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BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI
“ ... Sabato ... la Campania, terra che identifica ogni suo respiro in un legame forte e sempre presente con le tradizioni ... questa meravigliosa regione e il suo popolo identificano quel legame col passato ed ognuno di loro rappresenta il ponte forte ed ideale tra il passato il presente ed il futuro ... passeggiare in questa terra è come entrare in una gigantesca macchina del tempo ed è una dolcissima sensazione lasciarsi cullare da queste emozioni, da queste irripetibili sensazioni ... risuonano detti che rappresentano questo generoso popolo .. “A cucina piccerella fà 'a casa granne. “ ...”Meglio pane e cepolle a' casa soja, ca galline e cunfiette a' casa 'e ll'ate.”...” O' ciucc quand 'o mettn e sold ngann o chiammn don ciucc.” ... parole che come foto rappresentano i valori solidi di questa terra e delle sue forti e profonde origini ... Amici miei oggi viaggeremo attraverso gli usi e le tradizioni della Campania ... un viaggio ricco di sapiente cultura e di storie senza fine ... Buon risveglio amici miei ...”
(Claudio)
DIALETTO..FOLKLORE..O PAZZARIELLO,I POSTEGGIATORI..LE CASTAGNELLE..VIAGGIO ATTRAVERSO LE ORIGINI DELLA CAMPANIA
“La Lingua Napoletana è stata relegata a definirsi Dialetto a causa della diatriba intercorsa fra il Re, Federico II di Svevia, ed il Papa dell’epoca, Innocenzo IV nel 1245. La vicenda storica narra che a seguito del rifiuto di Re Federico II, divenuto nel 1212 anche Imperatore di Germania, al Papa Innocenzo IV , di non voler procedere ad un’ulteriore Crociata, dopo avervi partecipato da protagonista nella Sesta, fu da quest’ultimo scomunicato e nei cedolari legislativi, nelle bolle Statali, nei libri che s'incominciano a diffondere, intimò ai sudditi di tutta la penisola italiana e dell’allora cristianità di non utilizzare il linguaggio usato dallo scomunicato Sovrano, il Napoletano, e di servirsi bensì di quello fiorentino, il cosiddetto Latino -Volgare…..Il Napoletano è una lingua, che trae origini dal latino, ma prima ancora dall’osco-sabellico, dal greco, dal linguaggio dei fenici, dal bizantino, dal francese, dallo spagnolo, negli ultimi tempi si è arricchito di vocaboli dall’inglese e perfino dall’americano, durante la seconda guerra mondiale e la conseguente occupazione di Napoli.”
“ O Pazzariello era un mestiere ambulante, saltuario e l’esercitava chi senza un lavoro, pur di guadagnare quel poco per vivere o per arrotondare, si vestiva bizzarramente con abiti del tipo da Generale Borbonico….O Pazzariello si presentava in pubblico impugnando in una mano un bastone dorato e nell’altra, bene in vista, un fiasco di vino, o altri prodotti di prima necessità (pane, pasta) che andava pubblicizzando per conto di una nuova “Cantina” (Osteria) o di una nuova "Puteca" (negozio alimentare)…In realtà il vecchio Pazzariello fu l’antesignano degli attuali imbonitori pubblicitari e si può definire un banditore, che, vestito di variopinte uniformi, per le vie della città informava il popolo dell’apertura di nuovi negozi recitando e cantando filastrocche, accompagnato da una sua piccola banda di suonatori, generalmente, un tamburino, un putipù, uno scetavajasse e un triccheballacche.”
“I posteggiatori sono figure inscindibili dalla storia e dalla cultura di Napoli: per sette secoli menestrelli, musici e cantori hanno vissuto tra il Vesuvio e il mare, spesso viaggiando in paesi lontani per poi tornare ricchi di bei ricordi ma sempre poveri di risorse economiche. Le origini e lo sviluppo della canzone napoletana sono legati a filo doppio con l'arte "di strada" dei posteggiatori, umili e sconosciuti propagatori di poesie e melodie non di rado destinate all'immortalità.La loro arte ha punteggiato i secoli d'oro della canzone di Napoli .Certo i posteggiatori napoletani furono gli strenui rappresentanti di una tradizione che ha un posto incancellabile nella storia delle espressioni poetiche e musicali della cultura popolare dell'Europa mediterranea.Questi cantori girovaghi si organizzarono spontaneamente tra il Vesuvio e Posillipo già intorno al settecento dando vita alla mobilissima quanto poverissima arte della Posteggia……Dalle taverne del seicento alle osterie e poi le trattorie ed ai ristoranti ed ai salotti privati per proporre i pezzi classici del repertorio di canzoni napoletane, comprese le divertenti “canzoni di macchietta”.
“Le notti del Giovedì e del Venerdì Santo sono notti affascinanti. "Incantesimo del Venerdì Santo", la musica di Wagner, come d'incanto è la rievocazione della Passione e Morte del Cristo che le Confraternite sorrentine rappresentano da secoli, recitando un dramma millenario che coinvolge e commuove poichè ricorda un misfatto storico, il crimine più grande dell'umanità. I confratelli interpretano con convinzione il loro ruolo; penitenti ed attori ad un tempo, in modo profondamente laico ma convintamente religioso, essi tendono a coinvolgere emotivamente gli spettatori, quasi a volerli rendere responsabili delle sofferenze a cui fu sottoposto il Cristo, anche a causa dei loro peccati, attraverso la presentazione nei termini più drammatici e crudeli delle torture a cui fu sottoposto. La loro rappresentazione è l’interpretazione di sentimenti più importanti che emergono dal profondo dell'animo e si inoltrano nell'ignoto come ignoti sono gli stessi incappucciati….essi, negando il loro volto ed annullando la propria identità, esprimono impassibilità ed emozioni, convinzioni e dubbi, fede e tradizione, sovente un'ansia che anela nel segreto a ritrovare una libertà interiore perduta, a rafforzare una fede sopita, ad espiare errori attraverso un sacrificio, ancorchè minimo, nel portare una fiaccola, un simbolo della Passione, una statua o una croce. Chi assiste ai bordi delle strade al lento passare dei confratelli dal volto coperto vive e partecipa in eguale misura alla rappresentazione del dramma. Attori e spettatori, tutti in ogni caso penitenti, restano immersi in lunghi e religiosi silenzi confermati dal fruscio dei sai, de passi lenti e cadenzati degli incappucciati, dall'incedere frettoloso dei maestri di cerimonia, in uno scenario spesso particolare e suggestivo reso più drammatico dalla luna”
“Nella chiesa dei SS. Cosma e Damiano è esposto il gruppo dei Sette Santi Dormienti in una bacheca di cristallo con larga cornice di legno tarlato posta sotto l’altare. I Sette Dormienti vestono da guerrieri romani, con corazze di latta argentata su tuniche rosse e gialle. La leggenda narra che, divenuti cristiani per sfuggire alla persecuzione di Diocleziano, si rifugiarono in una caverna, dormendovi, per miracolo, per alcuni secoli. Al loro risveglio, essendo mutati la lingua ed i costumi, furono condotti in cielo da un angelo. Ancora oggi mostrano le monete dell’imperatore Diocleziano che non potettero spendere dopo il lungo sonno miracoloso.”
“Napoli è la città del folklore e del gioco che ha sempre avuto schiere infinite di adepti di ogni estrazione sociale. Basti pensare alla fortuna del lotto, il gioco genovese cinquecentesco, che trapiantato a Napoli ha creato attorno a sé una vera e propria mitologia, una vera filosofia….Il popolo di Napoli credeva tanto ciecamente che ogni cosa avesse un riferimento nel lotto che il governo era costretto a sospendere le scommesse su fatti di cronaca troppo giocati per non rischiare il fallimento delle casse detto Stato. Gioco basato sul libro della Smorfia (probabilmente da Morfeo, il Dio del sogno) che spiega i sogni e che indica tutti i numeri che corrispondono a personaggi e avvenimenti della vita quotidiana. Ogni napoletano sa che la smorfia è una chiave per tradurre sogni o eventi in numeri da giocare al lotto, e che Smorfia è anche un libro, da consultare per conoscere la chiave.Napoli paese di magia, di superstizioni e numeri ha un forte legame con il gioco del lotto, e sebbene tale gioco si è diffuso tardi nella nostra città, solo nel 1682, Napoli è pur sempre stata considerata la capitale del banco lotto”.
“La Candelora (o Candelaia) è il nome popolare attribuito dalla Chiesa e dai fedeli alla festa religiosa che si celebra il 2 di febbraio per ricordare la presentazione del Signore al Tempio ed il rito di purificazione della Vergine Maria quaranta giorni dopo la nascita di Gesù….La sacra ricorrenza deriva il suo nome dal tardo latino "candelorum" , per "candelaram" , benedizione cioè delle candele….Secondo la tradizione, questi ceri benedetti sono poi conservati in casa dai fedeli e vengono accesi, per placare l'ira divina, durante violenti temporali, aspettando una persona che non torna o si ritiene in grave pericolo, assistendo un moribondo, e in qualunque momento si senta il bisogno d'invocare l'aiuto divino.”
“La Festa dei Gigli si tiene ogni anno a Nola, in Provincia di Napoli, per celebrare il ritorno in città del Vescovo Ponzio Meropio Paolino (353 - 431 d.C.) dalla prigionia ad opera dei barbari…La leggenda vuole che il popolo nolano accogliesse il suo Vescovo con dei fiori, dei gigli, raccolti nelle campagne e che, alla testa dei gonfaloni delle antiche corporazioni di mestieri, lo scortasse dalle rive di Oplonti (l'attuale Torre Annunziata) fino alla sede Vescovile….In memoria di quell'avvenimento, i Nolani hanno tributato nei secoli la loro devozione a San Paolino, portando in processione ceri e fiori prima su strutture rudimentali, poi su apposite costruzioni denominate cataletti e infine su torri piramidali, che nel XIX secolo hanno assunto l'attuale altezza di 25 metri con base cubica di tre metri di lato per un peso complessivo di oltre venti quintali, ricoperte di tradizionali decorazioni in cartapesta, secondo temi religiosi, storici o d'attualità. Gruppi di oltre 100 uomini, che assumono il nome di paranza, sollevano a spalla i Gigli attraverso appositi supporti di legno denominati "varre" e "varrielli" fissati alla base della struttura.”
“A Campagna….I “fucanoli” e la “chiena” sono due eventi di particolare importanza per la vitalità del centro storico …Nel primo caso ci troviamo di fronte alla celebrazione di S. Antonio con una processione religiosa ed il centro cittadino si ravviva del fuoco dei citati “fucanoli”…. pire di legna, che vengono arse nei diversi quartieri cittadini e, tra il crepitio e il fumo dei fuochi, si degustare le specialità culinarie locali, in una suggestiva atmosfera invernale, resa accogliente e calda dai fucanoli, dalla ospitalità, dai canti e balli ….La “chiena” è la festa dell’acqua… consiste nel deviare il corso del fiume Tenza nelle strade del centro storico dando così la possibilità di rinfrescarsi del caldo estivo attraverso giochi d’acqua, la “secchiata” e assistere alle manifestazioni artistiche che sono legate al tema della chiena o che si svolgono all’interno dell’acqua stessa.”
“Benevento è città magica. Vi si aggirano degli spiritelli burloni che regalano monete d'oro ai bambini, detti scazzapurelli. Ma sicuramente l'elemento magico più noto è quello delle streghe di Benevento, chiamate popolarmente ianare. Sono innumerevoli le storie di riti infernali studiati da storici ed antropologi. Tali pratiche potrebbero essere legate ai culti di Iside, di epoca romana imperiale o ai riti pagani dei longobardi che occuparono la città.”
“L'area che circonda Fisciano, un piccolo paese della valle dell’Irno, vanta antichissime tradizioni nella lavorazione del rame e delle sue principali leghe. I suoi opifici, apprezzati e conosciuti sin dal Medioevo per la pregevole qualità dei suoi prodotti, la resero famosa in tutta la penisola, tanto da essere considerata uno dei maggiori centri artigianali della lavorazione di questo metallo… Inizialmente la produzione locale era costituita da caldaie e pentolame per uso domestico, da serrature a chiavistelli, da bilance a stoviglie in genere, nonché dalle famose armi di Lancusi….Successivamente, grazie alla bravura e alla fantasia di alcuni ramari, i più noti erano quelli appartenenti alla famiglia Celentano, la lavorazione del rame comincio ad assumere, con la realizzazione di oggettistica e di lavori ornamentali, i caratteri di un vero e proprio artigianato artistico.”
