LA CAMPANIA 6^Parte

IL VESUVIO… PLINIO IL VECCHIO …POMPEI … ERCOLANO…POZZUOLI … IL MAGICO MONTE DI PROCIDA

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI




    Giovedì, un silenzio irreale ci avvolge…..silenzio è la storia che ci mostra immagini, sagome…figure ferme ad immortalare attimi di vita che nella loro immobilità si rinnovano da secoli…..la mongolfiera scivola silenziosa fino a toccare dolcemente terra …..in fila indiana attraversiamo una città rimasta ferma..immobile nella sua bellezza, Pompei, Ercolano..magia senza fine…passeggiando sulle strade nelle quali risuonano momenti di vita come se i seecoli non fossero mai trascorsi…emozioni indescrivibili, uniche ed irripetibili. Siamo proiettati nella storia divenendo parte di essa, un’altra pagina di questo diario del viaggio sulla mongolfiera…scritta con i colori della felicità ed il colore dell’amicizia e delle emozioni senza fine…senza tempo….Buon risveglio amivi miei..la storia ci attende…


    (Claudio)




    IL VESUVIO… PLINIO IL VECCHIO …POMPEI … ERCOLANO…POZZUOLI … IL MAGICO MONTE DI PROCIDA



    “Ad ogni tesoro dal passato, dissepolto o restituito dal mare, il primo pensiero è sempre una domanda: perchè?..Perchè ricompare adesso, cos’era, cosa ha significato per persone come noi di cui non resta neanche il ricordo?..E soprattutto, perchè viene considerato prezioso?..Perchè è “bello”? O perchè “La Storia è Maestra di Vita?” …Ma forse la risposta è nei frammenti di marmo, di città, di vita comune: perché ciascuno è un frammento di puzzle, che ci aiuta a capire come eravamo, e soprattutto perché siamo diventati così…E’ impossibile capire Picasso senza vedere Van Gogh, non si può comprendere la geografia della Francia senza conoscere Napoleone, ed è difficile immaginare il pensiero di Napoleone senza Cesare, Annibale, Alessandro…Guardiamo indietro perché non vediamo avanti: la paura senza sapere cosa ci sarà dopo, che fa desiderare una storia, “di tanto tempo fa”, che ci permetta di sognare il futuro come la continuazione del passato…Ogni Storia, ogni frammento del passato, è un tesoro, perchè è un frammento di noi stessi, e una proiezione nel presente di chi è passato prima di noi.”



    “Il paesaggio vesuviano è il risultato di grandi sconvolgimenti geologici della Piana Campana a partire da alcuni milioni di anni fa. La posizione geografica del Vesuvio, le terre fertili arricchite dai minerali contenuti nelle lave, insieme allo splendore dei luoghi hanno determinato la colonizzazione …furono i Greci e poi i Romani a stabilire le prime colonie alle falde del Vesuvio….nasce nel 1995, il Parco nazionale del Vesuvio, che si inserisce in un momento storico fondamentale per le questioni legate alla gestione di uno dei territori a più alto rischio vulcanico della Terra…… Il Parco rappresenta quindi un'anomalia nel panorama dei Parchi naturali europei, una sorta di scommessa dell'ambientalismo mondiale tesa a recuperare la selvaticità e il fascino del Vesuvio e del Monte Somma…La fauna del Parco è particolarmente ricca e interessante. Tra i mammiferi spiccano la presenza del Topo quercino, raro in altre parti d'Italia, del Moscardino, della Faina, della Volpe, del Coniglio selvatico e della Lepre. Più di cento le specie di uccelli tra residenti, migratrici, svernanti e nidificanti estive….tra cui la Poiana, Gheppio, Sparviere, Pellegrino, Upupa, Tortora Colombaccio, Picchio rosso maggiore, Codirossone, Passero solitario, Codibugnolo, Picchio muratore, Corvo imperiale, Cincia mora.. Tra gli invertebrati vanno citate le coloratissime farfalle diurne e notturne che frequentano in gran numero le fioriture della flora mediterranea vesuviana.”



    “Nell'Eocene il monte era un'isola circondata dal mare, solo nel Pliocene si saldò alla terra …attualmente il Gran Cono, la sua cima, è alto 1277 m e il cratere misura circa 1500 m di circonferenza…. L'eruzione del 79 d.C. che distrusse Ercolano e Pompei si verificò dopo un periodo di lunghissima stasi, al punto che in quegli anni la popolazione del luogo non riconosceva più il Vesuvio come vulcano ma come semplice monte, come si può osservare nel dipinto dell'epoca rinvenuto a Pompei….. Plinio il Giovane, nella prima lettera a Tacito, descrive così l'inizio dell'eruzione e lo sviluppo della colonna eruttiva, che egli, insieme allo zio, osserva da Miseno: < Era a Miseno [Plinio il Vecchio] ..il 24 agosto una nube si levava, non sapevamo con certezza da quale monte.. solo più tardi si ebbe la cognizione che il monte fu il Vesuvio….la nube si estenuava in un ampio ombrello>..Segue, nella lettera, il racconto degli eventi che portarono alla morte di Plinio il Vecchio..<…. all'ansia dello scienziato subentra lo spirito dell'eroe..>…Plinio dirige le sue navi verso Torre del Greco, ma non riuscendo a sbarcare, fa rotta su Stabia, dove si trova la villa dell'amico Pomponiano: <già sulle navi la cenere cadeva, più calda e più fitta man mano che si avvicinavano; già cadevano anche i pezzi di pomice e pietre annerite ed arse e spezzettate dal fuoco. Ebbe un momento di esitazione, se dovesse tornare indietro e il pilota così lo consigliava, ma egli subito disse: "la Fortuna aiuta i forti. Raggiungi Pomponiano!">..Quella notte Plinio fu ospitato nella villa dell'amico. Ma...<[...] il cortile era un cumulo di cenere e lapilli..Venne fuori e si ricongiunse a Pomponiano… si confrontarono i rischi e si scelse di uscire all'aperto… Mettono dei guanciali sul capo e li legano fortemente con teli: in tal modo si difendevano dalla pioggia di lapilli… Deliberarono di raggiungere la spiaggia e di vedere dal punto più vicino possibile se ormai il mare consentisse un tentativo di fuga. Ma il mare ancora grosso continuava ad essere contrario. Lì egli buttò giù un telo e vi si sdraiò...>..Plinio il Vecchio, probabilmente intossicato dai gas, viene colpito da un malore e, non potendo continuare la fuga, viene abbandonato dai compagni. Il suo corpo sarà ritrovato solo tre giorni più tardi. …<intere città, tra le quali Pompei ed Ercolano, vengono distrutte. I prodotti eruttati dal Vesuvio ricoprono i campi, riempiono le vie, le case e i templi delle città….>…Pompei e Stabia furono distrutte e sepolte sotto un manto di lapilli e cenere, Ercolano fu sommersa da un fiume di fango…..Nei dodici secoli che seguirono la distruzione di Pompei il Vesuvio ha avuto altre undici eruzioni. L'eruzione del 1139 fu particolarmente violenta.< L'ultima eruzione, prima di un lungo periodo di quiescenza, avviene agli inizi del giugno 1139 ed è riportata sia dalle cronache di Montecassino che da quelle dell'Abbazia di Cava dei Tirreni, nonché dal segretario di Papa Innocenzo II, Falcone Beneventano, il quale scrisse che il Vesuvio "gettò per ben otto giorni potentissimo fuoco e fiamme vive">. Seguì un lungo periodo di stasi durante il quale il vulcano si ricoprì di vegetazione fino alla cima. Nel 1575, Stephanus Pighius, un ecclesiastico belga in viaggio in Italia, descrive il Vesuvio "rivestito da splendidi vigneti, e così anche i colli e i campi vicini”. La montagna si era ricoperta di coltivazioni e i paesi distrutti avevano ripreso a vivere, dimenticando rapidamente le eruzioni passate. Grossi alberi crescevano fino al Gran Cono….Il Vesuvio rientrò in attività nel 1631.. il fumo oscurò il cielo fino al golfo di Taranto per diversi giorni. Da allora si susseguirono numerose eruzioni..L'ultima eruzione è stata nel 1944.”


