PARTITA A SCACCHI...LA VITA

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  1. gheagabry
     
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    ..........UNA PARTITA A SCACCHI........





    In principio era la scacchiera. E la scacchiera era vuota e
    monocromatica. E Dio divise la scacchiera in bianco e nero e chiamò il
    bianco “Case bianche” ed il nero “Case nere” e pose le case bianche e
    nere in ordine alternato. E così comandò: che la casa bianca dovesse
    sempre essere a destra, anche se le Genti non sempre obbedirono al suo
    Comando. E vide che ciò era buono.

    Ma la scacchiera era vuota e nessun pesce o gioco abitava le sue Case.
    E Dio creò i pedoni e li fece bianchi e neri. Ed Egli mise i pedoni
    bianchi ed i pedoni neri in due file, l’una di fronte all’altra, ma non
    troppo vicine, per conservare il centro libero per le future battaglie.
    Ed i pedoni divennero l’anima del gioco, ed Egli vide che ciò era bene.

    E per rinforzare gli angoli della scacchiera, Dio vi pose quattro
    possenti Torri, due bianche e due nere e ciascuna Torre stava al fianco
    dei pedoni del proprio colore. E le Torri vollero avvicinarsi e colpire
    le mura avversarie con le proprie possenti catapulte, ma Dio comandò
    fermamente: “Le Torri siano dietro ai pedoni” e le Torri obbedirono. Ed
    Egli vide che ciò era bene.



    Ed a fianco di ciascuna Torre, Egli pose un Cavallo, in scintillante
    armatura, a guardare l’entrata della Torre. Ed i Cavalli saltavano sopra
    i pedoni, avanti ed indietro, ma a Dio ciò non piacque. Ed Egli disse:
    “Si muova ogni pezzo una volta, prima che alcuno sia mosso due volte”.
    Ed i Cavalli vergognandosi, ritornarono ai loro posti dietro ai pedoni,
    al fianco delle Torri ed Egli vide che ciò era bene.

    Ed Egli nel suo infinito giudizio creò gli Alfieri, perché stessero al
    fianco dei Cavalli ad acclamare il suo Nome. E gli Alfieri erano deboli,
    poiché ciascuno di essi poteva muoversi solo di due case alla volta. Ma
    ecco che l’Avversario, il Nemico, Colui il Cui Nome Non Deve Essere
    Pronunciato, s’intromise nel progetto divino.



    E Colui il Cui Nome Non Deve Essere Pronunciato urtò leggermente il
    braccio di Dio ed ecco gli Alfieri poterono muoversi lungo qualsiasi
    numero di case sulla diagonale sulla quale giacevano. Ed un tal atto
    equilibratore quale quello perpetrato da Colui il Cui Nome Non Deve
    Essere Pronunciato mai s’era visto nell’intera storia della Creazione,
    giacché ora gli Alfieri ed i Cavalli, benché in tutto diversi gli uni
    dagli altri, ebbero forza assolutamente uguale. Molte furono le ore
    trascorse dagli studiosi in discussioni protratte fino a tarda notte,
    nel vano tentativo di stabilire quel dei due pezzi leggeri fosse
    all’altro superiore, ma mai s’intravide conclusione alcuna. E fu questo
    l’inizio della corruzione dell’Uomo per mezzo degli Scacchi. E Dio vide
    gli Alfieri al fianco dei Cavalli acclamare il Suo Nome e cantare la Sua
    Gloria e vide che ciò era, anche se non proprio perfetto, ancora del
    tutto accettabile.

    Ed allora Dio creò la Regina. E la Regina, essendo una vera Donna,
    iniziò la sua vita coordinando i propri colori. Prima ancora che Dio
    potesse aprire la Sua Divina Bocca per comandare alle Donne la loro
    posizione, la Dama Bianca si pose sulla Casa Bianca e la Dama Nera
    sulla Casa Nera. E così ristettero, orgogliose e solenni, alla massima
    distanza l’una dall’altra e solo un pensiero attraversò le loro regali
    menti: “Oh no, quella Donna indossa il mio stesso abito, spero che
    nessuno se ne accorga”. Ciononostante, le loro regali bellezze dettero
    ai pedoni un fine ultimo cui aspirare. E Dio vide che ciò era bene.

    E nel sesto giorno, Dio creò il Re. E il Re era il più grande tra tutti
    i pezzi e prese posto al centro e la grande croce sulla sua corona fu
    la sua Croce da portare. Perché tutti i pezzi amavano e proteggevano il
    loro Re e di buon animo donavano la propria vita nel suo nome, ma i
    pezzi dell’opposto colore odiavano il Re con altrettanta passione e
    volentieri avrebbero affondato i denti nella sua carne, onde farne
    scempio; ed anche lo sgozzamento e la disarticolazione non erano del
    tutto fuori discussione. E Dio vide che tutto ciò era un po’ rozzo, ma
    era ancora bene.



