine spagnolo che significa “I Prati”. Nella zona esistevano, infatti, dei pozzi d’acqua che tenevano in vita alcune aree verdi.
    Il 3 maggio 1844, John C. Frémont entrò nell’area di Las Vegas, che apparteneva ancora al Messico, a capo di una spedizione di scienziati ed esploratori statunitensi.
    Il 10 maggio del 1855, in seguito alla annessione messicana da parte degli Stati Uniti, Brigham Young incaricò 30 missionari mormoni comandati da William Bringhurst nella stessa area per convertire gli indiani Paiute. Venne costruito un forte vicino all'odierna downtown, che serviva come una stazione di posta per i viaggiatori lungo il "corridoio mormone" tra Salt Lake City e la nuova colonia di San Bernardino, California. Las Vegas venne fondato come un villaggio ferroviario il 15 maggio del 1905, quando, in quello che oggi è il centro di Las Vegas, vennero messe all'asta 44,5 h-a. di terreno della San Pedro, Los Angeles and Salt Lake City Railroad, una società ferroviaria che era posseduta da William A. Clark, senatore del Montana. Las Vegas era parte della contea di Lincoln fino al 1909 quando divenne parte della neoformata Clark County. Las Vegas divenne una città a tutti gli effetti il 16 marzo del 1911 quando adottò la sua prima carta di diritto pubblico. Per decenni Las Vegas è stata stazione di sosta per le carovane di pionieri dirette in California e, nei primi anni del Novecento, un importante snodo ferroviario, attraverso cui le miniere dei dintorni inviavano i loro prodotti al resto del paese. Con l’espandersi delle ferrovie, Las Vegas perse importanza, ma la costruzione della Diga Hoover, completata nel 1936, segnò una grande e definitiva rinascita. Al denaro pubblico, servito per innalzare la diga, si aggiunse quello dei turisti richiamati dall’imponente costruzione e dal Lago Mead che essa aveva formato. La legalizzazione del gioco d’azzardo, il 19 marzo 1931, diede ulteriore impulso al turismo.Nel 1946, Bugsy Siegel aprì il famoso primo hotel casinò di Las Vegas (Flamingo Hotel), che molto contribuì alla nascita della leggenda cittadina.
    Al denaro portato da turisti e giocatori, si aggiunse anche quello dei militari, addetti alla vicina base aerea di Nellis. Le necessità abitative di militari e lavoratori nei casinò diedero quindi il via ad una forte espansione edilizia, che dura tutt'oggi.
    Negli anni della guerra fredda - in particolare dal 1951 al 1962 - nel relativamente vicino poligono da bombardamento di Nellis e nel Nevada Test Range furono effettuati decine di test esplosivi atmosferici di bombe nucleari a fissione, sia all'altezza del suolo che a pochi chilometri di quota. I test divennero sotterranei dopo la firma del trattato internazionale Partial Test Ban Treaty, firmato nel 1962 da decine di paesi, con il patrocinio del presidente John Fitzgerald Kennedy e di Nikita Khrusciov.
    Dagli anni trenta del secolo scorso, in definitiva, Las Vegas ha visto uno sviluppo economico costante e privo di grosse crisi. Oggi sta vivendo un vero boom e la sua economia è tra quelle che stanno crescendo di più negli Stati Uniti.
     
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  11. gheagabry
     
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    ".... una striscia di terra e sabbia che corre lungo la costa della Carolina del Nord ..
    .. è uno di quei luoghi in America che evocano leggende di esplorazione e conquista,
    di tenacia e tragedia all’indomani di una scoperta che cambiò la faccia della terra e dell’umanità."


    Gli OUTER BANKS


    Le Outer Banks sono una striscia di isole di sabbia e scogli lungo la costa del North Carolina. Si estendono per 160 Km separando l'oceano Atlantico dalla Baia di Albermarle (a nord) e dalla Baia di Pamlico (a sud). Creano una barriera tra l'oceano atlantico e le acque salate delle lagune interne del North Carolina, chiamate Sound. Gli isolotti non sono ancorati da coralli e si spostano continuamente in forza dell’erosione e agli uragani che spesso si abbattono sulla costa atlantica degli Stati Uniti. I lunghi e sottili isolotti presentano spiaggie di una bellezza unica, sabbia bianchissima e dune ricche di vegetazione.

    A Roanoke esiste anche un piccolo lembo d’Inghilterra : in un piccolo cimitero sono sepolti quattro marinai inglesi, due dei quali ignoti, la cui nave era stata affondata da un sottomarino tedesco durante la seconda quella mondiale, e su tutto svetta la bandiera inglese, in effetti quel piccolo angolo di mondo è e sarà sempre territorio britannico. Nel cimitero una targa ricordo porta la seguente iscrizione :

    "If I should die think only this of me that there’s
    some forever corner of a foreign field that is forever England."
    “Se io dovessi morire pensa solo questo di me che
    c’è un angolo eterno di un paese straniero che è per sempre Inghilterra”


    ...storia, miti e leggende...


    Una baia, chiamata Roanoke Sound, separa gli Outer Banks dall’isola di Roanoke, località dove si svolse una delle tragedie più misteriose della conquista del Nuovo Mondo.
    Qui sbarcò nel luglio del 1587 una spedizione inglese organizzata da Sir Walter Raleigh in base ad un decreto – una charter – della Regina Elisabetta per la colonizzazione di una gran parte dei territori oltreoceano denominata Virginia. Ralph Lane e 107 coloni vennero lasciati a terra e ben presto entrarono in conflitto con una tribù indiana locale.
    Qui nacque, nel 1587, la prima cittadina inglese della Virginia, chiamata Virginia Dare. La colonia inglese, rimpolpata da un altro sbarco, sparì peraltro dalla faccia della terra prima del 1590, e con essa 118 coloni, inclusa la piccola Virginia, senza lasciar traccia, all’infuori di una parola – Croatan – incisa in un tronco. Malgrado lunghe e ostinate ricerche, iniziatesi già al tempo del primo insediamento inglese permanente a Jamestown nel 1607, il fato della lost colony è rimasto un mistero.

    Wright Brothers National Memorial... il luogo dove si svolse il primo volo umano con un velivolo biplano ad elica, progettato e realizzato dai fratelli Orville e Wilbur Wright dell’Ohio, il 17 Dicembre 1903. È un tempio dell’aviazione che vale la pena di visitare. Il primo volo durò dodici secondi e portò Orville ad una distanza di 40 metri. Il più lungo dei quattro voli durò 59 secondi e con esso Wilbur salì ad un’altezza di 284 metri.
    Un masso di granito segna il punto dove spiccò il volo il biplano dei Wright. Quattro paletti marcano gli arditi balzi del primo velivolo.