    “Pompei sorge su un altopiano di formazione vulcanica, sul versante meridionale del Vesuvio, a circa 30 metri sul livello del mare ed a breve distanza dalla foce del fiume Sarno….La popolazione che fondò Pompei era sicuramente osca…La fortuna della città fu sin dall'inizio legata alla sua posizione sul mare, che la rendeva il porto dei centri dell'entroterra campano, in concorrenza con le città greche della costa. Naturalmente l'osca Pompei non poteva sottrarsi all'influenza greca. L'egemonia greca sulla costa campana venne però ben presto minacciata dall'avanzare prepotente di una nuova potenza: quella degli Etruschi, che conquistò anche Pompei, risale infatti a quel periodo il Tempio di Apollo e le Terme Stabiane…..Contemporaneamente una lenta, ma inarrestabile discesa delle popolazioni sannitiche conquistarono nel corso del V secolo a.C. tutta la Campania, ad eccezione di Neapolis e la unificarono sotto il loro dominio… In epoca romana, all'inizio del primo millennio, il Vesuvio non era considerato un vulcano attivo e alle sue pendici sorgevano alcune fiorenti città, che si erano sviluppate grazie alla bellezza e alla fertilità dei luoghi…e Pompei sotto il dominio di Roma sul Mediterraneo, facilitò la circolazione delle merci, la città conobbe un periodo di grande crescita a livello economico, soprattutto per la produzione e l'esportazione di vino e olio….Questo stato di benessere si riflette in un notevolissimo sviluppo dell'edilizia pubblica e privata: furono realizzati in questo momento il Tempio di Giove e la Basilica nell'area del Foro, mentre a livello privato una dimora signorile come la Casa del Fauno compete per la grandezza e magnificenza…..La situazione economica restò florida per molto tempo e furono creati nuovi importanti edifici pubblici, come l'Anfiteatro e l'Odeon….L'età imperiale si apre con l'ingresso a Pompei di nuove famiglie filoaugustee della quale sono un chiaro esempio l'Edificio di Eumachia e il Tempio della Fortuna Augusta… Nel 62 d.C. l'area vesuviana fu colpita da un forte terremoto, che provocò il crollo di molti edifici e produsse danni anche a Nocera e a Napoli…. nell'anno 79 d.C. il Vesuvio rientrò in attività dopo un periodo di quiete durato probabilmente circa otto secoli, riversando sulle aree circostanti, in poco più di trenta ore, circa 4 Km3 di magma sotto forma di pomici e cenere.. L'eruzione ebbe inizio intorno all'una del pomeriggio del 24 agosto con l'apertura del condotto a seguito di una serie di esplosioni... Successivamente una colonna di gas, ceneri, pomici e frammenti litici si sollevò per circa 15 km al di sopra del vulcano. .. Approfittando nella notte di una apparente pausa nell'attività eruttiva, molte persone fecero ritorno alle case che erano state lasciate incustodite. Ma furono sorprese nella mattinata dalla ripresa dell'attività durante la quale si verificò il collasso completo della colonna eruttiva, che determinò la formazione di flussi piroclastici che causarono la distruzione totale dell'area di Ercolano, Pompei e Stabia….Nella parte terminale dell'eruzione, avvenuta probabilmente nella tarda mattinata del 25 agosto, continuarono a formarsi flussi piroclastici i cui depositi seppellirono definitivamente le città circostanti, mentre una densa nube di cenere si disperdeva nell'atmosfera fino a raggiungere Capo Miseno.”



    “Pompei è entrata nella sua vita prepotentemente…. E’ qui che è nata la mia passione per la storia di Roma… Il mio primo vero approccio è avvenuto, infatti, proprio a Pompei.. Una volta che vieni qua non puoi più fare a meno di ritornarvi e, ogni volta, scopro tante cose che la volta precedente non conoscevo…. E’ l’unico sito che io conosca che rappresenta un unicum a livello di patrimonio, di archeologia, a livello culturale. Non esistono altri esempi al mondo come questo. A Pompei c’è una città ferma, come congelatanel tempo. Come ho detto agli amici pompeiani: “Voi non parlate dell’età romana, voi siete dentro l’età romana”. E’ qualcosa di straordinario E’ un luogo che da solo permette di fare un viaggio unico al mondo…. Facendo una specie di lavoro scientifico, di “CSI del passato”, impari la filosofia della ricerca: devi portare delle prove, non bastano gli indizi, perché la scienza è un processo e l’archeologia è fatta di questi elementi. “Guardate quest’oggetto: è stato trovato ma non sappiamo esattamente a cosa servisse”…di qui facciamo delle ipotesi sul suo utilizzo… la cautela che fa parte del mio passato di ricercatore, grazie al quale comprendo il lavoro straordinario che hanno fatto tutti gli archeologi che si sono occupati di Pompei e degli altri siti romani limitrofi: da Villa Regina (Boscoreale) a Villa Stabia (Castellammare), passando per Oplonti (Torre Annunziata). …E’ una città viva, non morta, quando voi pensate a Pompei, pensate a una città che ha oggi una sua quotidianità….Io entro in questa città vedo come vivevano le persone e incomincio a fare dei paralleli tra la vita quotidiana di allora e quella dei giorni nostri. Un esempio banale: entro in una stanza e trovo uno specchio a forma di losanga, sopravvissuto all’eruzione. La cosa straordinaria però non è tanto il fatto che io posso ancora specchiarmici dentro, bensì il fatto che osservando l’altezza dello specchio, più vicino al pavimento, deduco che i romani erano più bassi di noi. Un altro parallelismo, quello con lo schiavo portinaio: anche noi abbiamo i nostri schiavi, ossia la lavatrice, il forno, la lampadina etc… schiavi “elettrici” che ci fanno capire come la tecnologia ha contribuito ad eliminare la servitù…Voglio sottolineare una cosa che a me dà molto fastidio e che è riconducibile a un fenomeno turistico: la tendenza di osservare e fotografare i corpi carbonizzati conservati nelle bacheche di vetro come fossero delle semplici statue. Si tratta di persone nell’atto di morire e ci vuole molto rispetto; non è una cosa da circo. Le volte che ci capita di parlarne abbiamo quasi dell’imbarazzo: è una persona che in quel momento sta lasciando la vita….. Per l’area degli scavi archeologici, consiglierei di iniziare dalla famosa Porta Marina, per poi passare al Tempio d’Apollo. Interessante è anche la Basilica, un tempo sede del tribunale e degli edifici pubblici, e da li poi proseguire fino al Foro, che nel centro ha ancora i resti di un pulpito, mostrando gli edifici che lo circondano come il Tempio di Giove, i Mercati e l’angolo politico della Curia. Assolutamente da vedere i depositi di grano…Conviene poi proseguire per le Terme del Foro, la Casa del poeta tragico sul cui pavimento d’ingresso è ancora visibile un mosaico con la scritta “Cave Canem” (attenti al cane), e la Casa del Fauno, la più grande dell’antica Pompei… l’antica Panetteria e il famoso Lupanare (case di tolleranza)…. la Via dell’Abbondanza, cioè il decumano principale, la zona popolare di una volta con le antiche botteghe, dove sono ancora ben visibili le scritte e le anfore con la merce in vendita….la zona dei teatri (piccolo e grande) per terminare con la Palestra dei Gladiatori”

    Alberto Angela



    “Nel Museo Archeologico Virtuale di Ercolano…. Ci si immerge in una realtà virtuale che si fatica a percepire tale. Si rivive in prima persona l’antica vita ercolanese, si incontrano i visi degli antichi abitanti di Ercolano..si attraversano cunicoli scavati nella roccia e si riconoscono gli antichi fasti della Villa di Papiri e dell’antico colonnato avvolti dal profumo e dal rumore delle onde del mare. Si rivivono emozioni, si viene accolti nell’atrio della casa del Fauno che si colora degli antichi mosaici “

    “Pozzuoli, con la sua storia millenaria, è il principale centro dei Campi Flegrei (flegrei=ardenti, di fuoco)… Innumerevoli i crateri che ne hanno disegnato le forme, sovrapponendosi gli uni agli altri… Al loro interno… acque lacustri o marine o terre coltivate intensamente. Le eruzioni più risalgono ad oltre 35.000 anni, la più recente, quella del 1538, ha dato origine al Monte Nuovo, il più giovane vulcano d' Europa….Laghi, mari, golfi, baie, insenature, punte, promontori, isole, scogli, colline, pinete, solfatare e terme rendono questa terra tormentata e affascinante unica al mondo….Fondata nel 530 a.C. da un gruppo di esuli politici provenienti da Samo, fu dato il nome di Dicearchia, cioè governo giusto, in polemica contrapposizione al governo della propria patria dominata dal tiranno Policrate… fu soggetta al controllo della vicina e potente Cuma fino al 421 a.C., anno in cui i Sanniti occuparono tutta la regione flegrea….I Romani, che avevano conquistato la Campania nel 338 a.C. cambiarono il nome di Dicearchia in Puteoli, cioè piccoli pozzi sorgono ancora oggo dal terreno…si trasformò ben presto in una città cosmopolita dove trovarono ospitalità mercanti di tutto il Mediterraneo antico: Egiziani, Greci, Fenici, Eliopolitani, Ebrei, Nabatei ed altri…. La vera fine di Puteoli fu segnata verso il IV - V secolo dall'accentuazione del bradisismo discendente, che sommerse le opere poruali, e dalle invasioni barbariche, che la trovarono priva di una cinta muraria in grado di difenderla….La parte bassa della città venne allora abbandonata e i pochi abitanti rimasti si rifugiarono sull'acropoli, che da allora fino agli ultimi anni del XIII secolo costituì il Castro puteolano, agglomerato di misere case sorte attorno alla cattedrale costruita sui resti dell'antico tempio di Augusto…. Con real privilegio di Carlo II D'Angiò, fu dominio feudale e dichiarata città demaniale Favorita dall'autonomia amministrativa,” l'universitas" puteolana conobbe un intenso sviluppo edilizio ed economico: furono costruiti nuovi edifici, sia pubblici che privati…Anche l'attività termale con la costruzione di un complesso ospedaliero a Tripergole presso il lago Lucrino….Agli inizi del 1500 il fenomeno del bradisismo, già da secoli in fase ascendente, si intensificò e fu accompagnato negli anni da una serie di terremoti, fino a quando, nella notte tra il 29 e 30 settembre 1538, un'eruzione portò alla nascita del Monte Nuovo, un piccolo cratere che ingoiò il villaggio di Tripergole e buona parte del lago Lucrino…. La città era nota soprattutto per le rinomate acque termali e per le grandiose vestigia romane….Solo a partire dagli ultimi decenni dell'800, Pozzuoli esce definitivamente dal suo isolamento grazie all'insediamento del cantiere inglese Armstrong, che ne fa uno tra i principali centri industriali del Mezzogiorno d"Italia”



