CUCINA VENETA

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    Cucina veneta






    La cucina veneta si basa su sapori delicati ma molto vari, che trovano le loro radici nella storia e nella conformazione geografica della regione. I prodotti che caratterizzano i piatti principali sono i quattro elementi costituiti da riso, polenta, baccalà e fagioli.

    Il riso in Veneto è cucinato in quaranta differenti maniere: proviene dalle regioni arabe, con cui la Repubblica di Venezia era in stretto contatto commerciale e si comincia a coltivare a partire dal 1500 nelle pianure del veronese, dove tuttora viene prodotta la varietà vialone. Questa qualità di riso ha un sapore particolare, dettato probabilmente dalla natura del terreno alcalino in cui cresce e le acque calcaree: in queste condizioni i coltivatori limitano al massimo l’utilizzo di concimi e sostanze artificiali, e la salubrità del prodotto è eccezionale.




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    Tra i piatti principali legati al riso, si ricordano il risi e bisi e il risi e figadini, due minestre a base rispettivamente di piselli teneri e carne di pollo; tra i risotti invece sono celebri quelli di pesce, a base di pollo come il rovinassi, oppure quelli che hanno come ingrediente principale i fagioli e le lumache.




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    Mentre i fagioli iniziano la loro diffusione contemporaneamente al granturco, è interessante raccontare come si sviluppa la coltura del mais. La polenta, che è uno dei quattro cardini della cucina veneta, si prepara appunto partendo dalla farina di mais, pianta che è giunta nella Repubblica Serenissima nel 1500 come imposizione locale ai coltivatori, nonostante i contadini fossero restii alla sua produzione: addirittura in altre regioni come la Lombardia, la coltivazione del mais fu introdotta solo dopo la peste del 1600 per arginare i danni della carestia.

    Il baccalà o stoccafisso, ha la sua provenienza dai mari settentrionali ed ha un’introduzione ancora posteriore: viene servito sulle tavole venete tutto l’anno, come aperitivo, primo, secondo, accompagnato da salse, creme o anche la polenta. Il baccalà alla vicentina è preparato in diverse varianti che utilizzano il latte, le patate ed altre verdure: la parte che non cambia, è la cottura di almeno due ore.

    Intorno a questi punti fermi della gastronomia del Veneto, al di là dei commerci e in virtù del solo lavoro dell’uomo, ecco tanti altri prodotti locali, apprezzati quanto diffusi. Per prima cosa si ricordano i salumi, i formaggi e tutti i prodotti derivati dal latte, ma in particolare, tra i prodotti dell’orto, l’ottimo radicchio che sta alla base di rinomate ricette, come il risotto al radicchio trevigiano, il radicchio cotto al forno ed il radicchio fritto.

    L’unica pasta davvero tipica di questa regione, è rappresentata dai bigoli, la cui preparazione è storicamente legata all’operato dell’uomo, più che della massaia, per la forza fisica che richiede nella preparazione originaria in casa. I bigoli sono una sorta di spessi spaghetti realizzati con l’utilizzo di un torchio azionato a mano, la cui superficie è particolarmente ruvida ed adatta a trattenere i sughi.

    Il fatto che Venezia sia stata un’importante Repubblica marinara, spiega la diffusione delle spezie, ampiamente utilizzate in cucina e nel passato anche strumento per la conservazione degli alimenti: pepe e cannella, ma anche chiodi di garofano e uvette, sono parte integrante di molti piatti, in tutte le province della regione.

    Tutti questi elementi, autoctoni e d’importazione, svelano i motivi della varietà e del gusto di tutta la gastronomia del Veneto, forte di un sapore tradizionale che mai eccede nel dolce e nel salato. Un piatto che ben rappresenta questo equilibrio sono le sarde in saor, dove il pesce viene fritto e poi condito con aceto, pinoli, uvetta e cipolle abbrustolite. Questa preparazione è applicabile non solo con le sarde ma altri tipi di pesce, che in questo modo può essere consumato anche nell’arco di diversi giorni.

