OCEANI E MARI

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  1. gheagabry
     
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    Uomo libero, amerai sempre il mare! Il mare è il tuo specchio: contempli la tua anima nel volgersi infinito dell’onda che rotola e il tuo spirito è un abisso altrettanto amaro.
    (Charles Baudelaire)


    l'OCEANO PACIFICO



    L'Oceano Pacifico è il più grande oceano del mondo, occupa circa un terzo della superficie terrestre e si estende su una superficie di circa 179 milioni di chilometri quadrati. Si estende per circa 15.500 chilometri dal Mar di Bering nell'Artico a nord fino ai margini ghiacciati del mare di Ross nell'Antartide a sud. Il punto più largo si trova a circa cinque gradi di latitudine nord tra l'Indonesia e le coste della Colombia. Si considera invece lo Stretto di Malacca come limite occidentale dell'oceano, nel quale è situato anche il luogo più basso della superficie terrestre, la Fossa delle Marianne.
    Il numero delle isole che contiene l'oceano Pacifico (25.000) è superiore al numero delle isole di tutti gli oceani messi insieme.
    Lungo i bordi di tutto l'oceano si trovano molti mari e tra questi: il mar Cinese orientale, il mar del Giappone, il mar di Sulu, il mar di Tasmania e il mar Giallo. L'oceano è inoltre unito all'oceano Indiano ad ovest con lo Stretto di Malacca e con l'oceano Atlantico ad est con lo Stretto di Magellano.
    Questo oceano deve il suo nome all'esploratore portoghese Ferdinando Magellano, che lo chiamò così per il mare molto calmo che trovò durante la sua traversata dallo Stretto di Magellano fino alle Filippine. Nonostante ciò, in molti periodi dell'anno numerosi tifoni e uragani colpiscono le isole del Pacifico, mentre la presenza di molti vulcani causa spesso terremoti e tsunami che in passato hanno devastato numerosi atolli e distrutto diverse città.
    La profondità media dell'oceano Pacifico è 4270 metri, e il fondo oceanico è relativamente uniforme, nonostante esistano grandi montagne sottomarine estremamente ripide e con una cima piatta.
    La parte occidentale del fondo consiste invece di numerosi archi montagnosi che emergono dalla superficie e che cono considerate gruppi di isole, come ad esempio le isole Salomone e la Nuova Zelanda. Essendo il bacino idrografico del Pacifico relativamente piccolo ed essendo questo oceano immenso, i sedimenti sono di origine autogenica o pelagica, mentre quelli terrigeni sono confinati in zone limitate vicino alla terraferma....il fondo oceanico è inciso da lunghe e profonde fosse che, insieme con gli archi di isole con queste correlate (Aleutine, Kurili, Giappone), separano il bacino oceanico vero e proprio dai mari interni. Ricordiamo la Fossa del Giappone e la Fossa delle Filippine. Nel 1951 una nave-ricerche della marina danese restò in sosta per parecchie ore sopra una delle più profonde fosse oceaniche, appunto quella delle Filippine - 9925 metri di profondità - in attesa della ricomparsa di una robusta rete a strascico, assicurata a chilometri di cavo e filata nell'abisso. Quando la rete ricomparve, il capo della spedizione così descrisse quei momenti di tensione: «Ogni uomo a bordo libero dal servizio si precipitò alle murate ... Degnammo appena di uno sguardo gli animali che erano evidentemente pelagici, catturati mentre recuperavamo la rete ... Ma, ecco, su una grande pietra, alcune escrescenze biancastre: attinie!... Era la prova che animali superiori possono vivere a 10 mila metri di profondità». Otto anni e mezzo più tardi, altra «pesca» su altra fossa: quella delle isole Marianne: 10 911 metri di profondità. E la rete non aveva toccato il fondo, che è di 11933 metri.



    ...storia, miti e leggende...


    Prima di Magellano, le acque del Pacifico pare siano state solcate dai Polinesiani, che restano forse i più grandi navigatori della storia. Le loro imbarcazioni transoceaniche; con o senza vele, consistevano generalmente di due canoe lunghe fino a 25 metri legate l'una all'altra, con una capanna al centro, il tutto unito con cavi di fibre vegetali: esse procedevano col vento in poppa, veloci e impavide; unico inconveniente, il rollio che tendeva ad allentare i legamenti. È noto che quando i Polinesiani s'avventuravano nell'immensità dell'Oceano portavano con sè donne, bambini, piante e animali domestici; i loro insediamenti sulle isole si alternavano con improvvisi spostamenti: erano soliti abitare una sola isola per volta. Esistono prove che i Polinesiani, insediatisi sulle isole Hawaii, fecero, probabilmente per secoli, ripetuti viaggi di andata e ritorno.
    Quali furono le genti che nei secoli abitarono nel PacifIco? I testi parlano di quattro diverse popolazioni: gli aborigeni venuti dall'Asia, che si stabilirono in Australia migliaia di anni fa; i Polinesiani delle Samoa; i Melanesiani che troviamo nel sud-ovest, attorno alle Figi e alla Nuova Guinea; e infine i Micronesiani, nel nord.
    Che i Polinesiani fossero dei formidabili navigatori, è fuori dubbio. Ma qualcuno, recentemente, asserisce che anche gli Indiani d'America non furono da meno. La tesi è esposta in un'opera di alcuni anni fa: Amerindians in the Paciftc, di Thor-Heyerdahl, che nel 1947 aveva navigato su una zattera dal Perù a Raroia, provando così che gli Indiani erano emigrati in Polinesia.
    Gli Indiani di Okanogan nella Colombia britannica raccontano una strana ed interessante leggenda: nell'antichità - dicono - esisteva in mezzo all'Oceano un'isola, Samah-tumi-whoo-Iah, che significa «isola dell'uomo bianco », abitata da giganteschi esseri, governati da una regina alta e bianca, di nome Scomalt, che aveva, a quanto pare, poteri soprannaturali. Un giorno, dopo lunghi anni di pace, quei giganti cominciarono a combattersi e a massacrarsi fra di loro; la regina si adirò e staccò la parte di isola popolata dai giganti malvagi spingendola in alto mare. L'isola, abbandonata alle onde e sbattuta dai venti, cominciò ad affondare. La popolazione perì: salvo un uomo e una donna, che avevano costruito una canoa prima che l'isola fosse inghiottita dalle acque. Questi due unici superstiti vagarono sull'Oceano per molti giorni e molte notti, finchè raggiunsero l'America, e precisamente la terra degli Okanogan. Durante il lungo viaggio sul mare, sferzati dal sole cocente, la loro pelle, in origine bianca, assunse un colore bruno rossiccio: ed è per questo che gli Indiani si chiamarono pellirosse ..

    Il Pacifico, come l'Atlantico, ha il suo continente scomparso: Lemuria. I primi popoli della Lemuria pare fossero androgeni, esseri dal doppio sesso, che si riproducevano in maniera oscura; dopo parecchi milioni di anni, per evoluzione - pare - si divisero in maschi e femmine; e da quel momento - pare - la riproduzione avvenne normalmente, secondo gli strumenti tradizionali. Platone, che di tutto e di tutti sapeva tutto, ricorda che di questo antichissimo continente scomparso gliene aveva parlato il poeta comico Aristofane: questi primi abitanti della Terra pare fossero bisessuali e «terribile era la loro potenza e forza, e tanto orgogliosi erano che osavano attaccare gli dei. Che cosa sarebbe avvenuto? Questo: che dopo aver a lungo riflettuto, Zeus scoperse un metodo per annientare una volta per tutte la loro insolenza: li divise in due parti e da quel momento ogni metà maschile e ogni metà femminile fu tutta intenta a ricercare la metà opposta: e gli dei poterono stare in pace ... e con l'occasione dominare gli uomini. Ma ritorniamo ai nostri lemuri (si dice così?): per lunghi anni la statura della popolazione lemuriana pare diminuisse continuamente, una testa sproporzionatamente grossa, con fronte molto alta, nel centro della quale v'era una protuberanza, una specie di noce detta il terzo occhio - un segno, questo, di poteri psichici molto sviluppati volti alla telepatia, al sesto senso, eccetera eccetera.


    ......Magellano......


    Magellano aveva studiato l'itinerario nei minimi particolari, voleva assicurare il successo alla sua impresa: avrebbe costeggiato le coste occidentali dell'Africa, le isole Canarie, le isole del Capo Verde; a da qui, attraversando l'Oceano in direzione obliqua sud-ovest, avrebbe raggiunto le coste del Brasile, tagliando l'Equatore.
    E così fu. Navigò infatti lungo l'Equatore per quasi .:>essanta giorni sotto piogge torrenziali: « ... Una cosa molto strana da vedere », scriverà il suo scrivano Pigafetta, «ci sono grandi pesci con denti terribili e un uccello che non nidifica perchè non ha zampe e la femmina depone le uova sul dorso del maschio e lì le cova ».
    Avvistò la costa brasiliana il 29 novembre 1519, al Capo Sant'Agostino vicino a Pernambuco. Quattordici giorni dopo gettava le ancore nella baia di Santa Lucia (l'odierna Rio de Janeiro). All'inizio di febbraio del 1520 la piccola flotta era davanti all'estuario del Rio della Plata. Qui Magellano cerca il passaggio verso il Pacifico, ma non lo trova. Il 31 marzo del 1520 ripara a Porto San Giuliano: siamo sulle coste della Patagonia. I patagoni, con alcuni dei quali è lecito supporre che Magellano abbia fatto conoscenza, sono gente di alta statura, abilissimi nel cavalcare; vivono di caccia e di pesca: quando qualche balena viene a morire sulla costa, fanno festa, essendo particolarmente ghiotti della carne di questo cetaceo. Dopo una bella scorpacciata, ne conservano parte sottoterra, e se ne cibano anche dopo tre o quattro mesi, quando la carne è diventata putrefatta e manda un fetore che sarebbe per noi insopportabile. Su un punto di questa costa ingrata Magellano abbandonò un suo ufficiale e un sacerdote: per punizione, essendosi i due ammutinati.
    18 ottobre 1520: ecco finalmente la sospirata apertura:
    Capo delle Vergini. Magellano imbocca lo stretto, che poi prenderà il suo nome, lasciando alla sua sinistra le ultime propaggini meridionali del continente americano: la Terra del Fuoco.
    Terra del Fuoco: una delle regioni più fantastiche del nostro pianeta, cielo color di cenere, montagne altissime, grigie, un'atmosfera che varia di ora in ora. L'isola della Desolazione è tutta coperta di neve: grandina, tuona e lampeggia, poi d'improvviso torna il sereno; gli abitanti si chiamano fuegini: capelli duri, ispidi, spioventi sul viso sino a coprire gli occhi, faccia piatta e tonda di color giallo cupo, naso schiacciato tra zigomi assai pronunciati; vestono, quando vestono, nei modi più strani: pelli e tele incatramate, spoglie di caccia, regali di forestieri di passaggio, uniformi gallonate di ufficiali di marina ... Magellano mentre sta attraversando lo stretto: dopo più di un mese di lenta esplorazione, l'ammiraglio manda una lancia in ricognizione. La barca parte. Torna tre giorni dopo con la grande notizia: era arrivata a un capo molto lungo, oltre il quale doveva esserci il mare aperto. Scrive Pigafetta: «Dalla gioia il Capitano Generale si mise a piangere e dette il nome di 'Capo deseado' a questo Capo, come cosa da lungo tempo desiderata ».
    La sera del 28 novembre 1520 le tre navi entrano nelle acque di una sconfinata, tranquilla distesa d'acqua: l'Oceano Pacifico.
    (dalweb)




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  2. gheagabry
     
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    Punto d'incontro di tre continenti, Mare nostrum degli antichi romani o Mare Bianco degli Arabi.....


    Il MAR MEDITERRANEO



    Circa cinque milioni di anni fa, il Mar Mediterraneo era una vallata profonda e secca che divideva tre continenti: Europa, Africa e Asia, fino a quando un cataclisma fece una breccia nel muro di contenimento dell’oceano Atlantico ad ovest, verso l’odierna Gibilterra. In un processo durato molti, molti anni, una gigantesca cascata di acqua ha incominciato ad inondare l’intero bacino mediterraneo, facendo nascere un nuovo mare.
    Il Mediterraneo è il mare compreso tra Europa, Asia e Africa: è collegato all'Oceano Atlantico attraverso lo Stretto di Gibilterra, lo Stretto dei Dardanelli, il Mar di Marmara e il Bosforo lo collegano al Mar Nero, altro mare interno compreso tra Europa e Asia. Infine, attraverso il canale di Suez, aperto nel corso del XIX secolo, è collegato al Mar Rosso e all'Oceano Indiano. Il nome Mediterraneo deriva dalla parola latina mediterraneu(m), parola composta da medius, il cui significato è “che sta al centro”, e terra. Già in greco esisteva un termine simile, mesogeis, che significava “in mezzo alle terre”. Usato come aggettivo mediterraneus si riferiva a luoghi che erano interamente circondati da terre, lontani quindi dal mare. Soltanto in epoca più tarda l'aggettivo fu accostato al mare per antonomasia: il Mar Mediterraneo vide fiorire sulle proprie sponde le civiltà che stanno alla base della cultura occidentale e proprio per questa sua particolare configurazione di “mare fra le terre”, il Mediterraneo, al contrario d'altre distese acquatiche del globo, ha sempre rappresentato un elemento geografico di contatto tra le nature e i popoli che vi si affacciano. Il Mediterraneo è un residuo dell'antico mare chiamato Tetide.



    Che cos’è il Mediterraneo? “Mille cose insieme”, ha scritto Fernand Braudel.
    E’ un mare piccolo rispetto ad altri, ma cosmopolita e dinamico, una distesa di pianure liquide – sempre secondo il grande storico francese – che ha permesso la circolazione degli uomini e lo scambio economico e culturale, contribuendo ad assemblare una identità comune sui transiti e sugli arrivi, sulle contaminazioni e sugli incroci. Senza avvalorare teorie eurocentriste, non è improprio considerarlo un epicentro dell’umanità: non a caso sono tre i continenti che vi si affacciano.
    Il mare Mediterraneo è un crocevia di popoli dunque, ma anche un punto di riferimento simbolico del nostro immaginario: rappresenta il grembo materno della vita, il viaggio, l’altrove, l’illimite, un ecosistema a misura d’uomo, la natura generosa, la luce che è colore e calore, il benessere del corpo (e della mente).


