LA CAMPANIA 2^Parte

IL CILENTO..LA COSTIERA AMALFITANA..CETARA..VIETRI..PAESTUM..

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI

    “ ... Domenica ... coste che abbracciano pendii verdi mentre riflessi argentati illuminano strade che tracciano pennellate su un dipinto difficile soltanto da immaginare nella sua bellezza ... diamanti incastonati nella roccia, paesi come perle di una collana fanno bella mostra di se ... tele dai superbi colori si affacciano sul mare color turchese mentre su barche colorate marinai intonano canti dialettali dedicati al proprio amore e alla pesca ... dall’alto sorvoliamo questo paesaggio d’incanto ... il Cilento, la Costiera Amalfitana ... Buon risveglio amici miei ... la nostra mongolfiera vi attende, la nosta isola vi attende ...”

    (Claudio)



    IL CILENTO..LA COSTIERA AMALFITANA..CETARA..VIETRI..PAESTUM..BELLEZZE,STORIA RACCONTANO LA CAMPANIA


    “Il comune di Praiano occupa il tratto di costa tra Positano e Conca de Marini, ai due lati di Capo Sottile…… Il nome deriva dall’antico Pelagianum “mare aperto”, diventato nel Medioevo Plagianum e poi Praiano. In passato era uno degli antichi casali della Repubblica Amalfitana, insieme a quello di Vettica Maggiore, e antico borgo di pescatori…Disteso sulla dorsale dei Monti Lattari, Praiano rappresenta una fiorente località turistica di grande bellezza dal punto di vista naturalistico… fanno da cornice i monti Lattari, mentre verso il mare si ammira l’arcipelago de Li Galli ed ancora più lontano l’isola di Capri… Cala di Gavitella E’ una delle principali spiagge di Praiano che offre una meravigliosa vista su Capri, l’Isola de Li Galli e Positano; è anche l'unica spiaggia della costiera amalfitana illuminata dal sole fino al tramonto per la sua felice esposizione ad ovest. Da qui è possibile nuotare fino alla spiaggia delle “Praie”, raggiungibile solo via mare, oppure raggiungere “la Fontana dell’altare”, una sorta di piscina naturale ricavata in una grotta.”



    “Sorta nel VI secolo, Ravello è situata in uno dei punti di più ampia vista sul golfo, adagiata sul contrafforte che divide la valle del Dragone da quella del Regina… probabilmente fondata da una colonia romana nel VI secolo, le prime notizie certe su Ravello risalgono al IX secolo quando tutti i centri della costa rientrarono nello Stato amalfitano. I ravellesi cercarono di liberarsi da Amalfi, ma la città divenne poi residenza di patrizi romani, che qui costruirono molte ville……Nominata come sede vescovile, conobbe il suo splendore tra il X ed il XIII secolo grazie al florido commercio marittimo, alla produzione di lana (la cosiddetta “Celendra”) e di cotone…Immersa nelle sue bellezze architettoniche e nel suo incantevole paesaggio, Ravello è considerata come la gemma più preziosa della penisola amalfitana, a cui si arriva attraverso una delle strade di più suggestiva bellezza. Per questo motivo essa è stata meta preferita per viaggiatori, intellettuali, artisti, musicisti, come Boccaccio, Wagner e molti altri, che qui trassero ispirazione per le loro opere…L'abitato conserva ancora il suo aspetto medievale: contorte stradine, ville, chiese dagli stupendi mosaici testimoniano ancora la decisa influenza bizantina ed araba sul romanico meridionale….. Villa Rufolo..risale ai secoli XIII-XIV ed appartenne alla famiglia Rufolo, poi al Confalone, ai Muscettola, ai D'Afflitto e, infine, nella metà dell'Ottocento, allo scozzese Francis Neville Reid…Il palazzo, a tre piani in stile arabo, ospitò importanti personaggi come il papa Adriano IV ed il re Roberto D’Angiò…sulla sinistra dell’edificio si erge una torre alta 30 metri con arco ogivale…Nel bellissimo giardino esotico di Villa Rufolo, Wagner ritrovò il giardino ideale di Klingsor del Parsifal… nella sua terrazza a strapiombo sul mare viene celebrato oggi il famoso Festival Wagneriano…. Villa Cimbrone La si potrebbe definire la visionaria creazione di un lord inglese. La sua storia è controversa, ma senza alcun dubbio affascinante è il risultato. Il sito di Villa Cimbrone, così come la sua denominazione, è di antico… si trattava di un ampio possedimento terriero della nobile famiglia Acconciagioco, su cui sorgeva un rustico vasto casale. Il lussureggiante giardino della villa, in cui sono disseminate statue, tempietti, epigrafi, fontane, grotte naturali ed anfratti creati ad arte, culmina nello scenografico belvedere dell'Infinito, da cui la vista spazia e si amplia per cogliere il panorama che Gore Vidal ha definito "il più bello del mondo".”



    “ Al tempo della Repubblica amalfitana, Atrani era abitata dalle famiglie più nobili…fu devastata dai Pisani nel 1135 e risorse all'epoca del re Svevo Manfredi, nella seconda metà del ‘200. E' il centro costiero che ha meglio conservato le sue antiche caratteristiche topografiche, quelle di un antico borgo di pescatori. Le sue case si affacciano sul mare e si raccolgono intorno alla piazzetta per poi salire verso le pareti rocciose della montagna, attraversata da giardini e coltivazioni di limoni. Con la sua struttura urbana, tipicamente medievale, tra vicoletti, archi, cortili e con le sue caratteristiche “scalinatelle”, sembra un piccolo presepe naturale… Nella Grotta dei Santi sono visibili alcuni resti di un antico monastero benedettino di S. Quirico e S. Giulitta, fondato nel 986. L'entrata alla piccola grotta, decorata con affreschi in stile bizantino risalente al XII sec. è contornata da uno degli archi di sostegno di un antico canale idrico. Tra le figure dei Santi, raffigurati negli affreschi, vi sono i quattro evangelisti e S. Giorgio.”



    “Cetara, paese di pescatori…il suo nome deriverebbe dal latino cetaria “tonnara” o da cetari "venditori di pesci grossi"…..In principio era un' Antica Roccaforte dei Saraceni, esattamente nell’ 842 e nell’ 879 al tempo dell’assedio di Salerno..Nel 1030 i cetaresi pagavano lo ius piscariae all’arcivescovo di Amalfi, mentre il duca Guglielmo assegnava al monastero benedettino di Erchie il diritto alla riscossione della decima, che si pagava per l’attività della pesca nel mare di Cetara…Nel 1551 la città fu assalita dalle armate turche… dopo questo tragico episodio, gli abitanti costruirono una possente torre di avvistamento, oggi simbolo caratteristico del paese (La Torretta)… Al tempo della Repubblica marinara, i cetaresi erano considerati i migliori pescatori, in quanto il mare in questa zona era particolarmente pescoso.. La Torre che attraversa il vallone dell'Albore continua poi quasi rettilinea per raggiungere l'antica conca di Cetara avvolta dal monte Falerzio, in parte verdeggiante e rigoglioso di agrumi ed in parte rado e selvaggio…Ultimo possedimento e confine dell'antico Ducato e diocesi amalfitana della banda orientale della costiera, fu roccaforte dei Saraceni…I Turchi, per difendersi da simili attacchi, costruirono la torre vicireale”



    “Vietri sul mare domina dall'alto la piccola valle di Bonea…. il territorio congiunge la zona dei Monti Lattari con i Picentini….Fondata dai Tirreni o dagli Etruschi come avamposto per i loro commerci, occupata poi dai Sanniti ed abitata dai Romani, le origini di Vietri sono riconducibili a quelle dell’antica Marcina, città etrusca che probabilmente si estendeva sul territorio di Marina fino a Vietri ed era rinomata per la sua ricchezza, per il culto delle arti e per il suo florido commecio marittimo e terrestre. Distrutta dalle invasioni di Genserico nel 455 d.C. o probabilmente da alluvioni o maremoti, i marcinesi iniziarono a spostarsi verso l'attuale Cava dei Tirreni, ma molti di essi si stabilirono nella zona del Monte San Liberatore, costituendo una comunità intorno alla chiesa di S. Giovanni Battista, l'attuale centro abitativo di Vietri sul mare. Con il passare del tempo la città fu esposta anche alle invasioni dei Saraceni, che si erano stabiliti vicino al porto di Fuenti…..Vietri fu inoltre un centro ceramico attivo fin dal '500 ed ancora oggi esso costituisce un’importante attività economica, caratterizzata da un artigianato fantasioso e multicolore….. I due fratelli …sono delle formazioni rocciose molto simili a piccoli faraglioni, che spuntano dalle acque di Marina, di fronte alla spiaggia della torre Crestarella…. Ci sono diverse leggende popolari sui Due Fratelli. Una narra di due fratelli pastori che, durante il pascolo estivo del gregge, cercarono di salvare delle pecore travolte dai flutti del mare, ma morirono e furono immortalati dagli dei nelle due rocce marine. Un'altra tradizione popolare tramanda di due fratelli, uno rapito dai Saraceni e l'altro morto di fame e di stenti sulle spiaggia nell'attesa dell'impossibile ritorno dell'amato congiunto.”