    Una collina eretta per le prime commemorazioni è sormontata da un faro e offre un bel panorama della località, chiamata Kill Devil Hills, le colline ammazza-diavolo, nome tratto da una vecchia leggenda.

    L’isola di Ocracoke, l’ancoraggio preferito dal pirata Barbanera Edward Teach, che alla fine fu sorpreso dalla flotta inglese e giustiziato nel 1718. In quei secoli la gente viveva di quel che era possibile recuperare dalle carcasse di navi che spinte dalla corrente e dagli uragani sulle secche prossime alla costa finivano col naufragare. Abbastanza spesso erano i nativi che si ingegnavano di far naufragare le barche sotto costa, ponendo di notte una lanterna al collo di un cavallino, simulando l’ondulare di una barca in un ancoraggio sicuro. Questa, dicono, sarebbe l’origine del nome di Nags Head. Di barche, bastimenti, vapori e navi da guerra ne sono affondati a iosa, si calcola più di seicento, lungo la costa della Carolina del Nord, ed in modo speciale nei pressi di Capo Hatteras, tanto che questa zona è stata battezzata graveyard of the Atlantic, il cimitero dell’Atlantico. C’é persino un museo dedicato alle navi affondate lungo la costa.

    Il faro di Hatteras, il più alto in America, originalmente costruito in mattoni nel 1803 e più volte ricostruito. Nel 2000 il faro venne trasferito dalla postazione originale, con la base già erosa dall’oceano, in un luogo sicuro all’interno, a 870 metri di distanza.


    ....Barbanera, il pirata....



    Lungo le coste del North Carolina nel diciottesimo secolo veleggiavano molti galeoni pirati che trovavano facile rifugio nelle varie isole e isolette e soprattutto nei bracci di mare all’interno dei banchi di sabbia. Uno dei più famosi frequentatori della nostra isola fu il pirata conosciuto come "Blackbeard" ("Barbanera").
    Nato a Bristol, in Inghilterra come Edward Teach o Thatch probabilmente intorno al 1680, poco si sa della sua vita finché non apparve nelle vesti di pirata lungo le coste del Sud degli Stati Uniti e diventò presto famoso come il terrore delle coste Atlantiche e dei Caraibi durante l'epoca coloniale americana nei primi anni del 1700. Era stato allievo di uno dei più feroci pirati dell’epoca, Benjamin Hornigold, un allievo così diligente, che nel 1717 riuscì ad ottenere di poter armare una nave per conto suo, un vascello francese, il “Concorde”, catturato durante una scorreria nel Mar dei Carabi, che lui ribattezzò “Queen’s Anne Revenge” . Balckbeard continuò a correre il mare Caraibico ed al suo ritorno lungo le coste americane, all’inizio del 1718, era al comando di quattro navi e 300 uomini. A Maggio di quell’anno il pirata bloccò per un’intera settimana il porto di Charleston, nel South Carolina, ottenendo dai cittadini spaventati provviste e denaro, ma poco dopo la sua nave ammiraglia, la Queen’s Ann Revenge, si incagliò sui banchi di Beaufort Inlet, poco più a Sud di Ocracoke, e andò perduta, insieme ad un’altra l’”Adventure” che era corsa in suo aiuto. Recenti ricerche sottomarine hanno riportato alla luce in quella zona alcuni reperti che potrebbero appartenere ad uno o ad entrambi i vascelli. Per alleggerire il carico, Blackbeard sbarcò 25 pirati su un banco di sabbia e senza tanti problemi li abbandonò al loro destino, cosa che a quei tempi era abbastanza usuale, era un modo per disfarsi di personaggi scomodi a bordo. Questi uomini furono raccolti da un altro pirata, Stede Bonnet, ma furono ben presto catturati e nessuno sfuggì alla forca. Blackbeard era un personaggio pittoresco, oltre che pericoloso. Si era fatto crescere una lunga barba nera, da cui il suo soprannome, indossava abiti sgargianti, portava due sciabole ai fianchi e due bandoliere attraverso il petto, da cui spuntavano diverse pistole. Quando andava all’attacco di qualche sfortunata nave, usava legare dei fiocchi rossi ai capelli ed alla barba, mettendo in mezzo dei piccoli petardi ricavati dalla povere da sparo, a cui dava fuoco al momento dell’assalto. Tanto era spaventosa quella apparizione, che spesso gli equipaggi si arrendevano senza neanche combattere e Capitan Teach aveva buon gioco nel depredare le navi di ogni loro avere e nel portarsi dietro qualche personaggio altolocato per cui chiedere un adeguato riscatto. In effetti la carriere di pirata di Blackbeard, almeno per la sua parte conosciuta, è così breve, che non si conoscono di lui atti di crudeltà nei confronti dei suoi prigionieri. A quel punto, per porre fine alla pirateria, Re Giorgio I d’Inghilterra aveva emesso un proclama che concedeva il “suo grazioso perdono” a quei pirati che si fossero arresi volontariamente prima di una certa data e che avessero fatto giuramento di non darsi più alla pirateria. Il nostro pirata si era nel frattempo diretto a Bath, allora capitale del North Carolina, dove decise di accettare il perdono e di darsi alla vita del buon cittadino benestante, insieme alla sua tredicesima moglie, una ragazzina di quattordici anni che aveva raccolto chissà dove.
    Blackbeard ottenne il certificato di perdono dal Governatore del North Carolina Charles Eden, del quale, si vocifera, diventò amico e per un po’ in buon Teach si comportò come un gentiluomo di campagna a riposo. Ma il richiamo del mare è forte, e anche quello dell’avventura, così, nel giro di breve tempo, le scorrerie ricominciarono. Correvano intanto delle voci che l’amicizia tra Mr. Teach ed il Governatore Eden non fosse del tutto disinteressata e che quest’ultimo traesse vantaggio dall’attività del pirata, voci che sono state in seguito smentite, ma pare comunque certo che il Governatore non fece mai nulla per fermarlo.
    A quel tempo era Governatore della Virginia Alexander Spottswood, un uomo duro, determinato a porre fine alla pirateria in ogni modo possibile. Mentre la Virginia era a quel tempo una colonia inglese, in realtà il North Carolina non lo era ancora, era proprietà di alcuni ricchi piantatori inglesi che avevano i loro interessi oltremare, quindi Spottswood non aveva alcuna giurisdizione su quel territorio, ma temeva l’incompetenza del Governatore Eden ed in più gli era stato riportato che Blackbeard aveva avuto l’audacia di compiere atti di pirateria lungo le coste della Virginia e che si era attestato a Ocracoke dove aveva raggruppato i suoi uomini e dove aveva organizzato un incontro con altri vascelli pirati. La sua determinazione lo convinse che le sue azioni erano assolutamente legali e decise di intraprendere una spedizione via mare per catturare il nero pirata e porre fine una volta per tutte alle sue gesta. Qui la storia si intreccia con il mito. Nel Novembre del 1718 il Luogotenente Robert Maynard, al comando dello sloop “Ranger” partì alla volta di Ocracoke per attaccare il pirata. Si racconta che la notte prima della lotta finale Mr. Teach avesse invitato a bordo dei commercianti le cui navi si trovavano all’ancora nel porto e che abbia passato la sera prima della battaglia bevendo in allegria e che persino sia salito sul ponte indirizzando un brindisi alla nave nemica che era in vista. Comunque il giorno dopo, il 22 Novembre, la battaglia ci fu, e fu terribile. La due navi affiancate risuonavano di urla, le pistole e i moschetti sparavano, le sciabole lampeggiavano, gli uomini si combattevano in terribili corpo a corpo ed il pirata, con i suoi neri capelli al vento, una pistola in una mano ed una sciabola nell’altra, si avventava sui nemici con grida spaventose. Ad un certo punto Maynard riuscì a saltare sulla nave di Blackbeard ed i due uomini si trovarono faccia a faccia. Sia stata la fortuna o il coraggio del luogotenente, il fatto è che questi riuscì a colpire più volte il pirata e benché Blackbeard avesse ricevuto cinque colpi di pistola e più di venti ferite da spada, tutte mortali, si dice che abbia continuato a combattere selvaggiamente, finché è crollato sul ponte della nave.
    Il vincitore tagliò la testa del pirata e la appese all’albero maestro, come macabro trofeo. Il corpo fu buttato fuoribordo, ma si racconta che nuotò ancora per tre volte intorno alla nave, prima di scomparire tra i flutti. La sua testa fu portata a Bath, dove rimase in vista, come monito per chi volesse percorrere la stessa strada.