    Per noi occidentali, il Mediterraneo è uno specchio che riflette ogni movimento della nostra storia, ogni respiro del nostro tempo. Punto di incontro e di scontro tra popoli, culture, tradizioni ed interessi economici, di preziosi saperi e di povertà sconsolate, esso ha rappresentato per millenni una grande rete di comunicazione, una fitta trama di relazioni e di contaminazioni che ha determinato, sin dall’inizio, la nascita di una molteplicità ricca e feconda.
    Ma il Mare Nostrum è anche luogo delle memorie, in cui ognuno di noi, inconsapevolmente, è portatore di una eredità antica e onnipresente che fa emergere tutta la bellezza, i profumi ed i colori di una moltitudine di terre, dove lo sguardo si perde tra gli olivi, che ci fanno sentire di essere finalmente di nuovo a casa.
    (Roberto Morese)




    Mediterraneo, mare nostrum, protagonista controverso, dimenticato, tagliato dalle paure. Mare, che è stato l’origine di tutto e che ormai è quasi scomparso dagli occhi, dalle teste e persino dalle carte. “Mi serviva una carta. La cercammo ovunque:
    introvabile! C’erano mappe dell’Europa, dell’Asia, dell’Africa, ma nessuna del Mediterraneo” . Edgard Morin ci racconta così di una perdita, più che di una semplice carta geografica, di una mappa interiore. Ciò che si raffigurava anche come immagine definita e centrale nel nostro immaginario, svanisce dissolta nel magma del mar globale o nella sua continua frammentazione. Da qui la necessità e la voglia di rigenerarne la figura, ridisegnarne i contorni....Abbiamo cercato e immaginato mappe che evocano quelle antiche, mappe delle migrazioni e spostamenti dei popoli, della disperazione.
    Poi geografie emozionali, grafici degli spostamenti microscopici e delle stratificazioni fatte dagli uomini, dal tempo e dalla storia, sino ad una nostra mappa dei sensi...Ma è a questo punto che il vento piomba sul nostro tavolo, scompiglia le carte, mescola le carte del nostro Mediterraneo. Nel cercare di sistemarle queste si sovrappongono casualmente e generano nuove forme, un nuovo ordine in cui alle direzioni dei venti si interseca il tracciato dei viaggi di Ulisse, le rotte dei Fenici, le linee dei traghetti moderni. In trasparenza emergono le volute degli arabeschi e le geometrie dei labirinti.
    Le direzioni migratorie delle gru si intersecano con quelle delle persone.
    I passaggi della disperazione con quelli della poesia.
    La via della seta incrocia quella del sale e delle spezie, degli olii e dei profumi, dei capitali e delle armi. Una sovrapposizione caotica che delinea però, una verosimile mappa del Mediterraneo. Un Mediterraneo che è stato grande quando ha saputo sparpagliare e seminare genti e miti, quando ha saputo essere centro delle differenze e non confine d’acqua…
    Con gli occhi bruciati dai riflessi, l’uomo se ne stava sulla riva e aspettava.
    Sapeva che le onde gli avrebbero portato sempre qualcosa e, da anni, aspettava ogni giorno quello che il mare gli avrebbe donato. Di fianco al suo capanno andavano accumulandosi, ben divisi, porzioni di reti, bottiglie, contenitori di plastica, sugheri, giocattoli, conchiglie e oggetti metallici: chiavi, cucchiai, ingranaggi, barattoli. Sembrava che una città sommersa, più povera di lui, si stesse sciogliendo nel ritmo della marea e a lui ne giungessero i resti: prodotti per un mercato poverissimo che gli permetteva a mala pena di possedere una torcia elettrica.
    Corde, soprattutto corde venivano dal mare. Quasi sempre di pochi metri, forse relitti di nodi sapienti.
    “C’è gente – ci disse – che ha bisogno anche di questo piccolo pezzo di corda. Chissà poi – una lunga pausa e un sorriso – se un giorno le onde mi porteranno l’ambra grigia, allora diventerò anche ricco”.
    Poeta del mare, incontrato sulle sponde del mediterraneo, che usa il suo tempo. Il tempo delle attese... come quello che serviva a Montale per... “svuotarsi di ogni lordura” guardando un mare che “sbatte sulle sponde tra sugheri, alghe e asterie, le inutili macerie del suo abisso”.
    Flutti più imponenti portano anche relitti più grandi. Carcasse di ruggine, rottami di navigazione, navigli di ogni genere, che in altre epoche potevano evocare viaggi avventurosi, capitani eroici, equipaggi coraggiosi.....Anche il mare è stanco e fa sentire il suo sospiro.
    Sulle coste ripide, nei litorali sinuosi, nelle spiagge bianche di pomice o nere di ossidiana ci si accorge che il mare respira. Con ritmo lento o affannato,
    quasi impercettibile o furioso, va e viene, porta e prende. Questo moto vitale frena dolcemente su quelle sponde, dove alcune pozze, naturali o
    disegnate dall’uomo, ne raccolgono la sua densa metamorfosi salina.
    Da stato liquido a condizione solida, attraverso un mutare di colori che vanno dal blu al rosso al giallo sino al bianco più abbagliante. Chi ha visto non può più dimenticare queste immagini di “sale nascente”.
    Così il mare che si ferma rivela la sua materia cristallina e la sua anima trasparente. Ma mantiene in esse la stessa duplicità di azione: da un lato il sale conserva, porta nel tempo, dall’altro corrode e prende al tempo.
    Ci sono anche gesti che prendono il tempo e lo modellano, lo aggrediscono. Sono i ritmi e i suoni che sgorgano dalle azioni del lavoro, i gesti
    ripetuti della tradizione, quelli ossessivi del rito. Sono i suoni che alleviano la fatica e rendono sopportabile il rumore. Sono suoni che aggregano,
    come quello dei battiti metallici di un duetto di pentolari che possiamo facilmente confondere con una trance Gnawa.
    Ma e’ ipnotico anche stare ad ascoltare in silenzio il telaio in funzione. Il suono è talmente reiterato nella meccanicità dei gesti che si possono percepire tutte le minime vibrazioni, i sussulti: i colpi secchi e quelli dolci dello scivolamento, il tintinnio delle forbici. Il ritmo da meccanico, come in tanti altri lavori artigianali, diventa fisiologico: mille righe colorate vibrano, sembrano danzare, sino ad annodarsi definitivamente. Sino a quando schiocca la forbice che taglia il cordone ombelicale dell’ultimo filo del tappeto. Nel silenzio, un accenno sommesso di benedizione, come vuole la tradizione islamica.....
    (Paolo Rosa)


    E’ tutto ciò che avremmo voluto fare e non abbiamo fatto,
    ciò che attraverso l’età, ha voluto prendere il discorso e non ha trovato le parole necessarie,
    Tutto ciò che ci ha lasciati senza dirci nulla del suo segreto,
    ciò che possiamo toccare e anche solcare con il ferro senza mai raggiungerlo,
    ciò che è divenuto onde e ancora onde perché esso cerca se stesso senza trovarsi,
    ciò che è divenuto spuma senza morire del tutto,
    ciò che è divenuto scia di qualche secondo per gusto fondamentale dell’eterno,
    ciò che avanza nelle profondità e non salirà mai alla superficie,
    ciò che avanza sulla superficie e pavanta le profondità, tutto ciò e molto più ancora è il mare.
    Questo mare che ha tante cose da dire e le disprezza, esso vuole se stesso sempre informulato,
    o semplicemente mormorante, come un uomo che mormora tutto solo dietro i suoi denti,
    questo mare dalla superficie offerta alla nave che lo percorre, rifiuta le sue profondità
    e tuttavia ci sono coppie di occhi, che guardano a bordo della nave,
    ma essi vedono poco più degli occhi di cieco che vanno anch’essi in coppia,
    poiché le piccole noie dell’uomo gli formano intorno nebbia
    e solo talvolta un poeta getta uno sguardo meno dubbioso al di là dell’impavesata,
    uno sguardo che raggiunge bene o male l’orizzonte.”
    (Jules De Supervielle)



    .......le carte nautiche........


    Si può scegliere dove andare, seguendo le rotte che si dipartono dalle rose dei venti disseminate lungo tutto il Mediterraneo, le vele gonfie della brezza estiva; oppure fermarsi a riposare al riparo dei porti disegnati a margine della carta. O ancora fantasticare su come l’ignoto cartografo di cinque e seicento e ottocento anni addietro abbia potuto tracciare con tanta precisione le coste italiche, quelle sicule e anche quelle maghrebine, in assenza di aerei e satelliti e rifacendosi solo ai resoconti dei navigatori del tempo e alle cronache dei geografi che li precedettero.
    E’ un viaggio nel tempo, nello spazio e nella fantasia.....Un viaggio appassionante, lungo un arco di tempo che va dal XVI al XIX secolo; si tratta in gran parte di carte nautiche, la maggior parte originali, alcune copie di documenti ancora più antichi, risalenti al 1100..."Le carte geografiche dei porti fissano le coordinate della storia degli uomini, di eserciti e pirati che sfidano il mare, ma tessono le reti di nuove civiltà e imprimono identità plurale all’incessante migrazione di popoli e culture diverse."(ludovico Corrao)



    ..........i primi navigatori............



    "Il migliore ed addirittura il modo più perfetto di ordinare gli oggetti che io abbia mai visto lo costatai in una delle grandi navi fenicie; che io vidi un enorme quantità di materiali per la navigazione così disposta da occupare separatamente il minor spazio possibile.
    Ed anche compresi che l'assistente del capitano, che chiamano l'uomo che cerca, conosceva talmente bene la posizione di ogni cosa che persino a distanza era in grado di dire dove si trovava. ".
    Questo passo di Senofonte - scrittore e storico greco discepolo di Socrate - tratto dall'Oeconom, può essere considerata la sintesi descrittiva del rapporto che legava i fenici al mare.
    La cura utilizzata nel disporre gli oggetti necessari alla navigazione, la sistemazione delle armi per difendersi dai pirati, la tecnica di stivaggio della mercanzia, stupirono Senofonte al punto di farne menzione, tramandandoci così notizia circa l'abilità e la maestria dei marinai fenici prima e punici poi..."Un paese striminzito, indipendente, condannato dalle montagne che lo limitavano, dai vicini e dalle abitudini di doversi accontentare di un territorio esiguo, qualche campo di grano, orti magnificamente curati, foreste e qualche zona di pastorizia." (Fernand Braudel, Les Memories de la Mediterranèe, Parigi, 1997).
    Le risorse non erano sufficienti per fornire cibo a tutta la popolazione e così i Fenici dovettero prendere la via del mare, inizialmente per sfamarsi, poi anche per commerciare, acquisendo con gli anni una vera supremazia marinara e venendo a contatto con popoli fino ad allora sconosciuti agli altri abitanti del mediterraneo: il mare si apriva davanti ai loro occhi come una moderna autostrada, l'unica per una naturale espansione.
    I cedri del Libano, di cui non vi era penuria nelle pendici dei monti che delimitavano la Fenicia, fornirono ottimo materiale per costruire le imbarcazioni anche se l'arte di navigare fu sviluppata ben prima dell'arte di costruire le navi.
    "I fenici inventarono l'arte della navigazione. Impararono dai Caldei i rudimenti d'astronomia che applicarono alla navigazione" (Plinio, Historia Naturalis).
    Ma non solo dai Caldei: anche dagli Egizi e dai Babilonesi appresero di astronomia e ben presto conobbero l'arte di disegnare mappe non solo dei tratti costieri, ma anche del cielo....Tale loro abilità fu di certo, almeno inizialmente, favorita dalla conformazione geografica del bacino mediterraneo che consente una navigazione a vista della costa: infatti, i tratti di mare in cui la navigazione non richiede riferimenti costieri sono essenzialmente due, e cioè la traversata del Canale di Sardegna e quella del mare balearico. Inizialmente la navigazione, proprio per la necessità di riferimenti costieri, si svolgeva essenzialmente durante le ore diurne, limitatamente alla navigazione commerciale, nel periodo ricompreso tra marzo ed ottobre, mentre la navigazione militare si svolgeva tutto l'anno per esigenze che ben si possono comprendere.
    La necessità di avere approdi sicuri per commerciare, effettuare piccole riparazioni, o anche solo per attendere il nuovo giorno, determinò la costruzione di piccoli insediamenti, utilizzati ben presto come mercati.
    Le coste del Mediterraneo si costellarono così di tanti fondachi - emporia - la cui distanza l'uno dall'altro era pari a quella che una nave oneraria poteva coprire nell'arco di una giornata di navigazione.... i Fenici impararono ad avvalersi delle stelle, in particolare della Stella Polare riuscendo, per primi, a navigare anche di notte: la scoperta venne utilizzata da tutte le marinerie, al punto che tale stella era meglio nota come "Stella Fenicia".





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  3. gheagabry
     
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    Si sentiva il mare, come una slavina continua, tuono incessante di un temporale figlio di chissà che cielo. Non smetteva un attimo. Non conosceva stanchezza. Non conosceva clemenza. Se tu lo guardi te ne accorgi: di quanto rumore faccia. Ma nel buio...
    Tutto quell'infinito diventa solo fragore, muro di suono, urlo assillante e cieco.
    Non lo spegni, il mare, quando brucia la notte.
    (Alessandro Baricco)


    L'OCEANO ATLANTICO



    «Carta d'identità: figlio di Nettuno, avrebbero detto i greci ... Figlio di Panthalassia, dicono invece oggi i geologi....secondo loro, due o tre mila milioni di anni fa la superficie della Terra si sarebbe raffreddata, e raffreddandosi avrebbe formato un singolo continente, Pangea, e un unico oceano, Panthalassia. Che cosa sarebbe successo poi? Questo: la pressione nella litosfera avrebbe diviso il grande continente Pangea in due parti: da una parte, l'Eurasia, comprendente l'odiema America del Nord, l'Europa, l'Asia centrale e settentrionale; dall'altra, Godwana, comprendente l' America del Sud, l' Africa, l' Antartide, l' India e l' Australia. Successivamente il continente Godwana, in seguito a violenti cambiamenti di clima e a convulsioni della superficie, avrebbe subito delle incrinature in alcune parti:
    in altri termini, si sarebbe spaccato, l'America del Sud si sarebbe staccata dall'Africa ...
    Prendete un atlante e osservate quella grande vallata d'acqua che si chiama appunto Atlantico: tra l'Europa, l'Africa e l' America, l' Oceano di cui stiamo parlando ha la forma di una grossa S; e se osservate attentamente, vi accorgerete che ad ogni sporgenza dell'Europa, e cioè del vecchio mondo, corrisponde una rientranza nel continente americano, e cioè nel nuovo mondo, e viceversa: esattamente come se si fossero staccati l'uno dall'altro.

    L'Atlantico, come del resto il Pacifico si estende senza interruzione da nord a sud, tra i due circoli polari, quello artico e quello antartico, che segnano praticamente i due confini longitudinali....Lunghezza approssimativa: circa 15000 chilometri. La larghezza varia: per esempio tra l'Irlanda e Terranova essa è di circa 3375 chilometri.
    L'Atlantico è una vallata d'acqua tra continenti. A est: Europa e Africa; a ovest: il continente americano; in mezzo: lui.



    ...storie, miti e leggende....


    La spaccatura fra l'America del sud e l'Africa ha dato origini alla leggenda. Parliamo del mitico continente Atlantide, inghiottito, sprofondato, s!=mbra, in seguito a chissà quali terrificanti cataclismi. E esistita veramente l'Atlantide? La domanda batte tuttora. A introdurre nel mondo questa credenza è stato Platone. Il celebre filosofo greco racconta nei suoi Dialoghi che davanti alle colonne d'Ercole (l'attuale stretto di Gibilterra) si trovava un giorno un'isola grandissima, l'Atlantide; e la descrive con abbondanza di dettagli: bella, circondata da acque azzurre, ricca di lussureggiante vegetazione. Platone riferisce che quando gli dèi si distribuirono le varie parti della Terra, a Nettuno era toccata quest'isola meravigliosa; e quando il dio dei mari andò ad occuparla, vide nel centro una bellissima pianura, e, nel centro della pianura, un'incantevole montagna; e in cima alla montagna, i due primi abitanti: un uomo e una donna, misteriosamente generati dalla Terra. Loro unica figlia era Clito, e Nettuno, essendosene innamorato, la sposò e la costrinse a continuare a vivere lassù su quella montagna, che aveva voluto fosse fortificata e circondata da tre canali di acqua alternati a due anelli di terra. Da Clito, Nettuno avrebbe avuto un figlio: Atlante. Secondo Platone, l'Atlantide sarebbe stata poi inghiottita dal mare, meno la montagna, genitrice del genere umano.
    E lecito chiedersi co,me Platone potesse essere a conoscenza di questi fatti. E probabile che il filosofo li abbia saputi da Solone, uno dei sette Savi dell'antica G!ecia, il quale li avrebbe a sua volta saputi da viaggiatori greci, che a loro volta li avrebbero uditi da sacerdoti egizi, ai quali a loro volta sarebbero stati tramandati dagli abitanti dell'isola, discendenti di Atlante.
    Atlante ... Atlantico: la derivazione sembra ovvia. Il fatto è che con la parola «Atlante» intendiamo diverse cose: atlante è, com'è noto, una raccolta di carte geografiche; Atlante si chiama oggi la catena montuosa a nord-ovest dell'Africa, probabile residuo, perchè no?, dell'Atlantide scomparsa; atlante è la prima vertebra cervicale che regge il capo;
    e Atlante è l'uomo della mitologia che reggeva il mondo.
    Torniamo all'Atlantide: «Secondo le indicazioni di Platone », scriveva alcuni anni fa il geologo sovietico professor D. Zirov, " " l' Atlantide era un paese montagnoso; di conseguenza nell'Oceano Atlantico dovrebbe esservi una vasta regione montuosa sommersa ". In effetti, le spedizioni oceanografiche del XIX e del XX secolo hanno stabilito con certezza l'esistenza di un gigantesco sistema montuoso che si stende da un circolo polare all'altro, passando quasi al centro dell'Atlantico. Tale sistema, com'è noto, ha una soluzione di continuità nelle vicinanze dell'Equatore, ed è per questo che si può parlare di due catene: la nord-atlantica nell'emisfero settentrionale e la sud-atlantica in quello meridionale. Secondo il professor D. Zirov, l'esistenza dell'Atiantide di cui parla Platone sarebbe da collegare con la prima catena.




