LA CALABRIA 3^Parte

VIBO VALENZIA..GERACE,LA MAGNA GRECIA..RIACE..SCILLA E REGGIO CALABRIA

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI


    “ ... Giovedì ... scendiamo ancora più a Sud e troviamo la conferma che spesso ciò che si cela in fondo ad un sogno non è peggiore di ciò che era in cima ... all’inizio ... la nostra magnifica Italia mostra ogni giorno capolavori di arte di di bellezza ... naturale e di storia ... giungiamo in fondo allo stivale ... alla nostra penisola ... meraviglie che dimostrano la bellezza di cui è intresecamente avvolta ... come all’inizio di un bellissimo libro, la nostra Italia mostra ogni giorno bellezze assolute ... noi dall’alto della nostra mongolfiera felice, non possiamo far altro che gioire di questo spettacolo che ogni giorno si rinnova scatenando in noi emozioni e desiderio di condivisione ... Buon risveglio amici miei ...”

    (Claudio)



    BELLEZZE IN FONDO ALLO SCRIGNO..VIBO VALENZIA..GERACE,LA MAGNA GRECIA..RIACE..SCILLA E REGGIO CALABRIA


    “Posto quasi alla fine della splendida Calabria, il centro turistico di Vibo Valentia si immerge nel mare come fosse un nuotatore, la sua posizione, a pendio, fa sembrare come se le case stessero per tuffarsi nel mare blu.. La mitologia racconta che là, dove l'aspro sperone del monte Ipponio si protende sul mare di Lampetia (Lamezia Terme), la giovane dea Persefone-Kore, figlia di Zeus e di Demetra, fu rapita un giorno da Plutone che la costrinse a seguirlo nell'Averno su un carro trainato da cavalli furenti. Il padre Zeus dispose che trascorresse i mesi dell'inverno nell'Ade e i mesi estivi sulla terra. In quel luogo fu innalzato un tempio e le fanciulle dell'antica Veip, in primavera, vestite a festa, con la testa cinta di fiori, rendevano omaggio alla dea…..Una località dai mille volti e dai mille nomi a seconda dell’epoca: si parte da Veip fino al Monteleone di Calabria trasformato poi nell’attuale denominazione. Insomma si parla di una città a tutto tondo che ha vissuto episodi che ancora oggi ha un peso in tutta la regione….. Attraverso la storia è sempre riuscita a conservarsi un posto di tutto rispetto ospitando illustri personaggi come Giulio Cesare, Ottaviano, Cicerone; trasformandosi quando necessario in terra di passaggio per Giuseppe Garibaldi e in città natale per l’attrice Vittoria Belvedere. Diverse località completano la fisionomia di Vibo, tra Triparni, Bivona, Portosalvo, Piscopio o Vena, ogni centro conserva e custodisce gelosamente quei minuscoli dettagli che rendono le viuzze degne di lode…..L’industria del Tonno Callipo regala il suo nome alla squadra di pallavolo unendo le specialità culinarie alle attività sportive praticate negli impianti ben attrezzati della città….”



    “Davanti agli occhi soltanto scogli, acque limpide e l’azzurro infinito dell’etere: è questo il borgo di Joppolo, paradisiaco scorcio di Calabria, che si mostra silente ai turisti nella sua disarmante semplicità. Un angolo remoto del vibonese, dove la natura fortunatamente pare avere ancora il sopravvento sull’uomo…..L’originalità della spiaggia cittadina è difatti relativa all’esclusiva presenza di roccia, che dona inevitabilmente al paesaggio un particolare e apprezzabile tocco di fascino…..Una torretta in pietra, diroccata, si erge solitaria sul promontorio ove s’inerpica il sentiero…Pochi passi in salita e l’asfalto sparisce: sotto i piedi terra, ghiaia e polvere….L’erta pian piano si addolcisce e davanti agli occhi si rivela quello che un tempo, probabilmente, doveva essere una sorta di faro o una torre difensiva…Delle scalette accidentate portano all’interno di una prima stanza circolare, spiccatamente ombrosa. Si tratta di un ambiente completamente murato, eccezion fatta per una piccola finestra che si affaccia sul mare e un pertugio impervio – reso tale dal crollo dell’annessa scalinata – che conduce al piano superiore.”


    “Serra San Bruno, piccolo borgo dell’entroterra regionale che sorge su d’un altopiano della provincia di Vibo Valentia…. I faggi, i castagni e gli abeti bianchi rappresentano delle gradevoli costanti del panorama locale, dove spiccano per armoniosa bellezza dei fitti boschi secolari appartenenti al parco naturale regionale delle Serre….. La magia che si respira a Serra San Bruno è dovuta anche ad una forte componente spirituale che impregna il territorio di religiosità. Tra queste alture, infatti, visse il Santo cui la cittadina deve il nome e l’esistenza, che nel corso della sua permanenza, fece erigere imponenti edifici monastici. Ad egli, passato alla storia come il fondatore dell’ordine certosino, si devono l’eremo di Santa Maria e la Certosa di Santo Stefano del Bosco che costituisco oggigiorno un forte richiamo per migliaia di fedeli… La vita scorre lenta, silente in questo angolo di meridione, tanto che si riesce ad ascoltare persino il sibilo del vento che spira tra le fronde degli alberi. Il motivo per cui avventurarsi nell’entroterra calabro è proprio questo. L’opportunità di rifugiarsi nella quiete, lontano dal caos ….. dove l’arte si riassume in affreschi e sacre reliquie del XVIII secolo…. dove il suono più aggraziato che si riesce a percepire è il flebile brusio delle onde…..”



    “Questo incantevole scorcio di meridione, infatti, è capace di coniugare il fascino del paesaggio costiero, fatto di sabbia e infinite distese d’acqua salata, a quello dell’entroterra, caratterizzato da suggestive aree boschive che ammantano di verde ampi tratti delle alture locali….Un nitido esempio di borgo montano è rappresentato dal comune di Mongiana, minuscolo paese della provincia di Vibo Valentia, si caratterizza per la presenza di una lussureggiante vegetazione, costituita prevalentemente da boschi di conifere e latifoglie. “Villa Vittoria” …è un Centro Polifunzionale del Corpo Forestale dello Stato….un immerso vero e proprio parco …il sentiero faunistico dove si scorgono allevamenti allo stato brado di caprioli, cervi, daini, cavalli, pavoni, gufi reali e decine di altre specie…il sentiero botanico e quello dei “frutti perduti” dove si ha la possibilità di osservare da vicino una nutrita collezione arborea.”


