LA PUGLIA 2^Parte

BARLETTA..ANDRIA..BARI..ALBEROBELLO..

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Administrator
    Posts
    13,795

    Status
    Offline


    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI


    “... Sabato ... inizia l’ennesimo fine settimana a bordo della mogolfiera dell’isola felice ... voliamo ancora più a Sud percorrendo le terre della Puglia ... ad ogni luogo, ad ogni meraviglia che si mostra ai nostri occhi è un rinnovarsi di emozioni che poi viene naturale condividere insieme agli altri ... ogni regione dell’Italia si mostra come uno scrigno colmo di ricchezze ... desiderio di viverle e di toccare con mano, di respirare nell’aria quella meraviglia ... Buon risveglio amici miei ...”

    (Claudio)



    BARLETTA..ANDRIA..BARI..ALBEROBELLO..PAGINE DI MERAVIGLIA CHE RACCONTANO LA PUGLIA..



    “Una zona ancora poco conosciuta ma tutta da scoprire è il territorio della nascente provincia di Barletta….Lasciando alle spalle il Gargano e scendendo lungo la costa Adriatica, si incontra da una parte la costa, frastagliata e rocciosa, sulle quali si ergono cittadine fiorenti e popolose, ricche di storia…. Nell’entroterra, invece, si impone l’Alta Murgia, brulla e carsica, con quel che resta di zone boschive, resti archeologici, dal magnetismo e fascino imperante, grazie anche alla presenza del maniero unico al mondo, Castel del Monte, dono dell’Imperatore Federico II alla sua gente…La storia è tutta scritta nella pietra dei castelli, delle cattedrali, dei borghi, degli ipogei, dei palazzi, che ci hanno lasciato insediamenti di popolazioni daune e peucete prima, romane e normanno-sveve………”



    “Andria..per trovarla su dei documenti scritti …si deve risalire all’alto Medioevo …solo con i normanni il borgo contadino-marinaro assume la fisionomia di civitas, cingendosi di mura e di un'alta torre (1060). Successivamente gli Svevi vi costruirono un Castello, e la città diviene feudo dei conti Del Balzo……Ai primi dell' 800, l'antica città oramai insufficiente a contenere la popolazione , viene rimodernata a macchia di leopardo, perdendo molto del suo antico fascino. Sulla nascita del primo nucleo urbano e da dove derivi il nome della città di Andria ci sono molteplici tesi ma i pochi documenti storici, fanno risalire questo comune al VIII-IX d.c., dove una folta congregazione di Padri Basiliani, si insediarono in questo angolo della Puglia approfittando della facile lavorazione e conformazione del territorio, fatto di tufo che sfruttarono per costruirsi delle grotte , da dove appunto deriva anche il nome di questa città "ANTRUM" (antro, grotta). Il primo vero documento risalirebbe intorno all'anno 1000, dove si fa menzione nei possedimenti di Pietro il normanno, che aveva acquisito la città di Trani, anche l'egemonia su altre città come Andria, Barletta, Corato e Bisceglie. Fu quindi con i Normanni che il comune di Andria, si trasformò da un piccolo agglomerato di casali e villaggi a una vera città e dove iniziò la sua gloriosa storia che la vide già in quegli anni sede vescovile di Papa Adriano IV. Il dominio normanno in Andria cessò con la decadenza degli ultimi conti che amministravano la città e passò intorno al 1200 all'imperatore Federico II di Svevia che fece costruire l'ormai noto "Castel del Monte"



    “Capolavoro unico dell'architettura medievale, Castel del Monte fu fatto costruire da Federico II di Hohenstaufen verso il 1240. E' innegabile che il suo fondatore abbia voluto erigere questo castello attribuendogli una forma e dei contenuti simbolici fortemente connessi al ruolo imperiale, ma è espressione anche della sua poliedrica personalità di sovrano illuminato, appassionato di matematica, poesia, filosofia, astronomia, capace di anticipare le concezioni rinascimentali che gli valsero da parte dei contemporanei l'appellativo di Stupor mundi….Perfetta sintesi fra scienza, matematica e arte, il castello è stato definito "pietrificazione di un'ideologia del potere, manifesto della regalità tradotto in un materiale che resiste nel tempo."….Sopeso tra le vette del Gran Sasso e la valle del Tirino, un miracolo di pietra prende forma sotto i nostri occhi.”



    “…i primi veri documenti risalgono ad alcune antiche mappe risalenti III o IV secolo d.c. , dove nel descrivere le importanti rotte tra Ancona e Brindisi, spicca la giovane città che andava formandosi con il nome di Turenum…..da qui salparono alla volta della Terrasanta le galere dei Crociati, due delle quali armate dai tranesi e proprio in questo periodo (1000) che la città di Trani fu una delle artefici della promulgazione degli Ordinamenta Maris , ritenuto il più antico codice marittimo del medioevo, più comunemente conosciuto come gli Statuti Marittimi….Tra il 1800 e il 1900, Trani ritrovò il suo innato spirito glorioso divenendo di nuovo uno dei più importanti centri del sud Italia… nel 1861 divenne sede della Gran Corte Civile con giurisdizione estesa sulla Terra d'Otranto e di Bari, (Corte d'Appello delle Puglie … La cattedrale di Trani è forse l’edificio più bello e celebrato del romanico pugliese…la facciata guarda verso il bel Castello svevo, le absidi a vista sono rivolte verso il suggestivo porticciolo….fu costruita …sul sito di una preesistente chiesa dedicata a Santa Maria, al cui culto è dedicata la chiesa sotterrana…. Nel '200 gli fu affiancato il possente ed alto campanile..sullo stesso piano della chiesa di Santa Maria si apre la cripta…. Il Castello svevo…costruito nel ‘200 sul luogo di una fortificazione normanna ebbe funzioni militari e di ordine pubblico con gli Aragonesi, e nel '400 fu in mano ai Veneziani per 35 anni …”


    “Barletta … Dal 584 al 590 si popolò con i rifugiati dell'importante Canosa di cui Barletta era il porto - per sfuggire ai Longobardi; ma acquistò importanza militare ed economica solo con i Normanni, e s'ingrandì con gli abitanti di Canne, distrutta da Roberto il Guiscardo nel 1083. Diventò una tappa importante dei Crociati e di tutto il traffico verso la Terra Santa; nel Duecento ospitò il Patriarca Rondolfo, fuggito da Gerusalemme... Il 4 febbraio 1459 vi fu incoronato Ferdinando I d'Aragona. Nella prima metà del '500, durante le guerre tra Francesi e Spagnoli, ebbe luogo la celebre Disfida (13 febbraio 1503) fra 13 cavalieri italiani (al servizio degli Spagnoli) guidati da Ettore Fieramosca e 13 francesi comandati dal capitano Guy de La Motte, conclusasi con la vittoria degli italiani. ……. Il Centro storico della Città di Barletta , nel "quartiere della marineria" con le belle chiese, i palazzi e gli altri monunenti, conserva l'aspetto medievale….. Il Duomo è uno dei più illustri esemplari dello stile romanico-pugliese …. il Castello svevo costruito da Federico Il su una preesistente Rocca normanna. Ma a caratterizzare Barletta è il cosiddetto colosso ERACLIO una delle sculture in bronzo fra le più belle pervenuteci dal mondo antico … Giuseppe De Nittis (1846 - 1884), pittore impressionista è la personalità più rappresentativa della città; Michele Genovese (1907-1980), in arte "Piripicchio", il Charlie Chaplin pugliese…..”



    “La Terra di Bari è un'antica circoscrizione del Regno di Napoli..e divenuta in seguito provincia del Regno delle due Sicilie. Confinava a nord con la Capitanata ed a sud con la Terra d'Otranto…. oggi è il solo territorio pianeggiante stretto tra le Murge e il mare Adriatico e comprendente la città di Bari e l'intero litorale dalla foce dell'Ofanto a Fasano…”


    “Le indagini storiche più recenti hanno accertato che, intorno alla fine del secondo millennio avanti Cristo, si consolidarono in Puglia, in varie ondate migratorie, almeno tre gruppi indoeuropei: i Dauni nell'attuale provincia di Foggia, i Peucezi nella Terra di Bari, e i Messapi nel Salento. Questi gruppi furono variamente influenzati dalla cultura delle colonie greche, fondate dal 700 a.C …Dal IV secolo a.C., la Peucezia e l'intera regione furono assoggettate a Roma…Bari, popolata, nel sito dov'è la città vecchia, fin dall'età del bronzo… nome greco Βαριον (Barion), nome latino Barium….entrata a far parte del dominio romano, nel III secolo a.C. come municipium, Barium si sviluppò in seguito alla costruzione della via Traiana…Dal IV secolo fu sede episcopale e dopo la caduta dell'impero romano fu contesa tra Longobardi e Bizantini (la "città vecchia" risale a quest'epoca intorno alla corte del Catapano) che nel 669 con l'imperatore Costante II la saccheggiarono… fu in mano dei Berberi (dal 847 al 871 fu sede di un emirato) e quindi dei duchi di Benevento. Nel 875 tornò ai Bizantini che la crearono capitale del thema di Langobardia, comprendente l'Apulia e la Calabria…. nel 1002 si ribellò sotto la guida di Melo di Bari (nobile barese) al governo fiscale del catapano bizantino, riuscendo nel 1018 ad ottenere la propria autonomia….Tra il XII e il XIV secolo fu porto di partenza per le Crociate…..Nel 1098 nella cripta della nuova basilica di San Nicola, si riunì il famoso concilio presieduto da papa Urbano II, al quale intervennero oltre 180 vescovi riunitisi per discutere di problemi dogmatici inerenti ai rapporti tra la Chiesa Ortodossa e Chiesa Romana all'indomani dello scisma…Il 25 aprile del 1813, con Gioacchino Murat, fu posta la prima pietra dell'espansione cittadina al di fuori delle mura medioevali ("borgo nuovo", o "borgo murattiano") La popolazione crebbe rapidamente: divenuta capoluogo di provincia, vi trovarono sede edifici e istituzioni pubbliche (Teatro Piccinni, la camera di commercio, l'Acquedotto pugliese, il Teatro Petruzzelli, l'Università degli Studi) e la casa editrice Laterza…Durante il ventennio fascista fu costruito il lungomare monumentale ed inaugurata la Fiera del Levante, con la quale prese vita il disegno di "Bari porta d'oriente", consacrato negli anni recenti dal ruolo di "European gateway" assegnato dall'Unione Europea.”



    “I punti di forza di Bari sono sicuramente le sue bellissime spiagge, l’ottima cucina e il suo legame con il passato che si manifesta con i numerosi monumenti… nella cosiddetta “Città nuova” … il Museo Archeologico che contiene numerose ceramiche, gioielli e sculture provenienti da siti archeologici della zona, la Pinacoteca Provinciale e il Teatro Petruzzelli….La “Barivecchia” è famosa per le sue numerose chiese ed edifici storici….la basilica di San Nicola, una chiesa metà cristiana e metà ortodossa , ciò che caratterizza questa basilica, oltre alla sua architettura in stile romanico, è il suo conservare le spoglie di San Nicola di Mira, il famoso Santa Klaus della tradizione anglosassone…la cattedrale di San Sabino, nei suoi archivi sono conservati codici importanti per il culto cristiano tra i quali “il rotolo dell’Exultet“, un documento molto antico contenente la liturgia relativa al Sabato Santo…..Bellissimi i panorami del lungomare di Via Imperatore Augusto, Via Nazario Sauro e Via Araldo di Crollalanza ….situato a poca distanza dalla Punta di San Cataldo…il luogo della nota Fiera del Levante”.



    “Vicino a Bari…. le famose Grotte di Castellana, le più estese d’Italia, che offrono spettacolari panorami naturali sotterranei formati da stalattiti e stalagmiti formatesi migliaia di anni fa….e Alberobello, paesino noto per le sue caratteristiche abitazioni: i trulli.”



    “Alberobello sorge nell’area sud-orientale della provincia di Bari, nelle vicinanze di Castellana Grotte, Locorotondo e Putignano. La sua fondazione avvenne nel XV secolo per opera degli Acquaviva - D’Aragona, conti di Conversano, in una zona occupata da una foresta di querce. Caratteristici di Alberobello sono i trulli, abitazioni costruite con pietra a secco, base imbiancata con calce viva e tetto a forma di cono costituito da pietre a vista. Alberobello è l’unico centro a conservare il nucleo storico interamente composto da trulli. Il trullo più alto del paese, chiamato Trullo Sovrano, è a due piani e ospita un museo. I tetti conici sono spesso abbelliti con iscrizioni decorative di varia forma tracciate con latte di calce, raffiguranti simboli zodiacali o religiosi.”



    “Bitonto si trova a circa dieci chilometri dal capoluogo. In passato la città aveva uno sbocco sul mare, nel luogo in cui oggi sorge il quartiere Santo Spirito di Bari. Il nome deriva dal re illirico Bottone, fondatore della città. La prima cinta muraria bitontina risale al V-IV secolo a.C……. Bitonto, durante il XIII e XIV secolo, fu città di regio demanio dipendente dalla corona. Nel Quattrocento si alternarono al potere le famiglie Ventimiglia, Orsini, Acquaviva d’Aragona e Cordoba (eredi del Gran Capitano spagnolo che nel 1503 conquistò il Mezzogiorno d’Italia). Il 25 Maggio 1734, sotto le mura di Bitonto, si svolse una memorabile battaglia fra Austriaci e Spagnoli, conclusasi con la vittoria di Carlo III Borbone, che sancì la fine della dominazione austriaca nel Mezzogiorno e l’inizio di quella borbonica…Fra i monumenti.. la cattedrale del XII-XIII secolo, dedicata alla Vergine e a S. Valentino, edificata su modello della basilica di S. Nicola di Bari…. l’abbazia di S. Leo, con un interessante campanile trecentesco ed il chiostro del secolo XVI. Tra i palazzi gentilizi spiccano Palazzo Sylos Sersale, con il suo portale barocco, Palazzo Regna, Palazzo Sylos Calò e Palazzo Sylos Labini, caratterizzato dal portale gotico catalano e da un cortile porticato..”



    “Nelle manifestazioni della civiltà rupestre e nella cultura greca si identificano le radici più antiche di Taranto e della sua provincia. Due civiltà che si svilupparono in modo mirabile in questa zona della Puglia meridionale, grazie alla conformazione del territorio che un tempo doveva essere ricco d'acqua e molto fertile, tanto da attirare l'interesse dei coloni greci che arrivarono nel 706 a.C. e fondarono Taranto. La presenza di corsi d'acqua, oggi sotterranei, è dimostrata anche dalle numerose grotte e insenature, prodotte dall'azione di erosione .”



    “A guardia del Canale Navigabile di Tatanto…è il Castello Aragonese …Sono ben 23 i castelli e le residenze signorili della provincia….Dall'età normanna in poi vi si sono avvicendati i più potenti feudatari della zona, attratti anche dall'abbondanza delle risorse naturali…. a Montemesola , Grottaglie , Martina Franca , San Giorgio , Roccaforzata , Monteparano , Leporano , Faggiano , Pulsano , Carosino , Lizzano , San Marzano , Fragagnano , Sava , Manduria , Torricella , Monacizzo (frazione di Torricella), Maruggio ed Avetrana ….. i castelli di Massafra , Palagianello , Vinosa e Laterza , a picco sulle gravine costellate da grotte carsiche…. qui che si sviluppò la cosiddetta " Civiltà Rupestre ", fenomeno di grande interesse scientifico ….. Il fascino delle grotte - adibite a chiese (mirabilmente affrescate dai monaci basiliani che vi trovarono rifugio)… abitazioni o vere e proprie città trogloditiche..abitate spesso sino a tutto il secolo scorso da popolazioni locali.”



    “Taranto è stata riconosciuta provincia nel 1923….Il suo stemma raffigurava uno scorpione che regge tra le chele la corona del principato jonico; sul dorso ha effigiati tre gigli….Secondo una diffusa tradizione, sarebbe stato Pirro, mitico re dell'Epiro, a suggerire ai Tarantini l'immagine dello scorpione per lo stemma…. Sbarcò in Puglia con 25.000 uomini e sconfisse i Romani a Eraclea nel 280 avanti Cristo in quella che passò alla storia come «la vittoria alla Pirro».. Ma nel 1589 lo scorpione di Pirro cominciò ad accusare il peso degli anni e a lasciare il passo a una nuova immagine. Nel «De antiquitate et varia tarentinorum fortuna» di Giovan Giovine..sul frontespizio appare uno stemma composito: raffigura un uomo adulto coronato in groppa a un delfino; regge nella mano destra un tridente e nella sinistra uno scudo sul quale è raffigurato lo scorpione. L'uomo è Taras, eponimo di Taranto, figlio di Poseidone dio del mare e della ninfa Satyria. L'immagine è pressoché uguale a quella riprodotta sulle monete magnogreche del periodo di massimo splendore della città. Uno stemma, quello proposto da Giovan Giovine, che è un compromesso tra vecchio e nuovo… Taras rappresentava i fasti di una città sospesa tra storia e mito e la sua immagine ne era la sintesi senza tempo….. Raimondello divenne il governatore più potente e illuminato dell'Italia meridionale, lo dovette per buona parte al suo matrimonio con Maria d'Enghien, contessa di Lecce, che gli portò in dote immensi territori ..Le proprietà dei due sposi comprendevano le attuali province di Taranto, Brindisi e Lecce….si cominciò a parlare di Terra d'Otranto come entità geografica e storica omogenea”



    “Castellaneta, in provincia di Taranto, sorge sopra un ciglio che emerge da una delle più profonde gravine delle Murge, a 245 metri sul livello del mare. Le origini di questa cittadina risalgono al X secolo, quando i contadini si insediarono nelle locali cavità naturali per sfuggire alle incursioni piratesche. Città Regia nel 1200, è testimone delle alterne vicende per la contesa del Regno di Napoli tra spagnoli e francesi….Nelle campagne di Castellaneta sono oggi presenti circa cento masserie storiche, alcune delle quali fortificate….le gravine sono a rendere ancor più suggestivo il paesaggio con i numerosi insediamenti rupestri risalenti a diversi periodi storici.”



    “Un piccolo arcipelago di isole sul mar ionio a sud ovest di Taranto, le Isole Cheradi hanno sempre rappresentato un territorio di grande importanza strategica per lo sviluppo del porto e delle attività commerciali e militari ..Sono due isole, la più grande, l’Isola di San Pietro e la più piccola, San Paolo….in origine erano attaccate alla terraferma come penisole e che solo in seguito se ne distaccheranno definitivamente. I fondali sono ricchi di specie faunistiche di pregio, tra cui alcune interessanti specie di spugne di mare….…Napoleone edificò sull’isola un forte, il Forte Laclos per meglio proteggere il porto di Taranto”







    Andria

    Andrjə o Jandrjə nel dialetto locale) è un comune italiano di 99.345 abitanti, dall'11 giugno 2004 capoluogo, insieme a Barletta e Trani, della provincia di Barletta-Andria-Trani, in Puglia. Ospita provvisoriamente il consiglio provinciale presso l'Istituto Tecnico Agrario, in attesa della decisione definitiva sulla sede legale della provincia. Andria è una delle città che fa parte dell'Associazione nazionale Città dell'Olio.Per la presenza dei suoi tre alti campanili,viene conosciuta anche come la città dei tre campanili. È il 46° comune italiano per numero di abitanti e il 16° per superficie.


    Il centro storico della città è caratterizzato da un suggestivo e fitto dedalo di vie e stretti vicoli traboccanti di monumenti di grande pregio. Fuori dal centro abitato, in cima ad una collina, è collocato Castel del Monte, fatto realizzare nel XIII secolo da Federico II di Svevia, con l'unica trifora rivolta verso la città ; il castello, simbolo della città e di tutta la Puglia, fa parte dei patrimoni dell'umanità dichiarati dall'UNESCO ed attrae un notevole flusso turistico. Castel del Monte è raffigurato sulla moneta da 1 cent di Euro.

    Castel del Monte

    è un edificio del XIII secolo costruito dall'imperatore Federico II in Puglia, nell'attuale frazione omonima del comune di Andria, vicino a Santa Maria del Monte. È situato su una collina della catena delle Murge occidentali, a 540 metri s.l.m. I centri urbani più vicini sono Andria (18 km), Ruvo di Puglia e Corato (21 km). È stato inserito nell'elenco dei monumenti nazionali italiani nel 1936 e in quello dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO nel 1996.



    Città dei tre campanili, Andria fidelis: sono solo due delle tante definizioni attribuibili ad ANDRIA.

    La Cattedrale di Andria

    La costruzione della Cattedrale sembra risalire ai Normanni, intorno al sec.XII, che sulla precedente Chiesetta del S.S. Salvatore o di S. Pietro (l'attuale Cripta) insediarono il nuovo luogo di culto. Nel 1350 la città viene distrutta da un esercito di mercenari, al seguito di re Luigi d'Ungheria, e con lei la chiesa che verrà fatta riedificare e ampliare nel 1438 dal Duca Francesco II del Balzo (che ha il pregio anche di aver ritrovato le ossa del Santo Patrono della città S. Riccardo d'Inghilterra) e dal vescovo mons. Giovanni Dondei. Fortemente rimaneggiata nei secc. XVII-XVIII e a metà dell'ottocento, con la costruzione del porticato in stile neo classico, dopo l'ultimo restauro del 1965 la chiesa si presenta in stile tardo gotico. L'impianto architettonico è a tre navate che, con altrettanti imponenti archi ad ogiva si affacciano sul transetto. Al 1494 si fanno risalire e il grande arco ogivale di Alessandro Guadagno, che divide le navate dal presbitero, e la cappella di S. Riccardo (detto "cappellone"). Quest'ultima è rimasta in stile barocco e conserva dieci bassorilievi sull'arco e sedici formelle scolpite sui pilastri. Entrambi rappresentano la vita e le opere del Santo. Di notevole pregio è il reliquiario, in oro, posto sull'altare e due dipinti del sec. XIX opere del pittore Michele De Napoli. Nel "cappellone" si ritiene che fossero andati a pregare i tredici cavalieri italiani che parteciparono alla Disfida di Barletta capeggiati da Ettore Fieramosca. All'interno della Cattedrale sulla destra del presbiterio, troviamo la cappella dedicata alla Sacra Spina della Corona di Nostro Signore Gesù Cristo fatta in dono alla città dalla contessa Beatrice d'Angiò, quando andò in sposa a Beltrando del Balzo signore di Andria. Detta Cappella fu commissionata dal Vescovo Giuseppe Staiti dopo il Miracolo del 1910, immette alla Cripta, antica chiesa paleocristiana (non anteriore ai secc.VII-X) a due navate con volte a crociera. La volta è sostenuta da un ordine di quattro archi che poggiano su cinque colonne erratiche, alcune prive di capitello. L'abside del presbiterio è fatto da un pilastro che a sua volta sostiene due arcate che formano il deambulatorio con volta a botte. Sul suo pilastro più antico è ancora presente un affresco che domina il rozzo lastrone dell'altare. All'interno della Cripta si trovano le spoglie delle mogli dell'Imperatore Federico II di Svevia Jolanda di Brienne e Isabella d'Inghilterra. Il Campanile sorge su una torre datata intorno ai secc. VII-VIII del periodo longobardo. Ha una mole massiccia che punta al cielo con sua cuspide ottagonale sulla quale troneggia un gallo in rame. Il Campanile è opera di più epoche storiche. Ha la base quadrata che è di epoca normanna che lo fa assomigliare ad un torrione medioevale corredato di strette finestre a sesto acuto. Si leva ancora fino alla cella campanaria, con ampie bifore al primo piano a ancora più in alto con la parte quattrocentesca per arrivare al torrino ottagonale che culmina con la punta del Campanile. Sull'apice aguzzo c'è un gallo verdastro, issato su una sfera metallica, che segna la direzione del vento. In questo gallo, che funge da sentinella sulla torre campanaria, la tradizione popolare volle trovare riscontro alla leggenda secondo la quale S. Pietro apostolo fosse passato dalla città per divulgare il Vangelo. Segno delle radici profonde della cristianità nella comunità locale.