    Chi fu il primo a tentare la grande avventura? Vogliamo dire ad affacciarsi sull' Oceano? Forse gli Egiziani, forse i Fenici. Forse il greco Pitea.
    L'itinerario compiuto da questo navigatore, tra la storia e la leggenda, appare molto controverso. Seguiamolo. Pitea si sarebbe imbarcato a Massalia (l'odierna Marsiglia), avrebbe oltrepassato le Colonne d'Ercole (l'attuale stretto di Gibilterra), e, volgendo verso nord, dopo aver doppiato il Capo di San Vincenzo, avrebbe attraversato il Golfo di Biscaglia.....oggi, grazie ai recenti sondaggi compiuti dall'Istituto Nazionale Britannico di Oceanografia, il fondo marino di questa grande insenatura non dovrebbe avere più segreti: pianure abissali, monti marini, vallate e scarpate continentali; ricordiamo il «Burrone del fango nero» sulla scarpata continentale sud-ovest della penisola di Bretagna.
    Sempre dirigendo verso nord, Pitea avrebbe attraversato la Manica e, costeggiando le coste della Danimarca, sarebbe entrato nel Mar Baltico spingendosi fino al Golfo di Finlandia. Notiamo en passant, al seguito del leggendario Pitea, un fatto di salinità: qui, in questi mari del nord, il contenuto di sale è relativamente basso in paragone a quello dell'Atlantico. L'alto grado di evaporazione nell'Atlantico subtropicale spiega l'alto grado di salinità; il basso grado di evaporazione nel Baltico e i numerosi fiumi che vi portano neve sciolta, concorrono a spiegarne il grado più basso di salinità. Ritornando indietro, e dopo avere di nuovo costeggiato le coste della Danimarca, Pitea avrebbe diretto verso nord, lungo le coste orientali dell'Inghilterra, raggiungendo le isole Shetland. Da qui, volgendo a sinistra, avrebbe rasentato le isole dell'arcipelago delle Orcadi, a nord dell'estrema punta della Scozia, dalla quale è separata da un braccio di mare che si chiama Pentland Firth. Lasciamo cadere la solita osservazione, stavolta storica: in questa grande baia, rifugio sicurissimo, protetto da una corona di scogli e di isolette, vicinissimi gli uni alle altre, con canali, sbarramenti, pontoni, reti antisommergibili, in questa grande baia, dicevamo, la flotta britannica si è sempre arroccata. Siamo nella formidabile base di Scapa Flow. Nel 1919 qui la flotta germanica si autoaffondò piuttosto di subire l'umiliazione della resa. Qui, il 14 ottobre 1940 il capitano Giinther Prien, comandante di un sommergibile tedesco,
    affondò a colpi di siluro la corazzata inglese Royal Oak:
    nello scafo capovolto trovarono la morte 786 uomini fra ufficiali e marinai, contrammiraglio comandante compreso.
    Dalle Orcadi, Pitea avrebbe diretto verso nord, verso l'Islanda, che secondo alcuni storici avrebbe raggiunto. Certo, il navigatore greco, a quel tempo, non potè vederla: parliamo dell'isola Surtsey. Sorta nel 1963 dalle acque dell'Atlantico settentrionale, al largo dell'Islanda, Surtsey è una nuova terra che gli atlanti hanno dovuto registrare. Nascita dolorosa, parto convulso: la lava ha cominciato a ribollire a Surtsey subito dopo l'emersione e ha continuato per quasi quattro anni; le colate uscivano da coni secondari aperti si sulle pareti del cratere principale. Nel giro di due anni, sull'isola si erano già sviluppate le prime forme di vita vegetale e animale.
    Meno fortuna ha avuto l'isolotto dei Syrtlingur, nato nel 1965 a meno di un miglio di distanza da Surtsey: l'isolotto aveva pochi mesi di vita e quindici ettari di superficie quando le ceneri e i lapiIIi che lo componevano
    furono spazzati da una tempesta. Requiem per un'isola.
    Non è dato sapere con precisione quale sia stato l'itinerario seguito da Pitea nel ritorno: probabilmente navigò lungo le coste occidentali dell'Inghilterra e andò a cadere sul grande promontorio di Brest.
    « Eccomi in mare aperto. Resterò solo col mare per sei mesi, o forse otto, o forse più. Le coste dell'Inghilterra sono ormai scomparse dal mio orizzonte. Ai quattro lati della barca c'è soltanto l'Oceano Atlantico, un'uguale, sterminata distesa di azzurro, il vento soffia da ponente, ecco Madera; poi verranno le Canarie e le isole del Capo Verde ... Ma è meglio non pensare a quello che verrà dopo, meglio frenare la fantasia e concentrarsi pazientemente sulle mille cose da fare ogni giorno, con estrema attenzione, perchè la lunga sfida nella quale sono impegnato non consente distrazioni ... »
    E ancora: « Mi sento libero, solo col mare e col vento e con questo cielo pieno di sole: libero e straordinariamente sereno, appagato dalla realizzazione concreta di un sogno che si fa reale sotto i miei occhi, sotto le mie mani che decidono sul cammino ... » E ancora: « È cominciato il secondo giorno di viaggio, le condizioni atmosferiche sono cambiate, non ho avuto la fortuna di avere un cielo stellato, ma questo è il meno; il vento soffia molto forte da sud-est e da sud-ovest, con un mare forza 7 e 8 ... » Chi parla, anzi chi scrive (poichè si tratta di un giornale di bordo) è Alex Carozzo, navigatore solitario, che tenta l'attraversata dell'Atlantico. Tenta: poichè Alex Carozzo sarà costretto a rinunciare...Con l'Atlantico non avrà fortuna. Aveva previsto tutto, ma non i capricci dello stomaco: a bordo, scorte di ogni genere, dagli antibiotici agli analgesici, venti chili di pasta e venti di riso, sessanta chili di patate, altrettanti di cipolle, trenta chili di altre verdure (carote, lattuga, pomodori), dieci di farina, venti di zucchero, quindici di miele, trenta di arance, cinquanta di mele e sei scatoloni di gallette; e inoltre: dadi per brodo, carne e pesce in scatola di varie qualità, latte in scatola e latte fresco a lunga durata, frutta secca, burro, olio, biscotti, caffe; e naturalmente una sufficiente scorta di acqua dolce: un migliaio di litri, in lattine appositamente preparate dalla Fiuggi, e altre bevande; e inoltre tabacco.
    E per il vestiario? Cinque pullover, due impermeabili, tre giacche a vento,
    tre paia di stivali, quattro paia di pantaloni marinaio ... Che cosa voleva dimostrare Carozzo? Quello che altri navigatori solitari hanno dimostrato: e cioè che l'Atlantico potè essere attraversato in tempi remotissimi da popoli privi di quei mezzi tecnici di navigazione di cui dispomamo noi oggi.



    Antiche tavolette sumeriche descrivono come il principe Marecm-Sui, verso il 2000 a.c., abbia veleggiato, pare, sulle acque dell'Atlantico arrivando sino all'attuale Capo di Buona Speranza, estremità meridionale del continente africano; il principe, a quanto ci risulta, era diretto verso una non meglio definita «terra oltre il mare occidentale».
    Che Sumeri e Fenici siano arrivati nell'America del Sud, via Atlantico, sarebbe testimoniato da tracce lasciate nel nuovo continente. La notizia è recente: ed è del professor Barry Fell, della Harvard University, il quale precisa che gli egiziani sarebbero arrivati persino nel Cile, 2000 anni fa.
    Nel 1274 a.c., Menes, figlio di Sargon, re dei Sumeri, avrebbe intrapreso un viaggio raggiungendo la «terra del tramonto », dove sarebbe stato avvelenato a morte da un insetto, e dove, secondo la leggenda, sarebbe sepolto. Ebbene, nel maggio del 1969, Thor Heyerdahl, insieme con altri sei uomini di equipaggio, salpò dal porto marocchino di Safi, diretto ai Caraibi a bordo di una barca di papiro, esatta copia delle imbarcazioni sumere: egli voleva dimostrare che la traversata dell' Atlantico da parte degli antichi era più che possibile.
    Del resto alcuni antichi documenti riportano che i Sumeri s'imbatterono in uomini rossi mentre veleggiavano lungo un grande fiume. Non si può infine negare la straordinaria analogia tra molte parole peruviane e sumere; nè si può negare la somiglianza delle architetture, le affinità delle religioni e delle cerimonie. Dobbiamo concludere che fra l'America del Sud e Babilonia sono esistiti dei rapporti? Varie leggende parlano di un dio bianco che si aggirava nelle due Americhe, istruendo e guarendo la gente. Alcuni accenni negli scritti classici fanno supporre, con un abbondante beneficio d'inventario naturalmente, che i Greci e i Romani fossero vagamente consci dell'esistenza dell'America. Plutarco nel suo De facie in orbe Lunae scrive tra l'altro: «A ponente dell'Oceano vi sono diverse isole popolate da uomini dalla pelle rossa, oltre le quali vi è un vasto continente, con grandi fiumi navigabili ».
    Si può affermare che l'Atlantico, dall'antichità sino ad oggi, è stato l'Oceano più «attraversato ». Attraversato da navigatori, da commercianti, da schiavisti. Ricordiamo, anche se l'accenno può suonare sgradevole, la grande via degli schiavi: quella dalle coste dell' Africa occidentale alle piantagioni del nuovo continente.


    Non possiamo non dimenticare la prima traversata ufficiale: ci riferiamo al viaggio memorabile di Cristoforo Colombo: 12 ottobre 1492. Alle 2 antimeridiane, Rodrigo de Triana, di vedetta sul castello di prua della Pinta, vede sull'orizzonte a occidente qualcosa che assomiglia al biancheggiare di un banco di sabbia; poi ne vede un altro, e infine scorge una linea oscura di terra: «Tierra! Tierra> grida. Grido fatale. La prima terra dell'emisfero occidentale avvistata da Colombo era la costa orientale di una delle Bahamas, oggi ufficialmente denominata «San Salvador>, in devozione a Nostro Signore. San Salvador è un'isola corallina lunga circa 13 miglia e larga poco meno di 6, circondata da secche pericolose, e abitata al tempo di Colombo da ... Citiamo le parole di un testimone, Las Casas: «Essi (gli indigeni) circolano completamente nudi, come le loro madri li fecero; e anche le donne, per quanto vedessi una sola ragazza veramente giovane. Tutti quelli che vidi erano uomini giovani, nessuno di età superiore ai 30 anni, molto ben fatti, con corpi splendidi e visi magnifici; i capelli grossi quasi come i peli della coda di un cavallo e corti ... » E ancora: «Non portano armi, nè le conoscono; infatti io mostrai loro alcune spade ed essi le ~ferrarono per le lame e si ferirono a cagione della loro ignonoranza ... »
    (oceani.biz)



    .....gli iceberg ed il Titanic......



    Groenlandia: qui nascono i famosi icebergs, da qui si staccano, per andare a morire a Terranova. Gli icebergs contengono notevoli quantità di materiale morenico, il quale, a mano a mano che il ghiaccio fonde, precipita: il famoso Banco di Terranova è stato in gran parte «fabbricato» dalle rocce glaciali provenienti dalle montagne della Groenlandia. Le forme di questi icebergs, veri mostri bianchi galleggianti sul mare, sono bizzarre, cambiano continuamente di aspetto e di posizione. Il loro incontro è temuto dai naviganti.
    Ne seppe qualcosa il transatlantico Titanic. Ricordiamo con alcuni flashes una delle più grandi tragedie del mare che commosse l'opinione pubblica mondiale. Con le sue 46320 tonnellate di stazza lorda, i 269 metri di lunghezza e i 28 di larghezza, il transatlantico Titanic, orgoglio della marina mercantile britannica, doveva essere una sfida all'Oceano. Trascinato da rimorchiatori, ilTitanic lasciava il molo di Southampton il 10 aprile 1919 per un viaggio inaugurale attraverso l'Atlantico. Lo comandava un vecchio lupo di mare, il capitano Edward J. Smith. Alle ore 23,40 del 14 aprile, nelle acque di Terranova, il dramma: «lceberg dritto a proravia!» Il timoniere cerca disperatamente di mettere tutto a sinistra: la prua ubbidisce, la nave allarga verso il mare libero, ma non abbastanza in fretta: come un colpo di rasoio, il ghiaccio dell'iceberg striscia lungo la murata di destra e la strappa letteralmente: una cascata d'acqua si rovescia nella sala macchine, l'urto non è stato violento e i passeggeri non si rendono conto della tragedia che incombe; per qualche minuto infatti le attività di bordo restano immutate, chi ride continua a ridere, chi beve continua a bere, chi balla continua a ballare ... Poi, a poco a poco, l'allarme si diffonde fra i viaggiatori: prime scene di panico, soltanto un uccelletto in gabbia mantiene la calma; inutilmente il commissario di bordo cerca di rassicurare la gente e di calmare gli animi, niente paura, tutto era stato predisposto, occorreva soltanto procedere con ordine; ma chi ha perso la testa, perde anche la propria dignità: l'istinto di conservazione ha il sopravvento; ognuno pensa per sè, i gentiluomini di due ore prima che s'inchinavano davanti alle signore, sono ora delle bestie scatenate. Ogni convenienza sociale, ogni ritegno umano crolla davanti all'ombra della morte che sempre più s'avvicina: bambini travolti e calpestati, donne sospinte sul ponte, giovani in preda al terrore, vecchi pietrificati dallo spavento; vanamente un sacerdote cerca di trattenere l'orda impazzita ... Alle 0,30 il collasso della dignità è generale; viene lanciato il « Si salvi chi può ». Ai piloti delle imbarcazioni il capitano Smith ordina di restare vicino alla nave, per portar soccorso a chi si trova ancora in acqua; ma gli ordini non sono eseguiti, la paura del gorgo immane che il transatlantico provocherà scomparendo è più forte. Per chi è rimasto, la fine è prossima, l'orchestra suona l'inno evangelico Autunno, qualcuno chiede un'arma; intanto l'acqua investe, spazza via ogni cosa: alcuni si gettano nel gelido oceano. Alle 2,20 del 15 aprile il Titanic s'inabissa. Bilancio agghiacciante: 1503 i morti. Chi poteva portare soccorso, non si era accorto della tragedia. Ma ci fu anche chi non volle accorgersene: un battello norvegese, il Samson, addetto alla caccia delle foche, si trovava quella notte a qualche miglio dal Titanic; ma, essendo in zona di pesca proibita e avendo scambiato i segnali del transatlantico per quelli di un'unità americana alla ricerca di pescatori di frodo, prese il largo a tutta velocità. Si dice che il rimorso di questa fuga abbia tormentato per tutta la vita il capitano.