    E nel settimo giorno, Dio sedette a riposare e godere il frutto della
    Sua Creazione. E mentre osservava la scacchiera bianca e nera ed i
    pezzi creati con siffatta arte magistrale, Colui il Cui Nome Non Deve
    Essere Pronunciato si avvicinò a passi furtivi, sedette all’altro lato
    della scacchiera e con lingua traditrice e biforcuta, sibilò a Dio:
    “Una bella partitina a scacchi per passare il pomeriggio?”.

    “Be’, veramente volevo tenere da parte questo gioco come dono per
    l’Uomo”, rispose Dio.

    “Ma va là,”, disse Colui il Cui Nome Non Deve Essere Pronunciato, “ci
    facciamo appena una lampo, che male ne potrà mai venire?”

    “Cos’è una lampo?”, chiese Dio, grattando la Divina Testa.

    “È una partita veloce, giocata con l’uso di un orologio da scacchi”,
    spiegò Colui il Cui Nome Non Deve Essere Pronunciato.

    “Non ricordo di aver creato alcun orologio da scacchi”, disse Dio.

    “Mi sono preso la libertà di farne uno”, rispose Colui il Cui Nome Non
    Deve Essere Pronunciato, “Eccolo”.

    E Colui il Cui Nome Non Deve Essere Pronunciato pose l’orologio a fianco
    della scacchiera, lo caricò, regolo le lancette a cinque minuti e con
    un sonoro colpo avviò l’orologio del bianco. E Dio vide il Suo tempo
    andarsene ticchettando e quasi fu preso dal panico, ma non per molto.
    Ansioso di superare le sterili e desolate terre dell’Apertura di Donna,
    giocò 1.e4 ed avviò l’orologio del Diavolo.

    E il Demonio sorrise, nel rispondere con la propria mossa. Perché, si
    sa, molte sono le aperture e di esse ciascuna, a proprio modo, è stata
    toccata dalla mano di Dio e ciascuna possiede il proprio posto nel
    Disegno Divino. Tranne una. Ed il Diavolo scoprì i denti in un
    sogghigno, nello spingere il pedone c di una Casa, giacché la Caro-Kann
    viene dai più profondi recessi dell’Inferno; e fu così che giocò 1…c6.



    Ma l’Onnipotente non si può facilmente intimidire, giacché anche un male
    così violento come la Caro-Kann ha la sua cura. Dopo che 2.d4 d5 furono
    rapidamente giocate, Dio stese la Sua mano non a sviluppare un pezzo, ma
    per catturare il pedone nero centrale, 3.exd5, giacché l’attacco
    Panov-Botvinnik è la spada di giustizia cui spetta di lacerare cotanto
    nodo di disperazione e le varianti Classica e Avanzata giaceranno in
    rovine ai suoi piedi.

    E il Diavolo sbuffò alla prospettiva che le sue belle linee venissero
    superate. “Adesso ti becco io”, brontolò, agitando minacciosamente il
    suo forcone, mentre del fumo esalava dalle sue narici.

    “Tocca a te” Dio rispose imperturbabile, “E, per inciso, è vietato
    fumare in sala torneo”.
    E Satana riprese 3…cxd5 e gli angeli di Dio cantarono la gloria di
    Panov e Botvinnik dopo 4.c4, perché così sta scritto in “Ideas Behind
    Chess Openings“: “Una linea pericolosa, che ha quasi messo fuori gioco
    la Caro-Kann”.

    Ed alla quarta mossa, il Diavolo fu il primo a sviluppare un pezzo, con
    4…Cf6. Per non essere da meno, il Divino Ente balzo col suo equino,
    5.Cc3, cui rapidamente seguì 5…e6, e Dio sorrise. Benché fosse del
    tutto nota, Egli non era particolarmente ansioso di penetrare la fin
    troppo teorizzata linea con l’Alfiere nero in g4, ed era felice di
    vedere il suo Avversario chiudere la diagonale d’Alfiere. Giocò dunque
    6.Cf3, nell’attesa di un vantaggio d’apertura dopo la successiva c4-c5;
    ma Colui il Cui Nome Non Deve Essere Pronunciato aveva una sorpresa in
    serbo per Lui. E il Diavolo, in maniera propriamente diabolica, si
    sporse in avanti col proprio Alfiere, 6…Ab4, ed il Divino cuore ebbe
    un tuffo nell’accorgersi di essersi fatto incastrare a ricadere in
    quella stessa Apertura di Donna che aveva cercato di evitare fin dalla
    prima mossa. Ed il tempo ticchettava via dall’orologio di Dio, mentre
    Egli cercava di ricordare le continuazioni del Libro, con successo
    invero scarso, dato che il Libro ancora non era stato scritto ed il
    meglio che riuscì a trovare fu uno sviluppo banale e disispirato, 7.cxd5
    Cxd5 8.Dc2 Cc6 9.Ad3.