    <p

    align="center">



    Andria

    In questa cittadina i Templari fondarono nella seconda metà del XII secolo la chiesa di San Leonardo. Secondo l'interpretazione di Bianca Capone (Sulle tracce dei Templari, 1996), precettore della domus andriese nel febbraio 1196 fu Pietro di San Gregorio che compare in un documento dell'epoca, sebbene nello stesso non vi sia alcuna indicazione di città, ma solo della chiesa di San Leonardo. Tuttavia, essendo il documento redatto a Canne, è assai probabile, data la vicinanza tra Canne e Andria, che la chiesa di San Leonardo citata sia quella di questa città piuttosto che l'omonima ecclesia presente a Barletta. La chiesa rimase proprietà dell'Ordine cavalleresco sino al 1228/1229 quando l'imperatore Federico II di Svevia espropriò i possedimenti templari nel Regno di Sicilia. L'imperatore tedesco, legato all'Ordine Teutonico che era formato da cavalieri germanici, donò la chiesa di San Leonardo a tale ordine che la consacrò al Salvatore. La chiesa di Sant’Agostino, sontuoso esempio di arte medievale, è uno dei monumenti più misteriosi della città. Fu costruita da Hermann Von Salza, Gran Maestro dell’Ordine e amico di Federico II. Originariamente la Chiesa era dedicata a San Leonardo, il protettore dei Cavalieri Teutonici, ma successivamente nel 1358 il Duca Francesco I Del Balzo affidò il complesso agli Agostiniani che la ribattezzarono Chiesa di Sant’Agostino e la fecero restaurare.Splendido il portale tardo gotico ad arco acuto totalmente scolpito e ricco di simboli teutonici. All’interno si possono trovare alcuni affreschi di Sant’Agostino. Nella parte retrostante, dove attualmente risiede un mercatino rionale, è possibile scorgere un chiostro con un ampio colonnato che probabilmente faceva parte di un antico convento retrostante la chiesa e appartenuto ai templari stessi.

    Interno della chiesa

    Il Portale della Chiesa di S.Agostino



    UN PERCORSO INIZIATICO

    E' possibile entrare nel complesso da un grande portone dal quale si accede da due rampe di scale speculari, mentre dalla parte opposta vi è un'entrata secondaria. Il portale era provvisto di intercapedine per la discesa della saracinesca di chiusura, azionata con carrucole dalla sala soprastante, al primo piano.


    Questo faceva sì che chi entrava poteva non incontrare mai nessuno, perchè la porta si chiudeva "magicamente" alle sue spalle. Di questo castello è importante ogni elemento perchè è quasi certo che non sia stato costruito per caso, ma che sia stato concepito come un'enorme "macchina di iniziazione" all'interno del quale poteva essere formato il proprio spirito. Infatti ad entrare in questo edificio si è obbligati come inizialmente a seguire un percorso ben preciso. Dopo aver scelto una delle due rampe di scale, si entra in una sala (ad oggi adibita a biglietteria) da cui si accede ad una seconda sala che conduce nel cortile. Questo significa che entrando nel castello, l'immagine del cortile la si può osservare solo dall'interno e non dall'esterno guardando attraverso le porte. Questo conduce la persona a sentirsi pienamente all'interno del complesso e a trovare la sorpresa del caratteristico cortile solo dopo aver deciso di entrare completamente, lasciando alle spalle l'esterno. Tutto questo presuppone che l'iniziato dovesse toccare punti precisi percorrendo una strada ben precisa. Giungendo nel cortile si è investiti da una sensazione di trovarsi fuori dal mondo, basta volgere lo sguardo al cielo per capirlo. E' come se ci si trovasse all'interno di un immenso pozzo, senza via d'uscita, senza alcuna possibilità di fuga. Un tempo è sicuro che ci fosse una vasca ottagonale al centro del cortile, l'iniziato, dopo essersi purificato con l'acqua poteva cominciare l'avventura mistica tra le stanze del castello, come un cavaliere dopo essersi purificato con l'acqua del Graal, anzi la sensazione era quella di trovarsi addirittura all'interno del sacro calice, dato che l'impressione, a guardare in alto, è proprio quella di essere dentro un'enorme bicchiere!

    il cortile

    Le due porte di "scelta" per il cammino iniziatico

    Dopo la purificazione si poteva iniziare con la prova vera e propria e il primo quesito era proprio quello di scegliere una delle due porte che si presentano innanzi, la porta di destra o quella di sinistra, diverse tra loro. E così via stanza dopo stanza, porta dopo porta, come un labirinto che avrebbe portato alla soluzione o alla misfatta, al premio o all'uscita, alla conoscenza o al ritorno al mondo. Il cammino spirituale verso l'illuminazione, la trasformazione della propria anima mortale in anima immortale, tutti elementi che ritroviamo spesso quando parliamo di massoneria. Non per nulla tutto il complesso è sommerso dalle foglie d'acanto, simbolo prediletto. Tutte le stanze sono uguali tranne una, la famigerata "stanza magica". E' al piano terra ed è cieca, ma rispetto alle altre è diversa per le decorazioni del pavimento a stella di Davide. Si pensava fosse una stanza magica, utilizzata per rituali particolari, o per la fine del viaggio.

    IL GRAAL

    Una delle interpretazioni è che l'intera struttura sia un'enorme coppa del Graal, all'interno della quale è possibile la magia e la pratica alchemica. E visto dal di fuori sembra proprio una grande coppa!

    LO SCRIGNO CHE CONTENEVA IL GRAAL

    Altre voci lo hanno sempre visto come scrigno della santa coppa, contenitore del contenitore per eccellenza, qui si dovrebbe trovare ancora il Graal nascosto per 2000 anni e allo stesso tempo in grande mostra (perchè il castello ne era una riproduzione fedele) a tutti i cavalieri che, passando di qui, vi recavano omaggio prima di avventurarsi in Terra Santa. Solo in questo luogo è possibile toccare la piena conoscenza e consapevolezza del creato. La stessa struttura, così minimalista, doveva toccare l'essenzialità dell'anima.

    LA CORONA IMPERIALE DI FEDERICO II

    E' stato visto anche in chiave simbolica, come un grande monumento, un'enorme corona che era possibile osservare da lontano, che esaltava l'immenso potere di Federico II, che si consoderava secondo solo a Gesù Cristo.

    UN OSSERVATORIO ASTRONOMICO

    Un'altra ragione è che fosse un semplice osservatorio astronomico, all'interno del quale, dal suo cortile, in ogni giorno dell'anno era possibile osservare costellazioni ben precise, perchè si può osservare solo una porzione di cielo: Di giorno il sole con ombre secche, scandisce il cortile con linee di luce/ombra molto precise.

    UN ENORME CONGEGNO MATEMATICO

    Un'altra ragione è cercata solo dal punto di vista strutturale, pare che fosse un grande "congegno matematico", che fosse stato costruito seguendo una sorta di numeri precisi per poter raggiungere la perfezione del creato e creare un tempio sulla Terra in cui si potesse incontrare Dio. Quello che si era fatto anticamente con il tempio di Salomone, una struttura umana matematicamente perfetta a tal punto da divenire dimora di Dio. Gli stessi templi antichi e le stesse chiese di oggi sono gli unici luoghi in cui è possibile entrare in contatto con la divinità. L'intento di Federico era dunque quello di ricostruire l'antico tempio di Salomone, la Gerusalemme Celeste, seguendo pari passo le indicazioni della Bibbia. La corte di Federico dopotutto riuniva i migliori matematici, architetti, musici, letterati, astronomi del tempo. Lo stesso sovrano era ossessionato da ogni forma di sapere e dagli esperimenti che ne poteva trarre. Passava più tempo che poteva a studiare e si faceva tradurre un'infinità di testi antichi. L'università era la sua seconda casa. Castel del Monte poteva dunque essere il risultato di questi esperimenti, un grosso risultato di una complessa formula matematica.

    UNA DIMORA DI CACCIA

    L'interpretazione più realistica, che inserisco per ultima, è quella che Castel del Monte fosse stato construito come dimora di caccia. La motivazione è stata data esclusivamente per via di un bassorilievo in cui viene descritta una scena di caccia dove è presente lo stesso Federico. Inoltre la struttura così aperta facilitava la caccia con il falco, attività molto amata dallo stesso imperatore. Ma insorge un altro problema. Questo castello non è abitabile. Non ha cucine, scuderie, sale di ricevimento, del trono, camere da letto; ogni stanza è misteriosamente identica all'altra e lungo le pareti, solo delle stanze al primo piano, vi corre una sorta di panca in marmo perimetrale che rende impossibile l'appoggiarci dei mobili alle pareti. Non esiste un fossato per la difesa, cunicoli per la fuga. Le stesse scale delle torri vanno in senso antiorario, facilitando un potenziale attacco con la spada da parte del nemico, si sa che era difficile combattere su una scala a chiocciola che andasse in senso orario se non si era mancini. Come funzionalità abitativa abbiamo solo la presenza di camini e servizi igienici, dotati di latrine e lavabi. Questo castello era abitato sì, ma per periodi molto brevi, come giustamente si suppone, riunioni segrete alchemiche ed esoteriche di Federico con gli studiosi e gli universitari dell'epoca, con cui era molto amico. Inoltre se confrontato alle altre dimore di caccia del sovrano, troviamo profonde diversità e incongruenze. Quindi è da scartare anche questa supposizione.

    COS'E' ALLORA?

    E' stato edificato per un motivo che non conosciamo. Perchè? Qual era la sua funzione? Non esiste nessun documento che risponda a questa domanda. Il luogo è stato sempre coperto da un profondo segreto e molti studi, per questa ragione, sono stati fatti pre trovare una motivazione, una giustificazione per questo straordinario edificio. Ovunque è possibile trovare ogni sorta di studio sul complesso, coinvolgendo equinozi, solstizi, linee immaginarie che lo congiungono con le piramidi, assi terrestri, inclinazioni con il cielo, latitudini e longitudini, altezze e lunghezze, è stato sezionato, ridisegnato, calcolato in rapporto con ogni altro luogo misterioso della terra. Supposizioni affascinanti ma a mio avviso a volte esagerate, rischiando purtroppo di cadere nel particolare perchè si vuole trovare il sensazionale nello stipite, l'incredibile nel mattone quando è l'intera struttura nel suo complesso ad essere inspiegabile senza che debba aggiungere dell'altro o debba assomigliare ad alcunchè, perchè è lui e solo lui ad essere tanto unico nel suo genere. Un mistero in cui ognuno può trovare la propria soluzione.



    Federico II del Sacro Romano Impero



    250px-Frederick_II_and_eagle
    Ritratto di Federico II con il falco (dal De arte venandi cum avibus)



    Federico VII Hohenstaufen di Svevia, o Federico I di Sicilia o Federico II del Sacro Romano Impero (Jesi, 26 dicembre 1194 – Fiorentino di Puglia, 13 dicembre 1250), fu re di Sicilia, re di Gerusalemme, imperatore dei Romani, re d'Italia e re di Germania. Popolarmente conosciuto con gli appellativi stupor mundi ("meraviglia del mondo") o puer Apuliae ("fanciullo di Puglia"), fu Sacro Romano Imperatore dal 1220 al 1250. Appartenente alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen, fu inoltre re di Germania, re d'Italia, re di Borgogna, re di Gerusalemme e, col nome di Federico I, Re di Sicilia dal 1198 al 1250. Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l'attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male. Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione tecnologica e culturale, volte ad unificare le terre ed i popoli, fortemente contrastata dalla Chiesa. Egli stesso apprezzabile letterato, fu convinto protettore di artisti e studiosi. La sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica.







    Castel del Monte si trova nel territorio del comune di Andria

    in provincia di Bari, in Puglia adagiato su un colle a metà strada tra la cattedrale gotica di Chartres, una delle più belle della Francia, e la piramide di Cheope. In quel punto, isolato dai centri abitati, racconta una leggenda vi era un tempio molto antico con al suo vertice una statua sul cui capo era impressa una scritta “il mio capo è di bronzo ma a levar del sole a calendi di maggio sarà d’oro”. La scritta rimase indecifrabile fin a quando un giorno l’enigma fu risolto da un saraceno, il quale il primo di maggio al sorgere del sole iniziò a scavare nel punto in cui era proiettata l’ombra della statua,ritrovando un enorme quantità di preziosi e di oro; con questo tesoro fu costruito il castello.





    La prima volta che visitai il castello rimasi colpito dal percorso obbligato nel suo interno, come se il castello imponeva il suo tragitto al visitatore; ma ciò che colpì maggiormente la mia attenzione fu immaginarlo al tempo del suo splendore illuminato al suo interno da piccole torce nelle notti e trasformarsi con il suo perfetto disegno geometrico in un labirinto del misterioso e oscuro XIII secolo. Risulta difficile e quasi non verosimile considerare l’opera di Castel del Monte commissionata da una figura diversa di FedericoII di Hohenstaufen “stupor mundi”, tra i principi della terra il più grande, figura misteriosa, amata e odiata ma soprattutto dominante del XIII secolo. Studiando la sua persona, i suoi anni di regno, ma soprattutto le sue passioni la sua vita di corte, Castel del Monte diviene parte inscindibile della sua immagine. In un secolo dove, attraverso le costituzioni Melfitane del 1231, Federico pose fine agli abusi dell’aristocrazia terriera che esercitava illegittimamente i poteri giudiziari e fiscali nei domini del suo regno smantellando anche le fortezze e vietando la costruzione di nuove torri e castelli. Castel del Monte risulta opera dell’imperatore costruita in quella parte del regno da lui più amata…..”ogni terrena dolcezza è superata dall’amabilità della sua terra……ricca di fiumi di laghi boschi caprioli cervi orsi…”.Ma è anche vero che la mancanza di documenti sembrerebbe quasi voluta; rende ancor più misterioso il legame tra Federico II ed il castello. Infatti nel castello, spogliato e depredato dei suoi meravigliosi arredi nel corso dei secoli, non vi è nessuna traccia dell’Imperatore.Ma con un attenta ricerca si possono rinvenire tre impronte lasciate dall’imperatore nell’ antico castello che dimostrano e confermano il legame con la costruzione. La prima di queste impronte è riscontrabile nella 6^sala,quasi nascosto da un gioco di luce, precisamente nel lato interno della bifora nella sezione circolare, è scolpito un giglio 3 foglie con stelo; questa impronta lasciata dall’Imperatore, è caratterizzata da un giglio, quel fiore che si trova in uno dei suoi scritti più celebri: ” ars venandi cum avibus”; infatti l’imperatore con la mano destra impugna verso l’alto quel fiore che secondo la leggenda gli fu fatale. La prima traccia, il primo legame con l’Imperatore, un simbolo da sempre legato alla sua persona. Continuando il nostro viaggio all’ interno del castello possiamo rilevare la seconda impronta dell’Imperatore impressa nella costruzione.





    Ciò che può essere considerato oggetto di dubbio e discussione è la somma degli otto lati su cui poggiano i muri perimetrali e i restanti 48 piccoli lati delle torri raggiungendo la sommatoria di 56, gli anni di vita dell’Imperatore,nato nel 1194 a Jesi e morto nel 1250 presso Fiorentino. Bisogna dire che a Castel del Monte nulla, ma proprio nulla, è stato lasciato al caso; inoltre visto che l’imperatore era considerato immortale o meglio, secondo la profezia di Merlino il mago, doveva vivere 267 anni,il numero 56 impresso nella roccia potrebbe dimostrare l’ultimo omaggio a Federico da parte dei suoi architetti; ma se così fosse, dimostrerebbe in questo caso che i lavori del castello furono conclusi subito dopo la sua morte dimostrando così che l’opera da lui commissionata non vide mai entrarvi la sua persona.Un altro elemento di osservazione è quello dell’ingresso del castello, un ingresso caratterizzato da un meraviglioso portale dalla breccia corallina, da 2 colonne e dai 2 leoni: il primo con lo sguardo rivolto verso il sorgere del sole al solstizio d’inverno e il secondo con lo sguardo rivolto nella direzione del sorgere del sole nel solstizio d’estate e con un sistema di gradini posti sui lati della costruzione. Tale sistema permette a colui che esce dal suo portale di non dare mai le spalle al castello,quasi in senso di rispetto,quasi ci si trovasse in una chiesa o che il castello custodisse qualcosa di veramente sacrale tale da garantirgli il massimo riguardo.





    Osservando tale portale possiamo trovare la terza ed ultima impronta dell’Imperatore; guardandolo ponendoci di fronte ed immaginandolo diviso in 2 parti uguali da una linea verticale, apparirà sul lato sinistro una grande “F” che indica l’iniziale di Federico di Svevia.Un’ impronta fondamentale dell’imperatore,tale da realizzare i gradini sul lato della costruzione; un sistema di scale che permetteva di uscire dal castello con assoluto rispetto in modo da non dar mai le spalle al suo Signore, a colui che era stato il sole delle genti e del sapere del secolo XIII.





    TRANI





    "Trani è una delle più vaghe città della Puglia in riva all’Adriatico lontana sei miglia da Barletta: il tratto di strada da Barletta a Trani è delizioso, alla dritta è posta Andria e poi Canosa, che Orazio pretende esser fondata da Diomede. Trani è ben fabbricata, i suoi abitanti si trattengono soavemente in gentil brigate, amano il ballo e gli spettacoli: un incendio avendo alcuni anni fa consumato il teatro da essi formato, poco dopo ne innalzarono un altro anche più vago. Comincia ad avere un nome nel secolo XIII nell’occasione delle crociate per la comodità del suo porto. I Templari vi avevano un ospedale, il commercio tra i Levante e l’Italia formò la sua ricchezza; gli Ebrei, che correvano dovunque vi era da guadagnare, vi si stabilirono e vi si mantennero sino ai tempi degli Aragonesi; sotto gli Angioini Trani aveva un arsenale e forniva due galee." da "L'itinerario dell'intendente borbonico nella Terra d'Otranto (XIX sec.)"





    Al viaggiatore contemporaneo (che dei Templari potrà vedere la bella chiesa romanica ancora esistente) Trani, la cui storia secolare coinvolge uomini di paesi e culture diverse, appare signorile e maestosa; giunti a Trani, d’obbligo sono una visita al centro storico e una alla bianca Cattedrale, singolare e suggestiva per la sua posizione sul bordo del mare, capolavoro dell’arte romanica. Prossimo alla cattedrale è il Castello federiciano, con tipica pianta quadrangolare e un enorme cortile centrale, in cui si leggono le tracce di un lungo passato. Oltre al fascino del tempo è la sua posizione in riva la mare, per meglio dire al centro di una rada, che lo rendono molto singolare e da sempre avamposto per gli arrivi dal mare.





    Trani, Cattedrale
    Allora importantissimo e ancora oggi molto suggestivo è il porto di Trani, che il marchese descrive come un picciol seno di mare della figura pressoché del ferro di cavallo, con una superficie di circa 135.000 mq d’acqua e con una darsena comunale di grande richiamo per la navigazione da diporto, lungo in cui è affascinante passeggiare al tramonto, tra specchi d’acqua rosati e lo spettacolo, di fronte, del vivace viavai di via degli Statuti Marittimi, dei ristorantini sul mare, della bella e antica libreria La Maria del porto, che organizza ogni anno in autunno i dialoghi tranesi, giornate di incontri e dibattiti con scrittori e filosofi sui libri e sui popoli del Mediterraneo.





    BARI

    page_bari



    E 'il capoluogo della Puglia, è uno meta di pellegrinaggio per i seguaci di San Nicola, Santo Patrono della città, si tratta di un centro mercantile e di navigazione, è una combinazione di molti things così, a volte in contraddizione netta con l'altra, ma è sicuramente un città da vivere con calma, per scoprire i deliziosi angoli di dietro in modo molto frenesia moderna. Quando si visita il Bari, è sufficiente una sosta al antica 'Borgo' che until 1813 era il cuore della il centro della città: come si snodano attraverso i suoi vicoli, le piazze e cortili, sarà come rivivere la storia dal tempo degli antichi romani, il catalano Bizantini, emiri arabi, normanni e comandanti crociati guerrieri e mercanti di ogni nazionalità possibile. Hai di prendere il vostro tempo, di assorbire tutti i sapori unici e suggestivi, otterrete un conteggio uno amazing 29 chiese, e due di queste sarà di particolare suscitare la curiosità: Bari, infatti, è forse l'unica città al mondo ad avere due Cathedrals : la Cattedrale Vescovile e la Basilica di San Nicola. E uno dei pochi a essere protetto da due santi patroni: Sabino e Nicola. Lei non fare a meno di notare, come si passa sotto i portici numerosi nel Borgo antico, il sacro nicchie che rappresentano vari Santi e Madonne. E parlando di archi, essi sono così tanti di loro e di tanti che hanno la loro storia da raccontare, come l'Arco Meraviglia (dal nome di una famiglia che nasce a Milano, di proprietà di case di molti in questo settore): la leggenda narra che abbia ottenuto il suo nome dal fatto che è stato costruito incredibilmente in fretta, in una sola notte, per permettere due lovers di incontrare. Passeggiando tra i vicoli, tra appena sheets washed stesi ad asciugare, l'eco da un balcone all'altro, di un dialetto strange che è un mix di latino, greco, arabo, spagnolo, francese e tedesco, e l'aroma meraviglioso della "brasciole" - brasato di carne di cavallo - vi ricordo che questo è solo l'inizio di quello che sarà una splendida mattinata di più! Consulta per i vassoi nei portoni delle case con le porte aperte sulla strada: sono pieni di 'orecchiette' la pasta che sta asciugando in attesa di un compratore. Profumi, suoni, colori come quello del mare che è evidenziato nella orizzonte delle antiche mura, costruite per difendere le chiese, castelli, cattedrali, monumenti e civiltà antiche vestigia. E 'così facile fare un passo indietro nella storia: una strada, un semaforo e vi troverete indietro nel Borgo che è stato progettato da Gioacchino Murat, e quindi chiamato Borgo Murattiano, esso è basato sul disegno a scacchiera tipica così spesso trovano in Europa nel 1800, ed era pieno di case meravigliose e aree di trading merchant. Troverete anche signs della recente storia more di questa città: il Teatro Petruzzelli, dietro il quale sono "nascoste" del meraviglioso Palazzo Acquedotto, il Teatro Margherita, e del Teatro Piccinni. tra un blocco e l'altro ci sono molti esempi unici di architettura in modo nascosto praticamente nascosto via, per esempio? Palazzo Fizzarotti, nella centralissima Corso Vittorio Emanuele, ispirato allo stile inconfondibile dei palazzi veneziani. Il binomio antico e moderno può essere visto anche con la Chiesa russa e il suo tetti verdi e l'alto campanile con cupola a bulbo, e con la Stadio San Nicola, uno degli stadi più belli al mondo disegnato da uno stilista di fama internazionale Renzo Piano. La città di Bari offre una vasta gamma di modi per rilassarsi: musei e sale espositive, tutti i types di negozi, ristoranti e famous bar, librerie, fiere e durante la stagione estiva, ha una splendida spiaggia, ideale per alcune ore sotto il sole. .. Un ultimo suggerimento! Da non perdere la passeggiata meravigliosi lungo città waterfront il, possibilmente al tramonto ... tra i pescatori, le barche dei quali sono tornati al porto, al mercato del pesce stand, la fortezza che si erge sopra i muri ... Bari rimarrà impressa nel cuore e nella mente per sempre!

     
    Top
    .
  2.  
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Administrator
    Posts
    13,795

    Status
    Offline

    BARI






    "L’origine di Bari si perde nelle favole di cui è inviluppata la nostra storia patria prima de’ Normanni. Si pretende che il tipo delle sue antiche medaglie fosse una nave sopra di cui un amorino alato scocca un arco.[…]. Questa città è in riva al mare nella più ridente situazione: sulla strada che conduce a Mola, stassi edificando un vasto borgo, che diverrà una nuova città. È questo uno dei luoghi più favoriti per lo pubblico diporto e per la vivacità naturale del popolo barese ispira la gioia: la strada sulle mura sarebbe piacevole se fosse più larga e meno interrotta."







    Bari ha la singolare caratteristica di essere divisa in due parti: la città nuova, quella appunto tra i cui primi lavori di costruzione passeggia l’intendente borbonico, sviluppatasi a partire dagli inizi dell'Ottocento durante il regno di Giocchino Murat, e che da lui prende il nome di quartiere murattiano, caratterizzata da una pianta illuministica e da una suddivisione geometrica delle strade, con grandi isolati quadrati, al cui centro sempre più rari sussistono antichi giardini d’agrumi; e una “Bari vecchia”, che raduna i più importanti monumenti medievali e rinascimentali, tra cui la Cattedrale e la Basilica di San Nicola e il Castello Svevo.









    Bari, Basilica di San Nicola
    Un nuovo lungomare, splendido esempio di razionalismo architettonico novecentesco, con palazzi come quello dell’aeronautica militare, che sembra uscito da una pittura metafisica di De Chirico, si aggiunge a quello che corre sotto le antiche mura, la cosiddetta “muraglia”, a chi passeggia sulla quale, come fa Ceva Grimaldi, si apre sulla sinistra la vista delle arcate maestose di San Nicola, una delle più famose basiliche del Sud.







