LA CAMPANIA 5^Parte

SORRENTO..LA TERRA DEI LIMONI..ACERRA..CIMITILE..BAIA..LE ROCCE VULCANICHE..

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI



    "... Mercoledì .... suoni dapprima indistinti risuonano da lontano .... la nostra mongolfiera viaggia verso sud percorrendo una rotta sulle terre della Campania .... ci sospingono le note di un mandolino che addolcisce l'aria tutt'intorno a noi .... Sorrento con magici ricordi di pellicole lontane nel tempo ma sempre fortemente attuali ... le note di una melodia divenuta simbolo di quei luoghi .... poi Bacoli, Portici e Torre Annunziata .... poesie scritte nel tempo immobili nella loro bellezza .... un crescendo di emozioni legate a luoghi magici nella loro eterna bellezza ..... il sole brilla alto sopra di noi e sembra sorridere e felice illumina ogni spazio per fare in modo che nulla resti nascosto ai nostri occhi ..... Buon risveglio amici miei .... mai termine fu più azzeccato come quello coniato dagli antichi romani per la Campania ....... Terra felix ..."


    (Claudio)



    SORRENTO..LA TERRA DEI LIMONI..ACERRA..CIMITILE..BAIA..LE ROCCE VULCANICHE..IL MIGLIO D'ORO



    “Appartenere ad una terra bellissima e generosa come la Campania è motivo di profondo orgoglio; per quanto se ne dica sui suoi lati oscuri, parole e fatti non possono adombrare o rendere meno affascinanti quelle tracce che la storia e la cultura durante i secoli hanno disseminato qua e là su questa terra, che la natura ha forgiato con amore, donandole scorci di mare di una bellezza disarmante e colline e montagne baciate dal sole…Se esistesse davvero, forse l’Eden sarebbe così..”



    “Sorrento ha il fascino di un luogo magico legato al cinema d’autore e al mito Sophia Loren (qui venne infatti girato “Pane Amore e…” con Vittorio De Sica), saranno le suggestioni di un brano di musica, Torna a Surriento, che ha portato in giro per il mondo l’incanto di questa terra, o la prelibatezza di prodotti genuini e unici, come i formaggi e i limoni… Disteso su una terrazza tufacea che domina maestosa sul golfo, appena giunti in centro, Sorrento si mostra in tutto il suo celebre fascino: una passeggiata lungo Corso Italia e si è in Piazza Tasso, in pieno centro storico, racchiuso tra le mura antiche di origine greco-osca. Su quello che era il nucleo primitivo si sovrappose l’insediamento romano, di cui restano ancora oggi strutture e ville maestose. I romani continuarono a rispettare la pianta urbana definita dai greci, disegnata nel tufo…. lungo le piccole scalinate che dal centro scendono ripide tra le rocce tufacee per raggiungere il mare, attraverso gli archi e le cinque porte d’accesso alla città, come quelle di Marina Grande e di Piazza Tasso, che hanno difeso i tesori di questa terra durante le invasioni saracene….sontuosi Palazzi dalle decorazioni arabo-bizantine, come Palazzo Veniero e Palazzo Correale, - che racchiude un meraviglioso cortile maiolicato del 1700… i Sedili di Porta e Dominova, un tempo luogo di riunione della nobiltà sorrentina. Poi la Cattedrale, la Basilica di Sant’Antonio, il Duomo, il Chiostro di San Francesco…..il Vallone dei Mulini, una profonda ferita nella roccia, che attraversa il blocco tufaceo su cui sorge Sorrento. La terra, spaccatasi durante l’antichissima eruzione vulcanica che devastò il Mediterraneo 35.000 anni fa, si riempì in quel punto proprio con i detriti dell’eruzione, ostruendo il passaggio ai corsi d’acqua locali, che nella necessità di trovare uno sbocco verso il mare crearono una fenditura attraverso il blocco. L’immensa valle che ne viene fuori, dove lo sguardo si perde verso il mare in lontananza, prende il nome di Vallone dei Mulini: qui infatti un tempo vi era un mulino – rimasto in funzione fino agli inizi del ‘900 - usato per la macinazione del grano…..l’antica “Syrenusion” o “Syreon”, come fu definita dai greci, terra delle sirene, le mitiche creature metà donna e metà pesce narrate da Omero nell’Odissea, la patria di Torquato Tasso, continua a conservare quel carisma inossidabile che ha attirato poeti ed artisti da Goethe a D’Annunzio, da Rossini a Wagner.. i colori vivacissimi di una città pervasa dai fiori, i parchi immensi e i giardini, i rigogliosi aranceti si alternano a serre a cielo aperto di limoni lungo le strade che portano al centro, e nell’aria un profumo delicato di gelsomino…”



    “Lì dove le ampie distese di agrumeti colorano la costa, si staglia la piccola cittadina di Piano di Sorrento. Vigneti, ulivi, alberi da frutta e gelsi si diramano lungo le alture dei colli sorrentini …Lungo la fascia costiera, una vasta zona contornata di sabbia rende il paesaggio una fotografia quasi irreale. I colori caldi del mare si mischiano a quelli più freddi degli alberi…..Greci, Oschi e Campani hanno abitato nell’antica Planities il cui territorio era un tutt’uno con la città di Sorrento. Soltanto nel 1808, grazie a Giuseppe Bonaparte, riuscì a staccarsi dalla città confinante ottenendo la definitiva indipendenza nel 1946 con la fine della guerra…….La zona del centro storico si apre come il tendone di un teatro, mostrando poco a poco le bellezze del passato…..La Parrocchiale di San Michele risale al IX-X secolo, fu realizzata su un preesistente tempio pagano…..il Convento delle Agostiniane, cinto da un ricco agrumeto, mentre in Piazza delle Rose fa capolino il Monumento ai Caduti……La tela del teatro continua ad aprirsi ed altri segreti si mostrano… il Convento e la Chiesa dei Santi Giuseppe e Teresa….. Si narra che una popolana, il cui nome era Rosa Maresca, chiese alla Madonna di salvare il figlio malato e si rivolse ad un suo quadro. Dopo aver ricevuto la grazia fece ripulire la tela, ancora oggi venerata da tutti, che conservò poi in un tempietto all’interno del quale la donna fu sepolta….Camminare per le strade di Piano vuol dire inebriarsi di odori e profumi moderni e antichi… profumano della dolce fragranza del caffè napoletano. Il Corso Italia si dipinge dei toni classici della nobiltà napoletana dell’Ottocento…alla fine lascia i battenti alla Cavone, la salita chiamata così per le cave in tufo della zona. Lungo la pendenza, la Parrocchiale della Santissima Trinità dà il buongiorno ai passanti con una citazione latina: Lateranensi basilicae aggregata, per ricordare l’aggregazione alla Basilica di San Giovanni in Laterano.”



