LA CAMPANIA 7^Parte

NAPOLI È LA PIÙ MISTERIOSA CITTÀ D'EUROPA, NON È UNA CITTÀ: È UN MONDO

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI



    Venerdì…Dalla mongolfiera un leggero suono di note scorre…ci avviciniamo ad una grande città…la musica si fa più forte…il Maschio Angioino….atterriamo su una delle sue torri…e le dolci note ci avvolgono…<napule è mille culure…Napule è mille paure Napule…è a voce de' criature ..che saglie chianu chianu e tu sai ca nun si sulo…Napule è nu sole amaro…Napule è addore 'e mare …Napule è 'na carta sporca e nisciuno se ne importa e ognuno aspetta a' ciorta. Napule è 'na cammenata inte viche miezo all'ato ..Napule è tutto 'nu suonno e 'a sape tutti o' munno ma nun sanno a verità.>…davanti ai nostri occhi la sublime Napoli…Buon risveglio…amici miei…


    (Claudio)



    NAPOLI È LA PIÙ MISTERIOSA CITTÀ D'EUROPA, NON È UNA CITTÀ: È UN MONDO.



    “Napoli è una delle città più antiche dell’Occidente e come tutte le città dell'antichità (Babilonia, Troia, Roma), che vantano tradizioni mitologiche e leggende sulla sua origine, anche la nascita di Napoli è celata dal suggestivo velo del mito e della leggenda….la protagonista di tutte le leggende sulla fondazione di Napoli è sempre la mitica sirena Partenope che, caduta vittima dell’astuzia di Ulisse, abbandonò adirata il temibile scoglio delle sirene per giungere all’isolotto di Megaride, che accoglie l’attuale Borgo Marinaro…la prima colonizzazione del Golfo di Napoli risale a circa 3000 anni fa, al IX secolo a.C., quando viaggiatori e mercanti provenienti dalla Grecia e dall'Anatolia, attratti dalle ricchezze minerarie dell'alto Tirreno, fondarono una prima colonia a Pithecusa (l'attuale isola di Ischia ) e successivamente si spostarono sul litorale flegreo proprio di fronte alle coste ischitane, dove sorse Cuma. Successivamente, nel V secolo a.C., un gruppo di coloni provenienti da Cuma si insediò nell'area compresa tra l'isolotto di Megaride (dove oggi sorge il Castel dell'Ovo) ed il Monte Echia (l'odierna collina di Pizzofalcone) fondando la città di Partenope. Iniziava così la storia di Napoli. La nuova città, distante soltanto un paio di chilometri dalla vecchia, sorse nel 475 a.C. e fu chiamata Neapolis (= città nuova) per distinguerla dalla vecchia Partenope che fu così ribattezzata Palepolis (= città vecchia)..Nel 438 a.C., nella decisiva battaglia che i Sanniti vinsero contro i Cumani, la città di Cuma fu occupata perdendo così l'antico ruolo di potenza commerciale dell'Italia meridionale, che fu allora progressivamente assunto da Neapolis.”

    "<senza piloto ’a varca nun cammina> è l’antico proverbio napoletano che all’indomani dell’unità d’Italia sarebbe riecheggiato fra le strade dell’ex capitale borbonica, intendendo che quando manca una buona amministrazione una nazione non prospera… Fu nel settembre 1860 che l’esercito piemontese passando attraverso lo Stato pontificio entrò nel Regno di Napoli, sconfiggendo sul Volturno l’ultimo presidio delle truppe borboniche, già duramente messe alla prova dai garibaldini. Quindi, con i plebisciti convocati da Cavour, si decideva l’annessione del Regno di Napoli al resto dell’Italia…. agli occhi del popolo meridionale l’intera faccenda risorgimentale si era conclusa con una “conquista piemontese”, che aveva ignorato altre proposte come il federalismo o il decentramento moderato suggerito da Cavour….. Lo scontento e la delusione si tradussero dopo pochi anni nel fenomeno del brigantaggio, strumentalizzato dagli stessi Borboni nella speranza di riconquistare il trono, aiutati dalla Chiesa. Nel 1863 il governo, che temeva per l’unità, emanò la Legge Pica con la quale si autorizzava l’esercito a combattere contro i briganti…. La produzione ortofrutticola e quella dei gelsi, delle viti e degli olivi, avevano sempre contraddistinto l’immagine solare del rigoglioso giardino mediterraneo, favorito dal clima mite… il regno borbonico con efficaci misure protezionistiche aveva alimentato non solo diverse imprese industriali, ma il lavoro casalingo di varie manifatture. Si pensi all’antica tradizione della sericoltura, vanto della Calabria nel cinquecento, alle imprese laniere di Arpino, Isola Liri e Sora, alle lavorazioni del vetro e delle maioliche napoletane, alle famose porcellane della Real Fabbrica di Napoli – città tra l’altro nota, insieme con Solofra, per le sue concerie di pelle e alle rinomate filande specializzate in velluti, che si affiancarono all’antica fabbrica di San Leucio, creata proprio dai Borboni… Inoltre il Regno vantava del cantiere-arsenale di Castellammare e della fonderia di Pietrarsa. Fruttuose erano poi le industrie alimentari di Torre Annunziata e Gragnano, e grazie anche al capitale straniero, quelle della carta, tra cui la Lefebvre, che esportava nei maggiori mercati europei. Ed è grazie all’intraprendenza estera di un meccanico francese e alla collaborazione di un ingegnere calabrese che nel 1833-34 a Capodimonte nasceva la Macry & Henry, industria metalmeccanica… nel 1818 partì da Marsiglia il primo battello a vapore: il Ferdinando I, di produzione francese…. Alla tenacia degli eredi dell’ex Regno di Napoli, con le infauste vicende storiche di cui fu scenario, sia d’augurio l’antico proverbio napoletano: «chi sémmena ’mmiez’a ’e lacreme, arrecoglie ’mmiezo a’ priézza», intendendo che chi pur nella sofferenza ha seminato, poi raccoglie nella gioia.”

    “…. dalla centrale Piazza del Plebiscito, dominata dal secentesco Palazzo Reale, con l'appartamento storico e il Teatro di Corte. Dal vicino largo Trento e Trieste inizia l'animatissima via Toledo, una delle principali arterie cittadine, all'inizio della quale c'è la Galleria Umberto, di fine 800, tradizionale luogo di passeggio e di ritrovo; a destra, la via San Carlo, con il teatro San Carlo, tra i più grandi al mondo….La strada porta in piazza del Municipio, dominata dal Castel Nuovo, detto anche Maschio Angioino, eretto nel XIII secolo con il momumentale Arco di trionfo all'ingresso. La fortezza si affaccia sul porto, con la grande stazione marittima….Via Toledo porta invece, dopo Piazza del Gesù, a "Spaccanapoli", l'asse che attraversa da est a ovest tutto il centro, prendendo nomi diversi (Via Croce, Via San Biagio dei Librai, Forcella). Questa è una delle zone più pittoresche di Napoli, dove si concentrano antichi palazzi e belle chiese, tra cui il celebre complesso di Santa Chiara, con il suo chiostro maiolicato… verso il cuore del centro storico, nella zona di Via dei Tribunali, strada che corrisponde all'originario decumano maggiore dell'abitato greco-romano, s'incontrano Santa Maria Maggiore, San Lorenzo Maggiore e il Duomo. All'interno di quest'ultimo si trova la cappella di San Gennaro, con la statua e le reliquie del Santo patrono…. le bellezze di Napoli si affacciano anche sul Golfo: seguendo il lungomare si arriva al porticciuolo di Santa Lucia, il cui molo unisce alla terraferma l'isolotto sul quale si trovano il Borgo Marinaro, con i suoi ristoranti, e Castel dell'Ovo. Il lungomare di via Caracciolo conduce all'insenatura di Mergellina e qui, per via Posillipo, al Capo di Posillipo e a Marechiaro, con la celebre 'fenesta" della canzone di Salvatore di Giacomo… Il Museo archeologico nazionale è fra i più importanti nel mondo, in particolare per i reperti greco-romani, i mosaici e le pitture murali provenienti da Pompei, Ercolano e Stabia. L'ex Palazzo Reale di Capodimonte ospita la Galleria Nazionale, la Galleria dell'800, l'Appartamento storico e il Museo di Capodimonte. Opere i Simone Martini, Masolino da Panicale, Masaccio, Botticelli, Correggio, Parmigianino, Bellini, Lotto, Tiziano, Michelangelo, Raffaello, Caravaggio....l celebre Salottino di Porcellana, splendido capolavoro della manifattura di Capodimonte.”

    “La zona di Chiaia ebbe il suo massimo sviluppo nell' Ottocento, anche se fin dal XVI secolo le costruzioni sorsero numerose lungo il litorale fuori dalle mura cittadine. Alla fine del '700 la realizzazione della Villa reale, oggi Villa Comunale, cambiò il volto di questa parte di Napoli, che iniziava ad affermarsi come meta turistica privilegiata. A partire dalla seconda metà del XIX secolo, con la costruzione del rione Amedeo e l' apertura delle eleganti strade che partono dalla piazza omonima, l' area divenne subito il luogo prediletto dalla ricca borghesia del tempo. tracce di un passato remoto: Castel dell' Ovo, antica fortificazione che si protende nel mare davanti a Santa Lucia e il parco Virgiliano, sono entrambi avvolti nell' alone leggendario che tanto affascinò i viaggiatori del passato.”

    “La lunga strada che prende il nome di "Spaccanapoli", corrisponde ad una delle tre arterie maggiori della Napoli greco-romana, il decumano inferiore, gli altri due coincidono con le attuali via Anticaglia e via dei Tribunali. Alla fine del '200 , dopo la costruzione di Castel Nuovo, il centro direzionale della città cominciò a spostarsi in quella direzione. Nella zona di piazza Mercato si svilupparono le attività commerciali e qui nella città antica, si concentrarono le chiese e i conventi, il più noto dei quali è Santa Chiara. Con l' ampliamento urbano di epoca vicereale intorno alla nuova via Toledo, l' area dell' attuale piazza del Gesù Nuovo divenne il punto di congiunzione tra la città antica e quella moderna. Gli interventi fatti nel '900 con l' apertura di corso Umberto I hanno cancellato parte del tessuto della città medievale.”