    Il borgo antico, che per essere diviso da quello murattiano ha conservata intatta la sua veste medievale, senza intrusione di edifici moderni, e la sua pianta “a dorso d’asino”, tra arcate ogivali che la assimilano alle città costruite dai Crociati in Oriente, a dispetto di quanto sostenuto da Ceva Grimaldi offre oggi una meravigliosa vista sul mare, da quella che è comunemente nota come la Muraglia.







    Seguendone il percorso si può ammirare dall’alto il lungomare, ma anche scegliere tra una grande quantità di ristorantini e locali caratteristici, in cui gustare cucina tipica pugliese.







    Ceva Grimaldi, che di Bari apprezza anche altre bellezze (le donne, particolarmente le donzelle, sono linde e ben fatte: l’acconciatura de’ loro capelli con de’ nastri intrecciati è graziosa, e ricorda le acconciature che trovansi talvolta nelle statue greche), sembra ambientarsi sempre più nella Puglia adriatica , e lasciarsi andare a un sempre maggiore entusiasmo.







    Le immagini più vivaci possono appena descrivere le bellezze naturali della strada tra Bari e Mola. Deliziosi giardini la circondano, che alla sinistra dolcemente discendono verso il mare, il quale è molto vicino, ed alla destra sono terminati da boschetti d’ulivi: niente può idearsi di più pittoresco, pare che si cammini in un giardino inglese. L’Adriatico, le cui onde hanno il colore del più vago verde smeraldo, forma nel lido da Mola a Bari piccoli seni e piccoli porti, come quelli ove le Fate d’Ariosto e Tasso legavano le loro barchette. Mola è una piccola città posta sopra d’un istmo, che si prolunga molto nel mare, ed è ben fabbricata.







    Oggi, dall’entroterra e dagli stessi più grossi centri costieri, vi si va al tramonto per assistere all’arrivo delle barche e dei pescherecci che ritornano dalla pesca quotidiana, e scegliere direttamente dalle ceste i propri acquisti, tra il più fresco e abbondante pescato.











    GIOIA DEL COLLE





    Gioia del Colle è uno di quei posti che si è sicuri di aver sentito nominare ma non si sa bene al riguardo di che. Forse sarà perché da qui proviene una ottima mozzarella fior di latte che poi prende l’autostrada per raggiungere tutti i mercati d’Italia; o magari sarà proprio per il grande cartello verde che indica l’uscita Gioia del Colle dall’autostrada A14, oppure perché è sede del 36° stormo dell’Aeronautica Militare; o forse perché da Gioia partirono anni fa i nonni di Silvester Stallone, o semplicemente per questo strano nome Gioia: una consonante e quattro vocali, quasi un paradosso per l’armonia della nostra lingua. Chi dal nome traesse l’aspettativa di un paese gioioso nel senso di allegro, sbaglierebbe di grosso. Gioia è un paese contadino e si vede benissimo. Qui la gente è abituata alla fatica, come testimoniato dalle poderose mani degli uomini che si incontrano i piazza, più simili a dei badili che a delle mani. Rende bene l’idea il nome del vino locale: Primitivo di Gioia del Colle. Non famoso come quello di Manduria, ma altrettanto buono. Il nome quindi non ha nulla a che fare con una particolare allegrezza d’animo dei suoi abitanti. Allora da dove deriva?
    Le ipotesi sono due. La prima spiegazione (la più attendibile) si basa sulle origini di quello che è ancora oggi il centro nevralgico della città: il castello.





    Il centro abitato si sarebbe sviluppato intorno ad una fortezza bizantina appartenete alla famiglia Joannakis, residente qui quando nell’alto medioevo la Puglia era una provincia dell’Impero Bizantino. Il nome sarebbe stato abbreviato poi in Jhoa da cui appunto Gioia. Nell’attuale castello, rimaneggiato più volte, nulla è rimasto della antica fortezza bizantina. La prima riedificazione dopo la conquista normanna dell’Italia meridionale è da attribuire a Riccardo Siniscalco, fratello di Roberto il Guiscardo. Il castello è legato al nome dell’Imperatore Federico II di Svevia che lo ristrutturò di ritorno dalle Crociate e vi soggiornò in vita e in morte. Qui infatti sostò la sua salma dopo che la morte l’aveva colto nel 1250 nelle vicinanze di Foggia, durante il suo ultimo viaggio per essere tumulato all’interno della Cattedrale di Palermo dove riposano anche i suoi avi. Qui l’Imperatore, il Puer Apuliae, aveva soggiornato diverse volte. Secondo una leggenda Federico II fece rinchiudere all’interno del castello una donna che gli era stata molto vicina: la Dama piemontese Bianca Lancia. La storia ufficiale non ha mai chiarito definitivamente se abbia o no sposato Bianca, ciò che sappiamo è che Bianca ebbe da lui alcuni figli fra cui il celebre Manfredi che erediterà il trono di Sicilia. La leggenda narra dell’Imperatore, che accortosi della gravidanza, roso di gelosia fece gettare la giovane dama in una prigione ricavata sotto la torre detta appunto della regina. Qui bianca fece nascere Manfredi, qui in preda alla disperazione per essere stata accusata di infedeltà si recise i seni, che inviò su di un vassoio d’argento all’Imperatore insieme al suo bambino la cui straordinaria somiglianza fisica (e successivamente caratteriale) con il padre, convinse Federico dell’ingiustizia della sua accusa. Nella cella di Bianca, sono stati scolpiti due seni a bassorilievo per ricordare l’accaduto.





    Da questa leggenda proviene la seconda spiegazione sull’origine del nome del comune, interessante, ma poco fondata: Gioia deriverebbe dai gioielli persi e sparpagliate dalla regina sul colle al momento dell’arresto: “gioie per il colle” da cui “Gioia del Colle”. Il castello è oggi un luogo estremamente affascinante, grazie anche all’aggiunta di elementi d’arredo in stile medievale quali camini e sedili, decori e camminamenti sicuramente posticci ma eseguiti con gusto e abilità durante i restauri eseguiti fra il 1907 e il 1909. Le due torri angolari, per quanto molto simili sono di epoche diverse, sono caratterizzate da un bellissimo bugnato di carparo rosso, incorniciato dall’uso di pietra bianca calcarea agli spigoli e intorno alle aperture.





    ALBEROBELLO









    <b>Il Comune pugliese, sito in provincia di Bari, è anche conosciuto come "Capitale dei Trulli", le sue abitazioni caratteristiche dichiarate Patrimonio dell´Umanità dall´Unesco.







    Il nome del comune deriva dalle parole latine Sylva Arboris Belli che tradotte vogliono dire selva dell'albero della guerra. Infatti anticamente tutta la zona era occupata da una foresta di querce.







    Alberobello fu fondata nel XV secolo dagli Acquaviva-D´Aragona, conti di Conversano.







    Nei Rioni più caratteristici (Rione Monti e Rione Aia Piccola), tutte le costruzioni sono a forma di trullo, formate da un vano centrale che comunica tramite ampie arcate con la cucina e le altre camere.





    Tra i monumenti segnaliamo il Trullo a due piani, il più grande di Alberobello, denominato Trullo Sovrano, la Casa d´Amore, il Trullo Siamese la Chiesa di Sant´Antonio./b>



    Alberobello - Trulli[/color]



    La storia di questi edifici molto particolari è legata ad un editto del Regno di Napoli che nel XV secolo sottoponeva ad un tributo ogni nuovo insediamento urbano. I conti di Conversano, proprietari del territorio su cui sorge oggi Alberobello, imposero allora ai contadini inviati in queste terre di edificare a secco, senza utilizzare malta, le loro abitazioni, in modo che esse potessero configurarsi come costruzioni precarie, di facile demolizione. Dovendo quindi utilizzare soltanto pietre, i contadini trovarono nella forma rotonda con tetto a cupola autoportante, composto di cerchi di pietre sovrapposti, la configurazione più semplice e solida. I tetti a cupola dei trulli sono abbelliti con pinnacoli decorativi, la cui forma è ispirata a elementi simbolici, mistici e religiosi. Essi erano realizzati dalla maestranza assunta per la costruzione del trullo e ne identificavano l'artigiano. In base alla qualità della fattura del pinnacolo si poteva dunque identificare non solo la destrezza artigianale del costruttore, ma anche il valore della costruzione. Una maggiore spesa nella costruzione del trullo permetteva di individuare pertanto, le famiglie più abbienti da quelle meno facoltose. Per quanto riguarda i simboli dipinti sopra i tetti dei trulli spesso assumono un significato religioso; talvolta possono rappresentare segni dello zodiaco. Pinnacolo e simbolo dipinto insieme formavano una sorta di identificativo civico, in quanto per lungo tempo Alberobello ha visto negarsi un riconoscimento ufficiale da parte dei conti di Conversano.

    Alberobello - Trullo Sovrano



    Situato a nord del paese, alle spalle della Chiesa dei Santi Medici Cosma e Damiano, rappresenta il più avanzato esempio di trullo disposto su due piani. La maestosa cupola conica, alta circa 14 metri, si erge imponente al centro di un gruppo costituito da dodici coni. Costruito nella prima metà del settecento per conto della famiglia benestante del sacerdote Cataldo Perta (1744-1809) e denominato originariamente corte di Papa Cataldo. Il maestro murario - rimasto ignoto - pur rispettando fedelmente gli antichi vincoli imposti dalle disposizioni del conte Giangirolamo Acquaviva (diciassettesimo secolo), adotta soluzioni costruttive uniche che fanno di questo edificio la più avanzata e mirabile interpretazione dell'architettura a trullo:
    - il frontone triangolare del prospetto viene elevato fino al primo piano, pur mantenendosi perfettamente conforme allo stile tipico del trullo;
    - la volta del pianterreno è realizzata a crociera ed è sorretta da un sistema di quattro archetti romanici addossati sulle due pareti principali;
    - la scala di 23 comodi gradini è incassata intelligentemente nello spessore del muro tra la sala e la cucina;
    nello spazio tra la volta del corridoio d'ingresso e il pavimento del primo piano viene ricavato un capace deposito di grano che, all'occorrenza, si trasforma in sicuro nascondiglio, molto utile al tempo dei briganti. Questo prestigioso immobile, dichiarato monumento nazionale nel 1923, è stato definito Sovrano non solo per le sue maestose proporzioni. Lo ha reso tale la sua storia, straordinaria perchè lo ha visto ospitare simboli "superlativamente sovrani", come li ha definiti lo storico Giuseppe Notarnicola: il Santissimo Sacramento e la reliquia dei Santi Medici Cosma e Damiano, Patroni di Alberobello.


    Alberobello - Trullo Sovrano - la Sala



    Alberobello - Trullo Sovrano - la cucina



    TARANTO

    Taranto, Castello Aragonese



    Taranto, entrata nel mar piccolo



    Taranto vecchia vista dal mare

     
    Top
    .
  3. tomiva57
     
    .

    User deleted


    splendido..Claudio..riprendiamo il nostro tour

    wave
     
    Top
    .
  4.  
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Administrator
    Posts
    13,795

    Status
    Offline

    Castellaneta

    « Siede aggruppata sul crine di un monte, che sovrasta di 245 metri il livello del marino, e a nord nord-ovest, affaccia in un burrone a pareti verticali (che chiaman Gravina) profondo oltre 108 metri e nato da fiumane che, scendendo dai monti circostanti vanno pel fiume Lato a scaricarsi nel golfo di Taranto, distante circa 23 Chilometri. Di colassù ella guarda, a mezzogiorno l'Ionio, ad oriente Mottola, all'Occaso una vasta campagna interpolata di colline e terreni vari di verde e di coltura... »

    800px-Gravina_Grande1

    Castellaneta (in dialetto locale Cast'lanét') è un comune italiano di 17.196 abitanti (istat) della provincia di Taranto in Puglia.

    Castellaneta-Stemma

    Castellaneta è situata nel cuore dell'area che costituisce il Parco Regionale delle Gravine ed occupa la posizione mediana nella parte occidentale della provincia di Taranto che costituisce il cosiddetto arco Jonico. Il suo territorio (fra i primi 100 comuni italiani per estensione, per la precisione settantanovesimo) va dalla Murgia tarantina fino al Mar Ionio, e presenta una grande varietà di paesaggi e diverse presenze naturalistiche storiche e archeologiche. Castellaneta è solcata da una serie di "gravine" e di "lame" (naturale prosieguo delle gravine con pareti meno ripide) di origine carsica, che si dirigono verso il mare facendo confluire nel fiume Lato le acque che raccolgono durante le piogge. Montecamplo (più precisamente la località detta S. Trinità) è il suo punto più alto (411 m).

    CASTELLANETA

    Il Medioevo
    In seguito alla distruzione dell'insediamento di Minerva da parte di Alarico, la popolazione sfuggì alla stessa riparando nei paesi vicini. Sulle ceneri dell'insediamento precedente, nacque nel 550 la città di Castanea. Le invasioni dei Saraceni permisero alla città di Castanea di ingrandirsi, trovandovi rifugio nelle sue mura fortificate gli abitanti dei paesi vicini. In questo periodo la città cambiò nome divenendo prima Castellum Unitum e poi Castellanetum. Esiste però un'altra versione sulle radici di Castellaneta. Infatti, secondo lo storico Giacomo Arditi, Castanea era cosa ben diversa dall'attuale Castellaneta: Castanea giaceva sul Lato, era di origine magno-greca e esistette fino alla fine del VIII secolo (secondo le carte topografiche di Carlo Magno). Nell'842 i Saraceni dilagarono, saccheggiarono e distrussero quasi tutti gli insediamenti del circondario, e probabilmente Castenea fu tra i malcapitati. Questi allora si riunirono, creando una città fortificata nel punto più alto: da questa unione nacque il nome Castellum Unitum, poi trasformato in quello attuale. In seguito alla conquista della città da parte dei Normanni nel 1064, la città divenne anche diocesi.Tre anni dopo il paese venne riconquistato dal generale greco Mabrica e ritornò in mano bizantina. Questo dominio durerà poco, e Castellaneta ritornerà in mano ai Normanni.

    800px-Cartografia_di_castellaneta

    L'epoca moderna
    Nel 1503 i cittadini di Castellaneta, con l'aiuto di una piccola schiera di soldati spagnoli, respinsero le truppe francesi guidate dal duca di Nemours: tale fatto prenderà il nome di "Sacco di Castellaneta". Grazie al coraggio dimostrato nell'occasione dai cittadini castellanetani, Ferdinando il Cattolico attribuì al paese il titolo di "Fidelissima Civitas". Nel 1519 gli spagnoli cedettero la città ai fiamminghi, la città entrò in rovina e subì un lungo periodo di dominazione da parte di più feudatari.

    Il Sacco di Castellaneta

    463px-Vico_sacco

    L'avvenimento storico - da cui prendono il nome una via (via Sacco) e tre vicoli del centro storico (vico I Sacco, vico II Sacco e vico III Sacco) - scaturisce dalla contesa del Regno di Napoli da parte di spagnoli e francesi (fine del '400 - inizio del '500). All'epoca dei fatti il Regno era in mano degli Aragonesi. Nel 1496 Ferdinando II lasciava come suo erede al trono di Napoli suo zio Federico I. Contro questi però, si erano coalizzati il di lui cugino Ferdinando il Cattolico, che regnava in Sicilia, e Luigi XII Re di Francia, entrambi in lizza per il trono di Napoli. I due re si coalizzarono in segreto stipulando il Trattato di Granada nel novembre del 1500. Federico I, ignaro del trattato, si affidò agli spagnoli, ma fu tradito e dovette arrendersi ai francesi nel 1501. Il Regno di Napoli restò facile preda dei due re e fu così spartito. Luigi XII divenne Re di Napoli e degli Abruzzi, Ferdinando il Cattolico ebbe la Puglia ed il resto del Regno. L'accordo tra i due cadde non appena i francesi pretesero il possesso della Capitanata per i proventi provenienti delle transumanze. L'esercito francese, condotto da Luigi d'Armagnac duca di Nemours, occupava tutta la zona. Alla luce di un importante lavoro di ricerca condotto su fonti francesi del XVI secolo e basato sulla testimonianza personale del giovane monaco benedettino francese Jean d'AUTON (di cui esiste ancora il manoscritto alla BNF Bibliothèque Nationale de France, a Parigi, conservato con i Numeri 5081, 5082 e 5083) il quale era stato designato come cronista di guerra dall'allora Re di Francia Luigi XII e presente sul posto al momento dei fatti, il Prof. Pietro Loglisci, ne "La vera Storia del SACCO di Castellaneta" pubblicata nel 2005 presso l'Editore Antonio DELLISANTI, smentendo le infondatezze diffuse da Mauro Perrone e riecheggiate da Enrico Mastrobuono, rivela che nella città di Castellaneta - precedentemente sotto il controllo delle più clementi milizie spagnole - si erano accampati, nell'aprile 1502, cinquanta lancieri comandati dal luogotenente Louis De Saint-Bonnet. Costoro, in cambio dell'asilo e delle provvigioni che ricevevano giornalmente, si erano impegnati a pagare, ogni mese, una certa somma, in monete d'oro. Ma poiché le milizie francesi non riuscivano a tenere i loro impegni, i Castellanetani, stanchi di aspettare invano dopo 10 mesi di ospitalità, andarono a trovare i soldati spagnoli, li radunarono nelle vicinanze del paese e, il 23 febbraio 1503, armati di ramaglie e di sassi, penetrarono nei loro alloggi, si gettarono con forza su di loro, li presero e li gettarono nelle mani dei soldati spagnoli, i quali li legarono e li portarono via con loro, mettendoli in prigioni sotterranee, alcuni a Barletta ed altri un po' altrove. Questa aggressione avvenne nei pressi della Cattedrale, più precisamente in vico Sacco. Saputa la notizia, il duca di Nemours immediatamente corse ad assediare Castellaneta, la quale pensò di venire a patti con il nemico offrendo migliaia di libbre d'oro. Ma il duca di Nemours ne pretese tre volte tanto e minacciò di dare alle fiamme la città. I concittadini, presi dalla disperazione, ricorsero nuovamente alle armi con l'aiuto di un esiguo numero di soldati spagnoli e grazie anche alla contemporanea aggressione degli spagnoli a Ruvo (città più importante per i francesi), riuscirono a salvare la città. Per questa eroica resistenza, la città di Castellaneta fu insignita dal re Ferdinando il Cattolico del titolo di "Fidelissima Civitas".

    La città vecchia

    800px-Lamarina2

    Centro storico Castellaneta - via la Marina Castellaneta (centro storico) nel 1700Il "paese vecchio" sorge sul ciglio della Gravina di Castellaneta, in posizione decentrata, ed un tempo era delimitato da spesse mura che cingevano il paese nella parte scoperta. Il centro storico ha un impianto medievale, con vicoli e stradine molto strette, ma i tesori di maggior pregio architettonico sono del barocco. Notevole importanza architettonica hanno le contigue piazze F. De Martino e Maria Immacolata dove sono presenti i tre edifici di maggior fattura. La Cattedrale (o chiesa di San Nicola) eretta nel 1220 e quasi completamente riedificata nel XVIII secolo (solo il campanile rimane della vecchia chiesa). Bellissima la sua facciata barocca e ancor di più il suo soffitto ligneo intagliato, con tre tele del 1700 di Carlo Porta (L'Assunzione, San Nicola che salva Diodato e La caduta degli Angioini) e quattro di fine 1700 - inizio 1800 di Domenico Carella di Martina (Cristo nel Cenacolo, Cristo che comunica San Pietro, Le nozze di Canan e Davide danzante innanzi all'arca e i Filistei che la restituiscono al popolo eletto. Il contiguo settecentesco Palazzo Vescovile (attuale sede del vescovado) custodisce un dipinto risalente al 1500 del Santacroce ed altre interessanti tesori artistici. Il Palazzo Baronale, sede storica del potere politico, trasformata prima in seminario poi in convento delle suore di Santa Chiara. Nel borgo antico sono presenti numerosi palazzi signorili, sintomo del grande avvicendarsi di feudatari su questo territorio. Da ricordare è il Palazzo Catalano con la sua facciata orientaleggiante, il Palazzo Sarapo con il suo portone barocco e i palazzi D'Alagni, Lagroia e Frisini. Da vedere sono anche piazza Umberto I con la sua Fontana Monumentale centrale (1871), e il monumento a Rodolfo Valentino (1961) posto al termine della "Passeggiata" dedicata allo stesso attore e realizzato in maiolica

    Rodolfo_Valentino-Commons

    Rodolfo Valentino, al secolo Rodolfo Pietro Filiberto Raffaello Guglielmi, nacque a Castellaneta nel 1895. Fu il primo vero divo del cinema internazionale. Proveniente da una famiglia borghese del posto, fu figlio di Giovanni di professione veterinario e di Maria Berta Gabriella Bardin, gentildonna di origine francese e dama di compagnia della marchesa Giovinazzi. Frequentò le scuole elementari a Castellaneta per poi proseguire gli studi prima a Taranto e poi a Perugia. Si diplomò in agraria a Genova, quindi a 17 anni si trasferì a Parigi, e nel 1913 si imbarcò per gli Stati Uniti dove distinse come ballerino. Qui incontrò Norman Kerry che lo convinse a recarsi ad Hollywood, dove iniziò ad avere le prime parti importanti dopo una parentesi come comparsa. Morì nel 1926 a causa di una peritonite, dopo aver recitato in molti importanti film. Coincidenza vuole che la data della sua nascita (1895) corrisponda a quella della nascita del cinema, e che quella della sua morte (1926) corrisponda a quella della nascita dei primi film con sonoro ed alla conseguente lenta agonia del cinema muto, di cui lui fu il maggiore interprete maschile. A lui è stata dedicata a Castellaneta una statua nella classica posa del film Il figlio dello sceicco, posta al termine della "passegiata" intitolata allo stesso attore, nonché un museo ed una targa posta sulla sua casa natale donata da un gruppo di appassionati americani di Cincinnati (Ohio)

    Castellaneta Marina, Mare e Dune

    800px-CastellanetaMArina

    Gravina grande

    CASTELLANETA2

    Gravina con ponte-canale dell'Acquedotto Pugliese

    GRAVINA_DI_CASTELLANETA



    TARANTO - LA STORIA DEL PONTE GIREVOLE



    Il Ponte Girevole di Taranto è la struttura che collega l’isola del borgo antico, la Città Vecchia, alla Città Nuova, il cosiddetto Borgo, e sovrasta il Canale Navigabile (lungo 400 metri e largo 73 metri) che unisce il Mar Grande al Mar Piccolo mettendoli in comunicazione e consentendo il transito delle navi. Il primo Ponte Girevole fu costruito dall’Impresa Industriale Italiana Cottrau di Napoli su progetto del Capitano del Genio Giuseppe Messina che ne diresse direttamente i lavori di costruzione. Il 22 maggio 1887 fu inaugurato dal Vice Ammiraglio Ferdinando Acton, rappresentante del Ministero della Marina, che impartì il segnale per la sua prima manovra ufficiale.
    Il ponte era costituito da un grande arco in legno e metallo, diviso in due braccia che giravano indipendentemente l’una dall’altra attorno ad un perno verticale posto su uno spallone. Il funzionamento avveniva grazie a turbine idrauliche alimentate da un grande serbatoio posto sul Torrione di San Lorenzo del Castello Aragonese, capace di 600 metri cubici di acqua che in caduta azionavano le due braccia del ponte.
    Negli anni Cinquanta, dopo settanta anni di servizio, iniziò l’iter per sostituire l’ormai vetusta struttura con l’attuale ponte. Progettato dalla Società Nazionale Officine di Savigliano (Torino) e costruito nei cantieri navali ex Tosi di Taranto, il nuovo Ponte Girevole, dedicato a San Francesco di Paola Patrono della Gente di Mare, venne inaugurato il 10 marzo 1958 alla presenza dell’allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.
    E’ costituito da due semiponti che ruotano intorno ad un perno centrale ancorato tramite tirafondi alla banchina in cemento. Ciascun semiponte si muove sopra una cremagliera mediante un pignone sempre in presa azionato da un motore elettrico. Il tutto poggia su una pista di rotolamento costituita da una serie di cilindri di acciaio. Le manovre sono condotte dall’interno di due cabine di pilotaggio situate nei pressi di ciascun semiponte, mentre quattro operai controllano il corretto funzionamento dei dispositivi automatici, pronti ad intervenire in caso di avaria degli stessi.
    Le prime operazioni manuali da compiere sono quelle di rimozione degli otto calaggi e di sganciamento dei due chiavistelli posti alle estremità, che hanno lo scopo di rendere il ponte stabile quando è chiuso. L’apertura vera e propria inizia con la rotazione di circa 45° del semiponte lato Città Vecchia, quindi con la rotazione di 90° del semiponte del Borgo, seguita dal completamento della rotazione di quello lato Città Vecchia.
    La complessità del movimento, l’elevato numero di apparecchiature elettroniche che ne garantiscono il funzionamento, i sensibili ingranaggi e i sistemi di scorrimento, lasciano immaginare quale sia la portata del continuo lavoro di monitoraggio e di manutenzione da parte degli addetti al ponte, considerando che la struttura viene sottoposta alle continue sollecitazioni dovute al passaggio del traffico veicolare.