    “Terra di limoni giganti e scorci di mare, tra rocce scoscese lungo cordoni infiniti di curve che costeggiano tutta la penisola Sorrentina….. Sorrento ha una fama che precede la sua straordinaria bellezza…Appena fuori Sorrento, Massa Lubrense attraverso una serie di stradine che salgono e scendono tra i sentieri collinari profumatissimi, coperti da limoneti, querceti e piante rampicanti fresche e rigogliose. Da questa altezza lo sguardo si perde verso il mare… il panorama si apre su tutto il litorale che da Punta Campanella – l’estremità della penisola sorrentina – arriva fino a Napoli, con Capri e Ischia in bella mostra, e sua maestà il Vesuvio che domina imponente sulle città in lontananza….Terra antica di miti e storie che si perdono nella notte dei tempi, il primo nucleo di Massa Lubrense era chiamato ”Sirenusion”, per la presenza nelle sue acque delle Sirene, creature fantastiche che avrebbero convinto Ulisse e i suoi uomini a fermarsi in questa zona: qui, infatti, Ulisse avrebbe fondato a Punta Campanella l’Athenaion, un grande santuario dedicato ad Atena, in cui, in un primo momento veniva celebrato il culto delle Sirene e per questo chiamato dai Greci Sirenusae, mentre successivamente, sotto l’influsso della cultura romana, sarebbe diventato Promontorium Minervae…… l’intero tratto della penisola sorrentina sarebbe diventato meta di villeggiatura di ricchi patrizi, che qui avrebbero costruito ville e abitazioni sontuosissime di cui restano tracce disseminate lungo tutto il litorale…..Poche le strade percorribili …. che conducono dal centro di Massa Lubrense a tutti i suoi 18 piccoli borghi e frazioni, dalla pittoresca Marina della Lobra alla spettacolare Sant’Agata sui Due Golfi: poche abitazioni in tufo, giardini privati, pergolati e agrumeti coperti dalle caratteristiche pagliarelle che si integrano in modo armonioso con la vegetazione spontanea e selvaggia dei sentieri che s’inerpicano lungo le colline o scendono giù fino al mare… dove resistono al tempo antichi casali e torri saracene, erette un tempo a protezione del centro abitato… o lungo vecchie mulattiere che conducono alla scoperta di paesaggi inconsueti dei Monti Lattari.”



    “Cisterna, possiede anche un piccolo stadio dove si svolgono attività sportive di ogni tipo. Senza dimenticare che questo paesino della provincia di Napoli, dalle vetrine ridotte e dalle botteghe ancora di stampo tradizionale, ha dato i natali ad alcuni dei calciatori più bravi del campionato italiano, come Vincenzo Montella e Nicola Caccia.”


    “Acerra…Cattedrale di Santa Maria Assunta è una delle tante costruzioni che si contrappone all’antichità delle strade e delle abitazioni che parlano ancora di storia…Le stradine del paese sono ancora formate da ciottoli e la zona antica è la più affascinante. Un percorso stretto e qualche isoletta riservata a giardini con annessa una fontanella …piazza del Duomo chiamata così per la presenza della Cattedrale di Santa Maria Assunta….l’antico Castello baronale… probabilmente era la “vera” dimora di Pulcinella….. Acerra è ricordata come la città natale di questo importante personaggio della commedia dell’arte, dal costume bianco e dalla maschera nera con un grosso naso e un’espressione triste che cerca tuttavia di affrontare ogni avversità della vita con ironia…… Acerra non è soltanto un piccolo paese di provincia, ma uno dei centri industriali ed economici di tutta la Campania che nasconde nel sottosuolo anni di storia e leggende, tra cui quella dei cunicoli in tufo che si dice avrebbero dato vita ad un percorso sotterraneo attraverso cui gli abitanti riuscirono a fuggire dall’ira di Annibale durante le guerre puniche.”



    “Nel centro abitato di Cimitile, cittadina a pochi chilometri da Nola, sorge un magnifico complesso di basiliche paleocristiane tra i più importanti del Mezzogiorno d’Italia, prestigiosa testimonianza degli albori dell’architettura e dell’arte cristiana…..il “coemeterium” era il sito sepolcrale della Nola ….la necropoli si sviluppò e venne affiancata da una strada consolare, la via Popilia, che costeggiava i suoi edifici….Il nome dell’antico “Cimiterium si trasformò, col tempo, in Cimitino e poi nell’odierno Cimitile….Con l’avvento del Cristianesimo, sulle tombe iniziarono ad apparire i simboli della nuova fede come il melograno, il pesce, il tralcio di vite, la colomba col ramoscello d’ulivo e il Buon Pastore…Qui venne sepolto, nel III secolo, Felice, primo vescovo di Nola di origine siriana…. Sulla sua tomba i nolani eressero una basilica, la cosiddetta “Basilica vetus”, che divenne presto un importante luogo di culto, meta di pellegrini ….. Attorno all’antica basilica sorsero, nel corso degli anni, altri sei edifici, dedicati ai santi Stefano, Giovanni, Tommaso, Calionio, ai Martiri e alla Madonna degli Angeli…. Il santuario venne completamente distrutto, le reliquie di San Paolino e San Felice vennero trafugate e la città stessa di Nola scomparve dalle mappe. I pellegrini, però, continuavano ad arrivare….Nell’alto medioevo intorno al santuario si sviluppò il villaggio di Cimitile, dove i nolani continuarono a deporre le spoglie dei loro vescovi. La basilica di San Felice fu cattedrale di Nola fino alla fine del Trecento quando, dopo il trasferimento della sede vescovile nella città, passò a rango di parrocchia. Rappresenta il fulcro dell’intero complesso essendo, insieme alla basilica dei SS. Martiri, risalente al III secolo e dunque la più antica…Nel maggio del 1992 papa Giovanni Paolo II si recò, in veste di pellegrino, presso il santuario e, raccogliendosi in preghiera sulla tomba di San Felice, riportò l’attenzione del mondo cristiano sulla “città santa”



    “Rocce vulcaniche, coste sinuose, colline che sembrano cadere nel mare….Baia, piccola frazione di Bacoli…: un Eden incantato, in cui il passato e il presente convivono perfettamente..Una terra frutto di secoli di storia, parte del più ampio complesso dei Campi Flegrei, che si estende nell’area compresa tra il promontorio di Miseno e il lago Lucrino….il Castello di Baia..secondo la leggenda, il nome della città è legato addirittura a Ulisse, che qui seppellì il suo compagno di viaggio Bajos. In epoca romana, poi, l’intera zona divenne meta preferita degli imperatori, che vi si trasferivano sia per il periodo estivo sia, grazie al clima mite, nel corso dell’anno….In particolare si narra che Nerone, innamorato delle sue coste e proprietario dell’edificio che oggi ospita il Museo Archeologico dei Campi Flegrei, lo avesse fatto erigere a somiglianza della Domus Aurea romana, allestendo perfino un lago artificiale all’interno, copia perfetta del Lacum Misenum……..Passerella delle prime donne dell’antica Roma, la cittadina era spesso scenario di amori ed intrighi…Lesbia, donna amata da Catullo, intesseva qui la sua relazione con Celio, discepolo di Cicerone, mentre Messalina dopo aver sposato l’imperatore Claudio incominciò a circuire Valerio Asiatico..Non per amore, ma per impossessarsi della sua villa, un tempo appartenuta a Lucullo!….A causa del bradisismo, la maggior parte dei favolosi edifici di Baia sono stati sommersi dalle acque e ora si trovano sotto il livello del mare: visitando il Parco Archeologico Marino si scorgono ancora i resti delle imponenti costruzioni, i preziosi mosaici pavimentali e le piccole anfore….Lago di Lucrino..Sul promontorio posto al di sopra del centro abitato si estende il Parco Archeologico con i quattro templi: Mercurio, Venere, Diana e Venere Sosandra ….I templi, in particolare quello di Mercurio, sono costituiti da aule termali a cupola che, grazie ai suggestivi giochi d’acqua e di luce, creano al loro interno un’atmosfera irreale….. che rimane anche attraversando a piedi le ripide stradine della città, osservando le insenature, oltrepassando il lembo di terra che costeggia il lago….Non è davvero difficile capire perché il poeta latino Orazio di questa terra disse: “Nessuna insenatura al mondo risplende più dell’amena Baia”.