    Ma il mito continua, un’altra leggenda racconta che la sera prima della battaglia Blackbeard, a bordo della sua nave, era venuto a sapere che il Luogotenente Maynard lo attendeva al largo per attaccarlo, ma il pirata, non volendo salpare di notte a causa dei pericolosi banchi si sabbia che circondano l’isola, si mise ad aspettare ansiosamente l’alba misurando a lunghi passi la tolda della nave ripetendo incessantemente “Oh, crow cock” (Oh, canta gallo) e che questo abbia dato origine al nome dell’isola. Una storia suggestiva, peccato che non sia vera. In realtà delle antiche mappe risalenti alle fine del 1600, e quindi molto prima che Teach facesse la sua apparizione lungo quelle coste, riportano diversi nomi di origine indiana come : Wocokon, Woccocock, tutti nomi derivanti dal nome di una piccola tribù di nativi americani, i Woccos, che si era insediata in tempi antichi in quella parte del Outer Banks..... il suo ricordo è legato all'isola ed è ancora fortissimo ai giorni nostri. Gli abitanti di Ocracoke raccontano che nelle notti tempestose, quando solo la luce del faro taglia l'oscurità, il fantasma senza testa di Blackbeard si aggiri nei dintorni e che spesso si veda il suo vascello che naviga intorno all'isola in cerca del suo capitano.
    (Annamaria "Lilla" Mariotti)
     
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    Chicago, 1950

    Una strada di Chicago con numerosi negozi di alcolici, negli anni Cinquanta
    (Three Lions/Getty Images)

     
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    I nomi degli Stati Uniti

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    In occasione del 236esimo anniversario in cui si festeggia il 4 luglio, la festa dell’indipendenza degli Stati Uniti, il sito del bimestrale Mental Floss, che ha sede in Alabama e si occupa di fatti e curiosità legate all’attualità con tono umoristico, ha pubblicato una lista in cui spiega l’origine dei nomi dei 50 stati americani.

    Alabama
    L’Alabama e il fiume che attraversa la parte meridionale dello stato devono il loro nome a una tribù di indiani americani con lo stesso nome (più precisamente, nella loro stessa lingua, Albaamaha). Il significato del nome non è del tutto chiaro. Nonostante la versione che si diffuse alla metà dell’Ottocento, secondo cui il significato era “qui ci fermeremo”, gli studiosi pensano che il nome venga dal modo con cui la vicina tribù dei Choctaws chiamava gli Alabama, e che significa “raccoglitori di piante” dalla loro agricoltura priva di utensili per la raccolta. Successivamente gli Alabama avrebbero preso questo nome dato dai vicini per riferirsi anche a loro stessi.

    Alaska
    Anche l’Alaska ha preso il nome da una popolazione indigena: quella che abitava le Isole Aleutine, un grande arcipelago nel nordovest dell’Alaska. Gli Aleutini – chiamati così nel Settecento dai mercanti di pellicce russi, mentre loro chiamavano se stessi Unangan – si riferivano alla terraferma con il nome di alaxsxaq (ah-lòk-shok), che significa letteralmente “la cosa verso cui si dirige l’azione del mare”.

    Arizona
    L’origine del nome potrebbe essere ancora una volta nel linguaggio di una popolazione nativa americana, i Pima: ali ṣona-g (“una piccola primavera”) si potrebbe riferire alla stagione dell’anno o a un’area ricca di miniere di argento scoperta dagli europei nel 1736. Gli spagnoli avrebbero poi adattato questa parola nella loro lingua, chiamando il territorio Arizonac. Ma c’è un’altra spiegazione, ancora più esotica: che Arizona venga dal basco aritz onak, “buona quercia”, e che il nome sia stato dato appunto dai colonizzatori baschi dell’area. “Per quello che vale, lo storico ufficiale dello stato dell’Arizona Marshall Trimble ha dato ragione alla prima ipotesi, ma ora propende per la seconda”, aggiunge Mental Floss.

    Arkansas
    I primi europei ad arrivare nella zona erano esploratori francesi, accompagnati da guide indiane che facevano parte della confederazione di tribù dell’Illinois, che abitavano più a nord. Le guide chiamavano gli Ugakhpa, che abitavano nella zona, come “gente del vento” o “gente del vento del sud”, ovvero Akansa. I francesi aggiunsero una -s per farne il plurale e una -r- nel mezzo del nome. La pronuncia rimase oscillante tra “Arkanses” e “Arkensou” finché la seconda non venne ufficialmente indicata come corretta con una legge statale, nel 1881.