“A Riardo… ogni anno la festa patronale della Madonna della Stella… 50 giorni dopo la Pasqua. La statua della Madonna viene coperta con i gioielli d’oro donati dai fedeli e trasportata in processione per le vie cittadine, tenuta in spalla dai devoti…Ogni via si organizza per ricevere al meglio la “visita” della statua, coprendo le strade con tappeti di carta bianca e petali di fiori.”
“Il 30 giugno di ogni anno gli abitanti della comunità leuciana organizzano un corteo, che ha come momento centrale l’apertura del cancello d’ingresso alla colonia…..Tra i balli, i canti ed i commenti della voce narrante si snoda un percorso lungo quasi un chilometro, che si conclude intorno alla Piazza Della Seta al Belvedere…Qui inizia la Serenata a Palummella, un dialogo cantato tra due innamorati. Una festa in costume che è soprattutto un modo per manifestare l’orgoglio di appartenere a un borgo carico di storia”
“Napoli è città di musica. Nel settecento la scuola napoletana portò in tutta Europa in auge l'opera buffa con Scarlatti, Pergolesi, Jommelli, Cimarosa. Il Teatro San Carlo, fra i più importanti in Italia, fu diretto da Gioacchino Rossini…Famosissima in tutto il mondo è la canzone napoletana, che nata sulla fine dell'ottocento sullo schema della canzone da salotto, ha reso immortali i temi de 'O surdato nnammurato, 'O sole mio, e rappresenta l'immagine della canzone popolare italiana nel mondo. Qui nacque Enrico Caruso, probabilmente il più celebre tenore del novecento.”
“Le castagnelle”.sono la versione povera e popolaresca delle più nobili nacchere spagnole e consistono in due piccole, cave semisfere di legno intagliato ad hoc, ma un tempo anche di osso ugualmente lavorato,esse sono legate a coppia con una fettuccia che è inforcata dal dito medio vengono azionate schiacciandole ritmicamente contro il palmo della mano, per modo che urtandosi fra di loro, producano un suono secco e schioppettante, atto ad accompagnare, quasi sempre, i passi delle danze popolari quali tarantella, saltarello ed altre consimili.il termine castagnelle o castagnette è dallo spagnolo castaňetas (che in terra iberica indicano le nacchere) quasi castagna per la forma vagamente somigliante delle castagnelle come delle nacchere al frutto del castagno.”…“Lo scetavajasse “tipicissimo strumento musicale popolare napoletano, che per il modo con cui è sonato fa pensare ad una sorta di violino, sebbene non abbia corde o cassa armonica di sorta; esso è essenzialmente formato da due congrue aste lignee di cui una fornita di ampi denti ricavati per incisione lungo tutta la faccia superiore dell’asta corredata altresì di numerosi piattelli metallici infissi con chiodini lungo le facce laterali della medesima asta; l’altra asta usata dal sonatore a mo’ di archetto viene fatta scorrere contro i denti della prima asta (tenuta poggiata ,quasi a mo’ di violino, contro la clavicola) per ottenerne uno stridente suono, facendo altresì vibrare ritmicamente i piattelli nel tipico onomatopeico nfrunfrù.”
“La classica sceneggiata napoletana unisce in un'unica rappresentazione, come avviene nei varietà, i monologhi, il canto, la musica, il ballo e la recitazione. I motivi principali sono: l’amore, la passione, la gelosia, i valori ancestrali, l’onore, il tradimento, l’adulterio, mamme morenti, il rapporto viscerale madre-figlio, giovani nullafacenti e dissennati, la vendetta, il codice d’onore, la lotta tra il buono e “ ‘o malamente”, etc…Attorno alla canzone drammatica viene dunque realizzato un testo teatrale in prosa avente come sfondo una trama sentimentale con il conseguente tradimento. I componimenti si ispirano dunque alla quotidianità della vita popolare”
“Napoli ha una grande tradizione di teatro con Scarpetta, De Filippo, Viviani... e naturalmente il principe della risata Antonio De Curtis, in arte Totò. Nato nel rione Sanità nel 1898, Totò arriva alla ribaltà nazionale con spettacoli di varietà e di avanspettacolo e oltre ad aver realizzato innumerevoli film (quasi cento!), ha scritto anche diverse canzoni (tra cui la famosa Malafemmena) e poesie (da ricordare la 'A Livella).”
“Napoli è città di magia e superstizione. Per i suoi vicoli si dice che si aggirino 'o munaciello (spiritello dispettoso) e 'a bella 'mbriana (spirito benigno). Famosissima è l'antica Smorfia Napoletana colla quale è possibile ricavare dei numeri da giocare al lotto attraverso l'interpretazione dei sogni. A Napoli visse nel settecento Raimondo di Sangro, Principe di San Severo, alchimista e stregone, che si narrava sequestrasse ignari popolani per sottoporli ai suoi truci esperimenti. Il principe era in realtà un illuminato scienziato massone e rosacrociano e a tutt'oggi non si sa come abbia fatto a creare le sue Macchine anatomiche visibili presso la Cappella San Severo, nel centro di Napoli. Si tratta di corpi di esseri umani mummificati e pietrificati con ritrovati scientifici che, all'epoca del principe, non si riteneva potessero già conoscersi.”
“San Gennaro, patrono di Napoli, è il protagonista di una singolare manifestazione di santità e religiosità. Periodicamente, ad Aprile, il suo sangue, raccolto in un ampolla subito dopo il suo martirio nel III secolo, si scioglie, nell'ambito di un rito solenne presso il Duomo di Napoli. Gennaro, all'epoca del martirio era vescovo di Benevento, non di Napoli.”
“La maschera locale è il famosissimo Pulcinella, che impersona il genio, l'estro, la furbizia e l'ingegnosità dei napoletani. Probabilmente tale maschera è di origine classica (da Maccus, il protagonista burlone e grottesco delle Fabulae Atellanae, uno spettacolo molto in voga (civiltà romana del IV secolo AC) ed il nome sarebbe legato a Puccio d'Aniello, un contadino di Acerra che nel seicento, tramite rappresentazioni teatrali, portò in auge l'antica maschera.”
“Il momento che conclude il pasto è per tutti gli abitanti della Campania molto importante e vissuto in distensione quasi sacra. Prima di tutto un buon caffè…..Il caffè è un'entità fondamentale nel costume come nell'animo dei napoletani: una fonte di saggezza più che di nutrimento, un'occasione rituale utilissima per rinsaldare affetti e stimolare riflessioni, generare amicizie e prorogare intese. Vige in città l'opinione che a Napoli si beva il miglior caffè d'Italia e dunque del mondo…Il Pindaro del caffè napoletano resta ancor oggi Eduardo De Filippo, che celebrò la gloria dell'aromatica bevanda nella scena inaugurale del secondo atto di . Il protagonista, Pasquale Lojacono, inquilino di una casa abitata da troppe anime inquiete, parla con un dirimpettaio che non si vede ma che solitamente consente, il professore: e a lui descrive, illustra, dettaglia il proprio metodo per fare il caffè. Segue l'ammazza caffè fino a qualche anno fa costituito prevalentemente dallo Strega, il liquore di Benevento”
“Benevento è famosa per il suo tortano pasquale a base d'uvetta e cedro e la zuppa di natale a base di cardone.”…“Rinomate sono le nocciole che si producono nei ricchi nocelleti vicini. La zona dell'avellinese è rinomata per la produzione artigianale di torrone fra i più importanti in Italia. L'Irpinia, la regione storica di cui Avellino è capoluogo è fra le regioni vitivinicole fra le più rinomate nel panorama enologico mondiale.”
“A Riardo c’è la possibilità di assaggiare la mela annurca… una varietà di mele campane, descritte persino da Plinio il Vecchio. La sua produzione è caratterizzata da una maturazione effettuata nei cosiddetti “melai”, dopo la raccolta dei frutti.”…“Da sempre Auletta è conosciuto come il paese dell'olio d'oliva, ..Un altro protagonista della tavola aulettese è il rafano, la cui produzione, legata al periodo invernale, è sempre più limitata: la radice del rafano, detta anche "tartufo dei poveri"
“La cucina della Campania è caratterizzata dal rispetto delle tradizioni che affondano le loro radici nella natura incontaminata della Magna Grecia e del Sannio…che mantiene quelli che sono i sapori naturali e ne esalta la freschezza e la genuinità .... uno stile questo che ritorna continuamente dalla pizza ai purpetielli affogati, dal leggendario ragù ai dolci ed ai liquori….La cucina napoletana che per influenze storiche rimanda a quella degli antichi greci, degli spagnoli e dei francesi, ha influenzato un po' tutta la cucina campana che comunque presenta caratteristiche variegature all'interno del suo stesso territorio…Il vero successo della cucina napoletana è la pizza… un'invenzione molto antica. In passato, un primo tipo di pizza si faceva in epoca romana, ed era una specie di focaccia di grano. Ma la pizza per antonomasia, fragante, gustosa e croccante diventò presto popolarissima presso il popolino, ma anche presso baroni e principi: dominava i ricevimenti dei Borboni, che ne erano ghiotti, e Ferdinando IV arrivò a farla cuocere nei forni di Capodimonte, gli stessi dai quali uscivano le preziose ceramiche artistiche….Si narra che anche i sovrani piemontesi si lasciarono conquistare da questo umile cibo meridionale: fu per Margherita di Savoia che nel 1889 il pizzaiolo Raffaele Esposito creò la patriottica pizza "tricolore" in cui bianco, rosso e verde erano costituiti da mozzarella, pomodoro e basilico e che da allora si chiama appunto "pizza Margherita".
Il gesticolare dei Napoletani
L’uso del linguaggio delle mani è una caratteristica di tutti i popoli mediterranei e certamente una delle immagini oleografiche più note all’estero degli italiani. Ma è all’ombra del Vesuvio che la comunicazione con i gesti assume le forme più eclatanti e bizzarre, fino a sfiorare l’arte! Se passeggiando per Napoli vi capita di incontrare un napoletano intento in un’accesa conversazione telefonica con l’ormai immancabile cellulare, allora v’invito a fermarvi un paio di minuti ed assistere alla frenetica ed incomprensibile danza che la mano libera compie nell’aria! Dita chiuse che poi si aprono improvvisamente, rotazioni del palmo della mano, invisibili geometrie tracciate e poi ridisegnate, movimenti ritmici che accompagnano ogni frase pronunciata, con lo scopo di rendere più chiaro il discorso all’interlocutore posto all’altro capo della linea. Ebbene, vi garantisco, che anche a distanza un altro napoletano potrebbe capire il tema della discussione e forse anche le conclusioni della stessa solo dalla mimica e l’espressione del volto. In periodi di protezione della privacy e dei dati sensibili il mezzo di comunicazione preferito da noi Napoletani, le mani, non è certo il più sicuro. Eppure ce ne serviamo quotidianamente, in ogni situazione anche quando l’evidente barriera di un collegamento telefonico ne renderebbe superfluo l’uso. Esistono scuole per il linguaggio delle mani? È la domanda che ci si pone quando si viene a conoscenza delle infinite capacità espressive che il gesticolare offre. Quante volte, soprattutto da bambino, mi capitava di assistere in qualche vicolo di Napoli alla conversazione a distanza tra due abitanti del popolo che nel giro di pochi secondi si scambiavano articolati dialoghi, spesso liste della spesa e finanche pettegolezzi sul vicino di casa. Oppure mamme infuriate che richiamavano all’ordine un numero imprecisato di figli ed amici dei figli con semplici gesti, ma quanto eloquenti! A volte la stessa mimica facciale di due passeggeri di un autobus con un complicato intreccio di sguardi ed ammiccamenti lasciava intendere tutto sul malcapitato terzo passeggero soggetto dei loro pettegolezzi. La pratica quotidiana è, dunque, la nostra maestra: giorno dopo giorno, a scuola, in famiglia, per strada, ogni conversazione è accompagnata dall’azione esemplificativa delle mani e così, col tempo, si raffinano le forme verbali, si arricchisce il vocabolario, si appuntano le sfumature. Ma provate a costringere un napoletano, meglio ancora se convinto oratore, a recitare un qualunque discorso senza far uso delle mani. Se vi capita di inscenare questo simpatico esperimento, consiglierei di legare le mani alla cavia per garantire una maggiore sicurezza. Ebbene, la sua capacità oratoria ne sarebbe profondamente limitata, quasi come se una fondamentale porzione dei centri del linguaggio fosse stata amputata. Io stesso ho provato la cosa ed ho notato, lo confesso, quanto misere fossero divenute le mie capacità espressive.