    "Piazzetta Nilo si trova lungo la famosa Spaccanapoli, proprio all’inizio di via San Biagio dei Librai , uno dei tre decumani della Napoli greco-romana: siamo proprio nel cuore del centro antico e non a caso la piazza e la statua del dio Nilo che la caratterizza sono dette “il Corpo di Napoli”. Singolarità della piazza è che conserva da oltre duemila anni la medesima denominazione, ossia da quando un consistente numero di nativi di Alessandria d’Egitto si stabilirono in quella zona della città ed eressero così la statua del Nilo per ricordare la loro terra lontana. Caratteristica principale della piazza è la statua raffigurante il dio Nilo come vecchio barbuto con una cornucopia”

    “Una visita della Napoli sotterranea è un’esperienza che cambia decisamente il modo di vedere la città fa comprendere il passato e la storia millenaria di “Partenope”…Sotto i marciapiedi affollati ed i vicoli di Spaccanapoli, sotto le strade cittadine ricoperte con i lastroni del Vesuvio, ad oltre 40 metri di profondità, si estende un vasto e suggestivo intrigo di caverne, cisterne, cunicoli e pozzi che vanno a costituire una città sotto la città!..Già cinquemila anni fa i primi abitanti del Golfo avevano scavato la pietra tufacea di origine vulcanica del sottosuolo napoletano. Succesivamente anche i coloni greci usarono il tufo, materiale abbondante e di facile lavorazione, per costruire le loro fortificazioni, templi ed abitazioni. Il materiale da costruzione veniva ricavato direttamente dal sottosuolo sopra al quale si edificava. Così man mano che Neapolis cresceva si andava formando in profondità una immagine speculare della città….i romani dettero un forte impulso alla sviluppo della Napoli sotterranea, perchè non solo continuarono l’opera di scavo per ricavare il materiale da costruzione, ma collegarono le varie cave con cuniculi, tunnel e canali per convogliarvi le acque del Serino, una fonte a 70 Km da Napoli, e trasformarle così in cisterne. In questo modo da ogni casa, tramite un pozzo, si poteva accedere alla cisterna sottostante e approviggionarsi d’acqua… Accresciuto ed ampliato nei secoli successivi, il sistema creato dai romani fu usato da tutta la città per l’approvvigionamento idrico, fino a quando nel Seicento si cominciò a costruire un nuovo acquedotto parallelo: così lentamente le cisterne andarono svuotandosi, avendo perso la loro funzione originaria, anche se una parte del sistema rimase in funzione fino ai primi del Novecento , quando fu definitivamente abbandonato.”

    “Nell’Ottocento i Borboni fecero costruire una galleria sotterranea collegante Piazza del Plebiscito con la zona di Chiaia, per essere usata sia come via di fuga verso il mare dei Re residenti a Palazzo Reale sia per consentire un rapido accesso dei militari in difesa della residenza reale. Il Tunnel fu abbandonato, per essere poi usato soltanto come rifugio antiaereo nel corso della seconda guerra mondiale e successivamente come deposito di auto. ..Completamente dimenticato, il Tunnel Borbonico, viene (ri)scoperto….I rilievi consentirono di ammirare la bellezza di un’opera civile da anni dimenticata e portarono, al contempo, alla scoperta di diverse cavità non censite ubicate in aree limitrofe al Tunnel migliorando la conoscenza del sottosuolo dell’area di Monte Echia.”

    “ Il Palazzo Reale fu iniziato da Vincenzo Fontana a ridosso del vecchio Palazzo Vicereale demolito nel 1843….Al centro della facciata .. gli stemmi di Filippo II e del vicerè fondatore, sotto il balcone … lo stemma dei Savoia…Il Palazzo è la sede della Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele II, la principale dell’Italia meridionale, si trova all’interno dell’Appartamento delle Feste costruito da Gaetano Genovesi e decorato dai pittori dell’Accademia Napoletana”

    “Il Maschio Angioino, o Castel Nuovo, venne edificato a partire dal 1279 per volere di Carlo I d'Angiò che commissionò il progetto agli architetti Pierre de Chaule e Pierre d'Angicourt. L'edificio era destinato a dimora, ma svolgeva anche un'importante funzione strategica dovuta alla sua posizione, tra il centro cittadino e il porto. Il castello venne frequentato da illustri personaggi, quali Papa Celestino V e Papa Bonifacio VIII, Petrarca e Boccaccio. Durante il periodo aragonese venne restaurato e modificato per opera del catalano Guillén Sagrera su commissione di Alfonso d'Aragona. In questo modo la struttura acquistò un carattere tipicamente gotico catalano. La struttura del castello è di forma trapezoidale con maestosi torrioni cilindrici merlati impostati sugli angoli… tre torri, quella di Guardia, di Mezzo e di San Giorgio. Nello spazio tra due torri si trova un imponente arco di marmo che costituisce l'ingresso. L'arco venne progettato a metà del Quattrocento da Francesco Laurana e altri importanti artisti, per commemorare Alfonso d'Aragona. All'interno dell'edificio vi è il cortile risalente al Quattrocento. Fanno parte del castello anche la Torre del Beverello, la Sala dei Baroni e la Cappella Palatina, affrescata nel Trecento da Giotto.”

    “Castel dell'Ovo sorge imponente sull'isolotto roccioso di Megaride, costituito da due faraglioni uniti tra di loro da un grande arco naturale. Sotto il Castello, si adagia il Borgo Marinaro ed il suo porticciolo, con le basse casette, i ristoranti ed capannoni per le imbarcazioni. Un breve ponte congiunge l'isolotto a via Partenope, che porta il nome della leggendaria sirena della città di Napoli: è una delle strade più belle, da cui lo sguardo può abbracciare l'intero arco del Golfo. Al suo posto, fino alla fine dell’Ottocento, vi era un lungo banco di tufo emergente dal mare chiamato Chiatamone…Castel dell'Ovo ha una lunga storia che risale ai tempi del ducato napoletano, e, prima ancora, al castrum Lucullanum, ed il suo nome è legato ad una delle più fantasiose leggende napoletane, di origine medioevale, secondo la quale Virgilio, il grande poeta latino, vi avrebbe nascosto all'interno di una gabbia un uovo incantato chiuso in una gabbia. Il luogo ove era conservato l'uovo, fu chiuso da pesanti serrature e tenuto segreto poiché da "quell'ovo pendevano tutti li facti e la fortuna del Castel Marino". Si cominciò a credere che finché l’uovo non si fosse rotto città e castello sarebbero stati protetti da ogni tipo di calamità, ma se qualcosa fosse accaduto all'uovo, guai a Napoli ed ai napoletani!..La leggenda ha tenuto per secoli, ed il castello non ha mai avuto altro nome. Quando il Petrarca venne a Napoli ospite del re Roberto d'Angiò, apprese anch'egli, la storia dell'uovo incantato del castello. Al tempo della regina Giovanna I, il castello subì ingenti danni a causa del crollo parziale dell'arco che unisce i due scogli sul quale è poggiato e la Regina dovette solennemente giurare di aver provveduto a sostituire l'uovo per evitare che in città si diffondesse il panico per timore di nuove e più gravi sciagure. I lavori di restauro fatti a quell'epoca mutarono in parte la linea architettonica del forte normanno..”

    “…. al numero 12 di via Benedetto Croce il Palazzo Filomarino della Rocca, fondato nel XIV secolo e rimaneggiato nel 1650, dove visse e morì il filosofo Benedetto Croce che nel 1947 vi fondò l’istituto italiano per gli Studi storici di cui è ancora conservata la ricchissima biblioteca.”

    “Il Duomo dedicato all’Assunta re fondato da Carlo II. Il suo attuale aspetto è il risultato di vari restauri fatti a partire dal terremoto del 1945….Nella facciata da ammirare sono i tre portali di Antonio Baboccio dove dentro la lunetta del mediano potete osservare una madonna con bambino di Tito Camaino…Ma il motivo per cui fra il popolo napoletano è famosa la chiesa del Duomo è per il miracolo di San Gennaro che ogni anno si compie il 19 settembre quando il sangue raggrumito del santo patrono della città, raccolto in un’ampolla, ogni anno lo stesso giorno diventa magicamente liquido”

    “ I vicerè spagnoli avevano vietato di costruire fuori dalle mura, ma nonostante questo, fin dal seicento si era andata sviluppando una vera e propria città dei borghi. A partire dall' inizio del XIX secolo si tentò di dare un volto urbano ai borghi settentrionali: in prosecuzione di via Toledo venne aperta la grande strada per la reggia di Capodimonte… fu sistemata la piazza accanto al museo archeologico ed ampliata via Foria, lungo la quale erano in costruzione l' Orto botanico e , a partire dal 1751, l' immenso albergo dei poveri. Gli antichi borghi della Sanità, dei Vergini, delle Fontanelle hanno conservato il carattere originario di quartieri popolari dove, oggi come allora, lungo le strade che conducono ai cimiteri paleocristiani, l' edilizia povera e popolare si alterna alle chiese ed ai palazzi storici.”











    Napoli sotterranea



    Nata sul mare, Napoli è anche la città del Vesuvio. Il vulcano, presente nella storia, nella vita e nell'arte, è stato anche all'origine di molte delle particolarita' della città. Cresciuta sul tufo, sulla pozzolana e sulle rocce generate dalle antiche eruzioni del vulcanismo dei Campi Flegrei, Napoli ha sempre sfruttato la pietra dei suoi colli e del fondo delle sue valli per crescere verso l'alto.

    Nei vicoli stretti del centro storico, nati sulle direzioni delle antiche vie della città romana, i palazzi si stringono tra loro, e si uniscono, utilizzando tutto lo spazio disponibile. Il cuore di Napoli, tra S.Biagio dei Librai e Piazza San Gaetano, affonda le radici in un passato lontano, fatto dei resti della città, cancellate dallo scorrere dei tempi.

    Cultura, folklore, tradizione. Il centro della Napoli dei nostri giorni è figlio del suo passato. Le strade e le piazze di oggi sono il fulcro della lunga storia della città nascosta, della complicata biografia della Napoli Sotterranea.

    Dieci, venti, trenta metri più in basso; una visita dei sotterranei offre spunti ed elementi per capire come si è evoluta Napoli, e come il lavorìo nascosto di generazioni di napoletani abbia reso possibile lo sviluppo della città, così come oggi la conosciamo. In principio, nel III secolo a.C., i Greci aprirono le prime cave sotterranee per ricavare i blocchi di tufo necessari alle mura della loro Neapolis. Ma lo sviluppo imponente del reticolo dei sotterranei inizio' in epoca romana.

    Per un visitatore di oggi, non è facile orientarsi nel dedalo dei sotterranei che si stendono sotto quasi tutta la superficie cittadina. Mai abbandonati e dimenticati, i primi acquedotti delle origini sono stati utilizzati nuovamente, cambiati, allargati, e adattati a nuovi usi. Sulle pareti di tufo, è possibile leggere ancora i segni dei picconi, e del lungo lavoro svolto dall'uomo nel sottosuolo.

    Eccezionale testimonianza archeologica, il sottosuolo di Napoli è diventato negli ultimi anni, grazie all'impegno di un gruppo di appassionati ricercatori, una meta turistica di fama internazionale. Il percorso delle visite guidate, dopo aver attraversato sale e percorso gallerie di epoche differenti, giunge all'acqua, il cui sfruttamento e trasporto furono gli elementi decisivi per la nascita del sotterraneo.

    Grandi ingegneri ed urbanisti, i romani dotarono la città di una rete di acquedotti complessa, alimentata da condotti sotterranei provenienti dalle sorgenti del Serino, a 70 km di distanza dal centro di Napoli. Altri rami dell'acquedotto di eta' augustea arrivarono fino a Miseno, per alimentare la Piscina Mirabilis, che fu la riserva d'acqua della flotta romana.

    Larghi quel poco che permetteva il passaggio di un uomo, i cunicoli dell'acquedotto si diramano spesso in tutte le direzioni, con lo scopo di alimentare fontane ed abitazioni situate in diverse aree della città superiore. A tratti, sulle pareti, si notano ancora tracce dell'intonaco idraulico, utilizzato dagli ingegneri dell'antichita' per impermeabilizzare le gallerie.