    “Rosarno …le chiome lussureggianti di centinaia di piante di agrumi affollano i campi circostanti…Fiorenti esemplari di “ficarazze” – come vengono definite nella parlata locale – si sporgono dalle pareti scoscese dei terreni soprastanti mostrando ai viandanti tonalità giallastre, rosate e verdeggianti dei loro gustosi frutti: i fichi d’india….Uno stupendo belvedere alla destra rivela un panorama mozzafiato che coniuga amabilmente squarci di mare, cielo, spiagge, orti, uliveti ed agrumeti come nella tela di un sapiente pittore. Lo sguardo spazia della sottostante marina di Nicotera al più lontano porto di Gioia Tauro, fino a raggiungere lidi più remoti…Dalla parte opposta, invece, si alza maestoso il castello settecentesco con tre imponenti torri angolari quadrilatere. Adiacente a questo si trova un arco in pietra… l’antica porta d’accesso alla città fortificata, che conduce alla piazzetta del paese….”



    “Pizzo da’ proprio l’idea d’essere una cartolina. Incantevole e curato centro urbano che sorge sul pendio scosceso di una rupe a strapiombo sul golfo di Sant’Eufemia…..Le stradine impervie e le ripide scalinate che caratterizzano l’abitato ben si amalgamano con il contesto paesaggistico fatto di meravigliose spiagge raccolte fra grigie scogliere…Vicende incredibili inerenti i trascorsi storici della città: naufragi di pescatori salvati dalla grazia divina della madonna, violenti terremoti responsabili di immani distruzioni, membri della famiglia napoleonica (Gioacchino Murat) imprigionati ed uccisi nel castello eretto in piazza Umberto I, nel 1486, per volere di Ferdinando I d’Aragona.”



    “Galatro è un centro termale in provincia di Reggio Calabria. Sorge ai piedi della catena delle Serre, nella Piana di Gioia Tauro. Le acque sulfureo-salso-iodiche sgorgano a 37 gradi dal fiume Fermano.. nel punto che i galatresi hanno ribattezzato “Gola del Fermano“…Già nel 1571 Gabriele Barrio nel suo scritto “De Antiquitate et situ Calabriae” parla delle acque termali galatresi. Alcuni monaci italo-greci intorno all’ottavo secolo ne conoscevano le proprietà curative….Montebello è arroccato su un promontorio con i vicoletti e le case che si susseguono quasi attaccate. In cima alla salita di Monte Calvario si trova la chiesa della Madonna della Montagna. L’edificio costruito nel 1856 ospita un altare maggiore in stile tardo barocco con marmi policromi costruito dallo scultore Francesco Morano. L’altare accoglie la statua lignea della Madonna della Montagna. Secondo la tradizione, la statua venne portata in paese su un carro trainato da buoi…..Dopo il ponte dell’Annunziata si arriva al borgo Magenta, immerso nel verde e nella tipica vegetazione mediterranea. Ospita antichi palazzi nobiliari, la sede del Municipio e la chiesa di San Nicola. L’ edificio di culto si trova in piazza Matteotti. Al suo interno c’è il trittico marmoreo, attribuito al Gagini dai funzionari della sovrintendenza di Napoli nel 1911. Le tre statue a grandezza naturale, racchiuse in un imponente altare, sono di marmo bianco di Carrara e raffigurano Santa Maria della Valle, San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista.”



    “Prima di allora, quella che è stata una delle città più importanti della Magna Grecia, si chiamava Gerace Marina (dal nome del vicino comune, Gerace). L’attuale nome deriva proprio da quello con cui la città era conosciuta anticamente: Locri Epizefiri…. L’antica città venne fondata nel VII secolo avanti Cristo ed è famosa per aver dato i natali al legislatore Zaleuco, oltre che per la celebre battaglia sul fiume Sagra, che permise di arrestare l’espansione della vicina città di Crotone...Di particolare interesse è la visita ai resti archeologici dei templi, dei teatri e delle mura di cinta di epoca magnogreca, e soprattutto la visita al completissimo Museo "Antiquarium" che espone migliaia di reperti archeologici di epoca preellenica, magnogreca e romana.”



    “Cardeto, località reggina arroccata su un fianco dell’Aspromonte, in quell’area che è la sponda destra del torrente Sant’Agata….una vera e propria cornice di quiete, una di quelle che raramente si ha l’occasione di poter apprezzare con così tanta partecipazione. L’apprezzamento, tuttavia, non si limita all’ambiente ma si spinge anche ai frutti del lavoro cardetese. I prodotti locali, difatti, sono particolarmente apprezzati nel comprensorio di Reggio Calabria in virtù delle tecniche di produzione naturali, basate sulla tradizione contadina. La terra, dunque, dona pregiati esemplari di broccoli, fave, patate e cipolle che si affiancano a straordinari salumi e formaggi.”



    “Dici Riace e pensi subito ai Bronzi. Un’associazione di idee praticamente immediata che spinge la mente ad identificare questo borgo reggino con l’effige delle due famosissime statue rinvenute negli anni ’70 nelle acque locali….il Santuario dei Santi Cosma e Damiano: una facciata scarna, modesta, dominata da un colore grigiastro, quasi spento. Al centro una grande porta marrone… All’interno, invece, una sorprendente esplosione di bellezza: pareti decorate da affreschi di sensazionale pregio, dalle sfumature vivaci; chiare colonne ornate con raffinata grazia ed anche numerose statue di rilievo. Fra quest’ultime spicca indubbiamente una suggestiva Madonna collocata in una nicchia che riproduce con estremo realismo lo scenario naturale di una grotta….”



    “San Lorenzo… In questo estremo lembo di terra calabrese, diviso fra le imponenti vette dell’Aspromonte e il mare, si è infatti svolto un episodio che ha influenzato in maniera determinante l’evoluzione storica della nostra amata Italia….si narra del glorioso passato della città, un tempo sede di pretura – fino a metà del ‘900 – avente il ruolo di centro più importante dell’area compresa fra Reggio Calabria e Locri.. L’ago della bilancia è un uomo carismatico: Giuseppe Garibaldi……la determinante influenza dei laurentini nello sbarco dell’eroe nazionale sull’antistante spiaggia di Melito di Porto Salvo. Uno dei duecentocinquanta garibaldini che, nella seconda metà dell’ottocento, si trovava ad essere inseguito dai borbonici tra le alture aspromontane – tale Alberto Mario – ha riportato tale vicenda nel libro di memorie “La Camicia Rossa”, pertanto ogni dettaglio è giunto intatto fino ai giorni nostri….gli abitanti dell’epoca offrirono generosamente riparo alle stremate camice rosse. Appresa la notizia del presidio garibaldino in tale area, Giuseppe Garibaldi decise di lasciare la Sicilia e di sbarcare in loco: era la notte fra il 18 e il 19 Agosto 1860.”