    “Gli stabilimenti commerciali creati nei Campi flegrei da naviganti egei, verso il IX secolo a.c causarono una vera e propria corrente migratoria di famiglie greche, le quali, si stabilirono nelle città costiere italiane, con il passare degli anni si fusero con la gente del luogo, creando la nuova civiltà italiota. La stessa Roma adottò l'alfabeto e la monetazione di Cuma che fu dunque maestra di civiltà e potente, ma la base del suo splendore fu Miseno col suo porto o col Monte….Il Monte, dominando l'unica via marittima seguita dalle antiche navi a remi, consentì alla Repubblica Cumana il monopolio del commercio dei metalli, che si svolgeva tra la Toscana ed il vicino Oriente….. Crebbe d'importanza quando i Romani costutuirono a Matremorto la base navale del Tirreno… Una colonia romana fu portata a Miseno, che divenne "Municipium" ….Dopo la caduta dell'impero romano, Miseno costituì, nell'ambito del ducato di Napoli, una contea...Gli storici la chiamarono Castrum….Longobardi e Pontefici, Bizantini e Arabi si contesero il possesso del "Castrum" Montese, il quale appartenne,di fatto, alla chiesa prima ancora che lo Stato Pontificio assumesse esistenza giuridica. … nel 1734, Ferdinando il Cattolico ne riscattava il dominio per farsene una riserva di caccia…Il XIV secolo segnò l'inizio del rifiorire della vita sul Monte: il fuoco dell'Epomeo portò da Ischia sulla terraferma flegrea, a Baia, Torregaveta e Miliscola numerose famiglie isolane…Altro flusso di popolazione verso il Monte si verificò da Procida, a causa delle incursioni di pirati arabi e turchi…...Il 27 gennaio 1907 ufficialmente il Monte veniva elevato al rango di comune autonomo.”



    “A Monte di Procida…il sito architettonico di rilievo, è la "Chiesa di Maria Santissima Assunta"…Alla "Madonna Assunta in Cielo" è dedicata la Chiesa Madre del paese..la statua dell'Assunta risale al 1814 ed è opera dello scultore napoletano Francesco Verzella…. Il patrimonio più prezioso di Monte di Procida è quello delle bellezze ambientali…ovunque ci si trovi .. squarci di panorami marini di rara bellezza resi caratteristici dai colori tipici della zona… all'Isolotto di San Martino.. vi si accede da uno stretto tunnel e un precario pontile…. In origine San Martino era collegato a Monte di Procida, di cui costituiva un promontorio… se ne staccò forse nel 1488 a causa di un maremoto Nel dopoguerra assunse i fasti della mondanità, con un ristorante ed un night-club tappa obbligata della "dolce vita" napoletana..”












    Un messaggio per voi



    Amici miei…a volte in questo luogo parliamo di felicità, di amicizia e di carezze…queste due mattine che non ho potuto essere con voi..mi è mancato tutto questo..davvero tantissimo…mi mancate tutti e tutti singolarmente.. do il mio mio abbraccio colmo di affetto e sincera amicizia. Spero che domani la Telecom mi restituisca la possibilità di stare con voi sulla nostra isola felice…fatemi sentire orgoglioso di voi…come sempre. Claudio



    Oggi visiterete queste zone…



    (Agro Nocerino Sarnese… e non solo... – vista dal Valico di Chiunzi)

    ANGRI

    La città di Angri, posta al confine con la provincia di Napoli, si sviluppa alle pendici del Monte Albino, a cavallo tra la piana del Sarno ed i versanti montani.

    Angri-Stemma

    Noto centro dell'Agro Nocerino Sarnese, è posta tra due importanti assi viari in funzione fin dall'età romana: la strada che congiungeva Nocera con Stabia e Sorrento e quella che unisce Pompei e Nocera. La popolazione che risiede nel Comune di Angri ammonta complessivamente a 29.398 abitanti (dati istat), con una densità abitativa pari a 2.144,3 abitanti per Kmq. Il C.A.P. di riferimento della cittadina è 84012, il Prefisso telefonico 081. Confina a Nord con Scafati, a Est con Sant'Egidio del Monte Albino, a Sud Est con Corbara, a Sud Ovest con due comuni della provincia di Napoli: Santa Maria la Carità e Lettere. Sul territorio si rilevano tracce dell'età antica, in particolare del periodo romano, ma la città vera e propria si è sviluppata a partire dall'alto medioevo, per poi divenire col tempo città murata e feudo di una importante famiglia di origine genovese, i Doria. La crescita urbana è concentrata tra il nucleo cittadino principale, posto alle pendici del monte, ed un casale ad esso sottostante, Ardinghi, che è maggiormente rivolto verso la pianura, in direzione di Nocera.

    Angri

    (veduta di Angri)

    Profilo economico
    L'area dell'Agro è particolarmente adatta alla produzione agricola, grazie alla presenza dell'acqua ed alla peculiare qualità dei suoli. La coltivazione del pomodoro, del tabacco e delle fibre tessili ha consentito la nascita di un polo di imprese manifatturiere collegate alla produzione agricola, con un conseguente sviluppo più o meno organizzato delle attività rurali. In questo modo, si è venuta a costituire nella zona una vera e propria filiera del settore agroalimentare, il cui centro è rappresentato proprio dalla coltivazione del pomodoro e dalla sua trasformazione industriale in conserve e derivati, che si sviluppa da un lato con la presenza di imprese meccaniche e metalmeccaniche per la costruzione di macchine industriali e di vuoti a banda stagnata destinati all'inscatolamento, dall'altro con imprese di imballaggi in legno, plastica e cartone utilizzati nel trasporto della materia prima e del prodotto confezionato. Il territorio vanta inoltre la presenza di numerose aziende di trasporto e di servizi. Ad oggi, l'area dei Comuni dell'Agro Nocerino - Sarnese conta circa 13.000 imprese per un totale di circa 50.000 addetti. Si tratta prevalentemente di piccole imprese, spesso a conduzione familiare, come dimostra il numero medio degli addetti per impresa, pari a 3,85 per l'intera area indagata. Lo sviluppo agro - industriale ha portato con sè una crescita del profilo socio-economico. I Comuni di maggiori dimensioni e maggiormente sviluppati, ed in particolare Angri, Nocera Inferiore e Scafati, mostrano una dotazione di valori urbani (ancorché minimali) e di servizi di livello superiore (credito, attività commerciali, ecc.). La popolazione attiva presente sul territorio ammonta a 72.361 unità, con una densità di occupazione pari al 28,65 % (Dati ISTAT Censimento 1991), mentre il dato relativo alla provincia di Salerno è soltanto del 26,70%. Questi dati lasciano ben comprendere che il territorio dell'Agro Nocerino Sarnese vive una condizione di maggiore vivacità del mercato del lavoro rispetto al territorio provinciale, pur non avvicinandosi al dato nazionale, e scontando sia le carenze infrastrutturali che i disagi che vive l'intero territorio meridionale. La situazione della popolazione attiva, distinta per posizione professionale, evidenzia che il 70,78% è occupato come lavoratore dipendente, mentre il restante 29,22 % svolge un'attività indipendente; situazione che risulta assolutamente allineata ai dati nazionali (70,85% - 29,15%) e del Mezzogiorno (69,96% - 30,04%). Il valore medio della disoccupazione dell'area dell'Agro risulta superiore ai valori provinciali, regionali e nazionali, con un dato del 39,67%, contro il 32,60% della provincia, il 38,40% della regione ed il 17,80% dell'intero Paese. In pratica, esiste una percentuale di popolazione che si trova in condizione lavorativa, o in cerca di occupazione, superiore al dato provinciale in virtù di una vitalità e mobilità maggiore rispetto al territorio provinciale e di dinamiche demografiche differenti.