    Vi sono diversi percorsi per poter accedere a questa città "parallela", ancora non completamente conosciuta; tutti inquietanti ed al tempo stesso affascinanti. Ci si alterna tra cisterne e cave, cunicoli e pozzi, resti del periodo greco-romano e catacombe, ed i passaggi che collegano svariati punti della città anche distanti chilometri sono innumerevoli.


    L'esistenza di Napoli sotterranea quindi è legata alla conformazione morfologica e geologica del territorio partenopeo, composto da roccia tufacea che ha caratteristiche di leggerezza, friabilità e stabilità del tutto particolari.
    Le prime trasformazioni della morfologia del territorio, avvenute ad opera dei Greci a partire dal 470 a.C., danno inizio alla crescita di quel mondo affascinante che è la Napoli sotterranea. Tali trasformazioni sono state dettate da esigenze di approvvigionamento idrico, che ha portato alla creazione di cisterne sotterranee adibite alla raccolta di acque piovane, e dalla necessità di recuperare materiale da costruzione per erigere gli edifici di Neapolis.



    Nei secoli successivi l'espansione della città portò alla realizzazione di un vero e proprio acquedotto che permetteva di raccogliere e distribuire acqua potabile grazie ad una serie di cisterne collegate ad una fitta rete di cunicoli. Durante il dominio romano l'esistente acquedotto fu ampliato e perfezionato, ma con l'avvento degli Angioini, nel 1266, la città conobbe una grande espansione urbanistica cui, ovviamente corrispose un incremento dell'estrazione del tufo dal sottosuolo per costruire nuovi edifici, confermando una peculiarità di Napoli: quella di essere generata dalle proprie viscere, dove i palazzi sorgono immediatamente sopra la cava che ha fornito il materiale da costruzione.



    Ad incidere in maniera determinante sulla sorte del sottosuolo napoletano intervennero, fra il 1588 ed il 1615, alcuni editti che proibivano l'introduzione in città di materiali da costruzione, onde evitare l'espansione incontrollata di Napoli. I cittadini, per evitare sanzioni e soddisfare la necessità di ampliamento urbanistico, pensarono bene di estrarre il tufo sottostante la città, sfruttando i pozzi già esistenti, ampliando le cisterne destinate a contenere l'acqua potabile e ricavandone di nuove. Questo tipo di estrazione, che avveniva dall'alto verso il basso, richiedeva tecniche particolari al fine di garantire la stabilità del sottosuolo ed evitare crolli indesiderati.



    Solo nel 1885, dopo una tremenda epidemia di colera, venne abbandonato l'uso del vecchio sistema di distribuzione idrica per adottare il nuovo acquedotto, che ancora è in funzione.



    L'ultimo intervento sul sottosuolo risale alla seconda guerra mondiale, quando per offrire rifugi sicuri alla popolazione si decise di adattare le strutture dell'antico acquedotto alle esigenze dei cittadini. Furono allestiti in tutta Napoli 369 ricoveri in grotta e 247 ricoveri anticrollo. Un elenco ufficiale del Ministero degli Interni del 1939 annoverava 616 indirizzi che portavano nei 436 ricoveri suddetti, alcuni dei quali con più di un accesso. L'allestimento dei ricoveri portò ad un ulteriore frazionamento dell'antico acquedotto.

    Finita la guerra, per la mancanza di mezzi di trasporto, quasi tutte le macerie furono scaricate nel sottosuolo, quasi a voler seppellire con esse, anche tutti i ricordi di quel triste periodo. Fino alla fine degli anni '60 non si è più parlato del sottosuolo, anche se molti continuavano ad utilizzare i pozzi come discariche.



    Dal 1968, però, cominciarono a verificarsi alcuni dissesti dovuti essenzialmente a rotture di fogne o perdite del nuovo acquedotto: tali inconvenienti, che in tutte le città del mondo si evidenziano con rigurgiti di liquami in superficie o allagamenti, a Napoli invece, proprio per la presenza del vasto sottosuolo cavo, si palesano con grosse voragini. Dopo circa 20 anni di scavi e di bonifica, e grazie all'impegno silenzioso e al sacrificio di volontari che, dopo il lavoro, si calavano nelle viscere di Napoli per riportare alla luce un reperto storico di siffatta grandezza, oggi è possibile conoscere una pagina inedita della storia di Napoli.

    I sotterranei cambiarono il loro volto, furono illuminati e divennero (a causa delle bombe che cadevano in superficie) ancora una volta parte integrante della vita della città. Resti di arredi, tracce di vita di cinquant'anni fa ci aiutano a capire come a Napoli, più che in ogni altra città d'Italia, il mondo sotterraneo sia sempre stato parte della vita quotidiana, nella buona come nella cattiva sorte.

    Frequentati ed abitati per secoli, i sotterranei di Napoli non sono però completamente conosciuti. Come per ogni topografia sotterranea, anche nel caso dei cunicoli partenopei è stata necessaria la presenza di un gruppo di esploratori. Partendo dai pozzi e dai varchi che si aprono in superficie, speleologi napoletani esplorano da più di un decennio il sottosuolo della città. La nuova disciplina della speleologia urbana, nata all'ombra del Vesuvio, ha oramai conquistato i suoi adepti in ogni città storica del paese.



    L'impianto elettrico dell'epoca, bagni "adattati" (le vecchie cisterne sono dovute diventare un ricovero), vi sono svariati graffiti che portano la testimonianza della vita passata nei rifugi durante il triste periodo. Alcuni ritraenti i capi di stato dell'asse Berlino-Roma-Tokio, altri con donne dell'epoca, soldati, aerei, campi e schemi calcistici, oltre a racconti ed anneddoti di persone realmente vissute contribuiscono a rendere la visita colorata e pittoresca.



    Nelle visite guidate nel sottosuolo, si va sotto i Quartieri Spagnoli, in vico S. Anna di Palazzo 52, dove i fratelli Michele e Salvatore Quaranta, i Caronte del 2000, hanno fondato la Libera Associazione Escursionisti Sottosuolo che si prefigge una maggiore conoscenza della città "inferiore". Scendendo nelle cavità si potranno ammirare le vecchie cisterne dell'acquedotto del Carmignano e si potranno rivivere le sensazioni di chi vi si rifugiò durante la guerra. Sulle mura sono graffite pagine di storia, nomi e caricature di personalità dell'epoca, costumi dell'epoca, soldati di varie nazioni, date, informazioni sui due sommergibili italiani - il Diaspro ed il Topazio - che operarono durante la guerra, ed ancora aerei e carri armati, nonché le esternazioni di chi, costretto a restare in quei luoghi per i bombardamenti, volle tramandare ai posteri le sue considerazioni.



    golfo_napoli

    napoli



    NAPOLI E I SUOI VICOLI





    Napoli è città di magia e superstizione. Per i suoi vicoli si dice che si aggirino 'o munaciello (spiritello dispettoso) e 'a bella 'mbriana (spirito benigno). Famosissima è l'antica Smorfia Napoletana colla quale è possibile ricavare dei numeri da giocare al lotto attraverso l'interpretazione dei sogni. A Napoli visse nel settecento Raimondo di Sangro, Principe di San Severo, alchimista e stregone, che si narrava sequestrasse ignari popolani per sottoporli ai suoi truci esperimenti. Il principe era in realtà un illuminato scienziato massone e rosacrociano e a tutt'oggi non si sa come abbia fatto a creare le sue Macchine anatomiche visibili presso la Cappella San Severo, nel centro di Napoli. Si tratta di corpi di esseri umani mummificati e pietrificati con ritrovati scientifici che, all'epoca del principe, non si riteneva potessero già conoscersi.








    MASANIELLO

    Napoli è la città di Masaniello (vero nome: Tommaso Aniello d'Amalfi), simbolo di ribellione contro l'arroganza dei potenti, era un popolano che si mise al capo di una rivolta della gente semplice della città contro dazi e gabelle ed il malgoverno dei nobili che affamavano i più umili. Dopo un primo momento di vittoria, Masaniello impazzì (forse a causa di un avvelenamento da parte degli spagnoli), perse il controllo delle masse e venne ucciso proprio dai popolani, consentendo al governo di restaurare l'ordine.




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    NAPOLI..E' ANCHE LA CITTA' DI PULCINELLA...

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    LA MASCHERA DI PULCINELLA






    La maschera locale è il famosissimo Pulcinella, che impersona il genio, l'estro, la furbizia e l'ingegnosità dei napoletani. Probabilmente tale maschera è di origine classica (da Maccus, il protagonista burlone e grottesco delle Fabulae Atellanae, uno spettacolo molto in voga nella civiltà romana del IV secolo AC) ed il nome sarebbe legato a Puccio d'Aniello, un contadino di Acerra che nel seicento, tramite rappresentazioni teatrali, portò in auge l'antica maschera.



    Castel Capuano







    Uno dei più antichi castelli di Napoli si trova nei pressi di Porta Capuana ed è priprio da tale vicinanza che si fa derivare il nome Castel Capuano. Il palazzo, oggi sede del Tribunale Civile di Napoli, venne fatto costruire da Guglielmo I, intorno al 1165, anche se è probabile che vi fosse già una struttura fortificata.





    L'attuale conformazione deriva dai numerosi ampliamenti e interventi che sono stati fatti durante il regno di Federico II e dei sovrani angioini, i quali, in realtà, avevano preso dimora stabile presso Castel Nuovo.





    Gli aragonesi, invece, lo preferirono e il castello divenne di nuovo il lussuoso palazzo di corte, ma con il dominio spagnolo iniziò a delinearsi l'attuale funzione istituzionale : il vicerè Don Pedro Toledo, infatti, dispose che questo fosse utilizzato come carcere e come Palazzo di Giustizia.





    Con la Regina Giovanna I e Giovanna II, il Castello divenne luogo di misteriose vicende, intrighi di corte e malaffari : sembra, infatti, che Castel Capuano fu teatro dell'assassinio di Ser Gianni Caracciolo, Gran Siniscalco della regina Giovanna II, durante i festeggiamenti per le nozze di suo figlio; Ser Gianni venne poi scaraventato dalla finestra, che dava verso S.Giovanni a Carbonara, e raccolto dai Frati del convento che provvidero a dargli sepoltura, prima che gli venisse realizzato un degno monumento funebre.



    All'esterno è posta in evidenza la grande Aquila, stemma degli Asburgo, poi ancora sono conservate le insegne di Carlo V e numerose opere d'arte. All'interno, infatti, si può accedere alla Cappella della Sommaria, al Salone dei Busti e al Saloncino dei Busti, oltre alla Biblioteca.





    La Biblioteca, intitolata ora ad Alfredo De Marsico- originario di Salerno, Professore di procedura penale all'Università La Sapienza di Roma e deputato dal 1924- fu inaugurata, ufficialmente, il 19 luglio 1896 e fin da allora rappresenta un simbolo del sapere giuridico, un luogo in cui rinnovare la conoscenza del diritto, per questo, quando durante la seconda guerra mondiale, gli avvocati napoletani, ebbero distrutti case e studi professionali dai bombardamenti, vi trovarono gli strumenti necessari per continuare la pratica forense.





    All'ingresso della sala di lettura, a testimonianza di quanto detto, è posta una iscrizione dettata da Enrico de Nicola: "Vi affidiamo i libri che furono compagni fedeli del nostro lavoro perché li custodiate con lo stesso amore col quale li abbiamo raccolti ". E' un monito rivolto non solo a quanti ogni giorno frequentano la biblioteca per i loro studi, ma anche a chi, di volta in volta, si assume per mandato il gravoso compito di amministrare questo inestimabile patrimonio di cultura.