    “..una cittadina ellenistica arroccata su d’un alto colle dell’Aspromonte, in territorio reggino, dalla quale si possono ammirare in tutta la loro bellezza le meravigliose acque dello Jonio…. Bova…La strada che porta a questo antico borgo ….nella vegetazione locale spiccano le sfumature cromatiche tipiche della macchia mediterranea…Le querce, i lecci, le roverelle, le brughiere e – oltre i 900 metri – le conifere adornano con garbo un paesaggio impreziosito dalle acque dolci dei torrenti Muto e Piscopi e dalla fiumara San Pasquale. Abbondano persino le sorgenti,…le fontane Verrei, Travi e Pietrafilippo….. gli angusti vicoli che compongono il mosaico pedonale cittadino. Molti sono in ombra, giacché la presenza assai ravvicinata delle case non consente l’accesso alla benevola luce del sole; altri, invece, sono esposti al tiepido calore primaverile. …Le tinte chiare, quasi rilassanti, della pavimentazione in pietra che ricopre elegantemente il suolo – in alcuni tratti con parvenza di ampi gradoni – costituiscono uno spettacolo tanto piacevole quanto raro.”



    "Scilla si caratterizza per un paesaggio mozzafiato ed un clima invidiabile…. L’incantevole mare che separa la punta dello “stivale” dalle coste della Sicilia, infatti, è una tentazione troppo forte: impossibile non abbandonarsi alle acque dello Stretto di Messina, un tempo noto proprio come stretto di Scilla……La leggenda narra che…sullo scoglio situato nello Stretto di Messina viveva una creatura mostruosa, chiamata Cariddi. Era la figlia della Terra e di Poseidone e, durante la sua vita di donna, aveva mostrato grande voracità….A un tiro d'arco da Cariddi, sull'opposta sponda dello Stretto, un altro mostro attendeva al varco i naviganti. Era Scilla, nascosta nell'antro profondo e tenebroso, che si apriva nella roccia liscia e levigata, inaccessibile ai mortali…. Le navi che imboccavano lo stretto di Messina erano costrette a passare vicino ad uno dei due mostri. In quel tratto di mare i vortici sono causati dall'incontro delle correnti marine…. L'espressione «essere tra Scilla e Cariddi», indica il rischio di sfuggire ad un pericolo per correrne un altro. Secondo il mito, gli Argonauti riuscirono a scampare al pericolo, rappresentato dai due mostri, perché guidati da Teti madre di Achille, una delle Nereidi.”



    “Gioia Tauro…..la città viene citata anche nella mitologia greca…..La leggenda narra che Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, impazzito dopo aver ucciso la madre e il suo amante, avrebbe ritrovato la pace bagnandosi nel Metauro, l’attuale fiume Petrace che lambisce la città. Oreste tolse la vita alla sua genitrice per vendicare l’omicidio del padre, capo dell’esercito degli Achei. Dopo il matricidio però perse i numi della ragione e fu perseguitato dalle Erinni, le furie personificazione del rimorso. Per ritrovare la quiete Apollo gli ordinò di sottrarre il simulacro di Diana Fascelide e di bagnarsi in sette fiumi. Dopo essersi impossessato del simulacro, Oreste vagò a lungo in mare finché, guidato da venti propizi, approdò nei pressi dell’attuale Piana di Gioia Tauro. Ne percorse i territori, trovò i sette fiumi contigui e, dopo essersi bagnato nel settimo, il Metauro appunto, ritrovò la serenità. Le Erinni che lo avevano posseduto si trasformano così in Eumenidi, le tutrici dell’ordine della natura. i primi storici che parlano del fiume, indicandolo anche come leggendario, sono Varrone nel “Rerum Humanarum“, Probo Grammatico e Catone nel “De Originibus“…Anche molti studiosi di epoca moderna concordano sul fatto che fu il Petrace il fiume designato dall’oracolo per far ritrovare la salute a Oreste e Rocco Liberti, in un libro sulla città pubblicato nel 1982, scrive che Antonino De Salvo alla fine dell’ottocento sosteneva che il territorio intorno a Gioia Tauro venisse definito “Furia” in ricordo delle erinni che per molto tempo perseguitarono il mitico Oreste. “



    “Reggio Calabria….Fu fondata da coloni greci Calcidesi originari di Eubea, che lasciarono la loro città a seguito di una grave carestia e dai Messeni dopo che questi ultimi furono sconfitti nella guerra con Sparta. L'oracolo di Delfi predisse che avrebbero fondato una nuova città nel luogo in cui avrebbero incontrato una femmina avvinghiata ad un maschio. Dopo un viaggio faticoso superato il promontorio di Capo Calamizzi si fermarono alla foce del fiume Apsias (oggi Calopinace) avendo intravisto una vite aderente ad un fico selvatico nella località detta Pallantion - odierno parco a mare (730 AC) e fondarono la prima polis greca in Calabria dandole il nome di Reghion…..Dopo il dominio Normanno la città seguì le alterne vicende di Angioini e Aragonesi, rimanendo sempre capoluogo regionale. Nicola Ruffo conte di Catanzaro la conquistò per conto di Luigi d'Angiò nel 1404……tra i monumenti..il Duomo…nasce come cattedrale normanna ma fu ricostruito nel XVII secolo…dopo varie distruzione a causa dei terremotifu ricostruita nel 1913, da Padre Carmelo Umberto Angiolini su incarico dell'Arcivescovo Rinaldo Rousset, e fu consacrata il 2 settembre 1928 dall'arcivescovo Carmelo Pujia. Ai lati della scalinata che conduce all'ampia e imponente facciata, sono situate le statue dei Ss. Paolo e Stefano di Francesco Jerace….il Castello Aragonese…la sua costruzione si ritiene anteriore all'invasione dei Goti di Totila nel 549. Punto strategico di difesa della Città, sorto dove era situata l'acropoli della polis greca, fu conquistato anche dagli Ostrogoti, dai Longobardi, dagli Arabi, dai Normanni, dagli Svevi e dagli Angioini. Nel 1543 fu riconquistato da Federico Barbarossa e, dopo le dominazioni spagnola, austriaca e borbonica, fu conquistato da Giuseppe Garibaldi il 21 agosto 1860…Mura Greche…situate sul lungomare, risalgono al IV secolo a.C. e farebbero parte della ricostruzione operata da Dionisio II di Siracusa. Sono costituite da due file parallele di grossi blocchi di arenaria tenera…la Chiesa degli Ottimati…vicina al Castello Aragonese, in origine riprendeva lo stile bizantino. È stata ricostruita con elementi dei mosaici provenienti dalla Cripta della Chiesa di San Gregorio Magno o degli Ottimati del XII secolo, ma anche con fusti di colonne di spoglio in marmo greco dell'Abbazia basiliana del XII secolo di Santa Maria di Terreti, entrambe distrutte…..il Cippo Marmoreo..Eretto nel punto dove Vittorio Emanuele III sbarcò, toccando per la prima volta il suolo nazionale da sovrano..la statua in bronzo, che rappresenta "Athena Promacos", è opera dello scultore messinese Bonfiglio. ..Museo Nazionale..ricco di collezioni archeologiche con materiali di scavo da siti della Calabria e della Basilicata, molto importanti per avvicinarsi alla cultura antica di questa parte della Magna Grecia, vi sono custoditi anche i famosi bronzi di Riace, due grandi statue di guerrieri, originali greci della metà del V secolo AC, che rappresentano l'immagine più tipica della cultura greca classica.”