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    Il mare è l'immagine dell'inafferrabile fantasma della vita.
    (Herman Melville)


    Il MAR MORTO


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    È un mare chiuso che ha come immissari le acque del fiume Giordano, del fiume Arnon e di altri corsi d'acqua di minore importanza, senza avere però alcun emissario.
    La sua salinità aumenta con la profondità. La superficie è la parte meno salata, diluita dalle acque del Giordano che trovano difficoltà a scendere negli strati più bassi..Le sue acque erano conosciute fin dai tempi dei Romani e sono sfruttate ancora oggi, per le loro qualità curative, soprattutto per le malattie della pelle: il basso livello di raggi UV e l'alto tasso di ossigeno sono ottimi per la salute, l'alta concentrazione di minerali, tra cui il calcio e il magnesio, che sono utili rimedi contro le allergie e le infezioni delle vie respiratorie, il bromo che facilita il rilassamento, lo iodio che ha effetti benefici sulle disfunzioni ghiandolari e il fango per la cura della pelle.

    Anche se abitualmente considerato un mare, il Mar Morto è in realtà un lago: è un bacino chiuso, da dove l’acqua esce solo per la forte evaporazione causata dal clima caldo e secco. Proprio per questo motivo, nel corso di migliaia di anni, i sali presenti nelle acque si sono sempre più concentrati: oggi la salinità media del Mar Morto (23%) supera di dieci volte quella degli oceani. Questa situazione provoca anche una maggiore densità dell’acqua, per cui l’ossigeno si diffonde con difficoltà: lo si trova solo nei 40 metri d’acqua superficiali, mentre più sotto è assente, e anzi c’è acido solfidrico, velenoso. È evidente quindi quanto sia difficile vivere in situazioni così estreme: non risulta che nel Mar Morto vi siano pesci. Sono stati però ritrovati diversi microrganismi: un protozoo ciliato, alcune specie di alghe azzurre, un’alga verde e vari batteri che ricavano energia sfruttando lo zolfo, il ferro, l’azoto, l’ammoniaca o la cellulosa. Alcuni tra loro sono in grado di vivere anche in assenza di ossigeno. Tra questi, grandi un millesimo di millimetro e non nocivi per l’uomo, il Flavobacterium marismortui, diversi Halococcus e l’Halobacterium halobium, che possiede un pigmento rosso che gli permette di utilizzare l’energia solare e di espellere il sale in eccesso.


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    Secondo il dottor Alon Tal (docente presso il dipartimento di studi di ecologia del deserto presso l'università Ben Gurion di Be'er Sheva), il Mar Morto sta morendo, in quanto, essendo il punto più basso della superficie terrestre e anche tra i più caldi, la conseguente notevole evaporazione non è sufficientemente compensata dall'afflusso delle acque del Giordano e degli altri più aridi corsi d'acqua, a partire dalla metà del secolo scorso quando i contadini israeliani e giordani deviarono le acque dei fiumi, soprattutto del Giordano, per uso agricolo; la portata del Giordano si è ridotta del 10% rispetto alla sua portata naturale. Inoltre le industrie giordane e israeliane del carbonato di potassio che si trovano nella regione meridionale del mar Morto esasperano la discesa del livello del lago, che si è già abbassato di 27 metri.
    Sono state studiate diverse soluzioni per rialzare il livello del lago e, nonostante l'opposizione degli ambientalisti, al momento, la Banca Mondiale ha stanziato 15 milioni di dollari americani per lo studio di fattibilità di un collegamento col mar Rosso, battezzato "Condotto della Pace", che incanalerebbe l'acqua ad Aqaba e la porterebbe alle sponde meridionali del mar Morto, con produzione di energia elettrica, e con un impianto di desalinizzazione che fornirebbe l'acqua ad Amman, con un costo previsto di circa 5 miliardi di dollari americani. L'opposizione ambientalista è dovuta ad una previsione di possibile innaturale reazione chimica delle acque e anche al fatto che la zona è altamente sismica.


    MarMorto


    ....racconta la Bibbia.....



    Il Mare Primordiale, il Mare delle Piane, il Mare Salato - questi sono solo alcuni dei nomi del Mar Morto citati dai testi religiosi nel corso della storia. Il Mar Morto é stato teatro di alcuni eventi indimenticabili della storia mondiale: il patriarca Abramo vi ha combattuto una guerra, Davide vi si nascose per sfuggire a Saul, il profeta Ezechiele vi ebbe delle visioni, la tragedia di Masada si è compiuta nelle sue vicinanze, così come il Battesimo di Gesù da parte di Giovanni Battista.

    Il libro della Genesi racconta di una guerra vicino al Mar Morto, condotta da quattro re contro cinque: “Tutti questi si concentrarono nella valle di Siddim, cioè il Mar Morto”. Nel corso di questa guerra Lot, nipote di Abramo, fu fatto prigioniero. Abramo, che fino a questo punto era ancora Abram, partì per inseguire i rapitori e riportare a casa Lot.
    Le frasi "Valle di Siddim" o "Mare di Siddim" derivano dalla radice sid, che significa argilla, catrame o pece, materiali che sono tipici della regione della Valle Morta. Il libro della Genesi nota inoltre che durante la guerra, due dei re caddero nelle pozze tipiche della zona: "E la valle di Siddim era piena di pozze di fango [pozze di pece]; e i re di Sodoma e di Gomorra fuggirono , e vi caddero; e i superstiti fuggirono sulle montagne” (Genesi 14:10).

    Nella Bibbia il Mar Morto é citato in vari modi
    Nel libro della Genesi il Mar Morto é citato come Valle di Siddim:
    “Tutti questi si concentrarono nella valle di Siddim, cioè il Mar Morto. " (Genesi 14:3)
    Nel libro di Giosué il Mar Morto é denominato il Mare delle Piane:
    "Così le acque che fluivano dall'alto si arrestarono e poi si ammassarono in un cumulo molto lontano dalla città di Adam, che è accanto a Zaretan: e quelli che scendevano verso il Mare delle Piane, ossia il Mare di Sale, si indebolirono, e furono distaccati e il popolo oltrepassò giusto di fronte a Gerico" (Giosué 3:16).
    Il libro di Zaccaria si riferisce al luogo come al Mare Precedente (per esempio, nel significato di "presto", la radice ebraica kedem significa "presto" o "prima" e quindi si riferisce anche, nello spazio, a est, dove sorge il sole. Pertanto, la frase "Mare Precedente " indica che il Mar Morto si trova nella parte orientale della terra di Israele):
    “E avverrà nel giorno, in cui acque vive sgorgheranno da Gerusalemme, la metà delle quali scorrer à verso il mare orientale, e metà di loro verso il mare posteriore: avverrà sia in estate che in inverno" (Zaccaria 14:8).


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  5. gheagabry
     
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    Gli ABISSI MARINI


    L'ecosistema marino è il più vasto ambiente della Terra e comprende tutti i fondali oceanici. I principali fattori che influiscono sulla distribuzione degli esseri viventi sono la luce e i nutrienti. La luce solare penetra solo fino a 200 m e qui si concentra la maggior parte degli organismi marini.
    Procedendo verso il basso, la temperatura dell'acqua tende a diminuire: a 2000 m si registra una temperatura di 3°C e a 3000 m di soli 2°C, sui fondali si può sfiorare lo 0°C. La pressione invece aumenta, 1 atm ogni dieci metri. Il mare profondo è dunque un ambiente estremo, abitato da pochi organismi ma riserva numerose sorprese. La più interessante per la vita marina è stata la scoperta, nei pressi della dorsale pacifica orientale, dei "camini" dai quali fuoriesce acqua a temperatura altissima (400°C) ricca di gas e particelle di diversi solfuri.
    Queste strutture denominate Black smokers costituiscono un ecosistema particolarissimo, che non trae la sua energia dalla luce solare. Sui fondali oceanici delle rift valley, l'acqua penetra nella crosta terrestre attraverso le fessure della roccia giungendo in prossimità dei magmi sottostanti, si surriscalda fino a temperature di circa 400°C e solubilizza molti dei minerali presenti nella roccia. Risalendo alla superficie fuoriesce dando origine a pennacchi scuri (da qui il nome di black smokers) perché ricchi di minerali che a contatto con l'acqua fredda circostante precipitano dando così origine ai "camini". La sostanza presente in maggior quantità in queste emissioni è l'idrogeno solforato, questo è utilizzato da batteri ipertermofili quale fonte di energia, in luogo della luce solare, questi batteri rappresentano il primo anello di una catena alimentare costituita da vermi, molluschi, crostacei e anche pesci tutti con caratteristiche particolari, adatti a vivere in un ambiente tanto "strano".

    A lungo si è creduto che gli abissi marini fossero come immensi deserti perché le forti pressioni cui vengono sottoposti gli animali impediscono la vita. Nella fossa delle Marianne (oceano Pacifico, 11 mila metri di profondità), per esempio, ogni organismo subisce una pressione idrostatica di 1064 atmosfere, cioè 1064 volte superiore a quella che noi subiamo sulla superficie terrestre a livello del mare. Ma per le creature che vivono negli abissi la pressione preme da ogni parte e, come l’aria che grava su di noi, non reca loro disturbo. I loro tessuti si sviluppano in quell’ambiente, e i fluidi che si trovano all’interno del corpo acquistano una pressione tale da creare equilibrio con la pressione esterna. In queste zone, per via dell’oscurità, manca completamente la vita vegetale. Il cibo perciò “piove” dagli strati superiori. Gli organismi della fossa della Marianne sono per la maggior parte lunghi pochi centimetri: attinie, policheti, oloturoidei (Elpidia, Myriotrochus, Scotoplanes), molluschi bivalvi, crostacei isopodi, e anfipodi. A profondità minori (fino a 5-6 mila metri) c’è una grande varietà di pesci: dalla rana pescatrice abissale al pesce tripode, al pesce pellicano.






    L’ambiente meno esplorato sulla terra è senza dubbio il mare, nonostante molti ricercatori già dal secolo scorso abbiano compiuto studi e condotto esplorazioni dei fondali, fino ad arrivare negli anni '60 alla fossa delle Marianne, il punto estremo degli abissi marini.


    ...la fossa delle MARIANNE.....



    All'inizio del XX secolo non si conosceva quasi nulla degli abissi oceanici - fino a quando, nel 1925, un grande scienziato, dopo anni di esplorazione nella giungla, volse la sua attenzione al mare. Il suo nome era William Bebe.
    La sua ricerca cominciò con un rozzo casco di rame in bassi fondali. Bebe capì subito di trovarsi di fronte a un universo sconosciuto quanto quello di Marte o Venere, e decise di esplorarlo.
    L'oceano divenne la sua ossessione. Effettuò centinaia di immersioni, ma presto dovette ammettere che con il solo scafandro non riusciva a scendere oltre i 20 metri di profondità. La pressione dell'oceano può schiacciare un corpo umano già oltre i cento metri di profondità. Persino i sottomarini, a quell'epoca, non potevano scendere più di 400 metri. Per esplorare gli abissi, era necessaria una tecnologia completamente nuova.
    Fu nel 1929, in una officina meccanica del New Jersey, che cominciò a prendere forma la prima capsula al mondo per immersioni in profondità. A idearla fu Otis Burton, un ricco giovane appassionato di scienza. Era una sfera cava d'acciaio dello spessore di 4 centimetri, con piccoli oblò di quarzo perché nessun vetro avrebbe resistito alle forti pressioni. La costruzione durò più di un anno e costò 12.000 dollari, a quel tempo una vera fortuna. Burton la donò a Bebe, ma a condizione di scendere insieme a lui in fondo al mare. Bebe battezzò l'invenzione "batisfera". Il boccaporto era largo appena 25 centimetri e sigillato all'esterno da una porta d'acciaio di 200 chili.
    Il 6 giugno 1930, nella Fossa di Bermuda, Bebe e Burton effettuarono la prima discesa. I rischi erano enormi. I due uomini entrarono in silenzio all'interno della capsula e il portello venne chiuso alle loro spalle. Pesanti martelli strinsero ermeticamente i bulloni di acciaio. Poi, la batisfera venne calata in mare.
    Tra gli esploratori più coraggiosi possiamo senz'altro annoverare questi due uomini: sospesi ad un unico cavo d'acciaio sopra 2500 metri di abisso, senza alcuna possibilità di soccorso se qualcosa fosse andato storto. Cinquanta metri di profondità. Settanta. Ottanta. Burton regolava l'ossigeno all'interno. Poco ossigeno e sarebbero soffocati. Troppo, e avrebbero perso lucidità
    . Quel giorno arrivarono a 250 metri di profondità, e in seguito a 700 metri, addirittura in diretta radiofonica: un avvenimento mondiale. Furono i primi uomini a sopravvivere a una pressione di oltre 3000 tonnellate. I primi, soprattutto, a portare testimonianza delle stupefacenti creature luminose che vivono nella notte perenne degli abissi oceanici. Un mondo in cui da due miliardi di anni non esiste né giorno né notte, né estate né inverno, e dove il tempo non ha significato.



    Il batiscafo Trieste, raggiunse la fossa delle Marianne il 23 Gennaio 1960 (sopra, un immagine dell’epoca). Sicuramente questo mondo oscuro dove la luce del sole non penetra, riserva segreti immensi, celando creature dalle forme e dalla biologia ancora sconosciuta. L’uomo conosce veramente poco del mondo abissale. Alcuni cetacei solitamente si avventurano alla ricerca del cibo alla profondità di 1000, 1200 mt. Altri animali marini si avventurano a tali profondità alla ricerca del cibo, ciclicamente si ha un’escursione in superficie ed una in profondità, con grandi migrazioni in determinati periodi dell’anno come nel caso dei cetacei e alcuni squali, da qui la necessità di preservare integro il mare ed il suo delicato ecosistema. La base della vita negli oceani e del suo sostentamento inizia dal plancton, e con il plancton si attiva la catena alimentare del mare...Man mano che scendiamo vediamo una vita splendente, miriadi di pesci ci accompagnano, e incuriositi circondano il sommergibile, scendiamo ancora e superiamo la soglia dei 200 mt dove il sole non riesce più a penetrare e con lui, la vita come di incanto si blocca "apparentemente". Attorno ai 400 mt iniziamo ad incontrare creature che sembrano sospese nel nulla e si trovano nel buio più completo. Arrivati ad una profondità di 1.500 mt individuiamo un Picnogonide, una specie di ragno marino (ma solo in apparenza perchè è parente dei granchi e dei gamberi), che si nutre delle particelle che precipitano dagli strati superficiali del mare. Queste particelle organiche sono fondamentali per il mantenimento delle specie animali che abitano a queste profondità ed è l’unico modo di potersi nutrire.
    <ehi ragazzi dal mio oblò…..vedo un polpo abissale chiamato Dumbo, possiede infatti due “orecchie” lunghe sui fianchi della testa che utilizza per spostarsi>. Privo dei caratteristici tentacoli allungati e di ventose dei comuni polpi, si sposta con estrema cautela fluttuando lentamente nel buio per cercare di risparmiare energia. Tutti gli animali abissali devono risparmiare energie nel muoversi, alcune volte passano giorni, prima che possano nutrirsi e quindi recuperare le forze necessarie a compiere movimenti alla ricerca di cibo. Le specie bentoniche a queste profondità possono aspettare diversi giorni prima che passi vicino una preda e poterla catturare. Con le potenti torce di Atlantide continuiamo ad illuminare l’esterno, e scorgiamo un pesce posto in posizione verticale, si tratta di un Serrigomeride, un pesce lungo e stretto che rimane fermo in questa posizione aspettando che gli passi vicino una preda. Scendendo oltre, incontriamo un calamaro vampiro (Vampiro Tenutis infernalis) che sfrutta la bioluminescenza nei suoi tentacoli (una fonte luminosa di colore azzurro) per attirare e disorientare le sue potenziali prede. Molti esseri abissali hanno la capacità di usare sorgenti luminose, forse anche per poter comunicare nel buio più completo, ma certamente per attirare le prede e poterle catturare quasi ipnotizzandole con il minimo sforzo. Continuiamo a vedere le particelle organiche precipitare, sembra neve che cade dal cielo, queste impiegano diversi giorni prima che riescano a posarsi sulle profondità abissali. Finalmente Atlantide tocca il fondale, il nostro profondimetro segna 4.000 mt, cosa accadrebbe se il vetro di un oblò dovesse rompersi? Non oso pensarci, a questa profondità non abbiamo nemmeno il tempo di fiatare che ci ritroveremmo morti schiacciati dall’enorme pressione, ma non pensiamoci e continuiamo ad ammirare ciò che ci circonda.