    Nel Saloncino e nel Salone, invece, si trovano i busti di coloro che resero celebre il Foro di Napoli : collocati durante una cerimonia del 15 marzo 1882 questi rappresentano la continuità temporale tra il vecchio e il nuovo, la comune appartenenza ad un'unica legge. Il Salone, noto anche come la Maggior Sala, era stato, fino al 1807, l'aula di udienza della Regia Camera della Sommaria, trasferita in Castel Capuano nel febbraio 1538 quando il Gran Viceré Don Pedro de Toledo volle riunire in unica sede le corti di giustizia sparse per la città. Accanto vi è la Cappella Sommaria, così definita essendo questa il luogo in cui i Magistrati della Sommaria si raccoglievano in preghiera, prima di riunirsi collegialmente per le loro deliberazioni. Ora, mentre le Sezioni Penali sono state trasferite nel Nuovo Palazzo di Giustizia, presso il Centro Direzionale di Napoli, Castel Capuano continua ad assolvere alla funzione, benché in modo limitato, affidatagli da Don Pedro Toledo nel XVI secolo.





















    Zuoccole, tammorre e femmene

    Tutte hanno scritto a Napule canzone appassiunate,
    tutte 'e bellezze 'e Napule so' state decantate:
    da Bovio a Tagliaferri; Di Giacomo a Valente;
    in prosa, vierze e musica: ma chi po' ddi' c'chiù niente?
    Chi tene cchiù 'o c'uraygio 'e di' quaccosa
    doppo ca sti puete gruosse assaie
    d'accordo songo state 'a ddi' una cosa:
    ca stu paese nun se scorda maie.
    Sta Napule, riggina d' 'e ssirene,
    ca cchiu' 'a guardammo e cchiù 'a vulimmo bbene.
    'A tengo sana sana dinto 'e vene,
    'a porto dinto 'o core, ch'aggia fa'?
    Napule, si' comme 'o zucchero.
    terra d'ammore ... che rarità!

    Zuoccole, tammorre e femmene,
    è 'o core 'e Napule ca vo' cantà.
    Napule, tu si' adorabile,
    Siente stu core che te vo' di':
    « Zuoccole, tammorre e femmene,
    chi è nnato a Napule nce vo' murì ».



    Cappella di San Giovanni dei Pappacoda





    - Probabilmente asservita all’allora limitrofo palazzo della Famiglia, del quale oggi sopravvive il portale spostato su via Mezzocannone (nel 1921), quale ingresso alla facoltà di matematica. Costruita da Artusio Pappacoda*. Il nome della famiglia figura anche nella fondazione della chiesa di San Pietro a Fusariello (S.Giovanni ad Corpus)





    - Data presumibile di edificazione: 1415 (Gino Doria parla del 1416, mentre V. Gleijeses parla addirittura del 1514, attribuendone al suo secondo fondatore – il Vescovo Sigismondo – la reale fondazione. Sempre il Gleijeses riferisce come data di ultimazione della cappella, l’anno 1520. Sigismondo avrebbe pertanto dato inizio alla costruzione dell’opera, proprio a seguito della volontà a suo tempo espressa da Artusio);



    - Facciata: dai più attribuita ad Antonio Baboccio da Piperno (o Priverno), o almeno alla sua bottega (si tratta dello stesso autore della facciata del Duomo napoletano). Il Galante indica invece come più attendibile il nome dell’artista napoletano Andrea Ciccione;





    DESCRIZIONE DELLA FACCIATA:
    Sui due pilastri laterali, decorati a piccole colonne scannellate ed a motivi floreali, poggia l’architrave, su cui si eleva l’arco a sesto acuto. L’arco è fiancheggiato esternamente da due alte colonne poggiate su leoni. Al lato interno delle due colonne, a prolungamento dei montanti della porta, abbiamo due piccoli pinnacoli che culminano rispettivamente a Sx con una cuspide (mancante invece a Dx). In cima alle cuspidi, campeggiano ad ali spiegate le figure degli arcangeli Raffaele e Gabriele. Al centro di questi, leggermente più elevato e posto sul vertice del frontone, su di un grosso elemento floreale posto a coronamento di una più complessa decorazione perimetrica, l’arcangelo Michele. Al centro dell’arco a sesto acuto, proprio sull’architrave, vi è una raffigurazione di Gesù Bambino tra i due San Giovanni. (Galiani lo riferisce invece attorniato dai quattro Evangelisti, e riporta il tutto sovrastato dalla nicchia in cui appare riprodotta la Vergine tra i due San Giovanni). In basso, sostenuta da due angeli (quattro nel Gleijeses), vi è l’epigrafe riportante la data di fondazione ed il nome di Artusio. A questi due angeli ne seguono altri quattro che chiudono verso la chiave di volta dell’arco. Ivi (all’intradosso) si può notare un’immagine del Cristo (incoronato?) recante nelle mani uno scudo ed una corona. All’estradosso dell’arco, invece, troviamo altre due colonne simili a quelle della porta. Al centro del timpano, un medaglione circondato da sedici elementi decorativi di forma triangolare porta al suo interno l’Immagine del Padre Eterno. Sempre all’interno del timpano, sottostanti al medaglione vi sono ancora figure di angeli con lo stemma angioino-durazzesco. Nella parte sovrastante il medaglione, in uno spazio triangolare, vi è una figura del Cristo Risorto con nelle mani un globo (mano sx) e una bandiera (mano dx).



    TORRE CAMPANARIA





    Coeva alla cappella (inizi ‘400), conserva caratteri gotico-durazzeschi. Un tempo era completamente adorna di elementi architettonici antichi di riporto (sul genere del campanile della Pietrasanta), oggi quasi completamente scomparsi se si esclude l’ordine posto più in alto. Nella parte superiore, piccole colonne marmoree che poggiano su mensolette dello stesso materiale, reggono archetti a sesto acuto. Tra gli elementi di riporto si notano ancora un’illeggibile epigrafe che propone anche due testine ed un volto di Giunone, nonché un frammento di sarcofago con la rappresentazione del Ratto di Proserpina. La torre campanaria fu costruita con tufo di Nocera e tufo giallo di Napoli. INTERNO: ha pianta rettangolare. Perduti gli affreschi e l’architettura originali, nonché il pavimento marmoreo. Artefice della distruzione sembra sia stato nel 1772 Giuseppe Pappacoda (principe di Centola e marchese di Pisciotta), il quale fece intonacare le pareti distruggendo un ciclo pittorico sulla Vita di San Giovanni Evangelista, per ‘ismania di restauro’. Il Galante (1872), registra all’interno la presenza dei sepolcri di due membri dell’antica famiglia, rispettivamente Angelo e Giuseppe. Tali monumenti esistono ancora oggi. Inoltre, …nel ventaglio sull’altare un fresco dinotante i Seniori dell’Apocalisse in istato di deperimento. Poi le statue degli Evangelisti poste in corrispondenza dei quattro archi, sono di Angiolo Viva, discepolo del Sammartino, il quadro dell’Apostolo S. Giovanni sull’altare è mediocre lavoro della scuola del Solimena. L’attuale altare maggiore è del XVIII secolo, ed ha sostituito l’originale di epoca rinascimentale.





    *Figlio di Linotto Pappacoda, Gran Siniscalco (gran consigliere) durante il regno durazzesco di Ladislao e consigliere alla corte angioina. Ebbe dal Re Ladislao la baronia di Barbaro, sottratta ai Sanseverino a seguito della fallita Congiura dei Baroni, oltre ad alcuni altri feudi. Fu amico di Sergiani (o Sergianni) Caracciolo, amante della sorella di Ladislao, la futura regina Giovanna II d’Anjou. Sotto il regno di costei, Artusio rivestì la carica di Coppiere Maggiore. Della famiglia Pappacoda, la quale aveva costruito la propria posizione economica sul mare, si hanno notizie fin dal XI secolo: furono finanziatori di Carlo I (nel 1278) e di Roberto d’Angiò. Combatterono al fianco di Carlo III di Durazzo contro Luigi d’Angiò.



    Il Duomo di Napoli

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    L'edificazione della Cattedrale fu voluta da Carlo d'Angiò nel 1294, nel luogo dove sorgevano due antiche basiliche: Santa Restituta e la Stefania. Per lasciar posto alla nuova costruzione, quest'ultima fu completamente demolita, mentre la basilica di Santa Restituta fu ridotta al ruolo di cappella laterale.
    Il Duomo -in stile gotico- ha un impianto a croce latina, a tre navate divise da pilastri su cui poggiano archi ogivali. Al termine della navata maggiore, lunga circa cento metri, si trova l'ampia abside a pianta poligonale. Il soffitto della navata principale è a cassettoni, in legno intagliato e dorato, mentre le navate laterali hanno volta a crociera, con decorazioni barocche. Le decorazioni a stucchi che decorano tutta la chiesa sono della fine del Seicento.

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    Le navate laterali, con le loro cappelle e nicchie, testimoniano i vari passaggi nell'arte e nell'architettura napoletana nel corso dei secoli. Tra le tante cappelle, due si distinguono sopra le altre per dimensione e rilevanza artistica.La già citata Santa Restituta riveste un particolare interesse storico, quale esempio di architettura paleocristiana inglobata nell'attuale Cattedrale: l'antica basilica voluta dall'imperatore Costantino -rimaneggiata con stucchi e affreschi nel Seicento a seguito di un terremoto- si presenta con tre navate divise da colonne, ed ospita oggi opere di Luca Giordano e sculture trecentesche. A destra dell'abside c'è l'accesso al Battistero di San Giovanni in Fonte, considerato il più antico d'occidente.



    L'antica cappella di Santa Restituta

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    La cappella del tesoro di San Gennaro

    I lavori per la realizzazione -al disotto del presbiterio- di una cripta dove custodire le reliquie di San Gennaro (fino ad allora ospitate nell'abbazia di Montevergine) furono avviati a fine Quattrocento su richiesta del cardinale Oliviero Carafa, arcivescovo di Napoli, e furono completati nel 1506. La cappella, detta anche Succorpo, è divisa in tre navate, è interamente rivestita di marmi scolpiti, ed è decorata con pavimenti policromi, altorilievi, sculture e oggetti sacri, tra cui proprio il vaso contenente le ossa del Santo.






    Decumano Maggiore - Via Tribunali







    L'itinerario inizia dalla vivace piazza Bellini, animata da caffè letterari, con lo scenografico fondale costituito dalla settecentesca scala in piperno che conduce all'ex convento di Sant'Antoniello a Port'Alba, ed al centro le mura greche di Neapolis del IV secolo a.C. Si snoda attraverso via San Pietro a Maiella, dove sorge il Conservatorio musicale, e via Tribunali con il cinquecentesco palazzo dei duchi Spinelli di Laurino, trasformato nel XVIII secolo dall'architetto Ferdinando Sanfelice. Questa strada è caratterizzata dai portici medioevali del palazzo di Filippo d'Angiò (o dell'Imperatore), principe di Taranto e imperatore di Costantinopoli, dove si svolge un pittoresco mercato.