    E nuovamente Lucifero sorrise. Be’, osservò Dio, sicuramente questo
    Avversario sorride un sacco. Ma quel sorriso aveva in se’ una
    particolare violenza e malizia. Giacché il Demonio penetrò nel Divino
    territorio e colpì l’Onnipotente con un fulmine dal blu, anzi, in
    questo caso, dal nero: 9…Cxd4, e Dio fu sospinto indietro nel Suo
    scranno, giacché nemmeno remotamente aveva Egli prima considerato questa
    mossa. Non di meno, essa era stata giocata sulla scacchiera di fronte a
    Lui e spettava ora all’Onnipotente volgere al bene ciò che scaturiva da
    una brutta situazione. E dopo aver speso alcuni preziosi secondi del
    Suo orologio per riprendersi dalla sorpresa, Egli prese il Cavallo,
    giacché nulla di migliore c’era e le poche successive mosse forzate
    furono giocate rapidamente, 10.Cxd4 Cxc3 11.bxc3 Dxd4. Un pedone fu
    perso senza speranza, sì, ma nel settimo giorno Dio creò la
    Compensazione. Dopo 12.Ab5+ Re7 il Re dell’Avversario fu spossessato
    dell’Arrocco e bloccato al centro.

    E Dio si rivolse all’Avversario e disse: “Il tuo Re è spossessato
    dell’Arrocco e bloccato al centro”.

    Ed il Diavolo rispose compiaciuto: “Ho un pedone di vantaggio ed un re
    centralizzato è un grande vantaggio nel Finale”.

    E Dio rispose: “Penso che manchi qualcosa tra l’Apertura ed il Finale.
    Cosa potrebbe essere? Ah sì, penso che vi porrò il Mediogioco”.

    E Dio Arroccò, 13.0-0, e il Demonio scoprì i denti, accorgendosi che il
    suo vantaggio di materiale stava per essere raddoppiato e che avrebbe
    potuto cambiare le Donne. E il Diavolo prese il pedone, 13…Dxc3, e
    guardò speranzoso la Donna e la Torre in a1. Purtroppo per lui, era ora
    la volta di Dio di sorprendere l’Avversario. Senza un battito di ciglia,
    apparentemente incurante della sicurezza della Torre, giocò 14.Da4, ed
    il Diavolo comprese che la Torre era immune, e se fosse stato così
    sciocco da prenderla, il suo Alfiere sarebbe caduto con scacco, e
    l’Alfiere del Bianco sarebbe andato in b2, ed i riflettori si sarebbero
    spenti sulla Parte Oscura. Ciononostante, due pedoni devono pur contare
    qualcosa, pensò e cercò di consolidare con 14…Ad6 e Dio offrì uno
    scambio di adepti con 15.Af4. Ed entrambi gli Alfieri svanirono dalla
    scacchiera, stretti in un abbraccio mortale 15…Axf4 16.Dxf4.



    “Un po’ di legno è tornato in scatola, ne hai ancora abbastanza da
    accendere il fuoco?” chiese sarcastico il Diavolo, movendo la propria
    Donna per attaccare l’ultimo Alfiere superstite del bianco, 16…Dc5. E
    Dio prese mentalmente nota di creare dei pezzi in plastica e dare
    finalmente un taglio alla malacconcia metafora del legno. Non volendo
    perdere il Suo fedele servitore e benché questi non stesse più cantando
    la gloria di Panov e, ehm, quell’altro tizio, Dio spinse un pedone,
    17.a4, ma il Diavolo è ostinato. Voleva quell’Alfiere via dalla sua
    vista e nulla l’avrebbe fermato, nemmeno se questo avesse significato
    causare una tempesta, spianare una città o, in questo caso, avanzare
    leggermente un pedone, 17…a6. E benché Dio sapesse di dover muovere
    quell’Alfiere prima o poi, pena il vederlo perdersi, prese alcuni
    preziosi secondi del suo tempo per creare il Tempo, che subito usò con
    grande effetto in 18.Tac1, e la Donna Nera fuggì goffamente, 18…Df5, e
    ristette al fianco della sua bianca controparte.