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    GERACE

    Gerace

    MURA DI GERACE

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    IL MITO DI SCILLA

    CIAO A TUTTI CHE BELLA LA CALABRIA!!!!!!!!!!!!!!!

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    SCILLA DI NOTTE CHE INCANTO

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    CHIANALEA SPIAGGIA DI SCILLA

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    SCILLA VEDUTA AEREA

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    SCILLA DI NOTTE

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    LO STRETTO IN FONDO LE ISOLE EOLIE



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    TRAMONTO SULLO STRETTO



    Vibo Valentia


    (già Monteleone di Calabria) è una città della Calabria di 33.709 abitanti[1], con un'area urbana di circa 75.000 abitanti, capoluogo dell'omonima provincia che conta 167.010 unità, sede di un importante porto turistico ed industriale e notevole centro commerciale. Ha una storia lunga quasi 3.000 anni e il diritto di fregiarsi fin da tempi antichissimi del titolo di città. E' anche stata capoluogo della Calabria Ultra .


    Tramonto sullo Stromboli da Vibo Valentia



    Il mare di Vibo Valentia




    Chiesa di Santa Ruba - San Gregorio D'Ippona - (Vibo Valentia)

    Magnifico esemplare di architettura stile bizantino. E' situata in mezzo agli ulivi sulla via che va da S. Gregorio d'Ippona a Vibo Valentia. Eretta inizialmente dai monaci basiliani ancora più piccola ma con già la tipica cupola, per le preghiere e per accogliere i fedeli delle campagne circostanti. In seguito fu ampliata, furono costruite altre stanze ed i monaci basiliani vi dimorarono fino al XVI secolo. Il famoso archeologo Paolo Orsi l'ha definita "un gioiello di origine bizantino-basiliana con architettura barocca".



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    SANTA DOMENICA DI RICADI VICINO CAPO VATICANO

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    SANTA DOMENICA DI RICADI



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    RICADI



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    BAIA DI ZAMBRONE VICINO TROPEA

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    SPIAGGIA DI ZAMBRONE VICINO TROPEA

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    FOTO CERTOSA DI SERRA SAN BRUN(VV) LA LEGGENDA RACCONTA CHE QUI SI RIFUGIO' IL PILOTA DELL'AEREO CHE SGANCIO' LA BOMBA ATOMICA DI HIROSHIMA

    Briatico

    è un comune di 4.054 abitanti della provincia di Vibo Valentia, adagiato sulle scogliere della Costa degli Dei. La sua storia segnata da tragici terremoti l'ha portata dall'antico borgo, Briatico Vecchio distrutto nel 1783, all'attuale sito.

    Briatico (CZ) all'imbrunire

    Sant'Irene - Briatico (Vibo V)

    Sant’Irene è una delle più belle località costiere nei pressi di Briatico, in provincia di Vibo Valentia. Una leggenda fa risalire il nome alla deformazione di “Sirene” o meglio “Isola delle Sirene”. S. Irene viene chiamato, ancora oggi, “scoglio di Ulisse”, Itacense o "Scoglio della galera". Il Barrio, nel suo volume “Antichità e luoghi della Calabria”, nel 1737 scriveva: “Dopo Hipponium sorge la cittadella di Briatico, in un luogo alto, lontano dal mare un miglio; dista da Monteleone quattromila passi. Sul mare c’è l’ancoraggio detto di Nicola, e nei pressi ci sono le piccole isole di Praco, Braci, Torricella chiamate Ithacensae da Plinio, ma le altre isole dove sono? Nella cartografia della Calabria queste isole davanti a Briatico compaiono molte volte. Sant’Irene, è un luogo antico, nei pressi sono presenti insediamenti millenari. Sono presenti depositi d’ossidiana liparica e schegge di selce del neolitico, alle vasche per la lavorazione del pesce del periodo romano al vivarium della stessa epoca, alla torre d’avvistamento costiero del ‘500. Infatti è verosimile che, per le sue grotte e pareti lavorate, essa sia stata usata per vasche di raccolta pesce già in epoca romana. Altra leggenda vuole l'isola scoglio “prigione delle sirene" con i cunicoli forniti di sbarre di ferro per non lasciare fuggire questi meravigliosi esseri marini”. Probabilmente lo scoglio è comunque anche denominato “della galera” perchè nel 1571, un’imbarcazione della flotta cristiana, si apprestava ad affrontare i Turchi in quella che fu poi chiamata la Battaglia di Lepanto, spinta da un fortunale, s’incagliò tra la costa di S. Irene e l’isolotto prospiciente. L’imbarcazione naufragata era una galera o galea. Realisticamente lo scoglio di S. Irene era un vivarium romano. I pescatori della zona, catturati dei tonni li facevano passare attraverso cunicoli che conducevano a grandi vasche dove venivano ammucchiati vivi, in attesa di essere via via macellati. I cunicoli e le vasche scavati direttamente nel tufo dell’isolotto servivano allo scopo.



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    CERTOSA VISTA DALL'ALTO; IN ITALIA NE ESISTONO SOLO DUE L'ALTRA SI TROVA A PAVIA

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    CASCATA DELL'ANGITOLA VICINO VIBO VALENTIA



    Pizzo

    (noto come Pizzo Calabro ma ufficialmente solo Pizzo), è un comune italiano di poco più di 9.000 abitanti[senza fonte] della provincia di Vibo Valentia, famoso per il tartufo.

    Storia

    È stata fondata da Nepeto ai tempi della antica Grecia. Gli abitanti infatti prendono il nome di napetini o pizzitani. Il castello testimonia la presenza degli aragonesi nel XV secolo. Proprio in questo luogo, il castello Aragonese, fu tenuto prigioniero e in seguito condannato a morte Gioacchino Murat, re di Napoli e cognato di Napoleone Bonaparte. Venne fucilato il 13 ottobre, dopo alcuni giorni di prigionia e un processo fatto nella sala principale del castello. Oggi il castello aragonese di Pizzo viene denominato Castello Murat. All'interno del Castello c'è il museo provinciale murattiano. Murat fu poi sepolto nella chiesa di San Giorgio.