    Ponte_Girevole

    La manutenzione ordinaria è eseguita con continuità dal personale tecnico specializzato della Direzione del Genio Militare per la Marina di Taranto (a destra), la conduzione è affidata ad un selezionato team di operai qualificati meccanici, elettricisti ed elettromeccanici costituiti da 45 operai suddivisi in 5 squadre di 9 persone che si alternano in turni di servizio continuativi di 12 ore ciascuno (dalle 08,00 alle 20,00 e dalle 20,00 alle 08,00) sotto la supervisione del "capo ponte".


    (NAVE IMPAVIDO)

    Attualmente, con l’avvento della Stazione Navale Mar Grande, le aperture sono diventate molto meno frequenti e, proprio per tale ragione, rappresentano una grande aspettativa per la cittadinanza e per i turisti. Il transito delle navi con l’equipaggio schierato sul ponte, è infatti un momento molto suggestivo, non solo per i familiari che salutano i propri cari dagli spalti del Canale Navigabile, ma anche per tutti coloro che si trovano ad assistere a tale spettacolo dall’attiguo Lungomare.


    (NAVE SCUOLA PALINURO)



    TARANTO - Palazzo del Governo

    tarantomag2004-091.jpg_2009420201424_tarantomag2004-091


    palazzogovernotaranto



    CORSA MOTOCICLISTICA MILANO - TARANTO

    La Milano-Taranto fu una corsa motociclistica che si disputò dal 1937 al 1940 e dal 1950 al 1956. Il percorso fu progettato dal tarantino Mario D'Eintrona con l'avallo di Ugo Leonardi, Presidente del Motoclub Italia e Generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, realizzando il prolungamento fino a Taranto della Coppa del Duce del 1932, nata nel 1919 come Raid Nord-Sud, con percorso di gara da Milano a Napoli.
    Rievocazione storica
    (XX edizione)Alla mezzanotte del 2 maggio 1937 prese il via da Milano la prima edizione della corsa lunga 1.283 km, e la novità venne accolta con entusiasmo, tanto che si passò dai 72 concorrenti dell'anno precedente a ben 116 partenti su 135 iscritti. Il traguardo posto sul viale dell'Arsenale Militare Marittimo di Taranto fu raggiunto da soli 57 motociclisti e l'edizione fu vinta da Guglielmo Sandri su una Moto Guzzi 500 bicilindrica, viaggiando ad una media di circa 104 Km/h. La seconda edizione della corsa fu vinta da Giordano Aldrighetti su una moto Gilera 4C con compressore della scuderia di Enzo Ferrari, viaggiando alla media di circa 118 km/h e stabilendo un record destinato a restare imbattuto. La terza edizione della corsa fu vinta da Ettore Villa su una moto Gilera 500 sport monocilindrica viaggiando ad una media di circa 97 km/h, contro tutti i pronostici che vedevano favorite le moto Gilera 4 cilindri ma che furono vittime delle cadute dei loro piloti. Al termine della quarta edizione, che fu vinta da Guido Cerato su una Moto Guzzi 500 Condor, l'attività motociclistica subisce le conseguenze della Seconda Guerra Mondiale ormai imminente, e che porterà alla sospensione delle successive edizioni. La corsa riprese nel 1950 con la quinta edizione, e vide al nastro di partenza 121 piloti dei quali solo 46 giunsero al traguardo. La corsa fu vinta da Guido Leoni su una Moto Guzzi 500 monocilindrica. La celebre corsa, che vide anche i piloti delle cilindrate intermedie contendersi il primato, utilizzò durante le 11 edizioni due percorsi diversi:
    Milano - Bologna - Porretta Terme - Pistoia - Poggibonsi - Radicofani - Roma - Cassino - Capua - Caserta - Napoli - Ariano Irpino - Foggia - Bari - Taranto;
    Milano - Bologna - Ancona - Foligno - Spoleto - Terni - Roma - Cassino - Capua - Caserta - Napoli - Ariano Irpino - Foggia - Bari - Taranto.
    L'ultima edizione del 1956 fu vinta da Pietro Carissoni su Gilera Saturno. Nel 1957, pochi giorni prima della partenza, la manifestazione venne annullata, sull'onda delle proteste che avevano investito il mondo delle corse su strada, in seguito alla tragedia di Guidizzolo, in cui avevano trovato la morte un pilota, un copilota e undici spettatori, tra i quali cinque bambini. Quell'incidente segnò la fine, in Italia, delle gare motoristiche di velocità su strada. Dal 1987 si celebra annualmente la rievocazione storica della Milano-Taranto grazie all'interessamento di Franco Sabatini


     
    Top
    .
  5. arca1959
     
    .

    User deleted


    grazie Claudio...mi hai fatto percorrere uno splendido e fantastico viaggio nella mia terra!!!!
     
    Top
    .
  6. tomiva57
     
    .

    User deleted


    Barletta
    Da Wikipedia




    barletta


    Barletta (IPA: /barˈletta/, Varrètt o Barlètt in pugliese) è un comune italiano di 94.459 abitanti, capoluogo, con le città di Andria e Trani, della provincia di Barletta-Andria-Trani, in Puglia. Il territorio comunale fa parte del bacino della valle dell'Ofanto e, oltre ad essere bagnato dall'omonimo fiume, che funge amministrativamente come linea dividente tra Barletta e Margherita di Savoia, ne ospita anche la foce. Il comune, che comprende la frazione di Canne, sito archeologico ricordato per la celeberrima battaglia vinta nel 216 a.C. da Annibale, è stato riconosciuto come città d'arte dalla Regione Puglia nel 2005 per le sue bellezze architettoniche.

    Geografia fisica

    Territorio

    Il territorio di Barletta, esteso su oltre 14.691 ettari e con circa 13,5 km di costa, si affaccia sul mare Adriatico all'imboccatura sud-est del golfo di Manfredonia, di fronte al promontorio del Gargano, nell'area costiera in cui il litorale roccioso della Terra di Bari modifica le sue caratteristiche giungendo alle sabbie della foce del fiume Ofanto. Questo delimita a nord-ovest il territorio barlettano, che pertanto fa parte della valle dell'Ofanto. Il fiume ha sempre avuto un'influenza determinante sull'attività agricola della zona. Il corso fluviale segna anche il passaggio dalla Murgia carsica, sulla riva destra, alla vasta e fertile piana del Tavoliere delle Puglie, su quella sinistra.



    Morfologicamente, il territorio comunale è caratterizzato da un'altimetria discendente dall'entroterra verso il mare e presenta un rilevante salto di quota solo a ridosso delle antiche mura urbiche, dove l'area intra-moenia è posta a un livello superiore, che varia dai cinque ai sette metri, rispetto a quella sottostante, caratterizzata progressivamente verso il mare da arenili, litoranea e spiaggia.

    Il terreno su cui insiste il territorio di Barletta è quello tipico della costa pugliese, caratterizzato geologicamente dalla presenza di arenarie, calcareniti, sabbia, argilla e tufo.Le trasformazioni antropiche del suolo avvenute nel corso dei secoli hanno visto però il territorio modificare il suo paesaggio agricolo. Analizzandone infatti la storia della flora è possibile notare cambiamenti sostanziali dal XIX secolo ad oggi. L'area protesa verso Canosa, calcarenitica, precedentemente adibita a prato per il pascolo, a vigneti e ad alberi da frutta oggi denota la totale scomparsa del verde a pascolo a vantaggio di vigneti e oliveti. Stessa sorte è toccata alla zona verso Canne che non mostra più cerealicoltura e vegetazione spontanea, tipica anche delle sponde dell'Ofanto, caratterizzate da un terreno argilloso, ma vigneti e oliveti, resi possibili nel caso delle rive fluviali con la costruzione di argini che hanno permesso di evitare i danni delle inondazioni avvenute fino al XIX secolo.Il territorio verso Trani, in precedenza paludoso, è stato bonificato ma quest'opera ha indotto allo stesso tempo una spontanea scomparsa delle specie fino ad allora presenti nei pressi delle acque stagnanti. La zona compresa tra Barletta ed Andria non mostra invece segni di sostanziali modifiche, mantenendo la sua tipica vegetazione ricca di oliveti.



    Clima

    Il clima è quello mediterraneo, tipico della fascia costiera adriatica meridionale, caratterizzato da inverni non troppo freddi e da estati calde e secche. La neve cade poche volte l'anno e raramente con accumuli considerevoli. L'ultimo episodio di un certo rilievo è avvenuto il 15 dicembre 2007 quando 20 centimetri di neve ammantarono la città.

    La piovosità è tra le più basse della penisola. Essa infatti si aggira su una media di 550 millimetri annui ed è distribuita in circa settanta giorni, con maggiori afflussi di pioggia in autunno ed inverno e minimi tra la seconda metà del mese di giugno e la prima metà del mese di agosto

    Storia




    Età antica

    Le origini del nome


    Il primo nome della città di Barletta, come testimoniato dalla Tabula Peutingeriana, è stato Bardulos, trasformato in seguito in Barduli. Il toponimo derivava dal nome della popolazione transadriatica che, intorno al IV secolo a.C., era approdata sulle coste barlettane: i Bardei. Durante il primo Medioevo la denominazione subì una nuova modifica, diventando Baruli, che negli atti dell'epoca assumeva anche la forma Barulum. In volgare la città era detta Varolum o Varletum, da cui deriverebbe il nome della città in dialetto barlettano, ossia Varrett. Solo dall'XI secolo la città è stata chiamata con l'attuale denominazione di Barletta.

    Le prime testimonianze su Barletta - citata in seguito come Bardulos nella Tavola Peutingeriana - risalgono al IV secolo a.C. Tra il IV e il III secolo a.C. fu lo scalo marittimo di Canusium, centro allora di maggior rilievo perché l'entroterra, oltre alle risorse naturali, era anche più salubre, poiché lontano dalle acque stagnanti e paludose dei fiumi che scendevano a valle. Nel 216 a.C. nell'attuale agro barlettano, nei pressi della vicina Canne, durante la seconda guerra punica si tenne la battaglia di Canne, che determinò la pesante sconfitta dei Romani da parte dell'esercito di Annibale. Prima di finire nell'orbita di Roma l'antica Bardulos si trovava in un crocevia tra la strada che conduceva nell'entroterra sannitico passando per Canne e Canosa e la via litoranea che, costeggiando l'Adriatico, collegava il Gargano con Barium e Brundisium.


    Età medioevale

    La città, fino ad allora vissuta all'ombra della vicina Canosa, dopo la distruzione di Canne (547) ricevette una prima ondata migratoria di superstiti cannesi; in seguito all'arrivo dei Longobardi, nel 586 accolse un secondo esodo, questa volta degli stessi canosini, che si stabilirono lungo le principali direttrici di traffico verso i paesi limitrofi. L'incursione saracena dell'848 e la devastazione dell'875 decretarono la fine della supremazia di Canusium e la definitiva fuga dei suoi abitanti presso la vicina Baruli, che, così, poneva le basi per diventare una vera e propria civitas.

    La città fiorì di fatto però solo nel Basso Medioevo come fortezza dei Normanni, diventando una tappa importante per i crociati e per tutto il traffico commerciale verso la Terra Santa. Nel 1156, in seguito alla distruzione di Bari, divenne capoluogo della Terra di Bari. Nel 1194 terminò il periodo normanno ed iniziò quello svevo, dominato dalla figura di Federico II: divenuto imperatore nel 1220, quattro anni dopo avviò la costruzione della sua domus nel castello barlettano, allora costituito unicamente dal fortino costruito precedentemente dai Normanni. L'importanza attribuita alla città dal sovrano svevo è testimoniata dall'annuncio, nel 1228, della sesta Crociata durante la Dieta tenutasi proprio nella domus federiciana.

    Agli svevi succedette, nel 1266, la dinastia angioina. In questo periodo la sede di capoluogo fu spostata a Napoli ma Barletta continuò, con Carlo I, a beneficiare di ricchezza economica e di attenzioni da parte del sovrano, tanto che tre dei sette membri del Consiglio dell'Imperatore erano barlettani. La dinastia aragonese subentrò nel 1442 a quella angioina e nel 1459 il nuovo re, Ferdinando I, fu incoronato proprio nella cattedrale di Barletta.



    Età moderna



    200px-Barletta_monumento_disfida_apr06_01
    Monumento alla Disfida di Barletta

    All'inizio del XVI secolo, durante la seconda guerra italiana che vedeva coinvolte Francia e Spagna, la città fu teatro di storiche vicende, quale la celebre Disfida di Barletta. Lo scontro tra cavalieri italiani e francesi, avvenuto a seguito di provocazioni di parte francese, si tenne il 13 febbraio 1503 nel territorio compreso tra Andria e Corato e si concluse con la vittoria della compagine italiana, guidata dal capitano Ettore Fieramosca.

    In seguito a tali vicende Barletta divenne roccaforte degli spagnoli, che ne ampliarono le mura e il castello. Nel 1528 Barletta, già lacerata da divisioni interne, fu devastata dai francesi, che perpetrarono saccheggi e incendi tali da portare alla distruzione di numerose chiese ed edifici convenutali. Da quel momento cominciò il declino di Barletta, favorito dal malgoverno spagnolo e dalle calamità naturali susseguitesi per tutto il XVII secolo: nel 1656 la peste colpì la città e il numero dei suoi abitanti passò dai ventimila di quell'anno agli ottomila del marzo 1657; nel 1689, 1731, 1743 dei terremoti ridussero in ginocchio la popolazione.


    Età contemporanea

    Segnali di rinascita si registrarono soltanto alla fine del XVIII secolo, in particolar modo durante i regni di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat. Proprio durante il periodo murattiano, nel 1809, gli ordini religiosi presenti in città furono soppressi, con la conseguente confisca di tutti i loro beni. Tuttavia Barletta restò un attivo centro culturale e religioso e, nel 1860, fu elevata a diocesi da papa Pio IX col nome di Barletta-Nazareth.

    Negli anni del risorgimento Barletta farà la sua parte. Innumerevoli sono le gesta del suo concittadino Angelo Raffaele Lacerenza, protagonista indiscusso del risorgimento italiano. Le sue idee e la sua azione politica contribuirono in maniera decisiva alla nascita dei movimenti unitari nel sud Italia e alla formazione dell'esercito meridionale con la brigata "Barletta". La polizia italiana lo costrinse per lungo tempo alla latitanza. Fu legato a Giuseppe Mazzini da una solida e fedele amicizia. Giuseppe Garibaldi più volte, in segno di gratitudine, gli offrirà la candidatura a deputato del Regno d'Italia che egli rifiutare per non venir meno alle sue convinzioni repubblicane.



    Il XX secolo si aprì con lotte contadine e scioperi; le lotte politiche furono particolarmente sostenute, in Puglia, dal cerignolano Giuseppe Di Vittorio. Il 24 maggio 1914, durante la prima guerra mondiale, la città fu bombardata dalla flotta austro-ungarica, che centrò, con sei colpi di cannone, il fronte settentrionale del castello. L'edificio non subì ulteriori colpi grazie all'intervento del cacciatorpediniere Turbine, immolatosi al suo posto. Alla vigilia della guerra fu ricostituita La brigata di fanteria "Barletta" e impiegata dal 1915 al 1918 in varie battaglie, tra cui la nona battaglia dell’Isonzo.

    Durante la seconda guerra mondiale, l'8 settembre 1943 e nei giorni successivi la città fu teatro di diversi episodi di Resistenza contro le truppe naziste. Non appena giunse il fonogramma in cui si ordinava di considerare i tedeschi come nemici, le truppe dell'esercito italiano di stanza a Barletta furono posizionate dal colonnello Francesco Grasso, comandante della piazza, a difesa delle vie d'accesso alla città. Dopo appena due giorni di scontri furono tuttavia costrette alla resa, per evitare che Barletta fosse rasa al suolo. Da quel momento si ebbero numerosi episodi di rappresaglia che fecero trentadue vittime civili, oltre a decine di feriti. L'episodio più grave avvenne il 12 settembre, quando undici vigili urbani e due netturbini furono fucilati presso il Palazzo delle Poste in una strage di massa. Per questi motivi la città di Barletta è stata insignita, unico caso in Italia, con la medaglia d'Oro al Valor Militare ed al Merito Civile.

    Il 16 settembre 1959, 59 persone morirono nel crollo di un edificio in via Canosa. Per il triste evento la città fu visitata dal presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.

    Gli anni sessanta anche per Barletta sono alla base della ripresa economica con l'insediamento delle industrie sulla via per Trani, la costruzione di nuovi plessi scolastici, l'inaugurazione del museo di Canne e il completamento del Palazzo di Città. Dal 1976 al 1996 la città va incontro a vent'anni di instabilità governativa e al susseguirsi di sedici giunte, la città passa nelle mani del sindaco Francesco Salerno, scomparso il 10 settembre 2010, che, per la prima volta nella storia, verrà confermato anche per il secondo mandato consecutivo.

    Nel secondo dopoguerra, una delle tematiche più sentite dalla popolazione barlettana è stata la costituzione di una provincia autonoma da quella di Bari, della quale la città aveva fatto parte sin dall'unità d'Italia. Dopo una lunga mobilitazione popolare, con la legge 148/2004 dell'11 giugno 2004 è stata istituita la provincia di Barletta-Andria-Trani, in seguito identificata tramite Decreto del Presidente della Repubblica n. 133 del 15 febbraio 2006, con la sigla BT. Le prime elezioni provinciali si sono tenute il 6 e 7 giugno 2009 ed hanno eletto Francesco Ventola primo Presidente della provincia.

    Barletta ha ricevuto il riconoscimento di città d'arte dalla Regione Puglia nel 2005 e quello di Civitas Mariae dal l'8 maggio 2009.

    Simboli


    Gonfalone del comune di Barletta


    Lo Statuto comunale della Città di Barletta afferma che
    « Il Comune ha diritto di fregiarsi del proprio stemma e gonfalone, approvati con le procedure di legge. Il Comune, per le sue tradizioni storiche e per i meriti acquisiti dalla sua comunità, è stato insignito del titolo di Città con decreto di riconoscimento del 9 marzo 1935 e successive modifiche ed integrazioni. Il Comune di Barletta assume il titolo di Città della Disfida a ricordo della storica Sfida del 13 febbraio 1503. »

    Il medesimo statuto a proposito dello stemma e del gonfalone cittadino li descrive in questo modo:
    « Lo stemma è su fondo bianco d'argento, a quattro burelle di rosso, sovrastato da una corona turrita e circondato da due rami di quercia e di alloro, annodati da un nastro dai colori nazionali. Ornamenti esteriori da Città. Il gonfalone è rappresentato da un "drappo rettangolare a forma di bandiera, di colore bianco, frangiato d'oro, caricato dello stemma comunale sopra descritto; il drappo attaccato ad un'asta di metallo sormontata da una freccia dorata con lo stemma del Comune. Nel drappo l'iscrizione centrata in oro: "Città di Barletta". Nastri e cravatta, tricolorati dai colori nazionali, frangiati d'oro". D'argento, a quattro burelle di rosso, sovrastato da una corona turrita e circondato da due rami di quercia e di alloro, annodati da un nastro dai colori nazionali. Ornamenti esteriori da Città »

    Lo stemma attuale è stato concesso con decreto del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, dell’8 settembre 2000, che ha modificato anche la forma della corona, prescrivendo quella attualmente prevista dal regolamento araldico.

    Particolare è l'aneddoto sull'origine dello stemma cittadino. La leggenda racconta che il signore dell'antica Bardulos accompagnato dalle milizie cittadine, avesse ucciso in battaglia il capo dei pirati saraceni che avevano attaccato la città. Al ritorno in città, giunto nei pressi delle mura, pulì quattro delle sue dita ancora sporche di sangue, su una delle porte urbiche. Il sangue delle dita sarebbe rappresentato, nell'attuale stemma, dalle quattro striature orizzontali di colore rosso. Curioso è notare che la città adriatica dirimpettaia, Dubrovnik (già Ragusa), ha uno stemma identico, mentre Ravello in Costa d'Amalfi, i cui nobili controllarono a lungo le Puglie, ha stemma identico ma con una fascia in meno. Ricordarsi anche che i Ravellesi erano fazione ribelle ad Amalfi, e quindi avrebbero potuto riusare tale stemma perché contro Amalfi. Infatti gli Amalfitani, prima di trovare patria e dopo esser naufragati verso Bisanzio, avevano abitato per decenni presso Ragusa, altra odiata nemica, prima di rubarne le navi (che del resto introdussero in prima persona nella piccola repubblica). In seguito approdarono proprio presso Barletta, prima di migrare lungo le montagne, soggiornando a Melfi per molto, prima di fondare Amalfi. (Vedi Storia di Amalfi)

    Onorificenze

    La città è stata insignita della Medaglia d'oro al merito civile, l'8 maggio 1998, e della Medaglia d'oro al valor militare, il 7 luglio 2003.
    Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro al valor militare
    «L'8 settembre 1943, il presidio di Barletta, modestamente armato, ma sorretto dallo spontaneo e fattivo sostegno dei cittadini, volle proseguire sulla via dell'onore e della fedeltà alla patria, opponendosi strenuamente alle agguerrite unità tedesche e infliggendo loro notevoli perdite. Soltanto il 12 settembre, dopo l'arrivo di soverchianti rinforzi tedeschi, il presidio, provato dalle perdite subite e sotto la minaccia della distruzione della città, fu costretto alla resa. Le truppe nemiche, occupata Barletta, per ritorsione trucidarono barbaramente 13 inermi cittadini che unirono così il loro sacrificio al valore dei militari in un comune anelito di libertà. La città di Barletta, fulgido esempio delle virtù delle genti del meridione d'Italia, consegna alle generazioni future il testimone dei valori scaturiti dalla rinascita della patria e dalla conquista della democrazia e della pace.»
    — Barletta 8-13 settembre 1943
    Medaglia d'oro al merito civile - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro al merito civile
    «Occupata dalle truppe tedesche all'indomani dell'armistizio, la città si rese protagonista di una coraggiosa e tenace resistenza. Oggetto di una feroce e sanguinosa rappresaglia, contò numerose vittime tra i militari del locale presidio e i civili che, inermi e stremati dalle privazioni, furono in molti casi passati per le armi sul luogo ove attendevano alle quotidiane occupazioni. Splendido esempio di nobile spirito di sacrificio ed amor patrio.»
    — 12 - 24 settembre 1943.

    Inoltre, con 11 medaglie d'oro e 215 medaglie d'argento attribuite a militari barlettani partecipanti alla prima e alla seconda guerra mondiale, la città è la più decorata d'Italia.



    Retro_cattedrale_barletta

    Monumenti e luoghi d'interesse

    Caratteristico è il centro storico, costituito da numerose chiese e palazzi di notevole interesse storico e artistico, con il borgo medievale a ridosso della Cattedrale e delimitato perimetralmente dai giardini del castello e dai tre assi viari principali della città, ossia corso Vittorio Emanuele, corso Garibaldi e via Cavour, che rispettivamente conducono a Margherita di Savoia, Canosa e Trani.

    Tra i principali monumenti della città vi sono architetture militari come l'imponente castello, sede del Museo civico, del Museo della Memoria e della biblioteca comunale; il Colosso, localmente noto come "Eraclio",un'enorme statua in bronzo risalente al V secolo. Il Colosso sorge nei pressi di una delle architetture religiose più antiche del comune, la basilica del Santo Sepolcro, un edificio romanico che testimonia la chiara impronta del culto dei crociati a Barletta;la cattedrale, esempio di fusione tra stile romanico e gotico; architetture civili come il Teatro Curci e il Palazzo della Marra, esempio di barocco leccese al di fuori del Salento e sede della Pinacoteca De Nittis; la Cantina della Disfida, in cui si è tenuto lo scontro verbale che ha condotto all'omonima battaglia tra cavalieri francesi e italiani, e il sito archeologico di Canne, luogo di scontro tra le truppe romane e quelle cartaginesi, che custodisce i resti della cittadella medievale.