    Riusciamo a scorgere numerosi gamberetti adagiati sul fondo fangoso, sono gli ospiti più comuni a queste profondità, ma vediamo anche una rana pescatrice, si trova semisepolta ricoperta dai sedimenti e cerca di catturare delle prede, ma non sempre ci riesce e può rimanere per diversi giorni ad aspettare. Manovrando il sommergibile ci stabilizziamo sul fondo e vediamo diversi animali saprofagi, si nutrono di esseri in decomposizione, e con speciali sensori riescono ad individuare la preda, ricordiamoci che siamo alla presenza del buio più assoluto, e tra questi animali troviamo grandi granseole (granchi) e anguille particolari che si nutrono di carcasse di cetacei, insieme a grandi crostacei riescono a divorare i resti di un capodoglio in alcune settimane.
    Parliamo ora dei vulcani sottomarini. Spostiamoci con il nostro sommergibile verso la dorsale medio Atlantica, una catena montuosa abissale, la più lunga della terra, che corre da Polo a Polo. Sono in attività in questo scenario delle bocche idrotermali, dove sostanze tossiche (composti dello zolfo) e minerali fuoriescono precipitando immediatamente a contatto con l'acqua fredda circostante. formando fumarole di colore nero (Black Smokers) oppure bianco (White Smokers) che si innalzano, un inferno per qualsiasi essere marino dove la temperatura è altissima e può superare i 150 °C, ma non per tutti è così e vediamo perché.
    I minerali che fuoriescono dalle bocche idrotermali a contatto con l’acqua fredda circostante, precipitano e accumulandosi danno origine ai camini che si sviluppano in altezza e larghezza. Piuttosto sono delle formazioni dall' aspetto cilindrica irregolare. Il minerale che fuoriesce in abbondanza è l’idrogeno solforato, tutto questo insieme con altri minerali generano un ecosistema indipendente dalla luce del sole dove svariate creature riescono a vivere e riprodursi.
    I batteri ipertermofili si arricchiscono di queste sostanze e le utilizzano per vivere e svilupparsi, costruendo così una rete alimentare che nutrirà gli organismi che abitano attorno ai camini. Com’è possibile che animali possano vivere in un ambiente così estremo? Si tratta di un’oasi nel deserto abissale, nonostante la situazione sia estrema sia per le condizioni di vita che per l’enorme pressione dell’acqua (la scala della pressione è di 1 atm ogni dieci metri di profondità).
    Alcuni di questi animali sono rappresentati da vermi, molluschi e crostacei. Ad esempio i granchi si nutrono dei batteri che per moltiplicarsi sfruttano le sostanze minerali uscenti dalle bocche idrotermali.
    Accade a volte che la bocca di una fumarola cessi la sua attività spostandosi in altre zone, rompendo la crosta sottomarina, origina nuova vita e nuove fumarole. Lungo le pareti dei vulcani abissali si trovano anche delle forme di corallo e spugne dai colori vivaci. Le colonie di corallo Iridigorgia che si allungano in direzione delle correnti marine, intrappolano le sostanze organiche che fluttuano nell’abisso, trasportate dalle gelide acque ad una profondità di circa 1.500 mt. Risalendo pian piano con il nostro sommergibile arriviamo ad una quota di 220 mt, la flebile luce del sole incomincia a penetrare e scorgiamo dall’oblò un Nautilus, un cefalopode munito di conchiglia e parente dei polpi.
    Il Nautilus chiamato anche così, risalirà verso la superficie al calare della notte, e con lui gli altri predatori abissali. Stranamente il Nautilus dovrà fare attenzione al polpo pur essendo un parente, infatti cercherà di predarlo quando si avventurerà fra i coralli alla ricerca del cibo. La tecnica del Nautilus per la caccia è quella di cercare le prede “ sentendole” con i barbigli che escono dalla fessura della conchiglia per monitorare il fondo e con il getto d’acqua ( un meccanismo d’azione/reazione) che utilizza anche per gli spostamenti, soffia sulla ghiaia per rimuoverla e dissotterrare le prede di cui si nutrirà. Le ore passano e alle prime luci dell’alba il Nautilo come tutti i predatori abissali ed il plancton torneranno negli abissi oceanici, per ripetere poi il ciclo inverso al calare del sole.

    ( N. Castronuovo)




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    L'Oceano Indiano



    L’Oceano Indiano occupa un’area che può essere visualizzata come una U maiuscola capovolta, circondata completamente dalle coste dell’Africa Orientale, della Penisola Arabica con il Mar Rosso, il Golfo Persico e il Golfo di Oman, dell’Iran, del Pakistan, dell’India e giù fino all’Australia. La plaga inferiore appare invece completamente aperta rendendo possibili la libera comunicazione con la parte meridionale degli oceani Atlantico e Pacifico che a determinati fini ed effetti sembrano chiudere l’area a modo loro.
    Un’area marina circoscritta da terre che presentano formazioni geologiche e ambientali molto differenziate e popolate da etnie molto diverse le une dalle altre ma tutte legate al mare che costituisce un legante col quale le popolazioni rivierasche hanno instaurato significativi contatti grazie all’apporto di reciproci e ben evidenti interessi. Una collana di civiltà egizia, sumera, babilonese, iraniana, araba, indiana, con riflessi perfino greco-romani grazie al mare che ha giocato un ruolo determinante con un regime di venti, i monsoni in alto e gli alisei in basso, ben regolato dal giro delle stagioni, tale da favorire le attività nautiche dei trasporti,dei trasferimenti, delle attività collegate con l’adozione e perfezionamento di navicella e dell’attrezzatura velica che si possono definire proprie dell’Oceano Indiano.

    Va rilevata infatti, tra tante e disparate popolazioni rivierasche, una circostanza non comune cioè l’adozione generalizzata del “dhow”.....Il termine dhow compare per la prima volta alla fine del 1700 in certe cronache riguardanti il commercio degli schiavi, che troviamo scritto anche dau, dhau, daw e boutre (francese), impiegato in tutti i trasporti leciti ed illeciti grazie alla manovrabilità, al poco pescaggio e al rendimento della vela, rigorosamente latina ma con l’angolo prodiero tagliato in verticale.
    I primi a comparire sulle acque dell’Oceano Indiano sono stati probabilmente gli egizi e i sumeri. Sia gli uni che gli altri hanno lasciato molte tracce delle attività nautiche sulle loro acque interne (Nilo, Tigri ed Eufrate) che venivano proiettate anche sul mare. Basti citare la spedizione della regina Hatshepsuth al paese di Or e il “Periplus Maris Aerithrei” una specie di prontuario riguardante il litorale orientale africano e i traffici delle spezie . Seguivano gli arabi che prendevano cognizione dei monsoni e si organizzavano spingendosi fino alle coste dell’India Occidentale. Ed araba è stata la spedizione del X° sec. a.C. fino al misterioso e sconosciuto paese di Ophir. Comparivano i greci ed anche i romani quando Roma fattasi potente e ricca si apriva alla moda delle lusorie e preziose mercanzie del misterioso Oriente. Non direttamente però ma avvalendosi e finanziando imprenditori quale il mercante greco Ippalo al quale si deve l’apertura di una via regolare di traffici tra il Mar Rosso e l’India attraverso il golfo di Oman.

    Il declino economico e culturale del Medioevo provocava un regresso completo e relegava la memoria di un passato realmente vissuto nel nebuloso regno delle leggende che venivano alimentate da indiani, cinesi e arabi interessati a proprii tornaconti. L’Europa risorgeva con le imprese di Vasco da Gama e dei Portoghesi che conquistavano in regime di monopolio gli scambi tra Occidente e Oriente risollevando i commerci di merci di valore specialmente spezie (pepe, noce moscata, cannella, chiodi di garofano, papavero), stoffe (seta e broccati), oreficeria (oro, giada, avorio, perle, corallo), porcellane, tè, profumi (incenso, legno di sandalo), armi e perfino schiavi e polvere da sparo, quanto era cioè di richiamo sui mercati che stavano sviluppandosi aprendo appetibili fonti di guadagno. Accanto ai Portoghesi comparivano gli Olandesi e gli Inglesi con la costituzione di “compagnie orientali” tanto potenti da combattere e combattersi con l’appoggio dei rispettivi governi talora anche con l’uso delle armi. Le “compagnie” gestivano direttamente le navi grandi, le “indiamen”, che tali erano considerate nella loro epoca da impiegare nei collegamenti con le centrali europee, e lasciavano alle iniziative locali i traffici di cabotaggio e i trasporti complementari di carico e scarico, ragione questa che ha consentito il mantenimento del grande numero di navicelle e di imbarcazioni attive localmente nel corso dei secoli.



    Un giro costiero a volo di uccello partendo dal Madagascar fino all’Australia Settentrionale seguendo l’ipotizzata U rovesciata porta ad individuare 18 paesi e un grande numero di approdi, tutti interessati al via vai delle tante dhows che, se pur non si possono considerare di un tipo unico, presentano tanti punti di corrispondenza tipologica da suggerire l’esistenza di una famiglia sola. In linea generale si possono dividere in due gruppi, uno con la prua e la poppa ugualmente rastremate, l’altro con la poppa a specchio. Le varianti in fatto di grandezza sono numerose, con uno o due alberi, anche a tre, talvolta con vele di gabbia. Ne esistono ancora. Le più grandi sono provviste di coperta continua e di poppa a castello, le più piccole con coperta parziale a prua e a poppa o addirittura senza coperta. Il sartiame è ridotto al minimo e presenta la drizza della vela composta da due blocchi di tre o quattro bozzelli che funzionano anche da straglio posteriore dell’albero, che il più delle volte appare inclinato in avanti. In fatto di grandezza (tonnellaggio) va ricordata la dhow “Muhammedi”, di 550 tonnellate, costruita nel 1917 in India per conto di un armatore del Kuwait.

    Le coste africane sentono le influenze delle culture locali innestandosi con la cultura del mare esibita dalle “dhows” che arrivano dall’India, che ha alimento ad una notevole corrente migratoria con stanziamenti numerosi stanziamenti specialmente nel Sud Africa. Vedansi la “mtepe” e la “kotia” a due alberi del Madascar.

    Dall’altra parte dell’Oceano, ad oriente, lungo le coste delle Indie Olandesi (Indonesia), hanno preso piede tipi di velieri notevolmente diversificati, propri dei mari di Giava, della Sonda, di Banda, che più ad oriente cedono il posto allo stuolo delle imbarcazioni indocinesi e infine al dominio delle giunche cinesi, indice di una ricchezza di tipi e versatilità di impieghi unici nella storia della navigazione fino a tempi non tanto lontani. Costituiscono una documentazione molto interessante i bassorilievi del tempio di Borobudur (Giava), databile tra il 700 e l’800 d.C., che mostrano cinque navigli di costruzione assai originale e di struttura molto complessa impiegati evidentemente in viaggi non solo di cabotaggio, indice dell’esistenza di assestate attività nautiche già in quell’epoca. I bassorilievi sono realizzati con cura ma di difficile interpretazione, mostrano chiaramente un doppio grande bilanciere fuoribordo, due alberi a bipede o tripode, vele rettangolari con pennone superiore e inferiore, una timoneria a due remi poppieri esterni, che troviamo mantenuta anche nelle costruzioni posteriori, fino a quelle che potremmo definire moderne mentre le vele rettangolari sono state sostituite dalle rande di influsso europeo.

    In conclusione, l’attività delle “dhows” non conosce nè soste nè rifiuti nel trasporto di qual si voglia genere di mercanzia. Nel Golfo Persico portano datteri da Bassora all’ India, nella penisola araba e in Africa arriva anche il sale caricato ad Aden. Qui il movimento dei passeggeri non è assente assieme a carichi di pelli e di grano che vengono da Massaua. Il porto commerciale più importante è Mombasa, vi arrivano le “dhows” dell’Iran a caricare tra l’altro pali di mangrovie che sono molto impiegati nelle costruzioni locali. Le “dhows” dell’Arabia Meridionale recano tè, caffè, grano, granoturco, arachidi, grassi e olii. Molto sviluppata la pesca. I profitti non sono grandi ma soccorre il contrabbando che è un’attività atavica specialmente per quanto riguarda l’oro e l’avorio, che interessa tutti, i capitani, gli uomini dell’equipaggio e i rivieraschi.

    Ma oramai tutto sta cambiando anche nell’antico regno delle “dhows”, che qualche scrittore ha inteso qualificare romantiche, suggestionato forse dall’immutabile regolarità estiva e invernale dei monsoni in andata e ritorno a grandi vele spiegate, senza tener conto di tutto il resto, di quanto tocca a chi va per mare.
    (Aldo Cherini)




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    Mare Adriatico



    Il mare Adriatico (in albanese Deti Adriatik; in bosniaco e croato Jadransko more; in montenegrino Jadransko more o Јадранско море; in sloveno Jadransko morje) è l'articolazione del mar Mediterraneo situata tra la penisola italiana e la penisola balcanica. Bagna sei Paesi: Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Montenegro e Albania.

    Nel periodo pre-classico l'Adriatico era considerato un'articolazione dello Ionio; venne considerato un mare a sé stante a partire dal periodo repubblicano romano. Nel Medioevo i Veneziani chiamavano l'intero Adriatico con il nome di golfo di Venezia e, dal momento che la Serenissima era una delle potenze maggiori d'Europa, tale denominazione si diffuse molto, senza poter però mai soppiantare il nome originale, al quale rimasero fedeli i pochi porti adriatici che Venezia non riuscì a sottomettere. Nei codici marittimi veneziani era addirittura chiamato "il nostro canal", quasi fosse la continuazione del Canal Grande.

    È lungo circa 800 km e largo mediamente 150 km, ricoprendo una superficie di 132.000 km². La profondità non supera i 300 m nella parte settentrionale e raggiunge i 1222 m più a sud, lungo la direttrice da Bari alle bocche di Cattaro. La salinità media è del 3,8%, con forti differenze tra il nord, meno salino, e il sud. I principali corsi d'acqua che sfociano nel mar Adriatico sono il Po, l'Adige, l'Isonzo, il Tagliamento, il Brenta, il Piave, il Reno, la Narenta, il Metauro, l'Aterno-Pescara. In generale, i fiumi del nord, alimentati dai ghiacciai alpini, hanno un regime più regolare nel corso dell'anno, mentre quelli centro-meridionali presentano un carattere torrentizio. L'ampiezza di marea è abbastanza contenuta (circa 30 cm al sud e non oltre i 90 nell'estremità settentrionali): ciò ha permesso sin dall'antichità la fondazione, lungo la bassa costa settentrionale, di centri abitati come Aquileia, Chioggia, Grado, Venezia, famosa in tutto il mondo per il fenomeno dell'acqua alta che periodicamente ne sommerge di qualche decina di centimetri molte aree, e Ravenna. Porti principali in Italia sono Ravenna, Trieste, Venezia, Ancona, Bari; in Slovenia il solo porto di Capodistria; in Croazia Pola, Fiume, Zara, Sebenico, Spalato e Ragusa; la Bosnia-Erzegovina si serve del porto croato di Porto Tolero (in croato: Ploče); in Montenegro Antivari; in Albania Durazzo e Valona.