    Le Regine si scambiarono gelidi ancorché cortesi cenni, mentre i loro
    padroni contemplavano il Cambio. Colui il Cui Nome Non Deve Essere
    Pronunciato teneva le dita incrociate (tutte e dodici) per lo scambio,
    mentre Dio cercava il modo migliore per evitarlo. Scacchi in h4 e b4
    danzarono di fronte ai suoi occhi e finalmente si presero posto nel
    Disegno Divino. Dapprima a destra, poi a sinistra, la Donna si mosse,
    come un pendolo ben lubrificato, 19.Dh4+ g5 20.Db4+ Rf6.

    Il Re dell’Oscuro Signore, benché stanco di correre, stava per prendere
    rifugio in g7, e lo stesso Signore Oscuro assaporava il vantaggio dei
    due pedoni, quand’ecco fu lanciato un colpo di proporzioni realmente
    divine, 21.f4. Il Demonio vacillò all’indietro, nel rendersi conto che
    il suo pedone in g5 sarebbe stato l’artefice della sua caduta,
    permettendo la decisiva apertura delle linee verso il proprio re. Ma,
    cominciando dall’inizio, bisognava affrontare per prima la minaccia
    Dd4+, ritirando il Re, 21…Rg7.

    “Sai”, sorrise Dio, “credo che mi piaccia questa faccenda del Tempo”. E,
    mantenendo il proprio Alfiere sotto attacco, giocò 22.Tc5. Il Diavolo
    grugnì e dette alla propria Donna un ultimo addio, senza il quale
    l’attacco del bianco dopo Txg5+ sarebbe risultato devastante. L’Alfiere
    ribelle fu alfine catturato, ma a caro prezzo, 22…axb5 23.Txf5 exf5.




    Senza più alcun ostacolo a porne in dubbio lo stile, la Dama Bianca
    poteva ora mettere da parte ogni pensiero negativo sulla propria ‘mise‘,
    e saltare liberamente per la scacchiera. Cosa che, ovviamente, non fece;
    perché le Donne, si sa, son così… trovano sempre qualche motivo per
    preoccuparsi. Se non è “Questo abito m’ingrassa?”, è “Non ho lasciato
    aperto il gas?” o “Sto per essere sacrificata?”, o qualcos’altro. Ma
    stiamo divagando.

    Mosse al centro ed il Divino Sorriso illuminò l’intera scacchiera,
    quando Egli giocò 24.Dd4+, e disse: “Ed ora, credo di possedere il
    vantaggio di materiale e la compensazione”.

    Il Diavolo sapeva essere la battaglia sulla scacchiera persa, ma
    continuò a resistere, perché qual mai Demonio avrebbe abbandonato la
    tenzone senza combattere? Senza grande interesse, ne’ astuti piani
    dietro ad esse, furono giocate le mosse 24…f6 25.fxg5 Tf8 26.axb5 Rg6,
    e la posizione del nero affondo nella più totale disperazione.

    “Non importa”, disse il Demonio, “posso sempre giocare veloce e vincere
    per il tempo. Tu, o Dio, sei troppo tenero. Vedi, abbiamo entrambi meno
    di un minuto. Non ne hai abbastanza per vincere”.

    “Ciononostante”, Dio si passò una mano nella barba, mentre giocava
    27.Dd6, “sembri aver scordato qualcosa”.

    “E cosa sarebbe?”, chiese il Diavolo con aria di sfida.

    “L’orologio potrà pur essere il tuo contributo al mondo degli scacchi,
    ma l’incremento è mio”, disse il Signore.

    Ed il Diavolo emise un urlo che scosse l’intero mondo dalle fondamenta,
    dacché si rese conto di aver avuto la peggio. Giocare con l’incremento,
    non importa quanto piccolo, non gli lasciava alcuna speranza di
    sconfiggere il suo avversario alla bandierina e lo svantaggio di
    materiale fu nuovamente determinante. Con un veloce moto della mano,
    spazzò i pezzi dalla scacchiera e scomparve in uno sbuffo di fumo. E
    Dio interpretò ciò, forse un po’ superficialmente, come un abbandono.

    E Dio era molto stanco ora, avendo dissipato le Sue energie in questa
    celestiale battaglia. Ed Egli convocò presso di Se’ l’Arcangelo
    Gabriele e l’Arcangelo gli portò una bevanda energetica, di quel tipo
    che, molti anni dopo, sarebbe stato associato alle parole “Efficacia
    provata“. E Dio ne bevve, e stette bene.

    Ed Egli disse a Gabriele, “Be’, questa è andata. Ma credo di dover
    creare qualcosa di un po’ meno stancante, la prossima volta”.

    “Eccellente idea, Vostra Onnipotenza”, rispose Gabriele. “Posso
    suggerire il Mah-Jonng?”



    FINE




    (scacchi.wordpress.)
     
