LAGHI

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  1. gheagabry
     
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    .........d'improvviso si manifesta con tutto il suo fascino misterioso.....


    Il lago TITICACA


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    Il Titicaca è un lago (8.330 km²) situato tra Bolivia e Perù. Il lago Titicaca è situato al confine fra la Bolivia e il Peru, a metà strada fra La Paz, capitale della Bolivia, e Puno, principale centro urbano del Sudest del Peru...Il lago Titicaca prende il suo nome dall'isola chiamata Intikjarka, parola che deriva da due parole aymara e quechua: Inti ovvero Sole e kjarka ovvero masso rupestre. Un'altra ipotesi sostiene che derivi da Titi ovvero gatto o puma e kaka, cioè pietra. Il tutto significherebbe quindi puma di pietra, in quanto dall'alto, il lago avrebbe la forma di un puma che caccia una viscaccia (roditore della famiglia dei cincillà).
    In lingua aymara Titicaca significa «roccia del giaguaro», è il lago navigabile più alto del mondo, a 3810 metri sul livello del mare, grande 8562 chilometri quadrati - 3790 in territorio boliviano e 4772 in quello peruviano. Nelle sue acque trasparenti e azzurre, dove sfociano oltre 25 fiumi, si riflette un tratto della Cordigliera andina facendo sembrare vicinissime le montagne che, invece, distano una trentina di chilometri. Tante varietà di anatre, pesci e la caratteristica rana gigante del Titicaca (Telmatobius culeu) sono gli animali che popolano il lago Titicaca, mentre tra la sua vegetazione si trova la totora (Scirpus californicus), un tipo di giunco molto importante per l'economia locale, e altre varietà di piante acquatiche tra cui l'Elodea potamogeton e la Lemna, meglio conosciuta come lenticchia d'acqua.

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    Poco lontano da Puno, sul lago Titicaca, ci sono circa 40 isole galleggianti fatte di canne di totora sovrapposte in innumerevoli strati sulle quali vive l’antico popolo degli Uros.
    Le isole artificiali sono state realizzate nel passato per sfuggire dagli Incas e oggi sono ancora abitate dai discendenti di chi cominciò, secoli fa, a vivere nel lago. Ogni isola ha una durata media di circa 30 anni e le famiglie che vi abitano vivono per lo più di pesca che praticano con le loro peculiari imbarcazioni sempre fatte di canne.

    il Lago Titicaca contiene uno dei record climatici più lunghi del Sud America, che risale a più di 25.000 anni fa. Gli scienziati hanno studiato gli indicatori dei cambiamenti del livello dell'acqua nel tempo nel lago Titicaca per ricavare informazioni sui cambiamenti delle precipitazioni nelle alte Ande e nei tropici sudamericani. Poiché il lago occupa il punto più basso dell'Altiplano, gran parte dell'acqua dell'altopiano alla fine gocciola nel lago. E poiché è circondato da montagne, pochissima acqua del lago Titicaca defluisce: il Rio Desguadero è l'unico grande fiume di deflusso. Così, come una vasca da bagno senza scarico, questo grande e profondo lago (con profondità di diverse centinaia di piedi) è diventato il bacino di raccolta di oltre 25.000 anni di sedimenti. Questi sedimenti ei loro fossili contengono indizi sulle condizioni climatiche del passato.

    Forti venti occidentali soffiano costantemente attraverso l'altopiano delle Ande, increspando la superficie del lago in un sottile motivo di onde e rigonfiamenti. Questi venti contribuiscono in modo significativo al bilancio idrico del lago. Come con la maggior parte dei grandi laghi, c'è un equilibrio tra afflussi e deflussi in modo che il livello dell'acqua rimanga pressoché costante. Gli idrologi ora sanno che il fiume Desaguadero drena solo il 10% degli afflussi, con la maggior parte dell'acqua persa (circa il 90%) a causa dell'evaporazione causata dai venti persistenti.

    I geologi hanno trovato prove che in passato il lago si estendeva per centinaia di chilometri più a sud. Si ritiene che il lago Titicaca fosse lungo fino a 600 chilometri (400 miglia) durante i periodi glaciali, probabilmente il risultato di precipitazioni più elevate e temperature più basse.

    ..Isole galleggianti di Uros..

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    Le isole galleggianti degli Uros sono un agglomerato di isolotti artificiali costruiti con la totora (Schoenoplectus californicus), una pianta acquatica che cresce spontaneamente sulle rive del Lago Titicaca. I loro abitanti, gli Uros, sono una popolazione di antichissima origine attualmente residente in Perù, presso la baia di Puno.
    Queste particolari isole sono dette “fluttuanti” (in spagnolo, Islas Flotantes) in quanto possono salire e scendere seguendo il livello del lago, ed inoltre i loro abitanti possono levare le ancore e spostarle come fossero delle chiatte. Ogni isola ospita dalle tre alle dieci famiglie e la grandezza del terreno è proporzionata alle famiglie da ospitare.
    Gli Uros, costruttori delle isole fluttuanti, si definiscono tra di loro "possessori del lago e delle acque". Sono una popolazione di origine antichissima, stanziatasi sulle rive del lago Titicaca circa 10000 anni fa, per sfuggire dalle aggressioni dei popoli bellicosi vicini, tra cui gli Inca e i Chachapoyas. All'inizio l'etnia Uros era distinta e indipendente da quella delle popolazioni limitrofe: aveva un proprio sistema sociale e religioso, e la sua lingua era diversa da quella delle tribù vicine che parlavano aymara, e dai bellicosi Inca che conquistarono le sponde del lago e che parlavano invece quechua.

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    Alla base della costruzione delle isole galleggianti vi è la totora, una pianta simile al bambù, dalla grande resistenza e galleggiabilità. Le abitazioni vengono edificate nelle zone in cui la totora cresce più fitta, formando uno strato naturale che gli Uros chiamano khili, costituito da blocchi estratti dalle radici di totora legati fra loro. Successivamente vengono sovrapposti altri strati di totora tessuta ed essiccata, che permettono di ridurre l'umidità e di costruire il tetto e le pareti delle abitazioni. Le case hanno anche un sistema di ancoraggio, che impedisce che le abitazioni possano vagare per il lago sotto l'azione delle onde e del vento. La totora a contatto con l'acqua tende a marcire, infatti le isole vengono riparate ogni tre mesi con nuovi strati di totora essiccata.

    Per mezzo della totora vengono anche realizzate le imbarcazioni, tra cui la più tipica è il "caballito de totora", la cui forma ricorda un ippocampo, con la quale la popolazione locale può attraversare le acque del Titicaca e trasportare viveri. Le imbarcazioni solitamente sono dirette alla città di Puno e talvolta a Ichu, Huata, Capachica e alla penisola di Chucuito.


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    ....storia.....miti e leggende....


    Negli ultimi anni il lago Titicaca e` balzato alla ribalta delle cronache e non soltanto per ragioni turistiche. Acciambellato al confine fra la Bolivia e il Peru, in una delle zone piu` montuose del mondo, questo lago piu` unico che raro e` al centro di una zona altamente suggestiva, sia per ragioni archeologiche sia per ragioni antropologiche. Per cominciare, il Titicaca e` il lago navigabile piu` "alto" del mondo: 3.800 metri. E` lungo 150 km e profondo 300 metri. Piu` che un lago, si tratta di due laghi congiunti dallo stretto di Tiquina: il Lago Mayor (in dialetto quecha "Chuchuito") e` a nord e contiene le isole del Sole e della Luna; il Lago Minor (o "Huinamarca) e` a sud e contiene diversi isolotti. L'acqua e` di un azzurro puro e splendente. Lo scenario naturale, fra i picchi delle Ande non potrebbe essere più romantico. A poca distanza dalla riva meridionale si trovano le rovine dell'antico complesso di Tiwanacu (ribattezzata Tiahuanaco dagli spagnoli). E` ormai assodato che questo fu un centro religioso che servi` per secoli un vasto impero. Non sappiamo nulla di quelle genti pre-incaiche, che infatti vengono semplicemente chiamate "cultura di Tiahuanaco", ma il loro regno si estendeva dal Cile settentrionale fino al Peru meridionale, e la sua importanza era dovuta al fatto di essere situato al centro del commercio inter-andino. La civiltà sulle rive del Titicaca arrivò molto presto, forse prima dello sviluppo della civiltà ellenica in Europa, e Tiwanacu venne probabilmente fondata intorno al 1.500 avanti Cristo. Si tratta, pertanto, di uno dei monumenti più antichi delle Americhe. Nessuno sa cosa causò l'abbandono di Tiwanacu e la scomparsa della sua civiltà, ma si specula che le frequenti alluvioni causate dal lago possano aver sommerso parti vitali della città. Il Kalasasaya contiene due famosi e inquietanti monoliti, oltre alla Porta del Sole. La piramide Acapana troneggia sulla piana e lascia intuire con le sue dimensioni che i suoi costruttori la vollero visibile da lontano, su un territorio che probabilmente era densamente popolato. Il puma, il condor e il serpente sono i motivi che ricorrono di continuo negli indecifrabili bassorilievi di questi templi.
    La leggenda più intrigante è naturalmente quella che lega Titicaca ad Atlantide. Ad alimentare questa leggenda sono due fattori: l'età presunta di questa civiltà, che combacerebbe con le notizie storiche tramandateci dai Greci, e le dimensioni presunte della città sommersa, che potrebbero giustificare il termine "continente". Il problema, naturalmente, è che nessuno è ancora riuscito a trovarlo questo continente... La ragione potrebbe essere che Tiahuanaco, e ciò che conosciamo oggi di quella civiltà, costituivano forse soltanto il porto di quello che era un impero ben più vasto, e i resti di quell'impero non sono "nel" Titicaca ma nelle sue vicinanze. E' la tesi che ha condotto il britannico Jim Allen al lago Poopa, dopo aver studiato cartine antiche. Allen non è l'unico ad aver notato che le civiltà diventano più antiche man mano che ci si spinge verso lontano dall'Oceano Pacifico, contrariamente a quanto uno si aspetterebbe.
    Il fatto che Tiahuanaco si trovi a 20 km dalle rive del lago può avere soltanto due spiegazioni logiche: o il livello del lago si è abbassato oppure l'intera zona si è sollevata. Entrambi possono essere dovuti soltanto a sconvolgimenti terrificanti, più o meno corrispondenti alla leggenda di Atlantide. Alcuni studiosi (fra cui Arthur Posnansky) hanno avanzato l'ipotesi che Tiwanacu esistesse già 10.000 anni fa, quando la zona fu scossa dell'ultima grande catastrofe. Gli effetti di quella catastrofe sono difficili da stimare, ma con un minimo di fantasia si può credere che abbia completamente cancellato le tracce di una gloriosa civiltà. Altri studiosi puntano alle specie estinte che sono scolpite su alcuni monumenti di Tiwanacu e alla lingua degli indios "aymarà", che non sembra imparentata con le tradizionali lingue pre-incaiche, ma sembra appartenere a un ceppo ben più antico.
    (scaruffi.com)



    ......una leggenda......



    Molto tempo fa, sull'altopiano sorgeva una grande e ricca città costruita da una popolazione fiera e arrogante. Gli abitanti erano così compiaciuti della loro città, da rifiutarsi di ammettere che al mondo ci fosse alcunché di più bello. Un giorno arrivò nella città un gruppo di cenciosi indios che ben presto attrassero l'attenzione della gente profetizzando la distruzione della ricca città. Preparatevi, dicevano la rovina è vicina, ed essa verrà sotto forma di terremoti, inondazioni e incendi. Stanchi di quelle profezie di malaugurio, i cittadini presero a frustare gli indios e li espulsero dalla città. Ma i sacerdoti erano molto allarmati. Quelli erano santi uomini, dicevano può darsi che vedano più lontano di quanto vediamo noi. E presero tanto sul serio le parole degli indios, che se ne andarono a loro volta dalla città per ritirarsi nel loro tempio su uno dei colli vicini. Guardate un po' quegli sciocchi dicevano gli abitanti. Che cosa credono di ottenere standosene lassù? Quel colle è così alto da attirare i fulmini. Oh, come rideremo quando accadrà! Poi, un tranquillo pomeriggio, un cittadino scorse all'orizzonte una nuvoletta rossa, che divenne sempre più grande, e ben presto altre nubi dello stesso colore le si congiunsero, e ad esse se ne aggiunsero altre ancora, che avevano il colore del piombo. Quando venne la notte, non calarono le tenebre, perché il cielo e la terra sottostante erano rischiarati dal riflesso rosso delle nubi. Poi con fragore spaventoso il suolo prese a tremare: dalle nuvole cominciò a cadere una pioggia rossa. Uno dopo l'altro gli edifici crollarono, mentre la pioggia cadeva implacabile. Gli acquedotti e i canali d'irrigazione furono completamente distrutti, i torrenti montani uscirono dai loro letti, la città venne sommersa. Oggi, il grande lago Titicaca ne copre i resti. Non uno dei suoi orgogliosi abitanti è sopravvissuto. A salvarsi furono solo i sacerdoti nelle loro capanne di paglia, il loro tempio sul colle non fu distrutto dal terremoto, il colle stesso restò al di sopra delle acque del diluvio. Oggi la sua cima è l'Isola del Sole. Sopravvissero anche i profeti di sventura, quei poveri indios cenciosi, che da un luogo sopraelevato assistettero rattristati alla distruzione della città; una parte dei loro discendenti divennero i "Saggi dell'altopiano", medici e guaritori celebri per la loro abilità.