    L'attuale piazza San Gaetano sorge sull'area dell'Agorà greca e poi del Foro romano, e resta ancora oggi il cuore "palpitante" della città antica. A destra si apre la celebre via San Gregorio Armeno, famosa per le sue botteghe artigianali di pastori, fiori artificiali e presepi, affollatissima durante il periodo natalizio quando le varie "bancarelle" espongono la loro coloratissima merce.





    Di notevole interesse la sistemazione urbanistica di piazza Riario Sforza racchiusa tra la scalinata dell'ingresso secondario al Duomo, la grandiosa cupola della cappella di San Gennaro ed al centro la guglia più antica di Napoli dedicata al Santo. Quest'area, un tempo utilizzata per i festeggiamenti esterni di San Gennaro venne immortalata in un celebre acquerello del pittore napoletano Giacinto Gigante.





    Al termine del Decumano Maggiore si erge l'imponente mole della reggia-fortezza di Castel Capuano, con l'antica porta di accesso alla città, ricostruita in forme rinascimentali.



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    I "QUARTIERI SPAGNOLI"

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    La storia
    Ogni quartiere ha un proprio nome, ma, quando si vuole indicare il quartiere "Montecalvario" di Napoli, è sufficiente dire "I Quartieri". Essi risalgono al 1536, quando iniziò la lunga dominazione spagnola a Napoli. I Quartieri spagnoli si estendono su una superficie di 765.016 mq. e sono compresi tra il C. Vittorio Emanuele e Via Toledo. Quest'ultima prende il nome dal suo fondatore, il viceré Don Pedro di Toledo, il quale decise la costruzione del quartiere verso il 1536, al fine di ospitare i suoi soldati che avevano il compito di reprimere eventuali ribellioni napoletane. Inoltre, in questi palazzi, erano anche ospitate le truppe spagnole dirette su altri fronti di guerra, che facevano tappa a Napoli. Don Pedro di Toledo si insediò nella città partenopea nel 1533 e dette subito inizio ad una serie di interventi sulla vita e sul costume della città. Egli volle la costruzione di molte strade per collegare Napoli con l'Abruzzo, la Puglia e Roma e, poiché in quel tempo si verificò un notevole sviluppo demografico, il viceré provvide all'indispensabile adeguamento delle strutture cittadine. In breve tempo la città subì molte trasformazioni: furono costruite strade, tra cui la splendida Via Toledo; il viceré fece costruire un grande ponte, detto il Ponte Nuovo, successivamente distrutto, disfece Porta Dannarso e la riedificò di lato alla chiesa di S. Maria di Costantinopoli; ordinò la ristrutturazione di Porta Capuana abbellita con due statue marmoree di S. Gennaro e di S. Angelo. Nei quartieri spagnoli i soldati andavano in cerca di divertimento, per cui si sviluppò rapidamente un grave fenomeno, la prostituzione. Infatti, le povere fanciulle napoletane, per motivi economici, erano costrette a vendere il proprio corpo in cambio di denaro. Queste ed altre vicende indussero Don Pedro ad emanare nuove leggi, tra cui l'editto che stabiliva pene severe per le prostitute e i loro "amici" colti in flagranza di reato.Queste leggi, però, non vennero rispettate, anzi fu subito trovato il modo di violarle. Infatti, tra le stradine dei quartieri, là dove lo spazio lo permetteva, vennero sistemate varie baracche di legno che servivano per gli incontri tra i soldati e le loro "compagne di piacere". Un altro grave problema che caratterizzò i quartieri spagnoli fu la criminalità. Piccole bande criminali, infatti, giravano tra i vicoli commettendo furti e ogni genere di soprusi ai danni della popolazione. Inevitabilmente scoppiavano risse che spesso finivano nel sangue.
    Questi fattori negativi sono stati a lungo gli elementi caratteristici della vita nei quartieri spagnoli. Comunque, al di là di ciò, è bene mettere in luce l'importanza storica e culturale dei quartieri spagnoli, che vanno riscoperti e valorizzati per le loro ricchezze.

    I Quartieri Spagnoli oggi

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    I Quartieri Spagnoli rappresentano il centro storico di Napoli, per troppi anni sede di degrado e simbolo negativo della città. Oggi questa zona è rivalutata, giustamente, grazie all'attenzione dell'amministrazione comunale che si è impegnata per restituire alle storiche strade dei Quartieri la dignità che esse meritano. Le attività principali dei Quartieri sono soprattutto quelle dell'artigianato, condotte spesso a livello familiare. Nei negozietti che si affacciano sui vicoli si lavorano borse, cinture, scarpe, ma è facile vedere anche dei locali adibiti a trattorie dove si possono gustare specialità napoletane in ambienti molto semplici, ma anche molto puliti. Tra i piatti tipici, il turista che decide di fermarsi nelle trattorie dei Quartieri non dimenticherà certamente la bontà e il profumo della Zuppa di cozze, degli Spaghetti con pomodoro fresco e basilico, del Baccalà fritto e della famosissima Pastiera di grano.

    "I bassi"

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    Una grande camera con l'angolo cottura e un bagno ricavato in un angolo, un arredamento un po' chiassoso, ma tenuto a meraviglia, un vaso pieno di fiori, poggiato su un centrino al centro del tavolo, sul letto una vecchia bambola con il vestito di pizzo, sul comò qualche fotografia di chi non c'è più: ecco il "basso"dei Quartieri Spagnoli. Lindo, profumato, accogliente. Sì, è un "basso", non è una casa dove una famiglia numerosa può vivere, eppure ce ne sono tanti. In essi palpita, comunque, il grande cuore di Napoli.

    .....E ora passeggiamo tra le strade dei "Quartieri"

    Montecalvario

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    Nella piazza di Montecalvario si erge la chiesa omonima, costruita per volontà della nobile napoletana Ilaria d'Apuzzo nel 1560. La chiesa fu consacrata nel 1574 dal vescovo Aurelio Griano; le decorazioni, tuttavia, furono aggiunte nel 1677 da Gennaro Schiavo, il quale dette al tempio un'impronta barocca. Nel decennio francese i frati vennero espulsi per cui la chiesa fu trasformata in edificio militare e, solo nel 1827, fu in parte restituita ai Francescani di Gerusalemme che ne operarono il restauro arricchendola con una "Deposizione" del Criscuolo, nella seconda cappella a sinistra, e con pregevole dipinto che riproduce S. Girolamo nella sesta cappella. Ancora oggi è molto vivo il culto della Vergine, infatti; in suo onore, il giorno di Sabato Santo, la statua dell'Immacolata viene portata in processione su di un carro.

    La Pignasecca

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    La Pignasecca è sede del più noto mercato alimentare della città. Essa deve il nome a una pineta che sorgeva proprio nel luogo in cui si trova il mercato. Il termine"Pignasecca" si rifà, in particolare, ad un'antica credenza popolare: si racconta, infatti, che un vescovo napoletano fece affiggere sul tronco di un pino una bolla di scomunica e, appena il foglio fu appoggiato all'albero, questo si seccò di colpo. Da allora la "Pignasecca" ha questo nome che ancora oggi la caratterizza. Proprio qui, in questa zona popolare e popolosa della città, si trova l'antico ospedale dei"Pellegrini" con le sue due chiese, la stazione della ferrovia "Vesuviana" e quella della "Funicolare di Montesanto", che collega il quartiere alla collina del Vomero.

    L'Ospedale dei Pellegrini
    "L'arciconfraternita e l'ospedale S.S. Trinità di Pellegrini e Convalescenti" vennero fondati nel 1578 da sei artigiani napoletani, i quali volevano creare una congregazione religiosa che affiancasse, all'esercizio del culto, un'opera di soccorso per i bisognosi e per i poveri. Uno dei sei artigiani, un certo Bernardo Giovino, propose di ospitare e di assistere i pellegrini in transito a Napoli. Infatti, tutti coloro che venivano a Napoli spinti dalla fede non sempre avevano la possibilità di trovare a poco prezzo un alloggio in città, inoltre alcuni fedeli, per lo strapazzo del viaggio, talvolta, si ammalavano e avevano bisogno di cure. Bernardo Giovino propose, così, di creare una casa ospitale ( ospedale) dove i pellegrini potessero essere accolti per tre giorni interi. L'arciconfraternita fu ben presto conosciuta in tutt'Italia e, grazie alla generosità di benefattori, accolse un numero sempre maggiore di pellegrini. Ben presto furono accolte anche persone convalescenti di gravi malattie che, dimesse troppo presto dagli ospedali, non potevano curarsi a casa. L'arciconfraternita si trasformò così in un convalescenziario. Era quindi necessario costruire un edificio nel quale l'arciconfraternita fondata dai sei artigiani potesse trovare i giusti spazi per operare e, nel 1852, essa si trasferì alla " Pignasecca" dove un gentiluomo, don Fabrizio Pignatelli dei duchi Monteleone aveva fatto costruire una casa e una chiesa a cui affiancare un ospedale. Quando il duca morì, i suoi eredi attuarono la volontà del defunto e affidarono la realizzazione dell'ospedale all'arciconfraternita dei pellegrini. L'ospedale fu completato nel 1591 e, per capire l'efficienza di coloro che vi lavoravano, basta pensare che, durante il Giubileo del 1600, furono accolti ben ottantamila pellegrini. Nel 1816 l'ospedale ebbe il suo primo reparto di chirurgia, ma i confratelli continuavano ad accogliere sempre i pellegrini convalescenti e bisognosi. bombe, tuttavia l'arciconfraternita continuò coraggiosamente la sua opera di soccorso , non esitando a trasformare la sua chiesa della S. S. Trinità in corsia ospedaliera. Finita la guerra, l'ospedale fu ricostruito e ampliato e, per consentire agli ammalati e ai feriti provenienti dalla periferia della città di essere curati, l'arciconfraternita iniziò la costruzione di un nuovo edificio sulla collina di Capodimonte.

    Via Trinità delle Monache

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    Via Trinità delle Monache va da via S. Lucia al Monte fino al Corso Vittorio Emanuele. Su di essa si affaccia il grande edificio che fino a qualche anno fa ha ospitato "l'Ospedale Militare", che risale al 1536.
    Esso fu fondato da donna Vittoria de Silva, monaca del convento di " S. Gerolamo delle Monache". Ella ebbe il permesso da Papa Clemente VIII di fondare il nuovo convento: "Trinità delle Monache".
    Nel 1806 il convento diventò l'Ospedale militare di Napoli, oggi trasferito altrove. Il convento, di grande bellezza architettonica e circondato da lussuosi giardini, accoglieva spesso famiglie aristocratiche. La chiesa fu commissionata a uno dei migliori architetti del tempo,il Grimaldi, e la spesa fu di circa centocinquantamila ducati. La meravigliosa scala d'accesso della Chiesa è anch'essa opera dello stesso architetto. Sull'altare maggiore si trovano due splendidi quadri:"La S.S.Trinità che incorona la Vergine " e "I Santi della Santa Fede". In una delle cappelline laterali è, inoltre, rappresentata una "Immacolata con i S.S.Francesco e Antonio"di Battistello Caracciolo. Quasi di fronte all'ingresso dell'ex ospedale militare, oggi Parco pubblico, si trova l'istituto Tecnico commerciale "Antonio Serra".