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  2. gheagabry
     
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    Un giorno la paura busso' alla porta, il coraggio ando' ad aprire e non trovo' nessuno.
    (Martin Luter King)




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  3. gheagabry
     
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    LA VITA MORTALE DEI FATTI

    Tutto ha una scadenza



    [..]A un certo punto i fatti non sono più tali. Se si prendono le riviste scientifiche di anni (o secoli) fa si leggono cose come: il fumo fa bene alla salute, in un’alimentazione sana non può mancare molta carne, Plutone è una stella, la connessione Internet più veloce è a 56k, il linguaggio della scienza è il latino, la Terra ha 2miliardi di abitanti. «Il nostro mondo è in flusso costante, le nostre conoscenze cambiano di continuo, persino i più informati faticano a starci dietro», riconosce Sam Arbesman all’inizio del suo libro The Half-life of Fact: Why Everything We Know Has an Expiration Date (Current/Penguin, uscito il 27 settembre 2012). «Tutto quello che sappiamo ha una data di scadenza» è la sintesi di Arbesman. Come gli yogurt? No, le cose non sono così semplici. Il giorno in cui i fatti vanno a male non è stampato sull’etichetta. Per questo abbiamo la sensazione di rimanere schiacciati dal continuo mutamento. Lo studioso ci invita a non scoraggiarci: «C’è un ordine nel continuo cambiamento. Un ordine regolare e sistematico che può essere descritto dalla scienza e dalla matematica».

    Più che agli yogurt dobbiamo pensare agli isotopi. «La conoscenza è come la radioattività», scrive Arbesman. Se osserviamo un singolo atomo di uranio, non siamo in grado di prevedere quando avverrà il suo decadimento. Possiamo sederci lì e aspettare, non cambia molto, potrebbe avvenire nel secondo successivo o dopo milioni di anni. Non possiamo saperlo. Ma se prendiamo un pezzo di uranio, composto da trilioni e trilioni di atomi, ciò che era imprevedibile diventa prevedibile. Sappiamo come gli atomi di uranio si comportano quando sono aggregati. Presi a gruppi, gli atomi di uranio sono molto prevedibili. Se siamo abbastanza pazienti, vedremo decadere l’uranio in 704 milioni di anni. Una cifra definita e nota. È il periodo di decadimento dell’uranio. La half-life del titolo sta proprio per questo: è il termine usato in fisica per indicare il tempo di dimezzamento, o emivita, di un campione puro di un isotopo. Per capire quando arriva non ci basta considerare un singolo fatto, dobbiamo guardare al corpus di conoscenze che lo circonda.

    I fatti sono materiale radioattivo, hanno un tempo di dimezzamento. Un periodo dopo il quale decadono, cessano di essere fatti. Per maneggiarli abbiamo bisogno di una scienza che misuri come cambiano le nostre conoscenze.[...] Abbiamo anche a disposizione un modo semplice per organizzarli, senza farci sconcertare dai cambiamenti: in base alla velocità con cui cambiano. «Immaginiamo di avere tutti i fatti del mondo allineati — continua Arbesman — ordinati a seconda della frequenza con cui cambiano. A un’estremità avremo i fatti che cambiano velocemente». Sono quelli che troviamo per esempio allineati all’inizio del volume Politica in Italia. I fatti dell’anno e le interpretazioni, a cura di Anna Bosco e Duncan McDonnell (Il Mulino, 2012). «A Vasto nasce la nuova alleanza di centrosinistra», «La Borsa di Milano perde il 3,71%», «Marcegaglia, presidente di Confindustria», «Il ministro dell’Agricoltura, Saverio Romano». Esattamente un anno fa erano fatti, ora non lo sono più.

    All’estremo opposto della linea abbiamo invece i fatti che cambiano molto lentamente: il numero di dita di una mano o il numero dei continenti, per esempio. In mezzo c’è tutto il resto: fatti che cambiano, ma non così in fretta. Ci possono volere decenni o una vita intera. Il numero degli abitanti della Terra, il numero dei pianeti del Sistema solare. Arbesman li battezza mesofatti. Fatti di media durata. Costituiscono il grosso della nostra conoscenze. Per esempio tutta la conoscenza tecnologica è fatta di mesofatti: dalla durata del tragitto Milano-Roma in treno, al supporto più capiente per i nostri dati — dal floppy disk al cloud. Un giorno da Rogoredo a Tiburtina ci metteremo ancora meno di due ore e 45 minuti, e per i nostri file avremo qualcosa di meno ingombrante di una nuvola. Saperlo prima ci aiuta a prepararci a quel momento. «I fatti ci danno un senso di controllo e di conforto, e quando scadono ci sentiamo persi — riconosce Arbesman —, ma la scadenza non è arbitraria, se impariamo a riconoscere le regolarità saremo meglio preparati ad affrontare i rapidi cambiamenti che ci attendono».