Esempi di gesti napoletani
Se doveste incontrare un napoletano nella sua città o altrove forse potrebbe tornare utile avere un “vocabolario” minimo e sufficientemente attendibile per una conversazione d’emergenza. Il linguaggio delle mani, come ogni forma di comunicazione evoluta, ha anche i suoi dialetti e non è difficile trovare nel territorio dell’antico Regno di Napoli abitanti posti in regioni diverse che con lo stesso gesto indicano due concetti completamente differenti. I gesti di seguito raffigurati sono tipici nel napoletano, benché alcuni di essi siano presenti in tutto il meridione d’Italia se non addirittura nell’intera penisola.
MARZO
Marzo: nu poco chiove
e n’ato ppoco stracqua
torna a chiovere, schiove,
ride ‘o sole cu ll’acqua.
Mo nu cielo celeste,
mo n’aria cupa e nera,
mo d’’o vierno ‘e tempesta,
mo n’aria ‘e Primmavera.
N’ auciello freddigliuso
aspetta ch’esce ‘o sole,
ncopp’’o tturreno nfuso
suspireno ‘e vviole.
Catarì!…Che buo’ cchiù?
Ntiénneme, core mio!
Marzo, tu ‘o ssaie, si’ tu,
e st’ auciello songo io.MARECHIARE
Quanno sponta la luna a Marechiare
pure li pisce nce fann' a l'ammore,
se revotano l'onne de lu mare,
pe la priezza cagneno culore
quanno sponta la luna a Marechiare.
A Marechiare nce sta na fenesta,
pe' la passione mia nce tuzzulea,
nu carofano adora int'a na testa,
passa l'acqua pe sotto e murmuléa,
A Marechiare nce sta na fenesta
Ah! Ah!
A Marechiare, a Marechiare,
nce sta na fenesta.
Chi dice ca li stelle so lucente
nun sape l'uocchie ca tu tiene nfronte.
Sti doje stelle li saccio io sulamente.
dint'a lu core ne tengo li ponte.
Chi dice ca li stelle so lucente?
Scetate, Carulì, ca l'aria è doce.
quanno maie tanto tiempo aggio aspettato?
P'accompagnà li suone cu la voce
stasera na chitarra aggio portato.
Scetate, Carulì, ca l'aria è doce.
Ah! Ah!
O scetate, o scetate,
scetate, Carulì, ca l'area è doce.O’ raù (il ragù napoletano)
La leggenda del ragù
La leggenda legata al famoso ragù napoletano, decantato anche dal grande de Filippo in una sua poesia dal titolo appunto 'o rrau'. A Napoli alla fine del 1300 esisteva la Compagnia dei Bianchi di giustizia che percorreva la citta' a piedi invocando "misericordia e pace". La compagnia giunse presso il "Palazzo dell'Imperatore" tuttora esistente in via Tribunali, che fu dimora di Carlo, imperatore di Costantinopoli e di Maria di Valois figlia di re Carlo d'Angio'.All'epoca il palazzo era abitato da un signore che era nemico di tutti, tanto scortese quanto crudele e, che tutti cercavano di evitare. La predicazione della compagnia convinse la popolazione a rappacificarsi con i propri nemici, ma solo il nobile che risiedeva nel "Palazzo dell'Imperatore" decise di non accettare l'invito dei bianchi nutrendo da sempre antichi e tenaci rancori. Non cedette neanche quando il figliolo di tre mesi, in braccio alla balia sfilò le manine dalle fasce ed incrociandole grido' tre volte: "Misericordia e pace". Il nobile era accecato dall'ira, serbava rancore e vendetta, ed un giorno la sua donna, per intenerirlo gli preparo' un piatto di maccheroni. La provvidenza riempi' il piatto di una salsa piena di sangue. Finalmente commosso dal prodigio, l'ostinato signore, si rappacifico' con i suoi nemici e vesti' il bianco saio della Compagnia.
Sua moglie in seguito all'inaspettata decisione, preparo' di nuovo i maccheroni, che anche quella volta come per magia divennero rossi. Ma quel misterioso intingolo aveva uno strano ed invitante profumo, molto buono ed il Signore nell'assaggiarla trovo' che era veramente buona e saporita. La chiamo' cosi' "raù" lo stesso nome del suo bambino.'O 'rraù, la poesia di Eduardo
Eduardo De Filippo rende omaggio, con una sua poesia al ragù napoletano nella sua commedia Sabato, domenica e lunedì.
O 'rraù'O rraù ca me piace a me
m' 'o ffaceva sulo mammà.
A che m'aggio spusato a te,
ne parlammo pè ne parlà.
io nun songo difficultuso;
ma luvàmmel' 'a miezo st'uso
Sì,va buono:cumme vuò tu.
Mò ce avéssem' appiccecà?
Tu che dice?Chest' 'è rraù?
E io m' 'o mmagno pè m' 'o mangià...
M' ' a faja dicere na parola?...
Chesta è carne c' ' a pummarolaLa ricetta
Il ragù non è la carne ca' pummarola. come recita la poesia di Eduardo. Non è di facile realizzazione ed inoltre per essere saporito come quello della mamma del de Filippo richiede una lunghissima cottura. Attualmente si usa chiamare ragù un sugo di pomodoro nel quale si è cotta della carne. Il ragù, come recita Eduardo,veniva cotto su di una fornacella a carbone e doveva cuocere per almeno sei ore! La pentola in cui si dovrebbe cuocere è un tegame di creta largo e basso, e per rimestarlo occorre la cucchiarella di legno. Il ragù napoletano è il piatto tipico domenicale e base per altre pietanze altrettanto saporite, come ad esempio la tipica lasagna che a Napoli viene preparata con il ben di Dio durante il periodo di Carnevale.
Ingredienti:
- 1 kg. di spezzatino di vitello,
- 2 cipolle medie,
- 2 litri di passata di pomodoro,
- un cucchiaio di concentrato di pomodoro,
- 200 gr. di olio d'oliva,
- 6 tracchiulelle ( ovverosia le costine di maiale),
- 1/4 di litro di vino rosso preferibilmente di Gragnano,
- basilico,
- sale q.b.
Esecuzione:E' consigliabile preparato il giorno prima mettendo la carne nel tegame, unitamente alle cipolle affettate sottilmente e all'olio. Carne e cipolla dovranno rosolare insieme: la prima facendo la sua crosta scura, le seconde dovranno man mano appassire senza bruciare. Per ottenere questo risultato, bisogna rimanere ai fornelli e sorvegliare la vostra "creatura",
pronti a rimestare con la cucchiarella di legno,e bagnare con il vino, appena il sugo si sara' asciugato: le cipolle si dovranno consumare, fino quasi a dileguarsi. Quando la carne sara' diventata di un bel colore dorato, sciogliete il cucchiaio di conserva nel tegame e aggiungete la passata di pomodoro. Regolate di sale e mettete a cuocere a fuoco bassissimo, il ragù dovra', come si dice a Napoli, pippiare parola onomatopeica che ben descrive il suono del ragu' che cioe' dovra' sobbollire a malapena a quel punto coprirete con un coperchio sul tegame, senza chiuderlo del tutto. Il ragù adesso dovra' cuocere per almeno tre ore, di tanto in tanto rimestatelo facendo attenzione che non si attacchi sul fondoPer rimanere in tema di ragù : Sofia Loren in "Sabato, Domenica e Lunedì" di Eduardo
La leggenda della pastiera: mito e la tradizione
L’origine della Pastiera è antichissima e proviene da culti pagani per celebrare l’arrivo della primavera. La leggenda dice che la sirena Partenope aveva scelto come dimora il bellissimo golfo di Napoli e da lì cantava con voce melodiosa e dolcissima. La gente allora per ringraziarla di questo meraviglioso canto le portò dei doni, sette doni per l’esattezza, come le sette meraviglie del mondo, ognuno dei quali aveva un significato:
1) la farina, simbolo di ricchezza,
2) la ricotta, simbolo di abbondanza,
3) le uova, simbolo di riproduzione,
4) il grano cotto nel latte, simbolo della fusione del regno animale e di quello vegetale,
5) i fiori d’arancio, profumo della terra campana,
6) le spezie, omaggio di tutti i popoli
7) lo zucchero per acclamare la dolcezza del canto della sirena.La sirena gradì i doni, ma nel raccoglierli li mescolò in un amalgama che le lasciò tra le mani la prima pastiera di cui fu l’inconsapevole autrice. La pastiera è entrata poi nella tradizione cristiana diventando il dolce con cui festeggiare la Santa Pasqua. Ancora oggi è presente sulla tavola pasquale in tutte le famiglie ed è simbolo di pace. La preparazione della pastiera è complessa, lunga e laboriosa.
La tradizione vuole che la pastiera si prepari il Giovedì Santo anche perché è un dolce che invecchiando migliora e che si può conservare fino a dieci giorni, ma non in frigo perché altrimenti si rovinerebbe subito. In un epoca, nemmeno tanto remota, si usava fare così: si acquistava il grano sfuso che si vendeva nei sacchi di iuta, lo si metteva a bagno in acqua fredda per quindici giorni cambiando l’acqua ogni due giorni. Il grano così ottenuto andava poi scolato, dosato e cotto nel latte. Oggi fortunatamente esistono in commercio delle provvidenziali lattine di grano cotto già pronto per l’uso. La ricotta e lo zucchero venivano mescolati in uno zuppierone di ceramica fino a quando non diventava una crema e l’esperta di casa, che in genere era la nonna, non diceva: “stop, va bene così!”.
Poi si seguiva tutto il rito della complessa preparazione sia del ripieno sia della pasta frolla e si finiva mettendo le tipiche striscioline di pasta sull’impasto che vanno sistemate nella tipica forma di croce di sant’Andrea e fissate benissimo ai bordi della teglia, sia per l’estetica, sia perché devono impedire all’impasto di fuoriuscire.
La pastiera si fa cuocere in particolari teglie di alluminio che si chiamano ruoti ed essendo molto delicata viene anche venduta dalle pasticcerie in questi ruoti il cui costo credo sia incluso nel prezzo della pastiera. La cottura della pastiera tradizionalmente andava dalle tre alle quattro ore a fuoco basso, ma oggi per i forni moderni vi sono altri tempi. Le monache avevano una modalità di preparazione tutta - diciamo - particolare: si vociferava – voce di popolo, voce di Dio – che le monache lavorassero la pasta in maniera alquanto insolita: quelle che disponevano di natiche e fianchi più floridi, si sedevano sopra l’impasto che era stato messo sui sedili di marmo del loro chiostro e, sussurrando devote preghiere si dimenavano a lungo e ritmicamente permettendo così alla pasta di crescere rigogliosa.Per concludere un breve brano, tratto dal mio libro ... che prima ho romanzato e poi mi ha emozionata.
Ma la regina di tutti i dolci, anch’essa nata nella pace dei chiostri, è la pastiera. La sua origine è antichissima e proviene da culti pagani per celebrare l’arrivo della primavera; introdotta poi nell’atmosfera mistica della resurrezione di Cristo, è divenuta messaggio di pace e di grazia sulla mensa pasquale. Le suore ne confezionavano un gran numero per le dimore patrizie e della ricca borghesia; quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni, dalla porta del convento che una monaca odorosa di millefiori apriva con circospezione, fuoriusciva una scia di profumo che s’insinuava nei vicoli intorno e, spandendosi nei bassi, dava consolazione alla povera gente per la quale quell’aroma paradisiaco era la testimonianza della presenza del Signore.