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    (Castello Doria di Angri)

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    (Angri - Ingresso al Castello Doria)

    Storia del comune
    Situata nella bassa valle del Sarno,tra i Monti Lattari e le falde del Vesuvio, Angri è un importante centro agricolo e sede di numerose industrie manifatturiere e del settore alimentare, in particolare dell'industria conserviera. Angri cominciò a svilupparsi nel secolo VII d.C.come Casale della Contea di Nocera; in seguito crescendo la sua consistenza territoriale ed economica, fu dato in feudo ai vari signori (Carafa, Avalos, Aquino, Zurlo). Il barone di Angri Giovanni Zurlo di fede Angioina, nella lotta alla successione al trono di Napoli tra Alfonso d'Aragona e Luigi III° d'Angiò, si schierò a favore di quest'ultimo. Allora la regina Giovanna II°, inviò Andrea Forte Braccio da Montone, capitano di ventura che sosteneva la causa aragonese, ad assediare il feudo Angrese. Nel 1421 dopo un breve assedio, devastò l'intero abitato e incendiò il castello. In seguito alla caduta di Alfonso d'Aragona, detronizzato dalla stessa regina, fu dichiarato legittimo erede Luigi III° d'Angiò, il quale per ringraziare Zurlo della sua fedeltà, inviò la regina Giovanna a ripristinarlo nel suo feudo. All'epoca del re Carlo I d'Angiò, molte famiglie Angresi elevate alla dignità nobiliare, iniziarono a costruirsi dimore gentilizie in diversi punti del feudo e le primitive strade del Paese, presero il nome di tali famiglie (Concilio, Coronati, Risi, Ardinghi). Verso la metà del secolo XV, Angri si staccò da Nocera divenendo una UNIVERSITAS e nel 1563 il sindaco Salvatore de Angelis, compilò i CAPITOLI dell'Universitas, stabilendo norme di vita amministrativa, adottate dai governi della Città fino all'Unificazione d'Italia.
    Ai principi del 1600 i DORIA ottennero che il feudo Angrese fosse eretto a PRINCIPATO, dal quale essi presero il titolo di Principi di Angri. Per merito di questa ricca e potente famiglia genovese, il Paese figura nella storia dell'arte, omonomizzato nel Palazzo Doria d'Angri in piazza dello Spirito Santo a Napoli, sede estiva dei Doria e splendido gioiello settecentesco. Ad Angri,nella località Pozzo dei Goti, nel 553 fu sconfitto ed ucciso il re dei goti Teia, ad opera dell'esercito bizantino comandato da Narsete, inviato dall'imperatore Giustiniano. Fu l'ultimo atto della dominazione gotica in Italia.

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    (Angri - Villa comunale)

    Il nome di Angri
    Il significato del toponimo Angri, ha origine dalle caratteristiche "geomorfiche" del sito. Il nome deriverebbe dal latino tardo Angra, che significa acqua appantanata.
    Tali caratteristiche si riscontrano nel toponimo ancora vivo di una zona denominata "Paludicella".

    Angri da:
    Anger, Ancra e Angara che indicavano fasce di terra coltivate lungo i fiumi;
    Angarius l’animale da traino o campestre;
    Angarium la stazione o officina di ferramenta e pulizia dei cavalli;
    Angrivari popolazioni germaniche delle pianure, ribellatesi a Cesare e più tardi ammesse a militare negli eserciti romani;
    Angaria stazione di posta, dove i viaggiatori si ristoravano ed effettuavano il cambio dei cavalli.
    Per la fertilità delle campagne e per la ricchezza della sua vegetazione che si estendeva tra le pendici dei monti Lattari e le sponde del Sarno, il LOCUS ANCHARIA, non poteva avere altro nome. Per la prima volta il nome Angri, apparve nel Codex Diplomaticus Cavensis dell'856, conservato nell'Abbadia di Cava dei Tirreni.

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    (Angri - Chiesa San Giovanni Battista, Santo Patrono)

    I Doria (Principi di Angri e di Centola, Duchi di Eboli e Marchesi di Pisciotta)
    Principi di Angri e di Centola, Duchi di Eboli e Marchesi di Pisciotta, la dinastia dei Doria ha accompagnato la vita della provincia di Salerno per più di tre secoli. In particolare, la famiglia di origini genovesi può vantare ben 11 principi nella storia della città di Angri, nel lunghissimo arco temporale che va dal 1636 al 1933: Don Marcantonio I, Don Niccolò I, Don Marcantonio II, il Marchese Don Marcantonio III, il Marchese Don Giovanni Carlo II, il Marchese Don Marcantonio IV, Don Giovanni Carlo III, il Marchese Don Francesco I, il Marchese Don Francesco II, il Marchese Don Ernesto, il Marchese Don Marcantonio VI. Fu, infatti, ai principi del 1600 che i Doria ottennero che il feudo Angrese fosse eretto a Principato, dal quale essi presero il titolo di Principi di Angri. Per merito di questa ricca e potente famiglia genovese, il paese figura nella storia dell'arte internazionale, grazie al bellissimo Palazzo Doria d'Angri, che si trova in piazza dello Spirito Santo a Napoli, sede estiva dei Doria e splendido gioiello settecentesco. Ma non bisogna dimenticare le bellezze che la dinastia ha lasciato in eredità sul territorio cittadino, tra le quali primeggiano il Parco dei Doria (Villa Comunale) ed il Castello Doria. Il Principe Marcantonio Doria, intenzionato a costruirsi un parco di fronte al suo palazzo, nel 1796 affidò all'architetto Pompeo Schiantarelli la realizzazione di un "giardino delle delizie", dove poter accogliere i suoi ospiti e rilassarsi. Inoltre, promosse una radicale trasformazione del Castello Doria, che fu svecchiato ed alleggerito dalle possenti strutture del primitivo aspetto di severo maniero medievale. Il vecchio, severo chiostro adattato a grandioso atrio, fu sbarrato a mezzogiorno da un artistico cancello di ferro su cui si erge l'aquila bicipite dei Doria.
    Lo splendido palazzo settecentesco dei Doria, progettato dall'architetto Francesconi, dal 1908 è divenuto la sede del Municipio.



    POMPEI

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    Ecco alcune istantanee di Pompei

    Nell'area degli scavi archeologici di Pompei è stata portata alla luce l'antica città romana distrutta tragicamente a seguito di una delle eruzioni del vicino vulcano Vesuvio, avvenuta nell'anno 79. Già alcuni anni prima - nel 62 - un terribile terremoto, premonitore della ben più grave catastrofe che si sarebbe abbattuta sulla città di lì a pochi anni, colpì Pompei e la città di Ercolano nonché altri centri della Campania. Pompei fu gravemente danneggiata, ma subito cominciò l'opera di ricostruzione. Diciassette anni più tardi, mentre i lavori continuavano a procedere a ritmo sostenuto (ed anche se gli edifici pubblici erano ancora quasi tutti da restaurare), la città e i suoi abitanti vissero una tra le più grandi tragedie della storia antica che oggi, cristallizzata nel tempo e in quell'attimo, è stata riportata in superficie divenendo il secondo sito archeologico più visitato al mondo.[senza fonte] La città tornò alla luce nel 1748, grazie agli scavi voluti e finanziati da Carlo di Borbone. Gli scavi di Pompei, con quelli di Ercolano ed Oplontis, sono riportati nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.Il sito di Pompei è stato visitato nel 2008 da 2.253.633 persone.