    “Il Cilento, terra dalle dolci morfologie collinari, ricoperte da distese di ulivi verdecenere che si rispecchiano nel blu del Tirreno e allo stesso tempo, terra dalle morfologie molto aspre profondamente incise da vivaci torrenti, raie dall'aspetto lunare, boschi di castagni e di lecci, paesi abbarbicati alle rocce o adagiati sulle rive. La natura carsica delle terre cilentane e la conseguente ricchezza di grotte ha senza dubbio favorito la presenza dell'Uomo che in esse si è rifugiato, ha trovato riparo, ha consumato i suoi pasti. i più antichi segni della presenza antropica risalgono al Paleolitico medio (500.000 mila anni a.C.) e le sue tracce continuano attraverso il Neolitico e fino all'Età dei Metalli. La presenza dell'Uomo primitivo è ancora oggi tangibile attraverso la presenza dei suoi "strumenti" disseminati sia lungo le grotte costiere tra Palinuro e Scario, sia in quelle interne dislocate lungo gli antichi percorsi di crinale dei massicci montuosi (Grotte di Castelcivita), sia nel Vallo di Diano (Grotte dell'Angelo, Pertosa)…. i primi Greci approdarono sulle coste del Cilento (intorno al XVII secolo a.C.) dove più tardi (fine VII-VI secolo a.C.) nacquero le città coloniali: Pixunte, Molpa e l'antica Poseidonia (la romana Paestum), fondata dagli Achei sibariti che qui giunsero, con i popoli appenninici, non dal mare ma attraverso i ben noti, più sicuri e più rapidi percorsi di crinale. Mentre il mare portò i Focei, originari dell'Asia minore, fondatori di Elea (oggi Velia), la città della Porta Rosa, di Parmenide e della sua Scuola Filosofica Eleatica, una delle più importanti e famose del mondo classico, e della prima Scuola Medica…..Poi, a partire dal IV secolo a.C., Lucani, Romani e Cristiani d'oriente intrecciarono traffici ed alleanze, avviarono conflitti e guerre, occuparono e rifondarono città, trasformando il Cilento in un crogiuolo, dove si fondono e si mescolano popoli e culture. Con la caduta dell'Impero di Occidente intorno al VI secolo d.C. iniziò, anche per il Cilento, il lungo periodo delle dominazioni barbariche: i Visigoti di Alarico, la guerra gotica tra Totila e Belisario, il diffondersi del Monachesimo Basiliano, l'imposizione feudale dei Longobardi, i continui attacchi e scorrerie dei Saraceni. Ed ancora una volta ci fù l'incontro tra civiltà diverse, nacquero abbazie e cenobi in cui coesisterono il rito greco e quello latino, lasciandoci splendidi gioielli come la Badia di Pattano con la Cappella di S.Filadelfo gli affreschi della Cappella Basiliana a Lentiscosa…E poi, nel 1076, la conquista dei Normanni, che trasformarono il Cilento in terra di Baroni, latifondi e sfruttamenti. Per gli anni a venire i Sanseverino, gli Svevi, gli Angioini, combatterono, congiurarono, e le loro tirannie sovente innescarono rivolte; l'intero territorio fu smembrato tra nobili senza scrupoli che, tra il XVI ed il XVII secolo, scrissero una delle pagine più tristi e crudeli di questa terra, contribuendo anche alla nascita del Brigantaggio. E qui la Storia diventa leggenda, ballata di eroi, epopea di un Popolo orgoglioso e stanco di continue violenze e angherie. E finalmente, dopo il sacrificio dell'ennesimo martire immolato in terra cilentana nei pressi di Sanza (Cippo di Pisacane), le Genti del Cilento e Vallo di Diano riconquistarono l'agognata giustizia e libertà. “


    “Il sito archeologico di Paestum ha forma pentagonale delimitata da imponenti mura di cinta…Le mura avevano una lunghezza di quasi cinque chilometri, un’altezza di quindici metri, ed uno spessore che variava tra i cinque ed i sette metri. Intorno ad esse vi era stato scavato un fossato, da tenere ricolmo d'acqua. Dalle mura s'innalzavano 24 torri, alcune a pianta tonda altre a pianta quadrata. Vi si aprivano quattro porte: a Est Porta Sirena, a Ovest Porta Marina, a Nord Porta Aurea, a Sud Porta Giustizia…La "Basilica", il più antico dei templi, fu costruita intorno al 550 a.C., seguendo lo stile dorico arcaico. Fu denominata erroneamente "Basilica" alla fine del XVIII sec., allorché gli archeologi del tempo lo scambiarono per un edificio civile di età romana. …in realtà un tempio greco dedicato alla dea Hera (Giunone per i romani)….. Il tempio di Poseidone..nonostante il nome con il quale lo s'identifica, si ritiene che fosse dedicato alla dea Hera…fu costruito intorno al 450 a.C. seguendo lo stile architettonico dorico classico: lo stesso del Partenone di Atene…La differenza tra la "Basilica" e il "Tempio di Nettuno" si nota facilmente confrontando le rispettive colonne: quelle della Basilica sono caratterizzate da un rigonfiamento a metà fusto…Il Tempio di Cerere…Sorge nel punto più alto della città… si deduce che non fosse dedicato a Cerere, ma alla dea Athena (Minerva per i romani), dal momento che nelle città greche i templi dedicati a questa divinità erano sempre innalzati, per l'appunto, nella zona più alta delle città. …Il Tempio della Pace..dal suo orientamento nord-sud - e non est-ovest come per i templi greci - si deduce che esso sia di costruzione romana (200 a.C. circa)…dedicato alla triade capitolina Giove, Giunone e Minerva…Lunga 12 chilometri, la Via Sacra univa la città di Poseidonia al più antico tempio di Hera, edificato nei pressi del fiume Sele. Il tracciato è di epoca greca… il lastricato di età romana…Il Foro è da attribuirsi ai romani che, molto probabilmente, lo edificarono sulla vecchia agorà greca. Sia il foro che l’agorà, infatti, in età antica, fungevano da piazza.. punto nevralgico per il commercio e la vita pubblica delle città…Gli anfiteatri, di origine romana, erano a pianta ellittica e vi si svolgevano i combattimenti tra i gladiatori e fiere. L’anfiteatro di Paestum, in particolare, era munito di una entrata con volta a vela e due porte laterali ad arco che davano accesso alle gradinate…Scoperta di recente, nel 1954, è ignota la finalità di questa piccola costruzione sotterranea…. si sono rinvenuti otto vasi di bronzo contenenti miele, una pregevolissima anfora attica in terracotta a figure nere, e diverse aste in ferro ricoperte da brandelli di cuoio…Si suppone che il Sacello fosse un tempio sotterraneo dedicato alla dea della fertilità, oppure una tomba simbolica realizzata per onorare il fondatore della città.”



    “Capo Palinuro è un caratteristico promontorio calcareo per lo più a picco sul mare.. Nota fin dalle epiche gesta narrate nell'Eneide da Virgilio, questo tratto costiero che s'allunga nel Tirreno Meridionale rappresenta uno dei gioielli naturalistici del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. Splendido scorcio costiero grazie al continuo susseguirsi di calette, grotte e spiagge di unica bellezza, nasconde tesori faunistici grazie al persistere di un'ambiente marino incontaminato: caratteristiche fioriture del corallo rosso, gorgonie gialle, verdi e rosse, e ancora aragoste e granchi, cernie, dentici e ricciole…la grotta più conosciuta è la "Grotta Azzurra", lunga 85 metri e larga 90, di color turchese derivante dal gioco di rifrazione della luce del sole filtra da un'apertura in profondità e dipinge in maniera unica queste pareti rocciose …Altra Grotta molto conosciuta è quella "d'Argento", le cui pareti subiscono di riflesso il colore del prezioso metallo che assume l'acqua per il miscelarsi dell'acqua marina con la densa acqua sulfurea. Tra le altre ricordiamo ancora la "Grotta dei Monaci” per le numerose formazioni stalagmitiche che richiamano le sembianze di un gruppo di monaci in preghiera, la "Grotta Preistorica o delle Ossa", i cui sedimenti fossili testimoniano la frequentazione di uomini primitivi, la "Grotta del Sangue per l'intenso rosso che si accende sulle sue pareti e la "Grotta Sulfurea" ..”



    “Marina di Camerota, con il suo caratteristico porticciolo turistico, il suggestivo borgo marinaro sorto ai piedi della montagna, il suo mare cristallino di un blu intenso e la sua costa frastagliata e ricca di cavità naturali tutte da scoprire e d ammirare, è stata da molti definita la Perla del Cilento. La leggenda narra che Palinuro, il nocchiero di Enea, innamorato non corrisposto di Kamaraton, una fanciulla bella come una dea ma dal cuore di pietra, inseguì la sua l'immagine di Kamaraton nel fondo del mare…La fanciulla in seguito fu tramutata da Venere in roccia, la roccia su cui ora sorge Camerota. …si adagia su di un arco di costa tra ulivi di epoca saracena, incastonati tra due piccoli promontori sormontati da torri….nacque verso la fine del 600 come villaggio di pescatori, si amplio` poi nell`ottocento con I'arrivo di gente dalle zone circostanti….Un tempo tra le sue vie si Iavoravano le corde vegetali che venivano poi esportate a Taranto, La Spezia e Venezia…”







    Praiano

    è un comune italiano di 2.029 abitanti della provincia di Salerno in Campania, appartenente geograficamente alla Costiera Amalfitana.

    Praiano...tra cielo e mare

    Cupola di San Gennaro di Praiano

    Tramonto in Costiera Amalfitana visto da Praiano



    Salerno

    (Salierno [sa'ljernə] in dialetto salernitano) è una città italiana di 139.883 abitanti, capoluogo dell'omonima provincia in Campania. La città è il centro di un'area urbana di circa 415.000 abitanti che comprende la costiera amalfitana, la valle dell'Irno, i picentini e parte della piana del Sele. E'conosciuta soprattutto per la Scuola medica salernitana, che fu la prima e più importante istituzione medica d'Europa all'inizio del Medioevo (IX secolo) e come tale è considerata da molti un'antesignana delle moderne università.

    Panorama di Salerno dal monte San Liberatore




    Storia

    Periodo pre-romano e romano

    Il primo insediamento documentato sul territorio di Salerno risale al VI secolo a.C., si tratta di un centro osco-etrusco che sorgeva sul fiume Irno poco lontano dalla costa in un punto strategico per le vie di comunicazione dell'epoca. Nel V secolo a.C., con la ritirata degli etruschi dall'Italia meridionale, lo stesso insediamento venne occupato dai sanniti. Nel 197 a.C. viene fondata sulla costa la colonia romana di Salernum. La città si espanse e durante l'impero di Diocleziano divenne il centro amministrativo della provincia della Lucania e del Bruzio.