    “Boscotrecase è un piccolo paese della Provincia di Napoli, un tempo denominata Sylva Mala per la presenza di una fitta vegetazione che ne impediva il popolamento. Oggi è sede di uno dei luoghi di culto più antichi dell’area vesuviana: la Chiesa dell’Ave Gratia Plena… strette stradine in salita, che si dirigono verso il Parco Nazionale del Vesuvio e l’abitato centrale conserva lo stile classico, con palazzi centenari dotati di grandi portoni di accesso ai cortili….sorge alle falde del Vesuvio ed è legato a molte tradizioni….. Tra le attività peculiari, la lavorazione della pietra lavica: antichissima pratica artigianale che risale al seicento…La pietra lavica è un materiale più robusto del marmo….Modellare la pietra di porfido, disegnare le sue forme, amalgamare la materia su cui gli uomini imprimono la loro storia è, come detto, una pratica molto antica. I prodotti derivati dalla lavorazione della pietra lavica erano destinati, allora come oggi, soprattutto alla pavimentazione stradale delle principali vie di tutto il bacino mediterraneo….Per la realizzazione di fregi, portali ed elementi architettonici di vario genere si preferiva il più tenero piperino dell’area flegrea…..Al tempo dei romani, erano gli scalpellini- anticamente definiti lapicadae - a preparare i frantoi e le pesanti macine, così come nel ‘600 e ‘700 lavoravano per abbellire le ville dei sovrani borbonici e dei nobili di corte con stupendi portali, statue, colonne, fontane e superbi scaloni…Ne sono testimonianza le magnifiche dimore che si dipanano lungo l’itinerario artistico culturale battezzato come Miglio D’oro, che dalla Reggia di Portici arriva a Torre Annunziata: ville che testimoniano l’arte, la forza e la pazienza degli scalpellini del Vesuvio…Visto l’enorme potere distruttivo della lava incandescente, in queste zone è stato coniato il motto “Dalla morte alla vita”, ossia dalla tragicità degli eventi alla capacità dell’uomo di sconfiggere il male e crearne la vita….Così quella che modificò il paesaggio e la stessa forma del vulcano rappresenta oggi una risorsa artistica ed economica di grande”













    Torna a Surriento

    La canzone simbolo della citta' di Sorrento interpretata dai piu' famosi artisti mondiali. Placido Domingo, José Carreras e Andrea Bocelli sono solo alcuni dei nomi dei più celebri interpreti che hanno ritenuto di inserire “Torna a Surriento” nel loro repertorio, perpetuando il tour che, da oltre cento anni, fa sì che le note e le parole di questa famosissima canzone continuino ad emozionare le folle di ogni continente.
    Prima di loro star del calibro di Luciano Pavarotti ed Enrico Caruso hanno contribuito ad accrescere la fama di quello che viene considerato come uno dei simboli dell’ Italianità nel mondo. Basti dire che quando - alla fine del ‘900 - il Presidente della Repubblica Sandro Pertini andò in visita ufficiale in Cina, proprio “Torna a Surriento”, fu suonata come inno nazionale. Frutto dell’ opera di Giambattista (versi) ed Ernesto (musica) De Curtis, pronipoti di Saverio Mercadante, la conosciutissima canzone ha contribuito e contribuisce ad accrescere la fama di Sorrento nel mondo ed a rendere quasi tangibile il potere ipnotico delle melodie – oltre che delle tante bellezze – che sono tipiche della Terra delle Sirene. Composta nel 1894 per essere dedicata ad una bella ragazza forestiera, la canzone è finita al centro di storie e leggende che, attorno agli anni ’50, ne avevano quasi compromesso gli aspetti più poetici. Secondo alcuni, infatti, gli autori l’ avrebbero composta nel 1902.In quell’anno i due fratelli si trovano a Sorrento, dove Giambattista, poeta e scultore, sta eseguendo dei lavori nel Grand Hotel Imperial di proprietà di Guglielmo Tramontano, sindaco della città. Il caso volle che proprio in quell’albergo fosse ospite Giuseppe Zanardelli, Presidente del Consiglio, dal quale Tramontano sperava di ottenere per la città un ufficio postale di prima classe. Alla vigilia della partenza dell’illustre ospite, i due fratelli De Curtis compongono estemporaneamente una canzone da dedicare all’ospite, che alla sua partenza da Sorrento viene salutato dai famosissimi versi “Vide o mare quant’è bello, spira tantu sentimento…”. Il primo esempio di canzone-cartolina, uno dei tanti veicoli pubblicitari di cui l'Italia si è poi servita, soprattutto negli anni 50, per decantare le sue bellezze turistiche. Due anni dopo l’editore napoletano Bideri apporta qualche modifica nel testo e pubblica la canzone presentandola alla Piedigrotta 1904. Negli anni, Torna a Surriento diventerà un successo internazionale e uno dei più popolari "classici" della canzone napoletana. Nel 2002 il centenario della canzone è stato ricordato con una serie di manifestazioni e con un annullo speciale delle poste. A proposito di poste, il modernissimo ufficio promesso da Zanardelli fu approntato due anni dopo la sua visita, nel 1904, ed esiste tuttora, come esiste ancora l'Hotel Imperial Tramontano, che ingloba nella sua costruzione la casa natale di Torquato Tasso, e dalla cui sala ristorante si può ammirare lo stesso panorama mozzafiato che diede lo spunto per la canzone. In realtà la permanenza in zona di tante celebri autorità politiche fu brevissima e, comunque, tale da non consentire ai Fratelli De Curtis di elaborare, per la circostanza, quello che è diventato poi un autentico capolavoro. Studi e ricerche, invece, hanno restituito a “Torna a Surriento” la sua vera origine ed il suo reale significato: quello di messaggio d’ amore e di inno alla bellezza. Un messaggio dedicato ad una splendida donna, ma capace di invitare chiunque ad ammirare lo splendore della Penisola Sorrentina, a lasciarsi incantare da una natura da favola ed a maturare ricordi che non potranno mai più essere cancellati.



    Testo della Canzone "Torna a Surriento"

    Vide 'o mare quant'è bello!
    Spira tantu sentimento.
    Comme tu a chi tiene mente
    Ca scetato 'o faje sunnà .
    Guarda, guà chistu ciardino;
    Siente, siè sti sciure arance.
    Nu prufumo accussì fino
    Dinto 'o core se ne va...
    E tu dice "I' parto, addio!"
    T'alluntane da stu core...
    Da la terra da l'ammore...
    Tiene 'o core 'e nun turnà .
    Ma nun me lassà
    Nun darme stu turmiento!
    Torna a Surriento,
    Famme campà
    Vide 'o mare de Surriento,
    Che tesoro tene 'nfunno:
    Chi ha girato tutto 'o munno
    Nun l'ha visto comm'a ccà .
    Guarda attuorno sti sserene,
    Ca te guardano 'ncantate
    E te vonno tantu bene...
    Te vulessero vasà .
    E tu dice "I' parto, addio!"
    T'alluntane da stu core...
    Da la terra da l'ammore...
    Tiene 'o core 'e nun turnà
    Ma nun me lassà
    Nun darme stu turmiento
    Torna a Surriento,
    Famme campà




    dec

    G.B.De Curtis






    surr

    Lo spartito originale



    SORRENTO

    La storia
    L’etimo di Sorrento, secondo l’archeologa Paola Zancani Montuoro, non sarebbe riferibile al mito delle sirene, ma deriverebbe dal verbo greco “surreo”, che significa “concorro”, “scorro insieme” o anche “confluisco”. In questo caso il toponimo corrisponderebbe perfettamente alla morfologia del costone sorrentino, dotato di due corsi d’acqua che sboccano in mare distinti e distanti, circonvallando la città. Sorrento si trova al centro di una regione abitata sin dal Neolitico. I reperti archeologici custoditi in parte nel Museo Correale e in parte a Villa Fondi, nel Museo Gorge Vallet, a Piano di Sorrento, sono la testimonianza della presenza di centri abitati sia in collina sia in pianura in età eneolitica ( tombe della Civiltà del Gaudo).