(Loredana Limone)
Cinema e cucina: “cine-gastronomia”
Chi non ricorda infatti la magistrale interpretazione di Totò nel capolavoro di Scarpetta, Miseria e nobiltà (1954), per la regia di Mario Mattoli. In questa versione cinematografica assistiamo Totò danzare sul tavolo assieme a Peppino De Filippo, i due mangiano con ingordigia afferrando e ficcandosi gli spaghetti un po’ ovunque, in bocca, nella tasca dei pantaloni... Ancora, in Napoli milionaria (1950), per la regia di Eduardo De Filippo, Totò nella parte di Pasquale Miele, colto dalla fame, mangia in una trattoria la sua pagnotta contenente più di una pietanza; e, sempre in questa sceneggiatura non possiamo non ricordare la scena del pranzo a guerra finita: tutti i commensali, ospiti della famiglia Jovine, sono seduti ad un tavolo “troppo sfarzosamente imbandito”. Totò nei suoi film sottolinea il suo rapporto con la fame/cibo, e non solo con scene di pietanze abbondanti o misere, ma anche con le stesse battute che l’attore nelle sue pellicole fa a proposito della fame. Va ricordata, inoltre, la fantastica Sophia Loren che nella sua produzione televisiva e cinematografica ama ostentare questa sua passione per il cibo; suo hobby preferito è proprio la gastronomia. Si ricordi il film "La ciociara" (1962), dove la Loren è alle prese con un colapasta pieno di spaghetti, o la versione cinematografica di “Pane amore e…” (1955) diretta da Dino Risi, dove troviamo Sophia Loren nei panni di una bella pescivendola, corteggiata insistentemente dal maresciallo Antonio Carotenuto (Vittorio De Sica). Ancora nel film “Francesca e Nunziata”, l’attrice è una forte e ostinata imprenditrice, proprietaria di un pastificio. Il giornalista Sergio Lori, ci informa che Sophia Loren nel 1954 fu battezzata dalla critica cinematografica <<pizzaiola>>, poiché impersonò una “sanguigna e prosperosa pizzaiola” nel film a episodi “L’oro di Napoli” diretto da Vittorio De Sica. Il cibo è in scena ancora in un altro film loreniano “Peperoni ripieni e pesci in faccia” con la Loren nei panni di Maria, per la regia di Lina Wertmuller. La pellicola non è stata apprezzata dalla critica, in quanto non è stata considerata un granché. La trama narra le pene d'amore che vivono l’americano Jeffrey (Murray Abraham) , ex giornalista e attuale pescatore e la moglie Maria che si sono recati nella casa al mare per festeggiare assieme ai loro tre figli adulti accompagnati dai rispettivi partnes il compleanno della nonna Assunta. Il titolo del film dice tutto, spiega il leit-motiv della tormentosa vicenda d’amore tra Jeffrey e Maria; tra loro ci sono infatti continui incontri/scontri che terminano in vani tentativi di riappacificazione; lui tenta di riconquistare la sua amata con abbondante pesce appena pescato, lei (cioè la Loren da sempre icona del buon cibo e della cucina nostrana), cerca di catturarlo per la gola, preparandogli appetitosi peperoni ripieni.
IL MIRACOLO DI SAN GENNARO
Si ritiene che una pia donna avesse raccolto in due ampolle il sangue di San Gennaro per consegnare poi la preziosa reliquia al vescovo di Napoli. Il sangue contenuto nelle ampolle di vetro di foggia antica è ancora oggi oggetto di profonda venerazione con le altre reliquie conservate nel Duomo di Napoli. I grumi rappresi scuri e solidi spontaneamente si sciolgono. Il sangue ribolle ed assume il colore rosso vivo. La liquefazione avviene di solito accompagnata dalle fervide preghiere ed insistenti invocazioni al Santo. Le modalità con le quali avviene lo scioglimento: tempo, intensità del sangue sono considerate di buon auspicio per la città se avvengono senza indugi, nel caso contrario sono di segno sfavorevole. Il miracolo si ripete regolarmente altre due volte nell’anno: a maggio ed a dicembre ed in circostanze particolarmente rilevanti per Napoli come ad esempio la visita di qualche personaggio importante, la minaccia di sciagure naturali etc. Per la prima volta fu annotata la liquefazione del sangue di San Gennaro nel 1389 sulle pagine del "Chronicon Siculum". Da quel momento in poi studiosi, scienziati e ricercatori si sono sbizzarriti nello scrivere su questo insolito fatto. Fino ad oggi nessuno è riuscito a trovare la soluzione del mistero. Di conseguenza attorno al sangue di San Gennaro sono cresciute numerose leggende e superstizioni.La gastronomia sorrentina e le specialità tipiche della Penisola
Da secoli la penisola sorrentina è meta di viaggiatori da tutto il mondo per il suo clima mite, per lo splendido mare e per la bellezza della sua costa. Più raramente, invece, è stato fatto cenno ai tesori gastronomici della regione che hanno da sempre deliziato i palati dei visitatori. Riscoperte queste risorse la Penisola Sorrentina si pone oggi come tappa di rilievo del turismo enogastronomico. Un altro valido motivo, dunque, per un soggiorno in Penisola. Troviamo rinomati ristoranti, ma anche trattorie a gestione familiare, sia lungo la costa che nei borghi dei Monti Lattari, dove è possibile assaggiare i prodotti tipici e le ricette tradizionali della gastronomia sorrentina, ma anche di tutta la cucina napoletana a cui è imparentata. L’ andare a mangiare in costiera è una deliziosa abitudine che tanti napoletani, da generazioni, praticano soprattutto durante il fine settimana.
Prodotti tipici
Molti sono i prodotti tipici della Penisola sorrentina e dei Monti Lattari, ne elenchiamo qui alcuni:
- Mozzarella di Agerola
- Provolone del Monaco DOP
- Olio extravergine di oliva DOP Penisola Sorrentina
- Pasta di Gragnano
- Limoncello (tipico anche di Capri e della costiera amalfitana)
- Agrumi (fra cui i limoni con cui si fa il Limoncello)
- Pomodoro di Sorrento
- Noce di SorrentoPiatti tipici, specialità, ricette tradizionali
Nella cucina della penisola troviamo naturalmente tutti i piatti della tradizione gastronomica napoletana, ma si trovano anche ricette tipiche del posto come gli gnocchi alla sorrentina, gli scialatielli ai frutti di mare o i ravioli all'aragosta. Anche la tradizione dolciaria conosce alcuni delizie locali come le melanzane alla cioccolata , la torta S. Rosa ed i Babà al limoncello.Naturalemte troviamo anche la pizza, gustosa e saporita come in tutto il golfo di Napoli, con pizzaioli che si fanno interpreti della grande tradizione di Napoli e dove addirittura è possibile ordinare la pizza metri (a Vico Equense)
Gli gnocchi alla sorrentina
Scialatielli ai frutti di mare
Ravioli all'aragosta
Melanzane alla cioccolata
Le melanzane al cioccolato sono una pietanza tipica della Campania, un piatto dall’accostamento molto particolare e azzeccato. Le melanzane al cioccolato, generalmente vengono preparate durante le festività, in particolar modo per Ferragosto, ed essendo un piatto molto antico, preparato originariamente dai monaci, ha subito diverse varianti col corso degli anni.
Torta S. Rosa
La leggenda vuole che il luogo d'origine della sfogliatella Santa Rosa sia il borgo di Conca dei Marini, in Costiera amalfitana, nel monastero di Santa Rosa, da cui ha preso il nome. Si narra che ai primi del 700 la madre superiora decise di dedicare il dolce alla santa protettrice del monastero e stabilì che ne venissero ridotte le dimensioni per farne dono alle famiglie benefattrici del Convento ogni 30 Agosto, giorno della festa di Santa Rosa. Con il trascorrere del tempo il dolce ha subito delle variazioni, fino ad arrivare alle forme attuali con la classica fuoriuscita della crema dalla “pettola”(sfoglia), cui si aggiungono le amarene.
Babà al limoncello
I SOGNI ..E LA SMORFIA NAPOLETANA...
Perchè non cercar nei sogni anche un segno della fortuna?
Ecco la trasposizione delle immagini sognate in numeri, secondo la vecchia smorfia napoletana...... perchè no?
1 L'Italia L'Italia
24 'E gguardie Le guardie
47 'O muorto Il morto
70 'O palazzo Il palazzo
2 'A piccerella La bambina
25 Natale Natale
48 'O muorto che pparla Il morto che parla
71 L'ommo 'e merda Uomo senza valore
3 'A gatta La gatta
26 Nanninella Anna
49 'O piezzo 'e carne Il pezzo di carne
72 'A meraviglia Lo stupore
4 'O puorco Il maiale
27 'O cantaro Il vaso da notte
50 'O ppane Il pane
73 'O spitale L'ospedale
5 'A mana La mano
28 'E zizze Il seno
51 'O ciardino Il giardino
74 'A rotta La grotta
6 Chella ca guarda n'terra La cosa che guarda in terra
29 'O cacchio Il padre dei bambini
52 'A mamma La mamma
75 Pulecenella Pulcinella
7 'O vasetto Il vasetto
30 'E ppalle d''o tenente Le palle del tenente
53 'O viecchio Il vecchio
76 'A funtana La fontana
8 'A maronna La Madonna
31 'O patrone e casa Il padrone di casa
54 'O cappiello Il cappello
77 'E riavulille I diavoletti
9 'A figliata La figliolanza
32 'O capitone Il capitone
55 'A musica La musica
78 'A bella figliola La prostituta
10 'E fasule I fagioli
33 Li 'anne e Cristo Gli anni di Cristo
56 'A caruta La caduta
79 'O mariuolo Il ladro
11 'E surice I topi 3
4 'A capa La testa
57 'O scartellato Il gobetto
80 'A vocca La bocca
12 'E surdate I soldati
35 Aucielle L'uccello
58 'O paccotto Il cartoccio
81 'E sciure I fiori
13 Sant' Antuono Sant'Antonio
36 'E castagnelle Le nacchere
59 'E pile I peli
82 'A tavula 'mbandita La tavola imbandita
14 'O mbriaco L'ubriacone
37 'O monaco Il monaco
60 'O lamiento Il lamento
83 'O maletiempo Il maltempo
15 'O guaglione Il ragazzo
38 'E mazzate Le bastonate
61 'O cacciatore Il cacciatore
84 'A chiesa La chiesa
16 'O culo Il sedere
39 'A funa 'n ganna La corda al collo
62 'O muorto accise L'assassinato
85 L'anema 'o priatorio Le anime del purgatorio
17 'A disgrazzia La disgrazia
40 'A poposcia L'ernia
63 'A sposa La sposa
86 'A puteca La bottega
18 'O sanghe Il sangue
41 'O curtiello Il coltello
64 'A sciammeria La marsina
87 'E perucchie I pidocchi
19 'A resata La risata
42 'O ccafe' Il caffe'
65 'O chianto Il pianto
88 'E casecavalle I caciocavalli
20 'A festa La festa
43 Onna pereta for o' balcone Donna al balcone
66 'E ddoje zite Le due zitelle
89 'A vecchia La vecchia
21 'A femmena annura La donna nuda
44 'E cancelle Le carceri
67 'O purpo int'a chitarra Il polpo nella chitarra
90 'A paura La paura
22 'O pazzo Il matto
45 'O vino bbuono Il vino buono
68 'A zuppa cotta La minestra cotta
23 'O scemo Lo scemo
46 'E denare I soldi
69 Sott'e 'n coppa Sotto sopraIl teatro napoletano
Napoli è musica, ma anche recitazione. E il teatro napoletano è una delle più antiche e conosciute tradizioni artistiche di questa città. Basti tornare indietro nel tempo e pensare a Jacopo Sannazaro che, tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, recitava le sue farse prima alla corte angioina, poi presso gli aragonesi. Ma il teatro napoletano pre-Novecento è legato soprattutto alla tradizione e all’immagine di Pulcinella, maschera fissa il cui carattere, però, veniva plasmato – come spiegava Benedetto Croce – dagli attori che l’interpretavano.
Il più grande interprete di Pulcinella fu sicuramente Antonio Petito, chiamato anche con l’appellativo di Totonno ‘o pazzo, l’unico a trasformare maggiormente il personaggio. Esordì sulla scena all’età di sette anni e nel 1853, Totonno ereditò dal padre Salvatore (attore) la maschera di Pulcinella. Una vera e propria investitura del camice bianco che lo consacrerà negli anni a venire come Il Re dei Pulcinella e Il Re del San Carlino. Suo allievo fu Eduardo Scarpetta che parlava così del maestro: “Petito era capace di buttare giù una commedia in pochi giorni; ma per scriverla aveva bisogno di parecchie risme di carta, di parecchie dozzine di penne d’oca e di un litro d’inchiostro, metà per la commedia, metà per imbrattarsi gli abiti, le mani e la camicia. E le lettere si allungavano come tracciate dalla mano incerta d’un bambino, ora tenendosi ritte a stento, ora barcollando. Le righe si mutavano da orizzontali in trasversali, e così si andava avanti per pagine intere”.
Scarpetta, a solo quindici anni, fu scritturato da Petito per impersonare il personaggio di Felice Sciosciammocca, spalla comica di Pulcinella. Ma alla morte di Petito, Scarpetta decise di rinnovare il tutto, anche seguendo i gusti ormai cambiati del pubblico napoletano. Introdusse ad esempio i personaggi della borghesia cittadina e mantenne però più vivi che mai i caratteri farseschi della tradizione.