    Un altro piatto storico è l’oca in onto, dove la carne si conserva nell’olio, insieme ad aglio, rosmarino, sale e pepe, cucinata dapprima lentamente in modo da fare uscire la maggior parte del grasso; ultimata la cottura la carne si priva della pelle e va tagliata a pezzetti, e si può conservare in barattoli di vetro riempiti a strati dal grasso colati, anche per dei mesi.

    Tra i dolci più legati alla tradizione, oltre la torta sabbiosa, vanno certo ricordati gli zaletti alla veneziana, il cui nome richiama il colore giallo della farina utilizzata per la loro preparazione o la forma del gallo che viene spesso realizzata con la pasta: la ricetta originale è molto semplice, e si basa su acqua tiepida, farina, lievito e glassa, con l’ingrediente burro opzionale.

    Un altro dolce molto diffuso, sono gli spiedini Golosessi: in un bastoncino di legno vengono infilzati uno dopo l’altro fichi secchi, noci, albicocche, precedentemente immerse nello zucchero caramellato. L’origine di questo particolare dessert non è confermata, ma in Cina c’è l’abitudine di consumare un dolce molto simile.

    La cucina veneta ha una particolarità: a differenza di quello che succede con alcuni piatti di altre regioni, come l’Emilia Romagna e la Campania, (dove piadina e pizza sono esportate e famose in tutto il mondo, seppur con risultati non sempre assimilabili all’originale), la gastronomia del Veneto si può gustare solo in loco. Questo garantisce un’unicità e genuinità straordinarie.



    fonte venetocucinaregionale





    Cucina Veneziana







    <p align="center">Alcuni piatti tipici della cucina veneziana sono:

    risi e bisi: piatto povero ma molto gustoso: è un semplice risotto con pisellini cotti in tegame dopo aver appassito abbondante cipolla, quindi conditi con prezzemolo, sale e pepe.
    sarde in saor: sardine fritte, immerse nella cipolla appassita a fuoco lento nello stesso olio in cui si sono fritte le sarde, se rimasto chiaro, uvetta e pinoli (la tradizione li vuole solo d'inverno per aumentarne le calorie), e annaffiate con abbondante aceto allungato con poca acqua. Con le cipolle così ottenute si coprono le sarde messe in una terrina. Si lascia il tutto a macerare almeno due giorni
    moéche: piccoli granchi verdi della specie Carcinus maenas, quando sono arrivati al culmine della fase di muta e quindi molli, vengono fritti. Le moéche sono molto preziose perché la fase di muta nell'acqua salmastra delle laguna dura poche ore, la corazza torna subito dura e ritornano a essere chiamate masenete
    risotto de gò: risotto preparato con il ghiozzo (Gobius ophiocephalus), detto gò, pesce tipico della laguna veneziana
    fegato alla veneziana: fegato di vitello cotto con cipolle bianche, olio extravergine d'oliva e un goccio di vino bianco verso fine cottura
    pasta e fazioi: minestra di fagioli con pasta (tipicamente pasta lunga ruvida spezzata, del tipo chiamato "signorine" o "reginelle")
    poenta e schie: piccoli gamberi di laguna (grigi da crudi, grigio-marroncini da cotti), fritti e adagiati su di un letto di polenta gialla morbida. SOlo recentemente servite con una polenta talmente liquida da dover essere raccolta col cucchiaio, che contrasta in pieno con quella tradizionale veneziana che viene tagliata sul tagliere con una gugliata di filo.
    sepe col nero: seppie cucinate in tegame con olio, aglio, prezzemolo, vino bianco e l'aggiunta del proprio inchiostro. Ottima anche la variante con conserva in tubetto (triplo concentrato di pomodoro).
    Tra i dolci si possono citare le fritole, i baicoli, i xaeti, la pinsa, i crostoli, la fugassa, e gli "spuncioti de caramel": frutta secca o essiccata con qualche chicco d'uva infilata in spiedini di legno e immersa in zucchero caramellato







    Fegato alla venziana con polenta bianca di mais Biancoperla






    Sarde in saor






    Saor, saòr o savòr, antica ricetta veneziana a base di cipolle in agrodolce.