    titicaca



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    Edited by gheagabry1 - 11/5/2023, 18:15
     
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  2. arca1959
     
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    grazie Gabry
     
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  3. gheagabry
     
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    Pensi di conoscere i tuoi punti deboli?? Rispecchiati in un lago, essere.
    Scoprirai che basta poco per turbare le tue certezze...
    (dal web)


    Il LAGO d'ARAL



    Il lago d'Aral si trova nel deserto dell'Asia centrale, circa cinquant'anni fa si estendeva per 67.000 km ed era il quarto lago più grande del mondo dopo il Mar Caspio, il Lago Superiore in America ed il Lago Vittoria in Africa.
    Erroneamente è chiamato mare d'Aral, poiché possiede due immissari (Amu Darya e Syr Darya) ma non ha emissari che lo colleghino all'oceano; è infatti un bacino endoreico.
    Il nome deriva dal chirghiso "Aral Denghiz", che significa "mare delle isole", a causa delle numerose isole che erano presenti nei pressi della costa orientale.
    Geograficamente si pone ad est dell'altipiano dell'Ust-Urt che lo separa dal Mar Caspio. In origine il lago faceva parte di un vasto oceano che comprendeva anche il Mediterraneo ed il Mar Nero e che, ritirandosi, ha generato, oltre all'Aral, anche il Mar Caspio. Ne sono testimoni le numerose conchiglie fossili di cui è disseminato il deserto del Karakum, che si trova a sud.
    Il lago ha sempre mostrato importanti variazioni nel suo livello in tempi storici ma con periodi del tutto non compatibili con quelli del ciclo di Brückner, ovvero 35 anni. Proprio in tempi recenti, sul fondo prosciugato del lago sono riapparsi i resti, risalenti al XIII-XIV secolo, di un'antica città. È da considerarsi errata l'idea che in tempi storici il lago sia scomparso e riapparso più volte. Le variazioni di cui si ha certezza sono quelle che lo hanno visto diminuire fino all'anno 1880. Da quel momento fino al 1908 si era osservato un innalzamento della superficie di circa 3 metri, nonostante fossero già stati avviati, seppur in piccola scala, i lavori di deviazione dei due immissari. Accertato invece è che nell'antichità avesse un emissario che portava le sue acque fino al mar Caspio e che fungeva da via navigabile collegata alla "via della seta".



    ...c'era una volta il lago Aral.....


    "Mi ricordo quando esploravo il mondo col solo bagaglio della fantasia, come mezzo di trasporto il mio indice ficcato in mezzo ad una cartina geografica. Ero un bambino, allora la geografia era ancora materia di studio importante, non come ora che per paradosso, in un epoca di globalizzazione, si toglie dai programmi scolastici.C’erano luoghi magici che invitavano a sognare nelle seducenti foto dell’Atlante illustrato, come quelle un po’ sbiadite che facevano le prime macchine Ferrania in plastica nera....l’Islanda, l’Alaska, la Mongolia, la Nuova Zelanda, viaggi continui attraverso le cartine politiche e fisiche, era possibile oltrepassare a piacere confini dai colori pastello, scalare montagne, risalire fiumi, traversare oceani.
    Un luogo tra questi, anch’esso affascinante era il lago d’Aral. Cosa ci faceva un mare piantato nel mezzo all’Asia Centrale? Era stato forse dimenticato da una qualche marea preistorica? Per la sua estensione immensa e per la sua acqua salata veniva chiamato mare. In origine era ampio 68.000 Kmq pari all’intera Irlanda...."
    (dal web)


    “Voropaev durante una conferenza sui lavori dichiarò, a chi osservava che le conseguenze per il lago sarebbero state nefaste, che il suo scopo era proprio quello di “far morire serenamente il lago d’Aral”. Era infatti così abbondante la necessità di acqua che i pianificatori arrivarono a dichiarare che l’enorme lago era ritenuto uno spreco di risorse idriche utili all’agricoltura e, testualmente, “un errore della natura” che andava corretto. I pianificatori ritenevano che il lago, una volta ridotto ad una grande palude acquitrinosa sarebbe stato facilmente utilizzabile per la coltivazione del riso.
    (Citazione da Wikipedia)



    "All'inizio bevi l'acqua, alla fine il veleno"
    (proverbio uzbeco)


    Oggi il lago d'Aral si è ridotto al 25% dell'originario volume d'acqua con un livello delle acque abbassato di oltre venti metri . Le acque residue hanno una salinità di circa 50 grammi per litro d'acqua, un valore superiore persino a quello delle acque oceaniche (35-36 grammi di sale per litro d'acqua). La grande presenza di sale ha reso non potabile l'acqua e le comunità di persone residenti sono del tutto dipendenti dal trasporto di acqua potabile dalle zone esterne. Delle 180 specie animali ne restano meno di quaranta ed oltre l'80% delle specie ittiche sono definitavamente scomparse. Il cambiamento dell'ecosistema ha influenzato anche il clima, divenuto sempre più torrido e colpito da tempeste di polvere. Un danno per l'intero ecosistema... compreso l'uomo.
    Il lago era alla base di una florida comunità di 150.000 persone. Negli anni '50 la pesca sul lago d'Aral copriva il 10% della produzione di caviale dell'ex Unione Sovietica. Oggi dei vecchi porti restano solo desolate zone secche e imbarcazioni arenate nella polvere. Le industrie della filiera ittica e i cantieri navali sono falliti con l'ecosistema causando disoccupazione e povertà. Il disastro ecologico ha definitivamente distrutto l'economia locale gettando nella disoccupazione migliaia di persone e costringendo i più giovani all'emigrazione verso altre regioni......lo scempio è stato perpetrato proprio durante il regime socialista dell'Urss. Per aumentare la produzione dell'industria tessile sovietiche l'Urss decise di irrigare vaste aree alla coltivazione del cotone. L'acqua venne tratta dai fiumi Amoudarja e Syrdarja che portavano a valle l'acqua dai ghiacciai eterni dell'Himalaya. La presenza di dighe e canali d'irrigazione indebolì oltre misura la portata dei fiumi che non alimentarono più a sufficienza il Lago d'Aral..I fiumi e le piogge apportavano una flusso costante d'acqua nel lago in quantità sufficienti per compensare l'evaporazione causata dal clima torrido della zona. Il Lago d'Aral era quindi una grande oasi nel deserto in perfetto equilibrio naturale.
    Le cause del disastro furono molteplici e tutte frutto dell'opera miope di qualche politico. Venne persino costruito un canale artificiale per prelevare grandi quantità d'acqua dal lago per trasportarla nel Turkmenistan, ad oltre 1600 chilometri di distanza.
    Qualsiasi grande opera della natura può essere distrutta dalla certezza dell'uomo di poter modellare a proprio piacimento l'ambiente in cui vive. Non è corretto leggere questi disastri come una critica anticapitalistica... il Lago d'Aral lo dimostra. E' invece necessario divulgare la cultura del "limite" e della "prudenza" senza con questo impedire il progresso o la ricerca scientifica. Una strada difficile ma possibile per camminare tutti nella stessa direzione.



    MOSCA – Un deserto infuocato di giorno e gelido di notte, città fantasma, scheletri di barche affondati tra fango e sabbia, venti salati e tempeste di sabbia, aria irrespirabile, villaggi abbandonati. Così appariva fino a pochi anni fa il lago d’Aral. Dal più grande mare d’acqua dolce al mondo, esteso quanto l’Irlanda, alla più grande catastrofe ecologica dell’era moderna. Tutto in pochi decenni: quelli dell’economia pianificata dell’Urss, quando l’Asia centrale sovietica diviene terra di sfruttamento. Riso e cotone: Mosca va contro natura, devia i fiumi che alimentavano il mare chiuso per irrigare le enormi piantagioni a monocoltura. L’Aral si prosciuga del 90%, una striscia di pozze d’acqua isolate. Nel 1996 è ridotto a un quarto delle dimensioni originarie, gli abitanti emigrati in massa. Per gli scienziati dell’epoca è “un disastro irreversibile”.
    Ma oggi qualcosa sta cambiando, e c’è chi parla di “miracolo”. Quello che ha fatto tornare le acque a lambire Aralsk, il porto sul lago che era finito a 100 km di distanza dalle rive, ritiratesi progressivamente (l’Aral aveva cominciato a seccarsi già negli anni 60): oggi si avvicina di nuovo, mancano 25 km, ogni giorno meno. I pescatori tornano a gettare le reti, nei ’90 sopravviveva un’unica specie ittica, oggi sono16. La superficie è aumentata di un terzo, risale il livello, torna a piovere, spira una lieve brezza. Volano pellicani e gabbiani, aperto uno stabilimento ittico che esporta i suoi prodotti in Russia e Ucraina. 
 Merito di un progetto congiunto tra Banca Mondiale e governo del Kazakhstan, che dal 2001 ha coinvolto esperti e scienziati da tutto il mondo, e persino Onu e Nato. Dal 2005 la nuova diga di Kokaral, 13 km, 88 milioni di dollari (260 il progetto complessivo), fa confluire sul lato nord del Piccolo Aral le acque del fiume Syr Darya, che prima si “perdeva” scorrendo a sud. Già nel 2006 la situazione migliora, oltre le più rosee previsioni. “Un’idea geniale” ammette persino Mosca, che dopo il crollo dell’Urss aveva provato ad avanzare qualche proposta per salvare il lago, restata sulla carta: convogliarvi le acque della Siberia occidentale, oppure ridirigere il corso dell’Amu Darya, il secondo ex affluente dell’Aral che scorre in tutti gli stati dell’Asia centrale ex sovietica, incluso l’Afghanistan, oggi indipendenti.
    Il miracolo, però è solo parziale: riguarda unicamente il lato nord del lago, di proprietà del Kazakhstan, oggi uno dei paesi più ricchi al mondo di gas e petrolio. Dall’altra parte, a sud, c’è l’Uzbekistan, lo stato più popoloso della regione, e il più inquinato: dove continua la coltura intensiva del cotone, cui si aggiungono le prospezioni proprio sotto il fondo esposto dell’Aral, per cercare combustibili.
    (Il messaggero, 27 Ottobre 2009, Lucia Sgueglia)







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    Caro Ermanno, sono Victor, oggi voglio raccontarti la mia storia, dato che finora ti ho detto poco di me. Vivo a Moynaq, in Karakalpakstan, repubblica autonoma dell’Uzbekistan, un tempo ridente cittadina sulle rive del Lago d’Aral, il quarto lago più grande del Mondo, oggi ad oltre 80 km da quello che resta delle sue rive, dopo che cinquant’anni orsono il lago ha cominciato a morire e a ritirarsi lentamente, ma inesorabilmente. Come me, del resto. Ti scrivo con le mie ultime forze rimaste, ho poco da vivere, ormai, i miei polmoni hanno respirato per decenni la sabbia del fondo del lago, contenente pesticidi, antrace e chissà quale altra diavoleria gli uomini hanno gettato nel lago che ora non esiste più. Tu che scrivi per web e riviste potrai diffondere questo mio messaggio ed informare l’opinione pubblica di quanto sta accadendo in questo lembo dimenticato di Asia.

    Mio padre faceva il pescatore, come tanti, qui da noi. Ricordo ancora quando salivo da bambino sulla sua barca, orgogliosa e maestosa come lui, solcare le acque non sempre tranquille del lago, spesso agitato dai forti venti che spirano incessantemente da nord / nord-ovest. Avrei voluto seguire le sue gesta, replicando un gesto antico, che da generazioni si ripeteva come un destino ineluttabile, cui nessuno del mio popolo avrebbe potuto sottrarsi. Il lago d’Aral, del resto, era sempre stato generoso con i pescatori delle sue rive, che raramente tornavano a casa a mani vuote. Ora la sua barca è adagiata sul fondo prosciugato del lago salato, insieme ad altre centinaia di pescherecci, scheletri arrugginiti che testimoniano del più grande disastro ambientale per causa umana che la storia ricordi. Tutto iniziò negli anni ’50, in piena guerra fredda, quando i burocrati dell’U.R.S.S. dovevano contrastare ad ogni costo gli Stati Uniti d’America in ogni campo, anche per quanto riguardava la produzione di cotone. Fu allora che le autorità sovietiche ordinarono di deviare il corso dei due principali immissari del Lago d’Aral, il Sir-Dar’ja e l’Amu-Dar’ja (conosciuto in precedenza come Oxus): e così il deserto del Turkmenistan, molti chilometri più a sud, riprese a fiorire dagli anni ‘60, ma il Lago d’Aral venne condannato a morte.



    Dal 1960 ad oggi, il Lago si è ridotto oggi del 90 %, mentre la superficie coltivata a cotone è aumentata solo del 20 %, a causa della progressiva desertificazione dell’ambiente e della crescente salinizzazione del suolo, che viene sempre più contaminato dal sale, dai pesticidi chimici e dai fertilizzanti che le autorità fornivano a piene mani agli agricoltori, per cercare di incrementare i raccolti di cotone che, ironia della sorte, si dimostra di qualità mediocre. Perché tu possa comprendere le dimensioni di quanto è accaduto, pensa che è come se un lago grande una volta e mezza l’intera Pianura Padana, dove vivi tu, si fosse quasi del tutto prosciugato. A cinquant’anni di distanza, i risultati di tale disastro sono i seguenti: Il clima, non più mitigato dal lago si è notevolmente irrigidito: le piogge si sono fatte sempre più rare e d’inverno, i gelidi venti siberiani portano la temperatura anche a -35 °, mentre d’estate, il torrido vento del deserto può fare arrivare la colonnina di mercurio prossima ai 50 ° centigradi. I dati sono ancora più sensazionali, se si considera che qui siamo soltanto al quarantatreesimo parallelo, più o meno come la vostra Firenze. Tutti i principali porti pescherecci si sono ritrovati a distanze sempre crescenti dal lago, che un tempo vantava 24 – 25 specie di pesce ed ora soltanto 2 o 3, anche a causa del notevole aumento della salinità dell’acqua.