Altro nome fondamentale della tradizione del teatro napoletano è Raffaele Viviani. Autore, attore, poeta, acrobata, musicista, melodista e cantante nato in una famiglia povera, Viviani metteva in scena la plebe, i mendicanti, i venditori ambulanti, creature vive costrette a sopravvivere in un’eterna guerra. Il teatro di Viviani fu quindi un teatro diverso e sconvolgente costretto, durante il fascismo, a subire anche ostilità e forti censure. Il suo debutto di attore-autore e regista avvenne il 27 dicembre del 1917 al Teatro Umberto di Napoli. Qui inscenò il dramma ‘O vico, commedia in un atto in versi, prosa e musica. Viviani raccontava così il suo teatro: “Non mi fisso sempre una trama, mi fisso l’ambiente; scelgo i personaggi più comuni a questo ambiente e li faccio vivere come in questo ambiente vivono, li faccio parlare come li ho sentiti parlare”. Elogiato da uno dei più famosi chansonnier francesi del Novecento, Felix Mayol, Viviani fu molto amico del comico romano Ettore Petrolini e del siciliano Angelo Musco.
Impossibile poi non citare la famiglia e i fratelli De Filippo. Figli illegittimi dello stesso Scarpetta, i tre fratelli Eduardo De Filippo, Peppino De Filippo e Titina De Filippo iniziarono giovanissimi a calcare le scene. Nel 1931, dopo aver fondato una compagnia di teatro autonoma, ci fu l’esordio con l’atto unico Natale in casa Cupiello. Da qui il successo e la nascita di tante commedie quali Napoli Milionaria e Filumena Maturano, storie sempre ambientate a Napoli ma capaci di catturare l’attenzione di tutta l’Italia. Per ognuno dei fratelli, un percorso diverso. Per Peppino ad esempio, dopo la guerra, il lancio nel genere più comico andando a interpretare, accanto a Totò, alcuni dei suoi film più conosciuti. Tra questi, Totò, Peppino e la malefemmina e La banda degli onesti.
Anche Totò, comunque, calcò le assi del palcoscenico. I suoi primi successi teatrali arrivarono recitando accanto a Eduardo e Titina De Filippo. In lui, però, un forte amore soprattutto per il genere burlesco di stampo pulcinelliano.
Dopo il primo dopoguerra, poi, l’apparizione della sceneggiata di matrice popolare. Composta da tre atti, questa dava luogo ad una recitazione drammatica. La prima “opera sceneggiata” fu allestita dalla compagnia di G. D’Alessio, la quale rappresentò l’opera Pupatella. Proprio come un varietà, la classica sceneggiata napoletana unisce in un’unica rappresentazione i monologhi, il canto, la musica, il ballo e la recitazione. I motivi principali sono: l’amore, la passione, la gelosia, i valori ancestrali, l’onore, il tradimento, l’adulterio, il rapporto madre-figlio, la vendetta, il codice d’onore, la lotta tra il buono e ‘o malamente”. Ormai tipici i tre personaggi principali che costituiscono un triangolo: isso (lui, l’eroe positivo), essa (lei, l’eroina) e ‘o malamente (il malavitoso, il cattivo). La platea, rispetto al classico teatro, ha nella sceneggiata una partecipazione attiva e mostra la sua adesione o il suo dissenso alla vicenda rappresentata. Capitava infatti nel passato che presenti non fossero d’accordo sul finale della vicenda e nascevano animate discussioni al punto di sfociare in rissi e diverbi.
Il caffé
La storia del caffè è davvero lunga. Si parla di un cammino iniziato intorno al 900-1000 d.C. e continua ancora oggi con il caffè divenuto fenomeno di costume, simbolo della socialità ( e noi italiani che amiamo consumarlo in compagnia lo sappiamo bene)e bevanda che desta un grande interesse scientifico.
Il caffè è giunto fino a noi seguendo le rotte delle navi, quelle stesse rotte che hanno portato in Europa tanti altri prodotti e cibi sconosciuti e come sempre succede in questi casi, la tradizione popolare e le leggende si intrecciano con la realtà narrando storie più o meno veritiere intorno alle origini ed alla diffusione di questa bevanda.
Per alcuni studiosi esisteva già ai tempi di Omero e lo si beveva a Troia. Questa è soltanto una delle tante tesi legate all'origine del caffè, se volessimo seguire le varie storie ci perderemmo in una grande quantità di storie conosciute.
Possiamo affermare che già a partire dal 1454 nell'odierno Yemen era consuetudine sorseggiare il caffè ed il governo ne approvò il consumo lodando le sue qualità corroboranti contrapposte a quelle soporifere del qat o kat, bevanda diffusa su tutto il territorio nazionale.
Da qui partì una vera e propria diffusione che toccò le coste del Mar Rosso, La Mecca e Medina fino a d arrivare al Cairo incontrando un ampio favore dei popoli arabi favorito anche dal divieto del Corano di bere vino che trovò immediata sostituzione proprio con il caffè assumendo l'appellativo ancora oggi valido di "Vino dell'Islam".
Secondo alcuni racconti il caffè stimolando l'intelligenza, la creatività e la fantasia era visto positivamente dalla religione islamica che lo contrapponeva al vino che con le sue proprietà considerate negative era ritenuto responsabile di provocare sonnolenza e distrazione.
La religione islamica si diffondeva rapidamente e altrettanto rapidamente portava nei Paesi raggiunti e conquistati il fascino di questa nuova bevanda scura, il caffè appunto, che giunse a Costantinopoli nel 1517 circa, dopo la conquista dell'Egitto a opera di Selim primo. Da allora si prese l'abitudine di berlo in tutto l'impero turco, mentre tale abitudine era già ben radicata a Damasco (due locali all'epoca noti erano il Caffè delle Rose ed il Caffè della via della Salvezza) e ad Aleppo.
Anche a Costantinopoli la diffusione di questa bevanda vide nascere un gran numero di Caffè alcuni estremamente sfarzosi che servivano sia come luogo d'incontro e di svago sia come luogo di dibattito politico.
Per quale motivo i Caffè avevano raggiunto un livello di tale popolarità sia in Medio Oriente, sia in Europa? Sicuramente il fatto che fossero locali nuovi, mai esistiti prima dove era possibile berlo in compagnia e tranquillità, caratteristiche che è possibile riscontrare tutt' ora nei caffè, nei salotti o nei bar.
A far conoscere il caffè in Europa contribuirono i molti viaggiatori, commercianti ed avventurieri che seguirono le rotte delle navi, ma anche studiosi, medici a disegnatori. A queste persone il caffè si presentò come una novità di rilievo ed assoluta e gli diedero una tale importanza da compilare pagine e pagine di scritti o disegni, ancora oggi possiamo vedere diverse riproduzioni o miniature dell'epoca inerenti a questo tema. Tra i tanti autori che ci hanno lasciato una testimonianza vale la pena ricordare Prospero Albini detto Albus medico e botanico dell'Università di Pavia, Leonhard Rauwolf medico di Ausburg, suo è uno dei primi libri che parlano di caffè, Antoine de Galland e Jean Thévenot.
Se non è il caso di soffermarci sulla storia di questi personaggi, ben più interessante è vedere come il caffè sia giunto in Italia ed in altre parti d'Europa.
Il 1615 è considerata la data in cui il caffè fece la sua comparsa in Europa grazie ai commercianti veneziani seguendo le rotte marittime che univano l'Oriente con Venezia e Napoli ed il merito di averlo introdotto spetta al botanico Prospero Alpini che era stato medico del console di Venezia in Egitto, a G.Francesco Morosini, a Pietro della Valle ed a Fausto Nairone.
Venezia fu la prima città italiana che conobbe l'aroma del caffè, per poi diffondersi in tutta la Penisola e divenire punto di riferimento per mercanti non solo italiani, ma anche provenienti da altri Paesi specialmente del centro-nord Europa.
Prima di essere consumato come semplice bevanda, il caffè veniva anche bevuto per sfruttare alcune sue proprietà medicamentose e digestive e per questo motivo il suo prezzo era piuttosto elevato. Nel momento in cui si capì che la diffusione del caffè era tale da poter riempire le casse dello Stato nacquero le prime "Botteghe del Caffè", la più antica d'Europa, il Caffè Florian, si trova tutt'ora sotto i portici di Piazza San Marco a Venezia, per battere la concorrenza, un caffettiere fece pubblicare e distribuire un libretto che descriveva ed esaltava le proprietà di questo elisir d'oriente.
In Italia il caffè divenne presto dono da offrire in talune circostanze ed offerto come dono d'amicizia ed amore; era abitudine che i corteggiatori inviassero alle proprie innamorate vassoi colmi di caffè e cioccolata.
L'affermarsi del caffè come nel mondo musulmano, incontrò qualche problema, uno in particolare è importante da ricordare perché legato alla religione: alcuni sacerdoti si mostrarono contrari alla diffusione di questa bevanda e ne proposero la scomunica ritenendola una "bevanda del diavolo" e fecero pressione su Papa Clemente VIII affinché ne vietasse l'uso. A questo punto, il Pontefice, prima d'interdirla volle provarla di persona e ne rimase talmente colpito in positivo che non solo decise di non mettere il caffè al bando, ma addirittura lo volle battezzare rendendolo una "bevanda cristiana".
A partire dal 1683 i caffè in Italia si moltiplicarono e sebbene Venezia fosse la città dove essi erano più numerosi, presto altre città della Penisola. Giorgio Quadri nel 1775 fu il primo a far assaporare ai propri clienti l'autentico caffè alla turca.
Non solo a Venezia, ma anche in altre città fiorirono eleganti "Caffetterie" dette anche "Caffè Storici" ( Caffè Greco a Roma, Pedrocchi a Padova, San Carlo a Torino e numerosi altri).
Il nome di questi locali nel corso dei secoli è stato legato a persone note della società (scrittori, politici, filosofi) che ne erano abituali frequentatori, conferendo così un ulteriore valore e prestigio a queste "Caffetterie".
Il caffè: tra teatro, cinema e musica
Anche teatro, cinema e musica, testimoniano, che non c'e' luogo e tempo per degustare un caffe' e diverse sono le modalita' di preparazione descritte:
Teatro
Nel 1750 Carlo Goldoni scrive "La Bottega del Caffè". Nel 1761 l'abate Pietro Chiari scrive un dramma dal titolo "Il caffè di campagna, dramma giocoso da presentarsi in musica nel teatro Giustiniani di San Moise l'autunno dell'anno 1761 dell'abate Pietro Chiari poeta di S.A. S. il signor Duca di Modana". Nel 1850 a Napoli, viene rappresentata "Una bottega di caffè". Nel 1931 viene rappresentato per la prima volta "Natale in casa Cupiello" di Edoardo De Filippo: nel primo atto il risveglio del protagonista Lucariello e' reso amaro dalla pessima qualita' di caffe' che la moglie Concetta gli prepara "E' nu poco lasco ma e' tutto cafe'". Luca: "Ma perche' vuoi dare la colpa al caffe', che in questa tazza non c'e' mai stato! ". Nell'opera "Questi Fantasmi" del 1946 Eduardo si diletta in un vero e proprio discorso sul caffe' e sul modo di prepararlo.
Le Vostre Segnalazioni:
Bernardo Paoli: nell'opera "L'elisir d'amore" di Gaetano Donizetti l' "aria finale" del secondo atto cosi' recita:"Egli e' un'offa seducente
pei guardiani scrupolosi
e' un sonnifero eccellente
per le vecchie, pei gelosi;
da coraggio alle figliuole
che han paura a dormir sole;
svegliarino e' per l'amore
piu' possente del caffe'."
nell'opera lirica "Cenerentola" di Gioacchino Rossini, atto primo scena prima, Cenerentola nell' offrire la colazione ad Alidoro si sente rimproverare dalle sorelle Clorinda e Tisbe. Ecco un breve passo della scena:
Caffè a teatroCenerentola:
"Zitto, zitto: su prendete
Questo po' di colazione.
Versa una tazza di caffe', e la da' con un pane ad Alidoro coprendolo dalle sorelle.
Ah non reggo alla passione,
Che crudel fatalita'!"
Alidoro:
"Forse il Cielo il guiderdone
Pria di notte vi dara'."
Clorinda e Tisbe:
(pavoneggiandosi)
"Risvegliar dolce passione
Piu' di me nessuna sa.
(volgendosi ad osservare Alidoro)
Ma che vedo! Ancora li'!