    Le origini

    In particolare era il metodo di conservazione che usavano i pescatori veneziani i quali avevano l'esigenza di tenere il cibo a bordo per molto tempo o comunque il più a lungo possibile. Una volta cotte le cipolle con aceto e olio, si posavano a strati intermezzati da sarde fritte in contenitori di terracotta. Col passare del tempo la ricetta ha acquisito tonalità gustative più "aristocratiche"; fu aggiunta infatti l'uva sultanina che serviva a favorire la digestione e ad addolcire bocca e alito dei suoi degustatori, con risvolti relazionali comprensibili. La ricetta moderna prevede anche i pinoli. Visto che i pescatori mangiavano le sarde in saor dopo che era passato molto tempo dal momento della loro preparazione, assaporavano le tonalità di gusto e aroma del prodotto non più fresco; quello rimase però il loro colore gustativo "vero". Per questo motivo, ancora oggi, quando si preparano le sarde in saor, è buona norma consumarle almeno dopo un giorno di assestamento.

    La ricetta

    Tagliate le cipolle finemente e mettetele ad appassire per una mezz'ora in olio dopo aver salato, spolverato con un cucchiaio colmo di zucchero ed irrorato con mezzo bicchiere di aceto bianco. Mentre le cipolle cuociono, infarinate le sarde (fresche) già pulite e friggetele, senza spianarle, in olio di oliva o strutto. Quando tutto sarà pronto, stendete in una terrina uno strato di cipolle, poi uno di sarde, e continuate fino alla fine, avendo cura di terminare la preparazione con le cipolle. Coprite la terrina con carta forno o pellicola trasparente e tenetela per un giorno in un luogo fresco, anche in frigo ma nel reparto con la temperatura meno fredda.







    Sarde in saor






    Baicoli






    « No gh'è a sto mondo, no, più bel biscoto, più fin, più dolse, più łisiero e san par mogiar ne ła cìcara o nel goto del baìcoło nostro venessian »
    « Non c'è a questo mondo, no, più bel biscotto, più sottile, più dolce, più leggero e sano da intingere nella tazzina o nel bicchiere del baicolo nostro veneziano »


    I baìcoli sono biscotti tipici di Venezia, venduti in tradizionali scatole gialle di latta. Consistono in sottili fette tagliate da un piccolo panetto allungato, lasciate accostate nella posizione originale.

    Secondo alcune fonti il nome deriverebbe da quello locale del cefalo di taglia minuta. Nel “Dizionario del dialetto veneziano” pubblicato nel 1856, Giuseppe Boerio, descrisse il baicolo come segue: “Pasta reale condita di zucchero, spugnosa, biscottata, che s’inzuppa nel caffè o simili bevande. Dicesi baicolo per similitudine, benché grossolana, alla figura dei piccolissimi cefali, chiamati appunto Baicoli”.

    Tali biscotti hanno la caratteristica di conservare a lungo la fragranza quando sono conservati opportunamente in scatole di latta, pertanto potevano essere portati in mare e consumati durante i lunghi viaggi delle navi veneziane.

    Tradizionalmente, essendo molto secchi, erano serviti con caffè e zabaione nei quali potevano essere intinti.

    La preparazione, che è lunga e laboriosa, prevede due momenti di lievitazione e una doppia cottura in forno.







    Baicoli







    Fritole






    La frìtoła (in italiano Frittella) è il dolce tipico del carnevale di Venezia e, con alcune varianti, di tutto il Veneto; con il nome di fritulis si trovano anche frequentemente in Friuli. Per tradizione le frìtole si preparano dal 7 gennaio, ovvero con il tradizionale inizio del periodo carnescialesco. Le frìtole vengono inoltre preparate anche nei giorni di metà quaresima. Le frìtole veneziane tradizionali, preparate con una pastella di farina, uova, latte e zucchero, uvetta sultanina, pinoli, fritte e servite con una spolverata di zucchero semolato.