    La pianta della Surrentum antica.
    Gli scavi archeologici hanno ricostruito una pianta con otto cardini e otto decumani di forma rettangolare con l’asse principale orientato in senso est-ovest, cinta da da mura. Gli assi principali in senso est-ovest erano costituiti dalle strade di via Pietà, via San Cesareo e via Fuoro, vico II Tasso, via San Paolo e via Imperiale di Russia; gli assi viari nord-sud corrispondevano alle attuali vico II Pietà e vico delle Grazie, via Arcivescovado, Strada Tasso e via Parsano, vico Fuoro, vico II Fuoro, via della Strettola, via Sopra le mura, Strada di Sant’Antonino. Presso la Porta Parsano sono visibili i resti risalenti al IV - II secolo a.C; anche sul Corso Italia, nella Villa Fiorentino, sono state rinvenute vestigia antiche. La storia antica di Sorrento è ricostruibile in base sia ai dati archeologici sia alle molteplici fonti antiche anche se spesso frammentarie e di difficile interpretazione. Le origini di Sorrento, infatti, sono controverse per gli studiosi: secondo il Beloch l’origine era di sicuro greca mentre l’Huxley, basandosi su frammenti di Stesicoro, preferiva indicare un’origine etrusca. Questa duplicità di tesi scaturisce dai testi a disposizione e che offrono il fianco alle varie posizioni interpretative anche se recentemente si propende per riaffermare l’ottica calcidese (origine greca). Secondo la tradizione, risalente allo storico siciliano Timeo, fu un re Ausone il più antico re della zona. Quest’affermazione trova riscontro nel racconto di Diodoro… Si narra che Liparos, figlio di Auson, cacciato dalla sua terra si rifugiò a Lipari e vi fondò una città. Pochi anni dopo vi approdò Aiolos che sposò Kjane, la figlia di Aiolos. Divenuto vecchio, Aialos espresse il desiderio di rivedere la sua terra e, aiutato da Liparos, giunse a Sorrrento e ne divenne il re. Qui, dopo la morte ebbe una sepoltura fastosa degna del suo lignaggio che i Sorrentini vollero tributargli per la sua ospitalità e modi gentili. Poche sono le notizie tramandateci per le epoche immediatamente successive, probabilmente perché, facendo parte della lega nocerina, Sorrento non potè battere moneta. Si sa che fu sottomessa a Siracusa per un breve periodo (sec. V) , passò poi ai Sanniti e quindi ai Romani. In età imperiale, tra l’età di Cesare e quella di Adriano, Sorrento è famosa ed è citata da vari autori perchè i patrizi romani furono attratti dal clima mite e provvidero a far costruire molte villae marittime lungo la costa. Ricordiamo, ad esempio, Villa Pollio Felice al Capo di Sorrento e la Villa di Agrippa Postumo, sotto l'attuale Hotel Syrene. La villa fu fatta costruire dallo sfortunato nipote di Augusto. Attualmente si possono solo vedere dei ruderi delle peschiere. La villa era parte di un vasto complesso monumentale che poi fu inglobato nel monastero di San Paolo.

    Sorrento nell’età medievale
    Occupata dai Goti, dai Longobardi e dai Bizantini (552), fu eretta a Ducato sotto Sergio I. Dopo aver subito un vano assedio del principe di Benevento Siccardo (835), nel corso del IX secolo fu minacciata da Amalfi che aveva cessato di far parte del ducato di Napoli e si comportava da potenza indipendente. Nel 1039 fu conquistata da Guaimario V che la lasciò tuttavia in condizione semi-libera. Nel 1137 cadde infine sotto il dominio dei Normanni. Sorrento godette di una maggiore autonomia rispetto alle altre cittadine, infatti non fu data in feudo ad alcun nobile e anche se dovette rinunciare all'indipendenza politica, poté conservare i privilegi aristocratici ed il controllo dei casali di Massa, Piano e Vico. All’inizio del sec. XIV (forse nel 1319) nel periodo angioino, la nobiltà si divise in due Sedili ( o Piazze ), con la costituzione, in contrapposizione all'originario Sedile di Porta, del Sedile di Dominova. Il prestigio dei Sedili di Sorrento fu notevole tanto da contendere, nel periodo spagnolo, alcuni privilegi alla stessa capitale, Napoli. Essi si riunivano separatamente per eleggere i propri rappresentanti nel Consiglio della città, del quale faceva parte anche una minoranza eletta dalla “Piazza del popolo”. Il Consiglio era formato da magistrati con incarichi specifici ed era guidato da un esecutivo di tre sindaci (uno per Piazza) coadiuvato, in epoca spagnola, da alcuni collaboratori ( gli eletti). I sindaci presiedevano anche il parlamento cittadino e ne attuavano le deliberazioni. L’Università, cioè l’organo amministrativo della comunità sorrentina, ricavava i mezzi economici necessari ai pagamenti fiscali allo Stato, alle spese di gestione e alle opere pubbliche, dalla tassazione indiretta dei generi alimentari (gabelle), delle attività lavorative (le collette) e dei beni immobili (il catasto). Dei tre settori del fisco, il primo era il più importante e si basava sulla gabella della farina. Molto intenso era il traffico marittimo tra Sorrento e i vari porti del Golfo di Napoli e del Mezzogiorno. I prodotti commerciati erano: frutta, vino, olio, carne e derivati del latte. Le rendite più cospicue erano appannaggio delle famiglie nobiliari e del clero.

    Sorrento nell’età moderna
    Sorrento subì un grave colpo dall’invasione dei turchi che la saccheggiarono e devastarono nel 1558. La prima conseguenza dell’attacco dei pirati fu la fortificazione della cerchia delle mura e la costruzione delle torri costiere, che erano state già in precedenza ordinate dal Re ma mai realizzate. In quel periodo lunghe furono le lotte sostenute dalle popolazioni contadine dei Casali e dei paesi limitrofi, sottoposti da secoli ai soprusi dei patrizi sorrentini, per ottenere l'autonomia..Ci fu un ristagno economico determinato in parte dall’ impoverimento delle risorse e dagli effetti della pressione fiscale spagnola. E' in questo contesto che si colloca la rivolta del genovese Giovanni Grillo (1648). Sfruttando una serie di contrasti secolari con la nobiltà locale, il Grillo riuscì ad unire i popolani del Piano e i contadini della stessa Sorrento guidando un infruttuoso assedio che durò 14 mesi. Nell'età della Controriforma la vita artistica e sociale della città "patrizia" decadde. Sorsero varie accademie e si diffusero innumerevoli ordini monastici, tanto da dare a Sorrento una marcata impronta conventuale. Nel 1799 la cittadina aderì alla Repubblica Partenopea. Nel governo provvisorio instaurato dai Giacobini per governare il Napoletano oltre al cittadino massese Bozzaotra trovò posto anche un esponente della Penisola Sorrentina, Nicola Fasulo. L’insurrezione comportò dei sacrifici per i Sorrentini anche se non tutti furono favorevoli alla diffusione delle nuove idee di libertà. Fu favorita, proprio per quest’ultimo atteggiamento di rifiuto da parte degli abitanti, l’opera dei reazionari che comportò un ritorno dei Borboni sul trono di Napoli. Nel mese di aprile, infatti, le navi inglesi e borboniche sbarcarono truppe in Penisola, per una rapida conquista delle città perdute. L’armata francese, intanto, marciava verso il Regno di Napoli. I Paesi della Penisola , fedeli ai Borboni, si opposero all’avanzata che perciò si fermò a Castellammare. I Francesi, dopo aver conquistato Vico, assediarono Sorrento. I Sorrentini non si arresero, anzi uccisero un soldato francese e ferirono un ufficiale. A questi eventi il generale ordinò la presa della città che fu evitata solo grazie all’intervento dell’Arcivescovo Monsignore Pepe il quale si presentò con un quadro del Tasso decantando i fasti di Sorrento, e sostenendo che non poteva essere distrutta la patria di uno scrittore così famoso.I Francesi, prima di partire da Sorrento, distrussero parte del Castello che delimitava le mura di confine e di difesa della città. Alla partenza del generale Mcdonald, i Borboni aiutati dall’esercito del cardinale Ruffo, sottomisero Napoli e le città della costiera fra le quali Sorrento.