    Medioevo

    Nel 646 Salerno cadde in mano longobarda e divenne parte del ducato di Benevento. Nel 774 il principe Arechi II vi trasferì la corte e nel 839 il principato di Salerno divenne autonomo da Benevento acquisendo i territori del Principato di Capua, la Calabria e la Puglia fino a Taranto. La realtà della città era caratterizzata da un ambiente multiculturale; il principato era difatti uno stato cuscinetto tra il papato e l'impero, da una parte, e l'oriente bizantino e il mondo islamico dall'altra. Questo quadro politico contribuiva tuttavia anche ad una certa instabilità. Dal punto di vista commerciale, anche per tramite della vicinissima e potente Amalfi, la città era collegata alle più remote coste del mediterraneo. In questo contesto sorse intorno al IX secolo la Scuola Medica Salernitana che la tradizione vuole fondata da quattro maestri: un arabo, un ebreo, un latino ed un greco. La scuola fu la prima istituzione per l'insegnamento della medicina nel mondo occidentale e godè di enorme prestigio per tutto il Medioevo. La città era una meta obbligata per chi volesse apprendere l'arte medica o farsi curare dai suoi celebri dottori. Questa fama valse a Salerno il titolo di Hippocratica civitas, titolo di cui ancora la città si fregia nel suo stemma.
    Tra il X e il XII secolo la città visse il periodo più florido della sua storia, OPULENTA SALERNUM fu la dizione coniata sulle monete per testimoniarne lo splendore. Nel 1076 Roberto il Guiscardo conquistò Salerno che divenne capitale dei domini normanni ovvero del ducato di Puglia e Calabria, (titolo appartenuto in precedenza a Melfi) che comprendeva tutta l'Italia meridionale. In questo periodo fu fatto costruire il duomo in stile arabo-normanno. Nel 1127 la capitale del regno passò a Palermo ma Salerno rimase una delle città più importanti del Regno di Sicilia. Con l'avvento degli svevi, ed in seguito degli angioini e degli aragonesi, la città cominciò a perdere importanza: soprattutto a causa della sempre più crescente egemonia della vicina Napoli.

    Castello di Arechi

    Storia contemporanea

    Nel settembre del 1943, durante la seconda guerra mondiale, la città fu teatro del cosiddetto sbarco di Salerno ovvero dell'operazione Avalanche: con questa operazione gli alleati accedevano alla costa tirrenica della penisola italiana ed aprivano la strada per avanzare verso Roma. Nel periodo che seguì lo sbarco la città ospitò i primi governi dell'Italia post-fascista e la famiglia reale divenendo di fatto capitale d'Italia fino alla liberazione di Roma (metà agosto 1944).



    COSTIERA AMALFITANA...

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    AMALFI

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    ATRANI
    Guardando Atrani, con il suo inestricabile intreccio di vicoli, stradine e scalinatelle, non è difficile capire perché Maurits Cornelis Escher se ne innamorò a prima vista quando vi arrivò all’inizio del '900 e qui ideò oltre 100 delle sue opere. Con la sua struttura urbana, tipicamente medioevale ma da anni ormai caratterizzata dai cavalcavia della Costiera che abbracciano dall’alto le casette sulla spiaggia, Atrani è senza dubbio il paesino della Costa d'Amalfi che meglio ha conservato l’atmosfera e l'aspetto di un tempo. Guardandolo dal mare, il piccolo borgo segue nella sua forma la piccola caletta ad anfiteatro che lo ospita, arrampicandosi poi verso la montagna tra piazzetta, vicoli coperti e tipiche "scalinatelle" che seguono l’antico corso del fiume Dragone. Scorci splendidi, meta di pellegrinaggio turistico riscoperti con ancora maggiore entusiasmo negli ultimi anni in cui Atrani è diventata il vero cuore pulsante delle serate in Costiera Amalfitana. Impossibile resistere infatti al fascino della splendida piazzetta su cui si affacciano bar e localini, colorati dall'alto dai folcloristici panni stesi alle finestre insieme ai grappoli appesi di pomodori "a piennolo", tondi e rossi, buoni fino all'inverno.

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    ATRANI VISTA DALL'ALTO

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    Cattedrale di Salerno

    dedicata a santa Maria degli Angeli e all'apostolo Matteo, patrono di Salerno, è una cattedrale in stile romanico dell'XI secolo.

    Duomo di Salerno nel Centro storico

    Vista dal quadriportico della facciata interna

    Il quadriportico

    Particolare degli intarsi policromatici

    Storia

    Il duomo di Salerno fu costruito tra il 1080 ed il 1085 dopo la conquista della città da parte di Roberto il Guiscardo, mentre era arcivescovo Alfano I, poeta e medico della famosa Scuola medica salernitana. La chiesa fu consacrata nel giugno del 1084 dal papa Gregorio VII, ospite in esilio della città. Costruito su un'omonima chiesa paleocristiana dedicata a santa Maria degli Angeli, sorta a sua volta sulle rovine di un tempio romano, i lavori iniziali erano di ben più modesta fattura. I progetti furono ampliati successivamente con il ritrovamento delle spoglie del santo evangelista, tumulate nell'antica chiesa il 4 maggio 954 e venute alla luce con la progressiva demolizione di questa. A causa dell'eccessiva celerità con cui fu costruita e a cedimenti di terreno dovuti a numerosi sismi, subì nei secoli vari rifacimenti; si ricorda soprattutto quello del 1688 ad opera degli architetti napoletani Giambattista Buratti, Arcangelo Guglielmelli e soprattutto Ferdinando Sanfelice al quale si deve l'attuale aspetto interno e la volta ad incannucciata. Di recente è stato in parte riportato alla originaria struttura romanica.

    Il campanile

    Addossato al lato meridionale del quadriportico è collocato il monumentale campanile arabo-normanno, che si eleva per quasi 52 metri con una base di circa dieci metri per lato. Da una lapide murata sulla fronte meridionale si legge che committente fu Guglielmo da Ravenna, arcivescovo di Salerno dal 1137 al 1152. L'epigrafe è la seguente:


    (LA)
    « TEMP(O)R(E) MAGNIFICI
    REG(IS) ROG(ERI) W(ULIELMUS) EP(ISCOPUS)
    A(POSTOLO) M(ATTHEO) ET PLEBI DEI »
    (IT)
    « Al tempo del Magnifico
    Re Ruggiero il vescovo Guglielmo
    (dedicò) all'Apostolo Matteo e al Popolo di Dio »


    Il campanile è composto di quattro cubi e termina con un tiburio a cupola. La sua composizione risponde ad una precisa esigenza statica in quanto i primi due piani, indubbiamente più pesanti, sono in travertino e costituiscono una solida base di sostegno. Gli altri due piani sono in blocchetti di laterizio, certamente più leggeri. Tutti i piani sono alleggeriti da ampie bifore che scaricano i pesi lateralmente sugli angoli. La torretta costituisce la parte più interessante con la decorazione a dodici archi a tutto sesto intrecciati con alternanza regolare di diversi materiali policromi. Tale decorazione contribuisce ad un'ambientazione culturale propria dell'area salernitano-amalfitana. La cupoletta è demarcata da una fascia con stelle a sei punte. Le forme del campanile, inoltre, rimandano a precise simbologie bibliche. I piani sono tre, numero equivalente ai livelli dell'universo secondo le Sacre Scritture; inoltre, la forma cubica vuol ricordare la loro fisicità. La torretta, invece, ha una forma circolare che nella bibbia equivale all'elemento ultraterreno; la parete esterna è percorsa da dodici colonnine (quanti sono gli apostoli) che reggono la fascia stellata a sei punte (stella ebraica) che è la raffigurazione del paradiso. In cima a tutto vi è la cupola, la cui perfetta forma sferica rappresenta Dio. All'interno del campanile, al piano sottostante la torretta, vi sono le 2 campane maggiori (fa3 e do3) e sulla torretta le tre minori (re4, do4 e si3). Queste campane vengono chiamate rispettivamente grossa, campana del vescovo, mezzana, mezzanella e squillina e sono state fuse dalla fonderia Pasqualini di Fermo (Ap,Marche) nel 1677, 1645, 1780, 1890 e 1579.Tutte le camapne sono state automatizzate e inceppate a mezzoslancio dall'omonima fonderia.

    Ambone D'Ajello

    Mosaici della parete absidale

    Urna del papa Gregorio VII

    Cripta barocca



    ... Immagini da Salerno ... valgono molto di più di una parola ... sono spettacolo puro ...



    fondaleg



    Lungomare

    Castello Arechi di Salerno

    Salerno di notte



    Salerno - La Bastiglia

    Villa comunale di Salerno - illuminata per questo Natale

    Piazza della Concordia - Salerno

    Santa Maria di Castellabate (Salerno)




    ULIVO





    L'Olivo è una pianta coltivata dall'uomo fin dai tempi più remoti, variamente eletto nelle antiche tradizioni a simbolo di pace, di saggezza, di sapienza, di gloria e di prosperità, era talmente tanta l'utilità che gli uomini traevano dall'Olivo (Olea Europea) da considerarlo un dono degli Dei...





    il culto delle divinità onorate a Sais e consacrò la città ad Atena, divinità già adorata nella sua città di origine, mettendola sotto la sua protezione. Giudicando il suolo dell'Attica particolarmente adatto alla coltivazione della pianta dell'Olivo, consacrò questo albero ad Atena per renderlo ancora più prezioso per il popolo. Per Diodoro, lo scopritore della pianta dell'Olivo fu invece Mercurio, il primo ad insegnare agli uomini l'arte della sua coltivazione e della spremitura per ottenere l'olio dai suoi frutti. Sprenghel, nel 1° Libro della Storia della Medicina, racconta che che fu Ercole a trasportare dal paese degli Iperborei l'Olivo silvestre in Grecia, e forse in ragione di questa credenza che nei giochi Attici si incoronava il vincitore con un ramo di Olivo. Questa pianta era tenuta in così grande considerazione, da punire con pene severissime chiunque l'avesse rubata o danneggiata in qualche maniera. Quando Sparta mosse guerra ad Atene, nella devastazione che seguì, gli Spartani, risparmiarono gli alberi d'olivo per il sacro rispetto che nutrivano nei confronti di questa pianta. Aristeo, figlio di Apollo e di Cirene, fu, alla sua morte eletto tra gli Dei, e il suo culto si estese tra i pastori, grati per aver insegnato loro l'arte delll'apicoltura, quella di fare il formaggio e la coltivazione degli ulivi.