    Le tipiche fritole veneziane hanno una dimensione che non supera i 4 cm di diametro e sono vuote, quelle ripiene sono, invece, simili ai Krapfen austriaci, e si trovano in molte differenti varieta, l'interno può essere con diversi tipi di creme o marmellate.







    Fritole



    Edited by tappi - 6/8/2011, 21:20
     
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    Che cos'è la robiola?


    robiola



    La Robiola è un formaggio italiano a pasta molle prodotto con latte vaccino, caprino ed ovino, anche misti in proporzione variabile.
    Le caratteristiche della robiola variano a seconda della regione e la forma può essere cilindrica o quadrata. Ha sapore acidulo e delicato ed è facilmente spalmabile.
    La Robiola di Roccaverano è a marchio DOP Denominazione di Origine Protetta dal 1979. Viene prodotta in alcuni Comuni della Provincia di Asti (Bubbio, Cessole, Loazzolo, Mombaldone, Monastero Bormida, Olmo Gentile, Roccaverano, San Giorgio Scarampi, Serole e Vesime), della Provincia di Alessandria (Castellette d'Erro, Denice, Malvicino, Merana, Montechiaro d'Acqui, Pareto, Ponti, Spigno Monferrato) ed il territorio del Comune di Cartosio.
    La Robiola di Roccaverano ha origini molto antiche: alcune testimonianze la fanno risalire al periodo celtico-ligure, in seguito raccontato da Plinio e Pantaleone, che ne apprezzarono le qualità e ne illustrarono il ciclo produttivo.
    E' l'unico formaggio DOP italiano che può essere prodotto:

    esclusivamente con latte caprino

    con latte caprino e vaccino

    con latte caprino e ovino

    Deve comunque essere sempre presente almeno il 50% di latte di capra, il restante 50% può essere latte di pecora o di vacca.
    Per la produzione della Robiola di Roccaverano si utilizza latte crudo intero di capra delle razze Roccaverano e Camosciata Alpina e loro incroci, di pecora di razza Pecora delle Langhe e di vacca delle razze Piemontese e Bruna Alpina e loro incroci, proveniente esclusivamente dall’area di produzione da mungiture consecutive, effettuate tra le 24 e le 48 ore.
    L'alimentazione base degli animali deve essere costituita da foraggi verdi o conservati e deve provenire dalla zona di produzione per una quota percentuale superiore al 80%. Il disciplinare vieta l'utilizzo di mangimi OGM.


    Ciclo di produzione della Robiola di Roccaverano
    Il latte, eventualmente inoculato con culture di fermenti lattici naturali ed autoctoni dell’area di produzione, viene addizionato con caglio di origine animale non prima che sia iniziato il processo di acidificazione e ad una temperatura compresa tra i 18°C e i 24°C e asciato a riposo, alla stessa temperatura, per un tempo di coagulazione da 8 a 36 ore, a seconda delle condizioni climatiche ed ambientali di lavorazione.
    Si trasferisce quindi la cagliata acida in appositi stampi forati muniti di fondo. Prima della formatura può essere effettuato uno spurgo del siero per sgocciolamento in tele a trama fine. La sosta negli stampi si protrae fino a 48 ore con rivoltamenti periodici per favorire lo spurgo del siero.
    La salatura viene effettuata a secco sulle due facce del prodotto durante i rivoltamenti oppure al termine del processo di formatura.
    La maturazione viene effettuata conservando il prodotto fresco in appositi locali per almeno tre giorni dal momento della messa negli stampi. Dal quarto giorno è consentita la vendita oppure la prosecuzione della maturazione in azienda e/o a carico degli affinatori (stagionatori).
    La Robiola di Roccaverano è considerata stagionata a partire dal decimo giorno dalla messa negli stampi. E' considerata secca quando ha raggiunto una maturazione di almeno trenta giorni dalla messa negli stampi.
    Gli aromi ed i sapori si presentano decisi fino al piccante a secondo della maturazione.