    Architetture religiose



    200px-Barletta_-_Cattedrale_01
    Interno della Concattedrale


    Concattedrale di Santa Maria Maggiore





    200px-Barletta_Cattedrale_retro01

    La Concattedrale di Santa Maria Maggiore costituisce il fulcro principale della vita religiosa della città, nonché il suo cardine urbanistico: il tessuto urbano di Barletta si è infatti sviluppato a partire dal polo ecclesiastico dall'attuale basilica. La chiesa risulta posta al termine del tracciato direttore originario del primo nucleo cittadino. È situata nei pressi del castello, a cui volge le absidi gotiche. L'edificio attuale si presenta come un'architettura non unitaria, costruita nel corso di vari secoli. Si distingue in una parte sotterranea ed una all'odierno livello stradale e risulta essere il frutto di stratificazioni millenarie, che hanno visto il sovrapporsi di tombe a grotticella del III secolo a.C., una basilica paleocristiana del VI secolo con ampliamenti di epoca altomedievale, risalenti al IX secolo, e infine l'edificio come si vede oggi, composto da due parti nettamente distinte: quella anteriore tipicamente romanica (XII secolo), e quella posteriore realizzata in forme gotiche (XIV secolo). Il campanile risale invece al XII secolo.

    La chiesa ha raggiunto il suo massimo splendore durante le crociate, fungendo da punto di transito per i pellegrini che si recavano in Terrasanta. Risulta disposta secondo un orientamento est-ovest, con absidi rivolte ad oriente. Caratterizzata da un impianto basilicale, risulta divisa in tre navate con cappelle laterali nell'ala meridionale; presenta nell'area presbiterale un ciborio dietro cui si apre il coro. L'edificio è tornato al suo antico fasto dopo una lunga serie di lavori di restauro durati prima dal 1955 al 1981 e in una seconda fase dal 1981 al 1996.

    Fu elevata a cattedrale dal beato Pio IX con bolla del 21 aprile 1860. È basilica minore dal 1961.Attualmente è concattedrale dell'arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie.




    200px-Barletta_San_Sepolcro_apr06_01
    Il portale ovest d'ingresso

    Basilica del Santo Sepolcro

    Situata in una posizione strategica, nei pressi dei quali si leva il Colosso di Barletta, tra due antichi ed importanti assi di comunicazione viaria, l'adriatica e la via Traiana che conduce a Roma, la basilica del Santo Sepolcro, come dice la sua stessa denominazione, conserva uno stretto legame con la Terra Santa e il Sepolcro di Gesù Cristo. Per tale motivo è stata meta di transito per i pellegrini diretti in Terra Santa e per i crociati in viaggio, dal porto di Barletta, verso Gerusalemme.

    L'edificio fu eretto in forme gotico-borgognone alla fine del XII secolo.La facciata principale presenta una porta con arco ogivale, due archi ciechi e resti del pronao. Caratteristica è la fiancata sinistra caratterizzata da profonde arcate cieche con un portale gotico a baldacchino.

    All'interno la chiesa presenta un impianto basilicale a tre navate, scandite da sette campate, il braccio trasversale del transetto e un'abside terminante per navata; peculiari sono il nartece sormontato da una tribuna, che precede le tre navate su pilastri, con archi e volte ad ogiva risalenti alla fine del XIV secolo, una cupola all'incrocio dei bracci. A sinistra dell'ingresso è posto il fonte battesimale, risalente al XIII secolo. Presso l'altare dell'abside destra si trova una Madonna bizantineggiante del XVI secolo. Nella cappella sovrastante il nartece è posto il Tesoro, che comprende una croce patriarcale binata, un tabernacolo con il Cristo in Maestà in mandorla, una colomba eucaristica in rame dorato, un ostensorio risalente al XII secolo nonché degli affreschi del XIII secolo. Nell'intento di favorire il culto della Croce, nel 1708 venne fondata l'Arciconfraternita del Santo Legno della Croce attualmente ancora esistente.

    Chiese principali


    250px-Chiesa_di_San_Gaetano_01
    La chiesa di San Gaetano

    Chiesa di San Gaetano

    La chiesa di San Gaetano risale al XVII secolo e conserva al suo interno una reliquia della Sacra Spina. È stata fondata nel XVII secolo dall'ordine dei Teatini, giunti a Barletta nei primi anni del secolo. Il complesso edilizio su cui si erge la chiesa era già presente al momento della fondazione ed era sede di una piccola chiesa intitolata a san Giuseppe. Chiesa e convento sono stati poi trasformati, prendendo la denominazione attuale nel 1667. La chiesa è situata lungo via Cialdini, strada su cui si trovano numerosi altri edifici conventuali, quali quello di San Ruggero, Santa Maria della Vittoria e il Monte di Pietà. Nella primavera del 1656 iniziarono i lavori per l'edificazione dell'attuale chiesa; lavori poi sospesi per due anni a causa della peste sopraggiunta durante quello stesso anno e che terminarono nel 1667. Quando l'ordine dei Teatini fu soppresso la chiesa fu affidata ai confratelli della Santissima Trinità,che portarono con sé la preziosa reliquia della Sacra Spina della quale erano divenuti custodi, con il compito di renderle solenne omaggio nella quinta domenica di quaresima, portandola in processione. Da circa vent'anni il rito processionanel è stato sostituito dalla via Crucis, al termine della quale, sul sagrato della chiesa, viene intonato il canto del Christus minore, realizzato dal compositore barlettano Giuseppe Curci.




    250px-Barletta_Chiesa_di_San_Giacomo_Fronte
    La chiesa di San Giacomo

    Chiesa di San Giacomo

    La chiesa di San Giacomo, sita lungo corso Vittorio Emanuele e risalente all'XI secolo, si erge dove in antichità vi sarebbe stato un luogo di culto pagano. Risulta disposta lungo l'asse est-ovest, parallelamente al corso, con altare ad oriente. L'accesso principale in origine non corrispondeva a quello attuale ma era posto sul fronte occidentale. In seguito però l'occupazione del suolo ad ovest della chiesa e la saturazione degli spazi mediante occupazione del suolo con edifici di carattere residenziale, ha portato a spostare l'accesso sul lato nord, dove è oggi, dando luogo al portale che prende il nome di Porta maggiore. Il fronte principale vede la presenza, nel mezzo, di un obelisco con orologio.

    Nel 2001 la chiesa ha subito ingenti lavori di restauro, che ne hanno riportato in luce le linee architettoniche originarie. Sono state ripristinate monofore di varie epoche, il soffitto a capriate del XVIII secolo, nonché la cappella del Santissimo Salvatore con la duecentesca volta a crociera. La chiesa possiede un ricco patrimonio di tavole, tele, oggetti liturgici, reliquiari e paramenti sacri risalenti al periodo compreso tra il XIII e il XX secolo.



    250px-Barletta_portale_apr06_01
    Il bassorilievo sul portale principale della chiesa


    Chiesa di Sant'Andrea

    La chiesa di Sant'Andrea è una delle chiese più antiche della città. Le prime testimonianze documentate risalgono al XII secolo ed individuano nell'area un tempio dedicato al Santo Salvatore. Nel XVI secolo i Della Marra, che erano proprietari dell'edificio religioso, lo donarono ai frati Minori Osservanti, la cui chiesa di Sant'Andrea fuori le Mura era stata distrutta durante il sacco del 1528. La distruzione portò gli Osservanti con il loro complesso conventuale all'interno delle mura. La chiesa ha subito più fasi di costruzione e successivi ampliamenti, che si sono susseguiti fino al Novecento, quanto è stato realizzata l’apertura di una nuova strada a levante della fabbrica, denominato vicoletto Sant'Andrea, oggi via Bruno Marino. La chiesa, divisa in tre navate con cappelle laterali, oggi ha due accessi: uno principale rivolto verso ovest, a cui si accede attraverso una ripida scalinata da via Sant'Andrea, e uno secondario posto a sud, che si apre su uno slargo posto alla medesima quota altimetrica. La chiesa, sottoposta recentemente a restauro conservativo, è stata riaperta.




    Altre chiese

    Quartiere Borgovilla-Patalini

    Chiesa del Cuore Immacolato di Maria in via Barberini
    Chiesa del Santissimo Crocifisso in via Petrarca




    250px-Chiesa_Sacra_Famiglia_Barletta_-_Sede_originaria_01
    Chiesa della Sacra Famiglia in via Canosa


    Chiesa di San Giovanni Apostolo in via delle Querce

    Chiesa di San Paolo Apostolo in via Donizetti
    Chiesa di Santa Maria degli Angeli in viale Marconi

    Quartiere Settefrati



    250px-Barletta_-_Corso_Vittorio_Emanuele_01
    Basilica del Santo Sepolcro



    250px-Barletta_Chiesa_di_San_Giacomo_Fronte
    Chiesa di San Giacomo




    250px-Barletta_Cattedrale_retro01
    Cattedrale di Santa Maria Maggiore

    Basilica del Santo Sepolcro in corso Vittorio Emanuele


    Basilica di San Domenico in corso Garibaldi


    Cappella del Cimitero nel Cimitero in viale del Cimitero



    iconsm
    Chiesa dei Greci in via Madonna degli Angeli




    Chiesa del Buon Pastore in via delle Medaglie d'Oro
    Chiesa del Monte di Pietà in via Cialdini
    Chiesa dello Spirito Santo in via Boggiano
    Chiesa di San Benedetto in via Regina Margherita
    Chiesa di San Filippo Neri in via Scommegna
    Chiesa di San Gaetano in piazza Plebiscito
    Chiesa di San Giacomo in corso Vittorio Emanuele
    Chiesa di San Giuseppe in via Manfredi
    Chiesa di San Michele in via Cialdini
    Chiesa di San Nicola in via Canne
    Chiesa di San Ruggero in via Cialdini
    Chiesa di Sant'Agostino in piazza Principe Umberto
    Chiesa di Sant'Antonio in via Sant'Antonio
    Chiesa di Santa Lucia in via Cavour
    Chiesa di Santa Maria della Vittoria in via Cialdini
    Chiesa di Santa Maria di Nazareth in via Nazareth
    Chiesa di Santa Marta in via Santa Marta
    Complesso monastico di San Lazzaro in via Manfredi
    Santuario dell'Immacolata in via Milano




    sterpeto-barletta
    Santuario della Madonna dello Sterpeto in viale del Santuario


    La Chiesa, una delle principali della città di Barletta, prende il nome dal luogo in cui sorge, luogo in cui venne ritrovata un’immagine della Madonna nera, per l’intercessione della quale, e di San Ruggiero, venne posta fine ad una terribile pestilenza che invase la città di Barletta.

    La Madonna dello Sterpeto è, insieme a San Ruggiero, patrona della città di Barletta.

    Dove oggi sorge la chiesa di Santa Maria dello Sterpeto, fin dal Medioevo esisteva una piccola chiesetta, probabilmente dei monaci Basiliani. Vi è documentazione, infatti, sull’esistenza di una chiesa, nel territorio di Sterpeto, fin dal 1215.

    L’antica chiesetta venne demolita, per far sorgere il nuovo santuario, dopo che venne proclamata patrona della città anche la Madonna dello Sterpeto, nel 1732, quale riconoscimento per grazia ricevuta da parte del popolo di Barletta, salvato dalla pestilenza.



    [modifica] Quartiere Santa Maria

    Concattedrale di Santa Maria Maggiore in Piazza Duomo
    Chiesa del Purgatorio in corso Garibaldi
    Chiesa di San Cataldo in piazza Marina
    Chiesa di San Giorgio in via San Giorgio
    Chiesa di Sant'Andrea in via Sant'Andrea
    Chiesa di Santa Maria del Carmine in via Mura del Carmine


    Borgate e frazioni

    Chiesa di Santa Maria Annunziata a Montaltino

    Santuario di San Ruggero a Canne della Battaglia




    200px-Ossario_Commemorativo_dei_Caduti_Slavi_-_Esterno
    Ossario Commemorativo dei Caduti Slavi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale

    Ossario Commemorativo dei Caduti Slavi



    All'interno del cimitero locale, sul finire degli anni sessanta è stato eretto il monumento commemorativo dei Caduti Slavi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. La sua costruzione iniziò precisamente nel 1968, in occasione del gemellaggio tra Barletta e la città montenegrina di Herceg Novi, su iniziativa del sindaco Michele Morelli, al quale venne conferita l'onorificenza dell'Ordine della Bandiera Jugoslava con la Corona d'Oro per l'impegno generale nella realizzazione e la costruzione dei sacrari-monumento ai combattenti jugoslavi caduti o deceduti in Italia. Progettato dallo scultore Dušan Džamonja, il monumentale Sacrario di Barletta venne inaugurato il 4 luglio 1970. L'intera struttura ricopre una superficie che descrive un rettangolo avente lati pari a 70 e 20 metri, ergendosi per un'altezza di 11 metri. Interamente realizzata in cemento armato, si sviluppa su due piani, con un notevole effetto scenografico ed architettonico. Custodisce i resti di 825 morti e di altri 463 combattenti dei quali non erano state reperite le spoglie, per un totale di 1288 caduti. I nomi dei partigiani slavi sono scolpiti su due grandi portali di bronzo, posti l'uno di fronte all'altro, in un'ampia sala circolare ed ordinati rispettivamente nei due elenchi dei "Caduti e morti nell'Italia meridionale" (Pali i umrli u južnoj Italiji) e dei "Dispersi sul territorio dell'Italia meridionale" (Nestali na teritoriji južne Italije). Di grande impatto è l'apertura circolare nel pavimento della sala principale, rivestito da un mosaico di colore rosso vivo per simboleggiare il sangue versato dai combattenti jugoslavi in occasione della Resistenza antifascista e antinazista italiana.


    Architetture civili

    Palazzi

    Palazzo Della Marra




    200px-Barletta_-_Palazzo_Della_Marra_01
    Palazzo Della Marra

    Palazzo della Marra, sito in via Cialdini, è uno dei più prestigiosi esempi di architettura barocca in Puglia. Sin dalla metà del 1500, è stato dimora d'importanti famiglie aristocratiche. Costruito su tre livelli, l'edificio è caratterizzato, sul fronte principale, da un balcone la cui facciata risulta riccamente ornata, sorretto da cinque mensole ornate da mostri, cani e grifi. La corte centrale presenta un loggiato e colonne che sorreggono archi. Attualmente è sede al secondo piano, in maniera permanente, della Pinacoteca De Nittis mentre, al primo piano, di mostre temporanee nonché di una sala conferenze.


    Palazzo Santacroce

    Palazzo Santacroce si trova esattamente di fronte alla facciata principale del duomo, tanto da occuparne un'ampia area del sagrato che in precedenza era di dimensioni maggiori. La facciata principale presenta il piano terra bugnato e quello superiore caratterizzato da una perfetta simmetria delle bucature. Il portale d'accesso è dotato di un arco a sesto acuto, inquadrato da una cornice. In asse si trovano poi il balcone di rappresentanza e infine un timpano triangolare.


    Palazzo de Leone Pandolfelli

    Palazzo de Leone Pandolfelli si trova in via Cavour, lungo l'antica "Strada del cambio". Le prime notizie su questo palazzo risalgono al 1418; sono attestati ulteriori rifacimenti durante la metà del XVI secolo. La facciata principale è scandita ai livelli superiori da lesene che intervallano aperture su un balcone che corre lungo l'intero fronte.


    Altri palazzi

    Tra gli altri palazzi presenti in città si ricordano:

    Palazzo Bonelli
    Palazzo Bruotschy
    Palazzo de Martino
    Palazzo degli Arcivescovi Nazareni
    Palazzo dell'arco
    Palazzo della Corte
    Palazzo Esperti
    Palazzo Gentile
    Palazzo Gran Priore
    Palazzo Marulli

    Teatro Curci


    250px-Teatro_Curci_01
    Il Teatro Curci

    Il Teatro Comunale di Barletta, intitolato al compositore Giuseppe Curci, è situato nel pieno centro cittadino, di fronte al Palazzo di Città. L'odierno teatro fu progettato nel 1866 e inaugurato nel 1872. Il primo spettacolo vide l'esecuzione della sinfonia L'Italia redenta, opera del compositore e direttore d'orchestra barlettano Giuseppe Curci. Nel 1906 furono restaurati gli stucchi della parte superiore del prospetto principale del teatro e furono completati i busti in terracotta presenti sul fronte, che raffigurano Gaetano Donizetti, Vincenzo Bellini, Gioachino Rossini, Giuseppe Verdi e Saverio Mercadante. Nel 1960 il teatro fu chiuso perché in precarie condizioni e fu riaperto solo dopo una lunga serie di restauri terminati con l'inaugurazione, alla presenza del presidente del Consiglio Giulio Andreotti, nel 1977. La struttura restò chiusa temporaneamente nel 1988 per ottemperare ai lavori di adeguamento alle norme antincendio.

    Oggi il Teatro Curci costituisce un notevole contenitore culturale per l'intera provincia, sede ogni anno di una stagione teatrale che ha visto negli anni rappresentazioni che variano dalla prosa alla concertistica, dalla danza alla commedia.

    Fa parte del complesso anche la Galleria del Teatro, adiacente ad esso e posta sul suo fianco orientale, attualmente utilizzata per la trasmissione pubblica in videoconferenza delle sedute del consiglio comunale cittadino e per mostre d'arte.


    Villa Bonelli

    Costituisce un esempio unico nel territorio barlettano di villa extra moenia, circondata da giardini che custodiscono specie arboree tipiche della regione. Villa Bonelli conobbe il suo massimo splendore nei primi decenni del XIX secolo, quando i lavori di restauro e di ampliamento voluti dal conte Raffaele e da suo figlio Giuseppe ne fecero una delle più belle ville di Puglia. È costituita da un salone delle feste, da una cappella, scuderie e un "giardino eclettico" corredato da fontane, serra e un campo di minigolf. Ai primi del Novecento l’edificio e il parco cominciarono a conoscere un declino che avrebbe portato alla chiusura del complesso. La villa è stata restituita ai cittadini nel corso del 2008 in seguito a lavori di riqualificazione che ne hanno permesso il ritorno al suo antico splendore.

    Architetture militari




    200px-Mura_di_Barletta_02
    Mura di Barletta lungo un tratto di via Mura San Cataldo

    Le mura della città


    Le prime mura urbiche furono edificate dai Normanni, che occuparono il territorio barlettano tra l'XI ed il XII secolo. Le mura cingevano allora l'originario nucleo di Santa Maria. Durante la dominazione sveva l'imperatore Federico II ampliò il fortino normanno edificando la sua domus, individuabile nell'attuale sede della Biblioteca Comunale. Con l'arrivo degli Angioini vi furono nuovi lavori sulla cinta muraria, per proteggere l'area più a sud, un ampliamento del castello con la costruzione del palatium sul lato nord, abbattuto in seguito dagli Aragonesi, e lo scavo del fossato intorno al castello.

    Il periodo aragonese modificò significativamente il tracciato delle mura, fino a cingere un'ampia parte dell'edificato attualmente appartenente al quartiere San Giacomo-Settefrati. Fu in questo periodo che il castello assume la definitiva ed attuale conformazione architettonica. Nel 1860 ebbe inizio l'abbattimento della cinta muraria che ostacolava l'espansione edilizia, il commercio con le città limitrofe e la costruzione della ferrovia con la relativa stazione e degli stabilimenti industriali.Oggi dell'antica cinta muraria restano:

    il castello;
    tutte le mura "a mare" (mura del Carmine, dal nome dell'omonima chiesa) che partono da Porta Marina per arrivare al Paraticchio.
    un frammento a nord-ovest nei pressi del fossato del castello e ad esso attiguo;
    il bastione, localmente conosciuto come il "Paraticchio", che si affaccia sugli arenili della litoranea di ponente;
    Porta Marina nell'omonima piazza.

    Il castello


    950px-Barletta-_panoramica_del_castello
    Panoramica del Castello di Barletta

    La costruzione ha forma quadrangolare con, agli spigoli, le caratteristiche torri-bastioni lanceolate. L'edificio è il risultato di una sovrapposizione di edificazioni e demolizioni susseguitesi nei secoli operate dalle varie dominazioni. Il nucleo originario, risalente all'XI secolo, è normanno, come testimonia la Torre maggiore inglobata nell'area meridionale dell'attuale edificio. Durante le crociate divenne abituale ricovero per i cavalieri in partenza e in arrivo dalla Terra Santa. Evidente è il lascito di Federico II di Svevia, testimoniato nel lato sud da finestre ogivali che presentano l'aquila imperiale scolpita nelle lunette, motivo ricorrente dell'iconografia sveva. Nel 1228 l'imperatore tenne qui la dieta in vista della partenza per la sesta crociata.




    400px-Barletta_Castello_SE_2008_Ott21
    Il castello

    Il castello così come lo vediamo oggi è stato realizzato a partire dal 1532, per volere del re spagnolo Carlo V. Nel 1867 fu acquistato dal Comune di Barletta, divenendo in seguito un deposito d'armi ed un carcere. Il 24 maggio 1914 la struttura fu bersagliata dalla corazzata austriaca Helgoland, alla quale si oppose il cacciatorpediniere Turbine evitando al castello ulteriori danneggiamenti. Durante la seconda guerra mondiale al suo interno fu stanziato un presidio militare che nel settembre del 1943 si oppose tenacemente all'esercito tedesco che intendeva occupare la città.

    Nel 1973 si decise di sottoporre il castello, che versava in un notevole stato di degrado, ad un lungo restauro, restituendolo al suo splendore nel 1988. Nel 2001 sono stati effettuati lavori di riqualificazione, conclusisi il 7 dicembre 2002, dei Giardini del Castello, oggi tra i cuori pulsanti della vita cittadina e vera e propria cerniera tra la litoranea di levante e il centro storico. Attualmente è sede della biblioteca comunale, del museo civico e pinacoteca e del lapidarium. Tra i pezzi più importanti qui conservati vi sono il Sarcofago degli Apostoli, prima testimonianza cristiana a Barletta, e un busto di Federico II del XIII secolo.


    Porta Marina


    250px-Barletta_-_Porta_Marina_03
    Porta Marina

    Porta Marina costituisce l'unico esempio rimanente delle antiche porte che cingevano la città di Barletta. È situata nella piazza omonima e verso essa confluiscono via Mura San Cataldo, via Mura del Carmine e via Marina, che porta e prosegue, attraversando la piazza, fino alla Cantina della Disfida.

    Porta Marina non è sempre stata situata nel medesimo punto: quella originaria si trovava al termine meridionale di via Sant'Andrea e al suo fianco trovava posto l'antico Palazzo della Dogana. Nel 1751 fu costruita la nuova porta, come testimonia l'iscrizione lapidea presente sulla parte superiore della porta, che si affaccia verso il mare, affiancata dalle armi della città e dallo stemma borbonico. Attualmente nei pressi della porta sono in corso indagini archeologiche al fine di accertare la presenza, sotto il livello stradale attuale, di un pozzo in corrispondenza della rotonda posta al centro della piazza


    Il Colosso



    200px-Colosso_di_Barletta_apr06_01
    Il Colosso di Barletta

    La gigantesca statua in bronzo si erge in corso Vittorio Emanuele, nei pressi della basilica del Santo Sepolcro, sopra un basamento alto circa un metro. Restaurata durante il Medioevo, è caratterizzata da un uomo in vesti imperiali tardo-romane e bizantine, come mostrano il diadema e l'indumento circolare tipico dei militari di alto rango, presenti sul capo. La statua, nota a livello cittadino come "Eraclio", in realtà è di incerta identificazione. Quelle finora proposte sono state Valentiniano I, Teodosio I, Arcadio di Bisanzio, Onorio, Marciano di Bisanzio, Leone I di Bisanzio e Giustiniano I. Recentemente si è anche parlato dell'imperatore Teodosio II, all'età di quarant'anni, nel suo massimo momento di splendore, mentre il committente sarebbe Valentiniano III. Le indagini storiche effettuate fanno risalire le sue origini alla prima metà del V secolo e sostengono la costruzione della statua a Ravenna, eretta da Valentiniano III. Sembra che Federico II abbia ritrovato la statua intorno al 1231 e nel 1240 avrebbe ordinato che venisse trasportata in Puglia, insieme ad altre opere d'arte; destinazione avrebbe dovuto essere Melfi, ma la morte dell'imperatore avrebbe causato un'improvvisa interruzione del trasporto, che avrebbe lasciato per sempre il gigante nella città di Barletta. In contrasto con chi sostiene che la statua sia stata trafugata durante il sacco di Costantinopoli nel 1204 e lasciata sulle spiagge di Barletta, analisi chimiche inquadrate negli ultimi restauri non hanno riscontrato alcun segno di un'eventuale presenza in mare della statua.