    Sorrento nell’età contemporanea
    Nel primo periodo borbonico si andò intensificando l'attività marinara e la pesca del tonno, fiorente fino agli inizi del sec. XX. Nel 1805, la penisola e tutto il Regno di Napoli fu sottoposta all’attacco francese in qunato Ferdinando IV si alleò con Austria e Russia contro il nuovo astro nascente, Napoleone. Nel 1806 Ferdinando fu cacciato da Napoli e sul trono s’insediò prima Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, successivamente Gioacchino Murat. Tra francesi e nobiltà sorrentina i rapporti furono tesi ed i cinque Casali (Meta, Sant’Agostino, Carotto, Ancora e Maiano) chiesero ed ottennero (1809) l’autonomia amministrativa. I Sedili nobiliari di Sorrento vennero aboliti. La Penisola dovette subire la presenza dei Francesi che venivano mantenuti dai ceti più umili. Gli Inglesi erano sempre presenti lungo la costa e tentarono più volte di conquistare Massa, Meta e Capri. Murat, avendo assistito da Massa alle operazioni belliche e avendo constatato il pericolo incombente, ordinò la costruzione opere di fortificazione del litorale sorrentino.Nel 1815, con la sconfitta di Waterloo, a Napoli ritornò il Borbone Ferdinando che assunse il titolo di Ferdinando I, re delle Due Sicilie. Col ritorno dei Borboni la Penisola ritrovò la pace e ripresero le attività commerciali. Iniziò, infatti,un periodo florido per agricoltura, cantieristica, artigianato, turismo. Il 1832 è un anno importante per Sorrento perché Ferdinando II di Borbone decretò la costruzione. della strada Castellammare-Meta che fu terminata nel 1834. L’opera era un’esigenza molto antica perché raggiungere Sorrento per via terra significava percorrere un sentiero che s’inerpicava sulle montagna di Vico fino a giungere a Lavinola, scomoda e pericolosa anche per i più esperti cocchieri. Nel 1837 il colera si diffuse a Sorrento e fu costruito il Cimitero per i colerosi. Il Decurionato cittadino nella riunione del 29 settembre 1840 diede avvio allaSorrento Vallone Dei Mulini - Piazza Tasso trasformazione di Sorrento con le delibera di abbattere il castello del 1459 sito all’ingresso della città, dove oggi c’è Piazza Tasso. Cominciarono anche gl’interventi sul Vallone dei Mulini sconvolgendo gli equilibri preesistenti fondendo il centro con il borgo ed attivando così l’espansione dell’urbanizzazione al di fuori della cinta muraria risalente al periodo del vicerè. Il Risorgimento fu vissuto con grande partecipazione anche dai Sorrentini e molti furono coloro che parteciparono alle lotte per l’indipendenza. Dopo l'Unità S. Agnello si rese autonoma (1865), mentre Sorrento subiva il "risanamento edilizio" che ne cambiò l'antico aspetto. L’antico impianto urbano romano, quello del cardo e del decumano, fu stravolto dalla costruzione di una nuova strada, l’attuale Corso Italia (1866). La strada fu l’unica ad avere marciapiedi dove ben presto si allinearono i palazzi dei ricchi e i negozi di lusso. Nel 1898 fu inaugurata la rete elettrica e nel 1899 Sorrrento e gli altri Comuni della Penisola formarono un consorzio e approvarono il progetto e lo Statuto per la costruzione di una linea tramviaria elettrica. Il servizio divenne definitivo nel 1906. Il collegamento tranviario iniziava a Castellammare e terminava a Sorrento, in piazza Mercato, si svolgeva su un solo binario e il viaggio era sempre pieno di punti interrogativi per la mancanza improvvisa della corrente. Intanto, a Sorrento, molteplici furono le demolizioni iniziate nell’Ottocento come quello realizzato nel 1912 della Porta della Marina di Capo Cervo (l’attuale Marina Piccola). Essa fu abbattuta per lasciare spazio ad un doppio tornante carrabile che seppellì l’antica gradinata e gran parte delle case dei pescatori per attuare la realizzazione del porto. Il primo ventennio del Novecento vide anche i sorrentini partire per la Grande Guerra e lutto e dolore coinvolse intere famiglie. Nel periodo fascista i Comuni furono riuniti in unico Comune denominato Sorrento, ma la sede del Municipio veniva fissata in Sant’Agnello. Alla caduta del Fascismo i Comuni si staccarono da Sorrento avendo ottenuto l’autonomia. Nel 1948 fu abolita la linea tramviaria e fu utilizzata esclusivamente quella ferroviaria costruita nel 1943. Negli anni sessanta Sorrento ha avuto dei notevoli cambiamenti urbanistici, sono state costruite nuove strade e si è incrementata la cementificazione della cittadina.



    Cattedrale

    Le prime notizie riguardanti l’antica cattedrale sorrentina risalgono al I sec. d.C., verso il XV secolo l’arcivescovo Falangola promosse la ricostruzione della chiesa dedicata ai Santi Filippo e Giacomo, facendola divenire cattedrale. Dopo l’invasione turca del 1558 venne ricostruita ed abbellita nel 1573 realizzando il trono arcivescovile di marmi policromi nel presbiterio. Negli anni successivi venne realizzato il soffitto dipinto su tela a motivi floreali eseguito su tre tele tra il 1706 e il 1718 da Francesco Francareccio. Nell’abside il coro è una prezioso opera dell’intarsio sorrentino risalente all’Ottocento.
    Di spicco esemplare tra le opere conservate nell’interno delle tre navate separate da quattordici pilastri, è di grande interesse la paletta di Silvestro Buono raffigurante “La Vergine tra San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista”, collocata sotto il pulpito marmoreo del 1573. Nella prima cappella a destra, dov’è il fonte battesimale, alla parete vi è un rilievo di gusto classicheggiante con la raffigurazione del Sacrificio del Sangue di Cristo, risalente al 1522; ai lati dodici dodici formelle trecentesche con gli Apostoli di ambito dei fratelli Bertini. Nella settima cappella destra vi è un elegante organo settecentesco di Nicola Mancino con ricchi intagli dorati. In fondo alla navata, nella cappella del Sacramento c’è un Crocifisso ligneo del’400 su un altare in marmi policromi con motivi naturalistici della fine del ‘600 con splendidi putti laterali di bottega di Domenico Antonio Vaccaro.Nel 1924 la facciata principale è stata rifatta e da osservare è il pronao che riutilizza due colonne romane e il portale laterale datato 1478, che reca lo stemma di Sisto V, Arcivescovo De Angelis e Re d’Aragona nell’architrave.

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    La sera del giovedì santo, dopo la funzione religiosa detta "Lavanda dei Piedi" nelle chiese viene allestito un altare eucaristico, detto popolarmente sepolcro, che conterrà l'eucarestia fino alla veglia del sabato santo, tali sepolcri vengono visitati dai fedeli per tutta la notte fra giovedì e venerdì santo (cattedrale di Sorrento)





     
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    ACERRA

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    IL LIMONE DI SORRENTO



    In Campania, secondo alcuni, il limone sarebbe arrivato fin dal I secolo a.C., a portarcelo sarebbero stati gli Ebrei, per i quali aveva un valore rituale. E la rappresentazione di limoni nei mosaici e nei dipinti rinvenuti negli scavi di Pompei dimostra il loro uso comune nell'area napoletana sin dall'antichità. Quel che è certo è che in terra campana questo agrume si è acclimatato in maniera stupefacente e ha prosperato meravigliosamente fino a diventare un "unicum" con le sue zone di elezione. Tanto che sarebbe impossibile immaginare le costiere Sorrentina e Amalfitana senza i loro suggestivi, bellissimi e profumatissimi "giardini di limoni".