    In più, in quella che un tempo era l’isola di Vozroždenie ha avuto sede per decenni un’installazione militare sovietica, dove venivano condotti esperimenti di armamenti chimico-batteriologici, utilizzando numerosi animali come cavie. Per effetto dell’abbassamento del livello del lago, oggi l’isola è collegata alla terraferma e nel 2002 è stato effettuato un primo intervento di bonifica, coordinato dalle autorità del Kazakistan e dell’Uzbekistan con l’ausilio di consulenti statunitensi, ma c’è chi sospetta che numerosi bidoni contenete antrace ed altre sostanze chimiche pericolosissime siano ancora stipati in alcuni bunker sotterranei: vero o falso che sia, rimane il fatto che tracce di antrace siano state trovate in un’area molto vasta della zona. Le colonie di ratti che un tempo vivevano sull’isola, contaminate dall’antrace, stanno migrando verso il deserto meridionale, con conseguenze disastrose sull’intera catena alimentare della zona. Molti bambini tra i residenti nella zona nascono malformati, la mortalità infantile è aumentata di circa 10 volte, la quasi totalità delle donne soffre di anemia, sono in aumento esponenziale i casi di tumore alla gola, di cancro al fegato, di tubercolosi, di malattie respiratorie, come quella che mi ha colpito e che mi affligge ogni giorno di più.

    Polveri contenenti una mistura tossica di sabbia, sale e pesticidi e altri veleni hanno ormai raggiunto persino alcuni ghiacciai dell’Himalaya, a centinaia di chilometri di distanza. Diverse specie animali che vivevano in prossimità del Lago sono scomparse, e quello che era il quarto lago più grande del mondo è ora diviso in due bacini: quello più settentrionale, il “Piccolo Aral” e il resto del lago, di cui sopravvive un’esile striscia nella sua parte più occidentale. Nel 2005 le autorità kazake hanno avviato un progetto di riqualificazione della parte settentrionale del lago: è stata costruita una diga per isolarlo dal resto del lago e nel 2008 Il “Piccolo Aral” è stato ricongiunto al suo affluente, il Sir-Dar’ja, attraverso un rigoroso sistema di controllo degli sprechi di consumo d’acqua per le irrigazioni. Per noi uzbeki, invece, nessuna buona notizia: le piantagioni di cotone, infatti danno molto più lavoro di quanto non ne desse il lago ai nostri pescatori e recentemente alcune compagnie petrolifere hanno scoperto sul fondale ormai secco alcuni interessanti giacimenti di gas naturale. Non c’è più alcuna speranza di far rinascere quello che un tempo costituiva l’avamposto più orientale di quel grande Oceano che comprendeva anche il Mediterraneo ed il Mar Nero e che ritirandosi, lasciò sulla sua strada il Mar Caspio e il nostro povero Lago d’Aral. Oggi ci rimane soltanto il macabro e morboso turismo dei visitatori incuriositi dal lago in secca e dagli spettri d’acciaio consumato delle navi arenate nella crosta di sale.

    Questa è anche la mia storia, perché anch’io mi sto spegnendo insieme al lago e tra pochi mesi me ne andrò silenziosamente, lasciando mano libera a chi è convinto che il business sia più importante dell’ambiente in cui viviamo. Ho deciso di lasciarti queste poche righe per dirti che non è così: la morte di Aral e di Victor saranno la testimonianza di quanto indissolubili siano la specie umana e il pianeta in cui vive. Ti lascio queste parole, come un messaggio in una bottiglia, insieme alle polveri di ciò che resta del Lago d’Aral, che vagheranno nel Mondo per ricordare la storia di un lago ucciso dall’arroganza dei potenti e quella di un bambino uzbeko, che da grande avrebbe voluto fare il pescatore . Victor

    Questo è un articolo è comparso sulla rivista BioEcoGeo, la storia è romanzata ma i fatti veri....11 luglio 2010
    (Crespi Enrico, blog)


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    “solo la superficie dell’acqua pura del Bajkal settentrionale che fluttua a pochi centimetri da te: ecco qui inizi ad accorgerti, nei tuoi pensieri, della tua presenza su questa terra, della venuta al mondo, del fatto che tu sia legato al cordone ombelicale del tempo per l’eternità”.
    (Vladimir Almashi)


    Il lago BAJKAL


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    Il lago Bajkal, in mongolo “Mare sacro”, si estende su una superficie di 31.500 km², che ne fa uno dei maggiori laghi al mondo per superficie; si allunga per 636 km da nord a sud (è il secondo del mondo per lunghezza dopo il lago Tanganica), con una larghezza media di 48 km (massima 79,4 km). La profondità media del lago è di 730 m, con una massima di 1.620 m nella parte centrale. Questi valori ne fanno contemporaneamente il lago d'acqua dolce più profondo del mondo e quello con il volume maggiore (23.000 km3). Contiene un volume d'acqua pressoché equivalente a quello dei cinque grandi laghi americani messi assieme. Si stima che contenga circa il 20% delle riserve d'acqua dolce del pianeta (esclusi i ghiacciai e le calotte polari)...Il lago Bajkal è caratterizzato da un ambiente atipico per un lago: le sue acque sono molto ricche d'ossigeno (soluzione satura al 75%) e anche il punto più profondo è popolato da forme di vita, mentre in altri laghi profondi in varie parti del mondo le forme di vita macroscopica scompaiono oltre i 300 m a causa dell'anossia.
    Il Lago Baikal è un lago della Siberia meridionale, diviso fra i territori dell’Oblast’ di Irkutsk e della Repubblica di Buriazia. Sottoposto alla tutela dell’Unesco nel 1996, e riconosciuto come patrimonio dell’umanità, è caratterizzato da acque così trasparenti, che non superano mai i 14 gradi, che lasciano filtrare lo sguardo fino ad una profondità di 40 metri. Negli ultimi anni sempre più turisti, provenienti da tutte le parti del mondo, vi si recano per scorgere la sua bellezza e la sua magnificenza.

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    Tra le 22 isole che sorgono nel lago, quella di Yarki in estate è particolarmente bella. Si tratta di un’isola alluvionale, confine naturale tra le acque dell’Angara e quelle del Bajkal. La superficie dell’isola è di circa 4 km quadrati, la lunghezza è di 15 km, la larghezza massima 100 m: in alcuni punti l’isola si fonde con la superficie dell’acqua, che per il fondo basso arriva a riscaldarsi fino a 20°. In questa zona come in nessun altro luogo della Siberia si trova una grande quantità di fonti termali con temperatura dai 36° agli 80°.
    La zona settentrionale invece, nonostante sia più fredda, è forse la più bella per la natura quasi primordiale e per la trasparenza dell’acqua. Non ci sono grandi centri abitati, né strade e industrie, e la popolazione si aggira sulle 40mila unità. Un viaggio che non richiede grandi sforzi fisici, ma c’è da superare l’ostacolo psicologico delle grandi distanze, degli immensi territori disabitati, dell’assenza di qualsiasi segno di civiltà.


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    ... storia, miti e leggende.....


    Sulle sponde del lago, nel corso dei secoli, si sono insediate comunità di credo differente, di cui oggi è possibile visitare alcuni reperti storici. Le religioni principali sono tre: lo “sciamanesimo tibetano”, il “buddhismo” ed il “cristianesimo ortodosso” che fu portato dai russi quando scoprirono le acque del grande lago Baikal nel 1643.... I Burjati, discendenti diretti del popolo nomade dei mongoli, ancora oggi vivono lungo le sponde del lago; una leggenda locale asserisce che la madre di Gengis Khan fosse nata nel villaggio di Barguzin, sulla riva orientale.
    L’origine dello sciamanesimo in Siberia risale a circa 3000 anni prima di Cristo. Il termine shaman nasce tra le popolazioni tunguse e manciù e ha il significato di “soffio” e “ispirazione dagli spiriti”. In quelle zone si svilupparono società matriarcali governate ancora oggi dalle Sciamane.


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    Nel corso dei secoli questo lago ha ispirato un senso di riverenza nelle tribù mongole stanziate nella remota regione nota oggi come Siberia meridionale. E’ vero che diversi laghi hanno un’estensione maggiore, ma questo è il più profondo e il maggiore in assoluto per volume di acqua dolce. Bajkal è uno dei nomi del lago che sono giunti fino a noi e pare significhi “lago ricco” o “mare”. In effetti, poiché il lago è “così immenso e mutevole”, a volte i marinai che vivono lungo le sue rive usano ancora l’espressione “andare per mare”. Il lago Bajkal è molto caro ai russi. Una ricercatrice moscovita lo ha definito “un bel brano musicale che s’impara da bambini”. Le “note” sono spiagge di straordinaria bellezza, acque cristalline e tanti animali di diverso tipo che si trovano soltanto qui. Se lo si osserva dallo spazio, questo specchio d’acqua di colore blu, lungo 636 chilometri e largo 80 nel punto dove l’ampiezza è maggiore, assomiglia a un occhio socchiuso.La collisione tra due blocchi continentali Secondo i geologi, nel lontano passato un subcontinente che andava alla deriva verso nord si scontrò con l’Asia. Dall’impatto enormi sezioni del substrato roccioso si corrugarono come se questo fosse un foglio di alluminio, la crosta terrestre si sollevò e si formò così la catena himalayana. Alcuni ritengono che la collisione dei due blocchi continentali abbia riattivato in Siberia molti profondi rift.

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    Uno di questi è ora conosciuto come la fossa tettonica del Bajkal. Nel corso del tempo i detriti staccatisi dalle montagne circostanti riempirono questa fossa di sedimenti per circa 7 chilometri di profondità. L’acqua riempì la fossa fino all’orlo per formare il lago Bajkal. Ora più di 300 fiumi e torrenti si gettano nel lago, mentre vi è un unico emissario, l’Angara. A differenza di molti laghi antichi, il Bajkal non si è riempito completamente di sedimenti e non ha dato origine a paludi. Gli scienziati ritengono che questo dipenda dal fatto che le zolle tettoniche in movimento sotto il lago si stiano ancora allontanando e continuino ad allargare il rift. Così, invece di riempirsi sempre di più col passare del tempo, il lago diventa anno dopo anno più profondo. Inoltre, queste zolle in movimento fanno sì che dal fondo del lago fuoriescano getti d’acqua caldissima Ad alcuni spaventa l’idea di fare un giro in barca e raggiungere il centro del lago, perché l’acqua è così limpida che si riesce a vedere chiaramente fino a 50 metri di profondità. Minuscoli crostacei, gli epischura, filtrano l’acqua eliminando le alghe e i batteri che intorbidano molti laghi. Li aiutano in questo compito numerose specie di gamberi d’acqua dolce che si aggirano nel lago nutrendosi di rifiuti organici che altrimenti si decomporrebbero. Grazie a questi animaletti l’acqua è così pura che meno di vent’anni fa un campione d’acqua presa per essere analizzata si contaminò a causa del recipiente in cui era stata messa! Oltre alla loro rinomata trasparenza, le acque del lago sono straordinariamente ricche di ossigeno. A una certa profondità alcuni laghi sono privi di ossigeno, e per questo la maggioranza delle forme di vita acquatica devono vivere in acque relativamente poco profonde. Nel lago Bajkal, invece, correnti verticali e orizzontali trasportano l’ossigeno nei recessi più profondi del lago e rimescolano le acque così che tutto il lago pullula di vita. Nelle fredde acque cristalline cresce rigogliosa una foresta sommersa. Spugne d’acqua dolce di colore verde si ramificano come fossero coralli e provvedono riparo a una moltitudine di animaletti acquatici. Molti organismi che amano il caldo si ammassano intorno alle sorgenti idrotermali. Delle oltre 2.000 specie acquatiche che vivono nel lago ben 1.500 sono endemiche. Il lago Bajkal è famoso per l’omul, un pesce dalle carni gustose molto apprezzato dai pescatori. Altre creature endemiche sono un po’ insolite, anzi... bizzarre. Un tipo di verme piatto lungo anche più di 30 centimetri si nutre di pesciolini, mentre organismi unicellulari vivono fra i granelli di sabbia! Il lago è anche famoso per un altro pesce endemico: la golomyanka, forse il più strano fra quelli che vivono qui.