    La cantina della Sfida


    Nota anche come Osteria o Casa di Veleno, risalente al periodo compreso tra il XIV e il XV secolo, è il luogo in cui secondo la tradizione cavalleresca, durante un banchetto allestito in onore dei francesi, sconfitti durante uno scontro con gli spagnoli, avvenne lo scontro verbale tra il Charles de La Motte e il capitano spagnolo don Diego di Mendoza. Il diverbio sfociò nell'offesa, fatta da quest'ultimo nei confronti del condottiero d'oltralpe, paragonando il loro valore a quello degli italiani, suoi alleati e condusse alla battaglia meglio nota come la Disfida di Barletta, tra tredici italiani e altrettanti francesi. La Cantina è aperta al pubblico ed è visitabile tutti i giorni, tranne il lunedì.

    Siti archeologici



    200px-Menhir_di_Canne
    Menhir di Canne

    Canne

    Nel territorio barlettano è presente il sito di Canne, ossia il luogo in cui si svolse le celebre Battaglia di Canne (2 agosto del 216 a.C.), in cui i Romani subirono la pesante sconfitta ad opera dei Cartaginesi di Annibale. Ormai in ginocchio, Canne non riuscì più a risollevarsi. Il lento ma inesorabile esodo dei suoi cittadini portò la maggior parte di questi ad emigrare nella vicina Barletta. Le rovine della cittadella restarono isolate e disabitate tanto che nel 1303 il suo territorio fu annesso, per volere di Carlo II d'Angiò, a quello della più estesa Barletta.

    Il sito archeologico è caratterizzato dalla duplice presenza dell'Antiquarium e del Parco Archeologico con le rovine della cittadella medievale, distrutta definitivamente nel 1083. Nei dintorni della cittadella sono stati ritrovati i resti di un villaggio apulo, tra cui un menhir, e quelli di una necropoli. Il menhir, scoperto nel 1938, è alto circa tre metri ed è situato nei pressi della strada che conduce da Canne alla SS 93 per Canosa.

    Tra il 2002 e il 2005 sono state condotte indagini archeologiche nell'area del complesso termale di San Mercurio, che hanno messo in luce una cisterna con il relativo impianto idrico. Nell'estate del 2008 l'Amministrazione comunale, d'intesa con l’Archeoclub, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia e la Direzione dell'Antiquarium di Canne della Battaglia, ha promosso un campo di ricerca didattico di scavo archeologico, al fine di recuperare e valorizzare il territorio cannese e in particolar modo il complesso termale.


    Aree naturali


    Il Parco naturale regionale Fiume Ofanto è un'area naturale protetta istituita nel 2003 dalla Regione Puglia di cui fa parte la città di Barletta, insieme ai comuni di Canosa di Puglia, San Ferdinando di Puglia, Candela, Ascoli Satriano, Cerignola e Margherita di Savoia.


    Musei



    200px-Busto_di_Federico_II_di_Svevia
    Busto di Federico II di Svevia, conservato nel Castello di Barletta

    I principali musei della città sono:

    Pinacoteca De Nittis la cui sede è il Palazzo Della Marra, che comprende permanentemente la collezione De Nittis e che periodicamente ospita mostre temporanee;
    Museo civico e pinacoteca di Barletta la cui sede è il castello di Barletta all'interno delle cui sale sono conservate le collezioni Immesi, Gabbiani e Ricci;
    Museo della Cattedrale, che oltre ai numerosi reperti cristiani di notevole pregio e valore custodisce un archivio di oltre duemila pergamene e manoscritti, alcuni dei quali risalenti al IX secolo;
    Casa-Museo Cafiero, ossia la residenza dell'anarchico Carlo Cafiero, nato a Barletta;
    Antiquarium di Canne, il museo presente nel sito archeologico di Canne, che documenta gli insediamenti umani nel territorio di epoca preistorica, classica, apulo-greca e medievale. Presenta inoltre una ricca collezione di vasi dauno-peucezi dipinti a disegni geometrici risalenti al IV-III secolo a.C., provenienti dai sepolcreti di Canne;
    Tesoro della Basilica del Santo Sepolcro, custodito nella Basilica del Santo Sepolcro e che comprende diverse oreficerie sacre, alcune delle quali provenienti dalla Palestina;
    Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli che al suo interno conserva l'antica iconostasi, che occupa l'intera parete minore della chiesa.


    Cucina




    250px-Cartellate
    I ccarteddat - Le cartellate


    250px-Orecchiette_pugliesi
    I strascenat - Le orecchiette

    La gastronomia barlettana annovera numerosi prodotti appartenenti alla tradizione agricola e marinara.

    Paste fresche e prodotti della panetteria, pasticceria

    Cartellate: costituiscono uno tra i piatti tipici maggiormente degni di nota, ossia dei nastri di una sottile sfoglia di pasta, ottenuta con farina, olio e vino bianco, avvolta su sé stessa sino a creare una forma che somiglia ad una sorta di rosa coreografica, con cavità ed aperture, che poi verrà fritta in abbondante olio d'oliva. Infine la tradizione barlettana vuole che vengano impregnate di vincotto o di miele. Questa specialità è tipica del periodo natalizio.
    Calzoncelli: oltre alle cartellate, utilizzando i medesimi ingredienti, vengono realizzati i cosiddetti calzoncelli farciti di mostarda. La loro preparazione è solitamente parallela a quella delle cartellate ed infatti se ne utilizza la stessa sfoglia di pasta, tagliata però creando una forma rettangolare sulla quale viene spalmata della mostarda, marmellata d'uva. La pasta rettangolare viene poi ripiegata in due, in modo da contenere la marmellata al suo interno. Dopo la frittura in olio abbondante, come nel caso delle cartellate, si impregnano i calzoncelli di vincotto o di miele.

    Tra gli altri piatti tipici di rilievo vi sono:

    cavatelli
    dolci di pasta di mandorle
    lagane
    orecchiette
    scarcelle.


    Prodotti vegetali


    Mostarda: viene realizzata facendo cuocere a fiamma lenta gli acini dell'uva svuotati dei noccioli. Al termine della cottura si ottiene una marmellata di colore scuro a cui è possibile aggiungere zucchero e noccioline, oltre che frammenti di cioccolata. Il prodotto può essere conservato a lungo e viene utilizzato per farcire il dolce locale dei calzoncelli.

    Tra gli altri piatti tipici di rilievo vi sono:

    lampascioni sott'olio o sott'aceto
    marmellata di fichi
    olio extravergine d'oliva
    salsa di pomodoro
    vincotto.


    Vino

    Le campagne barlettane sono ricche di vigneti, oltre che di oliveti. La produzione vinicola barlettana è assistita anche da numerose cantine presenti a Barletta e in tutto il territorio circostante. È possibile produrre nella provincia di Barletta-Andria-Trani i rinomati Rosso Barletta e Rosso Barletta Invecchiato, due vini DOC ottenuti da vitigni di uva di Troia.

    Eventi

    Rievocazione storica della Disfida di Barletta

    Si tratta di una rievocazione storica della leggendaria Disfida di Barletta, che si tiene il 13 febbraio di ogni anno e durante tutta la prima settimana di settembre, con una serie di iniziative promosse dal comune di Barletta. L'evento di maggior rilievo è il certame cavalleresco. L'intero centro storico viene addobbato per l'occasione con stendardi, scudi e fiaccole che illuminano i vicoli. Si inscena dunque un corteo con sbandieratori, trombonieri, cavalieri e dame, in cui spesso si avvicendano personalità del mondo dello spettacolo e nel fossato del castello si tiene una rappresentazione della battaglia avvenuta tra Ettore Fieramosca e Charles de la Motte, che ogni volta si conclude con il francese inerme, sceso da cavallo, che subisce il colpo finale di Fieramosca.


     
    Top
    .
  7. tomiva57
     
    .

    User deleted


    molfettavecchia





    Molfetta

    260px-Molfetta_-_panorama_del_porto


    da: wikipedia
    foto web



    Molfetta (Melfétte in dialetto barese) è un comune italiano di 60.159 abitanti della provincia di Bari, in Puglia. È il comune non capoluogo più popoloso a nord di Bari. La città, che sorge 25 km a nord-ovest di Bari, sulla costa del mare Adriatico, ha sempre avuto un rapporto simbiotico con il mare.
    Tuttavia il territorio, pur non molto esteso, ha avuto una vocazione prevalentemente agricola, almeno fino al termine del XX secolo, prima cioè che vi trovasse insediamento una vasta zona industriale (ASI), ancora in fase di ampliamento.
    La campagna, infatti, prevalentemente coltivata a uliveto spesso misto a mandorleto e con rari appezzamenti in cui fino agli anni sessanta si coltivava la vite, si è lentamente trasformata. Da alcuni decenni si sono diffuse la floricoltura (in serre) e la coltivazione in serra anche degli ortaggi mentre vaste aree costiere, specialmente verso Bisceglie, da oltre un secolo coltivate a orto, stanno inesorabilmente mutando la propria destinazione, sia sotto la enorme pressione che l'imprenditoria edile esercita sul territorio, sia alla luce delle inevitabili trasformazioni che il piano per il nuovo porto, avviato nella primavera del 2008, comporterà.
    Riconosciuta e popolare per la cittadinanza molfettese è la festa patronale della Madonna dei Martiri che si tiene l'8 settembre con la tradizionale sagra a mare e anche le suggestive processioni pasquali che ripercorrono le tappe simboliche della quaresima e della passione di Gesù Cristo.
    I luoghi di maggiore attrazione in occasione delle festività religiose sono il Duomo vecchio, il centro storico, la Cattedrale, la Basilica della Madonna dei Martiri, le chiese di San Pietro, del Purgatorio e di Santo Stefano, mentre mete di rilassanti e tonificanti passeggiate sono lo storico porto e infine il Pulo di Molfetta, dolina carsica al cui interno e nei cui pressi sono stati trovati, sin dai primi scavi condotti dal 1900 in poi, reperti archeologici che testimoniano di una presenza antropica risalente al neolitico.
    Tali reperti sono raccolti nel Museo Archeologico del Pulo, che attende da tempo di essere aperto al pubblico, nella nuova sede dell'ex Lazzaretto.



    316px-Molfetta_-_Porto


    Molfetta, che si affaccia sul Mar Adriatico, si trova, a 25 chilometri (distanza ferroviaria tra le stazioni centrali) a nord ovest di Bari, stretta tra Bisceglie a nord-ovest e Giovinazzo a sud-est, in posizione praticamente baricentrica rispetto all'andamento della costa adriatica della Puglia. Sorta anticamente sull'isoletta di Sant'Andrea, l'area urbanizzata ha un fronte mare di circa 3,5 chilometri a levante e altrettanti a ponente rispetto al nucleo antico e al porto.
    Il territorio si estende verso l'entroterra murgiano e confina anche con il comune di Terlizzi, a sud. Dal punto di vista geomorfologico, esso è costituito dalle bancate calcaree del Cretaceo inferiore, piuttosto profondamente carsificate come dimostrato dal sito naturalistico-archeologico del Pulo e dalle profonde voragini carsiche in cui ci si imbatte molto spesso durante gli scavi per la realizzazione dei piani di fondazione dei nuovi edifici, concentrate in particolare lungo i margini delle lame che lo solcano in direzione mediamente perpendicolare alla costa. Le lame stesse costituiscono di per sé una delle forme macroscopiche di carsismo epigeo e rappresentano un forte indizio di presenza di forme carsificate ipogee.


    Clima


    Il diretto contatto col mare e la mancanza di alture rilevanti sono alla base del clima particolarmente mite e scarso di precipitazioni della città di Molfetta. Tuttavia gli sbalzi di temperatura sono repentini e notevoli, a causa dell'afflusso dei venti freddi balcanici e per gli improvvisi acquazzoni, solitamente di breve durata, che periodicamente colpiscono la cittadina, dando un qualche respiro all'economia rurale, storicamente assetata di acqua. Tipica la terminologia che indica, nell'idioma locale, l'effetto che questi acquazzoni, così come le piogge di notevole durata (più giorni), rare per il vero, producono sul terreno agrario, cioè la cosiddetta mena, che descrive l'effetto strisciante del ruscellamento (erosione del suolo) e che non ha, nella lingua italiana, un corrispettivo altrettanto pregnante.
    Vento dominante (cioè di intensità maggiore in assoluto) è la tramontana, mentre il primato di vento regnante è conteso dal maestrale e dal grecale (con una prevalenza per il primo), che sono gli altri venti che spirano dai quadranti settentrionali. Periodicamente, poi, Molfetta è battuta da improvvisi e forti (anche se di breve durata) venti di scirocco (da sud-est), d'ostro (da sud) e di libeccio, localmente detto favonio (da sud-ovest).
    Il clima "percepito", come quello delle città viciniori che affacciano al mare Adriatico, è caratterizzato da una notevole umidità che lo rende particolarmente afoso, nella stagione estiva, e poco ideale (tutto l'anno) per chi soffre di dolori articolari.


    Storia



    Il sacco di Molfetta

    Strada_del_borgo_antico_di_Molfetta
    Strada del borgo antico.


    La mattina del 18 luglio 1529, galere veneziane con a bordo il principe Caracciolo e i soldati al comando del Barone di Macchia, insieme a truppe terrestri comandate da Federico Carafa, si diressero alla volta di Molfetta per impossessarsene. Intanto in città si sparse subito la voce dell'attacco imminente, tuttavia la popolazione non si curò di allestire le dovute difese, sicura delle proprie mura.
    Il Capitano di guerra del governo imperiale Ferdinando di Capua (incaricato di capeggiare le operazioni di difesa), all'udire il suono di una tromba - segno di richiesta di resa da parte dei nemici - giungere da una galera approdata nel porto molfettese, si attivò nell'organizzazione della difesa per cui fu respinto l'ultimatum.

    L'attacco iniziò, dopo varie ore spese in sberleffi vicendevoli, per mano veneziana quando i medesimi decisero, chi scavalcando le fortificazioni, chi intrufolandosi di nascosto attraverso il canale di scolo nei pressi del Duomo, di irrompere in città. Nonostante la valorosa e strenue resistenza opposta da Ferdinando di Capua assieme a pochi animosi popolani, la città fu invasa dai francesi. Quantunque Caracciolo avesse ormai preso possesso del luogo, nelle ore successive continuarono intrepidi a combattere alcuni irriducibili molfettesi che arrivarono a eliminare svariati soldati occupanti.

    Queste uccisioni provocarono le ire dei conquistatori che per tre giorni misero a ferro e fuoco la città, dal 18 al 20 luglio 1529. Molti rivoluzionari furono arsi vivi e le strade erano intasate dai cadaveri. I danni per la città furono incalcolabili. Su una popolazione di 5000 residenti si contarono almeno 1000 morti.


    300px-Porto_di_Molfetta

    Il territorio molfettese risulta abitato sin dalla Preistoria. A questa fase risalgono, infatti, gli insediamenti più antichi, necropoli e tracce di capanne, rinvenuti nell'area circostante alla città (fondo Azzollini e viciniori) e presso il sito archeologico-naturalistico del Pulo, dolina carsica di crollo a circa un chilometro e mezzo dal centro urbano.
    L'origine della città vera e propria risale presumibilmente all'era romana. Alcuni ritrovamenti fanno pensare all'esistenza di un villaggio di pescatori già intorno al IV secolo a.C. Questa ipotesi sembra essere plausibile, dato che, per la sua posizione, il villaggio offriva un ottimo approdo per il commercio di Rubo (Ruvo di Puglia). La prima indicazione dell'esistenza di un villaggio tra Turenum (Trani) e Natiolum (Giovinazzo) è piuttosto tarda e si ritrova nell'Itinerarium Provinciarum Antonini Augusti, iniziato nel 217 d.C.. Questo luogo era denominato Respa, probabilmente un'erronea trascrizione del toponimo Melpha.
    Il primo documento ufficiale che attesta l'esistenza di Molfetta risale al 925. Questo atto riferisce di una "civitas" denominata Melfi. L'iniziale borgo era situato su una penisola chiamata Sant'Andrea. L'antico villaggio si sviluppò ulteriormente sotto l'alterno dominio dei Bizantini e dei Longobardi. Nel 988 i saraceni distrussero alcuni casali situati nell'entroterra molfettese. Passata sotto il dominio dei Normanni, la città fu occupata, forse nel 1057, da Pietro, figlio di Amico (I) Conte di Trani, avversario di Roberto d'Altavilla detto “il Guiscardo”. Fu lo stesso Guiscardo a cacciare Pietro e occupare Molfetta fra il 1057 e il 1058. Nel 1066 Conte di Molfetta era Gozzulino (de la Blace o de Harenc), suocero di Amico (II). Nel periodo 1073-93 Amico (II) fu signore di Molfetta, anche se ancora per diverso tempo (sino al 1100) la città restò sotto l'influenza bizantina. Nell'ottobre del 1100 Goffredo, figlio di Amico (II), era dominus (= signore) di Molfetta.
    Tra la fine del 1133 e la primavera del 1134, Molfetta fu concessa da re Ruggero II a Roberto (I) di Basunvilla, suo cognato. Alla morte di quest'ultimo, avvenuta prima del 1142, Roberto (II) di Basunvilla, figlio di Roberto (I) e di Giuditta, sorella di Ruggero II, divenne il nuovo signore di Molfetta. A Roberto (II), morto il 15 settembre del 1182, subentrò (sino al 1187) sua sorella Adelasia. Successivamente, Molfetta, appartenente alla contea di Conversano, entrò a far parte del demanio fino al 1190, anno in cui la stessa (contea) fu concessa a Ugo Lupino. Dopo la sua morte, avvenuta intorno al 1197-98, non lasciando eredi diretti, l'imperatrice Costanza, durante la sua reggenza del regno (dal 29 settembre 1197 al 28 novembre 1198, giorno della sua morte), infeudò Molfetta nel regio demanio. La scomparsa dell'imperatrice e la minore età di Federico II crearono una situazione che, artatamente, ricondusse Molfetta nella contea di Conversano, allora amministrata (dal 1207) “ad interim” da Ruggero de Piscina, nipote del defunto Berardo (I) di Celano già Conte di Conversano. Solo dopo il dicembre del 1220 Federico II si riprese Molfetta, già dichiarata città regia o demaniale da sua madre Costanza.
    Nel periodo 1348-52 la città appartenne a Giovanni Pipino, nobile barlettano, conte di Minervino e palatino di Altamura. Nel 1353 Luigi di Taranto concesse Molfetta a suo fratello Roberto d'Angiò, principe di Taranto. Con la scomparsa di Luigi di Taranto e di Roberto d'Angiò, grazie a una bolla di papa Urbano V, in data 25 aprile 1365, Molfetta ritornò città demaniale. Nel 1383, Carlo III di Durazzo, divenuto re di Napoli dopo la morte di Giovanna I, donò la signoria di Molfetta a Giacomo del Balzo, principe di Taranto. L'anno successivo, Giacomo morì e non avendo ricevuto figli, il Principato di Taranto passò a suo nipote Raimondo del Balzo Orsini. In questo periodo la Puglia era teatro di lotta tra i due rami della famiglia angioina, il durazzesco (Carlo III di Durazzo) e il provenzale (Luigi I d'Angiò). Molti signori locali approfittarono di questa situazione. Uno di questi fu il principe di Taranto «Raimundus de Baucio de Ursinis dictus dominus Raimundus». Raimondo parteggiò prima per Carlo III di Durazzo, ma poi passò sotto la bandiera di Luigi I d'Angiò. Alla morte di Luigi I d'Angiò (15 settembre 1384), Carlo III rimase il legittimo re di Napoli, ma anch'egli, all'inizio del 1386, mori assassinato. La lotta per la successione al trono che ne seguì indusse Raimondo ad approfittare di questa ennesima confusione, tanto che egli, o nel medesimo anno (1386) o nel successivo 1387, poté fregiarsi del titolo di "Signore" di Molfetta.
    Il 24 aprile del 1399, re Ladislao concesse alla città l'istituzione di una fiera franca da tenersi dall'8 al 15 settembre di ogni anno. L'8 settembre dello stesso anno (1399) il Signore di Molfetta (Raimondo) e il Vescovo di Molfetta (Simon Alopa) presenziarono, forse, alla prima fiera cittadina (avvenimento non documentato, ma che trova conferma, pur in maniera indiretta, grazie alla presenza degli stemmi delle due eminenti personalità, affissi su una parete dell'atrio della Basilica della Madonna dei Martiri). Il 17 gennaio 1406 Raimondo del Balzo Orsini morì. Un anno dopo, il 23 aprile del 1407, re Ladislao si unì in matrimonio con Maria d'Enghien, vedova del predetto Raimondo, e incamerò tutti i beni del principato di Taranto.
    Per diploma del 4 maggio 1416, nel quale fu riassunto il privilegio concesso dall'imperatrice Costanza e da suo figlio Federico II, la regina Giovanna II confermò Molfetta città demaniale.
    Molfetta dall'XI secolo è sede vescovile. Ebbe commerci con altri mercati del Mediterraneo, tra cui Venezia, Alessandria d'Egitto, Costantinopoli, Amalfi e Ragusa (Croazia). Nel secolo XII, durante le Crociate, il passaggio dei pellegrini diretti verso la Terra Santa diedero alla città una certa rinomanza. Uno di questi pellegrini, Corrado di Baviera, divenne poi il patrono della città.
    Con il passaggio del potere della città dai Durazzo agli Aragonesi, la situazione precipitò, in conseguenza dei difficili rapporti e dei contrasti tra francesi, spagnoli e italiani. Questa situazione portò a guerre e devastazioni in tutto il sud Italia, tra cui il sacco di Molfetta da parte dei francesi tra il 18 e il 19 luglio 1529. Questo episodio marcò notevolmente la città, ostacolandone la rinascita per lungo tempo.
    Con il trattato di Utrecht del 1714, che pose fine alla guerra tra Filippo V e gli stati d'Europa, il Regno di Napoli cessò di essere dominio spagnolo e divenne dominio austriaco. Iniziò così l'occupazione austriaca di Molfetta.
    Dopo un avvicendamento di potere tra francesi e austriaci, la località seguì le vicissitudini dell'Italia unita. Nell'ottobre del 1860 infatti si tenne nella Piazza Municipio di Molfetta, il plebiscito per l'annessione del Regno delle due Sicilie al governo di Vittorio Emanuele II, il cui scontato esito decretò l'annessione del regno all'Italia unificata.
    Assai grande fu il tributo di vite umane che la città pugliese dové subire durante la prima guerra mondiale offrendo alla patria il sacrificio di 500 concittadini, tra cui quello del maggiore Domenico Picca. Dopo alcuni mesi dall'inizio della guerra, la città subì un cannoneggiamento da parte di una unità della marina austriaca e successivamente subì un attacco aereo, che produsse alcune vittime fra la popolazione civile.


    Monumenti e luoghi di interesse


    300px-Cattedrale_di_Molfetta

    Il Duomo di San Corrado.


    300px-Porto_di_Molfetta
    Panorama del porto e del Duomo.