Anche un pane? anche il caffe'?
(scagliandosi contro Cenerentola)
Prendi, prendi, questo a te.
Cinema
Nella grande stagione del western americano, il caffe', la cui preparazione veniva eseguita per bollitura, viene consumato al crepuscolo, davanti ad un fuoco acceso nella prateria quasi come fosse una liberazione, dopo una giornata di scorribande contro gli indiani.
Caffè al cinema
Il connubio John Ford / John Wayne, lo dimostra piu' volte. Lo si consuma all'alba a Fort Apache (vedi "I Cavalieri del Nord Ovest"), lo si consuma per smaltire una sbornia (vedi "Ombre Rosse"), lo si consuma semplicemente come bevanda ne "Un Dollaro D'Onore", dove prende il posto del whisky, lo si consuma ancora, per spegnere un falo' (vedi "Cowboy"). Oppure in un altro grande classico, quale "Johnny Guitar", Sterling Hayden sembra realizzare il primo spot pubblicitario quando recita "Niente di meglio che una fumata ed una tazza di caffe'". Al contrario di Kevin Costner ne fa merce di scambio in "Balla Coi Lupi".
Nella filmografia italiana, parliamo del neorealismo, si mette in luce la moka ottenendo al contrario una bevanda corposa, profumata e consistente. Testimonianze evidenti si hanno soprattutto nel dopoguerra con Toto' in "Toto' Terzo Uomo" dove l'attore ordina un caffe' corretto al cognac; in "Miseria e Nobiltà" dove si parla di caffelatte senza caffe' e senza latte !! in "La Banda degli Onesti" con un' intera scena dedicata al caffe'; ne "I Tartassati" con Toto' che sostiene "Prendo tre caffè alla volta per risparmiare due mance", e ancora "Sua Eccellenza si fermò a mangiare" , "Toto', Peppino e la dolce vita" e "Guardie e Ladri", mentre sorseggia il caffe' direttamente dalla moka e ne "I Due Marescialli" mentre ne contesta alla cameriera il sapore.
Con Edoardo De Filippo in "Questi Fantasmi" il caffe' assurge al ruolo di bevanda miracolosa, quando recita "Quando morirò tu portami il caffè e vedrai che io resuscito come Lazzaro". In tempi piu' recenti segnaliamo: "Casablanca" in cui Ingrid Bergman rimpiange il caffe' servito al Rick's Bar. Alcuni film di Alfred Hitchcoch quali: "L'Ombra del Dubbio", "Notorius" con il caffe' all'arsenico e "Vertigo". In "A Qualcuno Piace Caldo" di Billy Wilder, durante il proibizionismo, le bevande proibite venivano servite in tazzine da caffe'. Ne fa uso anche Alberto Lattuada nel film "Venga a prendere un caffe' da noi" (1970) con un simpatico ritornello interpretato da Ugo Tognazzi
Le Vostre Segnalazioni:
Pinuccia e Stefano: Anche il filone della commedia sexy all' italiana ha contribuito a rendere omaggio al caffe'. In "Vieni Avanti Cretino" film del 1982 per la regia di Luciano Salce, interpretato da Lino Banfi, il caffe' viene ordinato in piu' di una scena e nei modi piu' impensati, come il "caffe' all'Utopia" !!.
Dario e Rossana: ci segnalano il film di Jim Jarmush "Coffee and Cigarettes". Nei vari episodi, attori ed artisti chiaccherano di fronte ad una tazza di caffe' ed una sigaretta.
Musica
Caffè e Musica
Nel 1734 Johann Sebastian Bach scrive la "Cantata del Caffè", nella quale la protagonista rivendica il diritto alla degustazione e, suscitando le rimostranze del padre, pone questo suo diritto tra le condizioni del suo consenso alle nozze. Dal 1918 le prime canzoni sul caffe' "A tazza e' cafe' " edita da "La Canzonetta", scritta da Capaldo, per i testi, e Fassone per gli arrangiamenti. Nel 1969 Riccardo del Turco partecipa al Festival di Sanremo con "Cosa hai messo nel caffe' ". Nella discografia piu' recente, il caffe' diventa di conforto, di protezione, quasi come fosse il punto di partenza per affrontare una nuova giornata con Battisti "...la mattina c'e' chi mi prepara il caffe'" e Bob Dylan "One More Cup Of Coffee". Con Ron e Jackson Browne, diventa quasi un obbligo in "Una citta' per cantare / The Load Out" "...caffe' alla mattina...", Baglioni e Guccini lo interpretano come il punto di ritrovo per disagiati, disperati e barboni in "Poster" e "Via Paolo Fabbri 43"; per Fabrizio De Andre' e Pino Daniele diventa un passatempo, un compagno nella spensieratezza in "Don Raffaè" ed in "Na Tazzulella e Cafè".
Ulteriori citazioni, anche se fare una lista completa e' quasi impossibile, sono: "Starfish And Coffe" di Prince, "Wake Up And Smell The Coffee" dei Cranberries, "Caffe' nero bollente" di Fiorella Mannoia, "Viva l'Italia" di Francesco De Gregori,"Hanno Ucciso l'Uomo Ragno" degli 883. Al Festival di Sanremo 2003 Alex Britti si presenta con il brano "7000 caffè" e si piazza al secondo posto della classifica generale, la sua prima esibizione a questa edizione del Festival e' stata preceduta da un medley delle due "vallette" che racchiude anche il sopracitato brano "Cosa hai messo nel caffè".
Le Vostre Segnalazioni:
Pinuccia e Stefano, Rossana:"Cigarettes and Coffee" (Scialpi); il gruppo Milk and Coffee famoso negli anni'70; "Caffe'per Due" (e' un fox - trot !!) dell'Orchestra Patrizia. Come ci si puo' dimenticare dello Zecchino D'Oro ? uno dei tanti brani famosi degli anni '70 era proprio "Il Caffe' della Peppina" (autori ed interprete sfuggono al momento).
Pietro Leccese: Ci comunica, direttamente dal Venezuela, la notizia di un brano, "Moliendo cafè", il cui autore e' Hugo Blanco. Hugo Blanco, nato a Caracas, e' l'inventore dell' "Orquidea Rhythm" una musica sudamericana che miscela i ritmi caraibici con lo stile della musica cubana e della musica creola.
Anne Pradenas: Ci segnala "Black Coffee in Bed" degli Squeeze.
Eduardo Mohallem: Ci segnala "Espresso & the bed of nails" brano contenuto nel Cd "World Diary" del 1995 di Tony Levin. Il brano inizia con il rumore di una macchina espresso campionata !!!
Dorothy dal Brasile: Ci segnala "Quattro Amici al Bar" di Gino Paoli. Nel testo, il caffe' e' sempre un punto di riferimento, mentre cambiano le altre bevande:coca,vino,whisky.
Giuseppe Francescon: Ci segnala "Hawkmoon 269" degli U2 da "Rattle and Hum" del 1988.
Luigi Ciarlo: Attentissimo ascoltatore ci segnala, oltre alla gia' citata "Il caffe' della Peppina", anche "Furia" indimenticabile sigla dell'omonimo telefilm cantata da Mal e una filastrocca molto carina dal titolo "Ninna nanna del chicco di caffè":Ninna nanna mamma insalata non ce n'e'
sette le scodelle sulla tavola del re
ninna nanna mamma ce n'e' una anche per te
dentro cosa c'e' solo un chicco di caffe'
Giorgio Lisciandrello: Ci segnala "Coffee and Tv" dei Blur. Brano presente nel Best, in un Ep di edizione giapponese e nella colonna sonora del film "Cruel Intentions".
Angel Farina da Buenos Aires: Ci segnala "El ultimo cafè", lettera di Catulo Castillo, musicata da Hector Stampone.E' un tango argentino composto nel 1963.Come quasi tutti i tanghi parla di un amor non corrisposto, e quest'ultimo caffe' 'e quello che prende insieme alla sua donna mentre lei gli dice che "tutto e' finito".Il vero caffè napoletano
I Napoletani, sicuramente hanno il primato per il largo consumo che fanno di caffè e per i diversi modi in cui lo preparano.
La " tazzulella 'e cafè " fa parte delle irrinunciabili abitudini del napoletano: è la pausa di lavoro, il complemento del pranzo, il risveglio del mattino... la prima cosa che si offre ad un ospite e per quante sono le persone che lo amano, tanti sono i modi di prepararlo (oltre a quello tradizianale) e di gustarlo, e di questo gran numero, Vi proponiamo alcuni tra i piu diffusi.
Per fare un vero caffè napoletano, si deve avere "la macchinetta napoletana"; è solo così infatti, che il caffè mantiene tutto il suo aroma.
Una volta aperta e riempito il filtro, avendo cura di non inserire troppa polvere, appiattire il tutto con un cucchiaino, e con la punta di qust' ultimo, praticare alcuni piccoli solchi nella miscela.
Riavvitare quindi, il coperchio e riempire d'acqua la parte della caffettiera priva di beccuccio, fino a circa mezzo centimetro dal forellino di sfogo, e reinserire il gruppo filtrante.
Inserire quindi, la parte dotata di beccuccio. La caffettiera cosi composta, è pronta per essere messa sul fuoco,(appoggiandovi la parte senza beccuccio). L'uscita del vapore dal forellino, segnala l'ebollizione dell'acqua; a questo punto togliere la caffettiera dal fuoco e capovolgerla, tenedola saldamente per entrambe i manici.
Durante l'attesa, sarà vostra cura preparare il cosiddetto "coppetiello" che altro non è che un foglietto di carta, tradizionalemente di giornale, che bagnato e plasmato a forma di cono, sarà inserito sul beccuccio non appena la caffettiera sarà stata girata. La sua funzione non è relativa, anzi, serve a imprigionare l'aroma e il profumo del caffè all'interno della "macchinetta". A questo punto, non resta che attendere 2-3 minuti per il filtraggio del caffè e qundi servire.
Caffè al cioccolato
Grattugiate una tavoletta di cioccolato fondente di circa 100 gr. e fatelo fondere leggermente su fiamma bassa. Preparate mezzo litro di caffè forte e non zuccherato e, quando è ancora bollente, aggiungete la cioccolata e mescolate per farla sciogliere completamente.
Caffè del cardinale
Versate il caffé bollente nelle tazzine, copritelo con panna montata e una spolverata di cacao in polvere, accompagnato da qualche biscottino.
Caffè in crema
Mescolate un bicchiere di caffé forte con un bicchiere di latte e una bustina di vanillina. Lavorate tre tuorli con tre cucchiai di zucchero e fate cuocere a bagnomaria versandovi piano piano il latte e caffé. Fate cuocere fino a che la crema non sara abbastanza densa. Quindi servitela immediatamente, calda accompagnata da biscottini secchi. Questa è una simpatica alternativa per I'ora del thé dedicata agli amanti del caffé.