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    Questo pesciolino semitrasparente ha i colori brillanti dell’arcobaleno. Vive vicino al fondo del lago ed è viviparo. Un terzo del suo corpo è costituito da grasso, ricco di vitamina A. Resiste alla pressione proibitiva che si trova fra i 200 e i 450 metri di profondità, ma quando è esposto alla luce del sole il suo corpo si liquefà lasciando solo le lische e il grasso. Il golomyanka è un bocconcino prelibato per la nerpa, o foca della Siberia, il più noto abitante del lago Bajkal. Questa è l’unica foca che vive esclusivamente in acqua dolce. Il lago Bajkal rimane ghiacciato per circa cinque mesi all’anno. Verso la fine di gennaio lo spessore del ghiaccio diventa di un metro o più. La lastra di ghiaccio appare come un mosaico, e al sole scintilla come uno specchio. All’apparenza il ghiaccio è molto sottile: è così trasparente che chi vi cammina sopra riesce a vedere le rocce sul fondo del lago. Ma in realtà è incredibilmente robusto: un secolo fa durante l’inverno della guerra russo-giapponese, l’esercito russo collocò dei binari sul ghiaccio e vi fece transitare senza problemi 65 locomotive. Dalla fine di aprile fino a giugno il ghiaccio si spezza con fragore. Il crepitio costante che proviene dal lago crea la stagionale “musica del ghiaccio”, che i locali conoscono bene. Il naturalista Gerald Durrell scrisse che “il rumore del ghiaccio assomiglia a quello di piccoli cembali e alle fusa di una cesta piena di gatti”. Ben presto, mentre il clima si fa più mite, il vento e le onde spazzano via il ghiaccio creando mucchi scintillanti e gettandoli poi sulle rive. Appena le acque si disgelano gli uccelli fanno ritorno. Alcuni di questi, come il merlo acquaiolo, passano tutto l’inverno nell’unico punto del lago che non gela mai, quello in cui le acque del lago danno origine all’Angara. Ora è giunto per loro il tempo di mescolarsi ad altri uccelli acquatici: anatre, oche, cigni selvatici e aironi. Chi va al lago nel mese di giugno potrà vedere famiglie di orsi bruni che si dirigono con passo goffo verso la riva per mangiare larve di insetti che escono in massa dai loro involucri sulle rocce. Gli orsi, felici, leccano gli insetti senza curarsi del ronzio intorno a loro, e a questo punto molti altri mammiferi e uccelli, attirati dal fermento generale, si dirigono verso le rive del lago. Per un breve momento agli inizi della primavera e dell’estate le alghe del lago fioriscono dando cibo a piccoli crostacei e colorando l’acqua di verde. Di solito, però, guardandole dalla riva, le acque del Bajkal sono prima turchesi e poi, al largo, azzurro scuro, il colore del mare. La costa presenta dune di sabbia e scogliere maestose. Molte baie e promontori suggestivi offrono un panorama splendido, tanto che uno scrittore ha definito lo spettacolo “una distesa argentea dai contorni mutevoli”, un insieme di acqua e cielo sempre nuovi. Con l’autunno spesso il lago si fa burrascoso. Arrivano venti che a volte si abbattono sul lago come uragani: in un istante le acque placide della superficie si trasformano in onde furiose alte dai 4 ai 6 metri. Ma si sa di venti che hanno fatto affondare grandi navi passeggeri e pescherecci anche in altri momenti dell’anno. L’asprezza della Siberia potrebbe rendere il lago simile a un gigante freddo e solitario, ma in realtà la regione del Bajkal è ricchissima di flora, fauna e di bei paesaggi. Sulle quattro maestose catene montuose che circondano il lago vivono renne della tundra e capre asiatiche, una specie in via d’estinzione. Più in basso ci sono le steppe. Alcune di queste pianure erbose potrebbero essere considerate come i giardini fioriti della Siberia per la straordinaria varietà di fiori selvatici. Fra le specie rare di uccelli che vivono nelle steppe ci sono la gru damigella e l’otarda comune, l’uccello asiatico più grande. Per il lago Bajkal è importante la taiga, la densa foresta di conifere che lo circonda.
    (papjpool, dalweb)


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    .....una leggenda....


    Nella zona meridionale del lago Bajkal esattamente dove il fiume Angara diventa affluente del fiume Elisei c'e' una roccia che spunta pelo a pelo dalle acque ed e' legata ad un'antica leggenda......
    Un tempo, tantissimi anni fa, in quelle terre viveva un uomo che si chiamava Bajkal ,ed era un grande uomo che aveva 337 figlie piu' una prediletta di nome Angara promessa sposa di un ricco signore che si chiamava Irkutsk. Una notte angara viene visitata da uno stormo di gabbiani che le raccontano le gesta di un altro uomo che si chiama Elisei gli raccontano del fascino di questo uomo e solo attraverso questi racconti Angara si innamora di Elisei e decide di scappare dal suo promesso sposo. Bajkal accortosi che la figlia stava scappando prende una grande roccia, chiamata la roccia dello sciamano, e gliela scaglia con tutta la sua forza per impedirne la fuga pero' la figlia riesce ugualmente a fuggire e da allora sapete che cosa e' successo? Il lago e' stato chiamato Bajkal in onore proprio di questo grande uomo, le 337 figlie sono tutti i fiumi che entrano nel lago ma soltanto uno ne esce che si chiama Angara e si va ad unire alla fine proprio al fiume Elisei.



    Accade ogni anno a marzo-aprile. Il Lago Baikal comincia a mostrare le prime crepe sulla sua superficie ghiacciata. La differenza di temperatura e pressione tra una area e un’altra del lago, dovuta anche alle diverse profondità, fa si i che il ghiaccio cominci a rompersi, con crepe che sembrano delle enormi fratture su una lastra di vetro.


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    Edited by gheagabry1 - 30/4/2021, 11:19
     
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    Il lago MARACAIBO



    Il lago di Maracaibo (detto anche lago Zulia, in spagnolo: lago de Maracaibo; in lingua wayuu: Coquivacoa) è un vasto lago-estuario di acque in parte salmastre nella zona nord-occidentale del Venezuela. Se si accetta di definirlo un lago, sarebbe il più grande del Sud America, con un'estensione di 13.210 km², (altrimenti il più grande è il lago Titicaca). Dalla sua storia geologica si stima che sia uno dei più antichi laghi del pianeta Terra. Nel mondo è il 23° lago per estensione.
    È in parte separato ed in parte collegato al mare del golfo del Venezuela dalla "barra del lago", una barriera di isole sabbiose e calcaree (tra queste e l'isola di Toas e l'isola di Zapara) e lagune con alberi di mangrovia.

    Il 18 giugno del 2004, circa il 18% della superficie del lago di Maracaibo risultava coperta da una coltre di limo specificamente Lemna. Anche se gli sforzi per rimuovere questa pianta acquatica erano in corso da maggio, questa pianta (che può duplicare le sue dimensioni ogni 48 ore) copre circa 130 milioni di metri cubici del lago. L'unico metodo per rimuovere il limo è l'asportazione fisica, dal momento che non esiste alcuna procedura chimica o biologica per uccidere la pianta....Esiste una sorta di mistero sul come la pianta si sia insediata nelle acque del Lago di Maracaibo. Secondo gli scienziati dell'Instituto para la Conservacion del Lago de Maracaibo (ICLAM), il limo è probabilmente nativo del lago, però alcuni studi sono stati condotte confermare questo sospetto. La prodigiosa crescita della pianta di acqua dolce secondo alcuni scienziati probabilmente costituisce un meccanismo di auto-purificazione da fosfati nitrati e da altri altre sostanze proteiche che contaminano il lago....Un altro aspetto da capire è perché lo sviluppo di questa pianta sia stato così veloce. Il lago è alimentato sia con l'acqua marina dei Caraibi sia con l'acqua più fresca di numerosi fiumi. L'acqua dolce, più fresca, scorre sopra l'acqua salata più pesante, che forma uno strato inferiore più denso. Questa combinazione intrappola gli elementi nutrienti sul fondo del lago. Nella primavera del 2004 questo schema collaudato è stato interrotto da pesanti piogge. L'improvviso afflusso di acqua fresca ha rimescolato gli strati, permettendo agli elementi nutrienti di risalire in superficie, dove si trovavano il Lemna ed altre piante.



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    Dal punto di vista meteorologico la laguna di Maracaibo, grazie al suo particolare assetto geomorfologico, presenta un fascino notevole. Difatti, trattandosi di un bacino lagunare molto vasto ma chiuso, conserva un potenziale termico/energetico di non poco conto.Sotto il cocente sole tropicale, le acque salmastre della laguna tendono a scaldarsi in modo intenso e alquanto repentino.Tanto che in molti tratti le acque presentano temperature prossime o superiori alla soglia dei +31° +32°..L’intenso calore latente accumulato sopra le sue acque bollenti spesso viene rilasciato all’atmosfera durante le ore serali e notturne, nei momenti di assenza di vento nei bassi strati, quando vaste bolle di aria molto calda e umida (molto pesante) risalgono dalla laguna verso la medio-alta troposfera sovrastante, favorendo l’attivazione di forti, tavolta violente, correnti ascensionali che agevolano la costruzione di enormi cellule temporalesche tropicali, cariche di fulminazioni, tuoni fragorosi e rovesci davvero intensi, alle volte accompagnati da chicchi di grandine e colpi di vento turbolenti (fino a 100 km/h nelle situazioni estreme) legati ai “Downburst” delle singole celle. Gonfiandosi ulteriormente questi temporali estremi vanno a sconfinare lungo le coste che si affacciano sulla laguna, apportando gravi danni e purtroppo anche delle vittime fra la popolazione del posto, ormai abituata a convivere con questi eventi. In alcune occasioni questi fenomeni temporaleschi, molto sottovalutati dalle autorità locali venezuelane, si sono resi protagonisti di autentiche devastazioni in tutta l’area di Maracaibo, con interi villaggi distrutti.

    .....la storia.....



    I primi insediamenti nel lago erano quelli degli indiani Wayuu (noti anche come Guajiro), che parlano un dialetto della famiglia linguistica delle tribù Arawak.
    Il primo europeo ad aver scoperto il lago è stato Alonso de Ojeda il 24 agosto del 1499, in una spedizione dove si trovava anche il navigatore fiorentino Amerigo Vespucci. La città portuale di Maracaibo venne fondata nel 1529 sul lato occidentale dello stretto (8 km) che porta al lago. Storicamente il nome "Venezuela", venne coniato dall'esploratore Amerigo Vespucci, che vedendo questi insediamenti di palafitte site nella laguna di Sinamaica, gli venne in mente una specie di modesta "veneziola" tropicale. Oggi giorno, molto spesso questi villaggi non hanno elettricità, ed i rifornimenti arrivano in variopinte barche di legno con motori fuori-bordo a benzina, dunque la vita può sembrare dura, ma queste capanne non hanno bisogno di fogne né di trappole per topi o altri predatori.
    Nel luglio del 1823, nell'estuario a nord dello stretto vi fu la battaglia del lago di Maracaibo, una delle battaglie risolutive della guerra d'indipendenza del Venezuela.
    La produzione di petrolio nel bacino del lago di Maracaibo iniziò nel 1914.


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    .....una leggenda....


    Il mese di novembre è di speciale significato per il paese zuliano, poiché durante lo stesso si portano a termine le celebrazioni in onore della Cinese, (equivalente zuliano di contadina cubana), o Vergine della Chiquinquirá. È per questo motivo che durante questi giorni, la cornamusa suona con speciale frenesia ed allegria in tutto la regione di Zulia. Delle numerose feste in onore della Vergine, la più spettacolare è chiamata "Alba Zampognaro", nella quale il paese di Maracaibo si riunisce all'alba del giorno 18 nella piazzola della Basilica, per cantare alla Cinese le "Mattine" ed il "Compleanno Felice".
    In accordo con la tradizione zuliana, la Cinese o Contadina arrivò a Maracaibo sulle onde dal lago. Racconta la storia che un giorno dell'anno 1749, una semplice donna aveva appena lavato i suoi vestiti presso i bordi del lago di Maracaibo, quando improvvisamente vide galleggiare una tavola di legno fine. La donna raccolse la tavola pensando che gli sarebbe stata utile per coprire la giara di acqua che aveva nel corridoio della sua casa. La mattina seguente, mentre stava colando il caffè, la donna sentì alcuni colpi come se qualcuno la stesse chiamando. Andò a vedere quello che succedeva e rimase spaventata e piena di stupore vedendo che la tavola brillava e che appariva in lei, l'immagine di Nostra Sig.ra di Chiquinquirá.
    Per tale motivo, la donna cominciò a gridare: "Miracolo! Miracolo!"; ed è per questo che di lì proviene il nome dell'attuale viale vicino al lago, dove stava la casetta della lavandaia: il Viale del Miracolo. Subito dopo numerose persone che sentirono le urla della donna accorsero a presenziare al prodigio, trasformando cosìn col passare del tempo, la casa dell'umile donna in un luogo di venerazione della Vergine da parte di folle di credenti.
    Al tempo del Miracolo, in casa dell'umile lavandaia, le autorità di Maracaibo decisero di organizzare una processione in onore della Cinese. Racconta la cronaca del tempo che la Vergine venne portata in spalle da due uomini eletti dal proprio Governatore, quando girando un angolo, l'Immagine diventò tanto pesante che impedì loro di continuare a muoverla. Finalmente, dopo molte suppliche al cielo e suppliche alla Vergine, uno dei presenti esclamò:

    "Forse la Vergine non voglia andare alla Chiesa Madre e preferisca quella di San Juan di Dio".

    Secondo la tradizione popolare, queste parole si presero come un'ispirazione divina, poiché la processione cambiò la sua rotta verso la chiesa di San Juan di Dio e la gente umile di Maracaibo. In quel preciso momento l'Immagine recuperò il suo peso normale.