    Senza le caratteristiche terrazze fiorite, senza l'emozionante contrasto tra l'azzurro del mare, il giallo dei frutti e il verde intenso del fogliame, in un tripudio di colore esaltato dalla luce forte ed abbacinante, questi paesaggi tra i più belli al mondo non sarebbero così unici e irripetibili. Ma non si tratta solo di colore o di ulteriore elemento di fascino per il gran numero di ammirati turisti, perché i limoneti offrono a questi luoghi anche altri importanti vantaggi, come quello della tutela del territorio: occupando anche i versanti più ripidi, con pendenze non di rado ai limiti della coltivabilità, contribuiscono infatti alla conservazione del suolo dal dissesto idro-geologico. La popolazione locale, dal canto suo, è legatissima al limone, al punto che si può dire che non vi sia famiglia, da queste parti, che non possieda un piccolo o grande appczzamento di limoni, acquisito e conservato a prezzo di fatica, rinunce e sacrifici di ogni genere. I primi limoneti condotti in forma specializzata in Penisola Sorrentina sarebbero stati opera dei Padri Gesuiti, che nel 1600 realizzarono una azienda ad hoc nella conca di Guarazzano, tra Sorrento e Massalubrense, da cui questa coltura ricevette forte impulso. Proprio qui nel tempo si è andato differenziando un eóotipo della varietà Femminelle Ovale, da cui l'attuale cultivar definita appunto Ovale di Sorrento o Massese o Limone di Massalubrense, che ha assunto caratteristiche di notevole pregio.





    Caratteristiche che hanno valso al Limone di Sorrento il riconoscimento dell'Igp nel novembre 2000: un risultato di rilievo, questo, per l'intera agrumicoltura campana sia sotto il profilo della qualificazione del settore sia in termini di nuove opportunità commerciali. Si tratta di un limone di dimensioni medio-grosse, di forma ellittica, con buccia attraente nel suo colore giallo citrino, molto profumata, e polpa particolarmente succosa e acida. Viene oggi coltivato in tutti i comuni della Penisola Sorrentina e nell'intera isola di Capri (entrambe situate in provincia di Napoli), su una superficie complessiva di circa 400 ettari e con una produzione annua che si aggira intorno ai 100.000 quintali. Tra le sue prerogative c'è quella di essere un limone tardivo, per cui, anche se viene prodotto sulla pianta tutto l'anno, i frutti migliori si ottengono dalla primavera in poi fino all'autunno. La coltivazione tipica è costituita da terrazzamenti, inglobati in muretti di contenimento. Un altro aspetto tecnico caratteristico è rappresentato dalla copertura delle chiome degli alberi, per difenderli dal freddo e dal vento (pratica indispensabile nel periodo più freddo dell'anno a causa della posizione geografica della Penisola Sorrentina, situata al limite nord di latitudine per la coltivazione dei limoni) e per far ritardare la maturazione dei frutti verso epoche commercialmente più valide. A tal fine in passato erano in uso le note "pagliarelle", stuoie di paglia appoggiate a pali di sostegno di legno, solitamente di castagno, oggi sostituite dalle più pratiche reti di plastica, capaci di reggere meglio le pendenze più accentuate della zona. La reputazione dei limoni di Sorrento era già grande nel secolo scorso, quando venivano esportati soprattutto in Inghilterra.



    Attualmente l'export interessa una discreta quantità di limoni, avviata sui mercati europei, principalmente quello tedesco e quello inglese, ma la maggior parte della produzione è riservata al mercato nazionale, che la destina per il 40% al consumo fresco, mentre il restante 60% viene utilizzato per la preparazione dell'ormai famoso Limoncello, elisir che proprio dall'area sorrentino-amalfitana trae origine. Sono tantissime oggi le botteghe artigianali impegnate nella produzione di questo liquore, ottenuto dalla macerazione delle bucce di limone in alcool, rifacendosi scrupolosamente alle antiche ricette della tradizione locale. La domanda per il Limone di Sorrento, grazie alle sue apprezzate virtù, è sempre sostenuta ed i prezzi, di conseguenza, sono sempre nettamente superiori (talvolta anche doppi) rispetto a quelli dei comuni limoni che si trovano sul mercato. Requisiti altrettanto pregiati hanno dato lustro e vanto al Limone Costa d'Amalfi, gratificato anch'esso dal conferimento dell'Igp (arrivata nel luglio 2001), atto doveroso verso una coltivazione di qualità e ricca di significati paesaggistici e storici. In Costiera Amalfitana la presenza di limoni è dimostrata da numerosi documenti a partire dagli inizi dell'XI secolo e un ruolo importante, poco più tardi, fu svolto dalla celebre Scuola medica salernitana, che cominciò a diffondere l'uso medicinale del giallo agrume, ormai coltivato in tutta la Costa d'Amalfi. Ma è nell'Ottocento che il limone assume grande valore economico e sociale per l'intera area, grazie alla realizzazione sulle colline circostanti di terrazze coltivate a limoneti. Ai primi del Novecento il limone. di Maiori lo troviamo addirittura quotato alla Borsa merci di New York. Allora si vendeva con un prezzo per singolo esemplare, veniva lavorato da donne che dovevano tagliarsi le unghie tutte le mattine e per manipolarlo erano obbligate ad indossare guanti di cotone (all'epoca si spedivano annualmente in tutti i Paesi del mondo più di 900 mila casse contenenti ciascuna 300 o 360 pezzi). Questo splendido limone è conosciuto soprattutto con il nome della varietà, Sfusato Amalfitano, laddove il primo termine sta ad indicarne la tipica forma, particolarmente affusolata. Le sue dimensioni sono medio-grosse, la buccia, spessa e ruvida e di colore giallo chiaro, ha un aroma e un profumo intensi, grazie alla notevole ricchezza in oli essenziali, e un gusto piacevole. La polpa, poi, è succosa e moderatamente acida, con scarsa presenza di semi. Si tratta inoltre di un limone tra i più ricchi in acido ascorbico, la nota vitamina C, come risulta da recenti studi dell'Università di Napoli Federico II. La zona di produzione del Limone Costa d'Amalfi comprende tutti i comuni della Costiera Amalfitana, in provincia di Salerno, ed occupa una superficie di oltre 500 ettari, per una produzione annua di circa 120.000 quintali. Con il "fratello" di Sorrento lo Sfusato Amalfitano condivide, oltre al successo commerciale e alla fama internazionale, non pochi elementi di tipicità: la produzione tardiva (da marzo a ottobre), la coltivazione su terrazzamenti in pietra calcarea che caratterizzano il panorama, il ricorso alle "pagliarelle" per proteggere gli agrumi dalle avversità atmosferiche e regolare l'epoca di maturazione. Anche i limoni di Sfusato Amalfitano, infine, vengono impiegati anche per la produzione del Limoncello, il "Tradizionale liquore di Limone Costa d'Amalfì", che il Consorzio per la valorizzazione del Limone della Costa d'Amalfi (Covai) ha regolamentato con un disciplinare.



    Campi Flegrei





    La costa dei Campi Flegrei è un esempio unico al mondo, per lo sprofondamento dell'antica fascia costiera e la conseguente trasformazione del territorio. Dopo essere stata fittamente urbanizzata e industrializzata, oggi è finalmente oggetto di adeguata attenzione dal punto di vista della conoscenza scientifica, della tutela e della valorizzazione.





    Al pari o forse ancor più che a terra, quanto si conserva sott'acqua rappresenta un patrimonio eccezionale per rilevanza storica, ma anche per l'attrattiva culturale e turistica determinata dalle particolari condizioni fisiche: è infatti un contesto che agli aspetti archeologici unisce quelli ambientali, nei molteplici fattori geologici e naturalistici legati alla sommersione marina.





    IL BRADISISMO NEI CAMPI FLEGREI





    Come l'eruzione del Vesuvio ha coperto e conservato le splendide città romane di Pompei ed Ercolano, cosi il mare ha sigillato i resti della antica Baia. Citata da Orazio , Baia era il piu' lussuoso posto di villeggiatura per i patrizi romani. E' un viaggio nel passato in un sito unico al mondo dove la bellezza ti lascia senza respiro. Resti di impianti termali, vasche ,alzati di mura e pavimenti a mosaico, sono oggi sommersi a pochi metri di profondità.