    Via S.Liborio
    E' una delle più famose strade dei Quartieri Spagnoli e prende il nome da una chiesa situata a Piazza Carità, costruita nel 1694 e destinata ad un conservatorio di suore. La notorietà di Via S.Liborio è dovuta alla famosissima commedia "Filumena Maturano" di Eduardo De Filippo nella quale è rievocata la storia di una ragazza diventata prostituta per necessità. Filumena, infatti, abitava in un "basso" insieme a tanti altri componenti della sua famiglia. E' celeberrimo il monologo della protagonista che racconta la sua infanzia e la sua dolorosa adolescenza nei "bassi".

    La Pedamentina

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    Le scale della Pedamentina si inerpicano lungo il versante della collina del Vomero che dalla Certosa di San Martino scende verso il centro di Napoli in uno scenario di suggestiva bellezza. Tutt'intorno alla collina che culmina con San Martino e il Castel S.Elmo si articolano stradine e viottoli, poi trasformati in un'infinità di "calate" e "salite", tra le quali la Pedamentina, che porta al Corso Vittorio Emanuele e rappresenta quindi quasi un proseguimento del decumano minore, ovvero della famosissima "Spaccanapoli", storicamente il più importante antico tracciato greco della città. La Pedamentina costeggia orti e giardini coltivati con piante tipiche della rigogliosa macchia mediterranea. Essi si collegano verso l'alto ai giardini della Certosa e di castel Sant'Elmo e in basso a quelli del centro storico di Montesanto e del quartiere di Montecalvario. Ancora oggi, benché il sito soffra di un forte degrado, le scale della Pedamentina di San Martino sono un percorso di grande suggestione, da percorrere a piedi, un po' a fatica (e quindi preferibilmente in discesa...), ma gratificati da una continua variazione di viste stupende.

    La storia | I Quartieri, oggi | I "bassi" | Montecalvario | La Pignasecca
    L'Ospedale dei Pellegrini | Via Trinità | Via S.Liborio | La Pedamentina














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    MERGELLINA

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    Mergellina (in napoletano Margellìna) è una zona della città di Napoli, nel quartiere Chiaia. Si trova in riva al mare, ai piedi della collina di Posillipo. Il suo stesso nome è legato alla posizione sul Golfo: deriva infatti dal termine "mergoglino" (uccello acquatico). Celebrata nei secoli per la sua bellezza da pittori e poeti, la zona è stata completamente modificata dalle colmate che hanno avanzato la linea costiera, nella seconda metà del XIX secolo. Dal porticciolo di Mergellina (un tempo di pescatori, oggi turistico) partono quotidianamente gli aliscafi per le isole del golfo. Mergellina è caratterizzata anche dalle rampe, sistemate dal viceré Medina de Las Torres nel 1643, che salgono dal limite nord di piazza Sannazaro e prendono il nome dalla chiesa di Sant'Antonio a Posillipo, situata sulla loro sommità. Altri monumenti sono l'antica Fontana del Leone, lungo via Sannazaro, l'ottocentesca Fontana della Sirena e la chiesa di Santa Maria del Parto, fondata (su un podere avuto in dono da Federico d'Aragona) dal poeta Jacopo Sannazaro, ivi sepolto. La zona è ottimamente collegata alla collina di Posillipo grazie alla cosiddetta Funicolare di Mergellina. Possiede anche una stazione ferroviaria: Napoli Mergellina.

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    Chiesa di Santa Maria Maggiore (detta della Pietrasanta)





    Edificata nella prima metà del VI secolo nell'area più antica della città, fu la prima basilica dedicata alla Vergine. Nella metà del sec. XVII fu rifatta a pianta centrale su progetto di Cosimo Fanzago. La presenza di un'antica pietra santa con una croce incisa, ha dato origine alla più comune denominazione della Chiesa. L'interno conserva una pregevole pavimentazione settecentesca i n cotto e maiolica. Nella cripta vi sono testimonianze della primitiva basilica paleocristiana e resti di un mosaico d'epoca romana. Nell'atrio antistante si innalza il campanile medievale, sec. XI, dell'originaria Chiesa. Ai lati della facciata vi è la cappella del Salvatore, rinnovata nella seconda metà del XVIII secolo con un pregevole altare in marmi policromi e pavimentazione maiolicata.



    San Lorenzo Maggiore



    Il complesso monumentale di San Lorenzo Maggiore, il cui accesso principale è in pieno centro storico (piazza San Gaetano), rappresenta un incredibile esempio di stratificazione di testimonianze architettoniche di epoche diverse: greca, romana e medievale.



    Nell'area del foro, che rappresentava il cuore dell'antica città greco-romana, tra il Decumano maggiore e il Decumano inferiore, fu edificata dapprima una chiesa paleocristiana (VI secolo d.C.), abbattuta nel XII secolo, e successivamente l'attuale basilica, realizzata per volontà di Carlo I d'Angiò a partire dal 1270.



    La chiesa, caratterizzata da una struttura a navata unica e croce latina, fu eretta ad opera dei Francescani, inizialmente con l'utilizzo di architetti e maestranze francesi, poi sostituiti da maestranze locali; tra il XVII e il XVIII secolo, fu poi interessata da un radicale rinnovamento in stile barocco. Il restauro effettuato tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento ha cancellato la forte connotazione barocca, eccezion fatta per la facciata settecentesca del Sanfelice.
    Nella chiesa, Boccaccio incontrò la sua Fiammetta, mentre nell'attiguo convento -che ospitava nel '300 le riunioni del parlamento del regno- soggiornò anche Petrarca.




    Al disotto della Chiesa, del convento e del chiostro, sono oggi visitabili in ipogeo gli ambienti riscoperti grazie al lavoro degli archeologi: accedendo all'area, ci si immette in un cardine romano (cioè una strada ortogonale ai decumani), largo tre metri e lungo circa sessanta, su cui si affacciano numerose botteghe: un forno, una lavanderia, osterie, negozi e l'Aerarium, dove erano conservate le finanze cittadine provenienti dalle tasse.




    Al termine della strada, si incontra invece uno dei quattro lati di un criptoportico, costituito da ambienti intercomunicanti, con volta a botte e lucernari per l'ingresso dell'aria e della luce solare. Gli ambienti erano botteghe del mercato romano (macellum), sui cui banchi di pietra erano commercializzate cibarie e merce di vario genere.




    Al termine del criptoportico, è inoltre conservata una vasca di età greca, testimonianza dell'ulteriore livello di stratificazione presente, e dell'incredibile numero di storie che questo luogo può raccontare.
    Alla fine del V secolo d.C., l'area fu invasa e ricoperta da una colata di fango di origine alluvionale, per cui fu abbandonata, e costituì la base per la costruzione della basilica paleocristiana.



    Risalendo ai livelli superiori, nei locali del convento si trova il Museo dell'Opera di San Lorenzo Maggiore, che ospita i reperti archeologici del sito, una raccolta di oggetti, abiti, e arredi dell'epoca angioina ed una collezione di pastori settecenteschi della tradizione presepiale napoletana




    Posillipo (Pusilleco in napoletano)
    è un sobborgo residenziale collinare della città di Napoli, frazione fino al 1925 e solo da allora integrato amministrativamente come quartiere. Il suo nome deriva dal greco Pausilypon che letteralmente significa "pausa dal dolore", denominazione legata al panorama che si godeva anche duemila e cinquecento anni fa da questa zona di Napoli. Sulla punta di capo Posillipo si trova il Parco sommerso di Gaiola, istituito nel 2002 congiuntamente dai Ministeri dell'Ambiente e dei Beni Culturali, nelle acque che circondano gli isolotti della Gaiola, si estende dal porticciolo di Marechiaro alla Baia di Trentaremi, con finalità di protezione sia Archeologica che Ambientale. La collina di Posillipo è attraversata da tre strade principali quasi parallele: via Posillipo che corre parallela alla costa da Mergellina fino a capo Posillipo, via Francesco Petrarca (già "via Panoramica") in posizione più elevata con caratteristiche vedute sul golfo di Napoli e sul Vesuvio e via Alessandro Manzoni (già "via Patrizi"). Altra arteria importante è Via Orazio che, passando per via Petrarca, collega Mergellina col rione di "Porta Posillipo", nella parte alta del quartiere. In questa strada c'è il belvedere dove fino agli anni novanta si trovava il famoso pino di Napoli, simbolo dell'oleografia napoletana del XX secolo, oggi non più presente perché abbattuto.

    Luna che si specchia sul mare di fronte via Posillipo
    In particolare, a Via Petrarca, il comune dovette istituire un servizio di vigilanza perché gli automobilisti alla guida rallentavano in maniera consistente per poter guardare il panorama, intasando così il traffico veicolare. Il problema fu risolto istituendo dei parcheggi ed una lunga terrazza panoramica. Nel quartiere di Posillipo si trovano diversi villaggi: Villanova di Posillipo (ovvero Porta di Posillipo), Casale di Posillipo, Santo Strato, e il più conosciuto di tutti Marechiaro. Vi sono inoltre numerosi monumenti e località di interesse storico-artistico: il Parco Virgiliano (già Parco della Rimembranza); importanti ville sul mare come Villa Rosebery, residenza estiva del Presidente della Repubblica italiana; costruzioni romane (tra cui la villa di Publio Vedio Pollione) che permettevano, attraverso una galleria detta Grotta di Seiano, di raggiungere i porti romani di Pozzuoli, Portus Julius e Miseno. Confina ad ovest con i quartieri di Bagnoli e di Fuorigrotta e ad est con il quartiere Chiaia. A sud affaccia sul golfo di Napoli, appartenente al Mar Tirreno.

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    veduta-di-posillipo

    posillipo


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    Posillipo
    La collina di Posillipo è sicuramente una delle zone più incantevoli e prestigiose della città. Le ville sontuose e nascoste, le discese a mare, i costoni a strapiombo sull'acqua, gli edifici eleganti, il panorama mozzafiato ne fanno al contempo una tappa obbligata per i turisti, e un sogno per gli abitanti della città. Posillipo è senza dubbio il colle più noto di Napoli e anche il più celebrato per le sue bellezze; già nel nome sono contenute tutte le sue virtù: Pausilypon significa "riposo dagli affanni". Percorrendo la via Posillipo a partire da Mergellina, cominciano le curve e i palazzi nobiliari, Palazzo Donn'Anna, più avanti la chiesa di S.Maria del Faro. Risalendo verso la parte più alta del colle, lo sguardo si perde in un panorama mozzafiato, di un quartiere ormai residenziale. Via mare si possono però ammirare ancor meglio le meraviglie di tale zona: da Mergellina fino a Nisida, con due punti di approdo (raggiungibili anche da terra) a Marechiaro e alla Gaiola, che si distinguono per la relativa ricchezza delle sopravvivenze archeologiche. Al largo di Capo Posillipo (di fronte a Villa Rosbery, attuale residenza napoletana del Presidente della Repubblica) giacciono i resti, ormai sommersi, di una villa marittima che si protendeva in mare grazie a costruzioni artificiali; dei suoi porticati si sono recentemente recuperate alcune colonne. A Marechiaro, prospicienti la spiaggia, vi sono i probabili resti di una domus. La grotta di Seiano, da poco riaperta al pubblico, collega Coroglio alla baia di Trentaremi, meravigliosa insenatura nella costa posillipina. Su tale baia si ergono i resti di un grande teatro romano. Sulla punta del Capo Posillipo, il Parco Virgiliano, ristrutturato e profondamente rinnovato nel 2002, offre terrazze da cui godere di panorami sensazionali su due golfi (quello di Napoli e quello di Pozzuoli) e su Nisida, tranquillità, aria pulita e possibilità di fare sport. Le strade della parte alta del colle (via Manzoni, via Stazio, via Orazio) sono decisamente più residenziali e metropolitane, ma non per questo meno suggestive e panoramiche.