    California
    Il nome deriva probabilmente da quello di una terra delle Indie Occidentali su cui gli autori spagnoli del primo Cinquecento fantasticavano che fosse piena di oro e di donne nere e senza mariti. La prima volta che si trova nella letteratura è nel romanzo di Garci Ordóñez de Montalvo Las Sergas de Esplandián, che dice che il territorio in cui le donne vivevano “come le Amazzoni” era governato dalla regina Califia.

    Colorado
    I primi esploratori spagnoli delle Montagne Rocciose trovarono, più a sud dell’attuale territorio dello stato, un fiume che trasportava sabbia rossa dalle montagne, e lo chiamarono appunto “fiume rosso”, “rio colorado” in spagnolo. Nel 1861, il territorio più a nord del corso del fiume venne chiamato “Colorado” perché si pensava che il fiume nascesse lì: in realtà, fino al 1921, il fiume Colorado nasceva nello Utah, dall’unione del Green River che scorreva in quello stato e del Grand River che scorreva in Colorado. Nel 1921, il Congresso degli Stati Uniti decise che il fiume Colorado doveva scorrere in Colorado, e cambiò il nome al Grand River.

    Connecticut
    Nella zona vivevano gli indiani Mohegans, che nella loro lingua chiamavano l’area intorno al grande fiume che ci scorreva nel mezzo quinnitukqut, “il luogo del lungo fiume” o “oltre il fiume con le grandi maree”.

    Delaware
    Il nome proviene dal fiume e dalla baia di Delaware, chiamata così in onore del primo governatore coloniale britannico della Virginia, sir Thomas West, terzo barone De La Warr, che viaggiò lungo il fiume nel 1610 e che morì nel 1618, mentre era in mare diretto in Virginia a causa delle voci di maltrattamento delle popolazioni locali da parte dei luogotenenti che governavano da anni in suo nome. Il nome del nobile, a sua volta, viene probabilmente dall’antico francese per “della guerra”.

    Florida
    Poco dopo la Pasqua del 1513, il conquistador spagnolo Juan Ponce de León sbarcò sulle coste dell’attuale stato e chiamò il territorio “Florida” dal nome spagnolo per quel periodo dell’anno, pascua florida, “festa dei fiori”. Il nome è anche il più antico nome geografico europeo che sopravvive negli Stati Uniti.

    Georgia
    Il nome del territorio, originariamente destinato dal parlamento e da alcuni filantropi inglesi ad accogliere i debitori poveri della madrepatria all’inizio del Settecento, venne chiamato Georgia in onore del re Giorgio II (1683-1760), che aveva dato il permesso regale per lo stabilimento della colonia.

    Hawaii
    C’è grande incertezza sulle origini del nome: secondo alcuni viene da un antico termine della lingua polinesiana, sawaiki o “patria”. Alcuni esploratori dicono che i nativi chiamavano la loro terra Hawaiki, composto di hawa, “patria”, e ii, “piccolo”, “attivo”. Secondo altri invece il nome viene dal polinesiano Hawaiiloa, che secondo la tradizione e alcune leggende locali scoprì l’arcipelago.

    Idaho
    L’origine del nome è poco chiara, ma è legata a una storia curiosa: il nome del territorio venne proposto al Senato statunitense nel 1860 da George M. Willing, un industriale e imprenditore del settore minerario piuttosto eccentrico. Willing disse che il termine veniva dalla lingua degli indiani Shoshone, in cui Idaho significava “gemma delle montagne” o “il sole viene dalle montagne”. Il senatore Lane dell’Oregon disse che secondo lui un nome simile non esisteva in nessuna lingua indiana, ma venne ignorato e il nome venne assegnato a un’area mineraria che faceva parte del territorio. B.D. Williams, inviato del Senato nella regione che aveva inizialmente appoggiato la proposta di Willing, fece poi qualche ricerca e scoprì che il nome era stato inventato dallo stesso industriale o da qualcuno della sua cerchia, e che dunque non significava nulla. Williams tornò in Senato e richiese che il nome venisse cambiato: il Senato accettò e lo chiamò “Territorio del Colorado”. Ma nel 1863, quando ci fu bisogno di un altro nome per un territorio più a ovest, “Idaho” tornò tra le possibilità e venne assegnato nuovamente, diventando più tardi anche il nome dello stato. Un’altra alternativa comune dice che il nome viene dalla parola in lingua Apache per “nemico”, idaahe, il nome con cui gli indiani Kiowas si riferivano agli indiani Comanche quando entrarono in contatto con loro nella zona.

    Illinois
    Illinois (pronuncia “Ilinoi”) è la grafia moderna del nome che diedero i primi esploratori francesi alle popolazioni che vivevano nella zona, con cui entrarono in contatto per la prima volta nel 1674. Secondo i loro racconti, alla richiesta di dire chi fossero, essi rispondevano che erano “Ilinois” (o una qualsiasi delle altre grafie che si ritrovano nelle carte degli esploratori): termine che i francesi intesero che significasse “uomini”.

    Indiana
    Il significato è facile: la “terra degli indiani”, dalle tribù indigene che ci abitavano quando arrivarono i colonizzatori. La storia di come lo stato arrivò a chiamarsi così è invece più complicata: una società commerciale di Philadelphia aveva accettato un ampio territorio (circa 13.000 chilometri quadrati) come pagamento di un debito contratto dalla Confederazione delle tribù indiane irochesi, nel 1768. La società decise di chiamare la terra in onore dei vecchi possessori, e la chiamò “la terra degli Indiani”, Indiana. Ma parte del territorio faceva parte dello stato della Virginia, che molti anni dopo entrò in una disputa legale, che arrivò fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti, con la società proprietaria (che da qualche anno non era più la ditta di Philadelphia). La società perse la causa e il territorio entrò a far parte della Virginia, ma quando nel 1800 il Congresso creò lo stato dell’Ohio dall’ampio Territorio del Nordovest (come il territorio di Risiko), il resto della terra ritornò a chiamarsi Territorio (e dal 1816, stato) dell’Indiana.

    Iowa
    Il nome viene da una tribù del luogo, gli Ioway (oggi la Nazione Iowa degli indiani americani, un insieme di riserve, si trova più a ovest). Il significato del nome non è chiaro, dato che non è quello con cui gli Ioway chiamavano loro stessi: i discendenti della tribù sostengono che venga dalla pronuncia francese di Ayuhwa, “gli assonnati”, il nome che veniva loro dato come presa in giro dai Sioux del Dakota.

    Kansas
    Il nome dello stato viene dal fiume Kansas, a sua volta chiamato così dalla tribù dei Kansa che ci viveva vicino. La parola è molto antica e gli stessi indigeni ne avevano dimenticato il significato, che forse ha qualcosa a che fare con il vento, prima ancora di incontrare il primo esploratore europeo.