    La famiglia nell'antica Pompei


    La famiglia
    Fondamento della società pompeiana fu sempre la famiglia in cui era profondo il sentimento religioso. Il padre di famiglia era il sacerdote degli Dei domestici e grandissima era la sua autorità, in origine assoluta: egli solo poteva parlare ed agire in nome della famiglia intera; per la legge egli era il solo proprietario dei beni della famiglia, poteva persino vendere i figli o decretarne la morte. Godeva anche di autorità indiscussa sulla servitù e sulla moglie. Alla donna veniva tolta ogni forma di indipendenza: era sottoposta alla tutela del padre prima e del marito dopo e se orfana a quella del parente più stretto tra i maschi adulti della famiglia. Tuttavia in tempi più recenti la donna usufruì di una certa forma di indipendenza fino ad essere onorata e considerata matrona della casa: accompagnava il marito ai giochi e ai teatri e per le vie le si cedeva il passo. La donna si sposava molto giovane e con un uomo scelto, il più delle volte, dai genitori, rinunciando alla religione del proprio focolare per quella del focolare del marito; i diritti che il padre aveva su di lei si trasferivano al cittadino che la prendeva in moglie. L’uso prevedeva un fidanzamento, durante il quale i futuri coniugi si scambiavano promessa di matrimonio a cui faceva seguito il dono dell’anello da parte dello sposo alla sposa. Un neonato entrava a far parte della famiglia solo dopo la cerimonia di purificazione (dies lustricus) che liberava il bambino dalle impurità del parto; contemporaneamente il pater gli imponeva il prænomen. In questa occasione speciale, equivalente alla moderna cerimonia del battesimo, il piccolo riceveva da genitori e parenti, piccoli doni (crepundia) che gli venivano messi con una catenella intorno al collo. Non rara era l’usanza di non riconoscere i figli, soprattutto se questi erano deformi o femmine. Era antica costumanza romana affidare per i primi anni l’educazione dei bambini alle madri; diventati più grandi venivano affidati al padre che insegnava loro il proprio mestiere, sia che fosse un artigiano, un contadino, un commerciante, sia che rivestisse qualche carica nella pubblica amministrazione. L’educazione scolastica si riduceva agli elementi del leggere, dello scrivere, del far di conti e ad un po’ di letteratura. I pompeiani amavano la buona cucina: era uso mangiare tre volte al giorno. Di buon mattino facevano la prima colazione (ientaculum), verso il mezzogiorno si consumava, tra un’occupazione e l’altra, una fugace seconda colazione (prandium) basata, per lo più, sugli avanzi della sera precedente; la cena, pasto principale costituito da tre portate, nella casa dei ricchi era molto sontuosa. Il più famoso ingrediente della cucina pompeiana era il garum, ottenuto attraverso la decomposizione delle carni di pesci grassi (sgombro, sardine, anguille, salmone, tonno), aromatizzato con erbe quali il finocchio, il sedano, la menta. L’unica bevanda, oltre all’acqua, era il vino, spesso mescolato con miele e perfino acqua di mare e aromatizzato con resina e pece; un vino molto decantato era il vitis Holconia.





    La scuola

    L’istruzione era considerata un fatto privato, quindi chi la desiderava doveva provvedervi a suo completo carico. Spesso il maestro non disponeva di aule, allora al mattino, raccolti gli allievi, li conduceva in un luogo pubblico aperto quale il Foro o il Campus e sotto gli ampi porticati di tali edifici teneva la propria lezione. La didattica era quella di far esercitare la memoria, imporre cioè l’apprendimento mnemonico del maggior numero possibile di cose; il maestro era solito far ricorso alla frusta (vapula).



    Le famiglie molto ricche potevano invece permettersi un pedagogus che di solito era uno schiavo greco che doveva badare all’istruzione del ragazzo dai sei, sette anni fino ai sedici; inoltre doveva assisterlo in tutte le cose alle quali non potevano attendere i genitori. L’arredamento della scuola pompeiana era molto semplice: alcuni sgabelli per gli alunni, la cathedra o sella per il maestro, elementi didattici come figurazioni o rilievi e magari carte geografiche. L’orario delle lezioni era di circa sette ore giornaliere, suddivise in cinque ore antimeridiane e due pomeridiane, effettuate dopo una breve pausa per il prandium. L’insegnamento elementare consisteva in un quinquennio, durante il quale, oltre a leggere e a scrivere, si praticava dettato, il calcolo con l’abaco o i calculi (sassolini che servivano per l’addizione), nozioni musicali, di storia, geografia, narrazione. All’età di dodici anni cominciava, sotto la guida del grammaticus, la scuola che noi chiamiamo media, dove si studiava la grammatica, che poteva essere latina, o greca e latina. Oltre alle lingue nel ludus grammaticus si studiava storia, geografia, fisica, astronomia, aritmetica e geometria. Gli studi potevano proseguire con il rhetor (professore di eloquenza): i giovani si preparavano alla vita pubblica allargando la propria cultura con lo studio di testi classici, tra i quali si dava la massima importanza ai prosatori che “aiutavano ad apprendere”, con la metodica, la difficile arte del dire. Chi voleva proseguire gli studi oltre le scuole di retorica, per lo studio delle scienze o della filosofia doveva recarsi nei grossi centri di Atene, Alessandria, Rodi, Efeso, Pergamo, Apollonia, Napoli e Marsiglia. Per quanto riguarda gli strumenti di studio, i libri venivano trasportati in un apposita cartella (capsa) e conservati sotto forma di rotoli (volumen, da volvere) in armadi detti bibliothecæ (bibliopola era il libraio). Le tavolette cerate erano spalmate con cera mista a pece e servivano per esercitazioni scolastiche: si incideva la cera con lo stilus, un’asticciola metallica appuntita con, sull’altra estremità, una piccola spatola rotonda o piatta che serviva per cancellare le lettere già tracciate e restituire alla cera l’uniformità della superficie. Era diffuso anche l’uso del papiro, ricavato dal midollo del papirus (pianta acquatica della Valle del Nilo). L’inchiostro (ottenuto con fuliggine, resina, pece, feccia di vino, nero di seppia, con aggiunta di sostanze gommose) era di durata indefinita; ce lo hanno dimostrato i papiri ercolanensi, che rimasti sepolti sotto uno strato di cenere durante l’eruzione del 79 d.C., sono tornati alla luce (in età borbonica) privi di consistenza e quasi carbonizzati, ma ancora recanti chiari i segni della scrittura su essi tracciata. L’indagine archeologica oggi non è in grado di affermare se Pompei fosse un centro della cultura nel senso vitale e propulsivo della parola. La scoperta delle tavole cerate di Cecilio Giocondo del 1875 è rimasto un fatto eccezionale, prescindendo dalla cosiddetta Villa dei Papiri della vicina Ercolano. Non è stata trovata in Pompei una biblioteca pubblica: vi erano invece, alcune raccolte di libri appartenenti a privati. Le iscrizioni pompeiane diventano allora, la fonte precipua di informazione sulla cultura in questa città: in particolare, le iscrizioni graffite costituiscono un orientamento preciso per l’individuazione del gusto letterario e del tipo di educazione scolastica che veniva impartita.


    Il commercio
    La vita commerciale a Pompei era molto attiva: lo testimonia la presenza di numerose botteghe, taverne, officine ed osterie, che fanno supporre una produzione, oltre che sufficiente al fabbisogno della città, destinata anche all’esportazione. Uno dei prodotti maggiormente destinati all’esportazione era il garum, una salsa di origine orientale, che veniva ricavata lasciando fermentare al sole gli intestini di alcuni pesci (sgombro, tonno, murena), che si trasformavano in una sorta di crema, che veniva successivamente setacciata con l’ausilio di canestri di vimini. Una volta confezionata, veniva posta all’interno di giare e venduta. Dato l’elevato numero di panifici presenti a Pompei, si presuppone che anche il pane fosse un prodotto esportato nei paesi vicini. Nei mulini erano presenti diverse mole, manovrate da buoi o da schiavi, che macinavano il grano per ottenere la farina, che veniva impastata e manipolata fino ad ottenere le forme volute (di solito delle ciambelle), cotte nei forni a legna ed esposte sui banchi di vendita. Anche le anfore con il Vesuvinum, il vino prodotto con le uve locali, erano esportate in Spagna, in Gallia e in Britannia. Le tabernæ e officinæ corrispondevano alle attuali botteghe e laboratori di produzione: si fabbricavano stoffe, oggetti di feltro e tessuti, che venivano utilizzati per confezionare toghe, tuniche, mantelli e nastri. Le lavanderie e le tintorie erano denomina fullonicæ e vi si lavavano i panni, con vapori di zolfo e altri particolari ingredienti nell’acqua; per tinteggiare si adoperavano recipienti speciali. I panni venivano poi asciugati al sole e stirati, pressandoli con il torchio. Importante nella città era anche l’industria della lana, fornita dalle pecore dei monti Lattari, che veniva venduta in un apposito mercato all’aperto. Pompei aveva anche un porto, del quale non si conosce l’esatta conformazione, dove attraccavano le navi per sbarcare il loro carico, che, su piccole imbarcazioni, arrivava all’interno della piana risalendo il corso del fiume Sarno.




    Caserma dei Gladiatori


    La religione

    Pompei era una zona di grossi traffici, in quanto occupava una posizione topografica di strategica importanza ai fini delle relazioni commerciali con altri popoli. Questa stessa posizione favoriva lo sviluppo di un ambiente cosmopolita e quindi una fioritura e una mescolanza di religioni diverse.