    Chiesa di Piedigrotta - Pizzo

    Difficile pensare a Pizzo, la splendida cittadina arroccata scenograficamente sopra una rupe a picco sul mare, in una posizione incantevole, lungo quel tratto della costa tirrenica che va fino a Tropea, uno dei più belli e affascinanti dell' intera Calabria, senza ricordare le sue tradizioni marinare e la pesca del tonno, ma soprattutto il castello di Gioacchino Murat, a cui Pizzo ha indissolubilmente legato il proprio nome. Prima di tutto questo, però, delle tante bellezze nascoste di Pizzo, delle sue strette scalinate chiuse da case addossate le une alle altre, con le scale esterne, che hanno come fondale l' azzurro intenso del Tirreno, dei meravigliosi panorami che si estendono fino a cogliere lo Stromboli, fermatevi ad ammirare quello che forse è il vero gioiello di questa cittadina: la Chiesetta di Piedigrotta. E' uno spettacolo unico e fantastico.Se chiedete in giro alle tante persone, che soprattutto d' estate affollano la bella piazza da dove si intravede il celebre castello o i tavolini dei tanti locali intenti a consumare il rinomato gelato che qui si produce, dove si trova la chiesetta, la vostra domanda sarà accolta da uno sguardo quasi incredulo. Come se fosse naturale conoscere dove sorge questa bizzarra chiesetta, che è situata a meno di un chilometro dal paese, in direzione nord, lungo la statale 522, quella che dall' uscita dell' Autostrada Salerno-Reggio Calabria, dopo il bivio dell' Angitola, conduce a Pizzo costeggiando il mare, anche se le indicazioni per arrivarci in verità non sono molte. Un piccolo segnale, vicino a uno spiazzo sterrato dove si può posteggiare l' auto, tra diversi pulmann provenienti in particolare dalla Sicilia, indica la mèta: Chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, che i <<pizzitani>> chiamano La Madonnella. Accanto, una scalinata, in cima alla quale non è difficile trovare un venditore di cesti e oggetti di vimini, che conduce giù sulla spiaggia. Come, sul mare? Sì, anche se dapprima, scendendo la scalinata, si intravede solo l' intensa luce del Tirreno e lo sguardo coglie un lungo tratto di costa, disseminata di brutture e di costruzioni disordinate e pretenziose, che abbraccia tutto il golfo di Lamezia, e poi un muro addossato a un costone tufaceo con sopra un modesto campanile e una cadente piccola campana. Il rumore del mare vicinissimo accompagna gli ultimi passi prima di entrare attraverso un semplicissimo portale nella chiesetta: ed è uno spettacolo inatteso quanto sorprendente. Una grotta scavata nella roccia che si estende in tante direzioni, con stalagmiti diventate colonne e scolpite e trasformate in statue. Una serie di arcate e pilastri naturali, dove si intravedono conchiglie e valve di molluschi, separano le diverse cappelle e grotte, che ospitano un presepe, un San Giorgio e un drago, angeli, una Madonna di Pompei, la scena della moltiplicazione dei pani e dei pesci, altre scene bibliche, altri santi, una Bernardette in preghiera, un cervo, altri animali. In fondo, un piccolo altare e l' immagine della Madonna. Un impatto sorprendente, amplificato dalla tenue luce che penetra dalle piccole finestre della facciata e poi dalle piccole aperture tra la roccia, che rimodella le figure e crea un' altra aura intorno a questa fantastica rappresentazione sacra, mentre l' acqua stilla dalle pareti e il fruscio delle onde sembra fare da controcanto alle litanie, suscitando nuove forti emozioni nel visitatore. Sul soffitto e sulla semicupola che sovrasta l' altare, poi, tracce di affreschi rosi dalla salsedine e dall' umidità. Ma come è sorto questo piccolo capolavoro, che accoglie innumerevoli fedeli e turisti, specie il 9 luglio, giorno della ricorrenza della Madonna delle Grazie, quando i <<pizzitani>> rinnovano il loro tributo di fede e d' amore alla <<madonnella>>? La storia ha dell' incredibile e sembra mutuata da un racconto fantasioso. Si narra che verso il 1665 un veliero napoletano in navigazione in balia del mare tempestoso fu schiantato contro le rocce. In quei momenti drammatici, il capitano espresse voto alla Madonna affinché salvasse la vita dell' equipaggio. Il vascello si inabissò, ma gli uomini riuscirono a raggiungere la riva, lì dove oggi sorge la chiesa. Sul bagnasciuga, i marinai ritrovarono il quadro della Madonna che si trovava a bordo della nave. Decisi a mantenere la promessa fatta, scavarono nella roccia una piccola cappella e vi collocarono la sacra immagine. Ci furono altre tempeste e il quadro, portato via dalla furia delle onde che penetravano fin nella grotta, fu sempre rinvenuto nel posto dove il veliero si era schiantato contro gli scogli. Ben presto, quel luogo divenne un punto di incontro per i marinai che con le loro barche incrociavano quel tratto di mare e anche per i <<pizzitani>>, che affezionati alla <<madonnella>> ampliarono la grotta. Tra la fine dell' Ottocento e gli inizi del Novecento, due artisti del luogo, Angelo Barone prima e suo figlio Alfonso, poi, scavarono altre grotte e scolpirono le diverse decine di statue raffigurando scene delle Sacre Scritture. I due affrescarono anche i soffitti della piccola navata e della semicupola sopra l' altare, dando vita a un culto popolare profondamente sentito, che oggi si rinnova tra l' incanto dei visitatori abbagliati da questo spettacolo singolare reso più affascinante dalla luce cangiante del mare e del cielo di questa costa. Ma questa <<città a cascata>>, come la definì Maxime Du Camp, racchiude altre testimonianze artistiche che vale la pena di scoprire, pur se i tantissimi illustri visitatori, da Alexandre Dumas a Richard Keppel Craven, da Léon Palustre de Montifuat a Charles Didier, da François Lenormant a Joseph Widmann, hanno quasi compiuto un "pellegrinaggio" per celebrare la storia dello sfortunato re, che dopo essere sbarcato a Pizzo e catturato, fu rinchiuso nel maniero di origine aragonese, dove fu fucilato il 13 ottobre 1815. Oltre al bel maniero, di recente restaurato, che sovrasta la sottostante marina, e da dove si coglie un incredibile panorama -<<celestiale>> lo ha definito qualcuno-, che si perde all' orizzonte, con Vulcano quasi a limitare la fuga dell' occhio, che conviene visitare, anche per vedere la cella in cui fu rinchiuso Murat, un' altra tappa fondamentale è rappresentata dalla splendida Chiesa di San Giorgio, patrono di Pizzo, dichiarata monumento nazionale, che sorge nei pressi della piazza principale. La chiesa, elevata a Collegiata con bolla di Gregorio XIII nel 1576, presenta una pianta a croce latina, con cappelle laterali intercomunicanti, ed è stata profondamente rimaneggiata in seguito ai terremoti del 1783 e del 1905, che distrussero anche il campanile. Per fortuna si è conservata l' originaria facciata barocca, del 1632, con lo splendido portale in travertino serrese, arricchito di motivi figurativi e fastigio. I montanti che lo incorniciano, quello a sinistra reca lo stemma dei Sanseverino, signori della città nel secolo XVII e quello a destra San Giorgio a cavallo. Nell' interno, dove sono seppelliti i resti di Gioacchino Murat, oltre a un Crocifisso ligneo seicentesco, tradizionalmente detto <<il Padre della Rocca>>, proveniente da Rocca Angitola, paese vicino distrutto dal terremoto del 1614, un San Giovanni Battista, bella statua marmorea di fine Cinquecento attribuita a Pietro Bernini, padre del più noto Gian Lorenzo, una Santa Caterina d?Alessandria, scultura marmorea di ascendenza gaginesca opera di Carlo Canale, e una Madonna col Bambino, altra interessante scultura di derivazione gaginesca. Tra le oltre opere, Il martirio di San Giorgio, grande tela collocata sul soffitto, opera del vibonese Emanuele Paparo (1778-1828), e la La Salvatrice, di Michele Foggia (1832) , regalo di Ferdinando I alla città per ringraziarla della cattura di Murat. La tela simboleggia, in maniera allegorica, l' aquila borbonica che uccide il serpente murattiano sotto lo sguardo della Madonna, per questo detta la <<salvatrice>>. La vicina Chiesa di San Sebastiano, recentemente restaurata, conserva all' interno diverse statue lignee e un bel coro intagliato. Interessante è anche la Chiesa delle Grazie che divide la stessa facciata con quella del Purgatorio, annessa all' antico convento dei Pasqualini, che presenta un bel portale in granito di gusto rinascimentale. La chiesa più nota come Chiesa dei Morti, perché nel suo sottosuolo sono state rinvenute delle nicchie in cui erano stati sepolti dei religiosi, sorge sulla salita a destra della piazza, poco oltre la casa natale del patriota e scienziato Antonino Anile. Dopo aver ammirato il centro storico, le tante viuzze e gli slarghi che si incrociano sul corso, tra antichi palazzotti nobiliari che racchiudono fasti e storie di questa cittadina che conserva un fascino particolare, di vecchio borgo marinaro, abbandonandosi al piacere delle scoperte, come ammoniva agli inizi degli anni Cinquanta la poetessa polacca Kazimiera Alberti, la quale sollecitava il turista moderno a non concedersi solo alle glorie del passato rincorrendo solo l' ombra del generale francese che aleggia sulla cittadina, come se ne avesse segnato il destino, un' ultima tappa aspetta il turista: la Chiesa di San Francesco di Paola, con l' annesso convento dei Minimi, edificati nella seconda metà del cinquecento. L' imponente complesso sorge alla fine del corso. All' interno della chiesa, decorata di marmi, con restauri e rimaneggiamenti che ne hanno mutato le linee, si possono ammirare una bella statua lignea raffigurante la Madonna del Buon Consiglio, opera di scultore napoletano del XVI secolo, una Madonna del Rosario, di ignoto pittore ottocentesco, e altre sculture lignee di un certo interesse.