    Antonio Sgobba



    corriere, lettura
     
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  4. gheagabry
     
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    La teoria della carezza


    La Teoria Delle Carezze elaborata da una donna da cui molto probabilmente ho ereditato il fondo dolciastro del mio carattere: mia nonna materna, Adalgisa.
    Gliela sentii dire, quella teoria, quando avevo più o meno dodici anni e il sangue che mi colava dal naso dopo aver dato una nasata al pugno di uno dei miei sette fratelli (a casa mia non si litigava spesso, ma quando succedeva, potevi essere sicuro di due cose: uno – la rissa era epica, e due – se c’ero di mezzo io, ero io quello che le prendeva).
    La teoria consisteva in questo.
    Ogni giorno riceviamo una carezza in dono (nella versione di mia nonna il dono arriva dal buon Dio, ma la teoria resiste anche senza risvolti religiosi) che come un velo invisibile e sottilissimo si posa sul palmo della nostra mano. Questo velo scompare nel momento in cui viene utilizzato, cioè nel momento in cui la carezza viene data, in qualche modo passata, a qualcuno. Se invece la carezza non viene data, quel velo impercettibile rimane lì sul palmo della mano e il giorno dopo a quel velo se ne aggiunge un altro, diventando un po’ più percettibile. Il giorno dopo se ne aggiunge un altro di velo, e il giorno seguente ancora uno. E così, carezza dopo carezza, quei troppi veli accumulati cominciano ad appesantire le mani, ne irrigidiscono i movimenti, tutte quelle carezze impilate una sull’altra si “solidificano”, e la carezza non è più capace di essere carezza: sa solo essere schiaffo.
    Dunque, secondo questa teoria, la carezza deve diventare un’abitudine quotidiana. Perché essere gentili, per quanto appaia semplice, non è una cosa naturale, ma qualcosa da tenere in costante allenamento. Così l’avevo capita quando mi era stata detta quella volta. Solo più tardi, non più da bambino ma da adulto, compresi che c’era qualcosa ancora di più forte in quella teoria. E cioè che la violenza non è altro che gentilezza anchilosata, detriti di bontà non manifestata, buone intenzioni troppo a lungo rimandate.
    A guardarla da questa prospettiva, la piuma è più forte del ferro. Perché la leggerezza precede la pesantezza. Che significa che se la piuma decide di restare piuma, il ferro non sarà mai ferro.

    - LORENZO DE RITA -






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    Guarda…noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia e loro restano li', precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla..... un orma, un segno qualsiasi....niente! Il mare cancella di notte…La marea nasconde.E' come se non fosse mai passato nessuno….E' come se noi non fossimo mai esistiti…Se c'è un luogo, al mondo, in cui puoi non pensare a nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. E' tempo....tempo che passa… e ogni giorno possiamo riiniziare ….di nuovo camminare... (dal web)

     
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    (dal web)

    "Il mondo non languirà mai per mancanza di meraviglie,
    ma soltanto quando l'uomo cesserà di meravigliarsi"
    (G.K. Chesterton)

     
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    Photo by MG, JUZAPHOTO



    L'uomo non trionfa mai del tutto, ma anche quando la sconfitta è totale quello che importa è lo sforzo per affrontare il destino e soltanto nella misura di questo sforzo si può raggiungere la vittoria nella sconfitta.
    (Ernest Hemingway)

     
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  8. gheagabry
     
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    Il "Ponte del Diavolo" a Rakotzbrück in Germania costruito nel 1860.
    Scattohttp://alicosar.com/


    “La magia è un ponte
    che ti permette di passare dal mondo visibile in quello invisibile.
    E imparare le lezioni di entrambi i mondi.”
    (Paulo Coelho)