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    LAGHI COLORATI



    La natura a volte ci regala degli spettacoli davvero incredibili, davanti ai quali noi comuni essere mortali non possiamo far altro che rimanere a bocca aperta. Come i laghi colorati che Madre Natura ha disseminato nel mondo: rossi, neri, verdi o semplicemente blu, nel mondo i laghi colorati sono molti....Laghi rosso sangue, neri come la peste o dai riflessi smaccatamente verdi. Le acque dolci si possono colorare in molte tinte diverse tra loro; che nella maggior parte dei casi hanno suscitato superstizioni e credenze in fatti miracolosi per giustificarne l'esistenza.

    A rappresentare i blu-turchesi sicuramente il Peyto Lake nello stato dell'Alberta in Canada e il Perito Moreno in Argentina. Nella maggior parte dei casi il colore azzurro chiaro è dovuto ai ghiacci che sciogliendosi ne alimentano le acque. Per i verde-giallo, meritano menzione il verdissimo lago boliviano di Uyuni, città a oltre 3500 metri sul livello del mare, sull'altopiano andino, e il Wise Lake nello stato della Carolina del sud, reso verde dai riflessi della foresta di mangrovie che si specchia sulla sua superficie. E il Golden Lake, che col sole basso sull'orizzonte si tinge d'oro. Tra tutti i colori che può assumere un lago però quello che più ha colpito l'immaginazione degli umani è il rosso. Uno specchio d'acqua color del sangue ha sempre spaventato e impressionato. Environmental Graffiti elenca il lago Saneetsch, sull'omonimo passo svizzero, oltre a un lago salato boliviano nella regione intorno a Uyuni.



    Tra queste meritano di essere segnalati due luoghi spettacolari: la Champagne Pool, ansa del lago neozelandese di Rotorua, dove la acque sulfuree e termali si colorano di rosso, giallo e verde; e il vulcano Kelimutu, in Indonesia, dove ci sono tre laghi dai colori cangianti: uno diventa rosso, l'altro verde il terzo blu cobalto. Il magazine statunitense omette anche il lago colorato italiano più famoso, il lago di Tovel nelle Dolomiti, che fino al 1964 era celebre per essere azzurro per quasi tutto l'anno e diventare rosso alcune settimane d'estate. Leggenda vuole che il lago alpino assumesse la tinta purpurea in onore degli abitanti di Ragoli - piccolo paese della Val Rendeva vicino a Madonna di Campiglio – che si sacrificarono in battaglia pur di non concedere in sposa la propria principessa a un principe nemico. Dall'estate del 1964 sembra che il lago non cambi più colore, il che ha contribuito a spiegare il motivo dell'arrossamento estivo: erano le mucche in alpeggio ad alimentare con le loro deiezioni alcune alghe che «insanguinano» le acque gelide del lago di Tovel. Non sono quindi gli dei a essersi dimenticati di commemorare i Ragolesi caduti; piuttosto sono i pastori che non si sono ricordati di portare le mucche al pascolo.




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    I CENOTES



    La Riviera Maya è nota per la quantità e la bellezza dei suoi “cenotes”, piccoli laghi distribuiti nella foresta come perle, che sono la porta di entrata di un mondo subacqueo incredibile fatto di caratteristiche grotte sotterranee piene di acqua, ricche di storia e di rara bellezza, collegate tra loro da una serie infinita di arterie sotterranee. I Cenotes sono grossi bacini e grotte di dimensioni e profondità diverse, dove l'acqua dolce penetra attraverso il suolo poroso e in seguito raggiunge l'oceano attraverso una rete di fiumi sotterranei; durante l'era glaciale, parte di questi si prosciugò e l'acqua, gocciolando attraverso il suolo poroso, creò depositi minerali dalle splendide forme; si sono create cosi' le stalattiti e le stalagmiti, meravigliose formazioni calcaree all’interno di grotte che vennero poi nuovamente riempite dall'acqua quando i fiumi ripresero a scorrere in superficie. Così si sono formati i “cenotes”, vere e proprie cattedrali carsiche, grotte piene di acqua dolce in mezzo alla foresta dello Yucatan; a prima vista sembrano dei semplici laghetti ma, accompagnati da guide esperte, sul fondo si trova l’entrata per caratteristiche grotte da scoprire: un mondo unico di gallerie che si estendono per chilometri nel sottosuolo, collegando molti “cenotes” fra di loro e dando al subacqueo la sensazione di essere in un mondo incantato. Fossili di pesci e di conchiglie, pezzi di quarzo.

    La parola cenote arriva direttamente dalla lingua dei Maya: dzonot, cioè ‘acqua sacra’. Queste meraviglie naturali sono doline carsiche (delle ‘conche’ formatesi in seguito al crollo del tetto calcareo a causa dell’infiltrazione di acqua piovana), che i Maya utilizzavano per i loro rituali ma anche per l’approvvigionamento dell’acqua.
    Ed è nella regione dello Yucatan che si trova la maggior concentrazione di cenotes, poiché se è vero che è un territorio pressoché privo di risorse idriche superficiali, è al contempo caratterizzato da un sottosuolo calcareo poroso, che ha permesso la formazione di questi cunicoli sotterranei. È quindi facile comprendere l’importanza sociale che per i Maya avevano queste grotte di origine pleistocenica.
    La vita geologica di un cenote attraversa quattro stadi. Il primo, detto di ‘caverna’, costituisce la nascita del cenote: l’acidità dell’acqua presente nel terreno discioglie la calcite, l’elemento principale del calcare, rendendolo friabile. Il secondo è detto di ‘cenote giovane’ in cui il soffitto calcareo collassa parzialmente, lasciando l’interno della caverna esposta agli agenti atmosferici. Il terzo, detto ‘cenote maturo’, vede l’accumularsi dei detriti che rendono meno profonda la grotta. E il quarto e ultimo è detto di ‘cenote asciutto’: il cenote si riempie completamente di detriti permettendo la crescita di piante anche ad alto fusto. E se si parla di cenotes non si possono non nominare le antiche città maya di Chichén Itzá e Tulum.
    Osservando la piantina della prima si notano due cenotes: il Cenote Sagrado (‘Cenote sacro’) e il Cenote Xtoloc detto ‘Cenote civile’. Il primo (60 metri di diametro e 20 metri di distanza tra il suolo e il pelo dell’acqua) era usato dagli Itzá (i “maghi dell’acqua”), la popolazione predominante nel nord dello Yucatan, per i riti sacrificali al dio della pioggia Chaac, ma anche per interrogare gli dèi. Il secondo, invece, ormai difficilmente riconoscibile a causa della fitta vegetazione che lo ricopre, è più probabile che fosse la vera e propria fonte di approvvigionamento idrico della città.



    Per i Maya i cenotes erano porte d’ingresso per il mondo sotterraneo, motivo per il quale è facile trovare, vicino a essi, edifici adibiti al culto e alla purificazione. Nelle adiacenze del Cenote Sagrado, per esempio, vi è una struttura detta il “Bagno di Vapore”, che presumibilmente veniva utilizzata per i riti purificatori prima dei sacrifici umani, che gli Itzá compivano o in periodi di siccità o per chiedere lumi circa l’annata che sarebbe venuta: se nel primo caso venivano sacrificati degli uomini; nel secondo, all’alba, a essere gettate in acqua per conto dei possidenti del paese, erano le donne che, se sopravvivevano, a giorno fatto venivano salvate in modo che potessero raccontare quello che gli spiriti, che dicevano di aver visto nelle profondità del cenote, avevano risposto loro.
    Nel 1904, poi, il professor Edward Thompson (Università di Harvard), dragò il cenote e vi scoprì, oltre a oggetti preziosi (dagli inizi del Novecento ne sono stati rinvenuti circa 4000), anche scheletri di bambini di età compresa tra i 18 mesi e gli 11 anni.
    Per quanto riguarda Tulum (costa caraibica dello Yucatan), sicuramente il suo fiore all’occhiello è il sistema di grotte allagate chiamato Dos Ojos (‘Due occhi’), il cui nome deriva da due cenotes ‘gemelli’, collegati da una stessa caverna (visti dall’alto sembrano due occhi). La sua esplorazione, cominciata nel 1986 proprio dai due cenotes ‘gemelli’ e non ancora terminata, fino al 2008 ha potuto documentare una rete di grotte sotterranee lunga almeno 61 chilometri, con non meno di 25 cenotes a fare da ingressi (sinkhole in inglese). Dos Ojos è un sistema di grotte anchialine che presentano dei collegamenti attraverso i quali l’acqua del mare può miscelarsi con quella dolce (piovana) dei bacini, ed è proprio in questo sistema che si trova il Cenote Pit, il più profondo dello stato di Quintana Roo (118 metri). In questo sistema di grotte si può fare snorkeling e vengono organizzate anche delle visite subacquee, entrambe le attività rese spettacolari dalla purezza delle acque (depurate naturalmente dalla pietra calcarea) e piacevoli dalla temperatura media di 25°C.
    Alcuni cenotes, poi, sono ricchi di una fauna e di una flora di acqua dolce (ma anche, vicino alla costa, di mare come i dentici) a rischio di estinzione: il pesce cieco dello Yucatan, l’anguilla cieca, i bivalvi, le spugne, il plancton, ecc. In una caverna del Dos Ojos sono stati avvistati addirittura dei pipistrelli.

    Per i Maya i cenotes erano grotte dalle acque sacre nelle quali trovare risposte, e un mezzo per ringraziare (e ingraziarsi) gli dèi. Per noi, uomini di oggi, sono una meraviglia della Natura venuta da lontano, dal turchese ingenuo e ignaro della fine di quel popolo che per secoli ne ha rispettato il mistero.
    (Giulia Gabriele)




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  9. gheagabry
     
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    "L’imbarcazione incrocia lentamente sulla superficie dell'acqua di un azzurro limpido, non lontano dai canneti verdeggianti dove gli ippopotami sono intenti al loro pasto, quando improvvisamente un maschio aggressivo si lancia con un balzo in una finta carica verso la barca, ma presto rimane indietro, nella scia. Benché le acque che stiamo solcando siano tanto vaste da potersi quasi definire un mare interno e gli orizzonti lontani non possano dissipare quest'impressione, non si tratta di un oceano né di un mare, ma di un lago d'acqua dolce situato nel profondo cuore dell'Africa....."


    Il lago VITTORIA


    Il lago Vittoria, altrimenti conosciuto come "Victoria Nyanza" è uno dei "grandi laghi africani" ed è il lago d'acqua dolce più esteso del continente africano. Si trova nella parte occidentale della Rift Valley ed è condiviso da 3 regioni: la Tanzania, che ne possiede la percentuale maggiore; l'Uganda ed ill Kenya, che ne possiede solo il 6%.
    l Lago Vittoria, durante la sua storia geologica, è passato attraverso delle modifiche successive che hanno portato alla creazione della presente depressione, passando attraverso a ciò che potrebbe essere stata una serie di laghi molto più piccoli.Campioni prelevati dal suo fondo rilevano che il lago si prosciugò completamente almeno tre volte dalla sua formazione. Questi cicli sono probabilmente correlati alle passate ere glaciali, in cui le precipitazioni diminuirono globalmente. L'ultimo prosciugamento avvenne 17.300 anni fa, ed il successivo riempimento iniziò circa 14.700 anni fa. Geologicamente il lago Vittoria è relativamente giovane (circa 400.000 anni) ed iniziò a formarsi quando i fiumi che scorrevano verso ovest vennero sbarrati. Nelle acque del Lago Vittoria in periodo relativamente breve, circa 12.500 anni, si sono formate centinaia di specie, oltre 500, di un piccolo pesce, il furu (ciclidi della famiglia Haplochromis). Il fatto è di per sé significativo, perché il tempo che i furu hanno impiegato per formare nuove specie è il più breve mai registrato tra i vertebrati. Ma ancor più significativo è che per l'intervento dell'uomo è stato introdotto nel lago un pesce predatore, la perca, che in pochi anni, dal 1954 alla fine degli anni '80, ha portato alla scomparsa di tre quarti della popolazione dei furu e della maggior parte delle specie. La diffusione della perca consente di sviluppare sulle sponde del lago una vera e propria industria legata alla pesca, e quindi valutata in modo positivo dalle popolazioni locali, ma altresì modifica in modo radicale un ecosistema unico al mondo.
    Così riassunto, il caso del Lago Vittoria non è molto strano, anzi assomiglia in modo desolante a molti interventi umani che, incuranti di una evoluzione durata milioni di anni, intervengono in un ambiente stravolgendono regole, comportamenti, attori.

    Le prime informazioni sul lago Vittoria vengono dai commercianti arabi che setacciavano le zone interne dell'Africa alla ricerca di oro, avorio, schiavi e altri beni preziosi. Una eccellente mappa del 1160 circa, conosciuta come la mappa di al-Idrîsî (dal nome del geografo arabo che operò anche a Palermo, nella corte normanna di Ruggero II di Sicilia), mostra una accurata rappresentazione del lago Vittoria, descritto come la sorgente del Nilo.
    Il primo europeo a scoprire il lago fu John Hanning Speke, un esploratore britannico, che nel 1858 ne raggiunse la costa meridionale, durante un viaggio esplorativo intrapreso insieme a Richard Francis Burton con lo scopo di trovare la sorgente del Nilo, considerata all'epoca come risorsa strategica per l'amministrazione coloniale britannica. Credendo di aver trovato la sorgente del Nilo, e vedendo questa ampia distesa d'acqua per la prima volta, Speke diede al lago il nome di Vittoria in onore dell'allora sovrana del Regno Unito. La scoperta di Speke non dava la certezza che quel lago fosse la vera sorgente del Nilo, anche perché Speke non lo esplorò tutto, e questo portò molti esploratori a recarsi nella zona per confutare o confermare la teoria di Speke. Tra questi vi fu anche il famoso esploratore e missionario David Livingstone, che però fallì nel suo tentativo di verificare la scoperta e si spinse troppo a ovest, arrivando fino al sistema fluviale del fiume Congo. Fu invece il giornalista ed esploratore americano Henry Morton Stanley a confermare la veridicità della scoperta, circumnavigando il lago e scoprendo sulla costa settentrionale le cascate Rippon, che formano il Nilo bianco.