    Kentucky
    L’origine del nome non è chiara, ma dovrebbe provenire dalle lingue degli indiani irochesi: potrebbe voler dire “prateria”, “campo”, ma anche “terra del domani” o “fiume di sangue”.

    Louisiana
    La Louisiane, “terra di Luigi”, è il nome dato al territorio dai coloni francesi in onore di Luigi XIV, il Re Sole, re di Francia dal 1643 al 1715. La Louisiana è uno stato in cui la cultura di lontana provenienza francese è ancora molto importante, e circa il 5 per cento della popolazione parla correntemente francese a casa propria.

    Maine
    L’origine del nome è incerta, ma nel 2001 venne risolta di autorità con una risoluzione del parlamento dello stato, in cui si stabiliva il “Franco-American Day” il 6 marzo e si precisava che il nome veniva dalla provincia francese del Maine: una regione storica della Francia, oggi divisa tra due dipartimenti, che si trova a ovest di Parigi (è l’area in cui si trova Le Mans). Circa un terzo degli abitanti del Maine ha origini francesi, e anche grazie alla vicinanza con il Quebec lo stato ha una delle percentuali più alte negli Stati Uniti di parlanti francesi. Secondo altre ricerche, però, “Maine” sarebbe una forma abbreviata di mainland, “terraferma”, usata per chiamare il territorio dai marinai della zona a partire dal Seicento.

    Maryland
    La colonia britannica del Maryland venne chiamata così in onore della regina Henrietta Maria, moglie del re britannico Carlo I, che regnò dal 1625 al 1649, quando venne processato e decapitato durante la Guerra civile inglese guidata da Oliver Cromwell. Carlo I concesse il permesso regale per stabilire la colonia. Il fondatore, lord Baltimore, ha dato il nome alla città più grande dello stato, Baltimora (la capitale è Annapolis).

    Massachusetts
    Il nome dello stato viene dalla popolazione indigena dell’area, i Massachusett. Il nome significa “vicino alla grande collina”, con riferimento alle Blue Hills che si trovano a sudovest di Boston.

    Michigan
    Il nome dello stato viene dal nome del lago Michigan, uno dei cinque Grandi Laghi degli Stati Uniti nordorientali, al confine con il Canada. A sua volta, il nome del lago è la versione francese della parola indiana Ojibwa misshikama (pronuncia “mishigàma”) che significa “grande lago”.

    Minnesota
    La tribù dei Dakota chiamava il fiume Minnesota mnisota (da mni, “acqua”, e sota, “nuvolosa, fangosa”). I primi coloni aggiunsero qualche -i- per aiutare la pronuncia. Il nome della città principale, Minneapolis, è attribuito al primo maestro della scuola della città, che combinò mni con polis, termine greco per “città”.

    Mississippi
    Il nome dello stato viene dal fiume Mississippi, noto anche con il soprannome di “Padre delle Acque”, come lo chiamarono il romanziere James Fenimore Cooper e Abramo Lincoln. In realtà, la parola è la versione francese di messipi, che in lingua Ojibwa (la stessa da cui viene il nome del Michigan) si pronuncia “misisipi” e vuol dire semplicemente “grande fiume”.

    Missouri
    Anche qui si ripete l’accoppiata frequente stato-fiume che gli dà il nome. E ancora una volta il nome viene da una popolazione indigena che viveva lungo il fiume, i Missouri appunto, che facevano parte del grande gruppo etnico-culturale dei Sioux: il nome era quello con cui li chiamavano i vicini indiani della Confederazione Illinois, ouemessourita, che significa “quelli con le canoe scavate” o “quello della grande canoa”.

    Montana

    Montana viene dallo spagnolo montaña, con riferimento ai molti picchi montuosi che sono presenti soprattutto nella parte ovest dello stato. Non si sa chi fu a inventare o a utilizzare il termine, riferito al territorio.

    Nebraska
    Nell’antica lingua indiana Otoe, Ñí Brásge (che nell’Otoe parlato oggi dai discendenti dei nativi è Ñí Bráhge) significa “acqua piatta”, con riferimento al fiume Platte che attraversa lo stato.

    Nevada
    Nevada, in spagnolo, significa “nevicata”, e venne dato prima alla catena montuosa della Sierra Nevada (“monti innevati”) e poi allo stato. Mental floss precisa che la pronuncia non è “nevàda”, ma qualcosa di più simile a “navèda” (con la vocale accentata a metà tra “a” ed “e”) e che i locali ci tengono molto.

    New Hampshire
    Lo Hampshire è una contea dell’Inghilterra meridionale, quella dove si trovano Winchester, Portsmouth e Southampton e quella dove visse a lungo da bambino John Mason, il cartografo ed esploratore a cui il re d’Inghilterra diede il permesso di stabilire una colonia nel Nuovo mondo nel 1622. Nonostante avesse già diversi titoli riferiti alla Provincia del New Hampshire e ci avesse già investito diversi soldi per costruire i primi insediamenti, non ci mise mai piede, perché morì nel 1635, a 49 anni, mentre si preparava a fare il primo viaggio nella colonia di sua proprietà.

    New Jersey
    Jersey è la più grande tra le Isole del Canale britanniche, che si trovano nel Canale della Manica e che formalmente sono dipendenze dirette della Corona (non fanno parte del Regno Unito). A Jersey era nato, ed era stato governatore per molti anni, sir George Carteret (1610-1680), che insieme a sir John Berkeley fondò la colonia. Dopo 10 anni in cui i due furono coproprietari della colonia, dal 1664 al 1674, Berkeley e Carteret litigarono e si divisero il New Jersey in due: East Jersey di Carteret e West Jersey di Berkeley. La seconda tuttavia fallì nel 1702 e le sue proprietà ritornarono alla corona, che unificò nuovamente il territorio.

    New Mexico
    Quando il Messico diventò indipendente dalla Spagna, nel 1821, del suo territorio faceva parte anche il territorio del New Mexico, da secoli parte del Vicereame della Nuova Spagna. Il territorio venne ceduto agli Stati Uniti solo dopo il 1848, al termine di una guerra con gli Stati Uniti, e due anni dopo venne stabilito il Territorio del New Mexico, che originariamente comprendeva anche più della metà dell’Arizona, parte del Colorado e del Nevada, e che diventò uno stato dell’unione con i suoi confini ridotti solo nel 1912.

    New York
    Lo stato e la città devono il loro nome a James Stuart, duca di York e poi re di Inghilterra, con il nome di Giacomo II, dal 1685 al 1688. La città di York è una delle più antiche città inglesi, e il suo nome – che forse risente dell’influsso delle lingue celtiche che si parlavano nella zona – viene da quello che gli diedero i romani nel 71 d.C., Eboracum.