    DUOMO DI REGGIO

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    Galatro





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    Lungo le pendici occidentali della Catena della Serre calabresi, a 157 metri di altitudine si trova Galatro, piccolo comune della provincia di Reggio Calabria e rinomato per le Terme di Galatro avviate alla fine del XIX° secolo. Dal punto di vista paesaggistico Galatro si trova al confine meridionale tra la Catena delle Serre ed il Massiccio dell'Aspromonte, sopra un'altura che si affaccia lungo la piana di Rosarno e si estende fino al mar Tirreno.



    Le origini storiche del centro non sono conosciute, certamente il villaggio si è sviluppato durante l'alto medioevo in occasione dell'arroccamento sulle alture prospicienti il mare, causato dal crollo dell'Impero Romano d'Occidente e dalle conseguenti scorrerie piratesche e saracene. All'interno del paese di Galatro è interessante la chiesa dedicata a San Nicola di Bari, Patrono di Galatro. Si trova a fianco del municipio e contiene delle opere antiche di grande pregio, tra cui il settecentesco altare centrale prodotto dalla scuola del Gagini e la statua marmorea di San Nicola in marmo alabastrino del quattrocento.



    ... Ancora immagini da Pizzo ...

    Tramonto su Pizzo



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    PALMI

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    Scilla

    (anticamente u Scigghiju in dialetto reggino) è un comune di 5.162 abitanti della provincia di Reggio Calabria. Importante località turistica e balneare poco a nord di Reggio, Scilla costituisce uno tra i borghi più belli e caratteristici d'Italia, meta di artisti in ogni epoca e di ogni nazionalità ed è una frequentatissima meta estiva.

    Storia

    Le origini sono antichissime, confuse tra mitologia, storia, leggenda e poetiche immagini alimentate per millenni dalla suggestività dell'ambiente naturale.

    Origine del nome

    Scilla veniva anticamente chiamato in greco antico Skylla o Skyllaion, in latino Scylla, dunque il nome di Scilla potrebbe probabilmente significare "scoglio".

    Mitologia

    Pausania (grammatico di Cesarea), racconta che Scilla fu figlia di Niso, re di Megara. La principessa aiutò il re Minosse contro il proprio stesso padre permettendogli di conquistare delle terre che erano sotto il suo dominio. Il vincitore poi, non solo rifiutò di sposarla, ma l'abbandonò alle onde del mare, che ne portarono il corpo, di greca mirabile fattura, ai piedi del promontorio a cui fu dato il nome della vaga infelice fanciulla:
    « esso si trova a 12 miglia da Messina, lungo la costa bruzia. »
    Secondo Palifato, Polibio e Strabone il primo nucleo abitato di Scilla risalirebbe ai tempi della guerra di Troia. In questa remota epoca si è soliti riconoscere nella penisola italica ondate di migrazioni di popolazioni ibero-liguri provenienti dal mare e dirette verso sud. Si ritiene dunque che tali popolazioni potrebbero aver fondato qualche villaggio lungo i terrazzamenti più bassi del crinale aspromontano sud-occidentale, degradante verso lo Stretto. Trattandosi di popoli di pescatori, presumibilmente elessero come area d’insediamento il sito adiacente la rupe centrale di Scilla, dove la presenza dei numerosissimi scogli agevolava la pratica della pesca, consentendo al tempo stesso la costruzione delle rudimentali capanne. Tale ipotesi è in parte avvalorata dallo stesso Omero allorquando, nel descrivere Crataia come madre di Scilla, lascia intendere l’esistenza di uno stretto legame tra questa e la nascita del mito del Monstruum Scylaeum, da intendersi sorto ancora alla prima frequentazione umana del tratto di mare antistante l’odierna cittadina. Dal momento che Crataia è da più parti identificata con il vicino torrente Favazzina, ancora ai tempi del Barrio chiamato fiume dei pesci [2], se ne potrebbe dedurre che gruppi di popoli dediti alla pesca, giunti via mare lungo la bassa costa tirrenica, inizialmente siano approdati alla foce di questo fiume, dove era agevole praticare l’attività, e successivamente si siano spostati più a sud, trasferendo la propria residenza presso la costa scillese, più ricca di pesci.