     
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  9. gheagabry
     
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    Un universo così infinito e così vasto, che procede così dolcemente e in modo tanto armonico, è una prova sufficiente che deve esistere un flusso sotterraneo che collega ogni cosa, che unisce tutte le cose, che connette il Tutto... noi non siamo isole, e il più piccolo filo d’erba è collegato alla stella più grande. Distruggi un filo d’erba, e avrai distrutto qualcosa che per l’intera esistenza ha un valore immenso. Nell’esistenza non c’è alcuna gerarchia, non c’è nulla di piccolo e nulla di grande. La stella più grande e il più piccolo filo d’erba esistono entrambi su un piano di uguaglianza. [...] ... Qualsiasi cosa accada in questa esistenza, accade sempre nel modo giusto. Non accade mai nulla di sbagliato. Forse a te sembra sbagliato perché hai un’idea precisa di cosa sia il giusto, ma quando guardi senza pregiudizio, nulla è sbagliato, tutto è giusto. La nascita è giusta, la morte è giusta. Il bello è giusto, il brutto è giusto. ..Ma non siamo in grado di vedere il Tutto: vediamo sempre e solo una piccola parte. Assomigliamo a una persona che si nasconde dietro una porta chiusa e guarda la strada dal buco della serratura. Certo, continua a vedere qualcosa... qualcuno cammina, una macchina sta passando... un minuto fa non c’era, è presente per un attimo, e dopo un istante è scomparsa per sempre. Allo stesso modo, noi guardiamo l’esistenza: diciamo che qualcosa è nel futuro, poi diventa presente, e poi se ne va nel passato…Di fatto, il tempo è un’invenzione umana. È sempre qui e ora! L’esistenza non conosce passato, né futuro: conosce solo il presente; ma noi siamo seduti dietro al buco di una serratura e guardiamo da lì. Una persona non c’è, poi compare all’improvviso; poi, così come è apparsa, in un baleno sparisce. …Per questo continuiamo a chiedere come mai nel mondo vi è infelicità, come mai c’è questo e quest’altro... perché? Se si riesce a guardare il Tutto, questi interrogativi scompaiono completamente. E per guardare il Tutto, dovrai uscire dalla tua stanza, dovrai aprire... la porta, dovrai abbandonare questa percezione tanto ristretta….Questo è la mente: un buco di serratura, ed è un buco piccolissimo. Paragonati alla vastità dell’universo, cosa sono i nostri occhi, le orecchie, le mani? Cosa possiamo afferrare? Nulla di gran rilievo. E noi ci aggrappiamo disperatamente a quei minuscoli frammenti di verità. Se vedi il Tutto, tutto è come dovrebbe essere……(Osho)

     
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  10. gheagabry
     
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    julie poncet

    Un sogno.
    Il respiro stretto,
    il mondo che non va,
    il mio cuore gonfio
    come non mai.
    Lacrime,
    nient’altro che lacrime.
    Nuvole, neve,
    tuoni e tempesta;
    nulla è verde,
    nulla è vivo.
    Estate, primavera,
    cosa sono?
    Autunno, inverno,
    quando arriveranno?
    Il grigio si confonde
    con il nero,
    vince il dolore.
    Ma…
    Cosa sono queste piume?
    Questo calore che mi afferra!
    Non capisco…
    Cadevo,
    ed ora vado verso l’alto.
    …il mio sogno,
    questa la mia storia e
    la vera realtà.
    (Icehotheart)

     
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  11. gheagabry
     
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    scatto di Olga Viarenich, JUZAPHOTO

    Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi
    in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi.
    (Italo Calvino)

     
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  12. gheagabry
     
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    Il vecchio e il cavallo




    C’era una volta, in un villaggio, un vecchio. Era molto povero, ma anche i re erano invidiosi di lui perché aveva un meraviglioso cavallo bianco.
    Un cavallo come quello non era mai stato visto: aveva bellezza, portamento, forza. I re, per quel cavallo, erano disposti a pagare cifre favolose. Ma il vecchio rispondeva:
    "Questo cavallo, per me non è un cavallo, è una persona. Come si può vendere una persona? E’ un amico e non una cosa. Come puoi vendere un amico?"
    Il vecchio povero com’era, avrebbe avuto tutte le tentazioni per arricchirsi, ma non vendette mai il cavallo. Un giorno, improvvisamente, scoprì che il cavallo non era nella stalla. La gente del villaggio si riunì e gli disse:
    "Stupido vecchio, sapevamo che alla fine il tuo cavallo sarebbe stato rubato. Tu, così povero, come potevi proteggere una cosa così preziosa? Sarebbe stato meglio venderlo prima, avresti realizzato qualunque cifra avessi chiesto. Adesso il cavallo è andato: è una maledizione, una sfortuna."
    Il vecchio rispose: "Non andate troppo lontano, semplicemente dite che il cavallo non è nella stalla. Questi sono i fatti, ogni cosa in più è un giudizio. Se sia una sfortuna o no, come potete saperlo? Come giudicate?"
    La gente disse: "Non prenderci in giro. Noi, certo, non siamo grandi filosofi, ma qui il filosofo non serve. Il fatto è che il cavallo non è nella stalla e questa è una disgrazia".
    Il vecchio disse: "convengo che la stalla sia vuota e il cavallo scappato. Non so altro, non posso dire se sia una benedizione o una sfortuna. Quello che so è solo un frammento. Chi conosce come proseguirà questa storia?"
    La gente rideva: lo credeva pazzo. Solo un pazzo rinunciava alla fortuna, per vivere miseramente alla giornata, tagliando legna nel bosco. Dopo quindici giorni, una notte, improvvisamente, il cavallo ritorno nella stalla. Non era stato rubato, era semplicemente corso via libero, verso la prateria. Non solo era tornato, ma con sé aveva condotto anche una dozzina di cavalli selvaggi. Di nuovo la gente si riunì e disse: "Vecchio, avevi ragione tu, e noi torto. Non è stata una disgrazia, ma una benedizione. Ci dispiace di aver sbagliato".
    Il vecchio rispose: "Ancora una volta state correndo. Dite soltanto che il cavallo è nella stalla e che altri dodici cavalli sono venuti con lui. Non giudicate. Chi sa se questa è una benedizione o no? E’ solo un frammento. Fino a che non si conosce l’intera storia, come si fa a giudicare? Potete leggere una pagina di un libro e giudicare tutto il libro? Potete leggere una frase di una pagina e giudicare l’intera pagina? Potete leggere una sola parola di una frase e giudicare tutta la frase? Ma anche una sola parola ha un significato così vasto… Nessuno sa se è una benedizione. Io sono felice di non giudicare: non disturbatemi!"
    Questa volta la gente non lo criticò apertamente, il vecchio poteva avere ragione anche questa volta. Ma dentro, pensava ai 12 cavalli che, dopo breve addestramento, sarebbero stati venduti, con notevole profitto.