    North e South Carolina
    Re Carlo II d’Inghilterra, che regnò dal 1660 al 1685 durante il periodo turbolento della rivoluzione di Cromwell (suo padre era il Carlo I di cui abbiamo già parlato a proposito del Maryland) diede il permesso regale per lo stabilimento della colonia, dandogli anche il nome di Carolina (dal latino Carolus) in onore di suo padre. Le due province, divise di fatto già negli anni Novanta del Seicento, vennero separate ufficialmente nel 1712.

    North e South Dakota
    Il nome viene dalla tribù dei Dakota, che facevano parte del gruppo etnico-culturale (e politico) dei Sioux. Che cosa significhi il nome non è chiaro, ma è possibile che in lingua Sioux significhi “amico” o “alleato”. Il Territorio del Dakota venne creato nel 1861 ed esistette fino al 1889, quando venne diviso e unito agli Stati Uniti con due stati separati.

    Ohio
    Un viaggiatore francese nella regione scrisse nel 1750 che il fiume Ohio era “un bel fiume” e disse che i locali lo chiamavano, appunto, Ohio. Successivamente, molti presero il nome indiano per una traduzione di “bel fiume”, anche se più probabilmente la parola ohio significa solo “largo, grande”.

    Oklahoma
    Oklahoma è il nome con cui gli indiani Choctaw chiamavano tutti i nativi americani. È formato dalle parole ukla, “persona” e humá, “rosso”: “uomini rossi”. Il nome dello stato venne suggerito da Allen Wright, capo della Nazione Choctaw tra il 1866 e il 1870, durante i negoziati con il governo federale per l’uso del territorio indiano.

    Oregon
    Per spiegare l’origine del nome sono state fatte almeno cinque ipotesi, tutte molto diverse: dal francese ouragan, perché gli esploratori francesi chiamavano il fiume Columbia “fiume degli uragani”; da oolighan, nome in lingua indian Chinook di un pesciolino molto diffuso lungo le coste del Pacifico; dallo spagnolo orejón (“grandi orecchie”), che era il modo con cui i primi esploratori spagnoli si sarebbero riferiti ai nativi; da un errore di lettura di una mappa francese dell’inizio del Settecento, in cui Ouisiconsink (“fiume Wisconsin”) era scritto per errore “Ouaricon-sint”, errore poi passato negli atti dell’amministrazione britannica; dal nome Sioux per “fiume dell’ovest”, come raccolto dall’esploratore Jonathan Carver.

    Pennsylvania
    Lo stato venne chiamato così in onore dell’ammiraglio britannico William Penn (1621-1670). Il territorio era stato dato al figlio dell’ammiraglio, anche lui di nome William, in pagamento di un debito che la corona aveva con suo padre. Il re Carlo II la chiamò “Pennsylvania”, unendo il cognome “Penn” a sylva, dal latino per “bosco”, e aggiungendo -nia. Pare che il nome non piacesse a Penn junior, che temeva che la gente pensasse a un nome dato per celebrare se stesso.

    Rhode Island
    In una sua lettera, l’esploratore italiano Giovanni da Verrazzano paragonò un’isola vicino alla baia di Narragansett all’isola di Rodi, nel Mediterraneo (oggi in Grecia, allora parte dell’Impero Ottomano). Un’altra spiegazione, preferita dal governo dello stato, è che l’esploratore olandese Adrian Block chiamò la zona “isola rossa”, Roodt Eylandt, riferendosi al colore dell’argilla lungo la costa.

    Tennessee
    Il nome viene da due villaggi di nativi americani, o forse lo stesso villaggio, in cui capitarono due esploratori europei a quasi due secoli di distanza. Nel 1567, lo spagnolo Juan Pardo arrivò a Tanasqui, nell’odierno Tennessee; quasi duecento anni dopo, alcuni commercianti britannici giunsero a Tanasi, un villaggio Cherokee all’estremità occidentale dello stato. Le ricerche moderne propendono per due villaggi distinti, uno dei quali diede il nome a tutto il territorio.

    Texas
    “Texas” viene da teysha, una parola ampiamente usata dalle tribù indiane del Texas orientale e che significa “amici” o “alleati”. La sua pronuncia e il suo significato variano parecchio tra le varie tribù, in alcune delle quali è usata anche come saluto. Gli esploratori spagnoli utilizzarono questa parola per salutare le tribù alleate in un’ampia area del Texas e dell’Oklahoma, arrivando lentamente a chiamare così anche l’area in cui si trovavano i loro insediamenti.

    Utah
    I coloni spagnoli chiamarono Utes la tribù indigena che abitava nell’odierno Utah: la parola ute, nella lingua indiana locale, significa “Terra del Sole”, anche se gli indigeni si riferivano a loro stessi come ai Nuciu, che significa semplicemente “la gente”.

    Vermont
    La parola viene dal francese ed è formata da vert, “verde”, e mont, “monte”. Il reverendo anglicano Samuel Peters, originario del Connecticut, disse di aver battezzato così quella terra dopo aver scalato il Killington Peak (allora chiamato Pisgah) nel 1763. Gran parte degli storici propende invece perché il nome sia stato dato dal politico della Pennsylvania Thomas Young, che suggerì al nascente stato del Vermont di usare la costituzione del suo stato come base e suggerì probabilmente anche il nome, in modo da ricordare la milizia dei Green Mountain Boys che resistette a un tentativo di espansione nell’area da parte dello stato di New York nella seconda metà del Settecento.

    Virginia
    Alla fine del Cinquecento, la regina Elisabetta I d’Inghilterra diede all’aristocratico ed esploratore Walter Raleigh il permesso regale per lo stabilimento di una colonia a nord della Florida spagnola. La stessa corte regale o Raleigh chiamarono allora il territorio “Virginia” da uno dei soprannomi della regina, “la Regina Vergine”. Con il nome Virginia veniva inizialmente chiamato tutto il territorio coloniale britannico sulla costa orientale degli Stati Uniti.

    Washington
    Lo stato venne chiamato così in onore del primo presidente degli Stati Uniti, George Washington. È l’unico stato degli Stati Uniti chiamato in onore di un presidente. Anche la capitale degli Stati Uniti si chiama Washington, ma si trova nel distretto federale di Columbia. Per aumentare la complicazione, in origine il territorio degli Stati Uniti occidentali era chiamato “Columbia” dal nome del fiume Columbia, ma il nome venne cambiato per non confondersi proprio con il District of Columbia.