    Epimenide chiamato dagli Ateniesi ad assistere Solone nella compilazione della legislazione, rifiutò ogni onorificenza terminato il lavoro, chiedendo per sé solo un ramo di Olivo del tempio di Atena. Nelle feste e nei giochi in onore di Atena, il vincitore veniva incoronato con una ghirlanda di Olivo, lo stesso premio che veniva attribuito a Roma ai poeti e letterati durante la solennità della festa Quinquatrus in onore di Minerva (l'Atena romana). La ghirlanda d'Olivo era per gli ateniesi la loro Corona patria e come tale fu portata da Aiace e Achille come ricompensa delle loro vittorie contro i nemici. Anche la Nike dei Greci e la Vittoria dei Latini erano adornate con queste corone. I significati simbolici attribuiti all'Oivo sono veramente tanti, è considerato principalmente il simbolo della pace e delle risoluzioni pacifiche. La Pace, Irene, era rappresentata come una donna con un ramo di olivo nella mano destra, la cornucopia a sinistra, e una ghirlanda di olivo sul capo. L'invio di un ramoscello di olivo al nemico in guerra, era da intendersi come una offerta di pace. Nell'assedio di Sidone, 500 uomini illustri, si recarono da Artaserse per implorare la pace e chiedere di risparmiare i cittadini. Quando Cartagine fu sconfitta, vennero inviati al campo di Scipione una delegazione di dieci nobili accompagnati da un messo ornato con ramoscelli di olivo per chiedere la pace. Nell'Odissea, Penelope, all'indomani del ritorno di Ulisse, per fugare i dubbi sulla sua identità gli chiede di rivelargli il mistero del talamo nuziale, costruito sopra un bellissimo ulivo e noto solo a loro due e allo schiavo Actori





    iErodoto ci racconta un'altra bellissima storia: due giovani vergini, Dania ed Augeria, native di Epidauro vennero oltraggiate e sopraffatte dalla vergogna si impiccarono; dopo poco tempo le terre degli Epidauri furono invase dalla sterilità; l'oracolo consultato impose di innalzare a Dania e Augeria delle statue scolpite dai tronchi di ulivo domestico. Nelle terre di Epidauro questa pianta era sconosciuta, allora chiesero agli ateniesi il permesso per potersene procurare. Costoro acconsentirono, ma ad una condizione: il popolo di Epidauro ogni anno avrebbe dovuto inviare una delegazione di suoi cittadini ad Atene per fare solenni sacrifici alla Dea Atena. L'immagine del riposo e della pace eterna era rappresentata dalla cristianità con una colomba che porta un ramo d'Olivo nel becco, simbolo anche di rinascita a nuova vita e speranza di resurrezione, ma anche di rinascita spirituale. Non a caso Noè inviò la colomba con l'Olivo ad annunciare la fine del diluvio. Licurgo, volle abolire ogni fasto alle cerimonie funebri, stabilendo di adagiare i cadaveri sopra foglie di olivo e di alloro, questo per alludere alle vittoria riportata dal defunto sulle miserie della vita. L'Olivo era simbolo della Misericordia, della Clemenza, della Equità, della Pietà, della Felicità, della Luce. La Misericordia infatti era una donna vestita di bianco, rappresentata nell'atto di porgere pane ai poveri e con una ghirlanda di olivo sul capo. La Clemenza e l'Equità sono rappresentate nelle monete come donne con rami d'olivo tra le mani. Anche la Pietà, rappresentata come una donna velata, aveva in mano un ramoscello di olivo. Felicità era una figura femminile seduta su una cornucopia e con rami d'olivo tra le mani. L'olivo simbolo di luce, perché la luce è l'essenza di Minerva, chiarezza dell'intelletto, o forse perché l'olio ottenuto dai suoi frutti serviva per illuminare la notte. Durante le grandi epidemie, era consuetudine portare con se ramoscelli d'ulivo per proteggersi dal contagio. I censori romani erano rappresentati con un piccolo vaso di acqua benedetta in una mano e un ramoscello di ulivo nell'altra. Al termine dei cinque anni del mandato, era usanza benedire il popolo, aspergendo acqua benedetta con un ramoscello d'ulivo, in segno di perdono verso il popolo che avrebbe vessato durante il periodo del censo.





    Lungomare di salerno

    Sarno

    è un comune italiano di 31.357 abitanti, della provincia di Salerno, e fa parte geograficamente dell'Agro nocerino sarnese. La città si sviluppa alle falde del monte Saro e sulle rive del fiume Sarno, da cui prende il nome. La sua economia si basa principalmente sulla produzione agricola e sull'industria conserviera, in particolare di pomodori (famoso il pomodoro San Marzano dop) e olive. Il 5 maggio 1998 il comune fu colpito, insieme con i vicini centri di Quindici, Bracigliano e Siano, da un gravissimo fenomeno franoso, composto da colate rapide di fango, che interessò la metà del territorio comunale. L'evento provocò la distruzione di molte abitazioni e la morte di 137 persone nella sola Sarno.

    Storia

    Il territorio di Sarno fu abitato a partire dall'epoca neolitica e fu sede probabilmente di diversi insediamenti indigeni (Osci e Sanniti, a partire dal IX secolo a.C. e che perdurò in epoca romana fino all'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Nell'VIII secolo il primo nucleo dell'attuale città di Sarno sorse ai piedi del castello fondato dal duca longobardo di Benevento. Nel 970 il precedente gastaldato fu eretto a contea e, tra X e XI secolo divenne sede vescovile. Sarno seguì le sorti del Regno di Napoli, passato dai Normanni agli Svevi, sotto i quali il feudo fu in possesso della famiglia d'Aquino. Durante il dominio angioino la contea fece parte dei domini della corona e alla fine del XIV secolo fu affidata ai Brunnfort. Agli inizi del secolo successivo passò agli Orsini di Nola e ai d'Alagno di cui Nicola fu isignito della contea, alla fine del secolo a Francesco Coppola, che prese parte alla congiura dei baroni. Nel XVI secolo fu in possesso dei Tuttavilla, passando poi ai Colonna, ai Barberini. Questi ultimi conti feudatari vendettero il loro feudo nel 1690 al principe Giuseppe II de' Medici di Ottaviano e quindi il territorio sarnese entrò nell'orbita di quella città e di quella casata medicea, sotto cui divenne ducato, fino all'abolizione del feudalesimo nel 1810.



    Ulivo





    legata a quella dell'umanità; nelle origini di questo prezioso liquido dorato storia e mitologia si intrecciano strettamente, fino a confondersi. Comparsa per la prima volta probabilmente nell'Asia occidentale, la pianta dell'ulivo si diffuse in tutta l'area mediterranea, dove il suo culto fu consacrato da tutte le religioni.





    Fin dai tempi più remoti l'ulivo fu considerato un simbolo trascendente di spiritualità e sacralità. Sinonimo di fertilità e rinascita, di resistenza alle ingiurie del tempo e delle guerre, simbolo di pace e valore, l'olivo rappresentava nella mitologia, come nella religione, un elemento naturale di forza e di purificazione. E' ormai accertato che la coltivazione dell'ulivo ha origini ad almeno 6.000 anni fa: ne fanno fede racconti tradizionali, testi religiosi e rinvenimenti archeologici. Probabilmente la pianta ebbe il suo habitat originario in Siria ed i primi che pensarono a trasformare una pianta selvatica in una specie domestica furono senza dubbio popoli che parlavano una lingua semitica.





    Dalla Siria facile fu il suo trapianto in Grecia dove trovò una inaspettata fortuna e applicazione che la resero, poi, indispensabile ai popoli antichi del Mediterraneo. A conferma della millenaria storia dell'olivo ricordiamo come la tradizione pone di fronte all'antica Gerusalemme il "Monte degli Ulivi", o come la bellezza di questa pianta sia cantata spesso nell' "Antico Testamento" (v. libro del profeta Osea dove il Dio d'Israele è paragonato alla magnificenza dell'olivo). Sono circa settanta le citazioni che se ne fanno nella bibbia.





    D'altra parte che questo fosse un simbolo è chiarito anche dall'episodio dellStoria pianta di Ulivoa colomba che torna all'arca di Noè tenendo nel becco un rametto d'olivo. Lo stesso nome di Gesù, christos, vuol dire semplicemente unto. La Bibbia racconta che fu un Angelo a dare a Seth, il figlio di Adamo, tre semi da mettere fra le labbra del padre dopo la sua morte. Dalle ceneri di Adamo germogliarono così un cedro, un cipresso e un olivo. Nella tradizione cristiana, da secoli, viene usato olio d'oliva per la celebrazione di alcuni Sacramenti, Cresima, ordinamento sacerdotale, Estrema Unzione. Ed è un rametto di olivo benedetto che viene distribuito a tutti i fedeli la Domenica delle Palme, in ricordo della resurrezione e come simbolo pace.





    Nell'antica Grecia agli Ateniesi vincitori venivano offerti una corona di ulivo ed un'ampolla d'olio; mentre gli antichi Romani intrecciavano ramoscelli di ulivo per farne corone con le quali premiare i cittadini più valorosi. Sappiamo che ad Atene fu sacro alla dea Athena e costituisce fatto indubbiamente interessante che esso sia stato considerato sacro da molte popolazioni e forse non soltanto per il suo apporto calorico, ma per la sua stessa natura di pianta resistente e longeva. L'olio spremuto dalle olive non era soltanto, nell'antichità, una risorsa alimentare; era usato anche come cosmetico e come coadiuvante nei massaggi. Inoltre, gli atleti, in particolare coloro che si dedicavano alla lotta, usavano cospargere i muscoli di purissimo olio, sia per il riscaldamento degli stessi, sia per contrastare la presa degli avversari





    Immagini da sarno























    EBOLI





    La città di Eboli sorge su di una vasta area in provincia di Salerno fra i Monti Picentini e il litorale in prossimità della foce del fiume Sele.