    Campi Flegrei
    sono una vasta area di origine vulcanica situata a nord-ovest della città di Napoli; la parola "flegrei" deriva dal greco flègo che significa "brucio", "ardo". Nella zona sono tuttora riconoscibili almeno ventiquattro tra crateri ed edifici vulcanici, alcuni dei quali presentano manifestazioni gassose effusive (area della Solfatara) o idrotermali (ad Agnano, Pozzuoli, Lucrino), nonché sono causa del fenomeno del bradisismo (molto riconoscibile per la sua entità nel passato nel cd. tempio di Serapide a Pozzuoli). Nel 2003, in attuazione della Legge Regionale della Campania n. 33 del 1.9.1993, è stato istituito il Parco Regionale dei Campi Flegrei.
    Nei Campi Flegrei si riconoscono e distinguono tre periodi o fasi geologiche:
    Il Primo Periodo Flegreo: risale a 42.000–35.000 anni fa; è caratterizzato da banchi in piperno e tufi grigi pipernoidi, riconoscibili nella collina dei Camaldoli, come nella dorsale settentrionale ed occidentale del monte di Cuma; altri prodotti ad esso riferibili sono quelli profondi di Monte di Procida, riconoscibili negli strapiombi della sua costa. Per questo periodo si parla anche del vulcano Archiflegreo la cui attività vulcanica esplosiva raggiunse l'apice con l'esplosione che disseminò in buona parte della regione Campania l'ignimbrite campana (39.000 anni fa). Il Secondo Periodo Flegreo: databile fra i 35.000–10.500 anni fa; proprio 35.000 anni fa avvenne la maggiore eruzione della storia che si è caratterizzata per l'esteso deposito di tufo che ricopre l'intera piana campana per un'area di oltre 10.000 chilometri quadrati;[1] circa 15.000 anni fa si verificò un altro evento catastrofico quando nei vulcani si formò un quantitativo di pomici e ceneri a causa della frammentazione di 40 chilometri di magma, il cui prodotto fu il tufo giallo che costituisce i resti di un immenso vulcano subacqueo (avente un diametro di ca. Km 15 e Pozzuoli al suo centro), il cui cratere residuo è formato dalla collina di Posillipo, dalla collina dei Camaldoli, dalla dorsale settentrionale di Quarto, dai monti di Licola-S.Severino, dal dicco del monte di Cuma, e da Monte di Procida. All'interno di questo cratere si erge ancora il massiccio tufaceo del Monte Gauro che si colloca tra Pozzuoli e l'Averno. Il Terzo Periodo Flegreo: datato dagli 8.000 ai 500 anni fa; è caratterizzato dalla pozzolana bianca che costituisce il materiale di cui è formata la maggior parte dei vulcani che formano i Campi Flegrei. Essi si sono collocati tutti all'interno del cratere primordiale del Secondo Periodo Flegreo; a grandi linee si può dire: con un'attività iniziale a sud-ovest nella zona di Bacoli e di Baia (10.000–8.000 anni fa); una attività intermedia in area centrale, zona tra Pozzuoli, Montagna Spaccata e Agnano (8.000–3.900 anni fa); ed infine un'attività più recente spostatasi nuovamente verso occidente a formare l'Averno e il Monte Nuovo (3.800–500 anni fa), un piccolo cono vulcanico alto 133 metri vicino al Lago di Lucrino nel comune di Pozzuoli[3].
    Dal 1970 al 1972 il bradisismo ha provocato un primo episodio di sollevamento del suolo di circa 170 centimetri nel porto di Pozzuoli, e dal 1982 al 1984 si è verificata una seconda risalita del suolo che portò il sollevamento delle banchine all'altezza di circa 3 metri; dalla fine del 1984 è iniziata una fase discendente. È da notare come nel biennio 1982-84 siano stati rilevati circa 10.000 terremoti, qualche Attualmente l'area dei Campi Flegrei è compresa nei comuni di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Quarto Flegreo. Ricadono altresì in essa a Napoli i quartieri di Posillipo, Fuorigrotta, Agnano e le frazioni di Pianura, Pisani e Soccavo. Fanno parte dei Campi Flegrei, benché si collochino al di fuori del cratere originario, le isole Flegree di Ischia, Procida e Vivara. Esse hanno una storia e cronologia in parte differente, in parte parallela a quella dei vulcani sulla terraferma. Inoltre numerosi altri crateri sono stati individuati nel golfo di Pozzuoli, sprofondati nel mare o disgregati da esso nel corso dei millenni. [da precisar avvertiti anche dalla popolazione.
    I Campi Flegrei hanno una enorme importanza storica, paesaggistica e territoriale per i seguenti motivi:
    Seppur ridotte rispetto all'epoca antica, tuttavia numerose sono ancora le sorgenti di acque termali che vi sgorgano. Famosissime quelle disseminate in tutta l'isola di Ischia; sulla terraferma invece molto rinomate sono le Terme di Agnano a carattere soprattutto terapeutico; le Terme Puteolane; ed infine a Lucrino frequentatissime per relax e terapie sono le "Stufe di Nerone" (dove oltre gli impianti moderni per le immersioni, vi sono le saune che corrispondono agli impianti antichi di epoca romana) ed il "Lido Nerone – Lo scoglio" (dove è possibile immergersi nelle acque bollenti in apposite vasche situate sulla spiaggia). A Pozzuoli — che era il porto di Roma verso l'Oriente — vi sono numerosi edifici monumentali di epoca romana, fra cui l'antico mercato (Macellum) chiamato "Tempio di Serapide", il Tempio di Augusto, grandi edifici termali, tratti di strade romane, ampie necropoli monumentali, e ben due anfiteatri di cui l'Anfiteatro Flavio è il terzo più grande d'Italia. A monte di Pozzuoli vi è la Solfatara, cratere ancora attivo dove si manifestano potenti fumarole che erompono i loro vapori sulfurei ad oltre 160 °C, mentre in una depressione centrale della caldera si può osservare del fango che bolle a 140 °C. Nel vulcano vennero girati alcuni famosi film di Totò, tra cui Totò all'inferno e 47 morto che parla, nonché le sequenze "vulcaniche" nel film dei Pink Floyd Live in Pompeii. Poco distante da Pozzuoli, verso occidente, in riva al Lago Lucrino, nel 1538 è sorto il Monte Nuovo, il vulcano più recente d'Europa, oggi oasi del WWF insieme al cratere degli Astroni, quest'ultimo posto a ridosso del cratere di Agnano e ricadente nel comune di Napoli. Alle spalle del Lago Lucrino e del Monte Nuovo si situa il Lago d'Averno, anch'esso una caldera vulcanica, splendida area protetta considerata dagli antichi l'entrata all'Oltretomba. In epoca romana per un breve periodo il lago fu utilizzato insieme al vicino lago Lucrino come porto militare dell'antica Roma, base chiamata Portus Julius. Sul lago d'Averno spicca il rudere di una grande sala termale romana chiamata Tempio di Apollo. Più oltre, Baia (ricadente nel comune di Bacoli) rappresentava il luogo di soggiorno prediletto dell'aristocrazia romana e di diversi imperatori, che qui venivano a dilettarsi tra mare e otium edificandovi lussuose ville di soggiorno e numerosi impianti termali (di cui le sale monumentali ancora oggi vengono impropriamente chiamate "Tempio": spiccano quello di Mercurio, di Venere, di Diana). A Baia vennero inventate da Sergio Orata le suspensurae per mantenere calde le sale termali, e furono sperimentate in misura ridotta nuove soluzioni architettoniche di cupole, che poi furono applicate a Roma ad esempio nella realizzazione del Pantheon. Attualmente l'antica Baia è parzialmente sommersa dal mare a causa del bradisismo: per le numerose presenze archeologiche sottomarine, recentemente il golfo di Baia è stato dichiarato area marina protetta ed istituito il Parco sommerso di Baia. Alcuni monumenti particolarmente significativi sono stati oggetto di scavi subacquei: degno di menzione è il Ninfeo di Punta Epitaffio la cui ricostruzione, completa delle sculture marmoree rinvenutevi, è visibile nel Museo Archeologico dei Campi Flegrei situato nel Castello aragonese di Baia. Dopo il comune di Bacoli vi è l'antica Misenum, villaggio sorto in epoca romana, sede dell'importante flotta pretoria dell'imperatore. La spiaggia di Miliscola a tutt'oggi conserva nel suo nome il ricordo degli allenamenti che vi svolgevano i marinai romani (militum schola). Dell'antico villaggio militare si è messo in luce il Sacello degli Augustali, splendidamente ricostruito in un'apposita sala del Museo Archeologico dei Campi Flegrei nel Castello Aragonese di Baia. L'attuale frazione di Miseno è posta ai piedi del promontorio di Capo Miseno che rappresenta l'ultima propaggine di terraferma che racchiude il golfo di Pozzuoli, punta estrema del Golfo di Napoli. A nord di Miseno, nel Lago Fusaro, su di un isolotto, si trova la graziosa Casina Vanvitelliana fatta costruire nel XVIII secolo dal re Ferdinando IV di Borbone come casina di appoggio alle sue battute di caccia alle folaghe o di pesca sul lago. Dopo il lago Fusaro vi è l'antica città di Cuma, che è la colonia greca più antica in Magna Grecia, famosa fin dalle origini in quanto sede dell'oracolo ove vaticinava la Sibilla Cumana. Dell'antica città, poco scavata, è visitabile la parte bassa della città di epoca romana, con l'area del Foro ed i relativi edifici pubblici, la Crypta Romana, e soprattutto l'acropoli con l'antro della Sibilla ed i templi di Apollo e di Zeus. Fa da porta alla città lo splendido Arco Felice, un monumentale arco in laterizi di epoca romana costruito nel taglio che i romani effettuarono nella collina, attraverso il quale l'antica via Domiziana entrava in Cuma. Un taglio simile lo abbiamo a Montagna Spaccata, dove l'antica via Consolare Campana proveniente da Pozzuoli e fiancheggiata da numerosi edifici sepolcrali di epoca romana, penetra nel cratere di Quarto, dove è situato l'omonimo centro abitato di origini romane, chiamato così in quanto si trovava a quattro miglia di distanza da Puteoli sul diverticolo che portava alla via Appia antica.