    West Virginia
    Durante la Guerra civile americana, 39 contee della Virginia votarono per creare un nuovo stato piuttosto di unirsi alla Confederazione (gli stati meridionali): inizialmente lo stato, ufficialmente formato nel 1863, doveva chiamarsi Kanawha, ma successivamente si decise di tenere il riferimento alla Virginia.

    Wisconsin
    Il nome deriva da quello con cui le tribù indigene della regione chiamavano il fiume Wisconsin, Meskousing. Il nome venne registrato dall’esploratore francese Jacques Marquette ma con il passare del tempo si modificò in Ouisconsin, che venne trascritto in inglese nel modo attuale all’inizio dell’Ottocento e poi fissato per legge nel 1845. Come spesso accade in questi casi, gli studiosi moderni non sono riusciti a trovare una parola esattamente corrispondente a quella registrata da Marquette e credono ora che venga da una parola presa in prestito dalle vicine tribù degli indiani Miami.

    Wyoming
    Gli indiani Lenape, che si spostarono verso ovest in conseguenza della Guerra di indipendenza degli Stati Uniti alla fine del Settecento, chiamavano la loro regione d’origine (più o meno nell’odierna Pennsylvania) mecheweami-ing, che vuol dire “sulle grandi pianure”. Per lo stato vennero proposti molti altri nomi, come Cheyenne, Shoshoni, Arapaho, Sioux, Platte, Big Horn, Yellowstone e Sweetwater, ma venne scelto Wyoming perché era già in uso tra i coloni della zona.



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    ALASKA

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    Iniskin Bay, Alaska
    Il limpido cielo del Nord si riflette nelle acque del Fiume Iniskin che si getta nella baia omonima.

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    Red Glacier, Alaska
    Piccoli iceberg e massi caduti formano isolette di ghiaccio e roccia nel bacino del ghiacciaio.


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    Fiume Neacola, Alaska
    I raggi del sole scintillano sulle rive del fiume e sulle sue piane di marea.


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    Clam Gulch, Alaska
    Un pescatore di vongole cerca sotto la sabbia del Cook Inlet.




    fotografie di Robert B. Haas
    national geographic
     
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    Cento anni a Grand Central
    Film, stanze segrete e una storia avventurosa: foto e storia di uno dei simboli di New York

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    Grand Central, 22 ottobre 2003 (Spencer Platt/Getty Images)


    Il primo febbraio 1913 oltre 150 mila persone si riunirono sulla 42esima strada di New York per partecipare all’inaugurazione della nuova stazione di Grand Central Terminal, a Midtown Manhattan, che avvenne ufficialmente alle 12.01. Davanti a loro c’era una massiccia struttura in stile Beaux-Arts, lo stesso che pochi anni prima era stato usato anche per la celebre Gare d’Orsay di Parigi (oggi il Museo d’Orsay). All’interno, l’enorme atrio principale, alto 38 metri e largo ottanta. Il giorno dopo l’inaugurazione, il New York Times dedicò all’evento uno speciale di otto pagine (che il giornale ha ripubblicato qui in PDF per l’occasione).

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    L’orologio di Grand Central nel 1965 (Susan Schiff Faludi/Three Lions/Getty Images)


    Grand Central Terminal, chiamato anche Grand Central Station (ma è un errore, come ricorda un indovinello nel film di Spike Lee Inside Man) o semplicemente Grand Central, è una stazione ferroviaria nel centro di Manhattan, la più importante nella città di New York. Ma è anche un simbolo della città e una delle sue mete turistiche più visitate, diventato famoso in tutto il mondo anche grazie ai numerosi registi che hanno deciso di ambientarvi alcune scene per i loro film (Intrigo internazionale, Carlito’s Way e Superman, per citarne solo qualcuno).

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    Il cantiere di Grand Central in una foto del 5 ottobre 1912 (zu dapd-Text/New York Transit Museum/dapd)


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    La struttura è celebre per il soffitto dell’atrio principale, dipinto con il firmamento e rimasto coperto per decenni da uno strato nero, a causa del fumo delle sigarette fumate qualche metro più sotto; per le scalinate di marmo, modellate su quelle dell’Opera di Parigi; e per il grande orologio in cima al banco delle informazioni, anche questo nell’atrio principale, che ha le quattro facce di opale ed è valutato intorno ai 10 milioni di dollari. Attrazioni turistiche e film a parte, un momento molto famoso della sua storia recente è stato quando il gruppo di artisti newyorkesi ImprovEverywhere ha “congelato” il salone principale il 31 gennaio 2008, il giorno prima del 95esimo compleanno della stazione.

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    L’orologio di Tiffany a Grand Central, 31 gennaio 2013 (Mario Tama/Getty Images)


    Grand Central Terminal è la stazione con il maggior numero di piattaforme di arrivo dei treni nel mondo, ben 44 su due piani, e una delle più affollate, con circa 700 mila persone che ci transitano ogni giorno (è aperta dalle 5.30 alle due di notte); circa 10 mila sono visitatori e gente che va a fare acquisti nell’ottantina di negozi e ristoranti della struttura.

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    Grand Central, 29 gennaio 2013 (EMMANUEL DUNAND/AFP/Getty Images)


    Il centenario della stazione, che ha una sezione del sito ufficiale dedicato, verrà celebrato con una lunga serie di eventi lungo tutto il corso del 2013. Oggi, per esempio, oltre a concerti e letture pubbliche nella stazione, alcuni negozi e ristoranti cambieranno i loro prezzi con quelli del 1913. Grand Central ha una pagina Facebook e un account Twitter molto attivo, che utilizza per postare informazioni sul centenario e fotografie.

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    Grand Central nel 1954 (AP Photo)


    Disastri e magnati
    Ma che cos’ha di particolare Grand Central, al di là dell’architettura e dei flash mob? Nella sua storia ci sono molte cose interessanti. L’enorme area su cui sorge tuttora, circa 200.000 metri quadrati d’estensione, venne comprata da Cornelius Vanderbilt (1794 – 1877) insieme alla New York Central Railroad intorno al 1860, durante le sue feroci battaglie per il controllo del traffico ferroviario tra New York e Chicago. Vanderbilt è uno dei personaggi più famosi della storia americana: il prototipo del self-made man, figlio di genitori poveri, che costruì un impero commerciale nelle spedizioni e nelle ferrovie fino a essere, al momento della sua morte, l’uomo più ricco d’America.