Caffè all'anice
Versare il caffè bollente nei " bicchierini" ed aggiungere un buon cucchiaio di Anice in ogni bicchierino e zuccherare a piacere.Pizzafest
La Festa della Pizza a Napoli
A settembre, nella città dove è nata la Pizza, si svolge il Pizzafest, la manifestazione dedicata a questa magnifica pietanza napoletana, uno dei simboli indiscussi di Napoli. La manifestazione, organizzata dall’Associazione Verace Pizza Napoletana, si svolge alla Mostra d’Oltremare, ma l’intera città è coinvolta. Il programma è ricco e variegato e, oltre ad una serie di incontri dove il tema conduttore è ovviamente la pizza, fanno da contorno alla manifestazione una serie di concerti di artisti napoletani, rappresentazioni teatrali e cabaret.La festa di Piedigrotta
La festa di Piedigrotta era anticamente una festa religiosa napoletana, ereditata dai Borboni, e si svolgeva nella notte tra il 7 e l’8 settembre, in occasione della Natività di Maria Vergine. Si narra che durante le prime luci del mattino del 7 settembre, le vie e gli atri dei palazzi venivano addobbati per la festa, durante la quale sfilavano carri arricchiti con vere e proprie orchestrine con mandolini e chitarre. Inoltre non mancavano “gruppetti di monelli muniti di aggeggi rumoristici e dello strumento principale, indispensabile e caratteristico della festa, ‘a trummettella (un cono di latta grossolanamente dipinto che emetteva una sola stridula nota), i quali davano le avvisaglie di quello che sarebbe stato il ciclopico concerto notturno”. Le canzoni erano tante, ed erano al centro di questo favoloso movimento, ne venivano premiate cinque o sei, considerate le migliori, scritte ora da poeti di fama e da compositori di gusto, ora da gente che per mestiere faceva tutt’ altra cosa che scrivere testi canori. In occasione quindi della Piedigrotta canora, nata nel 1835, ci fu un’esplosione di talenti che si espressero in dialetto e descrissero e cantarono in musica i sentimenti e i problemi della città. Dietro quei versi e quelle note, gli scrittori napoletani cercavano con disperata allegria di trattare episodi di vita, di costume e di gusto strettamente legati alla cronaca cittadina. La festa di Piedigrotta, decretò l’Ottocento come il secolo d’oro della canzone napoletana, e con essa si affermò anche lo sviluppo dell’editoria popolare e nacque quindi l’industria musicale. “Ci furono pertanto profondi cambiamenti nella festa tradizionale: erano nati nuovi riti, nuovi ‘pellegrinaggi’, nuove mete per le feste settembrine”. Luca Torre, ci informa che i primi editori delle canzoni piedigrottesche furono modesti tipografi che stampavano rozzi foglietti volanti, fogli su cui venivano trascritti i testi delle canzoni più note e venivano venduti poi a un grano l’uno dai venditori girovaghi. All’autore invece veniva offerto qualche centinaio di copie e qualche carlino. Si ascoltavano i brillanti versi di Libero Bovio, Roberto Bracco, Ernesto Murolo, Ferdinando Russo, Rocco Galdieri, e i testi di “Io te voglio bbene assaje” di Raffaele Sacco; “E spingole francese”, “Nannì! Meh dimme ca sì!”, “Marzo”, “”, di Salvatore Di Giacomo; “funiculì funiculà” di Peppino Turco; “O sole mio” di Giovanni Capurro, divennero successi commerciali famosi in tutto il mondo, poiché i ritornelli di questi successi tendono a ridursi a puri giochi fonici.
La pizza
La pizza ha origini antichissime; alcuni storici infatti suppongono che questo alimento era presente già nella cucina etrusca con forme e ingredienti ovviamente molto diversi da oggi. La pizza nasce però come un piatto povero che necessita per la sua alimentazione di alimenti semplici e facilmente reperibili:farina,olio,sale e lievito. La vera pizza Nasce intorno al 1600 dall'innegabile ingegno culinario meridionale, bisognoso di rendere più appetibile e saporita la tradizionale schiacciata di pane; all'inizio si trattava di pasta per pane cotta in forni a legna, condita con aglio, strutto e sale grosso, oppure, nella versione più "ricca", con caciocavallo e basilico. Della pizza più recente,quella che conosciamo noi dall'impasto soffice e gustoso se ne parla fra il 500 e il 600; la cosiddetta pizza alla" mastunicola" ossia pizza al basilico. Era preparata mettendo sul disco di pasta, dello strutto ,formaggio, foglie di basilico e pepe. Più avanti nel tempo nasce quella ai "cecinielli", ossia con la minutaglia di pesci che, soprattutto, i pescatori avevano a disposizione. L'arrivo sulle tavole della pizza moderna,avviene con la scoperta del pomodoro!!! Importato dal Perù, dopo che venne scoperta l'America, il pomodoro fu dapprima usato in cucina come salsa cotta con un po' di sale e basilico e solo più tardi , a qualcuno venne l'idea di metterlo sulla pizza. Inventando così senza volerlo la pizza. Incomincia cosi l'era della pizza moderna: a Napoli e anche in America. Infatti nell'ottocento la pizza col pomodoro arriva fino in America grazie agl'Italiani che emigrano a New-York e viene fatta come a Napoli. In quello stesso periodo a Napoli avviene il "matrimonio storico" con la mozzarella. Un pizzaiolo napoletano, Raffaele Esposito e sua moglie, prepararono la famosa pizza con pomodoro e mozzarella in onore della regina Margherita, moglie di Umberto I re d'Italia. Il pizzaiolo e sua moglie su richiesta della regina margherita prepararono tre pizze: una con la mustinicola, una alla marinara e una pizza con il pomodoro, la mozzarella e il basilico, pensando al tricolore Italiano. Alla regina piacque tremendamente quest'ultima ed il pizzaiolo per questo motivo la chiamò con il nome della regina.
Fu d'allora che la pizza Margherita si impose ovunque nel mondo.A vattut´ e ll´ astreche
(che in dialetto ischitano significa “La battuta del lastrico”) è una danza popolare dell'isola d'Ischia
Le origini
La danza rievoca la costruzione dei tetti a cupola definiti in gergo “a carusiello”, che hanno caratterizzato l´architettura ischitana e mediterranea fino agli anni ´50. La costruzione avveniva secondo canoni ben definiti: la sagoma del tetto veniva preparata con un’intelaiatura in legno che a sua volta veniva rivestita da un manto di creta e lapillo. A questo punto cominciava la “Vattut e ll´asteche” ovvero la battuta del lastricato solare, in quanto bisognava comprimere il lapillo bagnato da calce bianca viva fino a renderlo impermeabile. Durante questa fase, che si concludeva dopo ben tre giorni di lavoro ininterrotti, si utilizzava un palo di legno con l´estremità´ inferiore allargata definito “Pentone”, per poter comprimere più facilmente il lapillo. Alla costruzione partecipava solitamente tutta la comunitá locale. Per alleviare il lavoro, i battitori (definiti in gergo “Pentonari”) cantavano, raccontavano aneddoti e filastrocche. Il ritmo della battuta dei pali sul lapillo era dettato da un gruppo musicale formato da un tamburellista, da un clarinettista e da un fisarmonicista.
La danza
Nel ballo sono presenti sei o otto ballerini (“Pentonari”) muniti di bastone, i quali ruotano continuamente intorno ad una sagoma di legno (che rappresenta il tetto a cupola) e, allo stesso tempo, la colpiscono, scagliando dei violenti colpi. Anche nel ballo la scansione ritmica è determinata da una tammorra, mentre il canto corale è introdotto e accompagnato da strumenti a fiato. La danza è ripartita principalmente in due parti: la prima, caratterizzata da un ritmo lento e dalla presenza del canto di diversi aneddoti; la seconda parte del ballo, invece, si distingue per il suo ritmo molto incalzante. Oggi tale danza è eseguita dai soci dell´Associazione Scuola del Folklore del comune di Barano d'Ischia.
I testiI testi del ballo rappresentano dei veri e propri canti di lavoro in cui si riscontrano temi tipici della cultura popolare come il tradimento o il prete che seduce una ragazza.
(NAPOLETANO)
« Sarturella mia
‘nnammuratella ‘e primma gioventù
tu ir’ ‘na Maria
e mò te si’ cagnata pure tu
all’angule ‘e chesta via
quanta malincunia
Sarturella mia….. Sarturella mia….
Chi ‘a cunusceva nun po’ dir di male
era ‘na bona figlia overamente
teneva ‘a mamma soia ind’ ’o spitale
vulesse fatica’ onestamente
chi a cunusceva nun po’ dir di male
nu’ ne po’ dir di male
E uno roie e tre
e uno roie e tre
e uno roie e tre
e uno roie e treeeeh
Nun saccio ch’è succiesso a Murupano
nun saccio ch’è succiesso a Murupane
nun saccio ch’è succiesso a Murupano
nun saccio ch’è succiesso a Murupane
e nu prevuto s’ha vasato
e nu prevuto s’ha vasato
e nu prevuto s’ha vasato a ‘na ffigliola
a ‘na ffigliola.
E uno roie e tre
e uno roie e tre
e uno roie e tre
e uno roie e treeeeh
E cu’ la scusa de la cunfessare
e cu’ la scusa de la cunfessare
E cu’ la scusa de la cunfessare
e cu’ la scusa de la cunfessare
a lu prevuto s’è ‘izato ‘u spenghelone
‘u spenghelone
E uno roie e tre
e uno roie e tre
e uno roie e tre
e uno roie e treeeeh
Te voglio fa’ verè’ comme rindenna
te voglio fa’ verè’ comme rindenna
te voglio fa’ verè’ comme rindenna
te voglio fa’ verè’ comme rindenna
chillu campaniello ca
chillu campaniello ca
chillu campaniello ca
m’ha rato mamma
m’ha rato mamma
E uno roie e tre
e uno roie e tre
e uno roie e tre
e uno roie e treeeeh
Corre la mamma comme ‘na janara
corre la mamma comme ‘na janara
corre la mamma comme ‘na janara
corre la mamma comme ‘na janara
Io mò te vaco accusà’
io mò te vaco accusà’
io mò te vaco accusà’
da Monsignore
da Monsignore
E uno roie e tre
e uno roie e tre
e uno roie e tre
e uno roie e treeeeh
E Monsignore a me che me po’ fare
e Monsignore a me che me po’ fare
e Monsignore a me che me po’ fare
e Monsignore a me che me po’ fare
io me levo la suttana
io me levo la suttana
io me levo la suttana
e po’ me ‘nzoro
e po’ me ‘nzoro
E uno roie e tre
e uno roie e tre
e uno roie e tre
e uno roie e treeeeh. »(ITALIANO)
« Saratrella mia
innamoratella della prima gioventú
tu eri una Maria
ed ora sei cambiata anche tu
all´angolo di questa via
quanta malinconia
sartarella mia
Chi la conosceva non ne puó parlar male
era una brava ragazza veramente
aveva la madre in ospedale
voleva lavorare onestamente
chi la conosceva non puó parlarne male
E uno due e tre
e uno due e tre
e uno due e tre
e uno due e treeeh
Non so cosa é successo a Buonopane
Non so cosa é successo a Buonopane
Non so cosa é successo a Buonopane
Non so cosa é successo a Buonopane
Un preta ha baciato una ragazza
Un preta ha baciato una ragazza
Un preta ha baciato una ragazza
Un preta ha baciato una ragazza
E uno due e tre
e uno due e tre
e uno due e tre
e uno due e treeeh
Con la scusa della confessione
con la scusa della confessione
con la scusa della confessione
con la scusa della confessione
al prete si é alzato lo spillone
al prete si é alzato lo spillone
E uno due e tre
e uno due e tre
e uno due e tre
e uno due e treeeh
Voglio farti vedere come rintocca
Voglio farti vedere come rintocca
Voglio farti vedere come rintocca
Voglio farti vedere come rintocca
quel campanello che
quel campanello che
quel campanello che
mi ha dato mamma
mi ha dato mamma
E uno due e tre
e uno due e tre
e uno due e tre
e uno due e treeeh
La mamma corre come una straga
La mamma corre come una straga
La mamma corre come una straga
La mamma corre come una straga
Io ora ti denuncio
io ora ti denuncio
io ora ti denuncio
a Monsignore
a Monsignore
E uno due e tre
e uno due e tre
e uno due e tre
e uno due e treeeh
E monsignore che potrá farmi
E monsignore che potrá farmi
E monsignore che potrá farmi
E monsignore che potrá farmi
mi tolgo la sottana
mi tolgo la sottana
mi tolgo la sottana
e poi mi sposo
e poi mi sposo
E uno due e tre
e uno due e tre
e uno due e tre
e uno due e treeeh. »Mascarata
(che nel dialetto ischitano significa "mascherata") è una danza popolare originaria dell'isola d'Ischia.
Storia
Le origini della danza sono a tutt'oggi poco chiare. Esse sembrano però essere strettamente connesse al passato ellenico dell'isola (800 a.c.) per la struttura estremamente complessa del ballo. Tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 un numero considerevole di buonopanesi, complice lo stato di povertà, fu spinto ad emigrare negli Stati Uniti. Qui, a New York, un gruppo di oltre 160 persone iniziò a ballare la danza che, a sua volta, fu repressa dalle autorità statunitensi perché interpretata come un addestramento di un gruppo sovversivo filo-comunista. Da ciò ne risultò l’immediata espulsione dei ballerini dal paese. In questo arco di tempo, ovvero tra la fine dell'800 e gli anni '20, si verificò un periodo di "silenzio folklorico", in quanto in vi erano più gli interpreti della danza. Ma gli abitanti di Buonopane, una volta rimpatriati, ripresero ad eseguire la danza sotto una delle secolari querce del loro paese. È importante ricordare che in questo periodo la danza veniva ballata da maschi e femmine, cosa che, a partire dalla seconda metà degli anni '40, fu rigorosamente proibita. Fu proprio in questa decade che la mascarata subì cambiamenti radicali. Il ballo stesso non fu più definito mascarata, bensì ndrezzata. Inoltre, il tipico costume della mascarata, che attingeva agli abiti dei pescatori del '600, fu sostituito da un abito di cortigiano spagnolo. La struttura del ballo fu portata da due a tre tempi grazie all'introduzione di una sfilata iniziale e finale. La predica, che nella mascarata veniva recitata alla fine della danza, fu introdotta all'inizio e, al contempo, fu stravolto il suo testo.Negli anni '90 un gruppo di ragazzi del paese di Buonopane, in seguito ad una serie di ricerche riguardanti la storia e l'evoluzione della ndrezzata nel corso degli ultimi secoli, riportarono in vita il ballo della mascarata. Tale ballo è tutt'oggi eseguito dai soci dell'Associazione Scuola del Folklore, fondata dai ragazzi che condussero quelle ricerche.