    Le origini della città si perdono nella notte dei tempi , quando Eboli è stata per l’antichità, per tutto il Medioevo e fino agli inizi dell’Età moderna, un importante Centro di snodo nei collegamenti e nei commerci fra Campania, Lucania e Calabria.





    La città rappresenta il luogo d'eccellenza dove storia e modernità si incontrano per unirsi in un legame indissolubile. Tutto ciò è rievocato e testimoniato nel prestigioso Museo Archeologico Nazionale di Eboli e della Media Valle del Sele che copre un territorio ed un arco cronologico che va dal 3500 a.C. fino all'età imperiale romana.





    Merita una visita anche la cittadina, con un centro storico ricco di monumenti e luoghi sacri come il castello Colonna, il monastero delle Benedettine, la chiesa di San Francesco e la Basilica di San Pietro alli marmi....Domina poi su Eboli e sul ricco territorio della provincia di Salerno, il Castello di Eboli , di origini quattrocentesce identificato come Castello Colonna in quanto nel XV secolo subì consistenti restauri per conto, appunto, di Antonio Colonna, nipote del Papa Martino V.





    Il turismo locale punta anche sul Santuario dei SS.Cosma e Damiano di Eboli, oggi meta di pellegrinaggi e luogo di culto per eccellenza della piana del Sele: si pensa, infatti, ad un percorso spirituale ed artistico per questo vasto territorio a sud di Salerno, costellato da chiese, cappelle rurali e complessi monumentali di grande pregio.





    Eboli non è solo archeologia ma anche espessione di uno dei luoghi della storia italiana, essendo citata nelle cronache dell'Unità d'Italia poichè ospitò Garibaldi alla vigilia della sua entrata a Napoli.





    Il centro ebolitano è anche protagonista della letteratura italiana, in quanto citato nel titolo del libro di Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli; (con questa frase intendeva che era l'ultimo avamposto della civiltà, dato che ad Eboli si interrompevano sia la ferrovia che tutte le strade principali, prima di una zona dimenticata da Dio.



    Tratto dal romanzo autobiografico di Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli racconta di Carlo, un intellettuale anti-fascista mandato al confino in un paese della Lucania, che scopre il mondo arcaico e miserabile della gente che ci vive.





    SALERNO

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    La Certosa di San Lorenzo - Padula Salerno







    Fu fondata nel 1306 da Tommaso Sanseverino, conte di Marsico e signore del Vallo di Diano, che trasformò una "Grancia" dell'abbazia di Montevergine, dedicata a S. Lorenzo,in monastero Certosino. L'ordine certosino era sostenuto dagli Angioini, che favorirono anche, successivamente a quella di Padula, la nascita di altre Certose in Italia meridionale: S. Martino a Napoli, Capri, Chiaromonte.





    I Certosini andarono via da Padula nel 1807, essendo stati privati dei possedimenti che avevano nel Vallo, nel Cilento, nella Basilicata e nella Calabria. Le ricche suppellettili e tutto il patrimonio artistico e librario andarono quasi interamente dispersi e il Monumento conobbe uno stato di precarietà e di abbandono. Fu campo di concentramento nelle due guerre mondiali, come testimoniano le scritte nella Corte esterna e le pitture sulle pareti al piano terra della scala del Barba. Nel 1882 fu dichiarato monumento nazionale, ma solo dal 1982, è stata presa in consegna dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici di Salerno e sono iniziati i lavori di restauro, che permettono oggi di apprezzare il valore di questo Monumento, che è tra i più significativi del 700 nell'Italia Meridionale. Attualmente è punto di riferimento nel campo della conservatoria e restauro di beni artistici e architettonici. Di notevole rilevanza la mostra annuale, che inaugurata il giorno di S. Lorenzo, rimane aperta per tre mesi e trova collocazione nella galleria della passeggiata coperta che è accessibile al pubblico. In questi mesi tale galleria offre al visitatore la visione della mostra stabile "la Certosa ritrovata" nella quale sono esposti arredi, suppellettili, quadri ed altro Materiale ritrovato e restaurato. Dalle finestre della galleria è offerta una splendida visione del Chiostro Grande, nonché una visione del centro storico di Padula. La mostra annuale ha, tra l'altro, dato risalto al patrimonio artistico dei Vallo di Diano, col restauro di opere che hanno assunto il loro splendore originale ed hanno permesso una nuova lettura di questo territorio, rapportato alla cultura non solo dell'Italia meridionale, ma anche estera.





    Lungo tre lati del Chiostro grande sono ubicate le Celle dei Monaci, ventisei in totale, ciascuna concepita come un'unita abitatica autonoma, con un corridoio di ingresso, due camere , un piccolo portico uan loggia coperta e un giardinetto con fontana dal quale si accede al parco comune. Accanto alal porta d'ingresso a ciascuna cella c'è un finestrino attraverso il quale venivano passate le vivande quotidiane. Queste sono le celle visibili salendo in cima allo Scalone della Certosa di Padula. Sullo sfondo domina il borgo di Padula.





    Lo Scalone fu realizzato da Gaetano Barba nel 1761-63, la scala è ellittica, a due rampe, e si trova nel lato nord-occidentale, in una torre a pianta ottagonale. Il Barba si ispriò alle scale di Ferdinando Sanfelice ed alcuni moduli del famoso Luigi Vanvitelli e di altri architetti del Settecento. Lo scalone costò ai monaci una spesa di 64.000 ducati




    La Chiesa della Certosa di Padula è di una preziosità assoluta, ricca di stucchi e decorazioni barocche con le stupende volte a crociera e gli armoniosi archi ogivali, risulta divisa in due parti. Nella prima trova posto il Coro dei Conversi , mentre nella seocnda è collocato quello dei Padri. L'altare maggiore, in scagliola è impreziosito dall'inseirimento di pietre dure e madreperla. Sulle pareti che circondano l'altare ci sono 3 tele ad olio di Salvatore Brancaccio.





    La cappella personale del Priore è dedicata a San Michele Arcangelo patrono di Padula. L'altare è il pietra di Padula colorata con colonnine di pietra grigia e capitelli di stile corinzio. Sull'altare ed incavata nella pietra la statuta lignea di San Michele. Sulle pareti si ammirano dipinti ad olio riproducenti scene di apparizioni di San Michele.





    Al Giardino dell'appartamento del priore sec XVI ci si accede attraverso il loggiato completamente affrescato





    Lato ovest del Chiostro grande della Certosa di Padula





    La cucina della quale sarete subit meravigliati dal suo camino sormontato da una gigantesca cappa. Ben conservati i lastroni in Pietra di Padula su cui veniva esguita la divisione dei cibi. Suella parete di fondo è visibile, dopo i recenti restauri, un grande dipinto che ha per soggetto una deposizione a cui assistono diversi certosini. La firma in calce è di Anellus Maurus, 1650. Legata alla cucina è la notizia di una leggendaria frittata. Nel 1535 Carlo V vi fu ospite, nel viaggio trionfale da Reggio a Napoli, dopo l'impresa di tunisi, Carlo V, che vi cenò: secondo la leggenda, i monaci prepararono per luie per il seguito una frittata di mille uova.





    Alcuni degli 84 pilastri che reggone le arcate su cui poggia le arcate reggenti uan possente trabeazione con trifigli e ben 672 metope segante da decorazioni raffiguranti momenti della Passione di gesù o scene ispirate al martirio dei santi.





    I certosini di Padula erano ben consci che con la costruzione di questa scalasuperasse per magnificenza e grandezza quelle di tute le altre certose e che rappresentasse uan ricca scenografia di chiaroscuri, offrendoal tempo stesso uan visione meravilgiosa di prospettiva in profondità. Il corpo di fabbrica ottogonale, in cui si svolge lo scalone ellittico a due rampe, è sormontato da uan cupola anch'essa ellittica. Lo scalone, di giorno è illuminato da sette grandi aperture attraverso le quali s'intravede l'abitato di Padula .





    Attraverso un fastoso portale in Pietra di Padula con tarsie marmoree policrome si accede al Refettorio, che è uno degli spazi più che maggiormente contraddistinguono al vita cenobitica. Nel refettorio si consumavano i pasti comuni della domenica e della Quaresima e dove vige la regola del silenzio. un certosina dal Pulpito posto sulla parete laterale recitava quanto stabilito dal Padre vicario delle Scritture, da Sermoni delgi antichi certosini o da omelie dei Padri della Chiesa. La decorazione a stucco delle pareti contenenti parti in oro risale al 1938. Sullo sfondo un dipinto ad olio raffigurante le Nozze di Cana, opera di Alessio d'Elia del 1749



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    GIARDINI..DELLA MINERVA..FONTANA

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    SAPRI

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    La Spigolatrice di Sapri

    Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
    Me ne andavo un mattino a spigolare
    quando ho visto una barca in mezzo al mare:
    era una barca che andava a vapore,
    e alzava una bandiera tricolore.
    All’isola di Ponza si è fermata,
    è stata un poco e poi si è ritornata;
    s’è ritornata ed è venuta a terra;
    sceser con l’armi, e noi non fecer guerra.
    Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
    Sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra,
    ma s’inchinaron per baciar la terra.
    Ad uno ad uno li guardai nel viso:
    tutti avevano una lacrima e un sorriso.
    Li disser ladri usciti dalle tane:
    ma non portaron via nemmeno un pane;
    e li sentii mandare un solo grido:
    Siam venuti a morir pel nostro lido.
    Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
    Con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro
    un giovin camminava innanzi a loro.
    Mi feci ardita, e, presol per la mano,
    gli chiesi: – dove vai, bel capitano? -
    Guardommi e mi rispose: – O mia sorella,
    vado a morir per la mia patria bella. -
    Io mi sentii tremare tutto il core,
    né potei dirgli: – V’aiuti ‘l Signore! -
    Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
    Quel giorno mi scordai di spigolare,
    e dietro a loro mi misi ad andare:
    due volte si scontraron con li gendarmi,
    e l’una e l’altra li spogliar dell’armi.
    Ma quando fur della Certosa ai muri,
    s’udiron a suonar trombe e tamburi,
    e tra ‘l fumo e gli spari e le scintille
    piombaron loro addosso più di mille.
    Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
    Eran trecento non voller fuggire,
    parean tremila e vollero morire;
    ma vollero morir col ferro in mano,
    e avanti a lor correa sangue il piano;
    fun che pugnar vid’io per lor pregai,
    ma un tratto venni men, né più guardai;
    io non vedeva più fra mezzo a loro
    quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro.
    Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!