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    Due modelle vestite da Zio Sam vendono a Grand Central sigari incartati in foto dei candidati alla presidenza americana Ronald Reagan e Walter Mondale, 9 ottobre 1984 (AP Photo/Marty Lederhandler)


    Inizialmente dal Grand Central Depot – costruito nel 1871 da Vanderbilt, al costo di 6,4 milioni di dollari – non passavano molti passeggeri: la struttura iniziale serviva solo come deposito e stazione di passaggio. Ma la zona di Midtown, a Manhattan, andò incontro a una rapidissima espansione edilizia negli ultimi decenni dell’Ottocento, intorno alla stazione, che divenne così importante da diventare un terminal, cioè una stazione in cui i treni veri e propri terminano la corsa. I Vanderbilt sono ancora presenti a Grand Central, ad esempio in tutti gli orologi della stazione, che portano una piccola ghianda di ottone: un riferimento al simbolo della famiglia.

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    L’orologio in cima al banco informazioni di Grand Central, 31 gennaio 2013 (Mario Tama/Getty Images)


    La costruzione del nuovo Terminal, iniziato nel 1903, ha però la sua origine in una strage. L’epoca dei treni a vapore non era ancora terminata, anche se in diverse zone non erano più in uso: circolavano ancora nel tunnel di Park Avenue, però, e l’8 gennaio 1902 un treno si scontrò nella galleria piena di fumo uccidendo 15 persone e ferendone 38. Ci fu una reazione molto forte dell’opinione pubblica, che chiese che si passasse immediatamente ai treni elettrici. Una settimana dopo il disastro venne annunciato un piano per espandere il tunnel di Park Avenue e allargare la stazione Grand Central.

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    Grand Central, 28 gennaio 2013 (EMMANUEL DUNAND/AFP/Getty Images)


    Entro la fine dell’anno arrivarono i nuovi piani di massima: la vecchia stazione sarebbe stata demolita e al suo posto se ne sarebbe costruita una nuova, a due livelli, interamente servita da treni elettrici. Passando all’elettricità si sarebbe eliminato il fumo e il vapore che rendevano i treni e le ferrovie cittadine decisamente ingombranti e pericolose, e treni senza vapore erano la premessa per costruire due livelli di banchine uno sopra l’altro.

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    Il funerale del presidente americano John F. Kennedy trasmesso su un maxi-schermo a Grand Central, 25 novembre 1963 (AP Photo)


    L’idea più importante – non originale però, come sa chi ha letto la storia della metropolitana di Londra, che ha appena compiuto 150 anni – fu probabilmente quella di costruire le banchine di arrivo sottoterra, invece che adiacenti all’edificio della stazione. Anche i binari che conducevano alla stazione vennero spostati sottoterra e davanti alla stazione, al posto di un “muro” di 14 isolati costituito dalla ferrovia e su cui aleggiavano i fumi dei treni, si aprì il nuovo e largo Park Avenue come lo conosciamo adesso, cambiando l’urbanistica della zona e rendendola ben più ricercata per gli investimenti immobiliari. Grand Central diventò in pochi anni la stazione più trafficata degli Stati Uniti.

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    Sophia Loren a Grand Central, 20 giugno 1978 (AP Photo/Ron Frehm)


    Durante la Seconda guerra mondiale, i sotterranei della stazione, profondi una sessantina di metri, diventarono una specie di appendice dell’apparato di sicurezza americano: Franklin Delano Roosevelt ci fece costruire un binario segreto, il numero 61, su cui era parcheggiato permanentemente – e lo è tuttora, pesando 142 tonnellate – un vagone con cui avrebbe potuto lasciare la città in caso di pericolo (venne usato solo una volta, nel 1944, ma dalla stazione all’Astoria).

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    Una ragazza seduta davanti al banco delle informazioni di Grand Central, rimasto chiuso durante uno sciopero nel maggio del 1946 (Keystone/Getty Images)


    Il binario era collegato a una zona sotto l’hotel Waldorf Astoria. Nei sotterranei della stazione c’è anche l’M42, il punto più profondo accessibile sotto Manhattan, la cui esistenza è stata negata dai proprietari di Grand Central fino alla fine degli anni Ottanta.

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    Babbi Natale in fila alla biglietteria a Grand Central nell”ottobre del 2002 (Scott Gries/ImageDirect)


    Il misterioso spazio M42, che non compare neppure nei progetti originali, era semplicemente il luogo in cui si trovavano gli enormi generatori elettrici che fornivano l’energia ai 63 binari della stazione. Vista l’importanza decisiva della stazione come snodo di passaggio per l’esercito statunitense diretto in Europa, si decise di tenere segreta il più possibile il luogo dove si trovavano i generatori.

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    Grand Central il 18 maggio 1946 (AP Photo)


    Il momento più difficile per Grand Central arrivò dopo la guerra. Verso la fine degli anni Sessanta la stazione era decisamente un postaccio, dato che le autostrade e il trasporto aereo facevano parecchia concorrenza ai treni.

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    L’attrice tedesca Marlene Dietrich al suo arrivo a Grand Central da Hollywood, 7 marzo 1935 (AP Photo)


    Grand Central divenne un luogo di rifugio per centinaia di senzatetto, un luogo sporco e in stato di semi-abbandono. Si pensò quindi di demolirla – come avvenne per il vecchio edificio di Pennsylvania Station nel 1963 – ma nell’agosto del 1967 una nuova commissione per la conservazione dei monumenti storici della città dichiarò Grand Central un edificio storico, salvandolo dalla demolizione.

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    La statua di Mercurio sulla facciata di Grand Central e, sullo sfondo, il Chrysler Building, 31 gennaio 2013 (Mario Tama/Getty Images)


    Per diverso tempo, comunque, Grand Central continuò ad essere un posto dove non era molto piacevole stare: questo finché la Metropolitan Transportation Authority prese in gestione la stazione, nel 1994, avviando un enorme progetto di restauro della durata di 12 anni che ha rimesso a nuovo la stazione, al costo di oltre 160 milioni di dollari, per farla tornare più o meno come doveva essere stata il 1 febbraio di cento anni fa.

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    Grand Central, 9 gennaio 2013 (AP Photo/Kathy Willens)


    Un ultimo dato: la stazione è gestita dalla MTA ma è una proprietà privata. Il suo proprietario è il 52enne Andrew S. Penson, un investitore immobiliare di Manhattan che la rilevò nel 2006. MTA paga a Penson 2,24 milioni di dollari l’anno in affitto, con un contratto che scade il 28 febbraio 2274 ma ha un’opzione per l’acquisto della struttura e dei binari nel 2017.

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    La biglietteria di Grand Central nell’ottobre del 1946 (Keystone/Getty Images)
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    Grand Central in una foto non datata (AP Photo)
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    Grand Central deserta in vista dell’uragano Irene, 27 agosto 2011 (qui altre foto di New York deserta a causa della tempesta) (AP Photo/NY Metropolitan Transportation Authority, Marjorie Anders)






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