    posate Come tutti i formaggi freschi, la Robiola va conservata in frigorifero, in un contenitore ben chiuso e consumata entro 1-2 giorni dall’acquisto.
    Fonte


     
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    Asparago

    da: fondation-louisbonduelle.org

    Storia

    L’asparago fu coltivato e utilizzato nel Mediterraneo dagli egizi e in Asia Minore 2000 anni fa, così come in Spagna. Il nome asparago deriva dal greco e i Romani già nel 200 a.C. lo conoscevano molto bene, tanto che Catone lo citò nel suo 'De agricoltura' e anche Plinio e Columella ne illustrarono la tecnica di coltivazione.
    Dal XV secolo è iniziata la coltivazione in Francia e, nel XVI secolo, è giunta all'apice della popolarità anche in Inghilterra.
    In particolare, in Francia un grande impulso alla coltivazione si ebbe durante il regno di Luigi XIV (1643 - 1715), il Re Sole, il quale aveva una predilezione per gli asparagi.

    Le diverse varietà e stagioni

    In Italia gli asparagi vengono coltivati in prevalenza in Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Puglia, Campania, Lazio.
    È una specie dioica, che porta cioè fiori maschili e femminili su piante diverse: i frutti (prodotti ovviamente solo dalle piante femminili) sono piccole bacche rosse contenenti semi neri. La pianta è dotata di rizomi, fusti modificati che crescono sotto terra formando un reticolo detto zampa; da essi si dipartono i turioni, ovvero la parte commestibile della pianta. Predilige terreni alluvionali, fertili e drenanti. Le foglie di questa pianta sono minute e ramificate.
    Si possono distinguere diverse tipologie, tra queste l’asparago verde è divenuto negli ultimi anni il più coltivato in Italia:
    gli asparagi verdi, con turioni che si sviluppano fuori terra portando a compimento il processo naturale di fotosintesi clorofilliana;
    gli asparagi bianchi coltivati al riparo dell'aria e della luce, con un sapore delicato. La loro coltivazione richiede un’accurata sistemazione del terreno, che deve formare dei colmi in corrispondenza delle file e, attualmente, prevede l’uso di teli di pacciamatura neri, che ad ogni raccolta devono essere rimossi e poi riposizionati. Molto famoso l’asparago bianco di Cimadolmo;
    gli asparagi violetti, con l’apice del turione che si colora da rosa a porpora quando fuoriesce dal terreno. Si coltivano come gli asparagi verdi. Molto famoso l’asparago violetto di Albenga.
    In Italia la coltura ha una certa tradizione storica, tanto che fra le DOP e IGP si annoverano l’Asparago bianco di Cimadolmo, l’Asparago bianco di Bassano e l’Asparago verde di Altedo mentre per un quarto prodotto, l’Asparago di Badoere, è in corso la procedura di riconoscimento.
    La coltura dell’asparago è poliennale (dura normalmente quindici anni di cui dodici in produzione) e di norma l’impianto è fatto mettendo a dimora le zampe. Durante il primo e il secondo anno di vita l’impianto non è produttivo e necesstita di molte cure colturali per favorirne lo sviluppo. Dal terzo anno di vita si iniziano a raccogliere i turioni: a partire dal mese di marzo e per una sessantina di giorni si raccolgono scalarmente tutti i turioni che escono dal suolo. Finita la raccolta, i turioni vengono lasciati sviluppare liberamente fino a formare un apparato vegetativo molto espanso. Durante questa fase le sostanze di riserva vengono accumulate nelle radici e assicurano la produzione dell’anno seguente.
    In diverse zone d’Italia sono presenti anche gli asparagi selvatici, che vengono raccolti all’inizio della primavera e molto apprezzati per il sapore intenso.