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    La cittadina di Sapri sorge su una piccola pianura costiera che s'immerge nelle acque della baia antistante, chiusa a semicerchio dai monti appennini che si ergono alle sue spalle. Durante la stagione estiva numerosi villeggianti popolano il suo bellissimo lungomare alberato.

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    RAVELLO





    Una delle gemme della Costiera Amalfitana è Ravello , a 350 metri di altezza , dove effetti di luce e architetture magiche creano una visione d’intensità rara . Il suo nome è già immortalato nel Decamerone di Boccaccio .





    Famosa per la sua atmosfera di tranquilla serenità , Ravello offre gioielli architettonici di rara eleganza . Basti pensare al Duomo dedicato a San Panteleone , ricco di tesori artistici , tra i quali la porta centrale di bronzo , adorna di 54 formelle . Sulla destra del Duomo una Torre quadrata segnala l’ingesso alla Villa Rufolo . Immerse in un vasto parco di flora mediterranea ed esotica , le struutture originarie della villa risalgono al 13 secolo ; ancora oggi sono evidenti aspetti architettonici arabo –siculi . Splendido il colonnato policromo arabeggiante del chiostro.





    Il giardino è uno dei più belli della campania .La natura e l’opera dell’uomo concorrono a creare un’atmosfera di estrema suggestione : viali financheggiati da tigli e cipressi , cascate di fiori . Dal Belvedere appare sconfinato il mare . Nel giardino della villa si tengono ogni anno , d’estate , i concerti del Ravello Festival . Wagner trovò proprio nel giardino di Villa Rufolo l’spirazione per il giardino di Kingsor del suo Parsifal .





    Villa Cimbrone in origine era un semplice fondo rustico . Venne acquistato nel 1904 da Ernest William Beckett, che lo strasformò in un avilla di eccezionale fascino . Ospitò personaggi celebri, la Winston Churchill a Greta Garbo . Un’atmosfera particolare si respira nel chiostro della villa , che presenta elementi antichi di stili Arabo-Siculo .





    Il belvedere è una terrazza sull’infinito senza eguali nel mondo .





    Meritano una visita anche la chiesa di San Giovanni del Toro , costruita nel 12 secolo , che accoglie un bellisimo pergamo adorno di ricchi mosaici , e quella di Santa Maria a Gradillo , del 12 secolo .





    Interessante il Museo del Corallo , che espone manufatti in corallo , cammei , madreperle incise e conchiglie , dall’epoca romana al secolo scorso . Vicinissima a Ravello è Scala , uno degli angoli più pittoreschi della Costiera . Il suo Duomo custodisce una Deposizione lignea del 200 . Sorta tra la fine dell’Impero Romano d’Occidente e l’aurora di quello d’Oriente, Ravello deve la sua fondazione alle famiglie dell’aristocrazia romana che, lasciate le proprie città, ormai insicure a causa delle invasioni barbariche, trovarono rifugio sui Monti Lattari, ricchi di acque e di vegetazione. A tal proposito Aurelio Cassiodoro nel suggerire una cura adatta per la salute di Daro, cortigiano del re Teodorico, sottolineava l'effetto salutare del latte prodotto in questi luoghi, dovuto alla salubrità dell'aria e alla fecondità del suolo in grado di produrre erbe di dolcissime qualità.





    Molti studiosi hanno fatto derivare il toponimo “Ravello” da una presunta ribellione alle leggi della repubblica amalfitana; in realtà le origini del nome vanno ricercate in un radicale pre-indoeuropeo “Grav”, che collegato alla sua base “Karra”, pietra, dirupo, starebbe ad indicare un luogo scosceso, specificando la collocazione geografica della città.





    Ravello fino all’XI secolo seguì le sorti del Ducato di Amalfi, una repubblica di astuti mercanti, in grado di stabilire intensi rapporti commerciali con l’Oriente arabo e bizantino, dove confluivano gli aromi, le spezie, le stoffe, le droghe e gli altri prodotti provenienti dal continente asiatico. I traffici marittimi favorirono l’ascesa di una nuova aristocrazia ravellese sostenuta sia dai sovrani normanni, grazie ai quali Ravello nel 1086 divenne sede vescovile direttamente dipendente dal Papa, che da quelli svevi ed angioini. Durante i secoli XI-XIV si assistette all’ascesa economica della città, caratterizzata da un nucleo urbano densamente popolato, dove sorgevano palazzi, chiese, botteghe e giardini, circondato da tre ordini di mura, al di fuori delle quali si estendevano i casali rurali con case coloniche e terreni coltivati. Con la morte di Roberto d’Angiò si aprì purtroppo una serie di lotte intestine tra Angioini e Durazzeschi che finì per trasformare le opulente città del Ducato in luoghi desolati, in balia dei briganti e abbandonati dalle nobili famiglie, partite alla volta di Napoli o della Puglia.





    All’epoca dell’ “Infeudazione” (1398 – 1583) la “Civitas”, interessata da una progressiva ruralizzazione, conservava ancora ampi tratti delle mura medievali e le principali dimore gentilizie, sottratte alla rovina e all’abbandono da una nobiltà che, però, spostava gradualmente i propri interessi verso la capitale del Regno. A partire dal XVI secolo terremoti, pestilenze (1527-1528) e carestie (1565-1570-1585), gettarono Ravello, emarginata ed inaccessibile, in uno stato di torpore sociale e culturale mentre la sua storia, priva di tratti specifici e marcata nei secoli successivi da un susseguirsi di calamità, è assimilabile a quella più generale del Regno di Napoli. La città, ormai ridotta ad un’ immagine sbiadita del suo illustre passato, si sarebbe ridestata solo nella seconda metà dell’Ottocento, quando divenne meta di viaggiatori europei, attratti da quelle bellezze della natura e dell’arte in grado di trasformare il viaggio in una “serendipity”, felice ed inaspettata scoperta a rigenerazione.





    Il duomo di Ravello, dedicato a Santa Maria Assunta, fu edificato alla fine dell'XI secolo: si tratta di una basilica di derivazione benedettino-cassinese con tre navate, scandite da un doppio colonnato, transetto sopraelevato per la presenza di una sottostante cripta ed absidi estradossate. La porta di bronzo donata dal nobile ravellese Sergio Muscettola, fu eseguita da Barisano da Trani nel 1179, come si evince dall'iscrizione dedicatoria. Essa è costituita da due battenti in legno su cui sono affisse in maniera quasi speculare 80 formelle, di cui 54 figurate e 26 decorative. Le giunture sono ricoperte da fasce ornamentali raccordate da borchie piramidali o circolari assicurate alla struttura con grossi chiodi. La tecnica utilizzata nella realizzazione delle formelle è il bassorilievo, via di mezzo tra l'incisione orientale e l'altorilievo del romanico occidentale: il bronzo fuso era versato in stampi in sabbia e gesso dove veniva plasmato nei modi desiderati. Nel ciclo iconografico vengono rappresentati, a partire dai registri più bassi, il mondo animale e vegetale (l'albero della vita, tema di origine mesopotamica) l'universo umano (rappresentato dagli arcieri e dai mazzieri) e le gerarchie della Chiesa (Santi, Madonna e Cristo).





    L'ambone dell'epistola fu fatto eseguire dal secondo vescovo della diocesi Costantino Rogadeo (1094 – 1150). L'arredo è costituito da due scale laterali affiancate ad un lettorino centrale, recante in alto un'aquila dalla testa mozza.





    Nel registro inferiore due plutei sono decorati con dischi di porfido e serpentino, inquadrati da meandri curvilinei, ruote cosmiche che richiamano l'azione creatrice del Verbo. In alto un mosaico raffigura l'episodio biblico del profeta Giona, ingoiato e vomitato dal pistrice, prefigurazione della morte e resurrezione di Gesù. Sotto il lettorino, a sottolinearne il carattere di monumento alla resurrezione, due pavoni, simbolo della vita eterna, sormontano una nicchia centrale che rimanda al sepolcro vuoto.





    Il pulpito, opera di Nicola di Bartolomeo da Foggia, fu donato da Nicola Rufolo nel 1272. L'arredo è costituito da una rampa d'accesso e da una cassa quadrangolare. Un arco trilobo, nei cui pennacchi sono raffigurati di profilo Nicola Rufolo e sua moglie Sigilgaida, costituisce l'ingresso della scala interna. La cassa poggia su sei colonne tortili, sorrette da tre leoni e tre leonesse dalla folta criniera. I capitelli, minuziosamente lavorati, sono scolpiti con tralci vegetali e motivi zoomorfi. Al centro si erge il lettorino costituito da un’ aquila recante negli artigli un codice con l'iscrizione: “In principio erat Verbum”, inizio del Vangelo di San Giovanni. All'artista pugliese si affiancò probabilmente una bottega locale, cui fu conferito l'incarico di eseguire la decorazione musiva, costituita da tessere policrome allettate su una mala di calce. Fasce curvilinee, costituite da stelle a sei e a otto punte, inquadrano animali, draghi e uccelli tra racemi fioriti che si stagliano su fondo dorato. Al centro del prospetto rivolto verso la controfacciata è raffigurata la Madonna con il Bambino affiancata dallo stemma della famiglia Rufolo. La cappella dedicata al principale patrono della città, San Pantaleone, fu costruita nel XVII secolo per dare una degna collocazione alla reliquia del sangue dal santo, conservata fino ad allora a sinistra dell'altare maggiore, in un posto chiamato “finestra”. In corrispondenza di una graziosa cupoletta si eleva il pregevole dossale in marmi policromi. Quattro colonne, sormontate da trabeazioni, ne inquadrano la facciata. Al centro si ammira il dipinto raffigurante il martirio di San Pantaleone, opera eseguita nel 1638 dal pittore genovese Gerolamo Imperiali, autore anche delle tele laterali con i santio Tommaso e Barbara. La reliquia del sangue, custodita in una reliquiario in argento dorato, suole liquefarsi nell'anniversario del martirio. (27 luglio).