    Oltre i primi culti osco – sannitici e italici, i pompeiani amavano Ercole che ritenevano fondatore e protettore della propria città e al quale fin dal VI sec. a.C. avevano dedicato il Tempio Dorico del Foro Triangolare. Ad Ercole, come nume tutelare della città e protettore delle vigne dell’agro vesuviano, i pompeiani avevano associato Bacco; il suo culto era molto vivo nelle città ma soprattutto nelle campagne, dove veniva invocato per la prosperità dei vitigni, fonte prima di guadagno e di ricchezza per l’economia pompeiana. A Dioniso (nome greco del dio del vino) erano dedicati i giardini, dove la sua presenza veniva vissuta quotidianamente attraverso i simboli del suo culto (ghirlande di edera, uva, maschere satiriche) e le immagini delle divinità boschive del suo corteggio (Satiri, Sileni, Fauni, Ninfe). Un posto privilegiato nella sensibilità religiosa dei pompeiani occupava Venere, primitiva divinità campana legata all’agricoltura; era conosciuta nella città come Venus Synthrophos e Venus Physica, attributi di matrice naturalistica e fu assimilata alla Venus Felix di Silla, divinità protettrice della gens sillana, quando nell’80 a.C. il dittatore prese il potere in Pompei e assegnò alla città il nome di Colonia Cornelia Veneria Pompeianorum. L’adesione alla sovranità di Roma si esprimeva invece attraverso il culto della triade capitolina: Giove, Minerva e Giunone. Giove, col nome di Jupiter Optimus Maximus era riverito nel monumentale Tempio di Giove Capitolino installato nel Foro. Anche Giunone era venerata nel Capitolium, ma le tracce del suo culto non sono altrettanto evidenti. Non minore era l’attaccamento dei pompeiani per Minerva, che era stata consacrata quale protettrice della corporazione dei fulloni e fin dall’età sannitica era ritenuta patrona delle porte della città. Era venerata nel Capitolium, ma anche alcune pitture testimoniano la devozione per questa dea. Vivo era anche il culto di Apollo, che fu diffuso in Campania, in Etruria e a Roma dai greci di Cuma. Tollerati furono a Pompei anche i culti orientali, specie quello di Iside, protettrice dei marinai; verso la fine del II sec. a.C. a questa divinità egizia era stato dedicato un tempio che fu distrutto dal terremoto del 62 e successivamente ricostruito su pianta italica. Il culto isiaco ebbe un numero considerevole di fedeli ed era vissuto dai devoti attraverso cerimonie quotidiane e feste periodiche. Un posto importante nel cuore del pompeiano occupava il culto dei lari, ossia la religione che egli viveva quotidianamente nel rispetto degli antenati e delle divinità che sentiva più vicine alla sua sensibilità, venerate con piccole offerte davanti al larario e nel sacrario della sua casa. I lari sono antiche divinità latine che, secondo una teoria, prima custodi del podere, sarebbero più tardi diventati protettori dello stato e quindi della casa.

    R O T A S
    O P E R A
    T E N E T
    A R E P O
    S A T O R

    Alcune scritte in lingua ebraica, come la famosa Sodoma e Gomorra, qualche statuina e tracce di onomastica di origine ebraica fanno pensare altresì ad una presenza giudaica nella città. Testimonianze concrete, oggettivamente certe, di una presenza cristiana a Pompei non si hanno, almeno stando alle diverse interpretazioni di graffiti, scritti e oggetti che sembrano chiamare in causa i cristiani. Anche la certezza della matrice cristiana del crittogramma del Pater Noster, il famoso quadrato magico graffito nella Casa di Paquio Proculo e su una colonna della Palestra Grande, (formato da cinque parole di cinque lettere, leggibile in tutti i sensi, le cui lettere, scomposte e ricomposte, formano due volte l'espressione Pater Noster) è venuta meno a seguito delle serrate critiche degli studiosi. Nonostante quanto detto, presenze cristiane a Pompei teoricamente non sono da escludere, potendosi esse riconnettere direttamente all’esistenza di gruppi giudaici nella valle del Sarno, i quali per primi furono in grado di recepire il messaggio cristiano.



    Un pane carbonizzato


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    POMPEI

    pompei14

    QUESTE IMMAGINI..FANNO CAPIRE COME..LA CENERE..ALLO SCOPPIO DEL VULCANO..ABBIA PRESO TUTTI..ALLA SPROVVISTA....MOLTE PERSONE.......NN SI SONO ACCORTI DI NULLA..

    Pompei_Calchi



    pompei

    vesuvio-eruzione



    L'eruzione del 79 (Ercolano)

    Già gravemente danneggiata dal terremoto del 62, la città venne poi distrutta dall'eruzione del Vesuvio (79), che la coprì con un'ingente massa di fango, cenere ed altri materiali eruttivi trascinati dall'acqua piovana che, penetrando in ogni apertura, si solidificò in uno strato compatto e duro di 15-20 metri. L'eruzione del Vesuvio si articolò in due fasi: la prima fu della durata complessiva di 12 ore, con caduta di pomici bianche e grigie; la seconda della durata di sette ore costituita dall'alternarsi di nubi ardenti e di colate piroclastiche. E fu questa seconda fase che colpì principalmente Ercolano, seppellendola sotto una coltre di oltre 20 metri. A seguito di analisi termogravimetriche si è sostenuto che la temperatura fosse di circa 300-320 °C. Questa temperatura avrebbe permesso la conservazione dei papiri, ritrovati nella villa conosciuta come Villa dei Papiri o dei Pisoni, che si sono conservati in condizioni più o meno buone a seguito di un processo di carbonizzazione. Se ciò fosse vero non si capirebbe come in alcuni edifici - ad esempio nelle Terme suburbane - il legno si conserva nel colore naturale: una porta gira ancora sui cardini originali. Si può supporre che un'elevata temperatura abbia coinvolto solo alcune zone della città.



    POMPEI (Na) – Era l’una del pomeriggio del 24 agosto del 79 dopo Cristo: e oggii, per ricordare nella stessa ora in cui ebbe inizio il fenomeno dell’eruzione del Vesuvio (nella foto di repertorio si riferisce all’eruzione del Marzo 44) , i tanti visitatori che in questi giorni affollano gli scavi di Pompei hanno assistito alla lettura delle famose lettere di Plinio il Giovane a Tacito, in uno dei luoghi più suggestivi dell’area archeologica, il Foro triangolare nella zona dei teatri.

    vesuvio





    Scavi di Ercolano, veduta aerea




    Il tempio di Apollo nei campi Flegrei



    IL VESUVIO
    Dati generali


    Si tratta di un vulcano particolarmente interessante per la sua storia e per la frequenza delle sue eruzioni. Fa parte del sistema montuoso Somma -il Vesuvio è alto 1252 metri. È situato leggermente all'interno della costa del golfo di Napoli, ad una decina di chilometri ad est del capoluogo campano. Il Vesuvio costituisce un colpo d'occhio di inconsueta bellezza nel panorama del golfo, specialmente se visto dal mare con la città sullo sfondo. Una celebre immagine da cartolina ripresa dalla collina di Posillipo lo ha fatto entrare di diritto nell'immaginario collettivo della città di Napoli. Comunque il Vesuvio detiene un primato a livello mondiale: è il vulcano che per primo è stato studiato sistematicamente (per volontà della casa regnante dei Borbone) e anche oggi è il vulcano più monitorato e studiato.

    Vesuvio visto da Posillipo
    Risale infatti al 1841 (per volontà del re Ferdinando II delle Due Sicilie) la costruzione di un Osservatorio (tuttora funzionante, anche se solo come dependance di più moderne strutture ubicate a Napoli) e si può ben dire che la vulcanologia, come vera e propria ricerca scientifica, nasce in quegli anni. Ancora in anni più recenti, siamo ai primi decenni del XX secolo, quando gli statunitensi decisero di creare un osservatorio alle Hawaii, si rifecero all'esperienza vesuviana. Dal 1944 non si sono più avute sue eruzioni. Pur tuttavia, essendo il vulcano considerato in stato di quiescenza, alcuni interventi legislativi hanno individuato una zona rossa comprendente 18 Comuni (quelli del Parco Nazionale del Vesuvio: Boscoreale, Boscotrecase, Ottaviano, Pollena Trocchia, Ercolano, San Giuseppe Vesuviano, San Sebastiano al Vesuvio, Sant'Anastasia, Somma Vesuviana, Terzigno, Torre Del Greco, Trecase, Massa di Somma oltre a Cercola, Pompei, Portici, San Giorgio a Cremano, Torre Annunziata); il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile, con la collaborazione della comunità scientifica e delle autorità locali, ha predisposto un piano di emergenza che viene costantemente aggiornato. I Comuni, inoltre, mettono ciclicamente in atto delle esercitazioni di Protezione Civile al fine di preparare la popolazione all'evento dell'eruzione.[senza fonte] Di recente, la Regione ha predisposto incentivi atti a favorire il decongestionamento dell'area a maggior rischio. Quest'azione degli incentivi economici però non ha avuto il risultato sperato in quanto le popolazioni dei comuni hanno mostrato resistenza a lasciare i luoghi. Infatti quasi tutti dicono che sarebbe stato meglio (invece di utilizzare i fondi per destinarli a questi incentivi di esodo) creare altre "vie di fuga" dal vulcano e istituire un ancora maggiore sistema di monitoraggio preventivo per sapere in anticipo di eventuali manifestazioni eruttive. Inoltre le popolazioni hanno richiesto modifiche sostanziali agli interventi legislativi relativi alla "zona rossa" (ad esempio la diversificazione dei vincoli tra la zona vesuviana marittima da quella della zona interna "sommana" e, ancora, la diversificazione in base alla altitudi