    Il parere della Nutrizionista


    L'asparago è anche nominato « scopa dell’intestino » perché contiene fibre delicate molto efficaci per stimolare e regolarizzare il transito intestinale.
    È particolarmente ricco di vitamina B9, necessaria alla produzione e al rinnovamento cellulare. Molto povero di sodio, presenta proprietà diuretiche naturali tradizionalmente riconosciute e si dice che profumi addirittura le urine.

    L'asparago verde è molto più ricco di vitamina C.
    Porzioni
    porzione per un bambino: quattro asparagi
    porzione per un adulto: sette asparagi

    Curiosità

    Gli asparagi sono alimenti dalle mille risorse: possono servire per cercare di espellere un oggetto appuntito ingoiato inavvertitamente. Per farlo, in questo caso, occorre mangiare una cospicua porzione di asparagi in modo che le sue fibre avvolgano il corpo estraneo e ne consentano l'espulsione. Hanno inoltre proprietà curative e vengono consigliati per la cura di patologie reumatiche e cardiache.


    Suggerimenti in cucina

    Asparagi e uova sode o alla coque: gli asparagi bolliti sono serviti con una vinaigrette nella quale è stato aggiunto un uovo sodo oppure con le uova alla coque. La vitamina B9 dell’asparago si somma alle vitamine (A, D, E, del gruppo B) e al ferro delle uova. Sapori in sinergia con il gusto raffinato dell’asparago, la rotondità del tuorlo dell’uovo e l’acidità della vinaigrette.

    Un’idea originale: per realizzare delle leggere tartine, ottime per un antipasto sano e leggero, basterà tagliare delle rondelle da fettine di pane in cassetta con un taglia-biscotti e farle dorare in padella 1 minuto per lato. Ricoprirle poi con del formaggio caprino mischiato a qualche cucchiaino di yogurt magro condito con sale e pepe, e decorarle con asparagi bolliti e scolati tagliati a fettine sottili. A piacimento si può aggiungere una piccola spruzzata di pepe o peperoncino in polvere.



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    Asparagi alla veneta


    Gli asparagi alla veneta si preparano lessando in acqua gli asparagi e poi unendoli alle uova che saranno state frullate con aceto, olio, sape e pepe; questa ricetta risulterà molto più gustosa e aromatica se utilizzerete asparagi selvatici al posto di quelli coltivati.

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    Ingredienti: per 4 persone

    1. Uova sode 3
    2. Asparagi 700 g
    3. Aceto di vino 1 cucchiaino
    4. Olio di oliva 4 cucchiai
    5. Sale q.b.
    6. Pepe q.b.

    1
    Lessare in acqua bollente salata gli asparagi mondati.
    2
    Sgusciare le uova e frullarle con aceto, olio, sale e pepe fino ad ottenere una salsa cremosa.
    Servire gli asparagi con la salsa.




    asparago

    asparago1


    USO IN CUCINA

    da: giallozafferano.it


    Gli asparagi costituiscono un alimento molto apprezzato, e vengono impiegati nelle preparazioni di varie pietanze, più che come verdura di contorno.
    Gli asparagi grossi sono ideali per essere lessati mentre è preferibile riservare quelli più sottili per preparazioni come frittate, risotti, salse per primi piatti o crepe, lasagne, zuppe, minestre, ecc.
    Sono ottimi al vapore, all'agro, oppure alla parmigiana, e spesso vengono serviti accompagnati da uova fritte all’occhio di bue.

    Gli asparagi vanno appoggiati su di un piano di lavoro e allineati parallelamente perché non si muovano o si rompano durante la pulitura. Bisogna poi tagliare l’estremità terrosa o legnosa del gambo, alla stessa altezza, in modo che tutti abbiano la stessa lunghezza.
    Con il coltellino adatto, raschiate delicatamente il gambo fino a metà della parte verde o viola, facendo scorrere la lama dalla punta dell’asparago verso la base; lavate poi gli asparagi sotto l’acqua corrente e poi raccogliete i germogli a mazzetti e legateli con del filo bianco da cucina. A questo punto potete cuocerli.