    Etimologia

    Il nome Adriatico, secondo alcuni storici, deriva da quello della città di Adria, in provincia di Rovigo, in Veneto. In effetti per i Greci tale città, che i siracusani trasformarono in una loro colonia, era considerata l'estremità settentrionale dell'Adriatico, il cui nome verrebbe così a significare "mare che termina ad Adria". Secondo altri storici, invece, Adriatico deriva da Atri (anticamente Hadria e poi Hatria), trimillenaria città d'arte abruzzese, dato che per i Romani era punto di arrivo di uno dei principali itinerari tra Roma e l'Adriatico. Altra ipotesi vuole che il nome derivi da Jader, antico nome della città di Zara. Secondo la prima ipotesi, i greci diedero il nome di Adrias Kolpos inizialmente alla parte settentrionale del mare, poi gradualmente il nome venne esteso per tutta la sua lunghezza, fino alle isole Ionie. Quando i Romani conquistarono il Nord Italia, alla fine del III secolo a.C., il nome si era già consolidato.



    Miti e leggende

    Le coste del mare Adriatico sono teatro di racconti di storie passate di grande fascino, anche se per alcune di queste non esistono testimonianze documentate e certe. Una delle leggende più conosciute è quella legata agli Argonauti. Ambientata a Pola (Pula) in Croazia, narra della storia della nave dei sudditi del re di Colchide che, partiti alla ricerca del Vello d'oro, si sarebbero fermati sulle coste dell'Adriatico[1] per paura di dover comunicare al sovrano il fallimento della loro missione e la morte di suo figlio Giasone.

    Sempre dall'altra parte dell'Adriatico, lungo le coste della Penisola Istriana, si racconta la storia dell'arcipelago delle isole Brioni, dove sono stati ritrovati resti dei dinosauri che hanno abitato queste terre 150 milioni di anni fa. Secondo la leggenda[senza fonte], questo arcipelago nacque per mano degli angeli: le isole sarebbero infatti alcuni pezzi di Paradiso che il Diavolo aveva sparpagliato.

    Secondo lo studioso Graves, anche la storia di Circe potrebbe essere ricondotta al mare Adriatico, collocando la casa della maga lungo la foce del Po o in Istria.

    Lungo le coste dell'Adriatico avrebbero poi navigato anche i Pelasgi. Naturalmente non ci sono notizie certe al riguardo, ma ad esempio Silio Italico racconta la risalita di questa popolazione di navigatori lungo la costa e il loro insediamento sul colle dell'Annunziata (conosciuto anche con il nome di colle Pelasgico) ad Ascoli Piceno, nelle Marche. Un po' più a nord, nel ravennate, anche Strabone identifica delle colonie pelasgiche, accostandole a quelle di Caere (Cerveteri) e di Pyrgi lungo il Tirreno.



    Confine con il mar Ionio

    Il Mar Adriatico è collegato al mar Ionio tramite il Canale d'Otranto, ossia lo stretto di mare fra punta Palascia, nel Salento, e capo Linguetta in Albania (linea A in figura). Questa linea di demarcazione viene spostata più a sud da alcune convenzioni nautiche, che per esigenze di semplicità seguono la linea dei paralleli. In particolare:
    ai fini meteorologici (Meteomar) e delle Informazioni nautiche degli avvisi ai naviganti, il limite marittimo tra Adriatico meridionale e Ionio settentrionale è dato dal 40º parallelo nord (linea B): sulla costa italiana corrisponde a punta Mucurune nei pressi di Castro. 40°00′00″N 18°25′48″E
    per i restanti Avvisi ai naviganti (portolani, fari e fanali, Navarea III, ecc.) il limite convenzionale fra costa ionica e costa adriatica è invece posto a Santa Maria di Leuca (punta Mèliso, lungo il meridiano 18°22' E). Secondo quest'ultima convenzione, il limite idrografico tra mar Adriatico a nord e mar Ionio a sud seguirebbe il parallelo 39°47' N dal largo di punta Mèliso (39°47′00″N 18°22′00″E) alle coste settentrionali dell'isola di Corfù (linea C in figura).

    L'Organizzazione idrografica internazionale fa sostanzialmente propria quest'ultima definizione, ponendo il limite meridionale dell'Adriatico lungo la linea immaginaria che va da punta Mèliso a capo Cefalo (39°45′7.31″N 19°37′45.5″E) sull'isola di Corfù[2]. In questo modo, la costa settentrionale dell'isola di Corfù e le isole Diapontie sarebbero quindi bagnate dal mar Adriatico.



    Golfi, insenature e promontori

    Il mar Adriatico è articolato in numerosi seni, soprattutto nel suo settore orientale e settentrionale. Le principali articolazioni nel settore tra Punta Palascia e Pola sono:

    Golfo di Venezia
    Golfo di Trieste
    Golfo di Panzano (davanti Monfalcone e Duino)
    Baia o vallone di Muggia (tra Muggia e Trieste)
    Vallone di Capodistria
    Vallone di Pirano
    Laguna di Grado
    Laguna di Marano
    Laguna di Caorle
    Laguna Veneta (Venezia, Chioggia)
    Delta del Po
    promontorio del Monte San Bartolo
    Golfo di Ancona
    promontorio del Conero
    Golfo di Vasto
    promontorio del Gargano
    Golfo di Manfredonia

    Tra Pola e Capo Linguetta la costa si presenta articolatissima, tra canali, golfi, promontori; segnaliamo i principali:

    Capo Promontore
    Golfo del Quarnaro
    Golfo di Fiume
    Quarnerolo
    Canale della Morlacca
    Canale di Zara
    Capo San Salvatore
    Baia dei Castelli (tra Spalato e Traù)
    Canale della Brazza
    Canale di Lesina
    Canale di Curzola
    Canale della Narenta o di Sabbioncello
    Promontorio di Sabbioncello
    Canale di Meleda
    Canale di Lagosta
    Capo Ostro, nel promontorio di Prevlaka
    Bocche di Cattaro
    Golfo del Drin
    Baia di Valona

    La costa occidentale si presenta bassa e sabbiosa in quasi tutta la sua lunghezza, eccetto il promontorio del Gargano, il promontorio del Conero e il promontorio del San Bartolo, mentre quella orientale è rocciosa, ricca di insenature, isole e penisole, come l'Istria e la Dalmazia. Le principali isole del mare Adriatico (tutte in territorio croato) sono:

    Veglia, 409 km²
    Cherso, 405,7 km²
    Brazza, 396 km²
    Lesina, 299,7 km²
    Pago, 285 km²
    Curzola, 279 km²
    Isola Lunga, 124 km²
    Meleda, 100,4 km²
    Arbe, 93,6 km²
    Lissa, 90,3 km²
    Lussino, 74,4 km²
    Pasmano, 63 km²
    Solta, 51,9 km²
    Ugliano, 50,2 km²
    Incoronata, 50 km²
    Lagosta, 46 km².

    In territorio italiano sono da ricordare le isole Tremiti.



    Porti

    Si affacciano sul mar Adriatico numerose città con rilevanti attività portuali ed economie collegate allo sfruttamento del mare.

    In senso orario,
    in Italia oltre ai porti principali di Trieste, Venezia, Ravenna, Ancona. Bari, Brindisi, si segnalano anche i seguenti.

    In Puglia Otranto, Monopoli, Polignano a Mare, Mola di Bari, Giovinazzo, Molfetta, Bisceglie, Trani, Barletta, Manfredonia.

    In Molise: Termoli.

    In Abruzzo: Vasto, Ortona, Pescara, Giulianova.

    Nelle Marche: San Benedetto del Tronto, Civitanova Marche, Senigallia, Fano, Pesaro.

    In Emilia-Romagna: Porto Garibaldi, Marina di Ravenna, Cattolica, Rimini,

    In Veneto: Chioggia, Jesolo, Caorle.

    In Friuli - Venezia Giulia: Lignano Sabbiadoro, Grado, Monfalcone, Sistiana, Muggia.
    in Slovenia:

    Capodistria, Isola d'Istria, Pirano;

    in Croazia:

    Cittanova d'Istria, Parenzo, Rovigno, Pola, Abbazia, Fiume, Porto Re, Nona, Zara, Sebenico, Spalato, Macarsca, Ragusa;

    in Bosnia Erzegovina:

    Neum

    in Montenegro:

    Cattaro, Antivari, Dulcigno;

    in Albania:

    Durazzo, Valona, San Giovanni di Medua, Saranda



    Relitti subacquei

    Alto Adriatico. Relitti Militari e Civili[1]:
    Cacciatorpediniere "Quintino Sella"
    Incrociatore "Amalfi"
    Torpediniera "88S"
    Torpediniera "5PN"
    Sommergibile "Medusa"
    Relitto "Sassi"
    Mercantile "Vila"
    Aereo "P-47 Thunderbolth"
    Mercantile "VRMAC"
    Matoponte "NIVIA"
    Mercantile "EVDOKIA II"
    Peschereccio "Ferreo"

    Relitti antichi della laguna di Venezia[2]:
    Relitto del "Mercure"
    Rrelitti di San Marco in Boccalama
    Relitto dei "Cannoni"
    Relitto del "Vetro"
    Brigantino
    Relitto delle "Alghe"
    Relitto delle "Ceppe"
    Brigantino Hellmuth
    Relitto dei mattoni

    Relitti lungo la costa di Ravenna e Rimini:
    Piattaforma "Paguro"
    "Cargo Anni"
    Relitto "I Tralicci"
    Relitto "Thistlegorm dell'Adriatico"


     
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    Il MAR dei SARGASSI



    Il nome di «sargasso» deriva dal portoghese sargaço, tipo di uva selvatica...e deriva dall'alga che qui si trova in gran quantità: il sargassum..Tali alghe si aggregano l'una con l'altra e, galleggiando, formano una sorta di 'prato' .
    Situato in mezzo all' Atlantico, tra la Florida e le Azzorre, nel corso dei secoli il Mar dei Sargassi è stato fonte di leggenda...a causa della sua profondità. I primi che ne scrissero, lo definirono un pauroso e impenetrabile groviglio di alghe: guai per una nave ad avventurarvisi, sarebbe rimasta imprigionata per l'eternità in un mostruoso cimitero pieno di vascelli, di animali e di fantasmi....Il primo osservatore moderno, Cristoforo Colombo, rilevò nel suo viaggio la preoccupante bonaccia che lasciava ferme le navi in mezzo all'acqua verdeggiante di alghe. Nel 1897 un giornale inglese ammoniva i navigatori: non spingetevi in quella zona, poichè non sareste in grado di aprirvi la rotta nella foresta di alghe.
    In effetti, secondo gli studiosi, vi sono qualcosa come sette milioni di tonnellate di alghe galleggianti in mezzo all' Atlantico, sparse su una superficie di circa cinque milioni di chilometri quadrati, e una buona parte di queste sarebbe concentrata nel Mar dei Sargassi. qui il mare presenta una zona di acqua calda in cui le alghe rimangono imprigionate dal movimento circolare delle correnti atlantiche.... gli ammassi di alghe galleggianti in questo mare forniscono l'habitat ideale a una comunità eterogenea di granchi, gamberi, balani, nudi branchi, pesci di tutte le specie.


    L’area ha la fama di far sparire gli equipaggi dalle barche a vela, lasciando solo delle imbarcazioni vuote che vagano alla deriva. Tra le vittime c’è stata Rosalie, un veliero che ha attraversato l’area nel 1840, e che in seguito è stato trovato alla deriva con a bordo le scialuppe di salvataggio e nessuna persona dell’equipaggio. Dei dipinti del 19esimo secolo mostrano delle imbarcazioni divorate da enormi piante carnivore, e di quest’area si parla in diversi libri come quelli di Jules Verne. Ma il mistero dei Sargassi non è più un mistero. Circondato dalle più forti correnti d’acqua superficiali al mondo, il «mare nel mare», come è conosciuto, è effettivamente isolato dal resto dell’Atlantico. L’isolamento fa sì che l’acqua dei Sargassi sia sorprendentemente tranquilla, bloccando così le imbarcazioni a vela e creando i presupposti per la nascita della leggenda.

    Del mistero del Mar dei Sargassi fa parte anche il mistero delle anguille. C'è un'ipotesi ormai comunemente accettata, ed è che tutte le anguille nascano nei Sargassi. In discussione resta però l'interrogativo: come mai, data la nota presenza di anguille in Italia, non si sono mai osservati nello stretto di Gibilterra passaggi di questi animali? Dicono alcuni: le anguille dell'Europa e della parte occidentale dell'America del Nord nascono da uova deposte nel mare dei Sargassi; le larve impiegano tre anni per compiere il lungo viaggio verso i fiumi dell'Europa; poi, quando sono adulte tornano al mare dei Sargassi, depongono le uova e muoiono. Dicono altri che leanguille, si affidano alla corrente profonda dell'Atlantico e vanno al Mar dei Sargassi; lì s'incontrano con le colleghe americane....in realtà nessuno ha mai visto anguille migrare attraverso lo stretto di Gibilterra, nessuno ha mai pescato anguille nel Mar dei Sargassi: lì hanno trovato solo le anguilline più giovani... rimane il mistero delle loro migrazioni e dei loro amori....



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  10. gheagabry
     
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    Per sempre me ne andrò per questi lidi,
    Tra la sabbia e la schiuma del mare.
    L'alta marea cancellerà le mie impronte,
    E il vento disperderà la schiuma.
    Ma il mare e la spiaggia dureranno
    In eterno.
    KAHLIL GIBRAN


    IL MAR NERO


    In origine, ovvero in età preistorica, era un grande lago di acqua dolce quello che ora si chiama Mar Nero. Nel periodo delle grandi glaciazioni il lago Nero dai riflessi di quelle acque, spesso limacciose, era circondato da pianure (in gran parte fertili) e altipiani. Di questo lago si ha notizia in testi antichissimi dei Sumeri, una popolazione remota, di cui non si conoscono neppure oggi le origini. Attraverso i frammenti di documenti (rari) conservati fino ai nostri giorni, si è scoperto che questo lago Nero era alimentato da un sistema fluviale della odierna Russia meridionale e scaricava le proprie acque attraverso un emissario che versava, percorrendo il Bosforo, nel Mar Egeo. La trasformazione di questo bacino di acqua dolce in un vero e proprio mare avvenne circa dodicimila anni fa. Con il progressivo aumento della temperatura dovuto al periodo post-glaciale, con lo scioglimento dei grandi ghiacciai, che nei millenni precedenti avevano formato le calotte polari e che si estendevano su gran parte della terra, tutto il livello degli oceani iniziò a salire sensibilmente. Il mare prese a delineare il nuovo profilo delle terre emerse. Anche il lago Nero risentì di questo fenomeno e le sue acque cominciarono a evaporare proprio per l'innalzamento del clima: la superficie del lago si ridusse notevolmente. Ad ogni modo le zone adiacenti continuarono a conservarsi fertili e produttive grazie ai corsi d'acqua numerosi. Le civiltà che si affacciavano sulle rive del lago Nero trovavano il loro habitat ideale. L'ambiente sembrava perfetto oltreché per gli uomini anche per gli animali in fuga da territori avviati ormai all'inaridimento o al deserto. Attorno all'ottavo millennio a.C. però le popolazioni di quelle zone si accorsero che il lago stentava a scaricare le proprie acque attraverso il Bosforo per la pressione del mar Egeo il cui livello tendeva ad alzarsi vertiginosamente. Finché a un certo punto l'acqua salata ebbe la meglio e riuscì a passare nel lago respingendo quella dolce.