    Il Vesuvio al tramonto

    Origini del nome

    Il Vesuvio visto dal satellite



    Nell'antichità si riteneva che il Vesuvio fosse consacrato all'eroe semidio Ercole, e la città di Ercolano, alla sua base, prendeva da questi il nome, così come anche il vulcano, seppur indirettamente. Ercole infatti era il figlio che il dio Giove aveva avuto da Alcmena, una donna di Tebe. Uno degli epiteti di Giove (Zeus nella Grecia antica) era Ὕης (Üès), cioè colui che fa piovere. Così Ercole divenne Ὑησουυιὸς (Üesouüios), cioè il figlio di Ües, da cui deriva il latino Vesuvius (pron Uesuuius). Una tradizione popolare della fine del Seicento, vorrebbe invece che la parola derivi dalla locuzione latina "Veh suis" ("Guai ai suoi"), giacché la maggior parte delle eruzioni sino ad allora accadute, avevano sempre preceduto o posticipato avvenimenti storici importanti, e quasi sempre carichi di disgrazie per Napoli o la Campania. Un esempio su tutti: l'eruzione del 1631 sarebbe stato il "preavviso" naturale dei moti di Masaniello del 1647.



    Eruzioni nell'antichità
    Impronte di fuggitivi nelle ceneri dell'eruzione detta delle "pomici di Avellino" (datata tra il 1880 e il 1680 a.C.) Si ritiene che già 400.000 anni fa la zona del Vesuvio sia stata soggetta ad attività vulcanica, tuttavia sembra che la montagna abbia iniziato a formarsi 25.000 anni fa, probabilmente come vulcano sottomarino nel Golfo di Napoli; emersa successivamente come isola, si unì alla terraferma per l'accumulo dei materiali eiattati. Tra i 19.000 anni fa e il 79 ebbero luogo una serie di violente eruzioni intercalate da periodi di quiete del vulcano. Dall'origine della montagna ai principali eventi sono state attribuite varie denominazioni:

    * Codola (25.000 anni fa)
    * Sarno-Pomici, basici (17.000 anni fa)
    * Pomici verdoline (15.500 anni fa)
    * Mercato o Pomici di Ottaviano (7.900 anni fa)
    * Pomici di Avellino (datata tra il 1880 e il 1680 a.C.)
    * Pompei (79 d.C.)

    Tutte queste eruzioni, per la loro immane violenza, ma anche perché simili a quella che distrusse Pompei, sono chiamate eruzioni Pliniane (dai nomi di Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane, studiosi Romani che furono testimoni dell'eruzione del 79 d.C.). Per fare un esempio, ciascuna delle eruzioni più violente avvenute dopo il 79, dette Subpliniane, sono potenti almeno la metà di una regolare eruzione pliniana. Tra le eruzioni precedenti, in particolare si ricorda l'eruzione denominata Avellino in quanto ha lasciato tracce fino all'omonima città campana e che ha seppellito l'area dove oggi sorge Napoli. L'accertamento dell'esistenza di questo evento ha fatto ulteriormente innalzare la soglia d'allarme per future eruzioni che potenzialmente potrebbero coinvolgere un'area dove oggi vivono più di tre milioni di persone.

    L'Eruzione del 79 D.C

    La data dell'eruzione del Vesuvio del 79 ci è stata trasmessa da Plinio il giovane attraverso una lettera contenuta nel suo epistolario spedita a Tacito (passo sopra riportato nella citazione) in cui si legge nonum kal. septembres cioè nove giorni prima delle Calende di settembre, data che corrisponde al 24 agosto. Questa data era contenuta nella variante universalmente ritenuta più attendibile del manoscritto ed è stata accettata come sicura fino ad oggi, anche se alcuni dati archeologici via via emersi mal si accordavano con una data estiva. Infatti nello scavo dell'area vesuviana, sigillati dai lapilli, sono stati ritrovati (carbonizzati o tramite indagini archebotaniche) resti di frutta secca (come fichi secchi, datteri, susine), frutta tipicamente autunnale (come ad esempio melograni, castagne, uva, noci), si era completata la raccolta della canapa da semina (raccolta che si effettuava solitamente a settembre), la vendemmia (effettuata solitamente nel periodo di settembre/ottobre) era da tempo terminata e il mosto sigillato nelle anfore interrate, oltre ad essere posti in uso nelle case oggetti tipicamente autunnali come bracieri. Tali anfore venivano chiuse soltanto dopo un periodo di fermentazione all'aria aperta della durata di una decina di giorni: dunque l'eruzione avvenne, se si considera attendibile questo elemento d'indagine, in un periodo successivo. Anche nel caso di una vendemmia anticipata, i giorni intercorsi tra la raccolta, la pigiatura e la prima fermentazione consentono di spostare la data avanti con una certa sicurezza. Questi motivi portarono Carlo Maria Rosini, appassionato napoletano del Settecento, ad avanzavare l'ipotesi che il testo plinano fosse sbagliato; egli propendeva per la data riportata da Cassio Dione Cocceiano non. kal. dec., cioè il 23 novembre, che meglio si accordava con i dati archeologici. Tale ipotesi fu però respinta, all'epoca, e si continuò a considerare come esatta la data del 24 agosto. Analizzando i diversi manoscritti del testo pliniano che ci sono giunti si può vedere che, oltre alla versione maggiormente attestata, esistono altre varianti del passo in questione, ognuna delle quali indica una data diversa. La presenza di diverse varianti in un manoscritto è dovuta ad errori di trascrizione che il testo ha subito nei secoli, ma non necessariamente la variante numericamente più attestata è quella corretta. Neanche la variante più antica può essere considerata immune ad errori che possono essere stati commessi in trascrizioni precedenti. Quindi la data del 24 agosto, ricavata da una delle varianti del testo di Plinio, è tutt'altro che certa.
    Un ultimo rinvenimento numismatico ha permesso di accertare l'effettiva infondatezza della datazione estiva. Un denario d'argento trovato il 7 giugno 1974 nello scavo a Pompei, vicino alla Casa del bracciale d'oro (Insula Occidentalis) porta sul retto impressa l'iscrizione:




    Suggestiva veduta



    La morte di Plinio

    Nel 62 gli abitanti subirono un primo colpo: la montagna si scosse violentemente e un gran numero di case vennero distrutte dal terremoto. Il successivo periodo di tranquillità favorì la ricostruzione degli edifici crollati. La vita riprese a scorrere ordinata e tranquilla in quelle terre che, ormai stabilmente inserite nel ben strutturato sistema imperiale, si potevano ritenere al riparo da qualsiasi minaccia esterna. Le abbondanti reliquie di quel periodo sono tipiche di ricche, operose cittadine di provincia, lontane tanto dal fasto e dal rumore dell' Urbe che dall'atmosfera raffinata e decadente della greca Neapolis, pur vicinissima. Ma un giorno dell'autunno del 79 su Stabia, Pompei e Ercolano si scatenò il finimondo. Plinio il Vecchio quel giorno era al suo posto di comando della flotta romana dislocata a Miseno. La sua famiglia era con lui, e, tra gli altri, suo nipote, Plinio il Giovane, ci ha lasciato un'interessante testimonianza su ciò che successe. Egli osservò una nube molto densa elevarsi in direzione del Vesuvio, della quale scrisse: « Non posso darvi una descrizione più precisa della sua forma se non paragonarla a quella di un albero di pino; infatti si elevava a grande altezza come un enorme tronco, dalla cui cima si disperdevano formazioni simili a rami. Sembrava in alcuni punti più chiara ed in altri più scura, a seconda di quanto fosse impregnata di terra e cenere. »
    (Plinio il Giovane)