    Per cuocere gli asparagi è conveniente avere una pentola stretta e alta, meglio con colapasta incorporato, nella quale gli asparagi possano essere posti a bollire con le punte verso l’alto, dopo essere stati legati assieme con del filo da cucina.
    Se si vuole effettuare una cottura a vapore invece, bisognerà avere un cestello da porre internamente alla pentola, alto per 2/3 della stessa, e che mantenga gli asparagi al di sopra dell’acqua che bolle.
    Per servire gli asparagi a tavola bisognerà avere un vassoio ovale di porcellana o di acciaio, dotato di una griglia che permetta lo scarico dell’acqua residua, e delle molle d’acciaio a pala larga, piatta e ondulata che serviranno per portare gli asparagi dal vassoio ai piatti dei commensali. A loro volta questi ultimi dovranno servirsi di molle individuali di acciaio a ganasce semicilindriche che serviranno per afferrare l’asparago alla base e immergere la punta nella salsa di accompagnamento e poi gustarlo.


    ■ PROPRIETA' NUTRIZIONALI

    Gli asparagi sono ortaggi piuttosto costosi, e hanno un'elevata percentuale di scarto (fino al 45% circa); sono ricchi di fibra, e vitamine A, B1, B6, C, acido folico, amminoacidi, carotenoidi e sali minerali come calcio, fosforo e potassio; contengono poche calorie, per questo sono particolarmente indicati nelle diete dimagranti. Gli asparagi hanno proprietà depurative e diuretiche, ma sono anche ricchi di acido urico, per cui è sconsigliato il consumo a coloro che soffrono di cistite, gotta e infiammazioni ai reni.
    Gli asparagi hanno la caratteristica di stimolare l'appetito, inoltre, riducendo il ristagno di liquidi nei tessuti

     
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  5. tomiva57
     
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    foto:statics.cucchiaio.it

    Sopa Coada


    La sopa coada è un piatto di tradizione veneta, trevigiana per l'esattezza.
    Come ogni piatto tipico affonda le sue radici nella tradizione contadina; la cottura viene eseguita molto lentamente nel forno della stufa, per ore... forse secoli.
    La Sopa Coada, o Zuppa Covata, è un piatto povero, fatto di avanzi di pane, verdure, brodo caldo e piccione.

    Ingredienti:

    • 4 piccioni
    • 8/10 fette di pane raffermo
    • 1 costa di sedano
    • 2 carote
    • 1 cipolla
    • 2 l di brodo di carne
    • burro
    • Parmigiano
    • 1/2 bicchiere di vino bianco


    Preparazione:

    Preparare un trito di sedano, carote e cipolla e rosola nel burro, in una casseruola grande abbastanza da contenere i quattro piccioni.
    Aggiungere i piccioni tagliati a metà e rosolare, regolare di sale e pepe, bagnare col vino, fare sfumare e portare a cottura con un mestolo di brodo.
    Una volta cotti, togliere i piccioni, mettere da parte a raffreddare e, con le mani, separare la carne dagli ossi.
    Fare ridurre il sugo nel tegame a fuoco basso, senza bruciarlo.
    In una padella sciogliere del burro e rosolare leggermente le fette di pane, con poco sale.
    Preparare una pirofila leggermente unta, fare uno strato di pane e coprire con la carne di piccione, aggiungere ancora pane, coprire con la carne, aggiungere il sugo fatto ridurre nel tegame e qualche mestolo di brodo, in modo che sia tutto molto umido.
    Coprire con la carta stagnola e cuocere nel forno della stufa per 5 ore circa, o in forno ventilato per due ore a 130/150° C (la temperatura varia a seconda del tempo di cottura: 90 minuti a 150 gradi o 120 minuti a 130 gradi).
    Rimuovere la stagnola, spolverare di parmigiano, aggiungere qualche tocchetto di burro e fare gratinare per 5 minuti sul grill del forno.
    Servire molto caldo con, a parte, una tazza di buon brodo bollente.




    fonte: cucchiaio.it
     
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