    A pochi chilometri da Maiori si trova Erchie , con la torre su una roccia che separa due spiaggette. L’Abbazia benedettina di Santa Maria de Erchie , fondata nel 980 e soppressa nel 1451, diede nome a questo luogo , oggi meta di turisti soprattutto d’estate . questo piccolo borgo , con le caratteristiche case bianche , le deliziose spiaggette e il mare cristallino è l’ideale per chi cerca un po’ di relax a contatto con la natura .





    Poco prima di Vietri si incontra Cetara .E’ sempre stata un borgo di pescatori , e infatti il suo nome deriva dal latino Cetaria , tonnara . Questo dalla pittoresca architettura bianca , con la sua spiaggia raccolta , è uno dei gioielli della Costiera . Tra l’edilizia spontanea fatta da casette cubiche spicca la chiesa di San Pietro con la cupola maiolicata e il campanile duecentesco a bifore .





    RAVELLO





    Una delle gemme della Costiera Amalfitana è Ravello , a 350 metri di altezza , dove effetti di luce e architetture magiche creano una visione d’intensità rara . Il suo nome è già immortalato nel Decamerone di Boccaccio .





    Famosa per la sua atmosfera di tranquilla serenità , Ravello offre gioielli architettonici di rara eleganza . Basti pensare al Duomo dedicato a San Panteleone , ricco di tesori artistici , tra i quali la porta centrale di bronzo , adorna di 54 formelle . Sulla destra del Duomo una Torre quadrata segnala l’ingesso alla Villa Rufolo . Immerse in un vasto parco di flora mediterranea ed esotica , le struutture originarie della villa risalgono al 13 secolo ; ancora oggi sono evidenti aspetti architettonici arabo –siculi . Splendido il colonnato policromo arabeggiante del chiostro.





    Il giardino è uno dei più belli della campania .La natura e l’opera dell’uomo concorrono a creare un’atmosfera di estrema suggestione : viali financheggiati da tigli e cipressi , cascate di fiori . Dal Belvedere appare sconfinato il mare . Nel giardino della villa si tengono ogni anno , d’estate , i concerti del Ravello Festival . Wagner trovò proprio nel giardino di Villa Rufolo l’spirazione per il giardino di Kingsor del suo Parsifal .





    Villa Cimbrone in origine era un semplice fondo rustico . Venne acquistato nel 1904 da Ernest William Beckett, che lo strasformò in un avilla di eccezionale fascino . Ospitò personaggi celebri, la Winston Churchill a Greta Garbo . Un’atmosfera particolare si respira nel chiostro della villa , che presenta elementi antichi di stili Arabo-Siculo .





    Il belvedere è una terrazza sull’infinito senza eguali nel mondo .





    Meritano una visita anche la chiesa di San Giovanni del Toro , costruita nel 12 secolo , che accoglie un bellisimo pergamo adorno di ricchi mosaici , e quella di Santa Maria a Gradillo , del 12 secolo .





    Interessante il Museo del Corallo , che espone manufatti in corallo , cammei , madreperle incise e conchiglie , dall’epoca romana al secolo scorso . Vicinissima a Ravello è Scala , uno degli angoli più pittoreschi della Costiera . Il suo Duomo custodisce una Deposizione lignea del 200 . Sorta tra la fine dell’Impero Romano d’Occidente e l’aurora di quello d’Oriente, Ravello deve la sua fondazione alle famiglie dell’aristocrazia romana che, lasciate le proprie città, ormai insicure a causa delle invasioni barbariche, trovarono rifugio sui Monti Lattari, ricchi di acque e di vegetazione. A tal proposito Aurelio Cassiodoro nel suggerire una cura adatta per la salute di Daro, cortigiano del re Teodorico, sottolineava l'effetto salutare del latte prodotto in questi luoghi, dovuto alla salubrità dell'aria e alla fecondità del suolo in grado di produrre erbe di dolcissime qualità.





    Molti studiosi hanno fatto derivare il toponimo “Ravello” da una presunta ribellione alle leggi della repubblica amalfitana; in realtà le origini del nome vanno ricercate in un radicale pre-indoeuropeo “Grav”, che collegato alla sua base “Karra”, pietra, dirupo, starebbe ad indicare un luogo scosceso, specificando la collocazione geografica della città.





    Ravello fino all’XI secolo seguì le sorti del Ducato di Amalfi, una repubblica di astuti mercanti, in grado di stabilire intensi rapporti commerciali con l’Oriente arabo e bizantino, dove confluivano gli aromi, le spezie, le stoffe, le droghe e gli altri prodotti provenienti dal continente asiatico. I traffici marittimi favorirono l’ascesa di una nuova aristocrazia ravellese sostenuta sia dai sovrani normanni, grazie ai quali Ravello nel 1086 divenne sede vescovile direttamente dipendente dal Papa, che da quelli svevi ed angioini. Durante i secoli XI-XIV si assistette all’ascesa economica della città, caratterizzata da un nucleo urbano densamente popolato, dove sorgevano palazzi, chiese, botteghe e giardini, circondato da tre ordini di mura, al di fuori delle quali si estendevano i casali rurali con case coloniche e terreni coltivati. Con la morte di Roberto d’Angiò si aprì purtroppo una serie di lotte intestine tra Angioini e Durazzeschi che finì per trasformare le opulente città del Ducato in luoghi desolati, in balia dei briganti e abbandonati dalle nobili famiglie, partite alla volta di Napoli o della Puglia.





    All’epoca dell’ “Infeudazione” (1398 – 1583) la “Civitas”, interessata da una progressiva ruralizzazione, conservava ancora ampi tratti delle mura medievali e le principali dimore gentilizie, sottratte alla rovina e all’abbandono da una nobiltà che, però, spostava gradualmente i propri interessi verso la capitale del Regno. A partire dal XVI secolo terremoti, pestilenze (1527-1528) e carestie (1565-1570-1585), gettarono Ravello, emarginata ed inaccessibile, in uno stato di torpore sociale e culturale mentre la sua storia, priva di tratti specifici e marcata nei secoli successivi da un susseguirsi di calamità, è assimilabile a quella più generale del Regno di Napoli. La città, ormai ridotta ad un’ immagine sbiadita del suo illustre passato, si sarebbe ridestata solo nella seconda metà dell’Ottocento, quando divenne meta di viaggiatori europei, attratti da quelle bellezze della natura e dell’arte in grado di trasformare il viaggio in una “serendipity”, felice ed inaspettata scoperta a rigenerazione.





    Il duomo di Ravello, dedicato a Santa Maria Assunta, fu edificato alla fine dell'XI secolo: si tratta di una basilica di derivazione benedettino-cassinese con tre navate, scandite da un doppio colonnato, transetto sopraelevato per la presenza di una sottostante cripta ed absidi estradossate. La porta di bronzo donata dal nobile ravellese Sergio Muscettola, fu eseguita da Barisano da Trani nel 1179, come si evince dall'iscrizione dedicatoria. Essa è costituita da due battenti in legno su cui sono affisse in maniera quasi speculare 80 formelle, di cui 54 figurate e 26 decorative. Le giunture sono ricoperte da fasce ornamentali raccordate da borchie piramidali o circolari assicurate alla struttura con grossi chiodi. La tecnica utilizzata nella realizzazione delle formelle è il bassorilievo, via di mezzo tra l'incisione orientale e l'altorilievo del romanico occidentale: il bronzo fuso era versato in stampi in sabbia e gesso dove veniva plasmato nei modi desiderati. Nel ciclo iconografico vengono rappresentati, a partire dai registri più bassi, il mondo animale e vegetale (l'albero della vita, tema di origine mesopotamica) l'universo umano (rappresentato dagli arcieri e dai mazzieri) e le gerarchie della Chiesa (Santi, Madonna e Cristo).





    L'ambone dell'epistola fu fatto eseguire dal secondo vescovo della diocesi Costantino Rogadeo (1094 – 1150). L'arredo è costituito da due scale laterali affiancate ad un lettorino centrale, recante in alto un'aquila dalla testa mozza.





    Nel registro inferiore due plutei sono decorati con dischi di porfido e serpentino, inquadrati da meandri curvilinei, ruote cosmiche che richiamano l'azione creatrice del Verbo. In alto un mosaico raffigura l'episodio biblico del profeta Giona, ingoiato e vomitato dal pistrice, prefigurazione della morte e resurrezione di Gesù. Sotto il lettorino, a sottolinearne il carattere di monumento alla resurrezione, due pavoni, simbolo della vita eterna, sormontano una nicchia centrale che rimanda al sepolcro vuoto.





    Il pulpito, opera di Nicola di Bartolomeo da Foggia, fu donato da Nicola Rufolo nel 1272. L'arredo è costituito da una rampa d'accesso e da una cassa quadrangolare. Un arco trilobo, nei cui pennacchi sono raffigurati di profilo Nicola Rufolo e sua moglie Sigilgaida, costituisce l'ingresso della scala interna. La cassa poggia su sei colonne tortili, sorrette da tre leoni e tre leonesse dalla folta criniera. I capitelli, minuziosamente lavorati, sono scolpiti con tralci vegetali e motivi zoomorfi. Al centro si erge il lettorino costituito da un’ aquila recante negli artigli un codice con l'iscrizione: “In principio erat Verbum”, inizio del Vangelo di San Giovanni. All'artista pugliese si affiancò probabilmente una bottega locale, cui fu conferito l'incarico di eseguire la decorazione musiva, costituita da tessere policrome allettate su una mala di calce. Fasce curvilinee, costituite da stelle a sei e a otto punte, inquadrano animali, draghi e uccelli tra racemi fioriti che si stagliano su fondo dorato. Al centro del prospetto rivolto verso la controfacciata è raffigurata la Madonna con il Bambino affiancata dallo stemma della famiglia Rufolo. La cappella dedicata al principale patrono della città, San Pantaleone, fu costruita nel XVII secolo per dare una degna collocazione alla reliquia del sangue dal santo, conservata fino ad allora a sinistra dell'altare maggiore, in un posto chiamato “finestra”. In corrispondenza di una graziosa cupoletta si eleva il pregevole dossale in marmi policromi. Quattro colonne, sormontate da trabeazioni, ne inquadrano la facciata. Al centro si ammira il dipinto raffigurante il martirio di San Pantaleone, opera eseguita nel 1638 dal pittore genovese Gerolamo Imperiali, autore anche delle tele laterali con i santio Tommaso e Barbara. La reliquia del sangue, custodita in una reliquiario in argento dorato, suole liquefarsi nell'anniversario del martirio. (27 luglio).