    Il quartiere di pescatori di Chianalea con il Castello Ruffo



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    CASCATA DEL MARMARICO NELLE SERRE CALABRESI IO MI SONO FATTO IL BAGNO L'ACQUA è GHIACCIATA MA TI PURIFICA

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    CASCATA DEL MARMARICO



    Scilla








    PALMI

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    PORTO DI GIOIA TAURO

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    PORTO DI GIOIA TAURO



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    I bronzi di riace





    Quella dei Bronzi di Riace fu una scoperta sensazionale. Le due sculture furono infatti ritrovate nel mare Ionio, a 300 metri dalle coste di Riace in provincia di Reggio Calabria, nel 1972. Più precisamente nell'Agosto del 1972 il sub Mariottini immergendosi al largo di Riace scorge sul fondale un oggetto, che inizialmente non riesce ad identificare, si avvicina e scopre che dal fondo melmoso esce quella che lui identifica come una mano in bronzo.





    Mariottini segnalò il fatto alla Sovrintendenza e una squadra di subacquei professionisti vennero inviati sul posto, con l'aiuto di speciali apparecchiature e usando le dovute attenzioni i sub riportarono in superficie una statua di bronzo. Proseguendo l'indagine della zona interessata venne poi rinvenuta una seconda statua in bronzo. L’eccezionalità del ritrovamento fu subito chiara, date le poche statue originali di quel periodo che ci sono giunte dalla Grecia.





    Furono trasportate a Firenze dove fu curato il restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure, uno dei più specializzati laboratori di restauro del mondo. Nel 1980 furono esposte in una mostra, che ebbe un successo enorme, e quindi trasportate nel Museo archeologico di Reggio Calabria dove sono tuttora esposte.





    Una normale immersione subacquea quindi compiuta da un sub professionista nelle acque di Riace così come ce ne sono a centinaia nelle stesse acque ogni anno ha dato inizio alla lunga storia di questa eccezionale scoperta archeologica. Il mare di Riace restituisce alla terra e alla storia due capolavori in bronzo che balzeranno subito agli onori della cronaca come una delle scoperte più importanti del secolo. Le statue sottoposte ad una prima operazione di restauro vengono portate al museo di Riace dove si trovano tuttora. I bronzi di Riace identificati inizialmente con le lettere A e B raffiguravano degli imponenti corpi maschili nudi, uno apparentemente più giovane e l'altro più maturo, la loro identità è restata all'inizio celata: le ipotesi su di essa si susseguirono sino ad arrivare a sostenere una loro provenienza greca come bottino riportato a seguito della conquista romana.Nel 1994 archeologi, restauratori e tecnici dell'Istituto Centrale del Restauro e della Soprintendenza archeologica della Calabria hanno avviato un delicato progetto di restauro al fine di scongiurare la minaccia costituita dalla presenza al loro interno di residui di terra e di sali dannosi. Lo svuotamento delle statue, primo decisivo intervento, è stato eseguito con l'ausilio di una sofisticata strumentazione che ha permesso di entrare all'interno delle statue bronzee. L'esame ha rilevato la presenza all'interno della statua B di una seconda statua in argilla. Dopo anni di ipotesi e di ricerche i due statuari guerrieri di bronzo sembrano aver ritrovato la loro originaria identità. Un recente studio ha inoltre rivelato il ruolo del bronzista Agelada di Argo, maestro di Mirone e di Fidia. Lo storico dell'arte Paolo Moreno ha avanzato la tesi che gli autori dei bronzi fossero Agelada di Argo e Alcamene di Lemno, tale tesi è nata dallo studio comparato della decorazione del celebre tempio di Olimpia. Il bronzo denominato A sembra mostrare notevoli somiglianze con l'Atlante del tempio di Olimpia, realizzata presumibilmente da Alcamene. Secondo lo storico il cosiddetto bronzo B sarebbe Anfiarao, indovino del re Adrasto, costretto, secondo la leggenda, a partecipare alla spedizione dei Sette a Tebe. Il bronzo A invece sarebbe Tideo altro eroe della spedizione. I due bronzi farebbero quindi parte di un gruppo statuario dedicato a celebrare la leggenda dei Sette a Tebe accompagnati dai loro discendenti ed epigoni. Secondo i versi di Eschilo, uno dei tre grandi tragediografi greci, Tideo insulta l'indovino Anfiarao, che si rifiutava di partecipare alla spedizione contro Tebe, visto che ne prevedeva l'esito negativo. Adesso i celebri bronzi non hanno solo un nome ma anche una leggenda alle spalle, che spiega la loro postura l'espressione sui loro volti. L’analisi stilistica e quella scientifica sui materiali e le tecniche di fusione hanno entrambe determinato la differenza sostanziale tra le due statue: sono da attribuirsi a due differenti artisti e a due epoche distinte. Quella raffigurata a sinistra viene normalmente chiamata "statua A", mentre quella a destra "statua B". L’attribuzione odierna, in base ai confronti stilistici oggi possibili, è di datare la "statua A" al 460 a.C., in periodo severo; mentre al periodo classico, e più precisamente al 430 circa a.C., viene datata la "statua B". Si tratta di determinazioni che possono ancora essere modificate, anche perché sappiamo davvero pochissimo di queste due statue. Ignoti sono sia gli autori, sia i personaggi raffigurati, sia la collocazione che avevano nell’antichità. Al momento possiamo solo ritenere che si tratti genericamente di due atleti o di due guerrieri, raffigurati come simbolo di vittoria. Entrambe le statue sono raffigurate nella posizione definita a chiasmo, presentandosi con una notevole elasticità muscolare. Soprattutto la "statua A" appare di modellato più nervoso e vitale, mentre la "statua B" ha un aspetto più rilassato e calmo. Ma entrambe trasmettono una grande sensazione di potenza, dovuta soprattutto allo scatto delle braccia che si distanziano con vigore dal torso. Il braccio piegato doveva sicuramente sorreggere uno scudo, mentre l’altra mano impugnava con probabilità un’arma. La "statua B" ha la calotta cranica modellata in quel modo perché doveva sicuramente consentire la collocazione di un elmo di stile corinzio, oggi disperso. Le statue furono con probabilità realizzate ad Atene e da lì furono rimosse per essere portate a Roma, forse destinate alla casa di qualche ricco patrizio. Ma il battello che le trasportava dovette affondare e il prezioso carico finì sommerso dalla sabbia a circa 8 metri di profondità. Non è da escludere che all’epoca fu già fatto un tentativo di recupero, andato infruttuoso così che le statue sono rimaste incastrate nel fondale per circa duemila anni, prima che ritornassero a mostrarci tutto il loro splendore. Ma vediamo come venivano realizzate le statue in bronzo. La tecnica può essere sintetizzata in questi passaggi. Per prima cosa si modellava la statua in argilla. Su di essa, in una seconda fase, veniva collocato uno strato di cera, dello spessore di alcuni millimetri. Terza fase, il tutto veniva ricoperto da altra argilla o terra refrattaria, per costituire un blocco solido e resistente. A questo punto, attraverso un’opportuna serie di fori, praticati nel masso finale per giungere allo strato di cera, veniva colato il bronzo portato a temperatura di fusione (circa 1000° C). Il bronzo, infilandosi in questo masso composto all’interno e all’esterno della forma scolpita da terra refrattaria, andava naturalmente a collocarsi lì dove trovava la cera, la quale, a contatto con il grande calore del bronzo fuso, si scioglieva e colava da opportuni fori ricavati inferiormente. Quando il bronzo si raffreddava aveva preso tutto il posto dove prima era la cera. A questo punto si poteva liberare la statua di tutta la terra refrattaria che la ricopriva. Appariva la statua in bronzo, che però all’interno conteneva ancora l’argilla usata per la prima modellazione. Si aveva ovviamente cura di far sì che la forma non fosse totalmente chiusa, in modo da poter liberare la statua dell’argilla interna. Nel caso dei bronzi di Riace, ad esempio, le due figure sono aperte sotto i piedi, fori che ovviamente non si vedono quando le statue sono collocate in posizione eretta, e da questi fori fu possibile, con paziente lavoro, asportare l’argilla interna. Non tutta l’argilla si riusciva ad asportare, tanto che nel caso dei bronzi di Riace recenti interventi di restauro interno, condotti con microsonde radiocomandate, hanno permesso di asportare ancora un quintale circa di argilla che era rimasto negli anfratti interni delle due statue. Se le statue non erano fuse in un unico blocco, il lavoro risultava più agevole. In questo caso le parti venivano saldate a posteriori in punti appositamente studiati per non influire nella visione dell’opera. Questa tecnica era definita fusione "a cera persa". Di fatto questa tecnica messa a punto dai greci è la stessa che si usa ancora oggi, pur nella diversità dei materiali odierni e della evoluzione tecnologica, a dimostrazione che il modello di procedura era il migliore possibile.