    Posto a un'altitudine di 1133 metri, lungo 337 chilometri da nord a sud, il lago Vittoria è ampio 241 chilometri e misura 82 metri di profondità massima. Fatta eccezione per la sezione occidentale, le sponde sono profondamente frastagliate e racchiudono le acque che colmano una modesta depressione nel centro del vasto altopiano esteso tra la Fossa Tettonica orientale e quella occidentale (Great Rift Valley). Nel 1954 l'apertura della diga delle Cascate di Owen trasformò il vasto lago in una massa d'acqua ancora più grande, facendone uno dei maggiori bacini idrici del mondo e innalzando il livello dell'acqua di circa 90 centimetri; la diga, situata a Jinja, in Uganda, fornisce l'energia elettrica a una delle aree più popolate dell'Africa, ma disgraziatamente ha anche causato la scomparsa delle cascate di Ripon, fra le più belle del continente.

    Il lago Vittoria ha svolto un ruolo significativo nella ricerca delle sorgenti del Nilo, di cui è la più vasta fonte singola: alimentato da numerosi fiumi, il più notevole dei quali è il Kagera, il Nilo è l'unico emissario del lago, della cui esistenza gli Europei ebbero la prima notizia nel 1858, quando fu avvistato dall'esploratore John Hanning Speke, e maggiori informazioni nel 1875, quando Henry Morton Stanley lo circumnavigò.
    Sulla superficie lacustre emergono diversi arcipelaghi e numerose scogliere, spesso celate appena al di sotto delle acque limpide; la sponda sud-occidentale, spalleggiata da scogliere alte fino a 90 metri, a occidente si trasforma nelle paludi ricche di papiri e alofìte che delineano il delta del fiume Kagera, mentre la costa settentrionale, profondamente frastagliata, è sorprendentemente piatta e spoglia. Una simile massa di acqua dolce in una terra tanto arida costituisce ovviamente un habitat prediletto da molti esseri viventi, tanto quelli che vivono al di sotto, quanto quelli che vivono al di sopra delle sue onde.



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  10. gheagabry
     
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    Il lago di POSTA FIBRENO



    Il lago si trova in prossimità di Posta, località che anticamente era usata come area di ricambio di cavalli che venivano utilizzati per il recapito della posta nel tragitto tra Roma e Napoli. Situato alle pendici della catena appenninica, sul versante sud-occidentale dei Monti della Marsica, il lago deve la sua origine ad un sistema di sorgenti pedemontane che derivano dal bacino imbrifero carsico dell'alta Valle del Sangro, all'interno del Parco Nazionale d'Abruzzo.
    Considerato una sorgente, sebbene di notevole portata (circa 9 metri cubi al secondo), ha una forma stretta ed allungata e, dopo essersi espansa, dà origine al fiume Fibreno -a suo tempo anche chiamato "fiume di Cicerone" perchè lambiva i fondi di proprietà del grande oratore romano- prima di confluire nel fiume Liri.
    L'origine carsica gli conferisce una temperatura pressoché costante di circa 10°C per tutto l'anno; ha una superficie di circa 0.287 km2 e una profondità massima di 15 m raggiunti solo in una piccola area. Per la sua forma allungata, l'elevata velocità di ricambio totale, la temperatura pressoché costante nell'arco dell'anno anche a varie profondità, è stato spesso considerato un lago-fiume più che un semplice lago. Il bacino lacustre rappresenta il fulcro dell'intero ecosistema: acque incontaminate, cristalline e gelide. Sono proprio queste caratteristiche a renderlo un habitat ideale per diverse importanti specie di pesci che vivono in acque ricche d'ossigeno.
    Ricchissima è la vegetazione sommersa che riceve luce fino alla massima profondità, complici anche le acque pulite e cristalline. Il fondale è ricoperto da numerose specie, come Cloroficee e Diatomee, anche se in misura maggiore sono presenti le Angiosperme. Nei pressi delle diverse sorgenti è presente il crescione, utilizzato anche come alimento; inoltre, una buona parte dello specchio d'acqua è circondato da un canneto ben sviluppato che offre protezione a diversi organismi.


    Una zolla vagante antica come il mondo è mossa dal vento da millenni contro le sponde. È l'isola galleggiante del lago che stupì Cicerone. E che Plinio il Vecchio descrisse nella sua Naturalis Historia perché scoprì che su quell'isolotto sempre in movimento s'è conservata come un relitto dell'era glaciale una vegetazione boreale. Là vive forse il pioppo più antico della terra. In questo lago alimentato da mille sorgenti nuota un pesce unico al mondo - il carpione del Fibreno - che si riproduce misteriosamente nella profondità della caverne carsiche. Una leggenda vuole che si nutra dell'oro contenuto nella sabbia del lago per mantenere intatto il bel colore ambrato della sua pelle. E' una specie endemica e proprio per questo dal 1986 inclusa tra le specie protette.Un'altra specie particolarmente famosa è la trota macrostigma (Salmo trutta macrostigma), progenitrice di tutti gli esemplari presenti oggi nel bacino del Mediterraneo; a differenza di altre località italiane, dalle quali è ormai quasi scomparsa, qui sembra aver trovato il suo habitat ideale.
    E sulle sue sponde vola una curiosità scientifica unica nel suo genere, l'esemplare maschio della apatania volscorum, un tricottero presente nel mondo solo come femmina in grado di autoriprodursi. Quello di Posta Fibreno è il lago delle meraviglie, protetto dall'Unione europea, ma pressoché sconosciuto in Italia nonostante sia ad appena cento chilometri da Roma.
    L'ambiente subacqueo è molto affascinante per le particolari sensazioni che riesce a trasmettere ai subacquei. Sott'acqua troviamo un'atmosfera molto particolare, se vuoi legata anche al fatto che è sufficiente alzare lo sguardo per vedere la gente passeggiare sul lungolago, o le nuvole scorrere in mezzo al cielo azzurro, il cambio delle stagioni attraverso le chiome degli alberi che costeggiano il lago o, addirittura, il nuoto di una folaga visto da una posizione insolita.
    Osservando le sponde piu' basse e' molto facile imbattersi in una nàue, una tipica imbarcazione del luogo, interamente in legno e dal fondo completamente piatto. La nàue è realizzata con assi di legno di quercia inchiodati ed incollati tra loro con uno speciale impasto di muschio e farina e capace di trasportare un carico di 7/8 quintali. Tale imbarcazione pare sia molto simile a quella già in uso presso gli antichi popoli italici. Una particolarità è che dopo averla utilizzata, la nàue, viene immersa nel lago affinché i raggi del sole e l'umidità non la deformino, ed ogni qualvolta deve essere nuovamente utilizzata va tirata fuori dall'acqua e svuotata completamente.


    Un fenomeno caratteristico del lago di Posta Fibreno, forse unico in Europa, è la presenza dell’Isola Galleggiante. Si tratta di un piccolo isolotto di forma circolare che si sposta all’interno di uno specchio d’acqua, collegato al lago da alcuni canali. Questo spostamento che, nelle giornate di forte vento, è visibile ad occhio nudo, viene generato da due fattori combinati: l’azione del vento e il cambiamento della portata della grande sorgente sotterranea, presente sul fondo. “La Rota”, così chiamata localmente per la sua forma rotonda, ha un diametro di circa trenta metri e si presenta come un cono con la punta rivolta verso il basso. Quasi certamente originata da un’eccezionale corrente sotterranea, che fece sollevare il fondo di torba da una profondità di circa 9 metri sotto il livello dell’acqua, il fenomeno dell’Isola Galleggiante esiste da più di 2000 anni.

    In questa oasi nel cuore della Ciociaria si verificano fenomeni naturali misteriosi come i microterremoti non rilevati dai sismografi. O come l'improvvisa apparizione nel lago di acque bianche dalle origini sconosciute. L'incredibile ecosistema di questa zona alle pendici del monte Morrone..ma non ci sono solo meraviglie. Gli studi hanno fatto emergere, infatti, che questa oasi protetta da una Riserva naturale regionale è a rischio sia per l'incuria dell'uomo, sia perché l'ecosistema è aggredito o da predatori come il cormorano (che si ciba del raro carpione) o da specie aliene come il gambero della Luisiana e la nutria. Ma è l'uomo la causa forse maggiore di contaminazione ambientale....una parte degli scarichi fognari finisce nel lago - le cui acque alimentano la rete idrica del Frusinate - provocando il pericoloso fenomeno di surriscaldamento più noto come eutrofizzazione, causa dello scomparire della vegetazione acquatica e della riduzione della popolazione ittica.
    È davvero una meraviglia, il lago di Posta Fibreno. Il mondo ce lo invidia. Peccato però che in Italia pochi lo conoscano.
     
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  11. gheagabry
     
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    I profondi e antichi misteri del lago di Vostok
    Il lago subglaciale Vostok, lungo quasi 250 Km, largo 50 Km e profondo 1000 Km, è un’area del pianeta rimasta isolata per milioni di anni; si trova a quattro chilometri sotto la superficie ghiacciata dell’Antartide, ed è stato completamente isolato dagli altri 150 laghi subglaciali sul continente per un lungo periodo di tempo. Dal 1990 l’Antartide Research Institute di San pietroburgo, in Russia, ha provato a raggiungere il lago, ma i timori di contaminazione dell’ecosistema hanno fermato il processo più volte, soprattutto nel 1998, quando le frese si sono spente per quasi otto anni. Oggi però, un team russo ha terminato di trivellarlo dopo una spedizione durata 30 anni, cercando di riportare alla luce i segreti che esso nasconde. Proprio nei giorni scorsi un team di scenziati sembrava essere misteriosamente scomparso, per poi ritrovarne i contatti dopo una settimana di assenza di comunicazione. L’acqua nel suo interno è certamente purisssima, incontaminata, e l’ecosistema è praticamente quello di 20 milioni di anni fa. Il lago è inoltre caratterizzato da temperature che in alcuni punti raggiungono incredibilmente i 30°C, probabilmente perché il bacino che ospita il lago si troverebbe in un’area della corsta terrestre più sottile, dalla quale ne scaturirebbe l’acqua temperata. Ci si chiede quali forme di vita possano far parte di questa parte di Terra autonoma, magari a noi ancora sconosciute. Addirittura qualche ipotesi ammette la possibilità che all’interno di quest’area il ciclo dell’acqua possa essere completo, garantendo fenomeni meteorologici come piogge, vento e temporali. Fantascienza? Forse, ma non per tutti. Forse parliamo di un mondo nel mondo, proprio come quello che leggeremmo su un libro del settore. Le operazioni di analisi sono molto delicate, in quanto è altissimo il rischio di contaminazione batterica: laggiù esiste un ambiente come detto incontaminato, e quindi si dovrà fare attenzione. Ma i misteri non terminano qui: nella zona sud-occidentale del lago, le squadre di ricerca hanno individuato la presenza di una fortissima anomalia magnetica di origine inspiegabile. Alcuni rilievi effettuati da rilevatori sismici hanno individuato la presenza di un elemento metallico di forma circolare o forse cilindrica che appare dal diametro molto esteso, alla base del lago. Non mancano le teorie UFO, decisamente affascinanti ma probabilmente eccessive, contro altri ricercatori che parlano invece più lucidamente di elementi meteorici. Ciò che desta stupore è la forma regolare dell’oggetto, troppo regolare per pensare ad un meteorite. Nei prossimi anni i misteri nascosti a tremila metri di profondità del lago di Vostok potrebbero essere definitivamente svelati. Intanto si può continuare a sognare. (Renato Sansone)[/color]
     
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  12. gheagabry
     
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    Il lago NICARAGUA


    E' il più grande lago del Centro America ed uno dei più grandi al mondo con una superficie pari alla regione Umbria (8200 Kmq).Ha una lunghezza di 177 Km e le sue acque si trovano 31 metri sopra il livello del mare. Nelle carte geografiche è usualmente denominato Gran Lago Nicaragua. Nell'America latina sempre per superficie è il secondo, superato solo dal Titicaca. Il grande Mar dolce del Nicaragua è stato usato per secoli come ponte tra i due oceani prima della costruzione del Canale di Panama e luogo storico della pirateria, che per tre volte attaccò la città di Granada che vi si affaccia.
    Il suo nome deriva dal nathuatl coalt-pol-can louogo del grande serpente, simbolo del dio Quetzalcoaltl fratello di Xolotl (che darà il nome al Xolotlan o Lago Managua)
    Il lago Nicaragua, il più esteso del Centro America, è un "mare" interno isolato ed abbandonato dal resto mondo. Sulla rotta dell’antica strada dell’oro verso la California, le città ai bordi del lago hanno conosciuto allora una certa prosperità. Oggi questo istmo che si sono disputati coloni spagnoli, corsari francesi, bucanieri inglesi e miliardari americani ha perso l’occasione di entrare nella storia contemporanea: quando nel 1881 si è deciso di realizzare un istmo che collegasse l’atlantico al pacifico, Panama gli ha strappato il ruolo di vedette. Ancora si attende la costruzione di un canale, sperando che il lago non rimanga l’arena magnifica ma vuota di una storia dimenticata.
    Il fiume San Juan è il suo emissario che sfocia nel mar dei Caraibi, mentre il Rio Tipitapa lo collega col Lago Managua. navigabile per l'intero suo percorso e sul versante opposto le sue rive sono a soli 18 Km dall'oceano Pacifico. Sulle sue rive si affacciano le città di Granada, Rivas e San Carlos collegate da Ferry Boat. Il lago contiene più di quattrocento tra isole ed isolette, tra cui ricordiamo le due maggiori che sono la Ometepe e l'Isola Zapatera. La prima contiene a sua volta due vulcani: il Concepcion, ancora attivo ed il Maderas, che invece appare spento da diversi secoli.