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    La collina di Posillipo vista da via Caracciolo

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    Splendidi edifici sul mare a Riva Fiorita

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    Palazzo Donn'Anna

    Gaiola

    L'isolotto della Gaiola




    Castel dell'Ovo





    Il Castello sorge sull'isolotto tufaceo dell'antica Megaride (su cui la leggenda vuole che fosse approdata, sfinita, la sirena Partenope, che avrebbe dato il nome alla città antica), poi collegato alla terraferma, sul quale il patrizio romano Lucullo fece erigere per sé una fastosa ed enorme villa (il Castrum Lucullanum).





    Intorno alla fine del V secolo, l'area divenne sede di un monastero di monaci basiliani, di cui rimane l'antica chiesa. Poi, in periodo ducale, vi fu costruito un fortilizio, e nel XII secolo vi si stabilirono i Normanni, che fecero ampliare e rinforzare la fortificazione.





    Un ulteriore rafforzamento fu realizzato dagli Svevi. Nel XIV secolo, si diffuse l'attuale denominazione, per la quale vi sono due teorie: l'una la riferisce alla pianta particolare del castello, l'altra, più accreditata, fa risalire il nome al poeta Virgilio, che vi avrebbe nascosto un uovo, alla sopravvivenza del quale sarebbe stata legata la sopravvivenza del bastione.



    L'aspetto attuale del Castel dell'Ovo è quello determinato dalla ristrutturazione operata nell'epoca vicereale, dopo i danni subiti nell'assedio del 1503. Alla fine del 1800, al di fuori della cinta muraria, venne realizzato un piccolo borgo di pescatori, l'attuale Borgo Marinari.











    - Il Maschio Angioino (Castel Nuovo) -







    Verso il mare, e in posizione elevata, spicca la poderosa mole turrita del Castel Nuovo - così chiamato per essere distinto dai più antichi castelli dell'Ovo e Capuano - anche detto Maschio Angioino, dal nome dei suoi primi fondatori.





    Fatto costruire sul finire del Duecento da Carlo I d'Angiò, fu quasi completamente rifatto da Alfonso I d'Aragona nel XV secolo, dopo le distruzioni subite durante le numerose guerre per il dominio del Regno. Dopo le numerose aggiunte e trasformazioni avvenute soprattutto nel XVIII secolo, l'edificio è stato riportato all'aspetto che, presumibilmente, aveva nel Rinascimento da un restauro dei primi decenni del Novecento.





    Il castello fu più volte residenza reale, ospitò importanti personalità, fu spesso teatro di disordini e di eventi importanti. Nel 1442 Alfonso d'Aragona lo trasformò radicalmente, aggiungendovi una cinta bastionata che ospitava la prima artiglieria d'Italia.





    A pianta trapezoidale, Castel Nuovo è circondato da un fossato, ed è dotato di cinque possenti torrioni merlati. Sul lato ad Ovest, tra la Torre di Guardia e la Torre di Mezzo, è il celebre Arco di Trionfo, magnifica opera realizzata sul modello degli antichi archi monumentali romani, per celebrare l'ingresso a Napoli di Alfonso I, avvenuto nel 1443.





    All'interno, la Cappella Palatina, del '300, è l'unica parte risalente al primo periodo angioino - sebbene sia stata parzialmente trasformata dopo il terremoto del 1456. Notevole l'elegantissimo portale rinascimentale in marmo, con i rilievi della Natività, della Madonna e Angeli e sormontato da un bellissimo rosone, opera di artisti catalani - realizzato in sostituzione di quello angioino.




    La struttura del castello. Dopo essere stato ricondotto dai restauri alla sua forma quattrocentesca, Castel Nuovo si presenta adesso in una compatta mole trapezoidale, caratterizzata agli angoli da poderose torri cilindriche merlate, a loro volta rafforzate alla base da falsebraghe. La facciata principale è ubicata sul versante occidentale, e comprende tre torrioni: a sinistra la “Torre della Guardia”, al centro la “Torre di Mezzo” e a destra la “Torre di San Giorgio”. Fra le prime due si innesta un grandioso arco di trionfo marmoreo: si tratta dell’esuberante ingresso realizzato intorno al 1452 su disegno di Francesco Laurana, con l’apporto di Pietro di Martino, Domenico Gagini, Isaia da Pisa, Paolo Romano e di diversi altri artisti, chiamati a celebrare nel marmo il trionfo di Alfonso I d’Aragona. L’immensa e scenografica apertura costituisce certamente una delle più rigogliose espressioni artistiche del Rinascimento, non solo partenopeo, ma anche dell’intero Mezzogiorno: consta di due arcate sovrapposte, inquadrate da colonne binate e sormontate da attici che straripano di statue e rilievi, culminando nella preziosa lunetta di coronamento.



    Sotto l’arco inferiore si trova il portale che, sovrastato da un bassorilievo con l’incoronazione di Alfonso I, immette in un vestibolo dalla volta stellare, da cui si accede al cortile quadrilatero. Di fronte all’entrata è posta la chiesa di Santa Barbara, con un portale rinascimentale ornato da una Madonna di Francesco Laurana del 1471, e da un rosone traforato.



    Una scala esterna conduce poi all’impressionante sala dei Baroni, coperta da una bellissima volta stellata a costoloni, e dotata di un magnifico camino.



    Sul lato-mare, il castello è caratterizzato dalla grande “Torre del Beverello”, oltreché dalla parete esterna della sala dei Baroni, con due finestroni a croce guelfa, dall’alta abside della cappella palaziale, inserita fra due torrette, da un paio di logge ricavate fra il Quattro e il Cinquecento, e dalla “Torre dell’Ovo”. Il profilo, se si vuole anche un po’ scuro, di Castel Nuovo, si staglia così, imponente e maestoso, sullo sfondo azzurro del cielo che si perde nel placido Golfo di Napoli.






    Galleria Umberto I





    Dietro alla Chiesa di San Ferdinando e davanti al Teatro San Carlo, possiamo ammirare il capolavoro di ferro e vetro che risponde al nome di Galleria Umberto I.



    Fu costruita sull’area di un isolato raso al suolo dopo l’epidemia di colera del 1884, nell’ambito di un programma di rinnovamento cittadino e per celebrare con un grandioso monumento la "modernità" dell’Italia unita.



    Eretto alla fine del XIX sec., questo imponente passaggio è sovrastato da una copertura in vetro e ferro alta ben 57 metri, che la rende molto luminosa. Nel corso degli anni la Galleria, dagli eleganti pavimenti in marmo policromo , è diventata uno dei luoghi più frequentati di Napoli, crocevia d’artisti, scrittori, poeti e musicisti.



    Ancora oggi i suoi caffè e i negozi sono uno dei luoghi preferiti d’incontro dei napoletani.

















    Piazza del Plebiscito



    Piazza del Plebiscito, il salotto elegante e il fulcro della rinascita di una metropoli che vuole proporsi come nuova capitale di un Mediterraneo moderno.



    Piazza del Plebiscito è una delle più armoniose e imponenti piazze; il suo grande spazio, che un tempo ospitava le cerimonie ufficiali e le parate militari, sembra aver ritrovato la sua antica funzione di luogo di feste e celebrazioni, ora che un sapiente intervento di restauro le ha restituito il suo antico aspetto.



    Ci si arriva a piedi o con mezzi di trasporto pubblico, essendo chiusa al traffico, e questa immersione nel luogo ne rende magica l'atmosfera. E’ un luogo che abbaglia per bellezza e che suscita silenzi contemplativi, circondato dalla simmetrica e solenne perfezione dagli edifici di un misterioso potere.



    Quattro autorevoli poli la osservano da tempo immemore: si fronteggiano il Palazzo Reale e la Chiesa di S. Francesco sull’asse principale; il Palazzo della Prefettura e il settecentesco Palazzo Salerno, sull’asse trasversale. Al suo centro si ergono le due statue equestri di Carlo III di Borbone, opera di Antonio Canova, e di Fernando I, opera di Antonio Calì.






    Il meraviglioso Palazzo Reale anch’esso in Piazza Plebiscito, fronteggia la basilica di S. Francesco da Paola. La sua costruzione fu iniziata nel ‘600, su progetto di Domenico Fontana, per volere del Viceré di Napoli Fernandez Ruiz de Castro, nominato da Filippo III di Spagna. I lavori continuarono per secoli e terminarono solo nel 1843, per opera di Gaetano Genovese. Danneggiata dai bombardamenti del 1943, la Reggia ha subito importanti restauri. La facciata, lunga 169 m., con portico terreno ad arcate e due ordini di finestre, conserva le statue dei sovrani di Napoli, nelle nicchie in basso ideate nel 1888 da Luigi Vanvitelli.



    La lunga facciata di Palazzo Reale è interamente opera del Fontana: al centro si apre l'ingresso principale, sormontato da un balcone di parata; ai lati di questo, sono posizionati gli stemmi reale e vicereale, al di sotto quello dei Savoia. In alto, si eleva la torretta dell'orologio. Nella facciata si apre anche una serie di archi e di nicchie; all'interno di queste ultime, a fine '800, i Savoia vollero collocare otto statue rappresentanti i più illustri sovrani delle varie dinastie ascese al trono di Napoli:
    Ruggiero il Normanno
    Federico II di Svevia
    Carlo I d'Angiò
    Alfonso I d'Aragona
    Carlo V
    Carlo III di Borbone
    Gioacchino Murat
    Vittorio Emanuele II



    Varcando l'ingresso principale, attraverso il cortile d'onore, si accede al Museo dell'Appartamento storico di Palazzo Reale, che conserva l'arredo e le decorazioni del piano nobile; incantevole è lo scalone di ingresso del palazzo, rivestito di marmi e stucchi, e molto interessanti sono il Teatrino di Corte in stile rococò, la Cappella Reale e la Sala del Trono.



    Pregevoli sono i giardini al fianco del Palazzo, fra i quali il "piccolo giardino", costruito nella metà del XIX sec., ricco di piante esotiche. Lì vicino, si possono apprezzare le scuderie, di pietra chiara, nelle quali sono ancora individuabili le mangiatoie per i cavalli. Nella "rimessa delle carrozze", ambiente suggestivo, spesso vengono organizzate esposizioni temporanee.



    Per visitare i preziosi interni si accede al Museo degli Appartamenti Reali, 30 sale articolate su di un unico piano (alle quali si giunge oltrepassando il vasto Cortile d’Onore) che hanno conservato decorazioni, arredi e oggetti originali, di straordinaria bellezza.