    Vedendo questa notevole apparizione, Plinio il Vecchio, grande naturalista e, ovviamente, attento all'osservazione di fenomeni insoliti, fece approntare una nave per andare a vedere più da vicino cosa stesse avvenendo, e offrì al nipote l'opportunità di accompagnarlo. Plinio il Giovane che preferì restare a casa a studiare, nelle già citate lettere, a Tacito, descrive anche la fine dello zio. Questi, infatti, aveva ricevuto, nel frattempo, una lettera da Ercolano dalla moglie di Cesio Basso, Retina che chiedeva aiuto non avendo altro scampo che per mare. La missione da scientifica si trasformò quindi in soccorso: Plinio, comandante della flotta di Miseno, ben conosceva il litorale vesuviano dove erano le residenze di numerosi amici. Altre navi furono quindi fatte salpare verso quelle spiagge. Mentre si stava perciò dirigendo verso Ercolano ai piedi della montagna, la nave fu investita da una pioggia di cenere rovente, che diveniva più intensa e calda quanto più si avvicinava, cadendo, insieme a grumi di pomice e roccia nera e rovente. Una grande quantità di frammenti rotolava giù dalla montagna, agglomerandosi sempre di più. Il mare, poi, iniziò a ritirarsi, rendendo impossibile l'approdo. Plinio, pertanto, si diresse verso Stabia e lì approdò, facendosi ospitare da Pomponiano (Pomponianus), un suo vecchio amico. Nel frattempo, le fiamme scaturivano da ogni parte della montagna con grande violenza - l'oscurità non faceva altro che aumentare il loro splendore. Nonostante tutto, Plinio decise di riposare. Ma presto la zona si riempì di lapilli e ceneri; i suoi servi lo svegliarono, e lui raggiunse Pomponiano e la famiglia. La casa tremava per le forti scosse di terremoto e, nel frattempo, lapilli e ceneri continuavano a piovere all'esterno. Valutati i rischi tutti pensarono che fosse più sicuro uscire all'aperto proteggendosi la testa con cuscini. Anche se era ormai giorno, l'oscurità era più profonda della notte più nera. Plinio, persona di complessione robusta ma asmatica, dopo aver bevuto acqua fredda, si stese su una vela che era stata stesa per lui ma, quasi immediatamente, la lava, preceduta da un forte odore di zolfo lo obbligò ad alzarsi. Con l'aiuto di due servi ci riuscì, tuttavia, soffocato dai vapori tossici, morì istantaneamente. Il corpo, rintracciato dopo tre giorni, "sembrava di persona che dormisse". In un'altra lettera a Tacito, Plinio il Giovane si sofferma invece su quanto accadde a Miseno, dove era restato con la famiglia. Si tratta di una descrizione altamente drammatica, in specie nella raffigurazione della "notte" che calò sull'abitato (che, va ricordato, è situato all'estremo opposto rispetto alla costa vesuviana). Infatti, Plinio è molto preciso e puntualizza che furono avvolti da una notte che non era una notte illune o nuvolosa ma il buio di una stanza chiusa e senza la minima luce. Ci si muoveva, ricorda, in questo buio fitto, liberandosi di continuo dalle ceneri calde che cadevano ininterrottamente e che, altrimenti avrebbero sommerso le persone. La distruzione di Pompei, Ercolano e Stabia. L'attuale Vesuvio ha un'altezza minore rispetto a quella che aveva in epoca romana, quando i due pendii si univano in un'unica cima. Molti degli abitanti delle città vesuviane non furono in grado di trovare una via di fuga, l'improvvisa e sopraffacente pioggia di cenere e lapilli fece sì che non pochi di loro perirono nelle strade. Le città stesse scomparvero alla vista, sepolte sotto almeno 10 metri di materiali eruttivi. Le desolate distese che avevano visto la vita vivace e ricca, ora erano evitate e oggetto di terrori superstiziosi. Le caratteristiche dei fenomeni che interessarono Pompei e Stabia rispetto ad Ercolano: le prime furono sommerse da una pioggia di cenere e lapilli che, salvo un intervallo di alcune ore (trappola mortale per tanti che rientrarono alla ricerca di persone care e oggetti preziosi), cadde ininterrotta. Ercolano invece non fu investita nella prima fase, ma quasi dodici ore dopo e, sino alle recentissime scoperte, si era pensato che tutti gli abitanti si fossero posti in salvo. Diversa fu la natura dei fenomeni che interessarono questo piccolo centro, molto più elegante e raffinato delle commerciali Pompei e Stabia. Infatti, il gigantesco pino di materiali eruttivi prese a collassare e, per effetto del vento, un'infernale mistura di gas roventi, ceneri e vapore acqueo, investì l'area di Ercolano. Coloro che si trovavano all'aperto ebbero forse miglior sorte, vaporizzati all'istante, di chi trovandosi al riparo ha lasciato tracce di una morte che, pur rapida, ebbe caratteristiche tremende. Il fenomeno è oggi conosciuto come "nube ardente" o frane piroclastiche. Al calar della sera del secondo giorno, l'attività eruttiva iniziò a calare rapidamente fino a cessare del tutto. L'eruzione era durata poco più di 25 ore, durante le quali il vulcano aveva espulso quasi un miliardo di metri cubi di materiale.




    Stampa del Vesuvio visto da Pompei







    MONTE DI PROCIDA

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  2. tomiva57
     
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  3. gheagabry
     
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    La terra infuocata dei Campi Flegrei
    di Maria Teresa Merlino



    “Una terra col solo respiro delle pietre, deserta, con acque in ebollizione, coi resti di una storia disegnata nei vulcani spenti e semispenti; la regione più meravigliosa del mondo sotto il cielo più puro ed il terreno più infido”. Così Johann Wolfgang Goethe, nel 1787, raccontava i Campi Flegrei nel suo Viaggio in Italia.

    Lo scrittore tedesco parlava di quello che oggi è diventato un Parco e quindi un’area protetta e salvaguardata, che comprende una vasta area a nord-ovest della città di Napoli. Monte di Procida, Pozzuoli, Bacoli, Cuma, molte frazioni come Lucrino (Pozzuoli) e Agnano (Napoli) e molte isole (Ischia) ne fanno parte. Si tratta di un territorio di origine vulcanica, come dimostrano le sue innumerevoli bocche crateriche.

    Terra dal fascino irresistibile che ammalia e allo stesso tempo incute timore. Tra paesaggi dai più variegati. Terra del sole, del mare e delle viste mozzafiato su un mare che luccica di riflessi argentei. A poche miglia da Ischia, Procida e Capri si erge Monte di Procida. Sembra gli faccia da vedetta. “Il palco reale di un sontuoso teatro dell’opera”.

    Una volta qui mi spiegano che sono circondata da vulcani ancora attivi. Tra questi Monte Nuovo, andato in eruzione solo una volta (nel lontanto 1538) e che oggi è divenuto un’oasi naturalistica. Svettano le tre cime del complesso vulcanico del Gauro e dominano l’intero territorio. Il cratere degli Astroni è una perla rara per il suo ecosistema.



    In questa terra anche i laghi sono di natura vulcanica. Insenature e piccoli isolotti decorano il Lago di Averno, di Miseno, di Lucrino, e il Lago Fusaro. E le impetuose trasformazioni del territorio hanno creato numerosi angoli termali e sorgenti di acque dallo straordinario valore terapeutico. Mi immergo nelle famose “Stufe di Nerone” e qui riesco a farmi una sauna in uno degli impianti di epoca romana. Mi trovo proprio dove l’imperatore in diversi periodi del I secolo d.C. veniva a trastullarsi.

    Ogni elemento del paesaggio evoca suggestioni remote. Le sole scogliere tufacee di Monte di Procida sono frutto di eruzioni ultramillenarie che hanno lasciato i loro segni indelebili e rendono l’ambiente naturalistico meravigliosamente affascinante. Uno dei vulcani più famosi è senz’altro quello di Pozzuoli: la Solfatara. Qui mi danno il benvenuto rivoli di fumo che fuoriescono dalle fumarole. Cammino sopra un terreno caldo e vaporoso. Esalazioni sulfuree. L’odore di uova marce è quasi nauseante, ma non so resistere alla tentazione di passeggiare lungo tutto il cratere.

    Nascosti in questo incantevole scenario naturalistico, a rendere ancora più suggestive queste località, sono i reperti archeologici che testimoniano una storia millenaria. Molti popoli sono approdati su queste coste e hanno colonizzato queste terre, in primis Greci e Romani.



    I Greci iniziarono la loro colonizzazione in tutto il Mezzogiorno d’Italia nell’VIII secolo a.C. e nel lontano 770 a.C. l’isola della Giare (Pithekoussai) fu la prima ad essere fondata quando alcuni di loro, provenendo dall’isola di Eubea (come riferiscono le fonti storiche) crearono i loro primi nuclei abitativi nell’isola di Ischia. Poco più tardi si spinsero in tutto il territorio flegreo.

    Dopo la vittoria dei Romani sui Sanniti nel 338 a.C., con l’appoggio di Cuma, ebbe inizio l’insediamento delle colonie romane in tutta l’area. Una delle prime fu Puteoli, l’odierna Pozzuoli. Fu il porto di Roma verso l’Oriente fino a quando Traiano non decise di farlo costruire a Ostia Antica. Tra stradine ed edifici romani, il Tempio di Augusto e della Serapide e le necropoli monumentali giungo nell’Anfiteatro Flavio, il terzo più grande d’Italia. Simboli della dominazione romana.



    A partire dal II secolo a.C. i luoghi più belli, tra Miseno e Posillipo, divennero sede delle più sontuose ville degli aristocratici romani. Baia (frazione di Bacoli) era il luogo preferito per il soggiorno degli imperatori . I Templi di Venere, di Diana e di Mercurio erano in origine gli impianti termali da loro più frequentati. Antichi capricci. Ozi imperiali.



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