    “A bordo di una piccola imbarcazione andiamo alla scoperta de “LAS ISLETAS” un arcipelago formato da 365 isolette di origine vulcanica, situate tre chilometri al largo, proprio di fronte la città di Granada.
    Estremamente rigogliose e ricche di fauna e di flora, alcune di queste isole sono abitate da famiglie di pescatori, su altre hanno costruito piccoli alberghi o seconde case, altre infine sono in vendita, ma la maggior parte sono ancora selvagge colonizzate solo da piante di mango ed uccelli acquatici. Sull’isola di San Pablo possiamo ancora ammirare i resti di una fortificazione che risale al XIX secolo; mentre poco più avanti sorge un isolotto eletto a loro paradiso tropicale da due colonie di scimmie che, non appena sentono il rumore delle lance dei turisti, si precipitano a riva per arpionare banane e biscotti. Dagli alberi delle isole limitrofe pendono come noci di cocco i grandi nidi in fibra vegetale creati dalle femmine degli oropendula bellissimi uccelli neri e gialli che appartengono all’ordine dei Passeriformi.”


    Ricchissimo di fauna e flora tropicale, nelle sue acque un tempo si incontrava l'unica specie di squalo di acqua dolce ora estinto, oggi, dopo molti anni che non lo si avvista, si dice che vive solo nella acqua profonde nel pressi di Solentiname. Rappresenta l'unico bacino lacustre al mondo che ospita una specie di pescecane, lo Squalo leuca (detto anche Carcharhinus leucas o Squalo Zambesi) nonché il pesce sega. Il lago Nicaragua ha la peculiarità di essere collegato al mare da un fiume, che potrebbe esser stato il passaggio usato dagli squali che nuotano ancora (pochi ormai) nel lago. Ma secondo altri, questi squali d’acqua dolce sarebbero rimasti imprigionati dai movimenti tettonici che chiusero una grande baia sul Pacifico.

    ...le isole...


    La vicenda di Solentiname, trentasei piccole isole del lago Cocimilco o lago Nicaragua, è assolutamente particolare e nasce nel 1966, quando vi arrivò il sacerdote e poeta Ernesto Cardenal, che diventerà noto a livello internazionale per le sue doti poetiche e il suo impegno civile e politico che lo farà schierare con il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale nella lotta contro la dittatura di Somoza. Con il trionfo della rivoluzione sandinista nel 1979, Cardenal divenne una figura molto importante, anche a livello internazionale, del nuovo governo, in cui divenne ministro della cultura. E Solentiname divenne anch’essa famosa nel mondo. Ma raccontiamone la storia. Quando Ernesto Cardenal vi arrivò per vivere tra la povera gente di quelle isole, divenne il fondatore e l’animatore di una comunità formata da contadini e pescatori che accolsero il suo insegnamento religioso, mettendolo in relazione con la concretezza della loro vita.
    Dalle loro riflessioni nacque il “Vangelo di Solentiname”, una raccolta di interpretazioni delle letture bibliche fatte dagli isolani, che le adattavano alla loro esperienza di vita, inserendosi nel solco della Teologia della Liberazione che in quegli anni si diffondeva in tanti paesi dell’America Latina.
    I principi che stavano alla base di questa comunità erano fondati sulla convinzione che lo sviluppo personale e collettivo non può basarsi unicamente sull’aspetto economico. La povertà non è la sola causa dell’arretratezza e questa non si identifica solo con le necessità materiali. Solo unendo migliori condizioni economiche, educazione e opportunità di sviluppo culturale è possibile contribuire a un miglioramento duraturo.
    Da queste premesse nacque l’esperienza artistica di Solentiname, dove in villaggi di contadini e pescatori quasi sempre analfabeti, si aprivano laboratori di poesia, di scultura su legno e di pittura primitiva, la forma di espressione artistica più tipica degli abitanti di queste isole, immediatamente riconoscibile dal suo stile molto fresco e ricco di colori nitidi, dalle sue ambientazioni tropicali e dalla semplice spiritualità che traspare dalle sue opere, ben presto conosciute ed apprezzate anche oltre i confini del Nicaragua.
    Dell’esperienza di quegli anni ormai lontani è rimasta a Solentiname la consapevolezza delle proprie potenzialità e capacità artistiche, che si esprimono in manufatti di buon livello, che contribuiscono alle economie familiari di una cinquantina di pittori, scultori e artigiani che accolgono i turisti nelle loro case-laboratorio.
     
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  13. gheagabry
     
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    Il Lago di VAN


    Il Lago di Van è il più grande lago della Turchia (seguito dal Lago Salato) e si trova nella parte più orientale del paese. Sulla sponda orientale del lago si trova la città di Van. È un lago salato che riceve acqua da numerosi piccoli corsi d'acqua che scendono dalla montagne circostanti ed è uno dei più grandi laghi endoreici (senza sbocchi) del mondo. L'originario emissario del bacino venne bloccato da un'antica eruzione vulcanica. Il territorio presso le sponde del lago di Van è stato il centro dell'antico regno di Urartu. Sull'Isola di Akdamar c'è una chiesa armena del X secolo. La massima larghezza del lago di Van è di 119 km, con una profondità media di 171 m e massima di 451 m. La superficie del lago si trova a 1640 m sopra il livello del mare e la lunghezza della linea costiera e di 430 km. Il lago di Van ha un'area di 3755 km2 e un volume di 607 km3. La parte del bacino occidentale del lago è la più profonda, più di 400 m, giacente a nord-est di Tatvan e a sud di Ahlat. I bracci orientali del lago hanno una minore profondità. La parte di Van-Ahtamar digrada man mano, con una profondità massima di circa 250 m verso il suo lato nord-ovest dove si unisce al resto del lago. Il braccio di Erciş è molto meno profondo, in massima parte minore di 50 m, con una profondità massima di circa 150 m. L'acqua del lago è fortemente alcalina (pH 9.7 – 9.8) e ricca di carbonato di sodio e altri sali, i quali vengono estratti tramite evaporazione e usati come detergenti.

    Lo sbocco del lago venne a un certo punto bloccato durante il pleistocene, quando i flussi lavici del vulcano Nemrut bloccarono a ovest il flusso uscente verso la pianura di Muş. Attualmente inattivo, il Nemrut Dağı è chiuso verso la riva occidentale del lago, mentre un altro stratovulcano inattivo, Süphan Dağı domina il lato settentrionale. Il livello dell'acqua del lago viene spesso modificato drammaticamente, alcune indagini hanno individuato che i livelli più alti del lago (72 m al sopra di quello attuale) si verificarono durante l'ultima era glaciale, pressappoco 18.000 anni fa. Mentre circa 9.500 anni fa ci fu una drastica diminuzione con più di 300 m sotto l'attuale livello, a cui seguì un altrettanto drastico innalzamento, circa 6.500 anni fa. Recentemente sono state notate simili fluttuazioni anche se in misura minore. Il livello del lago si alzò di almeno tre metri durante gli anni '90, allagando molti terreni agricoli, e (dopo un breve periodo di stabilità e dunque di arretramento delle acque) sembra essersi di nuovo innalzato, di circa due metri nei dieci anni immediatamente prima del 2004. Essendo senza sbocchi, il lago di Van ha accumulato una grande quantità di sedimenti asportati dalle pianure e valli circostanti, e occasionalmente depositati come cenere delle eruzioni dei vulcani vicini. Questo strato di sedimenti viene stimato fino a 400 m di spessore, attirando climatologi e vulcanologi interessati alla trivellazione di carote per esaminare i sedimenti stratificati. Si sospetta di trovare che il lago di Van possa aver immagazzinato la storia del clima degli ultimi 800.000 anni.

    ...Storia....


    Il lago fu il centro del regno armeno di Ararat dal 1.000 a.C. circa e successivamente della satrapia di Armina, regno della Grande Armenia, e del regno armeno di Vaspurakan. Insieme al lago Sevan (nell'odierna Armenia) e al lago di Urmia (nell'attuale Iran), Van era uno dei tre grandi laghi del regno armeno, riferiti come i mari di Armenia. Verso l'XI secolo la regione intorno al lago di Van veniva a trovarsi lungo il confine tra l'impero bizantino, con la sua capitale a Costantinopoli, e l'impero turco selgiuchide, con capitale a Isfahan. Nella non facile pace tra i due imperi, i proprietari terrieri armeno-bizantini impiegavano i gazi turcomanni e gli akritoi bizantini per la loro protezione. Nella seconda metà dell'XI secolo l'imperatore Romano IV Diogene lanciò una campagna per riconquistare l'Armenia onde prevenire l'espansione del controllo selgiuchide sulla regione. Diogene e il suo esercito attraversarono l'Eufrate, affrontando il 6 agosto 1071 l'armata selgiuchide molto più piccola, condotta da Alp Arslan, nella Battaglia di Manzikert, a nord del lago di Van. Nonostante il numero sproporzionato, l'ingombrante forza bizantina venne sconfitta dal più mobile cavalleria turca e Diogene stesso venne fatto prigioniero. Alp Arslan divise le parti orientali conquistate dell'impero bizantino tra i suoi generali turcomanni, ognuna delle quali governata come beilicato ereditario, sotto la completa sovranità del grande impero selgiuchide. Alp Arslan concesee la regione intorno al lago di Van al suo comandante Sökmen el Kutbî (letteralmente Sökmen lo schiavo), che stabilì la sua capitale ad Ahlat sulla riva occidentale del lago. La dinastia di Ahlatshahs (anche nota come Sökmenler) governò questa regione dal 1085 al 1192. Agli Ahlatshahs succedettero gli Ayyubidi.
    (Federico Bellini)

    ..l'isola di Akdamar..


    Mozzafiato per la bellezza del suo ambiente, la distrutta chiesa di Akdamar Island nel Lago di Van rappresenta uno degli esempi più sublime di architettura armena fede based. La chiesa è l’edificio unico resto del palazzo di Aght’amar costruita dall’architetto Manuel Vescovo tra 915 e 921 dC. Costruito durante il regno del re armeno Gagik Ardzrouni della dinastia Vaspurakan, il complesso di edifici originariamente inclusi strade, parchi e giardini a terrazze che circondano il palazzo e la chiesa. Costruito con una pianta a croce (croce) e un tetto conico a cupola sulla parte interna, la creazione è fatta di pietra di tufo di colore rosso portato sull’isola da cave lontane. Sui muri esterni della chiesa sono molto belle ma molto alterato rilievi in pietra da intagliatori maestro armeno. Questi rilievi rappresentano scene bibliche con Adamo, Eva, Abramo, Davide e Golia, e Gesù così come i temi terrena, come la vita alla struttura, scene di caccia e figure umane e animali. Un disegno notevole di vite intervallati con animali scolpiti in altorilievo circonda l’esterno della chiesa. Il metodo di questi temi vengono lavorate mostrano un’influenza del 9 e 10 ° secolo l’arte Abbasi, a sua volta influenzato da Art dell’Asia centrale turco. I primi chiarimenti e storie locali dicono che la rilievi e la porta alla chiesa sono stati fissati con pietre preziose, perle e incrostazioni d’oro, ma questi sono da tempo scomparsi. Le pareti interne della chiesa sono abbellite con affreschi visualizzazione di temi religiosi, ma vandali ed i componenti sono molto degradati questi quadri un tempo bello. Il nome dato all’isola, Aght’amar, è descritto da una leggenda locale. Un nobile che si innamorò di una ragazza splendida di nome Tamar visitato l’isola ogni notte per vederla. Mentre stava attraversando il lago una notte di tempesta, la sua barca si è capovolta e la lotta contro le onde, ha annegato pronunciare le parole “Ach Tamar”. Tamar, in attesa dell’arrivo del suo amato, profondamente addolorato dalla notizia della sua morte e morì poco dopo. Quindi, l’isola era chiamata “Ach Tamar” (Aght’amar) da allora. La tradizione locale racconta anche che il lago è affascinato e che gli angeli vanno in e fuori dall’acqua. L’isola si trova vicino alla riva del lago di Van.
     