    Nell’antichità il Mar Nero fu detto dai Greci πόντος ἄξεινος «mare inospitale» per la sua inclemenza; ma dopo la fondazione, dall’8°-7° sec. a.C., di colonie greche sulle coste, πόντος εὔξεινος «mare ospitale» (lat. Pontus Euxinus). Sulle rive settentrionali, nella seconda metà del 5° sec., si costituì il potente regno degli Spartocidi, mentre sulle rive meridionali, in seguito alla conquista dell’Asia da parte di Alessandro Magno, le città greche furono coinvolte nelle lotte tra i Diadochi sino a che vi si affermarono i regni di Bitinia e del Ponto, l’uno e l’altro caduti sotto Roma nel 1° sec. a.C. Tuttavia il termine ἄξεινος, in principio, era una resa a orecchio della parola persiana "akshaina", che significa appunto "nero", interpretata in seguito dai greci come una parola nella loro lingua. Già nell'antica Grecia, tuttavia, esistono attestazioni dell'uso di "mare nero" per "mare del nord" e "mare rosso" per "mare del sud", e non è impossibile che questa accezione, poi trasmessa alla lingua turca, risalga proprio al colore dell'acqua del mar nero e delle sue alghe. Mentre nella tradizione onomastica italiana il Mar Nero veniva denominato, in epoca medievale e rinascimentale, "Mare Maggiore", venne chiamato Svartahaf ("mar nero", appunto) già nell'opera cosmografica Heimskringla dell'islandese Snorri Sturluson nel XIII secolo, il che depone evidentemente a favore di un uso anche medievale di questa denominazione.
    La denominazione moderna, tuttavia, è arrivata in Europa tramite la lingua turca: in turco il Mar Nero si chiama 'Kara Deniz' (mare nero), mentre il mar Mediterraneo si chiama 'Ak Deniz' (mare bianco). I colori "nero" e "bianco" avevano rispettivamente, nell'antica tradizione turca, il significato di "settentrionale" e "meridionale", perciò i nomi 'Kara Deniz' e 'Ak Deniz' significano semplicemente "mare del nord" e "mare del sud" - visti in relazione alla penisola anatolica. Tramite la sua traduzione in francese (mer noire), si è diffuso in tutta Europa nel corso del XVII e del XVIII secolo e si è imposto, nelle rispettive traduzioni, in quasi tutte le lingue moderne.

    ....lo stretto del BOSFORO......


    Il Bosforo (in turco Boğaziçi, İstanbul Boğazı o Boğaz, in greco Βόσπορος) è lo stretto che unisce il Mar Nero al Mare di Marmara e segna, assieme allo stretto dei Dardanelli, il confine meridionale tra il continente europeo e il continente asiatico. Ha una lunghezza di 30 km per una larghezza che va dai 550 ai 3000 metri. Sulla sponda europea, attorno al porto naturale detto "Corno d'Oro" si è sviluppata la città di Istanbul, l'antica Costantinopoli,
    Il nome significa "passaggio" o "guado" "della giovenca", dal greco Βοῦς ("bous", vacca) e πόρος, ("poros", passaggio) e allude al mito secondo il quale Io, fanciulla amata da Zeus, è da questi dapprima trasformata in giovenca poi inseguita da un tafano inviato dalla gelosa Era. Infastidita fino alla pazzia, Io percorre l'intera Grecia fino ad attraversare lo stretto che la separa dall'Asia.
    Le acque del Bosforo, il cui controllo ha da sempre avuto una notevole importanza strategica, sono paradossalmente classificate come dominio marittimo internazionale e sono ad accesso libero. Il traffico commerciale, che comprende le petroliere provenienti dal Mar Nero, è tra i più intensi al mondo. Lo stretto è percorso da violente correnti che rendono la navigazione in certi punti particolarmente pericolosa.

    ....lo stretto dei DARDANELLI.....


    Poiché le sue acque superficiali scorrono sempre nello stesso senso, verso l’Egeo, Omero lo considerava un fiume: in effetti, non solo è lungo ben settanta chilometri, ma le sue rive contrapposte, quella d’Asia e quella d’Europa, sono tanto vicine da essere sempre visibili l’una dall’altra. Ovviamente, come ogni altro stretto, anche questo ha un punto più angusto: là dove i due continenti quasi si sfiorano.....“la distanza è di circa sette stadi" precisa Erodoto, l’antico storico greco delle guerre persiane. Gli eventi che presero le mosse lungo queste acque furono tanto rilevanti da aver dato origine alla prima guerra - quella di Troia - alla prima opera letteraria - l’Iliade - e alla prima analisi storica dell’Occidente: quella erodotea, appunto, che si intitola semplicemente ‘Le Storie’. Ma non è stato che l’inizio, perché lungo queste sponde si sono fatti e disfatti imperi, si sono alternati conflitti e accordi, sono passati re, condottieri e futuri capi di Stato. Forse ancor più del Bosforo, sono stati i Dardanelli il vero snodo degli alterni rapporti euroasiatici.

    ....un'ipotesi sul diluvio universale....



    Tutto si deve alle scoperte di Walter Pitman, geofisico del Lamont-Doherty Earth Observatory, a Pasadena. "In quel periodo io e Bill Ryan stavamo collaborando con un gruppo di ricercatori: John Dewey, Maria Cita, Ken Shu, e altri" racconta Pitman in un'intervista. "Alcuni di loro avevano da poco scoperto che cinque milioni di anni fa il Mediterraneo si era completamente seccato, e si inondò successivamente in modo catastrofico. Durante una conversazione, Dewey ci domandò se questo evento potesse essere all’origine della leggenda sul diluvio universale. Naturalmente ci mettemmo a ridere, perché cinque milioni di anni fa non c’erano uomini che avrebbero potuto raccontarlo! Ma cominciammo ha discutere se un evento simile, cioè l’allagamento di un bacino prosciugato a causa di un incremento del livello del mare, fosse potuto accadere alla fine dell’ultima glaciazione, fra 20.000 e 4.000 anni fa. In questo periodo il livello del mare crebbe di circa 120 metri , ed è possibile che ci fosse qualche bacino marginale che si era prosciugato, e che il mare avesse potuto superare qualche passaggio e inondarlo".

    Ed ecco l'ipotesi avanzata da Pitman e collaboratori. Proprio all'inizio di quest'epoca sarebbe avvenuta infatti una catastrofe epocale: il sommergimento delle coste del mar Nero. Pare che, attorno al 5000 a.C., il mar Nero fosse isolato dal resto del Mediterraneo, che fosse riempito di acqua dolce e che il suo livello fosse anche 100 metri al di sotto di quello dei mari salati del pianeta. Logico pensare che sulle sponde di un lago d'acqua dolce così vasto siano fiorite diverse comunità protostoriche. Ma, appunto circa 7000 anni fa, sarebbe ceduta la diga naturale in corrispondenza dell'attuale Bosforo, che isolava il Mar Nero dal Mediterraneo salato: un'immensa cascata durata un anno si sarebbe riversata nel lago, il cui livello si sarebbe sollevato con estrema rapidità, sommergendo tutti gli abitati umani. Pitman ha calcolato addirittura un flusso di 50 chilometri cubici d’acqua al giorno, capaci di innalzare la superficie del Mar Nero di 15 centimetri al giorno. I loro occupanti sarebbero fuggiti disperatamente di fronte al ruggire delle acque, per disperdersi poi nella valle del Danubio ed in quella del Tigri e dell'Eufrate, portando con sé il ricordo delle acque distruttrici, da loro interpretate tramite una tremenda punizione divina, che poi andò a confluire nel poema di Gilgamesh e nella Bibbia.
    Effettivamente fino a circa 66 metri di profondità il Mar Nero appare come un "lago" chiuso di dimensioni più piccole, e solo da lì in poi sprofonda improvvisamente fino alle profondità di un normale bacino marino: "Innanzitutto abbiamo trovato che la struttura rocciosa del fondale del Bosforo, oggi coperta da sedimenti fino a 20 metri sotto il livello del mare, ha proprio una profondità di circa 100 metri , e risulta tagliata da profonde gole che sembrano prodotte da un rapido scorrimento d’acqua" spiega lo stesso Pitman; inoltre, "abbiamo individuato una superficie alluvionale a una profondità di circa 150 metri, ne abbiamo raccolto alcuni campioni sedimentari ed abbiamo potuto dimostrare che i sedimenti al di sotto della superficie erano tipicamente d’acqua dolce, e quelli al di sopra erano di acqua salata. Tutto sembrava portare alla conclusione che a quell’epoca il Mar Nero fosse stato inondato dal Mediterraneo. Abbiamo analizzato anche conchiglie e fossili per datare l’inondazione: 5.600 anni prima di Cristo".
    Nonostante queste evidenze geologiche, l'ipotesi di Pitman apparirebbe stravagante quanto le altre che abbiamo analizzato in precedenza, se non fosse per la scoperta sotto le acque del Mar Nero, avvenuta nel settembre 2000, dei resti di un edificio che sembrerebbe essere stato sommerso proprio 70 secoli fa dall’innalzamento repentino delle acque. L'eccezionale scoperta è stata effettuata da un team di ricercatori statunitensi del National Geographic, tra cui quel Robert Ballard che nel 1985 individuò i resti del Titanic, impiegando la sonda Argo munita di telecamera. Essa ha ripreso a 90 metri di profondità e a circa 12 km dalla coste turche una serie di manufatti in pietra ed un edificio rettangolare di quattro metri per quindici, con mura costruite mediante un impasto di fango e canne, e grandi tavole lavorate che forse coprivano l’edificio, perfettamente conservato date le particolari condizioni prive d’ossigeno di tale mare. Se venisse confermata, si tratterebbe davvero di una scoperta di rilevanza eccezionale!!

    "Prima della nostra", conclude Pitman, "la spiegazione più razionale per la leggenda del diluvio universale era quella di un’inondazione dovuta allo straripamento del Tigri e dell’Eufrate. Ma le inondazioni di fiumi non avvisano, arrivano improvvisamente. Il Mar Nero invece avrebbe mandato alcuni segnali: prima che il Mediterraneo coprisse completamente il Bosforo e le popolazioni avrebbero avuto uno o due mesi buoni per prepararsi a partire, esattamente come fece Noè che ebbe tutto il tempo per preparare l'arca. Inoltre nei miti il patriarca parte per sempre e non fa ritorno mai più nella sua terra: invece, nel caso di un’inondazione fluviale le popolazioni avrebbero potuto tornare una volta che l’acqua si fosse ritirata. Lo scenario del Mar Nero corrisponde meglio di ogni altro alle leggende che ci sono state tramandate." A ciò si devono aggiungere le testimonianze archeologiche, le quali indicano l’insediamento di nuove popolazioni in Anatolia, in Egitto, in Mesopotamia, in Ucraina e negli Urali proprio attorno a 7.400 anni fa, come se fossero precipitosamente fuggite da un'altra regione.
    (fmboschetto)

     
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  11. gheagabry
     
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    Regista James Cameron raggiunge fondo Fossa Marianne.
    10.898 metri nel Pacifico, fondale più profondo al mondo. l regista canadese James Cameron è tornato in superficie dopo aver raggiunto il fondo della Fossa delle Marianne, il fondale più profondo al mondo, 10.898 metri nel Pacifico, a bordo del suo batiscafo monoposto Deepsea Challenger. Dopo una risalita più rapida del previsto, in 70 minuti, il batiscafo è tornato in superficie alle 4 del mattino ora italiana, 500 km a sudovest dell'isola americana di Guam, nel mezzo del Pacifico occidentale, a metà strada fra l'Australia e il Giappone. L'immersione è durata circa cinque ore. Sul fondale il batiscafo dovrebbe aver raccolto immagini e campioni. Solo due persone prima di Cameron avevano raggiunto il fondo della Fossa delle Marianne (Challenger Deep in inglese): l'oceanografo svizzero Jacques Piccard e l'ufficiale di Marina americano Don Walsh, il 23 gennaio 1960, a bordo del batiscafo di fabbricazione italiana Trieste. In seguito il fondale era stato raggiunto da due robot sottomarini, il giapponese Kaiko nel 1995 e l'americano Nereus nel 2009. Il Deepsea Challenger è un batiscafo monoposto di colore verde, dalla insolita forma di siluro verticale, lungo 7,3 metri. E' stato costruito in Australia, nella massima segretezza, in collaborazione col National Geographic e la sponsorizzazione della Rolex. Alla progettazione del batiscafo e della discesa hanno partecipato lo Scripps Institution of Oceanography, il Jet Propulsion Laboratory e l'Università delle Hawaii. Il Deepsea Challenger ha una sfera di pilotaggio che può contenere una sola persona, fatta di acciaio spesso 6,4 cm, con un unico oblò di vetro speciale. E' fornito di bracci meccanici con telecamere e pinze per la raccolta di campioni. Durante le prove all'inizio di marzo, Cameron aveva raggiunto la profondità di 8.166 metri. Il regista canadese ha scritto via Twitter: "Sono appena arrivato nel punto più profondo dell'oceano. Toccare il fondo non è mai stato così bello. Non vedo l'ora di condividere con voi ciò che vedo". Nel suo sito online, la National Geographic Society, che ha contribuito ad organizzare la spedizione del regista di Titanic, Abyss e Avatar, precisa che Cameron ha raggiunto la meta alle 07:52 ora locale (le 23:52 di domenica in italia). Dal batiscafo, secondo la stessa fonte, ha comunicato in superficie alle navi appoggio Marmaid Sapphire e Barakuda: "Tutti i sistemi Ok". La discesa è durata circa tre ore. La missione del regista é quella di raccogliere dati, campioni e filmare immagini. La preparazione per la spedizione è durata sette anni, e ha portato alla realizzazione di un minisommergibile, il Deepsea Challenger, in grado di scendere negli abissi del mare alla vetiginosa velocità di circa 150 metri al minuto e di resistere ad una pressione di oltre 1,2 tonnellate per centimetro quadrato. L'impresa di Cameron arriva a più di 50 anni da quella compiuta sempre nella Fossa delle Marianne con il batiscafo Trieste, di costruzione italiana, da Don Walsh e Jacques Piccard, i primi raggiungere quella profondità nel 1960. Il regista canadese, come precisa il National Geographic, è però il primo uomo a compiere l'impresa "in solitario".
     
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  12. gheagabry
     
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    "Ci ritroviamo di nuovo al di qua delle colonne di Ercole,
    ed ancora non abbiamo compreso bene le distanze, né il tempo; né lo spazio."