    Fra le bellezze naturalistiche da ammirare nella cittadina pugliese, è sicuramente il Pulo, sprofondamento carsico a pianta sub-circolare, con diametro variabile tra un minimo di 170 a un massimo di circa 180 metri, un perimetro che supera i 500 metri e una profondità intorno ai 30 metri nel punto di maggior dislivello. Sul bordo superiore sono stati ritrovati i resti di un villaggio neolitico: da questa località provengono reperti, soprattutto vasi e strumenti rudimentali neolitici (denominati tipo Molfetta e presenti in tutto il Mar Mediterraneo) e anche resti umani risalenti a età della pietra precedenti, e anche alla (successiva) età del bronzo.
    Il nucleo antico detto Isola di Sant'Andrea forma il primo nucleo urbano attorno al III secolo ed è caratterizzato da una singolare pianta a spina di pesce: qui sorge il Duomo di San Corrado, la più grande chiesa a (tre) cupole in asse del romanico pugliese coronate da due torri campanarie, edificato tra XI e XII secolo. Sempre nel centro antico è situata la barocca Chiesa di San Pietro eretta su una precedente chiesa romanica. Da notare le mura verso terra rimaste nel loro tracciato. Subito fuori dalle mura sorge la grandiosa Cattedrale intitolata all'Assunta, ex convento dei Gesuiti, dove sono poste le ossa del patrono della città San Corrado di Baviera, con busto in argento e oro di scuola napoletana. Di particolare attenzione è un grande quadro del celeberrimo Corrado Giaquinto, pittore molfettese del seicento, a cui è intitolata la Pinacoteca Provinciale di Bari.
    Nei pressi della cattedrale sorge la chiesa del Purgatorio, e, sempre lungo lo stesso asse viario del cosiddetto "borgo" (oggi Via Dante), ma più spostate verso la antica Porta principale del centro storico (quella che si apriva su Via Piazza) sono quelle dedicate alla Santissima Trinità, detta Sant'Anna e al protomartire Santo Stefano, luoghi di profonda religiosità in particolari periodi dell'anno. Poco più distante da queste, in direzione di uscita, verso Bisceglie, dalla Molfetta storica, sorge la chiesa di San Domenico, con annesso convento, oggi riadattato a contenitore culturale (biblioteca, museo e sala conferenze) col nome, ripreso dai documenti d'archivio, di Fabbrica di San Domenico.
    Altro luogo interessante è il cosiddetto Calvario, un tempietto gotico in pietra calcarea, costruito nel 1856 su progetto dell'architetto De Judicibus. Esso si erge a tre livelli su pianta ottagonale, con ciascun piano coronato da una selva di cuspidi e pinnacoli. Alto 20 metri, possiede una guglia sommitale che desta ammirazione e lo rende unico per davvero rispetto agli altri tempietti ad analoga destinazione presenti nei comuni limitrofi, sia per la soluzione scenografica che per la sua leggiadria strutturale.
    A circa 2 km dalla città, in direzione di Bisceglie si trova la basilica-santuario della Madonna dei Martiri. L'impianto attuale della chiesa insiste parzialmente sulla vecchia chiesa dell'XI secolo, di cui resta solo una cupola e la struttura sottostante, dove oggi sorge l'altare. Su un fianco della chiesa è addossato l'Ospedaletto dei Crociati, sempre dell'XI secolo, unico superstite dei due presenti nel complesso della Madonna dei Martiri dopo le ristrutturazioni ottocentesche.
    Sulle provinciale per Ruvo, c'è l'area dei Dinosauri di Molfetta, dove alcuni studiosi, hanno trovato orme di dinosauri, Un'area destinata alle visite nel futuro.




    Duomo di San Corrado


    300px-Duomo1
    Il Duomo di San Corrado, lato mare.

    300px-Duomo_di_Molfetta
    Facciata del Duomo di San Corrado.


    Il Duomo di San Corrado, originariamente dedicato a Maria SS. Assunta in Cielo, è situato ai margini dell'antico borgo di Molfetta, di fronte al porto. Costruito fra il 1150 e la fine del Duecento, costituisce un singolare esempio dell'architettura romanico-pugliese. Essa è infatti la maggiore delle chiese romaniche con la navata centrale coperta a cupole in asse (tre, nel caso specifico) impostate su tamburo a pianta esagonale, rispetto alle altre (comprese le quattro Basiliche Palatine) aventi la copertura del tipo a capriate e tegole sovrapposte.
    La costruzione, a pianta basilicale asimmetrica, è diviso in tre navate da pilastri cruciformi con colonne addossate e la navata centrale presenta una copertura a tre cupole in asse, come già riportato, di altezza variabile (quella centrale è considerevolmente più alta delle due di estremità), mentre le navate laterali sono coperte con tetti spioventi, a una falda ciascuna, con tegole costituite da chiancarelle della stessa tipologia della copertura dei famosi trulli della valle d'Itria. Stesso tipo di chiancarelle, assemblate a punta di diamante con sei falde convergenti al centro verso l'alto per ciascuna cupola (allo scopo di assecondare la pianta esagonale dei tamburi di base), ricopre le tre cupole centrali.
    La facciata rivolta a occidente, che oggi appare quella principale, è spoglia, a differenza di quella di mezzogiorno, che presenta tre finestre tardo rinascimentali, stemmi di alti prelati, un'immagine di papa Innocenzo VIII e le statue di San Corrado e San Nicola. Ciò si spiega col fatto che all'epoca della costruzione e fino al 1882 quella facciata, così come tutto il prospetto occidentale della città vecchia erano a picco sul mare, così come testimoniato dalle rare fotografie antecedenti alla costruzione della Banchina Seminario, in coincidenza con la costituzione della prima tranche del nuovo porto, cioè quello attuale (2007), conclusasi intorno al 1882, appunto.
    Il complesso strutturale è serrato tra due, maestose e leggiadre allo stesso tempo, torri campanarie. Queste (quella di mezzogiorno detta campanaria perché sede fisica del campanile, l'altra, più prossima al lato mare, di vedetta perché utilizzata a tale scopo per il preventivo avvistamento di eventuali incursioni saracene) sono gemelle, di base quadrata, a tre ripiani, alte 39 metri, aperte sui quattro lati da finestre bifore e monofore.
    Nell'interno il corredo artistico è scarno ma essenziale; un fonte battesimale del 1518, un prezioso paliotto con bassorilievo del XIV secolo, un pluteo in pietra del XII secolo che rappresenta una cerimonia pontificale e il Redentore del XIII secolo. Caratteristica è l'acquasantiera raffigurante un uomo, probabilmente saraceno, che regge un bacile in cui nuota un pesce, simbolo ricorrente nell'iconografia religiosa.
    In origine il Duomo fu dedicato a Maria SS. Assunta e fu l'unica parrocchia esistente a Molfetta fino al 1671. Nel 1785 la sede della Cattedrale fu trasferita all'attuale Cattedrale di Maria SS. Assunta in Cielo e da allora il Duomo Vecchio prese il nome del patrono San Corrado.


    Cattedrale di Santa Maria Assunta


    200px-Molfetta_-_Cattedrale_di_Santa_Maria_Assunta
    Facciata della Cattedrale di Santa Maria Assunta.


    La Cattedrale di Maria SS. Assunta - la cui maestosa facciata ultimata nel 1744, dopo anni di lavori avviati nel periodo compreso tra aprile del 1610 e luglio del 1611 e proseguiti nel XVIII secolo - fu edificata unitamente al collegio dei Gesuiti.
    Sulla suddetta facciata, in alto, è collocata una grande statua marmorea di Sant'Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù. Responsabili della costruzione dell'edificio furono i padri Gesuiti fino al 1773; successivamente fu sottoposta a lunghi restauri durante i quali fu ampliata l'abside, furono rifatti la pavimentazione, la sagrestia e il battistero e fu eretto il campanile.
    Divenuta Cattedrale nel 1785, essendo ormai il Duomo di San Corrado divenuto insufficiente alle esigenze di culto dell'aumentata popolazione, in essa si conservano, in un'urna d'argento, le spoglie del patrono san Corrado di Baviera.
    Fra le altre opere custodite nella Cattedrale ricordiamo la Dormitio Mariae attribuita allo Scacco (XVI secolo), il monumento sepolcrale del naturalista e storico molfettese Giuseppe Maria Giovene, posto a sinistra dell'altare dedicato a San Corrado e su questo la magnifica tela del Giaquinto raffigurante l'Assunzione della Madonna in cielo.
    In uno degli Altari laterali della Cattedrale, si conservano, alla venerazione dei fedeli, la Mitria e il Pastorale appartenuti al Servo di Dio don Tonino Bello, in odore di Santità.



    Basilica della Madonna dei Martiri

    300px-Basilica_della_Madonna_dei_Martiri_a_Molfetta
    Basilica della Madonna dei Martiri.

    La costruzione del nucleo primitivo della chiesa (corrispondente, nell'assetto odierno, alla sola area occupata dall'altare maggiore) ebbe inizio nel 1162.
    La chiesa attuale, infatti, non coincide con quella originaria perché intorno al 1830 l'edificio sacro subì rilevanti modifiche.
    La Chiesa, proclamata Basilica Pontificia Minore nel 1987, accoglie al suo interno pregevoli dipinti tra i quali encomiabile un'immagine della Madonna dei Martiri, trasportata dai Crociati nel 1188, particolarmente cara ai molfettesi, in special modo ai marinai.
    Altre opere artistiche conservate nell'edificio religioso sono: la Madonna del Rosario risalente al 1574 e attribuita a Michele Damasceno, la Visitazione di Maria, la Morte di San Giuseppe, un'Adorazione dei Magi e una statua lignea di Maria SS. dei Martiri eseguita nel 1840.
    A destra dell'altare maggiore, in un'angusta cripta cui si accede scendendo alcuni ripidi gradini in pietra, è situata una riproduzione fedele del Santo Sepolcro, realizzata a spese del notaio molfettese Francesco Lepore prima del 1497 (anno in cui risultava essere già deceduto) con 62 pietre, si dice, da lui portate dalla Terrasanta.
    Accanto alla chiesa è situato un edificio a tre corsie comunemente detto "Ospedale dei Crociati" che è quello che resta dell'antico "Ospedale dedicato a Santa Maria e ai santi martiri", edificato in epoca successiva (al 1162), dove si fermavano i pellegrini (martiri di Cristo) di passaggio a Molfetta durante il viaggio da e per Gerusalemme. Ospedale è qui da intendersi nel senso etimologico di hospitalis (da hospes, hospitis = ospite), luogo di accoglienza e ristoro, per il corpo e per la mente.


    Chiesa del Purgatorio


    Purgatorio+031

    La chiesa del Purgatorio, dedicata a Santa Maria Consolatrice degli Afflitti, fu edificata a partire dal 15 agosto 1643 per volontà del sacerdote Vespasiano Vulpicella, su un terreno comunale denominato delli Torrionj, acquistato l'anno prima (22 agosto 1642). Costruita in pietra locale fino al 1655 e consacrata il 6 dicembre del 1667, presenta una magnifica facciata in stile tardo-rinascimentale, su cui si apre un unico portale di ingresso, fiancheggiato da quattro statue collocate in nicchie dei Santi: Pietro, Stefano, Paolo e Lorenzo. All'interno del tempio sono custodite tele di Bernardo Cavallino (XVII secolo) e di Corrado Giaquinto oltre che la statua dell'Addolorata (che viene recata in processione il venerdì di Passione) e le sei statue in cartapesta, tutte opere dello scultore cittadino Giulio Cozzoli, culminanti nello struggente gruppo della cosiddetta "Pietà", che vanno in processione il Sabato Santo.
    Questa chiesa, che esercita un fascino indiscutibile su gran parte della popolazione molfettese, è fatta oggetto di un culto intenso da devoti provenienti anche dagli stati esteri verso i quali sono emigrate molte famiglie nei tempi passati e la devozione si è tramandata di padre in figlio. Ciò è dovuto sicuramente al culto particolarmente partecipato che ispira la presenza delle statue dell'Addolorata e soprattutto della Pietà (ispirata da quella più famosa del Michelangelo) che è il fulcro della processione in cui culminano, il Sabato Santo, le celebrazioni della Settimana Santa, prima della Veglia Pasquale.
    Questa chiesa ha la particolarità, non essendo una "parrocchia", che è l'unica nella quale possono essere celebrate le esequie di domenica, poiché nelle altre non si possono interrompere le funzioni domenicali.


    Chiese minori

    300px-Cattedrale_Molfetta
    Suggestiva inquadratura del Duomo.


    Chiesa della Santissima Trinità

    La Chiesa della SS. Trinità è formata da un'unica navata ed è completata da un piccolo campanile a vela. Situata lungo il Corso Dante, accanto a quella dedicata a Santo Stefano, è meglio conosciuta come chiesa di Sant'Anna. Le prime notizie risalgono al 1154, epoca in cui apparteneva ai Padri Benedettini della Santissima Trinità di Venosa.



    Chiesa del Sacro Cuore di Gesù


    Molfetta_-_Chiesa_del_Sacro_Cuore_di_Ges%C3%B9

    La Chiesa del Sacro Cuore fu edificata dall'architetto piemontese Giuseppe Momo sul suolo del vescovo molfettese Pasquale Gioia, il quale pose la prima pietra della chiesa nel 1926. Nell'anno successivo la chiesa fu aperta al culto e consacrata. Il robusto complesso ecclesiale, a tre navate, è accompagnato dal maestoso campanile in pietra con cuspide terminale, alto 41 m.


    Chiesa di San Domenico


    dom

    La costruzione della chiesa fu iniziata nel 1636 e ultimata dopo circa mezzo secolo. La consacrazione risale al 1699. La facciata principale, in stile barocco, è preceduta da un pronao con tre archi a tutto sesto; nelle nicchie laterali sono collocate le statue di Santa Caterina d'Alessandria e di Santa Maria Maddalena, protettrici dell'ordine domenicano. Nella chiesa sono conservati due pregevoli esempi di arte barocca locale tra cui una tela di Corrado Giaquinto (XVIII secolo) raffigurante la Madonna del Rosario.


    Chiesa dell'Immacolata


    immacolata

    La costruzione della Chiesa dell'Immacolata fu iniziata nel 1874 e successivamente i lavori, sospesi per mancanza di fondi, furono portati a termine grazie ai finanziamenti di munifici benefattori. La chiesa fu aperta al culto nel 1892 ed elevata a parrocchia nel 1895. L'interno, in stile neoclassico come la facciata, è diviso in tre navate da imponenti colonne di granito scuro sormontate da capitelli ionici. Il campanile, che si eleva maestoso alle spalle della chiesa, è alto 34 m ed è caratterizzato nella parte terminale da elementi ornamentali che ricordano lo stile barocco.


    Chiesa di San Gennaro


    Molfetta_-_Chiesa_di_San_Gennaro

    La costruzione della chiesa, iniziata nel 1788, fu ultimata nel 1820 e la sua consacrazione avvenne il 17 giugno del successivo anno (1821). Fu la prima chiesa eretta extra moenia, cioè fuori della cinta muraria della città vecchia. Essa porta il nome del suo fondatore, Monsignor Gennaro Antonucci, che nel 1785 la elevò a parrocchia. Presenta una pianta a croce latina ed è comunemente denominata "la Parrocchia".

    Chiesa di Santo Stefano



    Chiesa+di+S_+Stefano+025

    La Chiesa di Santo Stefano, le cui prime notizie risalgono al XIII secolo, fu ricostruita nel 1586. All'interno della chiesa sono conservati il dipinto raffigurante la Madonna con l'Arcangelo, il Tobiolo di Corrado Giaquinto, una statua lignea di San Liborio alta 1,60 m di autore sconosciuto del XVII secolo e la statua di Santo Stefano protomartire, in cartapesta, opera di Giulio Cozzoli. Nella chiesa inoltre sono custoditi i 5 Misteri che vengono portati in processione il Venerdì Santo.


    Chiesa di San Bernardino da Siena


    ber

    La Chiesa di San Bernardino è tra le più antiche di Molfetta. Essa fu edificata nel 1451 e restaurata e ampliata nel 1585 in seguito ai danni riportati durante il sacco di Molfetta del 1529. Fra le rilevanti testimonianze artistiche conservate nel suo interno si ricordano le tele "l'Adorazione dei pastori" e il "San Michele Arcangelo", realizzate nel periodo 1596-97, dal pittore fiammingo Gaspar Hovic e un Polittico della Visitazione realizzato, forse, da un anonimo maestro dei Santi Severino e Sossio (1483).
    All'interno della Chiesa, si può ammirare la Cappella Passari, in pietra bianca leccese detta "pietra di seta" per la sua grande duttilità e fragilità. Recentemente restaurata, la Cappella Passari si sviluppa in altezza ed ha una struttura prospettica di grande impatto. Al suo interno, sono collocati due dipinti di Francesco Cozza: la Madonna del Cucito e la Fuga in Egitto.

    Chiesa di Sant'Andrea Apostolo

    sandrea

    La Chiesetta di Sant'Andrea, collocata in Via Piazza, nell'antico borgo, esisteva già nel 1126. Rifatta nel XVI secolo, come si deduce dalle iscrizioni poste sul cornicione esterno della facciata, nella chiesa si venera Sant'Antonio di Padova.

    300px-Molfetta_-_Chiesa_di_San_Pietro
    scorcio della facciata barocca e ingresso della Chiesa di San Pietro.


    Chiesa di "San Pietro"

    L'antichissima Chiesa di San Pietro Apostolo risale a epoca anteriore al 1174. Situata nella città vecchia, nel 1571, fu riedificata e ampliata con l'edificazione dell'annesso monastero di monache. Subì un primo restauro nel 1731, per riparare i danni subiti dal terremoto del 20 marzo del medesimo anno. Nel periodo 1750-56 fu ricostruita dalle fondamenta con una facciata barocca. Nell'interno della chiesa si custodisce la statua lignea di Maria SS. del Carmelo, opera dello scultore napoletano Giuseppe Verzella.


    Chiesa del SS. Crocifisso o dei Padri Cappuccini


    capp

    La chiesa, situata nell'attuale Piazza Margherita di Savoia, è attigua al monastero eretto a opera dei Padri Cappuccini. Il convento fu edificato nel periodo che va dal 1571 al 1575, seppur i lavori proseguirono sino al 1617. La chiesa alla data del 27 dicembre 1586(85) non era ancora stata completata. All'interno, sull'altare maggiore, si può ammirare un crocifisso in legno di scuola veneziana donato nel 1682 dal sacerdote don Francesco Antonio Cucumazzo (o Cucomazzo). Il Crocefisso ha per sfondo una pala d'altare rappresentante il Calvario. Alla base della tela, realizzata nel medesimo anno 1682 dal chierico-pittore bitontino Nicola Gliri (1634-1687), si trovano due stemmi gentilizi. Uno appartiene alla famiglia del committente/donatario. L'arma, infatti, rappresenta uno scudo diviso in due parti uguali: a destra è dipinto il blasone del padre, Giovanni Leonardo Cucumazzo di Ruvo; a sinistra quello della madre, C(hi)ara Donata di Simone Esperti.



    Palazzo del Seminario

    Lo scoppio del primo conflitto mondiale obbligò nel 1915 lo spostamento della sede del Seminario Regionale, fondato nel 1908 da Papa Pio X, da Lecce a Molfetta.
    Dopo un ulteriore e breve spostamento di sede a Terlizzi, il Seminario Regionale fece ritorno a Molfetta nel 1918 nei locali del Seminario Vescovile, dove rimase fino al 1925. Tuttavia esigenze di spazi più ampi costrinsero a pensare a un edificio totalmente nuovo, per la cui progettazione ci si rivolse all'architetto Giuseppe Momo, da anni impegnato in quello specifico genere di costruzioni. I lavori, iniziati nel 1925, si protrassero per un anno e mezzo; l'inaugurazione del nuovo Seminario Regionale, intitolato a Pio XI avvenne il 4 novembre 1926.
    Dotato di una facciata sobria e dignitosa, il Palazzo del Seminario Regionale presenta un interno molto spazioso, da cui si diparte un massiccio scalone centrale, lateralmente al quale si accede a un porticato che introduce in un chiostro delimitato da colonne di stile romanico. Al centro di questo è collocata una fontana in ferro fuso costituita da due vasche sovrapposte.
    Il Seminario, in cui i giovani di tutta la Puglia vengono formati in vista dell'Ordine sacro del presbiterato, ospita al suo interno, dal 1957, anche una biblioteca e una ricca raccolta museale.


    Architetture civili


    Palazzo Giovene

    300px-Molfetta_-_Entrata_al_palzzo_Giovene
    Entrata al Palazzo Giovene.

    Palazzo Giovene, cinquecentesco edificio oggi sede dell'amministrazione comunale. Edificato dalla famiglia "de Luca" passò poi al casato degli "Esperti" che nel 1772 lo cedette ai "Giovene".
    La facciata rinascimentale è caratterizzata da un importante portale costituito da una struttura in bassorilievo, munita di architrave, con effetto di "trompe l'oeil", terminante alla quota del marcadavanzale del piano superiore, con il portone inserito in un arco a tutto sesto; questo è incorniciato, lateralmente, da due piedistalli che reggono due colonne ioniche, sopra i quali si distinguono la statua di un guerriero e quella di un musico, rispettivamente alla destra e alla sinistra di chi entra.
    Nel XIX secolo era stato dotato di un terzo piano fuori terra che costituì una delle principali cause del dissesto strutturale che lo rese inutilizzabile per buona parte del XX secolo. Tale inutile, anzi dannosa, sopraelevazione fu demolita nel 1965, quindi il palazzo ha subito profondi interventi di restauro tra il 1976 e il 1981.
    Il palazzo ospita, oltre la sede del Consiglio Comunale, anche, nel piano interrato, una Galleria di Arte Contemporanea dove sono conservate opere di importanti artisti locali, e al piano terra la sala stampa annessa alla "sala Giunta", nonché una collezione di modelli in scala medio-grande dei più caratteristici mezzi da trasporto trainati da cavalli che erano tipici del territorio prima della diffusione dell'automobile e dei mezzi consimili, oltre all'Ufficio per le Relazioni col Pubblico.
    Nella sala del Consiglio hanno trovato posto, lungo le pareti, i ritratti della Galleria degli Uomini illustri Molfettesi che prima del restauro di questo edificio erano esposti, stretti uno accanto all'altro, alla quota di imposta della volta a padiglione nella sala degli specchi del vecchio palazzo del Municipio, all'isolato accanto a questa ultima sede.


    Le Torri di avvistamento

    Di grande rilevanza storica, culturale ed economica dell'hinterland molfettese, sono state nel Medioevo e all'incirca fino al XVIII secolo le torri disseminate nel territorio rurale di Molfetta e raggruppate lungo tre immaginarie direttrici che sono Molfetta-Bitonto, Molfetta-Terlizzi e Molfetta-Ruvo-Corato.
    Verso Bisceglie e in prossimità del confine con il suo territorio, si erge a picco sul mare (su uno spuntone di costa rocciosa oggi in erosione) l'unica torre di avvistamento chiamata, sin dal 1569, Torre Calderina o Torre del Porto di San Giacomo, torre costiera del XVI secolo, particolarmente importante in quanto posizionata in un luogo strategico poiché da essa era possibile il collegamento visivo con il Castel del Monte e quindi comunicare per tempo anche agli abitati non rivieraschi più interni (verso Andria e oltre ancora, sino all'altopiano murgiano) il sopraggiungere di eventuali incursioni dal mare. Essa faceva parte del complesso sistema di torri di avvistamento del Regno di Napoli. La sua posizione permetteva la difesa del porto di San Giacomo, approdo medievale di Molfetta. Oggi, questa torre si trova al centro dell'omonima area protetta, proposta come SIC (cioè Sito di Importanza Comunitaria) dalla Unione europea. Sulla SS. 16 è collocata la struttura conosciuta con il nome di Torre della Cera, realizzata nel 1770 per conto del nobile Pietro Gadaleta alias "della Cera" (nonno materno di Pietro Colletti, poi Colletta). Altre strutture adibite a posti di osservazione (avvistamento), inserite nel tessuto urbano, erano: una delle due torri del Duomo (Vecchia Cattedrale) e il Torrione detto del mare che passa, noto come Torrione Passari. Il Torrione Passari, in realtà, era un elemento della cintura difensiva della città.
    Le torri dell'agro rurale, utilizzate per villeggiatura o per supporto delle attività agricole, erano caratterizzate da arredo di tipo difensivo (es.: la presenza di caditoie). Delle oltre venticinque strutture ricordiamo Torre Gavetone situata presso il confine con Giovinazzo, di essa resta solo il toponimo che indica una delle più apprezzate spiagge libere superstiti lungo la costa molfettese. Sulla stessa direttrice, ma in posizione arretrata verso l'interno si trova Torre Rotonda della Molinara (1538) il cui nome deriva da Antonio e Bartolomeo, padre e figlio de Molinario, che possedevano un fondo rurale in contrada Venere (prossima al confine con Giovinazzo). Sulla via per Bitonto incontriamo la torre dell'antica chiesa della Madonna della Rosa. Lungo l'asse viario del Mino abbiamo: Torre Cicaloria, il cui nome deriva dal nome e cognome di uno dei suoi proprietari Francesco (Cicco) Loria di Ruvo; Torre Panunzio che coincide con l'antica struttura chiamataTorre di don Marcello Passari (1556); Torre Cascione, nome derivato da quello di un proprietario di un fondo rurale prossimo alla torre, tale Joan Francesco de Urbano alias de mastro Leonardo Pappagallo soprannominato Cascione; Torre del Mino, edificata verosimilmente nel periodo 1561-72; Villafranca (in territorio di Terlizzi), risalente al 1631 e il cui nome indica il riscatto dalla tassa catastale detta "bonatenenza". Per ultima l'ormai diroccata Torre dell'Alfiere, nome derivato dal titolo militare di uno dei suoi proprietari ovvero l'alfiere Francesco Paolo Tottola.
    Leggermente più spostate a ovest verso la direttrice per Terlizzi della strada Santa Lucia si incontrano: Torre del Gallo, nome derivato dal soprannome della famiglia "de la Sparatella" che la fece edificare, forse, connesso o alla nazione di provenienza (Francia) della famiglia o a un semplice agnome; Torre Villotta, struttura già esistente agli inizi del Quattrocento; Torre Falcone, nome derivato dalla famiglia de Falconibus, originaria di Andria; Cappavecchia registrata sin dal 1526, epoca in cui apparteneva alla famiglia de Vulpicellis; Torre Sgammirra, quest'ultima cosiddetta dal soprannome del suo primo proprietario, Antonio di Nicola de Tamburro alias Scambirro (= asino). Di essa non rimane che il rudere costituito da un'intera parete rimasta in piedi e sostenuta lateralmente dai soli monconi angolari.
    A ponente, lungo l'asse della strada comunale Coppe (antica strada per Corato), troviamo i resti di Chiuso della Torre che dà il nome alla omonima contrada, inglobati tra i capannoni industriali della zona ASI (Area Sviluppo Industriale); il Casale ristrutturato nel 1719 dalla famiglia Passari sul sito dove sorgeva l'antico Casale di San Primo (ottobre 1135); Torre di Claps con annessa chiesa di San Martino (1083), donata nel 1731 alla famiglia Claps (originaria di Potenza). In prossimità della direttrice della vicinale di Fondo Favale, si ergono: Torre del Capitano, nome derivato dal titolo militare del proprietario (nel periodo 1781-84) ossia dal capitano Vincenzo Brayda. Questa torre è collocata in prossimità del tracciato autostradale della A14. Altre strutture di questo versante sono: Torre di Pettine, nome derivato dal soprannome di Giuseppe Fontana alias Pettine, figlio del maestro sartore Tommaso Fontana; la masseria fortificata denominata Casale Navarrino o Torre di Navarino, nei pressi del confine sud-occidentale dell'agro, alla confluenza con i territori dei comuni di Terlizzi e Bisceglie. Questa torre, il cui primo nucleo risale alla metà del XVI secolo e che fu ampliata nel 1598 da Cesare Gadaleta, prende il nome della contrada in cui è collocata. Il toponimo Navarino, quasi certamente, ricorda la regione Navarra della Spagna della quale, forse, doveva essere oriundo don Ferrando Briones Yspanus, marito di Costanza Gadaleta, proprietario di un fondo rurale ubicato in questa zona.