    Il vecchio aveva un figlio unico che cominciò a addestrare i cavalli selvaggi. Una settimana più tardi, cadde da cavallo mentre cercava di domarne uno e si ruppe le gambe.
    Di nuovo la gente del villaggio si radunò e disse: "Avevi ragione ancora una volta. Non è stata una benedizione, ma una disgrazia. Il tuo unico figlio ha perduto le gambe. Alla tua età era l’unico tuo sostegno. Adesso sei più povero che mai".
    Il vecchio rispose: "Siete ossessionati dai giudizi. Non correte. Dite solo che mio figlio ha le gambe rotte. Chi sa se si tratta di disgrazia o fortuna, nessuno lo sa! Ancora un frammento, nient’altro vi è stato dato. La vita viene per frammenti, il giudizio riguarda la totalità".
    Accadde che, dopo qualche settimana, il paese entrasse in guerra contro la nazione confinante e tutti i giovani furono costretti ad arruolarsi e a partire. Solo il figlio del vecchio, avendo le gambe rotte, fu risparmiato.
    La gente si riunì, gridando e piangendo, perché da ogni famiglia un giovane era stato portato via. Senza speranza di ritorno, destinati a morte certa, perché il paese che stavano attaccando era molto più forte e la disfatta assicurata.
    "Avevi ragione, vecchio" dissero le persone riunite ancora una volta. "Dio sa, e questo prova che era una benedizione. I nostri figli non ritorneranno, tuo figlio, tra breve, ritornerà a camminare e starà ancora con te!"
    Rispose il vecchio: "E’ impossibile discutere con voi che giudicate, giudicate e ancora giudicate. Nessuno sa! Dite soltanto che i vostri figli sono stati costretti a partire e mio figlio no! Ma nessuno sarà mai in grado di dire se è una benedizione o una disgrazia. Solo Dio sa! E quando si dice solo Dio sa, si intende l’Assoluto sa. Non giudicate, altrimenti non sarete mai in grado di comprendere...
    (dal web)



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  13. gheagabry
     
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    Greg Mort


    "Tira il freno a mano e salta giù, f
    allo per te, soltanto per te...
    In te c'è molto più di quanto credi,
    fa' di ogni momento il tuo momento ....."

    ("Stanotte il cielo ci appartiene", Adriana Popescu)


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  14. gheagabry
     
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    scatto da http://cooldigitalphotography.com

    “Prometto di essere umano, incoerente, di dire la parola sbagliata,
    la frase sbagliata, persino il testo sbagliato,
    di agire senza pensare.
    Prometto di capire, prometto di volere, prometto di crederci.
    Prometto di insistere, prometto di lottare, di scoprire,
    di imparare, di insegnare.
    Tutto questo per dirti che prometto di sbagliare.”
    (Pedro Chagas Freitas)


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  15. gheagabry
     
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    Vyacheslav Mishchenko


    Capita che la notte e il giorno abbiano lo stesso colore..
    Capita che guardare negli occhi sia una rivelazione
    e una stretta di mano regali emozione,
    che nel giorno più nero ritrovi il colore e risplende quel sole anche se fuori piove…
    Capita un incontro casuale e la facciata della vita diventa un'altra,
    un'altra storia e la pagina si riempie sola…
    A volte capita che il sogno divenga realtà
    e che guardando avanti la meta non è poi così lontana e come il volo di una coccinella..
    si trovi ora sul palmo della propria mano…Capita...
    (S.Peluso)

     
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89 replies since 4/8/2011, 19:05   2077 views
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