    Dolci della tradizione

    "Cuzzupe" dolci tipici calabresi

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    Le cuzzupe di Pasqua si preparano ancora oggi e assumono nomi diversi in base al territorio, vengono chiamate cuzzuolu (nel Cosentino) le 'sgute' o 'aggute' o 'cuddhuraci'(a Reggio) o 'cuzzupe'nel catanzarese , dolci dalla forma caratteristica simile ad una borsa con il manico, con una o più uova sode inserite nella pasta simbolo della Resurrezione. Questo dolce riprende la tradizione degli 'nzuddi di Seminara. Dolce pasquale di origini secolari,tipico della tradizione calabra assume diverse forme augurali: di pesce,di colomba, di cestino,di cuore,di cavallo di bambola, che variano in base all'estro e le abitudini.



    Siderno - panorama



    La spiaggia



    Il lungomare



    Monumento ai Marinai - LE VELE
    (Monumento di Giuseppe Correale, scultore siderse, esposto sul lungomare di Siderno)



    L'alba....



    BOVALINO

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    Bovalino è un comune di con oltre 9.000 abitanti (Bovalinesi). Sorge a 11 metri sopra il livello del mare e si affaccia sulla costa ionica. È uno dei tanti punti di riferimento dei turisti che scelgono la Calabria.
    Oltre a Bovalino Marina, c'è Bovalino Superiore, ad un'altezza di circa 150 metri. Bovalino ha origine nel periodo romano, probabilmente, dalla città Butropo situata nella marina. Nel 986 la città venne distrutta e gli abitanti si trasferirono su una collina di tufo a 200 metri sul livello del mare, nacque Mocta Bubalini (l'odierna Bovalino Superiore). Con la conquista normanna del meridione (1059), il Conte Ruggero d'Altavilla detto il Normanno costruì un maestoso castello reale per l'amministrazione del territorio e lo affidò alla famiglia Conclubet, signori d'Arena, di Stilo e di Gerace. Sotto il dominio svevo (1197-1265), il feudo di Bovalino che si estendeva dal mare alla montagna compreso tra la fiumara Bonamico fino al torrente Pintammati (comprendente gli attuali comuni di Bovalino, Benestare, Careri, San Luca e Platì), venne retto dalla famiglia Ruffo, la quale subì diversi assedi da eserciti avversari, quindi le località accanto alla collina dove sorge Bovalino Superiore furono teatro di aspre battaglie.
    Nel 1496 la Baronia di Bovalino venne acquistata dai Marullo, di Conti di Condoianni, di questi il Conte Vincenzo Marullo nel 1571 partecipò con una sua nave, armata di gente della contea, alla vittoriosa Battaglia di Lepanto tra cristiani e turchi. L'8 settembre del 1594 Bovalino fu incendiata e distrutta dai turchi guidati da Scipione Cicala detto Sinan Pascià. Si racconta che quel giorno avvenne il miracolo dell'Immacolata Concezione che con la pioggia spense gli incendi. Da allora si festeggia l'8 settembre di ogni anno, su concessione del papa Clemente VIII, la festa di miracolo dell'Immacolata Concezione.
    A causa delle continue scorrerie turche venne costruita nel 1605 una torre d'avvistamento tronco-piramidale, la "Torre Scinosa" abbattuta nel 1912.



    Bovalino - Statua di San Francesco



    BOVALINO...escursioni

    vallata delle Pietre
    si trova tra le vallate delle fiumare Bonamico e Careri, una suggestiva escursione tra monoliti giganti (Pietralonga, Pietra di Febo, Pietra Castello e Pietra Cappa) fino a raggiungere il Lago degli Oleandri.

    civiltà basiliana
    sempre tra il Bonamico e il Careri si trovano i resti di diversi monasteri greci (S. Nicola di Butramo e San Giorgio di Carra) dell' XI secolo con le relative chiese, oltre a celle e cunicoli scavati nelle rocce (Pietra Cappa e Rocche di San Pietro).

    santuario di Polsi
    costruito dai monaci greci basiliani nel 1100 alla foce del Bonamico, ai piedi di Montalto dall'1 al 3 settembre di ogni anno si festeggia la Madonna della Montagna, dove arrivano da tutta la provincia e da Messina migliaia di fedeli.
    Si mangia sul posto la carne di capra e si balla la tarantella.

    santuario di Bombile
    dalla marina di Ardore, lato nord, si percorre la provinciale fino a giungere alla frazione Bombile di Ardore, attraversando strette viuzze, si arriva sul lato della collina in cui è scavato il caratteristico santuario della Madonna della Grotta.
    La festa va dal 1 al 3 maggio, inoltre il santuario è aperto in estate solo di Domenica.



    immagini di riace







     
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  2. tomiva57
     
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    luoghi bellisimi
    grazie claudio
     
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1 replies since 8/7/2011, 14:01   4816 views
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