    Piazze e strade


    300px-Molfetta_-_Villa_Garibaldi
    Villa comunale Giuseppe Garibaldi.


    Uno dei luoghi più frequentati del centro cittadino è l'ampia Piazza Garibaldi, riaperta al pubblico nel 2007 dopo un restauro durato parecchi anni. Di forma sub-trapezoidale, è connotata da un variegato connubio di vegetazione e di percorsi pedonali e zone riservate ai bambini, con numerose specie arboree che forniscono un confortante sfondo verde all'attivo, caotico e spesso congestionato centro cittadino. Il lato meridionale della piazza è sottolineato dall'ottocentesca edicola in stile gotico del Calvario con alle spalle la antica Chiesa di San Bernardino, risalente al 1451, mentre a ponente essa è chiusa dal monumentale prospetto ottocentesco (opera, così come il già citato Calvario, dell'Architetto De Judicibus molto attivo a Molfetta nel XIX secolo) del settecentesco Seminario Vescovile adiacente alla coeva Cattedrale. Da non dimenticare, al centro della Villa Comunale, lo splendido Monumento ai Caduti della prima guerra mondiale, opera mirabile del celebre scultore cittadino Giulio Cozzoli, costituito da un gruppo bronzeo che rappresenta la Vittoria Alata nell'atto di sorreggere un fante caduto sul campo di battaglia, che si erge su un basamento in marmo sui cui prospetti laterali e posteriore sono inseriti i bassorilievi bronzei che recano scolpite scene di guerra con protagoniste le diverse forze armate che presero parte a quel conflitto.
    Altre piazze di Molfetta sono: Piazza Vittorio Emanuele II, Piazza Margherita di Savoia, Piazza Aldo Moro (già Piazza Stazione), Piazza Principe di Napoli e Piazza delle Erbe (già sedi di storici mercati rionali smantellati nel primo lustro del Terzo Millennio), Piazza Roma, Piazza Paradiso, Piazzetta San Michele, Piazza Immacolata, Piazza Mentana e le minori Largo S.Angelo e Largo Domenico Picca nel nucleo sei-settecentesco della città; Piazzetta Giovene, Piazza Baccarini, Largo Fornari nelle espansioni di fine ottocento - prima metà del novecento e, nelle zone di più recente urbanizzazione (anni settanta - ottanta): Piazza 1º maggio, Piazza Gramsci (sede di un mercato rionale).
    Le principali strade cittadine sono Corso Umberto I, l'isola pedonale meta privilegiata dello shopping cittadino e dello struscio domenicale assieme al Corso Dante (già Borgo) e a tutta l'area circostante il porto (le Banchine San Domenico e Seminario, nonché, soprattutto nelle belle giornate, i bracci stessi del porto, in particolare dalla Capitaneria (sede della Guardia Costiera) al faro e, sul lato prospiciente il Santuario della Madonna dei Martiri, il molo Pennello) e poi Corso Margherita di Savoia, Via Sergio Pansini, Via Roma, Via Baccarini, Via Tenente Fiorino, Via De Luca, Via Massimo D'Azeglio, Via Galileo Galilei, Corso Fornari e il Lungomare Marcantonio Colonna da cui si può ammirare il panorama sul mare verso Giovinazzo e uno dei più suggestivi scorci del centro storico, vale a dire il suo prospetto a picco sul mare chiuso dalla tondeggiante sagoma del torrione Passari. Altre vie nodali della città sono: Via Madonna dei Martiri, Via G. Mameli, Via Guglielmo Marconi, Via Felice Cavallotti, Via Alessandro Volta, Via Bari, Via Domenico Picca, Via Annunziata, Via Paniscotti, Viale Pio XI, Viale Don Minzoni, Viale Martiri della Resistenza.


    Il Pulo

    Di particolare interesse è a Molfetta il cosiddetto Pulo, grande sprofondamento di origine carsica localizzato a non più di due chilometri dal centro urbano di Molfetta.
    A seguito del terremoto in Irpinia, del 23 novembre del 1980, la cavità carsica appena fuori l'abitato, e che da diversi anni veniva utilizzato nel periodo natalizio come cornice scenografica per la messa in scena del locale "presepio vivente", fu dichiarata inagibile e chiusa alla pubblica fruizione per motivi di sicurezza. Finalmente nel 1995 si sono potuti iniziare i lavori di recupero culminati con la restituzione al pubblico delle fabbriche della nitriera borbonica.

    300px-Molfetta_-_insediamenti_rupestri_presso_il_pulo
    Elementi di archeologia industriale sul fondo e su un fianco del Pulo di Molfetta.

    Con il termine Pulo si indicano generalmente doline carsiche di grandi dimensioni, generalmente munite di almeno un inghiottitoio, che può essere palese o occulto.
    In particolare il Pulo di Molfetta si differenzia dagli altri per essere una dolina a pozzo a causa delle pareti strapiombanti su praticamente tutto il contorno, e di crollo, in relazione al fatto di essersi originata dal collasso o della volta di un'unica grande grotta sotterranea o, come più probabile, di più cunicoli e cavità facenti parte di più pozzi carsici contigui (detti polje), con crolli che si sono succeduti scaglionandosi nel tempo.
    Le pareti del Pulo sono costellate da numerose grotte, che si sviluppano anche su più livelli (fino a quattro come nella "grotta del Pilastro"), e cunicoli spesso intercomunicanti che denotano l'intensa attività carsica di cui sono state protagoniste insieme al potente acquifero di cui verosimilmente facevano parte.
    In tutte le cavità, però, essendo assente lo stillicidio delle acque, non si rinvengono formazioni di stalattiti e stalagmiti.
    Il salnitro che si rinviene nelle grotte sotto forma di incrostazioni ed efflorescenze biancastre, che rivestono vaste superfici all'interno delle stesse, ne fece per pochi decenni, tra il 1785 e i primi del XIX secolo, una miniera di questo materiale che le contemporanee ricerche nel mondo della Chimica degli Elementi avevano individuato come componente essenziale della polvere da sparo. Pertanto, su Regio decreto del sovrano Borbone dell'epoca, fu autorizzata la costruzione "in loco" di una nitriera, cioè di una fabbrica di polvere da sparo, proprio a pochi passi dal luogo di estrazione, poiché era particolarmente idoneo sia per motivi di sicurezza delle lavorazioni (lontano dal centro abitato), sia per motivi militari, essendo il sito sufficientemente occultato alla vista dei più.
    A causa dell'interesse militare del sito, al suo ingresso fu costruito un "Corpo di Guardia" dove alloggiava il personale posto a sentinella delle attività estrattive che vi si svolgevano.
    Il Pulo inoltre è caratterizzato da vegetazione spontanea comune nel territorio accanto a specie esclusive di questo habitat, secondo classificazioni avvenute in tempi diversi a opera di vari studiosi, tra cui il botanico molfettese G. Muscati e in tempi più recenti dalla dott.ssa Lucia Camporeale che nel suo lavoro di tesi (1953) individuò nel Pulo 136 diverse specie vegetali spontanee, tra cui la rara Micromeria nervosa. Tra queste, si trovano piante introdotte dall'uomo nel corso dei millenni, sia alberi (fichi, fichi d'India, nespoli, azzeruoli, ecc.) che specie erbacee aromatiche (melissa, camedrio bianco, mente varie) accanto ad alberi e cespugli tipici della macchia mediterranea (lentisco, biancospino, alloro, melograno, viburno, carrubo, ecc.).



    Musei


    Civica Siloteca del Centro Studi Molfettesi


    Intitolata in onore di Raffaele Cormio, si tratta di un museo dedicato al legno, ai suoi pregi e ai suoi difetti, unico in Italia del sud. Conserva oggetti in legno, tra i quali la bacchetta di direzione d'orchestra del Maestro Riccardo Muti, insetti del legno e altro materiale come pennini, blocchi in legno, la poesia dell'albero all'uomo dello xilologo di Raffele Cormio.



    Museo Diocesano di Molfetta

    Molfetta_-_Piazza_Municipio
    Piazza Municipio, su cui prospetta il Palazzo Comunale, sede della sala d'arte contemporanea Leonardo Minervini.


    Il Museo-Pinacoteca di Molfetta è situato nei locali del Seminario Vescovile, nel centro storico della città. Il primo nucleo museale è da ricondurre all'operato dell'ecclesiastico molfettese, Giuseppe Maria Giovene, il quale accumulò il materiale archeologico proveniente dal Pulo. In seguito nei primi anni del XIX secolo il vescovo Mons. Filippo Giudice Caracciolo, insieme all'arciprete Giovene, riorganizzò il patrimonio diocesano costituendo il primo nucleo del Museo.
    Il museo ospita reperti provenienti da varie campagne di scavo effettuate sull'onda degli "entusiasmi ottocenteschi", nel Pulo di Molfetta e in altri siti archeologici circostanti.
    Il secondo nucleo del Museo è legato al nome di un altro insigne sacerdote, Francesco Samarelli, che tra il 1908 e il 1910 scandagliò alcune località nell'agro di Molfetta rinvenendo manufatti litici e ceramici cronologicamente e culturalmente assimilabili a quelli del Pulo e oggi esposti nel Museo.
    Dopo un lungo periodo di stasi, il 23 ottobre 1976 si istituì con decreto vescovile il Museo Diocesano, aperto al pubblico dal 1980. Nel giugno 2009 si sono conclusi i lunghi lavori di restauro che hanno adeguato il museo alle più moderne teorie museografiche e museotecniche, hanno permesso l'ampliamento dei locali (su una superficie di circa 1500 m2) ospitando le oltre 200 opere provenienti da molte chiese dei quattro paesi della diocesi (Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi, Ruvo) e la monumentale biblioteca dell'inizio del XIX secolo con oltre 47.000 volumi del XV - XVIII secolo.
    Al piano terra la possibilità di ammirare la sezione archeologica che raccoglie sia materiale preistorico di Età Neolitica che di Età preromana; la galleria dei paramenti liturgici che rivelano l'evolversi del gusto e delle tipologie tessili e decorative dal XVII alla fine del XIX secolo; il lapidarium che custodisce i frammenti erratici provenienti dall'antico Duomo di Molfetta, dalle chiese e dall'arredo urbano; le due sale della statuaria che ospitano le antiche statue della Settimana Santa molfettese e una raccolta di reliquiari “a busto” in legno dipinto, risalenti al Seicento.
    Al primo piano s'impone la monumentale Biblioteca del Seminario Vescovile, realizzata tra il 1837 e il 1844, che attualmente custodisce circa 47 000 opere, compresi manoscritti, incunaboli e cinquecentine e alcuni testi a stampa risalenti al Seicento e Settecento.
    A completare il percorso è la Pinacoteca nella quale sono esposte opere comprese tra il XVI e XVIII secolo, a firma di grandi artisti quali Marco Cardisco, Francesco Cozza, Bernardo Cavallino, Corrado Giaquinto, Nicola Porta e altri della “scuola napoletana”.
    Di non poco interesse sono anche la Sala del Tesoro che espone apparati e vasi sacri per la liturgia; la sezione della Scultura contemporanea dell'artista molfettese Vito Zaza; l'antica Cappella del Collegio dei Gesuiti, oggi Auditorium, riprogettata nell'Ottocento dall'arch. de Judicibus e arricchita dai dipinti murali di Michele Romano.


    Raccolta d'arte contemporanea sala "Leonardo Minervini"

    Allestita nel 1996 nel Palazzo Comunale, la raccolta comprende circa 60 opere di artisti, molti provenienti da Molfetta. Accanto a Maestri di fama internazionale, come Renato Guttuso, l'esposizione comprende opere di artisti molfettesi a cominciare da Michele e Liborio Romano, Franco d'Ingeo, Natale Addamiano, Franco Valente, Michele Paloscia e Anna Rita Spezzacatena. Un'intera sala è dedicata a Leonardo Minervini dove sono esposti 11 dipinti tra cui il "Ritratto di Minervini" realizzato dal suo maestro Carlo Siviero nel 1936.


    Mostra Etnografica Permanente del Mare

    Nei locali sotterranei della Fabbrica di San Domenico, la suggestiva "Neviera", si può visitare la Mostra Etnografica Permanente del Mare, inaugurata nel 2005, curata e gestita dalla sede locale dell'Archeoclub d'Italia. La mostra ricostruisce l'antico rapporto di Molfetta con il mare tra Medioevo ed età contemporanea. Una relazione che si fece particolarmente vitale nell'Ottocento, quando la cantieristica navale locale acquistò importanza con lo sviluppo del porto mercantile e con l'amplificarsi dell'attività peschereccia. L'abilità dei maestri d'ascia molfettesi, che producevano trabaccoli e bilancelle, era riconosciuta anche fuori regione. La collezione mette in mostra numerosissimi utensili da lavoro dei maestri d'ascia, disegni e modelli delle imbarcazioni antiche e attuali, strumenti di segnalazione,documenti per la navigazione, reti di piccolo e grosso cabotaggio e oggetti di uso quotidiano a bordo delle navi.


    Museo della basilica di Santa Maria dei Martiri

    Include una notevole raccolta di ex voto e di molteplici altri oggetti derivanti da donazioni di privati cittadini.Presenti statue e quadri, presepi provenienti da ogni parte del mondo. Vi sono anche i paramenti e i messali delle celebrazioni per la elevazione a Basilica pontificia dal Cardinale Mayer e dal Servo di Dio don Tonino Bello.



    Cucina



    img

    La gastronomia molfettese è molto vasta, comprende piatti semplici, rustici, e piatti più raffinati, atti a conquistare l'interesse e il piacere dei buongustai. Essendo Molfetta una città marittima, i piatti tradizionali Molfettesi non possono che essere a base di pesce; tra questi ricordiamo il famoso "ci(e)mbott(e)" che consiste in una zuppa di pesce fresco di scoglio cotto in acqua aggiunta a un soffritto di pomodori freschi, aglio e prezzemolo in olio extravergine d'oliva.


    jpg

    Consuetudine alimentare dei molfettesi, tranne che nel periodo in cui vige il fermo biologico, è mangiare sia frutti di mare (dai ricci alle cozze, dalle capesante alle ostriche, dai taratuffi alle cozze pelose, ecc.) che pesce crudo. Alici crude intere (quelle più minuscole) o spinate (talvolta marinate mettendole a macerare in olio e limone), le "am(e)rosche" (piccolissimi pesciolini, poco più che avannotti), le "agh(e)stenèdde" (triglie di piccolissima taglia, dette così perché si pescavano tra la fine di agosto e la metà di settembre), "al(e)cedd(e)" e "sarachedd(e)" (alici e salacchine), "pulp' a' tenèri(e)dde" (piccoli polpi che vengono inteneriti arricciandoli a mano) e infine "salìp(e)ce" (piccoli gamberetti) sono tutti usualmente consumati senza cottura.
    Tra i primi piatti caratteristici troviamo gli "strascenète" (orecchiette), pasta a base di semola, che vengono principalmente preparate con cime di rapa o al ragù di maiale.
    Troviamo anche "u' tridde", una pasta per brodo fatta a mano con semola, uova, prezzemolo e formaggio, che si presenta in sfoglie sottili spezzettate a mano. Le altre specialità molfettesi vengono preparate in occasione delle festività.


    calzone_molfettese

    Un piatto che si ritrova esclusivamente nella tradizione molfettese, quasi totalmente sconosciuto persino nei paesi viciniori è "u' calzòene". La sua preparazione è particolarmente lunga e va fatta con ingredienti ben precisi, per rispettare l'originale ricetta. Consiste sostanzialmente in una focaccia ripiena. Al suo interno si trova di solito: merluzzo fritto e sbriciolato (il merluzzo usato è di taglia più grande di quello solitamente consumato, ed è detto in gergo "nùzze stùbete"), cipolle bianche tagliate molto sottili e stufate assieme a cavolfiori, olive denocciolate (solitamente si usano le cosiddette "pasòele") e un cucchiaino di ricotta forte (in gergo chiamata "recòtt'a'scquènde"). Una variante prevede anche l'uso del pomodoro nello stufato di cipolla. Affinché esso assuma un sapore inconfondibile e unico al palato, molti molfettesi usano portarlo a cuocere nei pochi forni a legna rimasti (detti "fùrne nostrène"), di cui la città era disseminata fino a una trentina di anni or sono. Il piatto si accompagna bene a frutti di mare e vino, e costituisce anche un piatto unico. Si usa preparare questo piatto specialmente nel periodo quaresimale, specialmente di venerdì (in cui si pratica l'astinenza dalle carni). Antica consuetudine vuole che esso venga consumato il giorno di mezza quaresima (giovedì della quarta settimana di quaresima).

    Foto%2B3%2BTradici%25C3%25B3n%2Bmolfettese

    Per la Pasqua troviamo "la scarcèdd(e)", un dolce cui si danno le forme più varie (sempre attinenti al periodo pasquale) fatto di pasta frolla farcito con marmellate (di fichi, di ciliegie o di uva) rigorosamente fatte in casa e pasta di mandorle e ricoperto di zucchero fondente, decorato con confetti di vari colori, ovetti di cioccolato o anche uova sode.
    Una tradizione gastronomica che si rinnova ogni anno il Venerdì Santo è mangiare "u pizzari(e)dde", filoncino farcito con tonno e capperi.
    Per il periodo natalizio vengono preparati diverse varietà di dolci, principalmente a base di pasta di mandorle e pasta frolla tra cui "cart(e)ddate", "calz(e)ngicchie", "ses(e)mi(e)dde", "spume di mandorla", "occhi di Santa Lucia", "mestazzul(e)", "canigliate" e piccole imitazioni di frutti a base di "pasta reale".
    Non ultimo l'ottimo, raffinatissimo, "latte di mandorle".
    Per la vigilia del Santo Natale il menù tradizionale comprende: rape bollite condite con olio e limone, frittelle e l'immancabile capitone.
    Durante i vari periodi dell'anno, secondo le stagioni, le massaie molfettesi usano preparare delle conserve sott'olio con pomodori, peperoni (chiamata nel gergo pric-o-prac), melanzane e carciofi.


    300px-Vicolo_di_Molfetta
    borgo antico


    La Quaresima a Molfetta


    I molfettesi attribuiscono un'attenzione tutta particolare al culto delle tradizioni pasquali, adeguatamente celebrate e che portano in paese un clima di preghiera e riflessione. La Quaresima è ricca di momenti di celebrazione, che si concentrano nelle chiese di Santo Stefano, a cura dell'omonima Arciconfraternita, e del Purgatorio, a cura dell'Arciconfraternita della Morte.
    I primi quattro venerdì di Quaresima, nella chiesa di Santo Stefano, a cura dell'Arciconfraternita omonima, si contemplano i misteri del dolore: Gesù che prega nell'orto degli ulivi, Gesù flagellato, Gesù coronato di spine, Gesù sale al Calvario carico della Croce. In queste celebrazioni, viene proposto l'ascolto di meditazioni cantate e recitate su questi misteri.
    Le prime quattro domeniche di Quaresima, presso la chiesa del Purgatorio si tiene, invece, il Pio Esercizio in onore della Pietà. Anche in questa occasione viene proposto l'ascolto di meditazioni cantate e recitate.
    Durante il corso della Quaresima, la banda cittadina esegue, presso la sua sede, le prove delle marce funebri che faranno da accompagnamento alle tre processioni della Settimana Santa di Molfetta. In gergo queste prove sono chiamate "i concerti delle marce funebri" e richiamano sempre un cospicuo numero di affezionati spettatori, che si ritrovano per scambiarsi aneddoti, ricordare le annate trascorse e il gusto di cose belle e perdute
    Le marce funebri sono in parte di autori locali (Valente, Calò, Peruzzi e Inglese tra i più noti, tutti di fine Ottocento) - inizio Novecento e in parte di autori di fama internazionale come Chopin, Giuseppe Verdi, Gioachino Rossini, Raffaele Caravaglios, Vella, Petrella. Hanno un andamento molto orecchiabile e conciliano sia col clima di preghiera e di devozione, sia col passo ondeggiante e molto corto dei portatori dei simulacri.
    I riti della Settimana Santa di Molfetta sono, assieme alla festa patronale della 'Madonna dei Martiri', indubbiamente i più sentiti dalla popolazione.



    Fiera, festa e sagra della "Madonna dei Martiri"

    La_Madonna_dei_Martiri_di_Molfetta_disposta_sulle_navi_del_porto
    La statua della Madonna disposta sulle barche, qui tre, accostate tra di loro, nel porto.


    La città di Molfetta ha un antico e forte legame con il mare e sin dalla prima metà del XIX secolo i marinai hanno eletto la Madonna dei Martiri, venerata nell'omonimo santuario, a loro protettrice. Quello molfettese è infatti un popolo marinaio: migliaia erano i molfettesi impiegati nella flotta peschereccia locale che comprendeva centinaia di battelli.
    L'8 settembre 1846 la statua della Vergine, opera dello scultore napoletano Giuseppe Verzella, fu posta su due bilancelle a vela e trasportata fino alla banchina dell'antico Seminario, accanto al "Duomo vecchio".
    Da questa iniziale consuetudine prese piede la tradizione della Sagra a mare, che si ripete annualmente con grandissimo concorso di popolo, compreso un numero considerevole di emigrati, che per l'occasione tornano da tutto il mondo nel paese natio.
    Anche oggi che, con la crisi, il numero dei pescherecci si è paurosamente assottigliato, il privilegio di essere scelti per il percorso a mare della processione costituisce motivo di orgoglio, ma anche di grande responsabilità, per gli equipaggi delle barche prescelte.
    La festa della Madonna, come da quel lontano 1846, si esplica in tre giorni della prima decade di settembre (7, 8, 9) e coincide con la Fiera di Molfetta, accordata nel 1399 da Ladislao di Durazzo.
    Occasione per secoli di proficui scambi commerciali, la Fiera della Madonna dei Martiri si è trasformata, negli anni del "benessere", in una variopinta e gioiosa festa cittadina che culmina, nelle serate principali, con un appassionante concorso di fuochi pirotecnici tra i migliori maestri artigiani del settore. Tale spettacolo coinvolge ogni anno migliaia di persone di tutte le età, anche provenienti da altre città, disposte ad affrontare ingorghi paurosi e code snervanti, pur di riuscire a conquistare il posto più idoneo per goderlo al meglio e commentarlo poi con grande felicità.

     
    Top
    .
6 replies since 1/7/2011, 11:45   4776 views
  Share  
.