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  14. gheagabry
     
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    "Un lago è un semplice specchio d'acqua, chiuso fra sponde più o meno brevi; ma dove lo specchio e la cornice formano un tutto indivisibile, dove le parti si danno risalto a vicenda, con un gentile ricambio di bellezze, ne risulta una tal varietà che non v'è quasi lago che somigli ad un altro, e che non rechi un'impronta speciale, una speciale fisionomia; sicchè più ne visiti e meno ti stanchi".
    (dal web)


    Il lago MONO


    Il Lago Mono è un lago alcalino situato nella Contea di Mono, California, negli Stati Uniti d'America. Possiede un ecosistema insolitamente produttivo, e ospita numerose specie di uccelli. Il lago contiene un batterio estremofilo della famiglia delle Halomonadaceae, il quale, in assenza di fosforo, è in grado di sostituire nel suo DNA tale elemento con l'arsenico, velenoso per la maggior parte delle specie viventi.
    A nord del Lago Mono, sulle colline Bodie, si trovano lave andesitiche datate tra gli 8 e i 28 milioni di anni. Queste rocce risalgono all'ultima fase di vulcanismo di subduzione nella zona. Tra i 4.5 e i 2.6 milioni di anni fa, furono eruttate grandi quantità di basalto, formando la Cowtrack Mountain, situata a sud-est del lago, coprendo una superficie di 780 km2, con un'altezza massima di 180 m. Si pensa che il lago si sia formato 760.000 anni fa, durante l'eruzione della Long Valley. I sedimenti fanno presupporre che il Mono Lake sia il resto di un lago più grande e più antico che in passato copriva una vasta zona tra Nevada e Utah; questo lago, durante l'ultima era glaciale, avrebbe potuto misurare fino a 270 m di profondità. L'attività vulcanica continua ancora nei pressi del lago Mono: l'eruzione più recente risale a 350 anni fa ed è avvenuta a Paoha Island, nel lago stesso.
    Le torri di “tufa” che si estendono lungo le rive sono uno degli aspetti più caratteristici del lago Mono. Siccome il lago non ha sbocco, le tracce di sale e minerali, introdotte nel lago dai torrenti d’acqua dolce, si sono accumulate nel corso dei secoli cosiché la salinità del lago Mono sia il doppio o il triplo di quella dell’oceano Pacifico.
    Le torri di tufa, che si formano intorno alle sorgenti sottomarine, risultano dalla combinazione dei minerali dell’acqua dolce e dell’acqua salata. Quando il calcio presente in una sorgente d’acqua dolce incontra il carbonato dell’acqua salmastra del lago, un deposito di carbonato di calcio cade giù e, col tempo, si solidifica nelle formazioni rocciose che si vedono oggi lungo le rive. Laddove nel lago sgorga una sorgente d’acqua dolce, lì, sott’acqua, le torri di tufa si stanno formando.
    Ci sono due grandi isole nel lago Mono. Entrambe sono il risultato di attività vulcaniche relativamente recenti. L’Isola Negit, quella di colore scuro, è un cono di ceneri che serve ai gabbiani della California come terreno di nidifi cazione. L’Isola Paoha, quella più piatta e bianca, prende il nome dal termine indigeno utilizzato per indicare le sorgenti termali che vi si trovano. Paoha fu formata da un’attività vulcanica sotteranea che ha spinto il sedimento del fondo del lago sopra la superficie dell’acqua.

    Gli abitanti originari del lago venivano chiamati i Kutzadikaa, o “mangiamosche,” a causa della loro
    abitudine di mangiare le pupe delle mosche d’alcali, ricche di calorie. Durante l’estate i Kutzadika
    a abitavano lungo i torrenti a sud-ovest del lago Mono. Poi, in autunno, si trasferivano a nord del bacino Mono, dove raccoglievano pinoli prima di spostarsi durante l’inverno sulla più calda riva orientale per rifugiarsi dalle bufere. Verso la metà del 1850, i Kutzadikaa furono soppiantati dai coloni e dai minatori europei. Oggigiorno soltanto una frazione della popolazione originaria continua ad abitare nel bacino Mono. La cittadina di Lee Vining prende il nome da Leroy Vining, proprietario di una segheria che forniva legname alle miniere di Bodie e Aurora (località vicine che attualmente sono delle città fantasma). Altri coloni divennero agricoltori e proprietari di ranch nel bacino Mono, aiutando a sostenere l’industria mineraria


    "La cosa che più caratterizza il lago sono le proprie formazioni di tufo che spuntano dall'acqua e dal terreno. Si presentano come delle stalagmiti ma sono formate da depositi calcarei. L'alta concentrazione di tufo pervade l'aria del proprio forte ed unico odore e rende l'acqua del lago particolarmente salata rendendo impossibile la vita di pesci.
    La cosa che però mi ha colpito di più al Mono Lake è l'inattesa ricchezza della fauna. In un ambiente apparentemente arido in cui oltre a pochi fiori si trovano solo molti cespugli di piante desertiche, vive una incredibile varietà di animali. Raramente mi son visto sbucare davanti tanti animali di vario genere. Tutta la spiaggia è ricoperta da un sottile strato nero. Scoprite presto che si tratta di mosche (più piccole delle nostre, somiglianti più a moscerini), le famose mosche che danno il nome al lago. Infatti gli indiani Kutzadika'a che originariamente abitavano la zona avevano come fonte primaria di cibo proprio le larve di queste mosche chiamate nella loro lingua "mono". La nube di mosche che ricopre la spiaggia è molto fitta e, a chi abbia letto "Preda" di Crichton, ricorderà qualcosa. Sulle varie formazioni di tufo, riposano uccelli di vario genere. Sebbene mosche e uccelli siano la parte della fauna più visibile, quello che sorprende è il resto. Nel corso del breve giro ho visto numerosi conigli, lucertole, scoiattoli ed un animale somigliante ad una donnola. Ho appreso poi dell'esistenza di molte altre specie.
    Per concludere, Mono Lake è un vero gioiello naturalistico"
    (Giulia, experienceamerica.it)


    Di qui non è passata l’ombra rossa del fungo atomico. In queste acque nessuno ha rilasciato verdi e maleodoranti scarti industriali. Qui, prima che la tecnologia più mortale venisse varata, la vita era già bandita. California orientale, nei pressi del noto Yosemite National Park, nella Contea Mono che ha ereditato il suo nome proprio dalla tribù di nativi americani che abitavano quella zona. E loro conoscevano quelle acque, sapevano il loro segreto.
    Questi indigeni erano abili pescatori, abili cacciatori e soprattutto maestri nell’arte del nuoto, eppure nessuno di loro ha mai osato tuffarsi in quello specchio d’acqua di diciotto chilometri quadrati circondato da sculture di tufo abilmente modellate dal tempo e dalla natura.
    Lago maledetto, nessun pesce, nessun animale da cacciare e l’assenza di vita che agli occhi di una cultura pre-scientifica non poteva che tradursi nella paura più profonda. Una paura che ha attraversato le epoche fino ad arrivare alla penna di Mark Twain: “Il solitario ospite della regione più isolata della terra”, così lo volle definire una volta. Il Sapere accumulato nelle epoche ha tolto un po’ di fascino da questa storia. Il lago Mono non è altro che un mare in pensione.
    Primordiale mare interno, dal retrogusto vulcanico, che non avendo più uno sbocco oceanico ha trattenuto in sé il potere dei suoi minerali. Niente vive in quelle profondità se non qualche gambero d’acqua salata e qualche larva. Il resto della vita ha fatto i bagagli respinto dall’invivibile alcalinità di quell’habitat. La sua lenta agonia è sotto gli occhi dell’impietoso ciclo delle stagioni. Piano piano, giorno dopo giorno, mese dopo mese e anno dopo anno le acque si ritirano sempre di più sotto i colpi dell’inesorabile evaporazione. Ed è proprio da questa condanna a morte che affiorano le suggestive colonne di tufo, rese ancora più affascinanti dalla presenza di sorgenti d’acqua calda che emanano vapore e l’imponente apparire del vecchio Nagit, un cratere dove i gabbiani amano posarsi per trovare riposo. Anche se la vita sembra scivolare via, è indubbio che sia la Natura qua a comandare. Una Natura che è capace di dire la sua anche negli ambienti più impervi. E la strada che vi porta in questi luoghi ne è la prova: passare dalla desertica Death Valley, se si proviene dal sud, oppure dal bellissimo Yosemite Park uscendo poi dalla sua porta orientale, la Tioga Pass Entrance. Esperienze uniche mescolate insieme. Un continuo dialogo tra paesaggi diversi. Un discorso tutto d’ascoltare.
    (Francesco Bizzini)


    Due anni fa i ricercatori guidati dall’astrobiologa della NASA Felisa Wolfe-Simon annunciarono di aver scoperto il nuovo organismo, denominato GFAJ-1, nei sedimenti ricchi di arsenico del Lago Mono, in California. Successivamente pubblicarono un articolo su Science in cui spiegavano come il batterio, una volta coltivato in laboratorio, avesse prosperato in condizioni estreme particolarmente ricche di arsenico e povere di fosforo. Il gruppo, quindi, concluse che il batterio GFAJ-1 assimilasse nel suo DNA l’arsenico al posto del fosforo, che è uno degli elementi essenziali per la costruzione del DNA in tutti gli organismi conosciuti. Questa scoperta entusiasmò in modo particolare gli astrobiologi che in precedenza avevano ipotizzato che se la vita extraterrestre fosse esistita, ciò sarebbe potuto avvenire solo in condizioni simili, ossia in cui l’arsenico sostituisce il fosforo.
    Poco dopo l'annuncio, però, altri ricercatori iniziarono a sollevare dubbi e perplessità, sostenendo che era molto difficile replicare i risultati ottenuti da Wolfe-Simone. E tali dubbi hanno trovato conferma proprio in questi giorni, in due differenti ricerche che hanno portato a risultati molto simili.
    I due nuovi studi, pubblicati su Science, hanno confermato che il batterio può crescere nelle condizioni descritte nello studio del 2010, ma quando la quantità di fosforo viene ridotta ulteriormente, la crescita del batterio GFAJ-1 si blocca. Inoltre, come scrive nel suo articolo Rosemary Redfield, nessuna traccia di arsenico è stata trovata nel DNA di GFAJ-1.
    Risultato: il batterio ha comunque bisogno di piccole quantità di fosforo anche se può sopravvivere in un ambiente ricco di arsenico. Felisa Wolfe-Simon, che ora lavora al Lawrence Berkeley National Laboratory, difende comunque i suoi risultati. I nuovi studi, ha detto, dimostrano soltanto che l'arsenico non compare nel DNA di GFAJ-1, e non che l’organismo non lo utilizzi effettivamente.
    “Il fatto che l'organismo abbia una resistenza così estrema all’arsenico e lo assimili dall'ambiente circostante significa che forse accade qualcosa di insolito”, spiega Wolfe-Simon. "Stiamo lavorando per cercare di capire dove si trova l’arsenico nell’organismo del batterio, piuttosto di capire dove non c’è. Come è possibile che GFAJ-1 prosperi in ambienti così ricchi di arsenico? Dove va a finire questo arsenico? Queste sono le domande alle quali vogliamo rispondere".
    Al momento, nessuna traccia di una “seconda genesi” Per gli astrobiologi, i nuovi risultati rappresentano forse una piccola delusione ma di certo non fermeranno la ricerca della vita aliena. Lo studio del 2010 nacque da una proposta dell’astrobiologo Paul Davies, direttore del BEYOND Centre dell’Arizona State University, che invitò gli scienziati a cercare organismi terrestri particolarmente “esotici”: cioè che potessero provenire non solo da un diverso ramo del nostro albero della vita, ma proprio da un antenato fondatore completamente differente.
    “Se riuscissimo a trovare tali organismi”, spiegò all’epoca Davies, “questo potrebbe indicare che la vita ebbe origine più di una volta qui sulla Terra, in una sorta di ‘genesi seconda’”. E se la vita sulla Terra si fosse originata più di una volta, allora sarebbe più facile pensare che esista su altri pianeti. I due nuovi articoli comunque non hanno particolari implicazioni in questo ambito, visto che già gli studi genetici avevano confermato che GFAJ-1 è invece parente di batteri conosciuti.
    "Era chiaro fin dall'inizio", ha detto Davies, "che il batterio GFAJ-1 non costituisce la prova della ‘seconda genesi’".
    (national geographic)
     
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  15. gheagabry
     
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    Il lago Chott el-Jerid



    Lo Chott el-Djerid è un lago salato della Tunisia. Situato nel sud-ovest del paese, in una depressione tra le oasi di Tozeur e di Nefta da un lato e tra Kebili e Douz ai confini del deserto del Sahara dall'altro, copre una superficie di oltre 5.000 km² (alcune fonti indicano 7.000 km²), per una lunghezza di 250 km circa ed una larghezza di 20 km; è il più esteso lago salato della regione.



    La sua superficie è composta da un agglomerato di cristalli di sale poggianti su un fondo sabbioso ed argilloso. Le precipitazioni nella zona superano raramente i 100 mm annui e la temperatura raggiunge spesso i 50 °C, cosicché in estate il lago è completamente secco. Periodicamente le scarse piogge della regione ne sciolgono la crosta facendo salire in superficie il sale, che l'intensa evaporazione fa cristallizzare rapidamente; poi, il vento ricopre di sabbia i cristalli di sale. In tal modo, la superficie cambia continuamente di colore.

    Nell'antichità veniva identificato con il leggendario lago Tritone. Plinio ed Erodoto lo hanno citato, assegnandogli una posizione geografica confusa.

     
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44 replies since 23/6/2011, 13:13   8503 views
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