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    VARI PANORAMI DELLA COSTA SORRENTINA........













    VISTA SU CAPRI...........





    Cimitile







    All'inizio dell'età del ferro, i popoli che abitarono l’area, la ritennero perfetta per il proprio insediamento: essi furono attratti dalla fertilità del territorio, dalla mitezza del clima, dalla posizione strategica e dalla facilità a raggiungere il mare. E' proprio in questo periodo che si fa sorgere storicamente la città di Nola.



    Sotto il dominio romano, Nola conobbe un notevole sviluppo economico che fece nascere la duplice esigenza di una centuriazione del territorio e di costruire la necropoli, che pur fuori dalle mura cittadine, restasse comunque vicino alla città e in un luogo che possedesse le stesse caratteristiche geo-morfologiche. La scelta cadde proprio sul territorio di Cimatile: Cimitile divenne così il "Coemeterium" (cimitero) di Nola.



    Con l'editto dì Costantino del 313 d.C., la città dei morti diventa la città dei Santi e quelle che un tempo erano cappelle diventano basiliche.




    Cimatile conserva ancora eccelse testimonianze per il patrimonio "artistico-culturale", dovuto proprio al Complesso Basilicale Paleocristiano: molto nota è la basilica dal Santissimo Patrono S. Felice in Pincis.

    Il complesso basilicale raggiunge però il suo massimo splendore dopo le nuove costruzioni sacre, volute da S.Paolino, devoto del Patrono.



    Durante il predominio Lomgobardo, Cimitile subì molte devastazioni, che portarono alla completa distruzione della città Santa; a contribuire a tale rovina una alluvione fece scomparire per alcuni secoli Nola con la sua necropoli dalle carte geografiche. Attorno all'anno 1000, tutto il territorio dell'agro nolano, compresa Cimatile, entrarono a far parte dei Ducato di Napoli. Quando Ferdinando II fu succeduto da Re Carlo Angiò, la contea di Nola si allargò fino a comprendere Saviano, S.Erasmo, San Paolo Belsito, Cimitile, Camposano, Cumignano, Casamarciano, Faibano, Gallo, Liveri, Risignano, Tufino e Scaravito.



    Nel 1594 nonostante il Regno di Napoli fu devastato dalla peste e una terribile eruzione del Vesuvio minacciògravemente Nola e Cimitile, queste si salvarono grazie al pronto intervento delle popolazioni abitanti che costruirono appositamente una diga.



    Cimatile venne prima (nel 1640) acquistata dal Re di Polonia, seguito dal Conte Palatino del Reno, poi, intorno al XVII secolo, cadde sotto la dominazione spagnola dei Borboni con Ferdinando il Cattolico, succeduto a Carlo V. Nel 1808 Cimitile diventa comune autonomo e Ferdinando IV, Re di Napoli e di Sicilia, divenne Re delle due Sicilie. Non volendo il Re concedere la costituzione, la popolazione si ribellò dando vita ai moti carbonari che condussero al Risorgimento. Quando nell’ottobre del 1860 i Borboni furono sconfitti sul Volturno, a Cimitile si ebbero le elezioni che portarono all’elezione del cimitilese Michele Rossi quale deputato nel collegio di Nola e proprietario del Monastero di S.Francesco da Paola (attuale Villa Lenzi).



    Quando nel 1915 l'Italia dichiarò guerra all' Austria-Ungheria, molti abitanti di Cimatile vennero richiamati alle armi. Seguì l'avvento del fascismo e poco dopo, nell’aprile 1927, Cimitile non appartenne più alla provincia di Caserta ma a quella di Napoli.



    Nel Giugno del 1940, quando venne dichiarata guerra alla Francia ed all'Inghilterra, i Cimitilesi si rifugiarono sulle colline ma i frequenti raid aerei su Nola e su Cimatile portarono alla morte Mercogliano Raffaele mentre l'Arco di S.Maria fu minato e le campagne di Via Cupa Falciano saccheggiate ed insediate dalle truppe inglesi. Al termine della guerra Cimitile dovette compiere una scelta tra la Monarchia e la Repubblica: si giunse così all’instaurazione della Repubblica.



    Ripresero i lavori di ritrovamento e restauro delle basiliche e si cercò di valorizzare il più possibile queste opere, caratterizzate comunque dal frequente afflusso dei visitatori.




    NOLA





    Fino all'anno 1370 la città di Nola non possedeva una Cattedrale e i Vescovi celebravano le funzioni nella chiesa di San Felice nella vicina città di Cimitile. In quell'anno il Vescovo della città fece richiesta al Pontefice Gregorio XI ed ottenne di trasferire la Cattedrale da Cimitile a Nola. Nel 1395 fu costruita così la Cattedrale accanto alla Basilica dei SS. Apostoli, a tre navate con transetto in stile gotico, dedicata alla Vergine Assunta e ai SS. Felice e Paolino. Nel 1583, a causa dell'apertura di un vano tra la navata centrale e una delle navate laterali, la Cattedrale crollò e la sua riedificazione cominciò nel 1596. Ma nel 1861 la Cattedrale fu distrutta nuovamente da un incendio doloso, appiccato per motivi politici, dal quale si salvarono solo la cripta, le reliquie dei Santi e la Cappella dell'Immacolata. La costruzione della nuova Cattedrale iniziò nel 1870 su progetto dell'architetto Nicola Breglia, e dopo numerose interruzioni ed alterne vicende si concluse permettendo l'apertura al culto della Cattedrale nel 1909, in occasione della traslazione dei resti mortali di San Paolino a Nola.

     
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