La struttura
La Mascarata rappresenta una delle più caratteristiche danze di spade italiane. Essa si articola in due tempi: ballo e predica finale. All'inizio della danza i ballerini, raggruppati in 8 o 10 coppie, formano due centri concentrici. Il cerchio interno è costituito da femmine "armate" di spade bianche nella mano sinistra e da bastoni nella mano destra. I maschi, che formano il cerchio esterno, sono anch'essi "armati" di spade (azzurre) e bastoni. Le diverse e complesse figure della danza sono introdotte dal comando del caporale, che le indica anticipando il verso di ogni strofa. I ballerini cominciano così a scambiarsi violenti colpi intrecciando le proprie spade e i propri bastoni. Il principale conduttore melodico è il canto corale (sebbene accompagnato da tamburelli e clarinetti), mentre la scansione ritmica è data dal frenetico battito dei bastoni e delle spade di legno. Il testo del canto è a struttura variata in quanto è caratterizzato da quartine di settenari alternate a strofe che ricordano il marchigiano ballo della castellana. Lo stesso testo tende a sottolineare il carattere carnascialesco della danza in quanto sono presenti continue allusioni ironiche a personaggi (il Re, Garibaldi) o eventi storici importanti del momento. Nel corso della danza, i maschi ruotano intorno al cerchio interno e, durante alcune strofe, si sostituiscono alle compagne andando a formare il cerchio interno mentre le femmine vanno a formare quello esterno. Al termine della danza, le femmine intrecciano i propri bastoni per poter issare il caporale, il quale recita la "predica".
Il costume
Il costume dei ballerini attinge agli abiti dei pescatori del '600. I maschi indossano una camicia di seta grezza e un pantalone di lino lungo fino alle ginocchia. Inoltre, vestono una giubba rossa di canapone e un cappelo di lana (bianco). In vita portano una sciarpa di lana azzurra. Lo stesso vale per il costume delle femmine, le quali, a differenza dei ballerini maschi, vestono un corpetto azzurro. La sciarpa in vita e il cappello sono rossi. La danza veniva e viene tutt'ora ballata a piedi nudi.
Il testo
(NAPOLETANO)
« Trallera, trallera, tirà tirallallera
Trallera, trallera, tirà tirallallera e tirallirallallera zingariello pe’ l’ariulà
Trallera, trallera, tirà tirallallera e tirallirallallera zingariello pe’ l’ariulà
Trallera, trallera, tirà tirallallera
Trallera, trallera, tirà tirallallera e tirallirallallera zingariello pe’ l’ariulà
Trallera, trallera, tirà tirallallera e tirallirallallera zingariello pe’ l’ariulà.
Tu vile comme sfila
‘stù vuzzo ‘ngoppe all’acqua
oinè che t’aggio fatto
e nu ‘nge ‘a velimmo cchiù
e nu ‘nge ’a velimmo ‘cchiù.
‘Ndunino Napulione
s’ha fatto nu dagone
s’ha fatto nu daghino
e ‘Ndunino e Giacummino
e ‘Ndunino e Giacummino.
Nun saccio che vulisse
nu lietto re viole
ma mò nn’è tiempo ancora
e accuntentete ppe’ mò
e accuntentete ppe’ mò.
Una roie e tree
quatt’ cinche sei sette e otto
Una roie e tree
La povera Esterina
che guaio s’ha mise ‘nguollo
‘a iatta mariola
s’ha magnato ‘o capecuollo
s’ha magnato ‘o capecuollo
‘Mpunto mezzanotte
passaie n’aeroplano
e a sotto steve scritto
Evviva ‘o Rre italiano
Evviva ‘o Rre italiano.
Io vengo da Milano
con una spada in mano,
incontro la mia
e nge ‘u ‘nfizzo ‘nda pelosa
e nge ‘u ‘nfizzo ‘nda pelosa.
La lana che ne fai
la febbre fa venire
nu’ matarazzo ‘e stoppa
e cchiù frische ce’ fa stà’
e cchiù frische ce’ fa stà’
La povera vicchiarella
tu vi’ comm’è ridotta
sott’ all’aria strotta
e nun pòte accumparè
e nun pòte accumparè.
E mastu Rafaele
è nu capo fumatore
pe’ s’appiccia’ na pippa
ce’ metteva doie tre ore
ce’ metteva doie tre ore.
E la la la sempe cheste saie fa’
e mastu Rafaele
e nun ’nde ‘ngarrica’
e nun "nde ‘ngarrica’.
Facciata
pitintosa
dincell’ a mammità
Facciata
pitintosa
dincell’ a mammità
e pe’ n’ata vesta ‘e sposa
zingariello pe’ l’ariulà.
Facciata
pitintosa
dincell’ a mammità
e pe’ n’ata vesta ‘e sposa
zingariello pe’ l’ariulà.
Mariuccia ‘a corta e chiena
sotto ‘u ‘mbrello nun ce capeva
‘na pippa e ‘na cannuccia
e ‘u sicario a Mariuccia
e ‘u sicario a Mariuccia.
Muglierema ca m’è morta
era nu piezzo ‘e femmenone
teneva ‘e cosce storte
s’ê vvuleva adderezza’
s’ê vvuleva adderezza’.
Pititum pititum pitintera
am pititum
am pitintera
pititum pititum pitintera
am pititum
am pitintera
pititum pititum pitintera
am pititum
am pitintera
pititum pititum pitintera
am pititum
am pitintera
pititum pititum pitintera
am pititum
am pitintera
pititum pititum pitintera
am pititum
am pitintera.
‘Nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘a premmera ‘a premmè’
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘a premmera ‘a premmè’
‘a premmera ‘a premmè’.
‘Nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘a premmera ‘a premmè’
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘a premmera ‘a premmè’
E quanno me cocco a sera
m’abbraccio a nu cuscino
e quann’ è ‘a matina
e pensanno sempe a te
e pensanno sempe a te.
‘a premmera ‘a premmè’.
Il Re il Re di Napoli
il Re dei maccaroni
voleva far la guerra
senza sparar cannoni
senza sparar cannoni.
Anita fate presto
raccogli la mappata
la barca è preparata
c’è bisogno di partir
c’è bisogno di partir.
‘U tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
Gira! (comando del caporale)
Mugliereme ca m’è morta
era nu piezzo ‘e femmenone
e teneva ‘e cosce storte
se’ê vvuleva adderezzà’
Purtualle lisce e mmusce
e lummeciello pe’ scerià’
Si ‘a Monaca jesce e trase
acqua santa piglia e vasa
Si s’assette ‘o scannetiello
ce schiàmmo ‘o libriciello
Zi’ Preveto mio comm’aggia fa’
pe’ chest’anema me salvà’
Figlia mia fa penitenza
e peccate nun ne fa’
Padre mio so’ lasca ‘e senza
e penitenze nun pozzo fa’
Figlia mia fa lusceplina
e peccate nun ne fae
Padre mio so lasca ‘e rine
e lusceplina nun pozzo fa’
Figlia mia fa l’urazione
e peccate nun ne fa’
Si tenesse nu buono guaglione
io facesse ll’urazione
Vuie mannàteme nu bellu guaglione
e io ve faccio ll’urazione!
Si venive l’anno passato
t’avevo stipate nu scartellato
Che puozza essere scannato
giuste pe’ mme ‘o tiene stipato
‘U tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja.
Predica (recitata):
Me parto ‘a Murupane
sulo sulo comme a nu cane
arrivo a Isca
cu ‘na tammorra e nu sisco
arrivo a ‘Mmaculatella
‘u mare me pare ‘na pignatella
arrivo a Gibbilterra
s‘arrevota ‘u mare ‘u cielo e ‘a terra
arrivo a Nevyork
treni pe’ coppe e pe’ sotte
a Murupane so’ turnate
pe’ fà sta Mascarata
pu divertimento e’ signure e signore
‘ndrezzature mie a facce fore. »
(ITALIANO)
« Trallera, trallera, tirà tirallallera
Trallera, trallera, tirà tirallallera e tirallirallallera zingariello pe’ l’ariulà
Trallera, trallera, tirà tirallallera e tirallirallallera zingariello pe’ l’ariulà
[…]
Lo vedi come sfila
questo gozzo sull’acqua
ma cosa mai ti ho fatto
dal momento che non ci vediamo più
Antonio Napoleone
si è fatto uno spadone
si è fatto uno spadino
Antonio e Giacomino
Antonio e Giacomino
Non so cosa vorreste
un letto di viole
ma non è tempo ancora
e accontentati per ora
e accontentati per ora
Uno due e tre
quattro cinque sei sette e otto
[…]
La povera Ernestina
che guaio s’è caricato
la gatta ladra
ha mangiato il capocollo
ha mangiato il capocollo
A mezzanotte in punto
passò un aeroplano
di sotto portava scritto
Evviva il Re italiano
Evviva il Re italiano
Io vengo da Milano
con una spada in mano
incontro la mia sposa
e gliela infilzo dov’è pelosa
e gliela infilzo dov’è pelosa
Cosa ne fai della lana
la febbre fa venire
un materasso di stoppa
ti fa stare più fresco
ti fa stare più fresco
La povera vecchietta
tu vedi come è ridotta
distrutta dal tempo
non può più apparire bella
Mastro Raffaele era un grande fumatore
per accendersi la pipa
impiegava due otre ore
impiegava due tre ore
E là là là sempre questo sai far
e mastro Raffaele non ti preoccupar
non ti preoccupar.
Sfacciata che chiedi sempre
dillo a tua madre
per un abito da sposa
zingariello pe’ l’ariulà
[…]
Mariuccia la corta e grassa
sotto l’ombrello non entrava
una pipa e una cannuccia
e il sigaro a Mariuccia
e il sigaro a Mariuccia
Mia moglie che è morta
era un pezzo di donnone
aveva le gambe storte
e voleva raddrizzarsele
e voleva raddrizzarsele
Pititum pititum pitintera
am pititum
am pitintera
[…]
‘Nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘a premmera ‘a premmè’
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘nda ‘ndera
‘a premmera ‘a premmè’
‘a premmera ‘a premmè’.
[…]
Quando la sera vado a dormire
abbraccio un cuscino
fino al mattino
pensando sempre a te
pensando sempre a te
Il Re di Napoli
il Re dei maccheroni
voleva far la guerra
senza usar cannoni
senza usar cannoni
Anita fate presto
raccogli la roba
la barca è pronta
e bisogna partire
‘U tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
Gira! (comando del caporale)
Mia moglie che è morta
era un pezzo di donnone
aveva le gambe storte
e voleva raddrizzarsele
e voleva raddrizzarsele
Arance lisce e morbide
e stoppini da sfregare
Zia Monaca entra ed esce
l’acquasanta prende e bacia
se ti siedi allo scannetto apriamo il libretto
Zio Prete come posso fare
per quest’anima salvare
Figlia mia fai penitenza
e peccati non ne fare
Padre mio sono debole
e penitenze non posso fare
Figlia mia fai disciplina
e peccati non ne fare
Padre mio son debole di reni
e disciplina non posso fare
Figlia mia fai le orazioni
e peccati non ne fare
Se avessi un ragazzo in gamba
io farei l’orazione
voi mandatemi un bel giovanotto
e io vi faccio l’orazione
Se venivi l’anno passato
un gobbo t’avevo conservato
Che tu possa essere scannato
giusto per lo tiene stipato
‘U tre ‘u tre utreja
‘u tre ‘u tre utreja
[...]
Predica (recitata):
Parto da Buonopane
solo come un cane
arrivo ad Ischia
con una tammorra ed un fischio
arrivo all’Immacolatella
il mare mi sembra una pentola
arrivo a Gibilterra
si rivoltò il mare il cielo e la terra
arrivo a New York
treni di sopra e di sotto
a Buonopane son tornato
per fare questa Mascherata
per il divertimento di signori e signore
intrecciatori miei a faccia fuori. ».