    A pochi chilometri da Maiori si trova Erchie , con la torre su una roccia che separa due spiaggette. L’Abbazia benedettina di Santa Maria de Erchie , fondata nel 980 e soppressa nel 1451, diede nome a questo luogo , oggi meta di turisti soprattutto d’estate . questo piccolo borgo , con le caratteristiche case bianche , le deliziose spiaggette e il mare cristallino è l’ideale per chi cerca un po’ di relax a contatto con la natura .





    Poco prima di Vietri si incontra Cetara .E’ sempre stata un borgo di pescatori , e infatti il suo nome deriva dal latino Cetaria , tonnara . Questo dalla pittoresca architettura bianca , con la sua spiaggia raccolta , è uno dei gioielli della Costiera . Tra l’edilizia spontanea fatta da casette cubiche spicca la chiesa di San Pietro con la cupola maiolicata e il campanile duecentesco a bifore .



     
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    Paestum



    Paestum è stata fondata nel 600 a.C. - alcuni anni dopo Agropoli - dai Greci di Sybaris, la più importante città greca della Calabria. La città fu chiamata Poseidonia in onore del dio greco del mare Poseidone. Nel IV secolo a.C. Poseidonia subì il dominio dei Lucani (chi avevano formato un ramo locale della tribù italica di Sanniti in questa zona). Sotto i Lucani la città è stata denominata Paiston. In 273 a.C. i Romani presero possesso della città e cambiarono il nome in Paestum.
    Nel IX sec. Paestum fu abbandonata a causa degli numerosi attacchi dei Saraceni e del clima malsano (distretto malarico). Circondata e sepolta dalle paludi dal fiume Sele la città è rimasta nascosta e dimenticata per circa 900 anni. Grazie alla costruzione delle nuove strade nel 1748, i templi sono stati ritrovati in ottime condizioni.

    Il più vecchio e il più importante santuario della regione intera era l’ Heraion costruito intorno al 570 a.C. Le rovine frammentarie non sono state trovate prima del XX sec. a 9 Km da Paestum, in prossimità del delta del Sele. Ci sono alcuni indizi, che attribuiscono la prima fondazione a Giasone e agli Argonauti.
    Soltanto alcuni anni dopo (nel 550 a.C. circa) fu costruito il più vecchio dei tre templi di Paestum, che inoltre venne dedicato alla dea greca della fertilità Hera ( sorella e moglie di Zeus). Per un errore iniziale oggi è conosciuto come la cosiddetta Basilica , (2) , (3) .
    Il più piccolo dei tre templi, il cosiddetto tempio di Cerere, (2) fu dedicato alla dea Atena ed è costruito nel 500 a.C.
    Il tempio di Poseidone , (2) (o tempio di Nettuno) risale al 450 a.C. (nello stesso periodo di costruzione del Partenone a Atene). Questo tempio è probabilmente il tempio dorico meglio conservato al mondo.
    La Basilica e il tempio di Nettuno sono molto vicini l'un all' altro formando così un panorama abbastanza impressionante.

    Il piccolo ekklesiasterion (legislazione, elezione del giudice) fu conservato dal periodo greco di perché i Romani l' avevano conservato sotto un monticello. I Romani edificarono qui vicino una costruzione (comitium) più grande per scopi simili e per processi. Il piccolo anfiteatro , (2), che scavato solo per metà, è come quasi tutte le altre costruzioni (rispettivamente i loro fondamenti) di origine Romana.
    Ulteriori scavi intorno ai templi durante gli ultimi decenni hanno scoperto il profilo della città all'interno delle mura. Il foro Romano, (2) è situato sulla parte del sud dell’ agorà greca piú estesa.

    Ci sono diverse interpretazioni riguardo l’impiego originale di alcune costruzioni. L'interpretazione attuale diventa difficile perché l’uso delle costruzioni spesso mutava a seconda delle popolazioni che si stabilivano nella zona. Ciò può essere dimostrato con i seguenti esempi: Il tetto, che può essere visto nella seguente foto, appartiene ad un santuario sotterraneo (sacellum, hypogaeum), che è accluso dai muri supplementari. Dalla forma somiglia ad una tomba o un heroon (una tomba vuota), come era consuetudine per il tempo - per esempio in onore del fondatore della città. Infatti questa costruzione proviene dal VI secolo a.C.
    Un altro complesso è considerato come una palestra con una piscina. Alcuni archeologi suppongono che la costruzione di pietra, non ancora ben identificata, era un podium per le competizioni di nuoto. Altri suppongono che la palestra originale sia stata trasformata dopo il terzo secolo a.C. in un santuario della dea Fortuna Virilis e che la costruzione di pietra sia servita per riti solenni di fertilità.

    Le mura della città con le 4 porte sono lunghe 4750 m. Costruite dai Greci, furono fortificate dai Lucani e dai Romani. (Come si vede inoltre c'è una buona possibilità di fare un viaggio con la ferrovia a Paestum).
    Molte tombe dei Lucani sono state trovate vicino alla città (le necropoli si trovano sempre fuori dalle mura). Queste tombe hanno la forma di piccole case. Le pareti ed i tetti sono decorati con affreschi. La più famosa è la tomba del Tuffatore, (2), che viene dai Greci (circa 480 a.C.). La scena rappresentata sulla lastra del tetto simbolizza una transizione quasi armoniosa dalla vita alla morte. Questi e altri reperti di cui il più vecchio Heraion , (2), (3) al delta di Sele sono esposti nel museo nazionale degli scavi.
    Gli scavi e le misure di ripristino continuano ancora oggi.

    Naturalmente i templi di Paestum sono un'attrazione turistica di prim'ordine. Anche Goethe il poeta tedesco il più famoso li ha visitati nel marzo 1787 appena tre decenni dopo che erano stati riscoperti e ne rimase fortemente impressionato. Oltre ai templi, Paestum ha molto da offrire anche per gli ospiti senza interessi culturali. Ci sono molti alberghi di lusso ,4-stelle e 5-stelle, e numerosi campeggi lungo le spiagge con boschetti adiacenti dell'eucalyptus o del pino. Durante l'alta stagione ci sono molti eventi all'aperto di alta qualità vicino ai templi.

    Malgrado i molti alberghi di lusso Paestum non si è transformata in un centro turistico mondano. Se guidate diritto dalla zona degli scavi al mare, arrivate a questa strada che conduce alla spiaggia con i ristoranti fast food, il centro del gioco per i bambini ed i piccoli negozi semplici. Ciò non è certamente una compensazione per un bel lungomare per passeggiate. Un certo genere di compensazione può offrire la via magna Graecia lungo i templi illuminati, che nella sera generano una vera atmosfera d'ispirazione.

    Madonna del Granato ed il culto di Hera
    La fondazione del Heraion al Sele in alcuni testi é attribuita a Giasone nella leggenda degli Argonauti. Ma questo non è molto accettabile perché il viaggio leggendario di Argo, la nave degli Argonauti, non passò mai da questa regione. Nel Heraion una statua di Hera è stata trovata con un melograno nella mano. È denominata Hera Argiva o Hera di Argo. Argo è anche il nome della città greca, che ha promossa il culto di Hera.
    Un'altra statua visualizza Hera con un fanciullo nella mano sinistra e con un melograno, come simbolo di fertilità, nella mano destra. La stessa presentazione può essere trovata nella statua della Madonna del Granato nel Santuario della Madonna del Granato. L'adattamento del culto di Hera probabilmente ha facilitato la cristianizzazione della regione a quel tempo.
    L’ Heraion probabilmente non ha resistito alcuni terremoti. La maggior parte delle pietre sono scomparse perché utilizzate per altre costruzioni. Oggi c’é un nuovo museo non lontano dai resti dell’ Heraion con alcuni reperti e ricostruzioni.

    Capo di Fiume
    Una parte dell'importanza di Paestum è basata sulla fertilità della zona. Ci sono tre raccolti all'anno. Paestum ha avuto sempre l'acqua abbondante dal Capo di Fiume. Era considerato come una normale sorgente, che rendeva molto acqua. C’é anche una ipotesi, che si tratta di un ramo sotterraneo del fiume Calore, di cui una parte entra nella montagna vicino a Castelcivita e un'altra parte scorre attraverso una valle amena nel Sele. Quindi ci dev' essere un traforo naturale attraverso la montagna, per cui l'acqua del Calore passa - sono almeno tre chilometri.

    Comunque anche i Greci hanno apprezzato quest’acqua. Nell’ acqua si vede una colonna che è rimasta di un piccolo tempio. Reperti nell'acqua indicano che questo tempio era dedicato a Persephone, una figlia di Demetra, che da parte sua era sorella di Zeus e di Hera. Demetra era la dea della fertilità della terra. Il suo nome Romano era Cerere. Persephone era stata rapinata da Ade come sposa nel suo regno dell’ oltretomba. Dopo, Persephone ricevette il permesso di vivere per sei mesi sulla terra e sei mesi negli Inferi.

    Almeno parti delle mura della città di Paestum erano, per motivi di sicurezza, circondate da una fossa colma di acqua che veniva da Capo di Fiume.

    Oggi una gita con la famiglia a Capo di Fiume è molto popolare. C'e un prato per picnic e un ristorante.
    Nel posto, da cui l'acqua esce, si può osservare un fenomeno interessante: numerose bolle salgono alla superficie dell'acqua.



     
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