    Meritano una descrizione almeno la Scalone d’Onore, il Teatrino di Corte, la Sala del Trono, la Sala di Ercole e la Cappella Reale. Attraverso il monumentale Scalone d’Onore (1651) a doppia rampa con ricca balaustrata e volta a padiglione (tra i più belli d’Europa) si arriva all’antica residenza dei Borboni. Il Teatrino di Corte, oggetto di un ottimo restauro, creato nel 1768 secondo il gusto del XVIII sec., è ornato di sculture di cartapesta. La Sala del Trono è una delle più importanti: al muro sono appesi i ritratti dei sovrani. Il baldacchino risale al XVIII sec. e i rilievi del soffitto raffigurano le 12 province del Regno di Napoli. Il Salone d’Ercole deve il suo nome ai calchi in gesso che riproducevano le statue, fra cui l’imponente Ercole Farnese, replica ingigantita di una scultura del maestro greco Lisippo. Conserva arazzi delle Manifatture Reali dei Borboni. Infine la Cappella Reale (1640), che vanta uno splendido altare maggiore (1674) realizzato nel XVII sec. da Dionisio Lazzari.



    Per quanto riguarda gli interni, ricordiamo ancora che nell’Appartamento delle Feste ha sede la Biblioteca nazionale, creata nel 1919 su suggerimento di Benedetto Croce. E’ una delle più ricche d’Italia, e la più importante del meridione, con i suoi due milioni di volumi ca., tra i quali incunaboli, manoscritti (tra gli altri l’Infinito di G. Leopardi), miniature e la collezione di papiri di Ercolano.



    ... A Piazza del Plebiscito ...

    L’Homme qui écrit sûr l’eau
    di Jan Fabre

    c'erano delle altre vasche affianco dorate vuote è tutto un simbolismo ....anche sul quel braccio pendulo.......... ogni anno a natale fanno delle installazioni di arte contemporanea in piazza del plebiscito.........di artisti di fama internazionale .......che suscitano sempre delle discussioni...........alcune sono interessanti come quella di kounellis.





     
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    Il Museo del Tesoro di San Gennaro



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    Il Museo del tesoro di San Gennaro a Napoli, pur esponendo opere e testimonianze della grande civiltà di un popolo millenario è un museo giovane. E’ stato inaugurato grazie anche al contributo dei fondi della Comunità europea Polis Musea, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici, la Soprintendenza Beni Artistici e Storici e la cui realizzazione e gestione è stata affidata alla Pg Video srl di
    Napoli, ha già al suo attivo un interesse internazionale ed un affluenza record.
    Si tratta di un Polo Museale di altissimo valore storico artistico, culturale e spirituale dedicato alle straordinarie opere appartenenti al Tesoro di San Gennaro, sinora mai esposte ed alla bellissima Sacrestia con gli affreschi, tra gli altri, di Luca Giordano ed i dipinti del Domenichino e di Massimo Stanzione. Antichi documenti, oggetti preziosi, argenti, gioielli, dipinti di inestimabile valore, facenti parte del Tesoro di San Gennaro che, nel corso dei secoli, sovrani, papi, uomini illustri o persone comuni hanno donato per devozione al Santo, hanno trovato e troveranno in questa sede una propria collocazione e soprattutto consentono, in varie fasi, l'allestimento di mostre tematiche, seguendo un percorso logico raro e straordinario.
    L' esposizione riguarda “Gli Argenti”, una collezione unica al mondo che va dal 1305 sino ai giorni nostri e che, grazie all'opera della Deputazione della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro, è giunta intatta a noi non subendo alcuna spoliazione per finanziare guerre e nessun furto.
    Una collezione che, a parte un solo capolavoro di scuola provenzale, è tutta opera dei grandi artigiani di scuola napoletana e testimonia l'abilità, la maestria la straordinaria capacità degli argentieri Napoletani, tramandata nei secoli.
    Il percorso museale è accompagnato da un itinerario sonoro che parte, nella prima sezione, dalle voci dei vicoli di Napoli, a sottolineare la forte appartenenza e aderenza con le radici della città, per poi articolarsi in una preghiera a San Gennaro nella sezione in cui sono esposti i busti d'argento dei compatroni che accompagnavano la processione di San Gennaro e, nella terza sezione, dove è esposto il reliquario del sangue donato nel 1305 da Carlo d'Angiò e che ancora oggi trasporta le ampolle del sangue in processione, è il canto evocativo delle parenti di San Gennaro a raccontarci il miracolo della liquefazione. Nella quarta sezione, invece, sono protagonisti i canti antichi sacri del ‘600. Al secondo piano si accede alle Sacrestie, mai aperte al pubblico per quattro secoli e che oggi, grazie al museo è possibile ammirare in tutta la loro straordinaria bellezza con i marmi pregiati, i dipinti di Massimo Satanzione, di Dominichino, di Luca Giordano. Nelle nuove sale del terzo piano, allestite per l’occasione, sono esposti i leggendari gioielli: le undici straordinarie meraviglie del Tesoro dedicato al Santo protettore di Napoli (a detta degli esperti una delle collezioni più ricche del mondo assieme alla Corona d’Inghilterra e al Tesoro dello zar di Russia) che si aggiungono all’ esposizione permanente degli argenti del Museo del Tesoro di San Gennaro. L’allestimento della mostra è un vero e proprio viaggio nel tempo tra le bellezze e le radici di Napoli, tra i vicoli e i colori dei mercati, tra i volti degli emigranti e quelli del popolo in attesa del miracolo, tra la processioni di New York e quella di Napoli, con sonorizzazioni, immagini, voci, emozioni, che si rincorrono tra le sale dove emergono dal buio solo le luci splendenti dei gioielli più preziosi del mondo.. Centocinquanta audioguide in italiano, tedesco, inglese, francese e spagnolo, comprese nel costo del biglietto, oltre al supporto delle hostess, sono in grado di offrire una puntuale e precisa spiegazione del percorso museale. Adiacente al Museo è, ovviamente la Real Cappella del Tesoro di San Gennaro, gioiello universale del barocco.
    Il Museo del tesoro di San Gennaro ha inoltre stipulato una serie di convenzioni con le quali, acquistando un biglietto unico integrato , è possibile visitare anche la Quadreria del Pio Monte di Misericordia, gli Scavi archeologici del Duomo, la basilica di Santa Restituta e l'abside angioino del Duomo e usufruire delle audioguide all'interno della Real Cappella del Tesoro.

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    Sette Secoli d’argento

    di Paolo Jorio
    Direttore del Museo del Tesoro di San Gennaro


    Invenzione, devozione popolare, religiosità, spettacolarità, tutto questo e altro racchiude la prima mostra tematica del Museo del Tesoro di San Gennaro dedicata agli Argenti. Un percorso di splendori lungo sette secoli che oggi è possibile ammirare intatto grazie all’opera meritoria della Deputazione. Molti degli oggetti esposti, infatti, sono stati salvati e preservati dai continui saccheggi ed espropri dell’epoca, riuscendo a giungere sino a noi integri, testimoni di una storia esemplare di finissimo artigianato, forse unico al mondo, che parte dal XIII secolo.
    Gli argenti in mostra nel Museo del Tesoro di San Gennaro documentano, appunto, la straordinaria capacità di scultori e di argentieri napoletani che hanno saputo conciliare sapienza tecnica e creatività. Calici, pissidi, cestelli, candelabri, piatti, ostensori con i busti e le statue dei Santi Patroni e gli altri oggetti esposti, sono il frutto di un lavoro di squadra di maestri altamente qualificati nel proprio settore. Scultori, cesellatori saldatori, mettitori d’insieme (come erano chiamati gli assemblatori del tempo) hanno realizzato capolavori di rara bellezza.
    Gli argenti rappresentano una parte importante del cosiddetto Tesoro di San Gennaro, perché queste antiche manifatture erano in prevalenza sacre per il quotidiano uso liturgico e gran parte delle statue venivano realizzate per custodire le reliquie dei Santi, che soprattutto nel ‘600 ebbero molta importanza nella devozione popolare. Numerosi busti vennero quindi commissionati da confraternite, chiese e monasteri in onore dei loro patroni e poi affidati alla custodia della Cappella del Tesoro di San Gennaro dalla quale uscivano per essere portati in processione in occasione delle varie feste religiose. La bellezza artistica dei busti e delle statue dei santi patroni, soprattutto quelli dei secoli XVII e XVIII, vanno però al di là del solo dettato devozionale. Filippo Del Giudice, Carlo Schisano, Giovan Domenico Vinaccia, Lorenzo Vaccaro sono solo alcuni degli autori di questi capolavori esposti nella mostra che rappresentano un vanto dell’arte e dell’artigianato di Napoli, ma anche la testimonianza del culto e della devozione per San Gennaro.


    Orari:
    Aperto tutti i giorni dalle 9,00 alle 17,00
    Pasqua aperto dalle 9,00 -14,00
    Lunedì in Albis aperto dalle 9,00 alle 19,00


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    COME RAGGIUNGERCI


    Il Museo del Tesoro di San Gennaro, con una propria entrata indipendente, è attiguo alla Basilica del Duomo di Napoli e alla Real Cappella del Tesoro ed è inserito in uno degli itinerari storici più antichi della Città partenopea.
    Sono molti, infatti, i modi per raggiungere il Polo Museale del Tesoro di San Gennaro:

    A PIEDI:
    Partendo da Piazza del Gesù, oltre a poter ammirare la Chiesa del Gesù Nuovo e il Monastero di Santa Chiara con il bellissimo Chiostro maiolicato, si può imboccare la famosa via Spaccanapoli, il Decumano inferiore che taglia in due la città dalla collina di San Martino sino al Castel Capuano. In questa stradina, interdetta alle auto, ci si può immergere nella storia e nelle radici di Napoli e dopo aver sorpassato Piazza San Domenico Maggiore e Via San Gregorio Armeno, la stradina dei pastori in terraccotta del presepe napoletano, si raggiunge Via Duomo e quindi la sede del Museo e della Real Cappella del Tesoro.
    Partendo invece da Port'Alba, a ridosso di Piazza Dante, si percorre via dei Tribunali, l'antico Decumano superiore greco e, dopo una piacevolissima passeggiata tra antichi portici e chiese storiche, alla fine dello straordinario percorso si sbuca a pochi metri dal piazzale del Duomo di Napoli.

    METRO':
    Con la linea 1 della Metropolitana si può giungere alla fermata “Cavour” o con la linea 2 alla fermata “Museo”, percorrere via Foria per pochi centinaia di metri e immettersi poi in via Duomo.
    AUTOBUS DI LINEA:
    Prendendo uno qualsiasi degli autobus di linea che fermano in Via Marina o al Corso Umberto all'altezza di Piazza Nicola Amore, salendo pervia Duomo in pochi minuti è possibile raggiungere facilmente il Museo del Tesoro di San Gennaro.

    IN AUTO:
    Proveniendo dall'autostrada Roma – Napoli A1 imboccare la tangenziale Est di Napoli direzione Pozzuoli ed uscire allo SVINCOLO DOGANELLA CAPODICHINO dopodiché raggiungere Via Don Bosco, Piazza Carlo III ed imboccare Via Foria sino a Via Duomo
    Proveniendo dall'Autostrada Salerno –Napoli imboccare la tangenziale Est di Napoli direzione Pozzuoli ed uscire allo SVINCOLO DOGANELLA CAPODICHINO dopodiché raggiungere Via Don Bosco, Piazza Carlo III ed imboccare Via Foria sino a Via Duomo

    informazioni e fonte: www.museosangennaro.com/





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