    Le COLONNE DI ERCOLE


    Anche le Colonne d'Ercole, ossia lo Stretto di Gibilterra, come pure il passaggio tra Scilla e Cariddi, avevano dato luogo a una leggenda, imperniata sulle imprese di Ercole, in greco Eracle. Egli aveva ricevuto in compito di recuperare le mandrie di Gerione, che il pastore Eurizione custodiva nell'isola Eurizia, situata ai confini dell'Occidente. Durante il viaggio di andata aveva liberato la Libia da una moltitudine di mostri e, in ricordo di tali imprese, aveva eretto due colonne, d'ambo le parti dello Stretto, a Ceuta e sull'opposta sponda, nei pressi di Gibilterra.
    Infatti, secondo la leggenda, quando passò dall'Africa alla Spagna e raggiunse l'isola di Cadice, vi costruì un'alta torre sulla quale innalzò una statua rivolta a Est, con una chiave nella mano destra, come per aprire una porta; sulla sinistra incise invece l'iscrizione "Ecco i confini di Ercole", ad indicare il limite invalicabile delle terre note.
    Le favole antiche furono accolte nella cartografia dal Medioevo fino al Cinquecento: in molti planisferi medievali le "colonne d'Ercole" erano collocate in prossimità dello Stretto ma, via via che i navigatori si addentravano nell'Atlantico, le colonne venivano spostate sulle carte fino alle terre raggiunte per ultime, così segnando i confini del mondo conosciuto.
    Più che un luogo geografico, il monito posto dal mitologico Eracle identifica la frontiera del mondo civilizzato e, come tale, non può far altro che seguire il progredire delle scoperte geografiche e l'avanzare delle rotte navali. Secondo il mito Ercole deve rubare il bestiame a Gerione, re di Tartesso. Si è sempre identificato tale città coi territori iberici, ma la parola pare fosse utilizzata semplicemente per indicare l'estremo occidente: non è quindi affatto possibile localizzare tale "confine del mondo" occidentale.
    La questione è complicata dal fatto che per Omero e per gli antichi greci tali Colonne si ponevano a Est, all'ingresso del Ponto Eusino, il mar Nero. Omero stesso lo definisce uno spazio senza confini e secondo Strabone i greci ai tempi di Omero immaginavano il Ponto Eusino come un altro oceano. Nell'Odissea non vi è l'equazione Colonne = Gibilterra, poiché il mondo greco allora orbitava tra il Mediterraneo orientale e il mar Nero: è solo del 637 a.C. che compare per la prima volta la terra iberica nelle storie greche. Questo è uno dei fatti che ha portato Sergio Frau e successivamente l'Accademia dei Licei Italiani a prima ipotizzare e poi spostare la collocazione delle antiche colonne d'Ercole.
    Erodoto (484-425 a.C.) descrive due luoghi diversi per le Colonne: a Est, nel Bosforo, quelle più antiche, a Ovest, dopo Cartagine, quelle libiche, riflettendo in tal modo l'ampliarsi degli orizzonti ellenici. Neanche Platone, nel suo dialogo Timeo, parla però ancora di coste iberiche: cita sì il monte Atlante, ma in riferimento agli Iperborei (popolo posto a Nord dell'Ellade). A causa del monopolio cartaginese sul bacino occidentale del Mediterraneo, la prima spedizione ellenica al di là di Gibilterra di cui si ha effettiva notizia è del 330 a.C., dopo, quindi, la morte di Platone (347 a.C.).
    Con la nascita del mondo romano Ercole raggiunge le coste mediterranee ponentine, e anche Gerione, che nel mito greco ha casa nel Ponto Eusino, coi romani diventa finalmente re di Tartesso. E qui che probabilmente nasce il mito romano delle colonne d'Ercole poste nello stretto di Gibilterra che è rimasto sino ai giorni nostri in quanto l'ampliamento dei confini e del mondo conosciuto ha spostato i confini. Inoltre sappiamo che il termine Tartesso per i greci probabilmente non era uno stato ma il confine del mondo occidentale per cui pare plausibile pensare che già all'epoca dei romani si perse o si cambiò volontariamente la collocazione delle colonne d'ercole e i miti legati ad esse.


    Oltre le Colonne, oltre il mondo conosciuto, c'è sempre la speranza di trovare terre migliori, più ricche. Platone vi colloca Atlantide, mitica isola ricca di argento e di metalli, potenza navale conquistatrice che novemila anni prima dell'epoca di Solone, dopo avere fallito l'invasione di Atene, sprofondò in un giorno e una notte.

    Per sapere qualcosa degli avvenimenti del Mediterraneo antecedenti e subito successivi il cataclisma del 1200 a.C. dobbiamo arrivare a Omero che, tra il 750 e il 650 a.C., per primo ricostruisce e trascrive la precedente tradizione orale, ed agli altri autori greci antichi.
    Solo ad essi si può fare riferimento pur sapendo che i loro resoconti sono esatti solo finché ci si muove all’interno del Mediterraneo orientale, quello che i Greci ben conoscevano dato che lo percorrevano con le loro navi e che vi avrebbero fissato i loro insediamenti. Al di là delle loro rotte, tutto diventa più vago, l’unico riferimento sono le colonne d’Eracle dove terminava il mondo conosciuto ed al di là delle quali iniziava l’Oceano del quale non esistevano conoscenze dirette ma solo riportate.

    Dopo i racconti di Omero, che descrive il lungo viaggio di Ulisse nel Mediterraneo occidentale sconosciuto, e di Esiodo (VIII sec a.C.), informazioni sul mondo al di là delle colonne le dà Platone (427-347 a.C.) che nei suoi dialoghi fa dire a Timeo al di là dello stretto che voi chiamate colonne di Eracle c’era un’isola… e racconta di un grande cataclisma avvenuto quando il mare sommerse l’Europa. Sempre nei dialoghi, Crizia parla del mare di Atlante, al di là di quella bocca che i Greci chiamavano colonne d’Ercole, dove c’era un’isola, e da questa se ne raggiungono altre, e da queste la terra che tutto circonda, un vero continente.

    Platone dice inoltre che l’Oceano Atlantico è così melmoso a causa di un’isola chiamata Atlantide che vi è sprofondata, che le navi non riescono a navigarlo. Ed anche Aristotele (384-322 a.C.) dice che l’Oceano Atlantico, a differenza del Mediterraneo che è profondissimo, è invece poco profondo e soggetto a una morta calma tanto che le navi non riescono a navigarlo.

    Erodoto (circa 484-425 a.C.), che ha dedicato la vita alle geografie degli antichi ma che ammette di non conoscere l’occidente estremo, aveva raccontato di Corleo di Samo che sarebbe stato portato dai venti al di là delle colonne fino a Tartesso e gli avrebbe raccontato dell’argento e dei metalli, dei commerci al di là delle colonne d’Eracle. Dopo di che racconta del paese dei Celti che vivono al di là delle colonne d’Eracle e dice che l’Istro (che oggi si ritiene fosse il Danubio) nasce dalla città di Pirene. E dice che l’ambra proviene dall’Eridano (il Po) che secondo le notizie in suo possesso sfocia nell’Oceano del Nord. Timeo (circa 350-260 a.C.), che sarà per i suoi contemporanei il maggior conoscitore dell’occidente, dirà addirittura che la Sardegna è prossima all’Oceano e che il Rodano sbocca nell’Atlantico.

    Ma informazioni più precise le dà Rufo Festo Avieno, che fu proconsole in Acaia nel 372 dC, ed al nipote che gli chiede dov’è la Palude Meotide dice che gli descriverà il Mediterraneo. Descrive una rotta che passa per Tartesso (la stessa di Corleo da Samo) arriva alle isole Estrimnidi con i suoi fondali bassi che solo se li conosci non affondi, e poi passata l’isola Ierne, ossia sacra, arriva ad Albione. E dice che dalle isole Estrimnidi se ci si spinge verso dove il cielo diventa freddo si arriva nella terra dei Liguri, e poi nel suo viaggio dal Golfo Ligustico torna indietro sul mare che si allarga in un grande golfo fino a Ofiussa ed abbandonata questa riva per il mare interno che s’insinua tra le terre e che chiamano Mare Sardo il ritorno dura sette giorni.

    Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose al tempo stesso. Non un paesaggio ma innumerevoli paesaggi. Non un mare ma una successione di mari. Non una civiltà ma una moltitudine di civiltà ammassate l’una all’altra. Il Mediterraneo è un crocevia antico. Da millenni tutto è confluito verso questo mare, scompigliando e arricchendo la sua storia.
    (Fernand Braudel, La Méditerraneé – Espace et historie).


    ...ma prima....


    Un’alluvione catastrofica, di proporzioni mai viste, la più grande che abbia conosciuto il nostro Pianeta. È quella che circa 5,33 milioni di anni fa ha portato al riempimento del bacino del Mediterraneo, dopo che lo spostamento delle zolle dei continenti lo aveva isolato completamente dall’Atlantico (alla fine del Miocene), portandolo a essiccarsi gradualmente durante quella che è nota come la “crisi di salinità”.
    Sono i ricercatori spagnoli del Consiglio Superiore di Investigazione Scientifica (CSIC) gli autori di uno studio che oggi rivela i dettagli della colossale inondazione che ha riportato in vita il Mare Nostrum. L’indagine, pubblicata sulla rivista scientifica Nature, ha permesso agli esperti di stabilire che tale processo di riempimento non è stato per nulla lento: tutto sarebbe avvenuto nell’arco di 2 anni al massimo e non nel corso di 10mila anni, come altre teorie vorrebbero.
    Secondo gli scienziati, infatti, quando (nell’era geologica dello Zancleano) le acque dell’Atlantico sono riuscite a fluire nuovamente attraverso lo stretto di Gibilterra in quella che ormai era sostanzialmente una valle disseccata, si è verificata una vera e propria inondazione catastrofica.
    Il livello del mare si è alzato rapidamente, con picchi massimi di 10 metri al giorno, e in breve tempo il bacino ha accolto il 90 per cento delle sue acque.
    Così, tramite l’alluvione Zancleana, il Mediterraneo è tornato a essere un mare.
    (Alessandra Carboni)
     
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  13. gheagabry
     
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    Dove sono più salati gli oceani?

    saleoceani

    scalasale

    La NASA ha diffuso una nuova immagine del nostro pianeta che mostra i livelli di salinità (la quantità di sale disciolta nell’acqua) degli oceani. È stata realizzata grazie ai dati ottenuti con lo strumento Aquarius del “Satellite di applicazioni scientifiche D”, lanciato un anno fa dall’agenzia spaziale argentina in collaborazione con la NASA. L’immagine mostra la salinità media nel periodo tra il 27 maggio e il 2 giugno scorsi, in una scala da 30 a 40 grammi di sale per chilogrammo d’acqua. I colori caldi mostrano dove sono localizzate le maggiori concentrazioni di sale.
    I dati di Aquarius confermano quanto era stato reso noto con precedenti ricerche: l’oceano Atlantico è in media più salato di quello Indiano e del Pacifico. I grandi fiumi, come il Rio delle Amazzoni rilasciano in mare enormi quantità di acqua dolce, il cui influsso sulla salinità è chiaramente visibile nell’immagine (sono le strisce blu-viola nei pressi delle coste). Nelle zone tropicali, le acque sono meno salate in diversi punti anche grazie al clima piovoso tipico di quelle aree. Aquarius è il primo strumento in orbita a essere stato studiato per analizzare specificamente la salinità degli oceani. Ogni mese effettua 300mila misurazioni, utili per valutare i cambiamenti stagionali nella salinità in diverse aree del mondo.
    (il post.it)

     
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  14. gheagabry
     
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    "Una traslitterazione del suono fatta dallo sciabordare
    delle piccole onde quando la luna si allontana e la casa
    si avvicina alla riva, ci potrebbe rivelare molte cose. Sulle
    vette dei sensi prima di tutto . Dove la gentilezza arriva
    sempre prima, scavalcando la forza...."
    (Odisseas Elitis)


    MAR EGEO



    Il mar Egeo (in greco: Αιγαίο Πέλαγος, Egeo Pelagos, [eˈʝeo ˈpelaɣos], in turco: Ege Denizi) fa parte del mar Mediterraneo ed è situato tra la parte meridionale della penisola balcanica e quella occidentale dell'Anatolia. A nordest è connesso con il mar di Marmara e quindi con il mar Nero attraverso lo stretto dei Dardanelli ed il Bosforo. E' delimitato a sud dalle isole di Creta e Rodi.
    L’Egeo è una delle nove regioni geografiche della Grecia. È suddiviso in due regioni amministrative, l’Egeo Settentrionale e l’Egeo Meridionale che a est confinano con lo stato turco. La zona settentrionale del Mar Egeo a nord del 40º parallelo, è detta Mar di Tracia. Copre un'area di circa 214 000 km², e misura circa 610 km in longitudine e 300 km in latitudine. La profondità massima è 3 543 m al largo della costa orientale di Creta.
    Le quasi 1.415 isole dell'Egeo sono di solito divise in sette gruppi: le isole di nord-est, Eubea, le Sporadi settentrionali, le Cicladi, il Saronico, il Dodecanneso e Creta. Alla Turchia appartengono le isole di Bozcaada e Gökçeada.
    La parola arcipelago veniva applicata in origine al mar Egeo ed alle sue isole. Molte delle isole egee sono estensioni delle catene montuose della terraferma. Una catena, si estende attraverso il mare fino a Chio, un'altra si estende attraverso l'isola di Eubea fino a Samo, ed una terza si estende attraverso il Peloponneso e Creta fino a Rodi, dividendo l'Egeo dal Mediterraneo.
    Le insenature dell'Egeo cominciando da sud e muovendosi in senso orario includono su Creta, il golfo di Mirabella, la baia di Almyros, la baia di Souda ed il golfo di Canea, mentre verso la terraferma si trovano il mar di Myrtoön ad ovest, il golfo Saronico a nordovest, il golfo di Petali, da cui si entra nel golfo meridionale di Eubea, il golfo di Volos, da cui si entra nel golfo settentrionale di Eubea, il golfo di Salonicco a nordest, la penisola di Calcidica, che include i golfi di Cassandra e del Monte Athos, a nord il golfo di Orfani e la baia di Kavala; le restanti insenature si trovano in Turchia: il golfo di Saros, il golfo di Edremit, il golfo di Dikili, il golfo di Çandarlı, il golfo di Smirne, il golfo di Kuşadası, il golfo di Gökova ed il golfo di Güllük.

    ....storia, miti e leggende....


    La linea di costa attuale risale a circa il 4000 aC. Prima, al culmine dell'ultima era glaciale, i livelli del mare in tutto il mondo furono di 130 metri più bassi, e vi erano grandi pianure costiere ben irrigate,in gran parte del Mar Egeo settentrionale. Le isole correnti inclusi Milos con la sua produzione di ossidiana furono probabilmente collegate alla terraferma.
    Nei tempi antichi, il mare fu luogo di nascita di due antiche civiltà - i Minoici di Creta e la civiltà micenea del Peloponneso.
    L'Egeo portò allo sviluppo della navigazione marittima da parte dei Greci. Le sue montagne e la forma irregolare furono ripari naturali e il suo gran numero di isole consentì di navigare sempre a vista di terra.Con la conquista romana, si sono uniti alla stessa unità politica, l'Impero Romano e l'Impero Bizantino. Il Mar Egeo è stata colonizzato dai Greci più di quattro millenni fa e lo fu fino al 1922 con il Trattato di Losanna, che ha dato la Turchia la costa orientale.

    Nei tempi antichi furono varie le spiegazioni per il nome Egeo. Si diceva che derivasse dalla città greca di Aigai (Ege), o Aigaion, "mare delle capre", un altro da Briareo, uno degli antichi ecatonchiri. In bulgaro - la Bulgaria ha confinato più volte in passato con il mar Egeo - il mare è noto anche come mar Bianco, in contrapposizione al mar Nero. Quest'uso deriva dal turco Ak Deniz (mar Bianco) e Kara Deniz (mar Nero), che a sua volta riflette l'antico uso in turco degli epiteti bianco e nero per indicare il sud ed il nord. Per gli ateniesi, Egeo era il padre di Teseo, figlio di Pandione, fu un mitico re di Atene. Mentre visitava Atene, Androgeo, figlio del re Minosse, riuscì durante una festa a battere Egeo in ogni gara. Egeo, geloso, lo uccise. Minosse infuriato dichiarò guerra ad Atene. Offrì comunque la pace agli ateniesi, a patto che questi inviassero ogni anno a Creta sette giovani uomini e sette giovani donne, da offrire in sacrificio al Minotauro. Ciò andò avanti fino a quando Teseo uccise il Minotauro con l'aiuto di Arianna, figlia di Minosse. Egeo aveva detto a Teseo, prima che partisse, di issare delle vele bianche alla partenza da Creta, se fosse riuscito a sconfiggere il Minotauro. Teseo si dimenticò (deliberatamente secondo alcune versioni) ed Egeo si gettò in mare quando vide delle vele nere avvicinarsi ad Atene, nell'errata convinzione che suo figlio fosse stato ucciso, compiendo così la profezia. Di conseguenza, il mare in cui si gettò divenne noto come Mar Egeo.
     
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